mercoledì 9 novembre 2016

RECENSIONI: "Guerra o Diritto?" del Prof. Renato Federici (prefazione di Gabriele Pepe).

RECENSIONI: 
"Guerra o Diritto?" 
del Prof. Renato Federici 
(prefazione di Gabriele Pepe)



Dopo un lungo silenzio, pubblico volentieri sul blog la recensione del mio Collega ed amico Gabriele Pepe - che è Ricercatore di Diritto Amministrativo presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi - al volume "Guerra o Diritto?" del Prof. Renato Federico.

*   *   *

"L’arte della guerra e l’arte giuridica appartengono allo strumentario da lavoro delle caste e dei popoli dominanti. Del resto, la superiore capacità giuridica e l’abilità bellica rappresentano i tratti distintivi delle categorie più forti. Le classi e i popoli dominanti hanno, per l’appunto, a disposizione strumenti in grado di imporre le proprie scelte sociali, politiche ed economiche sia all’interno sia all’esterno della comunità di appartenenza. Le caste dominanti, nel perseguire tale obiettivo, si avvalgono di due officine, l’una per la produzione di mezzi giuridici e l’altra per forgiare mezzi bellici; una per usi pacifici, l’altra per usi violenti; una per gli utilizzi quotidiani, l’altra per quelli eccezionali.
La guerra e il diritto sono, quindi, per l’Autore i due mezzi operativi delle classi dominanti, tra loro alternativi, come il giorno e la notte. Si tratta di una tesi del tutto nuova. Entrambi i meccanismi rappresentano forme di continuazione della politica: il diritto è la continuazione della politica con mezzi leciti ed appropriati, mentre la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi secondo il noto insegnamento di von Clausewitz. Se si cerca un antesignano dell’Autore lo si ritrova, per l’appunto, in von Clausewitz e prima di lui in Cicerone, Sofocle, Platone, Hobbes, Rousseau, Kant e Marx. Tuttavia, nessuno di questi studiosi era stato così esplicito e puntuale.
Per l’Autore la funzione del diritto è quella di prevenire e risolvere le controversie: prevenire con il diritto sostanziale e risolvere con il diritto processuale. Quando il diritto fallisce quale criterio di prevenzione delle dispute ad esso subentra il criterio alternativo del ricorso al conflitto armato tra parti avverse (ad es. tra Stati, fazioni, singoli etc..). Ciascun belligerante, ritenendo di avere ragione, non accetta giudizi di terzi o accordi ma pretende di imporre la propria volontà con la forza delle armi. Allora è guerra, ribellione, rivoluzione ma non è diritto.
L’originale tesi sulla alternatività tra guerra e diritto trova, tuttavia, un serio ostacolo nella esistenza del c.d. diritto bellico che, viceversa, postula la compresenza di ambo i fenomeni. Un concetto tradizionalmente dato per pacifico che viene messo in discussione dall’Autore attraverso la demolizione dei suoi tre pilastri fondativi: lo jus ad bellum, lo jus in bello e lo jus post bellum.
Lo jus ad bellum affonda le sue radici nei riti sacrali della storia di Roma, riti poi ripresi nelle guerre di religione dei secoli XVI e XVII per distinguere gli atti di guerra dai comportamenti dei briganti e dei pirati. Era, infatti, convincimento diffuso che attraverso alcune procedure si potesse trasformare la guerra da feroce mezzo di offesa in legittimo strumento di giustizia. Nacque, così, l’equivoco legato ai concetti di guerra giusta e di guerra legittimamente posta in essere nell’osservanza di procedure legali e/o sacrali. Su tale equivoco venne costruita, a partire dal Medioevo, la tesi dell’esistenza di un diritto bellico. Gli istituti su cui tradizionalmente si fondava lo jus ad bellum erano l’ultimatum e la dichiarazione di guerra. Colui che decideva di aggredire uno Stato o un popolo doveva far precedere la dichiarazione di guerra dalla richiesta di riparazioni per l’affronto lamentato; solo a seguito di rifiuto alla domanda di risarcimento, si poteva dichiarare guerra e combattere. Tale meccanismo è venuto meno con l’avvento, nel 1945, delle Nazioni Unite che vietarono la guerra di aggressione considerandola un delitto nei confronti della Comunità Internazionale. Si credeva ingenuamente che senza aggressori non vi sarebbero state guerre. In realtà, dopo il 1945, vi furono molte guerre nel mondo, con la differenza che i nuovi conflitti, rispetto ai precedenti, non venivano dichiarati né erano preceduti da alcun ultimatum. Infatti, i contendenti erano soliti accusare i nemici di aggressione, ed in quanto aggrediti, si consideravano legittimati a difendersi dall’illecita prevaricazione dell’avversario. L’Autore dimostra, così, come il primo pilastro del diritto bellico risulti oggi crollato e superato dalla storia.
Venendo al secondo pilastro, costituito dallo jus in bello, va detto come esso raggruppi l’insieme delle regole da osservare durante i conflitti armati. Alcune di queste sono in uso da tempo, come le regole sulla separazione tra civili e combattenti; altre sono state codificate nei Trattati internazionali a partire dalla seconda metà del secolo XIX, quando iniziò ad affermarsi il c.d. diritto umanitario in tempo di guerra. Tale fenomeno si accompagnò alla nascita della Croce Rossa Internazionale, una associazione umanitaria deputata al soccorso dei feriti e dei prigionieri. A riguardo l’Autore si domanda se le regole da rispettare durante i conflitti armati abbiano carattere bellico o umanitario. Il diritto bellico si occuperebbe dei conflitti armati nella loro interezza, non altrettanto pretende di fare il diritto umanitario che, persegue il diverso obiettivo di mitigare e lenire gli aspetti più atroci del conflitto, non preoccupandosi di disciplinare lo scontro secondo regole simili ad un torneo o ad un duello. Le poche regole previste in tempo di guerra sono esclusivamente quelle a carattere umanitario (non uccidere i prigionieri e non ridurli in schiavitù, soccorrere i feriti, separare i civili dai combattenti, non utilizzare armi proibite etc..). Altre regole giuridiche non ve ne sono. La guerra, infatti, è una vicenda che il diritto non può regolare, in quanto si fonda su rapporti di forza, per natura insofferenti a qualsivoglia disciplina giuridica. Pertanto, lo jus in bello non è ammissibile, trovando viceversa applicazione nel corso dei conflitti le sole regole del diritto umanitario volte a regolare non già il conflitto ex se, ma talune sue appendici secondarie.
Il terzo pilastro, oggetto di confutazione, è lo jus post bellum. È opinione diffusa che la guerra crei il diritto che si stabilirà al termine del conflitto. L’Autore contesta tale assunto reputandolo erroneo in quanto, a ben vedere, il diritto non può mai essere frutto del non diritto. La guerra inizia quando le parti in conflitto non vogliono intavolare rapporti giuridici (o questi sono falliti), mentre si conclude con la vittoria dell’uno sull’altro oppure con un reciproco accordo circa il ritorno a metodi giuridici; in quest’ultimo caso si avviano, di solito, trattative che si concludono con la firma di un Trattato di Pace. Non esistono per l’Autore regole giuridiche che nascono dalla guerra. Il diritto segna una netta discontinuità con il conflitto precedente. È il ripristino dell’ordine sul caos, della luce sulle tenebre, delle regole giuridiche sui rapporti di forza. Il diritto è, quindi, autonomo sia dalla guerra sia della forza.
Le argomentazioni illustrate sono riuscite, così, a demolire i tre pilastri del diritto bellico, confermando la validità della tesi sulla alternatività tra guerra e diritto. Il volume è apprezzabile, poi, per la chiarezza espositiva, il rigore metodologico e l’approccio interdisciplinare. L’analisi ricostruttiva compiuta dall’Autore si rivela, infine, di palpitante attualità nell’odierno scenario mondiale caratterizzato dalle guerre di religione e dal terrorismo internazionale".

Gabriele Pepe
Ricercatore di Diritto Amministrativo presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi


martedì 31 maggio 2016

CORTE DI GIUSTIZIA & APPALTI: sull'ammissibilità ed i limiti della modifica soggettiva di un A.T.I. "per riductionem" nella fase procedimentale (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 24 maggio 2016, C‑396/14).

CORTE DI GIUSTIZIA & APPALTI: 
sull'ammissibilità ed i limiti 
della modifica soggettiva di un A.T.I. 
"per riductionem" 
nella fase procedimentale 
(Corte di Giustizia, Grande Sezione, 
24 maggio 2016, C‑396/14)



Oramai il benchmark è la Home del sito della "Giustizia Amministrativa".
Le principali sentenze (ed i principali atti consultivi) "passano" oramai da qui, e non si può che ammettere che il servizio è davvero di ottimo livello (sta facendo, fuor di metafora, dumping rispetto ai siti aggiornamento a pagamento!).
Se non ci si vuole limitare a dire sempre "relata refero", bisogna quindi vieppiù approcciarsi alla giurisprudenza in maniera critica ed in direzione propositiva (ricostruttiva, d'approfondimenti, di confronto con la dottrina, di correlazione in senso lato). 
E questo vale, credo, anche per la più generale attività che l'avvocato amministrativista è chiamato ogni giorno a svolgere.


Principio di diritto

Il principio di parità di trattamento degli operatori economici, di cui all’articolo 10 della direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, in combinato disposto con l’articolo 51 della medesima, deve essere interpretato nel senso che un ente aggiudicatore non viola tale principio se autorizza uno dei due operatori economici che facevano parte di un raggruppamento di imprese invitato, in quanto tale, da siffatto ente a presentare un’offerta, a subentrare a tale raggruppamento in seguito allo scioglimento del medesimo e a partecipare, in nome proprio, a una procedura negoziata di aggiudicazione di un appalto pubblico, purché sia dimostrato, da un lato, che tale operatore economico soddisfa da solo i requisiti definiti dall’ente di cui trattasi e, dall’altro, che la continuazione della sua partecipazione a tale procedura non comporta un deterioramento della situazione degli altri offerenti sotto il profilo della concorrenza.


Sentenza per esteso

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
24 maggio 2016 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Articolo 267 TFUE – Competenza della Corte – Qualità di giurisdizione dell’organo remittente – Appalto pubblico nel settore delle infrastrutture ferroviarie – Procedura negoziata – Direttiva 2004/17/CE – Articolo 10 – Articolo 51, paragrafo 3 – Principio di parità di trattamento degli offerenti – Raggruppamento composto da due società e ammesso come offerente – Offerta presentata da una delle due società, in nome proprio, in quanto l’altra società è stata dichiarata fallita – Società considerata idonea ad essere ammessa, da sola, come offerente – Aggiudicazione dell’appalto a tale società»

Nella causa C‑396/14,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Klagenævnet for Udbud (Commissione di ricorso in materia di appalti pubblici, Danimarca), con decisione del 18 agosto 2014, pervenuta in cancelleria il 20 agosto 2014, nel procedimento
MT Højgaard A/S,
Züblin A/S
contro
Banedanmark,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, A. Tizzano, vicepresidente, R. Silva de Lapuerta, M. Ilešič, J.L. da Cruz Vilaça e A. Arabadjiev, presidenti di sezione, E. Juhász (relatore), A. Borg Barthet, J. Malenovský, E. Levits, J.-C. Bonichot, C.G. Fernlund e C. Vajda, giudici,
avvocato generale: P. Mengozzi
cancelliere: I. Illéssy, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’8 settembre 2015,
considerate le osservazioni presentate:
–        per la MT Højgaard A/S e la Züblin A/S, da T. Høg, advokat;
–        per il governo danese, da C. Thorning, in qualità di agente, assistito da R. Holdgaard, advokat;
–        per la Commissione europea, da L. Grønfeldt, M. Clausen e A. Tokár in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 25 novembre 2015,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione del principio di parità di trattamento degli operatori economici, di cui all’articolo 10 della direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali (GU 2004, L 134, pag. 1), in combinato disposto con l’articolo 51 di predetta direttiva.
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che contrappone la MT Højgaard A/S e la Züblin A/S alla Banedanmark, gestore delle infrastrutture ferroviarie in Danimarca, in merito alla regolare aggiudicazione di un appalto pubblico da parte di quest’ultima, quale ente aggiudicatore, alla Per Aarsleff A/S.
 Contesto normativo
 Diritto dell’Unione
3        Il considerando 9 della direttiva 2004/17 recita:
«Al fine di assicurare l’apertura alla concorrenza degli appalti pubblici di enti che operano nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali è opportuno stabilire disposizioni di coordinamento comunitario per gli appalti con valore superiore ad una certa soglia. Tale coordinamento è fondato sui requisiti desumibili dagli articoli 14, 28 e 49 del trattato CE e dall’articolo 97 del trattato Euratom, vale a dire il principio di parità di trattamento, di cui il principio di non discriminazione non è che una particolare espressione, il principio di mutuo riconoscimento, il principio di proporzionalità, nonché il principio di trasparenza. In considerazione della natura dei settori interessati da tale coordinamento, quest’ultimo, pur continuando a salvaguardare l’applicazione di detti principi, dovrebbe istituire un quadro per pratiche commerciali leali e permettere la massima flessibilità.
(...)».
4        L’articolo 10 della direttiva in parola, intitolato «Principi per l’aggiudicazione degli appalti», così dispone:
«Gli enti aggiudicatori trattano gli operatori economici su un piano di parità e in modo non discriminatorio e agiscono con trasparenza».
5        L’articolo 11 della suddetta direttiva, intitolato «Operatori economici», al suo paragrafo 2 prevede quanto segue:
«I raggruppamenti di operatori economici sono autorizzati a presentare offerte o a candidarsi. Ai fini della presentazione di un’offerta o di una domanda di partecipazione gli enti aggiudicatori non possono esigere che i raggruppamenti di operatori economici abbiano una forma giuridica specifica; tuttavia al raggruppamento selezionato può essere imposto di assumere una forma giuridica specifica una volta che gli sia stato aggiudicato l’appalto, qualora la trasformazione sia necessaria per la buona esecuzione dell’appalto».
6        Quale parte del capo VII della medesima direttiva, l’articolo 51, intitolato «Disposizioni generali», sancisce:
«1.      Ai fini della selezione dei partecipanti alle procedure di aggiudicazione degli appalti, gli enti aggiudicatori:
a)      se hanno stabilito norme e criteri di esclusione degli offerenti o candidati ai sensi dell’articolo 54, paragrafi 1, 2 o 4, escludono gli operatori economici in base a detti criteri;
b)      selezionano gli offerenti e i candidati secondo le norme e i criteri oggettivi stabiliti in base all’articolo 54;
c)      nelle procedure ristrette e nelle procedure negoziate con indizione di gara riducono, se del caso, il numero dei candidati selezionati in conformità delle lettere a) e b) e applicando le disposizioni dell’articolo 54.
(...)
3.      Gli enti aggiudicatori verificano la conformità delle offerte presentate dagli offerenti così selezionati alle norme e ai requisiti applicabili alle stesse e aggiudicano l’appalto secondo i criteri di cui agli articoli 55 e 57».
7        Ai sensi dell’articolo 54 della direttiva 2004/17, intitolato «Criteri di selezione qualitativa»:
«1.      Gli enti aggiudicatori che fissano criteri di selezione in una procedura aperta, devono farlo secondo regole e criteri oggettivi che vanno resi disponibili agli operatori economici interessati.
2.      Gli enti aggiudicatori che selezionano i candidati ad una procedura di appalto ristretta o negoziata devono farlo secondo regole e criteri oggettivi da essi definiti che vanno resi disponibili agli operatori economici interessati.
3.      Nel caso delle procedure ristrette o negoziate, i criteri possono fondarsi sulla necessità oggettiva, per l’ente aggiudicatore, di ridurre il numero dei candidati a un livello che corrisponda a un giusto equilibrio tra caratteristiche specifiche della procedura di appalto e i mezzi necessari alla sua realizzazione. Il numero dei candidati prescelti tiene conto tuttavia dell’esigenza di garantire un’adeguata concorrenza.
(...)».
 Diritto danese
8        L’articolo 2, primo comma, della lov om visse erhvervsdrivende virksomheder (legge relativa a determinate attività commerciali), pubblicata con il decreto di consolidamento n. 1295 del 15 novembre 2013, contiene la seguente definizione, sancita in conformità alla giurisprudenza e alla dottrina:
«Ai fini della presente legge, per “società in nome collettivo” s’intende un’impresa in cui tutti i soci sono personalmente responsabili, in solido e illimitatamente, per gli obblighi da essa assunti».
 Procedimento principale e questione pregiudiziale
9        Con bando pubblicato nel gennaio 2013, la Banedanmark ha lanciato, ai sensi dell’articolo 47 della direttiva 2004/17, una procedura negoziata con previa indizione di gara per l’aggiudicazione di un appalto pubblico riguardante la costruzione di una nuova linea ferroviaria tra le città di Copenaghen e di Ringsted, nell’ambito di un progetto denominato «TP 4 Urban Tunnels». Ai fini dell’aggiudicazione dell’appalto, il criterio prescelto era quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
10      In base al bando di gara, la Banedanmark intendeva invitare da quattro a sei candidati a presentare offerte e avrebbe eseguito una valutazione preliminare qualora il numero di candidati fosse stato superiore a sei. Inoltre, dal capitolato d’oneri emerge che la procedura avviata prevedeva che gli offerenti sarebbero stati invitati a presentare tre offerte in successione nel corso della procedura. Una trattativa avrebbe avuto luogo dopo la presentazione delle prime due offerte e la terza e ultima doveva condurre all’aggiudicazione dell’appalto.
11      Cinque operatori economici hanno presentato la propria candidatura nell’ambito della preselezione. Tra di essi figurava il raggruppamento costituito dalla MT Højgaard e dalla Züblin (in prosieguo: il «raggruppamento Højgaard e Züblin») nonché il raggruppamento costituito dalla Per Aarsleff e dalla E. Pihl og Søn A/S (in prosieguo: il «raggruppamento Aarsleff e Pihl»). La Banedanmark ha preselezionato tutti e cinque i candidati e li ha invitati a presentare offerte.
12      Nel giugno 2013 una delle imprese si è ritirata dalla procedura, cosicché sono rimasti solo quattro offerenti preselezionati.
13      Il contratto di costituzione del raggruppamento Aarsleff e Pihl è stato concluso dalle due società il 26 agosto 2013. In pari data, il giudice competente ha pronunciato una sentenza dichiarativa del fallimento della E. Pihl og Søn. La Banedanmark ne è stata informata nel pomeriggio del medesimo giorno e ha immediatamente consultato la Per Aarsleff in ordine all’impatto di tale sentenza sulla procedura d’appalto in corso. Nonostante tale dichiarazione di fallimento, il raggruppamento Aarsleff e Pihl ha presentato una prima offerta il 27 agosto 2013, sottoscritta da entrambe le società, ma non dal curatore fallimentare.
14      Il 15 ottobre 2013 la Banedanmark ha comunicato a tutti gli offerenti la propria decisione di autorizzare la Per Aarsleff a continuare a partecipare da sola alla procedura. La Banedanmark ha giustificato tale decisione adducendo che la Per Aarsleff, che era il primo imprenditore in Danimarca in termini di fatturato per gli anni 2012 e 2013, soddisfaceva i requisiti per partecipare alla procedura negoziata anche senza le capacità tecniche e finanziarie della E. Pihl og Søn. Inoltre, la Per Aarsleff avrebbe riassunto oltre cinquanta dipendenti della E. Pihl og Søn, comprese alcune figure chiave per la realizzazione del progetto di cui trattasi.
15      La Per Aarsleff ha presentato una seconda offerta in nome proprio, comunicando che essa la presentava quale successore del raggruppamento Aarsleff e Pihl, che il curatore fallimentare non aveva comunicato se intendeva proseguire il contratto di raggruppamento e che, di conseguenza, la Per Aarsleff aveva risolto tale contratto. Dopo aver valutato le seconde offerte ricevute, la Banedanmark ha scelto, conformemente alle condizioni del bando di gara, di ammettere tre offerte al fine di determinare quale di esse fosse economicamente la più vantaggiosa e ha chiesto ai tre offerenti selezionati di presentare una terza e ultima offerta. Tra di essi figurava la Per Aarsleff, nonché il raggruppamento Højgaard e Züblin. Queste ultime offerte sono state depositate dai tre offerenti il 12 dicembre 2013.
16      Il 20 dicembre 2013 la Banedanmark ha comunicato ai tre offerenti selezionati che aveva deciso di aggiudicare l’appalto alla Per Aarsleff, la cui offerta era, sia dal punto di vista della qualità che del prezzo, quella economicamente più vantaggiosa. Detta offerta ammontava a 920 300 000 corone danesi (DKK) (circa EUR 123 402 000).
17      In seguito a tale decisione, la MT Højgaard e la Züblin hanno adito il Klagenævnet for Udbud (Commissione di ricorso in materia di appalti pubblici, Danimarca), facendo valere segnatamente che, nel consentire alla Per Aarsleff di partecipare alla procedura in luogo del raggruppamento Aarsleff e Pihl, sebbene la Per Aarsleff non fosse stata preselezionata a titolo personale, la Banedanmark ha violato i principi di parità di trattamento e di trasparenza ai sensi dell’articolo 10 della direttiva 2004/17. La MT Højgaard e la Züblin hanno quindi chiesto al Klagenævnet for Udbud (Commissione di ricorso in materia di appalti pubblici) di annullare la decisione di aggiudicazione dell’appalto alla Per Aarsleff nonché di ordinare la sospensione della sua esecuzione.
18      Il Klagenævnet for Udbud (Commissione di ricorso in materia di appalti pubblici) ha anzitutto deciso di non conferire effetto sospensivo al ricorso. Nella sua decisione di rinvio, esso ritiene poi che, in base alle informazioni comunicate sulla Per Aarsleff, tale società sarebbe stata preselezionata se avesse presentato la sua candidatura in nome proprio anziché tramite il raggruppamento Aarsleff e Pihl. Il Klagenævnet for Udbud (Commissione di ricorso in materia di appalti pubblici) rileva anche che nessuna disposizione di diritto danese vieta la modifica della composizione di un raggruppamento di imprenditori che partecipi ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, la quale abbia avuto luogo dopo la presentazione delle offerte.
19      Il Klagenævnet for Udbud (Commissione di ricorso in materia di appalti pubblici) osserva inoltre che, nel bando di gara, la Banedanmark non ha posto requisiti qualitativi minimi riguardo alle capacità tecniche degli offerenti e doveva procedere ad una valutazione qualitativa delle candidature solo se il loro numero fosse stato superiore a sei. La Per Aarsleff avrebbe dunque potuto essere preselezionata in nome proprio, senza fare parte del raggruppamento Aarsleff e Pihl. Il fatto che la Per Aarsleff sia subentrata a tale raggruppamento non avrebbe peraltro avuto alcun impatto sulla situazione degli offerenti giacché nessuno dei candidati è stato escluso in sede di preselezione o sarebbe stato escluso se la Per Aarsleff avesse presentato la propria candidatura a titolo personale. Inoltre, occorrerebbe distinguere la situazione in cui la modifica di un raggruppamento avviene prima dell’aggiudicazione dell’appalto da quella in cui tale modifica avviene dopo tale aggiudicazione.
20      Tuttavia, il Klagenævnet for Udbud (Commissione di ricorso in materia di appalti pubblici) esprime qualche riserva circa la compatibilità della procedura seguita con il principio di parità di trattamento, sottolineando al contempo che, per quanto riguarda gli appalti pubblici nei settori di attività rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/17, le norme fissate dal legislatore dell’Unione europea riguardo all’applicazione di tale principio non sono così dettagliate come quelle stabilite nella direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU 2004, L 134, pag. 114).
21      Tenuto conto di siffatte considerazioni, il Klagenævnet for Udbud (Commissione di ricorso in materia di appalti pubblici) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se il principio della parità di trattamento di cui all’articolo 10 della direttiva 2004/17, in combinato disposto con il suo articolo 51, debba essere interpretato nel senso che esso osta, in una situazione come quella in esame nel procedimento principale, a che un’amministrazione aggiudicatrice attribuisca l’appalto a un offerente che non ha presentato la domanda di partecipazione alla preselezione e, quindi, non è stato preselezionato».
 Sulla competenza della Corte
22      Al punto 15 della sentenza del 18 novembre 1999, Unitron Scandinavia e 3-S (C‑275/98, EU:C:1999:567), la Corte ha riconosciuto la qualità di «giurisdizione», ai sensi dell’articolo 267 TFUE, al Klagenævnet for Udbud (Commissione di ricorso in materia di appalti pubblici). Il governo danese rileva tuttavia che, nella sentenza del 9 ottobre 2014, TDC (C‑222/13, EU:C:2014:2265), la Corte ha invece negato tale qualità al Teleklagenævnet (Commissione di ricorso in materia di telecomunicazioni, Danimarca). Esso chiede quindi alla Corte ulteriori chiarimenti in merito ai criteri applicabili a tal riguardo e di confermare eventualmente la qualità di «giurisdizione» del Klagenævnet for Udbud (Commissione di ricorso in materia di appalti pubblici).
23      Al riguardo occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, al fine di valutare la qualità di «giurisdizione» dell’organo del rinvio, questione unicamente di diritto dell’Unione, la Corte tiene conto di un insieme di elementi, quali il fondamento legale dell’organo, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente (sentenza del 6 ottobre 2015, Consorci Sanitari del Maresme, C‑203/14, EU:C:2015:664, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).
24      Nel procedimento principale, non emerge da alcun elemento del fascicolo sottoposto alla Corte che l’organo remittente non soddisfa i criteri inerenti al suo fondamento legale, al suo carattere permanente, all’obbligatorietà della sua giurisdizione, alla natura contraddittoria del procedimento seguito dinanzi ad esso e al fatto che esso applichi norme giuridiche.
25      Per quanto riguarda il criterio relativo all’indipendenza, criterio che il Teleklagenævnet (Commissione di ricorso in materia di telecomunicazioni) non soddisfaceva, secondo quanto statuito dalla Corte nella sentenza del 9 ottobre 2014, TDC (C‑222/13, EU:C:2014:2265), messa in rilievo dal governo danese, occorre constatare anzitutto che, a differenza di quest’ultimo organo di ricorso, il Klagenænet for Udbud (Commissione di ricorso in materia di appalti pubblici) non interviene quale parte nei procedimenti di ricorso promossi avverso le sue decisioni dinanzi ai giudici ordinari. Ne discende che esso si trova in posizione di terzietà rispetto alle parti del procedimento, in particolare rispetto all’autorità che ha adottato la decisione impugnata dinanzi ad esso.
26      Va poi osservato che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 44 delle sue conclusioni, dagli atti emerge che il Klagenænet for Udbud (Commissione di ricorso in materia di appalti pubblici) e il Ministero delle Imprese e dello Sviluppo non sussiste alcun rapporto funzionale. La circostanza che il segretariato di tale organo faccia capo al suddetto ministero non può mettere in dubbio tale affermazione. Inoltre, detto organo esercita le sue funzioni in piena autonomia, senza essere subordinato a un rapporto gerarchico e senza ricevere istruzioni da alcuna fonte (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2015, Consorci Sanitari del Maresme, C‑203/14, EU:C:2015:664, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).
27      Per quanto riguarda l’indipendenza dei membri che compongono l’organo remittente, va sottolineato che, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, del bekendtgørelse nr. 887 om Klagenævnet for Udbud med senere ændringer (decreto n. 887 relativo alla Commissione di ricorso in materia di appalti pubblici, come modificato), dell’11 agosto 2011, essi sono tenuti ad esercitare le loro funzioni in modo indipendente.
28      Dagli atti emerge che l’organo remittente è composto, a norma dell’articolo 9, paragrafo 1, della lov nr. 492 om håndhævelse af udbudsreglerne med senere ændringer (legge n. 492 relativa all’attuazione delle norme sull’aggiudicazione degli appalti pubblici, come modificata), del 12 maggio 2010 (in prosieguo: la «legge n. 492»), da un presidente e da una serie di vicepresidenti, che formano la presidenza, nonché da una serie di membri esperti. Conformemente all’articolo 9, paragrafo 2, secondo comma, della legge n. 492, la presidenza è assunta da giudici di tribunali distrettuali e di corti regionali d’appello.
29      La composizione del Klagenævnet for Udbud (Commissione di ricorso in materia di appalti pubblici) è paritetica. Nella sua composizione ordinaria, esso è costituito da un membro della presidenza, che agisce in qualità di presidente, e da un membro esperto. Inoltre, a norma dell’articolo 10, paragrafo 5, della legge n. 492, le sue decisioni sono adottate a maggioranza semplice e il voto del presidente prevale in caso di parità. Di conseguenza, i membri di tale organo provenienti dalla magistratura danese dispongono, in ogni caso, della maggioranza dei voti e, pertanto, di un peso preponderante in tale organo in sede decisionale.
30      I membri dell’organo remittente aventi lo status di magistrati dell’ordine giudiziario beneficiano, a tale titolo, della tutela specifica contro la revoca prevista dall’articolo 64 della Costituzione danese, tutela che si estende anche all’esercizio delle funzioni di membro della presidenza dell’organo remittente.
31      Stante la preponderanza del voto dei membri dell’organo remittente, i quali, nella loro qualità di magistrati, beneficiano di tale specifica tutela, la circostanza che i membri esperti del suddetto organo non godano della stessa tutela non può in nessun caso indurre a rimettere in discussione l’indipendenza dell’organo in parola.
32      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre confermare che il Klagenævnet for Udbud (Commissione di ricorso in materia di appalti pubblici) soddisfa altresì il criterio dell’indipendenza e deve essere quindi qualificato come «giurisdizione», ai sensi dell’articolo 267 TFUE.
33      Di conseguenza, la Corte è competente a rispondere alla questione posta.
 Sulla questione pregiudiziale
34      Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se il principio di parità di trattamento degli operatori economici, di cui all’articolo 10 della direttiva 2004/17, in combinato disposto con l’articolo 51 della medesima, debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un ente aggiudicatore autorizzi un operatore economico, che faceva parte di un raggruppamento di due imprese preselezionate e che avevano presentato la prima offerta in una procedura negoziata di aggiudicazione di un appalto pubblico, a continuare a partecipare in nome proprio a tale procedura in seguito allo scioglimento del raggruppamento di cui trattasi.
35      Al fine di rispondere a tale questione, va rilevato che la direttiva 2004/17 non contiene norme riguardanti specificamente le modifiche sopraggiunte in ordine alla composizione di un raggruppamento di operatori economici preselezionato quale offerente per un appalto pubblico, sicché la disciplina di una siffatta situazione rientra nella competenza degli Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 23 gennaio 2003, Makedoniko Metro e Michaniki, C‑57/01, EU:C:2003:47, punto 61).
36      Né la normativa danese né il bando di gara di cui trattasi nel procedimento principale contengono norme specifiche a tal riguardo. Ciò posto, la possibilità per l’ente aggiudicatore di autorizzare una modifica del genere deve essere esaminata alla luce dei principi generali del diritto dell’Unione, segnatamente del principio di parità di trattamento e dell’obbligo di trasparenza che ne deriva, nonché degli obiettivi di tale diritto in materia di appalti pubblici.
37      A tal riguardo, va ricordato che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza significano, in particolare, che gli offerenti devono trovarsi su un piano di parità sia al momento in cui preparano le loro offerte sia al momento in cui queste sono valutate dall’amministrazione aggiudicatrice e costituiscono la base delle norme dell’Unione relative ai procedimenti di aggiudicazione degli appalti pubblici (v., in tal senso, sentenza del 16 dicembre 2008, Michaniki, C‑213/07, EU:C:2008:731, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).
38      Il principio di parità di trattamento tra gli offerenti, che ha lo scopo di favorire lo sviluppo di una concorrenza sana ed effettiva tra le imprese che partecipano ad un appalto pubblico, impone che tutti gli offerenti dispongano delle stesse opportunità nella formulazione dei termini delle loro offerte e implica quindi che queste siano soggette alle medesime condizioni per tutti i concorrenti (sentenze del 29 aprile 2004, Commissione/CAS Succhi di Frutta, C‑496/99 P, EU:C:2004:236, punto 110, e del 12 marzo 2015, eVigilo, C‑538/13, EU:C:2015:166, punto 33).
39      Un’applicazione restrittiva del principio di parità di trattamento tra offerenti, quale esposto all’articolo 10 della direttiva 2004/17, in combinato disposto con l’articolo 51 della medesima, condurrebbe alla conclusione che solo gli operatori economici così come sono stati preselezionati possono presentare offerte e diventare aggiudicatari.
40      Tale approccio trova fondamento nell’articolo 51, paragrafo 3, della direttiva 2004/17, secondo cui le amministrazioni aggiudicatrici «verificano la conformità delle offerte presentate dagli offerenti così selezionati», il che presuppone, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 63 delle sue conclusioni, un’identità giuridica e sostanziale tra gli operatori economici preselezionati e quelli che presentano le offerte.
41      Tuttavia, il requisito dell’identità giuridica e sostanziale menzionato al punto precedente della presente sentenza può essere attenuato al fine di garantire, in una procedura negoziata, un’adeguata concorrenza, come richiesto dall’articolo 54, paragrafo 3, della direttiva 2004/17.
42      Come emerge dal punto 10 della presente sentenza, nel procedimento principale l’ente aggiudicatore ha ritenuto che il numero di candidati non dovesse essere inferiore a quattro per garantire una siffatta concorrenza.
43      È comunque anche necessario che il fatto che l’operatore economico continui a partecipare alla procedura negoziata in nome proprio, in seguito allo scioglimento del raggruppamento di cui faceva parte e che era stato preselezionato dall’ente aggiudicatore, non leda il principio della parità di trattamento di tutti gli offerenti.
44      A tal riguardo, un ente aggiudicatore non viola tale principio se autorizza uno dei due operatori economici che facevano parte di un raggruppamento di imprese invitato, in quanto tale, da tale ente a presentare offerte, a subentrare a tale raggruppamento in seguito allo scioglimento del medesimo e a partecipare, in nome proprio, alla procedura negoziata di aggiudicazione di un appalto pubblico, purché sia dimostrato, da un lato, che tale operatore economico soddisfa, da solo, i requisiti definiti dall’ente di cui trattasi e, dall’altro, che la continuazione della sua partecipazione alla suddetta procedura non comporta un deterioramento della situazione degli altri offerenti sotto il profilo della concorrenza.
45      Nel procedimento principale, occorre anzitutto rilevare che dalla decisione di rinvio emerge che la Per Aarsleff sarebbe stata preselezionata se si fosse candidata da sola (v. punto 18 della presente sentenza).
46      Ciò premesso, tenuto conto degli elementi contenuti nel fascicolo, secondo cui, da un lato, il contratto di costituzione del raggruppamento Aarsleff e Pihl è stato concluso lo stesso giorno in cui è stata pronunciata la sentenza dichiarativa del fallimento della E. Pihl og Søn, e, dall’altro, la prima offerta di tale raggruppamento è stata presentata il giorno dopo senza la sottoscrizione del curatore fallimentare della E. Pihl og Søn, spetta quindi al giudice del rinvio verificare se la presentazione di tale prima offerta non fosse viziata da un’irregolarità tale da impedire alla Per Aarsleff di continuare a partecipare, in nome proprio, alla procedura negoziata di cui trattasi.
47      Infine, per quanto riguarda la circostanza secondo cui, dopo lo scioglimento del raggruppamento Aarsleff e Pihl, la Per Aarsleff ha riassunto 50 dipendenti della E. Pihl og Søn, tra cui talune figure chiave per la realizzazione del progetto di costruzione di cui trattasi, spetta al giudice del rinvio verificare se la Per Aarsleff abbia in tal modo beneficiato di un vantaggio in termini di concorrenza a scapito degli altri offerenti.
48      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione posta dichiarando che il principio di parità di trattamento degli operatori economici, di cui all’articolo 10 della direttiva 2004/17, in combinato disposto con l’articolo 51 della medesima, deve essere interpretato nel senso che un ente aggiudicatore non viola tale principio se autorizza uno dei due operatori economici che facevano parte di un raggruppamento di imprese invitato, in quanto tale, da siffatto ente a presentare un’offerta, a subentrare a tale raggruppamento in seguito allo scioglimento del medesimo e a partecipare, in nome proprio, a una procedura negoziata di aggiudicazione di un appalto pubblico, purché sia dimostrato, da un lato, che tale operatore economico soddisfa da solo i requisiti definiti dall’ente di cui trattasi e, dall’altro, che la continuazione della sua partecipazione a tale procedura non comporta un deterioramento della situazione degli altri offerenti sotto il profilo della concorrenza.
 Sulle spese
49      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
Il principio di parità di trattamento degli operatori economici, di cui all’articolo 10 della direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, in combinato disposto con l’articolo 51 della medesima, deve essere interpretato nel senso che un ente aggiudicatore non viola tale principio se autorizza uno dei due operatori economici che facevano parte di un raggruppamento di imprese invitato, in quanto tale, da siffatto ente a presentare un’offerta, a subentrare a tale raggruppamento in seguito allo scioglimento del medesimo e a partecipare, in nome proprio, a una procedura negoziata di aggiudicazione di un appalto pubblico, purché sia dimostrato, da un lato, che tale operatore economico soddisfa da solo i requisiti definiti dall’ente di cui trattasi e, dall’altro, che la continuazione della sua partecipazione a tale procedura non comporta un deterioramento della situazione degli altri offerenti sotto il profilo della concorrenza.
Firme


venerdì 27 maggio 2016

PLENARIE & APPALTI: ancora sull'applicabilità dell'art. 31 del d.l. n. 69/2013 alle procedura di gara ai sensi del D.Lgs. n. 163/2006 (Ad. Plen., sentenza 25 maggio 2016, n. 10).

PLENARIE & APPALTI: 
ancora sull'applicabilità 
dell'art. 31 del d.l. n. 69/2013 
alle procedura di gara 
ai sensi del D.Lgs. n. 163/2006 
(Ad. Plen., sentenza 25 maggio 2016, n. 10)



Principio di diritto

1. - In conformità al principio di diritto espresso nelle sentenze di questa Adunanza Plenaria nn. 5 e 6 del 29 febbraio 2016, al quesito posto deve rispondersi nel senso di ritenere l’ambito di applicazione dell’art. 31 d.l. n. 69 del 2013 limitato ai rapporti fra ente previdenziale ed operatore privato richiedente il rilascio del d.u.r.c.. Di conseguenza, va escluso che detta disposizione abbia determinato una implicita modifica all’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006.
2. - Il quesito può esser, quindi, rinviando al principio di diritto espresso da questa Adunanza Plenaria nelle sentenze nn. 5 e 6 del 2016. In quella sede, l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato si è espressa nel senso di ritenere che “Anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 31, comma 8, del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, non sono consentite regolarizzazioni postume della posizione previdenziale, dovendo l’impresa essere in regola con l'assolvimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell'offerta e conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, restando dunque irrilevante, un eventuale adempimento tardivo dell'obbligazione contributiva. L’istituto dell’invito alla regolarizzazione (il c.d. preavviso di DURC negativo), già previsto dall’art. 7, comma 3, del decreto ministeriale 24 ottobre 2007 e ora recepito a livello legislativo dall’art. 31, comma 8, del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, può operare solo nei rapporti tra impresa ed Ente previdenziale, ossia con riferimento al DURC chiesto dall’impresa e non anche al DURC richiesto dalla stazione appaltante per la verifica della veridicità dell’autodichiarazione resa ai sensi dell’art. 38, comma 1, lettera i) ai fini della partecipazione alla gara d’appalto”.
3. - In tal modo è stato chiarito che l’art. 31 d.l. n. 69 del 2013 non ha modificato la disciplina dettata dall’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006: la regola del preavviso di d.u.r.c. negativo, dunque, non trova applicazione nel caso di certificazione richiesta dalla stazione appaltante, ai fini della verifica delle dichiarazioni rese dell’impresa partecipante. Il meccanismo, di cui al citato art. 31 comma 8, si applica solo nei rapporti fra ente previdenziale ed operatore economico richiedente, senza venire in rilievo nel caso in cui sia la stazione appaltante a richiedere il d.u.r.c. ai fini della verifica circa la regolarità dell’autodichiarazione.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 20 di A.P. del 2015, proposto da:
Società Servizi Socioculturali Cooperativa Sociale Onlus, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Andrea Manzi, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, Via Federico Confalonieri, 5; 
contro
Società Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione a r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv. Girolamo Rubino, Fabrizio Paoletti, con domicilio eletto presso Fabrizio Paoletti in Roma, viale M. Pilsudski Nr.118; 
nei confronti di
Provincia di Verona, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dagli avv. Giancarlo Biancardi, Stefano Gattamelata, Isabella Sorio, con domicilio eletto presso Stefano Gattamelata in Roma, Via di Monte Fiore 22;
Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del Presidente p.t., rappresentato e difeso per legge dagli avv. Antonino Sgroi, Lelio Maritato, Carla D'Aloisio, Emanuele De Rose, Giuseppe Matano, Ester Sciplino, domiciliata in Roma, Via della Frezza, 17; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE I n. 00218/2015, resa tra le parti, concernente affidamento servizio di integrazione socio-didattica a favore di allievi con disabilità sensoriali, anni scolastici 2014-2015 e 2015-2016.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Società Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione a r.l., della Provincia di Verona, che ha proposto appello incidentale e dell’ Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 marzo 2016 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati Reggio D'Aci in dichiarata delega di Manzi, Lucia Alfieri per delega di Rubino, e Gattamelata.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
La Provincia di Verona indiceva, in data 9 aprile 2014, una gara per l’affidamento del servizio di integrazione didattica a favore degli allievi con disabilità sensoriali per gli anni scolastici 2014/2015 e 2015/2016, da aggiudicarsi con l’offerta economicamente più vantaggiosa. A questa procedura partecipavano la Società Servizi Socio Culturali Cooperativa Sociale Onlus ed il R.T.I. composto dalla Società Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione a r.l., in qualità di mandataria, e dalla Società Cooperativa Sociale Elfo Onlus.
All’esito dell’esame delle offerte e della attribuzione dei relativi punteggi, in data 26 maggio 2014, veniva disposta l’aggiudicazione provvisoria in favore del R.T.I.. Successivamente, la stazione appaltante provvedeva al controllo del possesso dei requisiti di moralità di cui all’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006: nello specifico, la stazione appaltante acquisiva il d.u.r.c. I.N.P.S. - I.N.A.I.L. di Palermo - prot. n. 30364143 del 16 luglio 2014 - da cui risultavano alcune irregolarità contributive ascrivibili alla Società Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione a r.l..
Tale ultima circostanza giustificava la comminazione dell’esclusione dalla procedura per il R.T.I.: con la determinazione n. 2903 del 17 luglio 2014, oltre all’estromissione dalla gara, veniva disposta l’escussione della cauzione prestata dal R.T.I., nonché la segnalazione alla competente Autorità di settore. Con il medesimo provvedimento veniva, altresì, aggiudicato provvisoriamente il servizio, oggetto della procedura di gara, alla Società Servizi Socio Culturali Cooperativa Sociale Onlus, seconda in graduatoria.
Con successiva determinazione n. 3009 del 28 luglio 2014 il servizio veniva aggiudicato definitivamente alla Società Servizi Socio Culturali Cooperativa Sociale Onlus, alla quale era imposta una immediata esecuzione delle prestazioni scaturenti dal contratto, stante l’imminenza dell’inizio dell’anno scolastico.
Con ricorso r.g. n. 1241 del 2014, la Società Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione a r.l. adiva il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, per un verso, lamentando l’illegittimità dei provvedimenti con i quali era stata disposta l’esclusione dalla procedura del R.T.I. ed il contestuale affidamento del servizio alla Società Servizi Socio Culturali Cooperativa Sociale Onlus e, per altro verso, domandando la declaratoria di inefficacia del contratto nel frattempo stipulato ed il subentro nel medesimo. I motivi di censura afferivano, in primo luogo, alla sussistenza di un credito nei confronti di una pubblica Amministrazione di ammontare superiore all’esposizione debitoria nei confronti dell’ente previdenziale: l’applicazione dell’art. 13-bis d.l. n. 52 del 2012 (convertito in l. n. 94 del 2012) avrebbe consentito al R.T.I. di operare una compensazione idonea a regolarizzare la propria posizione contributiva nei confronti dell’ente previdenziale. In secondo luogo, il d.u.r.c. avrebbe dovuto considerarsi illegittimo in virtù della mancata applicazione dell’art. 7 comma 3 del decreto del Ministero del Lavoro del 24 ottobre 2007 e dell’art. 31 comma 8 del d.l. n. 69 del 2013 (convertito in l. n. 98 del 2013): le disposizioni citate avrebbero imposto, prima di considerare definitivamente accertata l’irregolarità contributiva, un previo invito alla sanatoria del debito gravante sulla Società Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione a r.l..
Il Tribunale territoriale, con la sentenza n. 218 del 23 febbraio 2015, dopo aver respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall’I.N.P.S. ed affermato, dunque, la sussistenza della giurisdizione amministrativa nella fattispecie de qua, accoglieva nel merito il ricorso e, per l’effetto, annullava gli atti impugnati, dichiarando l’inefficacia del contratto medio tempore stipulato, e disponeva il relativo subentro a favore della ricorrente: a sostegno della decisione citata, il Tar richiamava l’omessa applicazione dell’art. 31 comma 8 d.l. n. 69 del 2013 (convertito in l. n. 98 del 2013), che non avrebbe consentito di considerare definitivamente accertata la irregolarità contributiva ed, in ultima analisi, invocando il principio di massima partecipazione alle procedure di evidenza pubblica.
La Società Servizi Socio culturali Cooperativa Sociale Onlus impugnava, con atto di appello assistito da tre articolati motivi, la sentenza del Tribunale amministrativo regionale. In via preliminare, l’appellante sollevava il motivo, già fatto valere in promo grado in via di eccezione e disatteso dal T.A.R., relativo al difetto di giurisdizione del giudice amministrativo con riferimento alla legittimità e definitività del d.u.r.c.: stante la natura certificativa o di attestazione, avente carattere meramente dichiarativo dei dati in possesso dell’ente previdenziale, il d.u.r.c. rientrerebbe nell’alveo delle dichiarazioni di scienza assistite da pubblica fede ai sensi dell’art. 2700 c.c. e facenti fede fino a querela di falso. Da ciò dovrebbe desumersi la giurisdizione ordinaria per ogni ipotesi di controversia concernente le inesattezze e gli errori contenuti nel d.u.r.c..
Con il secondo, articolato, motivo di gravame, la società appellante sostiene la erroneità del richiamo all’art. 31 comma 8 del d.l. n.69 del 2013 effettuato dal giudice di primo grado: la norma, nel caso di specie, non avrebbe potuto invocarsi per una pluralità di motivi. Sotto un primo profilo, l’introduzione della citata disposizione non potrebbe condurre ad una modificazione dell’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, stante la necessità, a tal fine, di una espressa previsione legislativa, come previsto dall’art. 255 del medesimo d.lgs. n. 163 del 2006. In secondo luogo, l’applicazione dell’art. 31 comma 8 d.l. n. 69 del 2013, ipotizzato dal giudice di prime cure, avrebbe consentito una inammissibile regolarizzazione postuma della posizione contributiva della Società Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione a r.l.: in effetti, il campo di applicazione della disposizione citata dovrebbe limitarsi all’ipotesi in cui l’ente previdenziale debba adottare un d.u.r.c. attestante l’attuale situazione contributiva di un operatore, non potendosi, al contrario, ipotizzare un invito a regolarizzare una situazione contributiva pregressa. Sotto un ulteriore profilo, l’appellante ritiene erroneo il richiamo al principio di massima partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici: se fosse avallata tale interpretazione, si consentirebbe la partecipazione alle gare anche ad operatori che, pur non essendo in regola con il versamento dei contributi previdenziali, attestino falsamente la regolarità della propria posizione nei confronti dell’ente previdenziale. Questa possibilità, lungi dal conformarsi allo spirito del principio di massima partecipazione alle gare, lederebbe le regole della par condicio fra i concorrenti, partecipanti ad una procedura di evidenza pubblica. Infine, l’applicazione del citato art. 1 comma 8, lederebbe, sotto un ulteriore profilo, la parità di trattamento nei confronti degli operatori economici stabiliti in Stati diversi dall’Italia: questi ultimi, ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti, sono obbligati a produrre la documentazione attestante la regolarità della propria posizione contributiva alla data di scadenza per la presentazione delle offerte, in virtù del combinato disposto degli artt. 38 comma 2 e 47 comma 2 d.lgs. n. 163 del 2006.
Con il terzo motivo di appello, la Società Servizi Socio culturali Cooperativa Sociale Onlus riteneva erronea la sentenza del Tar per violazione dell’art. 122 c.p.a.: all’uopo, parte appellante censurava la insufficiente motivazione riguardo alla scelta di ordinare il subentro nel contratto in favore del R.T.I.; inoltre, lamentava l’assenza di una espressa domanda di parte in tal senso, visto che la Società Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione a r.l. aveva proposto il ricorso introduttivo del giudizio in proprio e non in qualità di mandataria del R.T.I.; sotto un ulteriore profilo, veniva evidenziato che lo stato di esecuzione delle prestazioni derivanti dal contratto, nonché le peculiari caratteristiche strutturali delle medesime, non avrebbero giustificato un subentro, se non con un consistente pregiudizio per gli utenti del servizio.
Si costituiva in giudizio la Provincia di Verona, proponendo appello incidentale avverso la sentenza di primo grado, con il quale sosteneva l’erroneità nell’applicazione dell’art. 31 comma 8 d.l. n. 69 del 2013: al riguardo venivano proposti motivi di impugnazione in parte coincidenti con quelli già sollevati dall’appellante principale. In particolare, secondo l’appellante incidentale, l’inapplicabilità alla fattispecie de qua, del citato art. 31 comma 8, deriverebbe da argomentazioni, anzitutto, di carattere letterale: in effetti, la disposizione invocata non farebbe espresso riferimento ai contratti pubblici, a differenza dei commi da 2 a 7 del medesimo articolo che, invece, richiamano espressamente le procedure finalizzate all’affidamento di commesse pubbliche; inoltre, le norme sull’evidenza pubblica, individuando la loro fonte nell’ordinamento eurounitario, hanno un ambito di applicazione molto più ampio dell’art. 31 comma 8, il quale, invece, si rivolgerebbe soltanto all’I.N.P.S., all’I.N.A.I.L. ed alle Casse Edili. Da ciò potrebbe ricavarsi, altresì, una diversità di rationes delle norme che compongono il d.l. n. 69 del 2013: se, nel complesso, le disposizioni ivi contenute sono finalizzate alla promozione dello sviluppo economico del mercato interno all’ordinamento, il comma 8 dell’art. 31 introduce un regime di favore per chi violi gli obblighi contributivi. Da un punto di vista logico, inoltre, l’applicazione dell’art. 31 comma 8, nei termini indicati dal giudice di primo grado, condurrebbe ad un insanabile contrasto con il regime sanzionatorio posto a garanzia della veridicità delle dichiarazioni espresse in sede di presentazione delle offerte: l’inapplicabilità dell’art. 31 comma 8, in altri termini, deriverebbe dalla necessità di verificare il possesso dei requisiti di ammissione alla procedura, alla data di scadenza dei termini di presentazione delle offerte.
L’appellante incidentale censurava la sentenza del Tar anche perché, avallando la scelta del giudice di prime cure, si concretizzerebbe una coincidenza fra la definitività dell’accertamento sulla gravità delle violazioni contributive ed il termine della procedura di regolarizzazione espressa nell’art. 31 comma 8 d.l. n. 69 del 2013; invece, secondo la Provincia di Verona, il d.u.r.c. in quanto insindacabile dalle stazioni appaltanti, potrebbe essere contestato dall’interessato soltanto con i mezzi e le forme previste dall’ordinamento e correlate alla sua natura di dichiarazione di scienza, avente carattere meramente dichiarativo dei dati in possesso dell’ente e facente prova fino a querela di falso.
Infine, secondo l’appellante incidentale, l’art. 31 comma 8 non potrebbe condurre ad una modifica dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006, stante la presenza della clausola di modifica espressa di cui all’art. 255 d.lgs. n. 163 del 2006.
Si costituiva in giudizio l’appellata, Società Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione a r.l., che, con memoria eccepiva l’infondatezza dell’appello principale, chiedendone il rigetto.
Si costituiva, altresì, in giudizio l’I.N.P.S. sostenendo le ragioni poste a fondamento della domanda cautelare proposta dall’appellante principale.
La Quinta Sezione di questo Consiglio di Stato, con ordinanza n. 1379 dell’1 aprile 2015, in accoglimento della domanda cautelare proposta dall’appellante principale, sospendeva l’esecutività della sentenza di primo grado, ritenendo prevalente, fra gli opposti interessi, quello alla continuità del servizio svolto.
Dopo l’udienza di merito, con ordinanza n. 4799 del 21 ottobre 2015, la Quinta Sezione ha ritenuto opportuno sollevare due questioni, consequenziali fra di loro, rimettendole all’esame di questa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, a causa dei contrasti interpretativi insorti e della notevole rilevanza pratica che rivestono.
Con il primo dei due quesiti la Sezione remittente chiede “se rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo, adito per la definizione di una controversia avente ad oggetto l’aggiudicazione di un appalto pubblico, ovvero al giudice ordinario, accertare la regolarità del documento unico di regolarità contributiva, quale atto interno della fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal partecipante ad una gara”.
Sul punto, si registra un contrasto giurisprudenziale fra chi afferma la sussistenza della giurisdizione amministrativa e chi, invece, propende, per la giurisdizione ordinaria.
A favore della tesi secondo cui l’accertamento della regolarità del d.u.r.c., in sede di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal partecipante ad una gara, rientri nell’ambito della giurisdizione amministrativa, si è espressa parte della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (sentenze, Sez. V, 16 febbraio 2015 n. 781, id. 14 ottobre 2014 n. 5064; id. 11 maggio 2009 n. 2874; Sez. VI, 4 maggio 2015 n. 2219). Secondo questo filone giurisprudenziale, la verifica sulla regolarità del d.u.r.c. non verrebbe in rilievo autonomamente, ma si inserirebbe nella fase procedimentale amministrativa di aggiudicazione di un appalto: stante la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, ai sensi dell’art. 133 c.p.a., dovrebbe, dunque, affermarsi la giurisdizione amministrativa rispetto alla verifica della regolarità del d.u.r.c.. Tale verifica verrebbe effettuata ai sensi dell’art. 8 c.p.a.: in altri termini, l’accertamento del giudice amministrativo verrebbe svolto in via incidentale, senza assumere l’efficacia di giudicato nel rapporto previdenziale sotteso al rilascio del d.u.r.c. (cfr. Corte di Cassazione, Sez. Un. ordinanza n. 3169 del 9 febbraio 2011). La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25818 dell’11 dicembre 2007, ha affermato che non vi sarebbe alcun travalicamento dei limiti della giurisdizione ordinaria, in quanto l’oggetto dell’indagine del giudice amministrativo si incentrerebbe sulla mera regolarità della certificazione prodotta, attestante la regolarità contributiva dell’impresa partecipante alla gara di appalto, che, in ultima analisi, si sostanzia in un requisito necessario ai fini della ammissione alla gara.
Di diverso avviso, invece, è altra parte della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (sentenza Sez. IV 12 marzo 2015 n. 1321, che richiama la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 8 del 4 maggio 2012), la quale afferma la sussistenza della giurisdizione ordinaria in virtù, anzitutto, della natura del d.u.r.c. quale atto rientrante fra le dichiarazioni di scienza, assistite da pubblica fede ai sensi dell’art. 2700 c.c. e facenti prova fino a querela di falso. Inoltre, la giurisdizione ordinaria si ricaverebbe dal principio di diritto, espresso dalla citata sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 8 del 4 maggio 2012, secondo cui “la verifica della regolarità contributiva delle imprese partecipanti a procedure di gara per l’aggiudicazione di appalti con la pubblica amministrazione è demandata agli istituti di previdenza, le cui certificazioni (d.u.r.c.) si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono sindacarne il contenuto”. Da questo principio, dunque, dovrebbe discendere che gli eventuali errori contenuti nel d.u.r.c. incidono su situazioni giuridiche di diritto soggettivo e, data l’attinenza al rapporto contributivo, possono essere corretti dal solo giudice ordinario con gli appositi strumenti messi a disposizione dall’ordinamento (querela di falso o giudizio in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria). In più, l’accertamento incidenter tantum ipotizzato da chi propende per la giurisdizione amministrativa, non si concilierebbe con l’accertamento fidefacente dei fatti e dei diritti sottesi al d.u.r.c.: in effetti, nell’accertamento circa la regolarità di detta certificazione, verrebbe in rilievo un rapporto obbligatorio, non un rapporto pubblicistico (cfr. Consiglio di Stato, sentenze, Sez. V, 26 marzo 2014, n. 1468; id. 3 febbraio 2011, n. 789; Sez. IV 12 marzo 2009, n. 1458).
La Sezione rimettente ritiene, inoltre, di dover sottoporre all’esame di questa Adunanza Plenaria un ulteriore quesito, qualora venga affermata la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo nella materia de qua. In particolare, con il secondo quesito sottoposto ai sensi dell’art. 99 comma 1 c.p.a., la Sezione rimettente chiede “se la norma di cui all'art. 31, comma 8, del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni, nella l. 9 agosto 2013, n. 98, sia limitata al rapporto tra impresa ed Ente preposto al rilascio del d.u.r.c. senza che lo svolgimento di tale fase riguardi la stazione appaltante (dovendo essa applicare comunque l’art. 38 del d. lgs. n. 163 del 2006, che richiede il possesso dei requisiti al momento della partecipazione alla gara), ovvero se la disposizione abbia sostanzialmente modificato, per abrogazione tacita derivante da incompatibilità, detto art. 38 e si possa ormai ritenere che la definitività della irregolarità sussista solo al momento di scadenza del termine di quindici giorni da assegnare da parte dell’Ente previdenziale per la regolarizzazione della posizione contributiva”.
Anche in merito alla presente questione vengono in rilievo due orientamenti giurisprudenziali opposti.
Secondo un primo filone giurisprudenziale, avallato dal Tar Veneto nella fattispecie di cui è causa, l’art. 31 comma 8 d.l. n. 69 del 2013 farebbe emergere la volontà del legislatore di favorire la massima partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici: per tale ragione la stazione appaltante non dovrebbe limitarsi a prendere atto della irregolarità emersa dal d.u.r.c., ma dovrebbe procedere a valutarne autonomamente il carattere definitivo (cfr. Consiglio di Stato, sentenza, Sez. V, 14 ottobre 2014 n. 5064). A tali conclusioni si dovrebbe giungere in virtù di un’implicita modifica all’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006, determinata proprio dall’entrata in vigore dell’art. 31 comma 8 d.l. n. 69 del 2013: in altri termini, l’assenza del requisito di regolarità contributiva assumerebbe carattere definitivo soltanto al termine dei quindici giorni previsti dalla procedura di regolarizzazione della posizione contributiva (cfr. Consiglio di Stato, sentenza, Sez. V, 16 febbraio 2015, n. 781). Questo indirizzo interpretativo condurrebbe, quindi, a ritenere possibile la presentazione di una domanda di partecipazione ad una gara, in pendenza del termine assegnato dall’ente previdenziale per la regolarizzazione della posizione contributiva, qualora sia stata al contempo estinta la situazione di irregolarità: in tal caso, infatti, la situazione di irregolarità non potrebbe ritenersi “definitivamente accertata” (v. Consiglio di Stato, Sez. III, 1 aprile 2015, n. 1733).
Un secondo e contrapposto indirizzo giurisprudenziale afferma, invece, che non potrebbe essere rimessa alla stazione appaltante la valutazione circa la gravità né la definitività dell’irregolarità contributiva ascrivibile all’impresa concorrente: l’art. 31 comma 8 d.l. n. 69 del 2013, pur prevedendo un meccanismo di “flessibilizzazione” delle situazioni di irregolarità contributiva, non avrebbe modificato le modalità di verifica, da parte delle stazioni appaltanti, dei requisiti partecipativi (cfr. Consiglio di Stato, sentenza, Sez. VI, 4 maggio 2015, n. 2219). Di conseguenza, la definitività della situazione di irregolarità contributiva dovrebbe coincidere sempre con il termine previsto per la presentazione delle offerte per partecipare alla procedura, concretizzandosi, in caso contrario, una lesione del principio della par condicio fra concorrenti e dell’interesse pubblico alla scelta di un contraente affidabile.
In vista dell’udienza di discussione le parti hanno prodotto memorie illustrative e riepilogative delle rispettive tesi, domande, eccezioni e conclusioni.
All’udienza pubblica del 23 marzo 2016, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO
L’esame dei quesiti sottoposti al vaglio di questa Adunanza Plenaria deve necessariamente prendere le mosse dalla pregiudiziale questione di giurisdizione sollevata dalla Sezione rimettente. Occorre, al riguardo, delimitare l’estensione della giurisdizione del giudice amministrativo in relazione agli accertamenti inerenti al documento unico di regolarità contributiva.
Le problematiche sorgono in virtù dell’apparente inconciliabilità fra la natura del d.u.r.c. ed il criterio di riparto della giurisdizione fra giudice amministrativo ed ordinario, che si basa sul criterio della causa petendi ed, in definitiva, sulla situazione giuridica fatta valere. Le criticità si paleserebbero nel corso dei giudizi aventi ad oggetto procedure di affidamento di contratti pubblici ed, in particolare, con riguardo all’accertamento della regolarità del d.u.r.c..
Come è noto, ai sensi dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006, “Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: [...] i) che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti”.
Nel caso in cui sorgano delle controversie inerenti ad un riscontro negativo in tema di regolarità contributiva, come risultante dal d.u.r.c., si pone la problematica del riparto di giurisdizione in quanto, per un verso, la certificazione prodotta dall’ente previdenziale assume il carattere di dichiarazioni di scienza, assistita da pubblica fede ai sensi dell’art. 2700 c.c. e facente prova fino a querela di falso; per altro verso, tale accertamento si inserisce nell’ambito di una procedura di evidenza pubblica, rispetto alla quale sussiste, ai sensi dell’art. 133 c.p.a., la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.
Ad avviso di una parte della giurisprudenza, le contestazioni in merito agli errori contenuti nel d.u.r.c. non potrebbero essere esaminate dal giudice amministrativo, sia perché incidono su situazioni di diritto soggettivo, sia perché disvelano un sottostante rapporto obbligatorio, di tipo non pubblicistico.
Il Collegio ritiene, tuttavia, di dover risolvere la questione nel senso di devolvere alla cognizione del giudice amministrativo, adito per la definizione di una controversia avente ad oggetto l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’accertamento circa la regolarità del d.u.r.c., quale atto interno della fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal partecipante ad una gara.
Nelle controversie in materia di contratti pubblici, in effetti, il d.u.r.c. viene in rilievo non in via principale, ma in qualità di presupposto di legittimità di un provvedimento amministrativo adottato dalla stazione appaltante.
Al riguardo, il Collegio evidenzia che non è revocabile in dubbio la natura di dichiarazione di scienza attribuibile al d.u.r.c., che si colloca fra gli atti di certificazione o di attestazione facenti prova fino a querela di falso. Questo elemento non risulta, tuttavia, ostativo all’esame, da parte del giudice amministrativo, della regolarità delle risultanze della documentazione prodotta dall’ente previdenziale in un giudizio avente ad oggetto l’affidamento di un contratto pubblico di lavori, servizi o forniture.
A ben vedere, l’operatore privato può impugnare le determinazioni cui è giunta la stazione appaltante, all’esito dell’accertamento sulla regolarità contributiva, sollevando profili di eccesso di potere per erroneità dei presupposti, qualora contesti le determinazioni derivanti dall’esito dell’attività valutativa. Questa conclusione, affermata da una recente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (sentenza, Sez. V, 16 febbraio 2015, n. 781), è giustificata dalla possibilità, per il giudice amministrativo, di compiere un accertamento puramente incidentale, ai sensi dell’art. 8 c.p.a., sulla regolarità del rapporto previdenziale: ciò implica che le statuizioni, adottate sul punto, hanno efficacia esclusivamente in relazione alla controversia concernente gli atti di gara e non esplicano i loro effetti nei rapporti fra l’ente previdenziale e l’operatore coinvolto.
L’ambito della cognizione del Giudice Amministrativo, in effetti, concerne l’attività provvedimentale successiva e consequenziale alla produzione del d.u.r.c. da parte dell’ente previdenziale: l’operatore privato, nel giudizio instaurato dinanzi all’autorità giudiziaria amministrativa, non censura direttamente l’erroneità del contenuto del d.u.r.c., ma le statuizioni successive della stazione appaltante, derivanti dalla supposta erroneità del d.u.r.c..
Per tale ragione ed in un’ottica di effettività della tutela, risulta doverosa la concentrazione della verifica circa la regolarità della documentazione contributiva, ancorché effettuata in via incidentale, in capo ad un’unica autorità giudiziaria: il diritto di difesa verrebbe, in effetti, leso se si costringesse il privato a contestare, dinanzi al giudice ordinario, la regolarità del d.u.r.c. e, successivamente, dopo aver ottenuto l’accertamento dell’errore compiuto dall’ente previdenziale, la illegittimità delle determinazioni della stazione appaltante dinanzi al giudice amministrativo. Un iter processuale di tal genere risulterebbe eccessivamente gravoso per il privato ed incompatibile con la celerità che il legislatore ha imposto per il rito degli appalti nel c.p.a.: l’attesa di una decisione sulla regolarità della posizione previdenziale, non permetterebbe di impugnare entro i termini di cui agli artt. 120 e ss. c.p.a., i provvedimenti adottati dalla stazione appaltante in relazione alla procedura di evidenza pubblica di riferimento.
Ciò non impedisce all’operatore privato di impugnare autonomamente il d.u.r.c. con gli ordinari strumenti predisposti dall’ordinamento: in tal caso, tuttavia, ci si troverebbe al di fuori della cognizione del Giudice Amministrativo, per il dirimente motivo che una tale controversia concernerebbe il rapporto obbligatorio che lega l’operatore privato all’ente previdenziale e non le decisioni della stazione appaltante.
Come è risaputo, con riferimento all’affidamento di lavori, servizi o forniture, il giudice amministrativo è titolare di giurisdizione esclusiva (art. 244, primo comma, d.lgs. 163/2006, già art. 6, primo comma, della l. 2005/2000) e può pertanto compiere, a prescindere dalla consistenza della corrispondente posizione soggettiva, ogni accertamento che gli sia domandato dalla parte per verificare il rispetto dei principi comunitari in materia di concorrenza (tra i quali la regolarità contributiva delle imprese partecipanti).
Sostenere, in tale contesto, che pur dovendo stabilire della legittimità degli appalti pubblici (e quindi della conformità di questi anche alle regole di derivazione comunitaria), il giudice amministrativo, ancorché domandato dalla parte, non possa spingersi ad accertare la sussistenza o meno di un requisito di partecipazione sol perché questo è attestato dal provvedimento di un’amministrazione (come avviene per il d.u.r.c.), significherebbe limitare irragionevolmente l’ambito della tutela accordata dall’ordinamento anche in violazione dei principi comunitari di efficacia e rapidità dei mezzi di ricorso.
Allorché sia a ciò chiamato dalla parte nell’ambito di una procedura pubblica volta all’affidamento di lavori, servizi o forniture, il giudice amministrativo (come del resto potrebbe fare alla stregua dell’art. 8 del c.p.a. - già art. 8 della l. n. 1034/1971 - se nella materia considerata non gli fosse riconosciuta giurisdizione esclusiva) ben può incidentalmente valutare la sussistenza dei requisiti di partecipazione siano essi o meno attestati da atti della p.a.
Conforme risulta, d’altronde, l’orientamento della Corte regolatrice, la quale, proprio riferendosi alla certificazione INPS e ad una procedura concorsuale soggetta alla disciplina comunitaria, ha già avuto modo di stabilire che appartiene alla cognizione del giudice amministrativo “verificare la regolarità di una certificazione costituente specifico requisito per la partecipazione alla gara (Cass. civ., Sez. Un., 11 dicembre 2007, ord. 25818).
Come, dunque, chiarito anche dalla Sezione rimettente, sul punto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la ordinanza n. 25818 dell’11 dicembre 2007 (confermata dalla successiva ordinanza n. 3169 del 9 febbraio 2011), hanno avuto modo di chiarire che la giurisdizione, in controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture, appartiene al giudice amministrativo quando venga in rilievo la certificazione attestante la regolarità contributiva, sulla cui base l’Amministrazione abbia successivamente adottato un provvedimento. Al riguardo, la Suprema Corte ha chiarito che la certificazione sulla regolarità contributiva dell’impresa partecipante ad una gara d’appalto costituisce uno dei requisiti posti dalla normativa in materia di appalti pubblici ai fini dell’ammissione alla gara. Dunque, la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo perché è costui competente a sindacare la decisione della stazione appaltante inerente alla sussistenza o meno di un requisito utile a partecipare ad una procedura di affidamento di un contratto.
Ciò che consente di affermare la giurisdizione amministrativa è, in definitiva, la diversità del tipo di sindacato compiuto dal giudice amministrativo rispetto a quello effettuato dal giudice ordinario sulla documentazione attestante la regolarità contributiva.
In effetti, il combinato disposto degli artt. 442 comma 1 e 444 comma 3 c.p.c. devolve alla giurisdizione ordinaria le controversie in materia di assistenza e previdenza obbligatorie: ciò implica che il giudice ordinario sarà chiamato ad accertare la sussistenza di un diritto del prestatore di lavoro. Diversamente, l’art. 133 c.p.a., attribuisce alla giurisdizione amministrativa le controversie aventi ad oggetto le procedure relative all’affidamento di lavori, servizi e forniture: in quest’ambito, dunque, il giudice deve verificare la regolarità dei requisiti che, ad esempio, un’impresa esclusa dalla relativa procedura ha prodotto in sede di offerta, al fine di dichiarare illegittima detta esclusione.
In altri termini, la certificazione relativa alla regolarità contributiva dinanzi al giudice amministrativo viene in rilievo alla stregua di requisito di partecipazione alla gara e, pertanto, il regime relativo alla valutazione circa la sua regolarità non può essere differente da quello previsto per gli altri requisiti. Ad ulteriore conferma di questo assunto, il Collegio ritiene di poter utilmente richiamare l’esempio delle certificazioni antimafia che la Sezione rimettente ha descritto nell’ordinanza di rimessione. Anche in questa ipotesi, infatti, si è in presenza di un provvedimento che, a seconda dei casi, può costituire l’oggetto principale di una controversia oppure venire in rilievo come requisito propedeutico alla partecipazione ad una procedura di gara, nel qual caso ne viene esaminato il contenuto da parte del giudice amministrativo.
Alla luce delle pregresse considerazioni, il quesito sottoposto a questa Adunanza Plenaria può essere risolto enunciando il seguente principio di diritto:
“Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, adito per la definizione di una controversia avente ad oggetto l’affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, l’accertamento inerente alla regolarità del documento unico di regolarità contributiva, quale atto interno della fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal partecipante ad una gara. Tale accertamento viene effettuato, nei limiti del giudizio relativo all’affidamento del contratto pubblico, in via incidentale, cioè con accertamento privo di efficacia di giudicato nel rapporto previdenziale”.
Risolta la prima questione relativa alla giurisdizione nei termini anzidetti, viene in rilievo, in modo consequenziale, il secondo quesito proposto dalla Sezione rimettente. Esso concerne la corretta interpretazione del requisito della definitività dell’accertamento delle violazioni in materia di contributi previdenziali ed assistenziali, previsto dall’art. 38 comma 1 d.lgs. n. 163 del 2006, come causa di esclusione dalle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture.
In seguito all’entrata in vigore dell’art. 31 comma 8 d.l. n. 69 del 2013 (che riproduce sostanzialmente, la procedura già prevista dall’art. 7 D.M. 24 ottobre 2007) è stata introdotta una procedura di flesibilizzazione (c.d. “preavviso di d.u.r.c. negativo”) che consente all’impresa richiedente il rilascio della certificazione contributiva, di sanare la propria posizione, prima della definitiva certificazione negativa: in virtù di tale procedura, l’ente previdenziale, qualora riscontri delle irregolarità, deve invitare l’operatore richiedente a sanare la propria posizione entro il termine di quindici giorni. Soltanto qualora l’operatore non effettui la regolarizzazione della propria posizione, entro il termine anzidetto, l’ente previdenziale potrà adottare un d.u.r.c. negativo.
L’introduzione, o meglio la “legificazione” del preavviso di d.u.r.c. negativo, ha posto il problema di individuare esattamente il momento a partire dal quale la violazione della legislazione in materia di contributi previdenziali ed assistenziali, possa ritenersi definitiva, ai fini dell’applicazione dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006.
Sul punto, come evidenziato nell’ordinanza di rimessione, è sorto un contrasto giurisprudenziale.
Il Collegio ritiene che il quesito possa essere risolto rinviando al principio di diritto espresso da questa Adunanza Plenaria nelle sentenze nn. 5 e 6 del 29 febbraio 2016. In quella sede, l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato si è espressa nel senso di ritenere che “Anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 31, comma 8, del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, non sono consentite regolarizzazioni postume della posizione previdenziale, dovendo l’impresa essere in regola con l'assolvimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell'offerta e conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, restando dunque irrilevante, un eventuale adempimento tardivo dell'obbligazione contributiva. L’istituto dell’invito alla regolarizzazione (il c.d. preavviso di DURC negativo), già previsto dall’art. 7, comma 3, del decreto ministeriale 24 ottobre 2007 e ora recepito a livello legislativo dall’art. 31, comma 8, del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, può operare solo nei rapporti tra impresa ed Ente previdenziale, ossia con riferimento al DURC chiesto dall’impresa e non anche al DURC richiesto dalla stazione appaltante per la verifica della veridicità dell’autodichiarazione resa ai sensi dell’art. 38, comma 1, lettera i) ai fini della partecipazione alla gara d’appalto”.
In tal modo è stato chiarito che l’art. 31 d.l. n. 69 del 2013 non ha modificato la disciplina dettata dall’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006: la regola del preavviso di d.u.r.c. negativo, dunque, non trova applicazione nel caso di certificazione richiesta dalla stazione appaltante, ai fini della verifica delle dichiarazioni rese dell’impresa partecipante. Il meccanismo, di cui al citato art. 31 comma 8, si applica solo nei rapporti fra ente previdenziale ed operatore economico richiedente, senza venire in rilievo nel caso in cui sia la stazione appaltante a richiedere il d.u.r.c. ai fini della verifica circa la regolarità dell’autodichiarazione.
Questa Adunanza Plenaria ha giustificato le predette conclusioni con una serie di argomentazioni, di carattere letterale, storico e sistematico, che, seppur brevemente, il Collegio ritiene opportuno richiamare.
In primo luogo, l’inapplicabilità alle procedure di evidenza pubblica del meccanismo di cui al comma 8 è desumibile dalla lettura complessiva dell’articolo 31 d.l. n. 69 del 2013. In effetti, i commi dal 2 al 7 di tale norma contengono un preliminare ed espresso riferimento ai contratti di pubblici lavori, servizi o forniture o, comunque, un rinvio al d.lgs. n. 163 del 2006. Diversamente, il comma 8 non contiene un riferimento di tal genere, né sarebbe possibile desumerlo, in maniera implicita, dal testo della disposizione.
Inoltre, la modifica al testo dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 non può essere sostenuta argomentando in merito ad una presunta incompatibilità fra le due disposizioni: in questo senso osta l’art. 255 d.lgs. n. 163 del 2006 a tenore del quale “[o]gni intervento normativo incidente sul codice, o sulle materie dallo stesso disciplinate, va attuato mediante esplicita modifica, integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni in esso contenute”. Il d.l. n. 69 del 2013 contiene, all’art. 31 comma 2, le disposizioni del d.lgs. n. 163 del 2006 che sono state modificate, in conformità alla clausola di abrogazione esplicita di cui all’art. 255: tuttavia, in tale elenco non rientra l’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006.
Ad ulteriore conferma della conclusione cui è giunta, questa Adunanza Plenaria ha evidenziato l’assenza, nei commi da 3 a 7 dell’art. 31, di qualsivoglia riferimento ad una possibile regolarizzazione postuma dell’inadempienza contributiva imputabile all’operatore che abbia partecipato alla gara o che stia eseguendo il contratto: nelle norme richiamate è la stazione appaltante a richiedere all’ente previdenziale il rilascio del d.u.r.c., ai fini della verifica della veridicità della autodichiarazione presentata dall’operatore privato. Diversamente, il comma 8, nel disciplinare la procedura di preavviso di d.u.r.c. negativo, si riferisce alle sole ipotesi in cui sia l’operatore privato a richiedere all’ente previdenziale il rilascio della certificazione.
Sotto il profilo sistematico, questa Adunanza Plenaria afferma il parziale parallelismo strutturale che sussiste fra il meccanismo di cui all’art. 31 comma 8 ed il preavviso di rigetto disciplinato dall’art. 10-bis l. n. 214 del 1990. Al riguardo viene premesso, per un verso, che il preavviso di rigetto - previsto in via generale per i procedimenti iniziati ad istanza di parte - non opera, per espressa scelta legislativa, in relazione ai procedimenti in materia previdenziale. Per altro verso, il meccanismo di cui all’art. 31 comma 8 prevede un procedimento in cui rileva la materia previdenziale ed al contempo strutturato come procedimento ad istanza di parte. Pertanto, l’art. 31 comma 8, costituendo una “deroga alla deroga”, non può applicarsi al di fuori delle ipotesi espressamente descritte dal legislatore e, cioè, quelle in cui l’operatore privato richieda all’ente previdenziale il rilascio del d.u.r.c.. Quando, invece, è la stazione appaltante a richiedere la certificazione all’ente previdenziale, ci si pone al di fuori dell’ambito applicativo della fattispecie ex art. 31 comma 8 d.l. n. 69 del 2013.
Sempre sotto il profilo sistematico, si afferma anche che “l’esclusione del c.d. preavviso di DURC negativo nell’ambito del procedimento d’ufficio per la verifica della veridicità delle dichiarazioni sostitutive rese in sede ai fini della partecipazione alla gara, si pone in linea con alcuni principi fondamentali che governano appunto le procedure di gara” e cioè quello di parità di trattamento e di autoresponsabilità, nonché il principio di continuità nel possesso dei requisiti di partecipazione alla gara.
Risulta evidente, in effetti, che, consentire la partecipazione ad una gara ad operatori che non possiedono, in materia di contributi previdenziali, i requisiti necessari a prendere parte alla procedura comparativa, ma ne autodichiarano il possesso, comporta due conseguenze evidenti: da un lato, l’operatore potrebbe integrare un requisito indispensabile alla partecipazione solo dopo aver preso parte alla gara ed in seguito al suo esito favorevole, a differenza degli altri concorrenti; dall’altro lato, l’autodichiarazione resa in sede di presentazione dell’offerta sarebbe viziata da una intrinseca falsità, di per sé idonea a giustificare l’esclusione dalla procedura. Inoltre, consentire una regolarizzazione postuma dei requisiti di partecipazione alla gara urterebbe con la impossibilità, affermata anche dalla sentenza di questa Adunanza Plenaria n. 8 del 20 luglio 2014, di perdere i requisiti neanche temporaneamente nel corso della procedura.
Infine, da un punto di vista storico - normativo, questa Adunanza Plenaria ha richiamato il D.M. 24 ottobre 2007, il cui art. 7 comma 3 prevedeva un procedimento strutturalmente simile a quello previsto dall’art. 31 comma 8: “[n]ell’interpretazione di questa norma non si è mai dubitato che la regola del previo invito alla regolarizzazione non trovasse applicazione nel caso di richiesta della certificazione preordinata alle verifiche effettuate dalla stazione appaltante ai fini della partecipazione alle gare d’appalto”.
Alla luce delle precedenti considerazioni, il secondo quesito sottoposto dalla Sezione rimettente deve essere risolto, in conformità al principio di diritto espresso nelle sentenze di questa Adunanza Plenaria nn. 5 e 6 del 29 febbraio 2016, nel senso di ritenere l’ambito di applicazione dell’art. 31 d.l. n. 69 del 2013 limitato ai rapporti fra ente previdenziale ed operatore privato richiedente il rilascio del d.u.r.c.. Di conseguenza, va escluso che detta disposizione abbia determinato una implicita modifica all’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006.
L’applicazione dei suesposti principi alla fattispecie oggetto del presente contenzioso determina: - che si debba respingere il primo motivo dell’appello principale con il quale era stato riproposta, in sede di impugnazione, l’eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo in relazione all’accertamento sulla regolarità del d.u.r.c., già disattesa dal giudice di prime cure;
- che si debba, invece, accogliere il secondo motivo dell’appello principale, con il quale la Società Servizi Socio Culturali Cooperativa Sociale Onlus sostiene l’erroneità della sentenza del Tar Veneto per aver ritenuto illegittima l’esclusione comminata ai danni dell’appellata, argomentando tale illegittimità, sull’asserita mancata applicazione dell’art. 31 comma 8 d.l. n. 69 del 2013.
Il motivo è fondato e va accolto.
A causa dell’impossibilità di applicare il preavviso di d.u.r.c. negativo al caso concreto, il Collegio ritiene, in definitiva, legittimo l’operato dell’Amministrazione la quale ha validamente escluso dalla procedura la società appellata, in conseguenza delle irregolarità riscontrate all’esito del controllo in merito alla regolarità contributiva.
La fondatezza del secondo motivo dell’appello principale, relativo alla impossibilità di applicazione dell’art. 31 comma 8 d.l. n. 69 del 2013 nei rapporti fra stazione appaltante e ente preposto al rilascio del d.u.r.c., consente di ritenere assorbita l’ulteriore censura, sollevata dalla società appellante, relativa alla errata applicazione dell’art. 122 c.p.a..
L’accoglimento dell’appello principale determina, altresì, l’assorbimento dell’appello incidentale proposto dalla Provincia di Verona.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, l’accoglimento del secondo motivo dell’appello principale comporta che, in riforma della sentenza di primo grado, vada respinto il ricorso introduttivo del giudizio.
La novità e la complessità delle questioni affrontate, nonché i contrasti giurisprudenziali esistenti sulle vicende affrontate, nonché il parziale accoglimento, consentono al Collegio di disporre la compensazione integrale fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria) definitivamente pronunciando sugli appelli, principale ed incidentale, come in epigrafe proposti, così provvede:
- respinge il primo motivo dell’appello principale e, per l’effetto, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo sulla presente controversia;
- accoglie il secondo motivo dell’appello principale e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado;
- dichiara assorbito l’appello incidentale;
- compensa le spese del doppio grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2016 con l'intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Sergio Santoro, Presidente
Giuseppe Severini, Presidente
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere
Nicola Russo, Consigliere, Estensore
Salvatore Cacace, Consigliere
Sandro Aureli, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere


IL PRESIDENTE



                     L'ESTENSORE
IL SEGRETARIO



DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/05/2016
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il Dirigente della Sezione