FARMACIE:
manifestamente infondata
la questione di legittimità costituzionale
sul c.d. "pay-back" previsto dalla L. n. 122/10
(Cons. St., Sez. III,
sentenza 17 dicembre 2013 n. 6024).
Premessa
La causa
petendi riguarda l'impugnazione diprovvedimenti, adottati
dall’A.I.F.A., con i quali essa, in attuazione di quanto previsto dall’art. 11,
comma 6, del d.l. 78/2010, ha redatto e approvato le tabelle recanti gli
importi che dovranno essere versati da detta impresa farmaceutica a titolo
di pay-back in favore delle Regioni, per una cifra
complessivamente pari all’1,83% del prezzo di vendita al pubblico, al netto
dell’IVA, dei medicinali di fascia “A”, erogati in regime di Servizio Sanitario
Nazionale, a decorrere dalla data di entrata in vigore della l. 122/2010, che
ha convertito in legge il d.l. 78/2010.
Il d.l. 78/2010, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, è intervenuto a modificare incisivamente il precedente assetto economico e la ripartizione delle quote di ricavo dei farmaci tra produttori, grossisti e farmacisti all’interno della c.d. filiera del farmaco.
In questa sede è stata sollevata dalla
ricorrente in primo grado la q.l.c. sulle dispozioni predette della l. n.
122/10.
Massima
1. E' manifestamente infondata la q.l.c. secondo cui "il legislatore ha deciso di addossare pressoché l’intero carico della manovra economica di risparmio sulla spesa pubblica sulla categoria dei produttori di specialità medicinali (e, in parte, su quella dei grossisti)”.
2. L’intero carico della manovra economica non è stato addossato solo sulla categoria dei produttori, ma anche su quella dei grossisti, che hanno visto ridurre la loro quota dal 6,65% al 3%.
2.1 Or a è vero che la diminuzione del 3,65% imposta ai grossisti è stata in parte riversata in sede di conversione sui produttori, che sono stati chiamati a pagarne la metà allo Stato, nella misura dello sconto obbligatorio pari all’1,83%, ma questo sacrificio aggiuntivo si colloca nel contesto di una complessa manovra economica, intesa, da un lato, a ridurre la spesa sanitaria e, dall’altro, ad acquisire risorse per finanziarla, incamerando una parte dei ricavi conseguiti dagli attori della filiera dalla vendita al pubblico dei farmaci di fascia A.
2.2 In sede di conversione il legislatore, ricalibrando le quote di spettanza dei protagonisti della filiera del farmaco, ha deciso di dimezzare la quota spettante ai grossisti (passata dal 6,65% al 3%), attribuendo formalmente la parte di quota loro sottratta ai farmacisti, di aumentare sostanzialmente dell’1,83% quella dei farmacisti, tenuti a versare solo metà dell’aumento loro attribuito, mediante lo sconto dell’1,82%, e di ridurre, invece, dell’1,83% quella dei produttori, chiamati a corrispondere lo sconto obbligatorio nella corrispondente misura.
3. Appare evidente come il peso della manovra non sia ricaduto solo sui produttori, ma anzitutto sui grossisti, la cui quota iniziale del 6,65% non solo è stata più che dimezzata, con la sottrazione del 3,65%, ma anche attribuita – per la metà e, cioè, nella misura dell’1,83% – ai farmacisti, tenuti a corrispondere una somma pari all’1,82%.
Tale aumento della quota attribuita ai farmacisti – l’1,83% – è stato compensato con lo sconto obbligatorio imposto ai produttori da corrispondere, in pari percentuale, in favore delle Regioni.
4. Per i farmaci di fascia A (c.d. "salvavita) si pone, infine, con maggior evidenza e maggior incidenza, il bisogno incomprimibile di garantire al più ampio numero di cittadini la più ampia gamma di farmaci essenziali o per malattie croniche senza, però, nel contempo aggravare ulteriormente, oltre i limiti della sostenibilità finanziaria di un’economia nazionale già in crisi, il bilancio dello Stato.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3047 del 2013,
proposto da:
Servier Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dall’Avv. Diego Vaiano, dall’Avv. Raffaele Izzo e
dall’Avv. Aldo Fera, con domicilio eletto presso Vaiano - Izzo Studio Legale in
Roma, Lungotevere Marzio, n. 3;
contro
A.I.F.A. – Agenzia Italiana del Farmaco, in persona
del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura
Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del Presidente pro tempore,
rappresentata e difesa dall’Avv. Roberto Crucil, con domicilio eletto presso
l’Ufficio di Rappresentanza della Regione Friuli-Venezia Giulia in Roma, Piazza
Colonna, n. 355;
Regione Molise;
Regione Sardegna;
Regione Sicilia - Assessorato Alla Salute;
Regione Valle d’Aosta;
Regione Lazio;
Regione Abruzzo;
Regione Calabria;
Regione Basilicata;
Regione Campania;
Regione Emilia Romagna;
Regione Liguria;
Regione Lombardia;
Regione Marche;
Regione Piemonte;
Provincia Autonoma di Bolzano;
Provincia Autonoma di Trento;
Regione Puglia;
Regione Toscana;
Regione Umbria;
Regione Veneto;
nei confronti di
Farmacia Cristiano s.n.c.;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III
QUA n. 10792/2012, resa tra le parti, concernente l’approvazione della tabelle
recanti gli importi da versare a titolo di pay-back in favore
delle Regioni
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di A.I.F.A.
– Agenzia Italiana del Farmaco e della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre
2013 il Cons. Massimiliano Noccelli e uditi per le parti gli avvocati l’Avv.
Vaiano e l’Avvocato dello Stato Bacosi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
1. Il d.l. 78/2010, recante “Misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” e
convertito, con modificazioni, nella l. 122/2010, ha stabilito, nell’art. 11,
comma 6, che le aziende farmaceutiche, sulla base di tabelle approvate
dall’Agenzia italiana del farmaco (A.I.F.A.) e definite per Regione e per
singola azienda, corrispondano alle Regioni medesime un importo dell’1,83 per
cento sul prezzo di vendita al pubblico al netto dell’imposta sul valore
aggiunto dei medicinali erogati in regime di Servizio sanitario nazionale.
2. In attuazione dell’art. 11, comma 6, del d.l.
78/2010, siccome modificato e approvato in sede di conversione, l’A.I.F.A., con
determinazione del 18.2.1011, pubblicata in G.U. n. 47 del 26.2.2011, ha reso
nota la metodologia di attuazione dello sconto dell’1,83% a carico delle
imprese farmaceutiche.
3. Le imprese, in base all’art. 1 della medesima
delibera, avrebbero dovuto versare alle Regioni l’importo dell’1,83% tramite la
procedura di pay-back sulla base delle tabelle pubblicate da
A.I.F.A. a partire dal 31.7.2010, data di entrata in vigore della legge di
conversione del decreto.
4. La procedura seguita da A.I.F.A. nella
determinazione dell’importo del pay-back era descritta nella
metodologia allegata alla determinazione: essa si articolava sulla base di dati
rilevati dall’OsMed, relativi alla spesa in regime convenzionale, e prevedeva,
in particolare, che il calcolo dell’1,83% della spesa lorda complessiva, al
netto dell’I.V.A., avvenisse, per ogni azienda e per ogni singola Regione,
tenendo conto di quanto già versato dalle imprese farmaceutiche che avevano
aderito al pay-back nel 2010 secondo la determina del
7.4.2010.
5. Successivamente il d.l. 225/2010, convertito in l.
10/2011, disponeva la retroattività dell’applicazione dell’ulteriore sconto
alle farmacie e del conseguente pay-back delle imprese dalla
data di pubblicazione del decreto legge e, cioè, dal 31.5.2010.
6. In particolare l’art. 2, comma 2-septies,
del citato d.l. 225/2010 ha previsto che entro il 30.4.2011 le imprese
farmaceutiche fossero tenute a corrispondere l’importo previsto anche in
relazione ai farmaci erogati in regime di Servizio sanitario nazionale nel
periodo compreso tra la data di entrata in vigore del decreto e la sua legge di
conversione: l’importo avrebbe dovuto essere versati direttamente all’entrata
del bilancio dello Stato, secondo le modalità stabilite con determinazione del
Ministero dell’Economia e delle Finanze.
7. In attesa della Determinazione del Ministero
dell’Economia e delle Finanze che precisasse la voce di bilancio dello Stato
nella quale inscrivere gli importi comunicati dall’A.I.F.A., relativi al pay-back dell’1,83%
per il giugno-luglio 2010, l’Autorità, in applicazione dell’art. 11, comma 6,
del d.l. 78/2010, convertito con modificazioni nella l. 122/2010, ulteriormente
modificato dall’art. 2, comma 12-septies, del d.l. 225/2010, convertito
in l. 10/2011, ha quantificato l’onere del pay-back a carico
delle singole imprese farmaceutiche disposto dalla succitata normativa per i
consumi di farmaci in regime convenzionale.
8. L’A.I.F.A. predisponeva, ai sensi dell’art. 7 della
l. 241/1990, la piattaforma di comunicazione degli oneri aggiuntivi di
competenza dell’anno 2010 sull’A.I.F.A. Front-End, che veniva
aperta a partire dal 19.6.2012 in consultazione quale avvio del procedimento
finalizzato all’applicazione della procedura del pay-back dell’1,83%.
9. Tali oneri sono stati calcolati dall’A.I.F.A.
secondo la metodologia di calcolo del pay-back dell’1,83%.
10. Essa si fonda sulla base dei dati risultanti dalla
procedura di espansione dell’Osservatorio Nazionale sull’impiego dei Medicinali
(OsMed), al valore riportato nelle Distinte Contabili Riepilogative (DCR)
registrate dall’A.G.E.N.A.S.
11. Tale fonte contiene i dati relativi alla spesa
farmaceutica convenzionata secondo i i prezzi al pubblico, comprensiva di ogni
compartecipazione da parte del cittadino, per singola specialità medicinale per
mese e per Regione, generata dalle prescrizioni a carico del Servizio sanitario
nazionale dei farmaci erogati attraverso le farmacie aperte al pubblico
(pubbliche e private).
12. I dati OsMed analizzati dall’Autorità sono relativi
alla spesa in regime convenzionale del periodo 1.6.2010 – 31.7.2010.
13. È stata quindi determinata la spesa lorda di tutte
le specialità medicinali di fascia A, di ogni singola impresa e in ogni singola
Regione.
14. Successivamente è stata calcolata la spesa al
netto dell’imposta sul valore aggiunto e a tale spesa sono stati sottratti i
2/12 dell’importo del “pay-back 5% 2010”, già versato alle Regioni dalle
imprese farmaceutiche ai sensi della determina A.I.F.A. del 7.4.2010,
corrisposto in qualità di misura alternativa alla riduzione del prezzo al
pubblico del 5% disposta con determina A.I.F.A. n. 26 del 27.9.2006.
15. In conclusione, quindi, è stato calcolato
dall’A.I.F.A. l’1,83% della spesa lorda complessiva, al netto dell’I.V.A. e del pay-back 2010,
per ogni impresa farmaceutica e per ogni Regione.
16. L’importo costì ottenuto dall’Autorità, relativo
al periodo giugno-luglio 2010, è stato infine corretto sulla base del
conguaglio derivante dalla prima applicazione della disciplina del pay-back 1,83%
nel 2010, in linea con quanto previsto dal comma 2 dell’art. 2 della determina
A.I.F.A. del 18.2.2011.
17. Infine, con determina del 27.3.2013, pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 80 del 5.4.2013, il Ministero dell’Economia e delle
Finanze ha poi determinato le modalità di versamento dell’entrata del bilancio
dello Stato delle somme dovute dalle imprese farmaceutiche, ai sensi dell’art.
2, comma 12-septies, del d.l. 225/2010.
18. In base a tale determina le imprese titolari di
autorizzazione all’immissione in commercio di farmaci, sulle quali gravava
l’onere di pay-backdell’1,83% relativo ai mesi di giugno e luglio
2010, erano tenute a versare l’importo dovuto su apposito capitolo di bilancio,
dandone successivamente comunicazione all’A.I.F.A.
19. Con ricorso proposto avanti al T.A.R. Lazio,
Servier Italia s.p.a. ha impugnato, chiedendone l’annullamento:
- la determinazione dell’Agenzia italiana per il
Farmaco (A.I.F.A.), recante “Metodologia di attuazione dell’1,83% a carico
delle aziende farmaceutiche in applicazione dell’art. 11 comma 6 del D.L. 78/10
conv. con modificazioni dalla l. 122 del 30 luglio 2010”;
- ogni altro atto connesso e presupposto nonché le
tabelle recanti gli importi da versare entro dieci giorni secondo la procedura
di pay back, suddivisi per Regione e specialità medicinale.
20. Con motivi aggiunti Servier Italia s.p.a. ha poi
impugnato gli atti emessi successivamente da A.I.F.A. con i quali, in
attuazione di quanto previsto dalle ulteriori modifiche legislative (art. 2,
comma 12-septies, del d.l. 225/2010, convertito in l. 10/2011), sono
state redatte ed approvate le tabelle recanti gli importi che avrebbero dovuto
essere versati da parte delle imprese farmaceutiche a titolo di pay
back in favore delle Regioni per una cifra complessivamente pari
all’1,83% del prezzo di vendita al pubblico, al netto dell’I.V.A., con
riferimento alle specialità medicinali, la cui autorizzazione all’immissione in
commercio (A.I.C.) fosse nella titolarità delle stesse.
21. Nel ricorso originario e per motivi aggiunti
Servier Italia s.p.a. deduceva vizi, propri e derivati dal d.l. 78/2010, degli
atti impugnati e lamentava, in particolare, l’illegittimità di tali atti per
omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, in violazione dell’art. 7
della l. 241/1990, nonché l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 6,
del d.l. 78/2010, sotto diversi profili, chiedendo all’adìto T.A.R. di
sollevare le relative questioni avanti alla Corte costituzionale.
22. Si costituiva nel giudizio di primo grado
l’A.I.F.A., chiedendo la reiezione del ricorso.
23. Il T.A.R. Lazio, con la sentenza n. 10792 del
28.12.2012, ha rigettato il ricorso, ritenendo manifestamente infondate tutte
le questioni di costituzionalità sollevate e respingendo tutti i motivi di censura
proposti da Servier Italia s.p.a.
24. Avverso tale sentenza ha proposto appello Servier
Italia s.p.a., assumendone l’erroneità per aver ritenuto infondate tutte le
censure sollevate in prime cure.
25. Si è costituita anche in questo grado di giudizio
A.I.F.A. che, nel contestare le avversarie deduzioni, ha chiesto di respingere
l’appello.
26. Si è costituita, altresì, la Regione Autonoma
Friuli-Venezia Giulia, chiedendo anch’essa la reiezione dell’appello.
27. Nella pubblica udienza del 28.11.2013 il Collegio,
uditi i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.
DIRITTO
1. È impugnata avanti a questo Consiglio la sentenza
del T.A.R. Lazio, n. 10792 del 28.12.2012, che ha rigettato il ricorso proposto
da Servier Italia s.p.a. avverso i provvedimenti, adottati dall’A.I.F.A., con i
quali essa, in attuazione di quanto previsto dall’art. 11, comma 6, del d.l.
78/2010, ha redatto e approvato le tabelle recanti gli importi che dovranno
essere versati da detta impresa farmaceutica a titolo di pay-back in
favore delle Regioni, per una cifra complessivamente pari all’1,83% del prezzo
di vendita al pubblico, al netto dell’IVA, dei medicinali di fascia “A”,
erogati in regime di Servizio Sanitario Nazionale, a decorrere dalla data di
entrata in vigore della l. 122/2010, che ha convertito in legge il d.l.
78/2010.
2. La ricorrente in prime cure, Servier Italia s.p.a.,
aveva lamentato e dedotto la illegittimità di siffatti provvedimenti sia per
vizi propri sia per vizi derivati dalla denunciata illegittimità costituzionale
della nuova disciplina dettata dal d.l. 78/2010, come convertito in legge dalla
l. 122/2010, rispetto alla quale aveva sollevato numerose questioni di
costituzionalità, che sono state tuttavia disattese dal T.A.R. il quale, anche
sulla scorta della sentenza della Corte costituzionale n. 279 del 7.7.2006 su
analogo caso di sconto obbligatorio imposto dal legislatore nel 2004, ha
ritenuto la manifesta infondatezza delle stesse ai sensi dell’art. 23 della l.
87/1953.
3. Il d.l. 78/2010, recante “Misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, è
intervenuto a modificare incisivamente il precedente assetto economico e la
ripartizione delle quote di ricavo dei farmaci tra produttori, grossisti e
farmacisti all’interno della c.d. filiera del farmaco.
4. Per inquadrare correttamente la ratio legis della
contestata normativa, di cui i provvedimenti dell’A.I.F.A. hanno inteso fare
applicazione, e comprendere appieno, conseguentemente, le censure di
illegittimità, propria e derivata, fatte valere dall’odierna appellante contro
tali provvedimenti, censure tutte – come si è accennato e come meglio si dirà
in dettaglio più avanti – respinte dal T.A.R. Lazio, occorre muovere proprio
dall’analisi delle disposizioni del d.l. 78/2010, dapprima nella sua versione
originaria e, infine, nella sua versione definitiva, adottata in sede di
conversione, non senza però aver prima doverosamente tratteggiato nelle sue
linee essenziali quale fosse in subiecta materia il previgente
assetto normativo.
5. La materia del prezzo dei farmaci, come ha
osservato anche la Corte costituzionale nella sentenza n. 279 del 7.7.2006,
sulla quale gioverà pur brevemente soffermarsi tra poco, è stata oggetto di
numerosi interventi del legislatore statale che si sono succeduti da oltre un
ventennio.
6. Nel difficile tentativo di contemperare l’esigenza
di assicurare l’assistenza farmaceutica nella misura più ampia possibile con
quella di non sacrificare in maniera eccessiva l’iniziativa delle imprese
farmaceutiche, l’art. 8, comma 10, della l. 537/1993 ha suddiviso, come è noto,
i medicinali commercializzati in Italia nella categoria “A”, comprensiva dei
farmaci essenziali e per le malattie croniche, rimborsati dal Servizio
Sanitario Nazionale, e nella categoria “C”, farmaci non rimborsati dallo stesso
Servizio.
7. I farmaci di categoria “A” hanno conosciuto
un’evoluzione storica che dalla tradizionale e più risalente forma del “prezzo
amministrato” ha visto poi affermarsi le diverse formule del “prezzo
sorvegliato”, corrispondente all’individuazione del prezzo medio europeo,
siccome previsto dall’art. 8, comma 12, della l. 537/1993 e dalle delibere CIPE
del 25.2.1994 e dell’8.8.1996, sino all’ultimo (in ordine di tempo) – per
quanto non definitivo, come si dirà, né stabile – approdo al c.d. “prezzo
contrattato”, riferito a specifiche categorie di farmaci (art. 1, comma 41,
della l. 662/1996 e art. 136, comma 10, della l. 449/1997) e comunque definito
sulla base di una serie di fattori, fra i quali il rapporto costo-efficacia, la
domanda e, con essa, i volumi di vendita, gli sconti e i prezzi di altri
medicinali delle spese imprese farmaceutiche (delibera CIPE n. 3 del 1.2.2001).
8. “In ogni caso – ha rilevato la Corte
costituzionale in un ampio excursus storico della materia che
si legge nella citata sent. 279/2006 –fin dal 1997 è stato fissato con legge
il margine di ricavo dei soggetti della filiera sul prezzo dei medicinali di
fascia “A”, stabilendo che “le quote di spettanza sul prezzo di vendita al
pubblico delle specialità medicinali” rimborsabili dal SSN sono “fissate per le
imprese farmaceutiche, per i grossisti e per i farmacisti rispettivamente al
66,5%, al 6,65%, al 26,7% sul prezzo di vendita al pubblico al netto dell’IVA”.
9. In questi termini e in queste percentuali era stata
fissato, dunque, dall’art. 1, comma 40, della l. 662/1996 il margine di ricavo
dei soggetti della filiera del farmaco (produttore, grossista e farmacista).
10. Nel contempo però, come si è accennato, l’art. 1,
comma 41, della l. 662/1996 ha affermato il principio del “prezzo contrattato”,
in forza del quale l’eventuale modifica delle quote di spettanza dovute alle
imprese farmaceutiche, ai grossisti e ai farmacisti è rimessa, come ha
affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 295 del 13.11.2009 ed ha
ribadito nella sentenza n. 330 del 16.12.2011, è rimessa “all’autonomia
contrattuale dei soggetti del ciclo produttivo e distributivo attraverso
convergenti manifestazioni di volontà”.
11. Il principio è affermato dall’art. 48, comma 33,
del d.l. 269/2003, convertito in legge dalla l. 326/2003, secondo cui “dal
1° gennaio 2004 i prezzi dei prodotti rimborsati al Servizio Sanitario
Nazionale sono determinati mediante contrattazione tra Agenzia e Produttori
secondo le modalità e i criteri indicati nella del. CIPE 1° febbraio 2001, n.
3, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 73 del 28 marzo 2001”.
12. Proprio nella prima delle sopra richiamate
pronunce, la n. 295 del 13.11.2009, la Corte, nel censurare una disposizione di
una legge regionale della Puglia che aveva indebitamente limitato la capacità
dei predetti soggetti di modificare pattiziamente le quote di loro spettanza,
ha rimarcato il principio dell’autonomia negoziale dei privati, di cui all’art.
1322 c.c., la disciplina delle quali spetta in via esclusiva al legislatore
statale.
13. Il principio del “prezzo contrattato”, tuttavia,
ha conosciuto in prosieguo di tempo e, soprattutto, negli ultimi anni, sempre
più numerose, frequenti ed incisive deroghe, da parte del legislatore, anche a
causa della difficile congiuntura economica, precipitata e sfociata nella grave
crisi, ormai fatto notorio, e della necessità, sempre più stringente, di
contenere la spesa pubblica, pur di fronte ad una crescente domanda sanitaria
e, in particolare, farmaceutica, salvaguardando, nel contempo, il nucleo
irriducibile del diritto alla salute quale diritto del singolo e interesse
della collettività (art. 32 Cost.).
14. Una prima vistosa e rilevante eccezione è stata
introdotta dal legislatore, nell’istituire l’A.I.F.A., con l’art. 48, comma 5,
lett. f, del d. lgs. 269/2003, che ha attribuito alla neoistituita Agenzia del
farmaco il compito di “procedere in caso di superamento del tetto di spesa […]a
ridefinire, anche temporaneamente, nella misura del 60%, la quota di spettanza
al produttore prevista dall’art. 1, comma 40, della legge 23 dicembre 1996, n.
662” ed una seconda, altrettanto rilevante, eccezione è stata poi
introdotta dall’art. 1 del d.l. 156/2004, in considerazione dell’avvenuto
sfondamento, nell’anno 2004, del tetto di spesa sanitaria.
15. Tale disposizione aveva stabilito che il ripiano
di tale sfondamento avrebbe dovuto effettuarsi, in applicazione di quanto
statuito appunto alla lettera f) del comma 5 dell’art. 48 del d.l. 269/2003,
attraverso l’imposizione, al produttore, di uno sconto ulteriore sul prezzo dei
farmaci destinati al mercato interno e rimborsabili dal S.S.N., pari al 6.8%,
corrispondente al 4,12% del prezzo al pubblico, IVA compresa, del margine di
ricavo fissato per le imprese farmaceutiche dall’art. 1, comma 40, della l.
662/1997.
16. In ordine ad entrambe le disposizioni il giudice
di pace di Borgo San Lorenzo sollevò questione di costituzionalità rispetto ai
parametri degli artt. 3 e 41 Cost.
16.1. La Corte costituzionale, con la sentenza già
citata n. 279 del 7.7.2006, ha respinto la questione, sotto entrambi i due
profili di denunciata illegittimità, non senza rilevare, in premessa, che il
contesto normativo, in questa materia, era ed è suscettibile, certo, “di
essere migliorato”.
16.2. Stima il Collegio utile e rilevante soffermarsi,
sempre in modo sintetico, sulle argomentazioni della Corte, poiché tali
argomentazioni, per l’autorevolezza e la similarità del precedente,
costituiscono, come si dirà, tema di controversia nel presente giudizio.
16.3. La Corte, nel respingere la questione di
costituzionalità sollevata in rapporto all’art. 3 Cost., ha affermato che
l’imposizione dello sconto obbligatorio sul prezzo dei farmaci rimborsati dal
Servizio sanitario nazionale, che comporta la determinazione indiretta di un
nuovo e minore prezzo, non è che una delle “misure stabilite
discrezionalmente dal legislatore al fine di bilanciare le diverse esigenze, da
un lato, di contenimento della spesa farmaceutica, nel contesto di risorse
date, e, dall’altro, di garanzia, nella misura più ampia possibile, del diritto
alla salute mediante l’inserimento del maggior numero di farmaci essenziali
nell’elenco di quelli rimborsabili dal SSN”.
16.4. La scelta normativa di limitare l’imposizione
dello sconto ai soli produttori, d’altra parte, non è secondo la Corte
manifestamente irragionevole, ove si consideri la particolare posizione che
questi ultimi occupano nel settore.
16.5. Sono costoro, infatti, i soggetti della filiera
che concorrono direttamente a determinare il prezzo contrattato dei farmaci
rimborsabili, come si evince dalla delibera CIPE n. 3 del 1.2.2001,
conoscendone e indicandone i fattori rilevanti, e sono essi anche a poter incidere,
sostiene ancora la Corte, significativamente sulla variabile della domanda,
essendo in grado di incrementare il volume attraverso la promozione e la
diffusione.
16.6. Il giudice delle leggi ha riaffermato, con
l’occasione, la propria giurisprudenza incline a riconoscere la ragionevolezza
di norme volte ad imporre uno sconto obbligatorio ai soli produttori di
medicinali, pur sottolineandone la natura di prestazione imposta – inciso,
quest’ultimo, di non scarso rilievo per le questioni di costituzionalità
sollevate nel presente giudizio ai sensi degli artt. 23 e 53 Cost. – ai sensi
dell’art. 23 Cost., e ha aggiunto a tale tradizionale considerazione, fondata
sulla diretta incidenza della produzione dei farmaci sull’assistenza sanitaria,
il rilievo che “l’importo della misura è definito in termini percentuali
riferiti al valore dei prezzi al pubblico, quindi tenendo conto dei costi di
produzione e di commercializzazione dei farmaci oltre che dell’efficacia degli
stessi, e che la misura in questione ha natura temporanea, in quanto collegata
alle disponibilità della finanza pubblica”, escludendo la sussistenza di
profili di manifesta irragionevolezza del sacrificio imposto ai produttori che
fossero talmente evidenti da indurla a dichiarare l’illegittimità costituzionale
delle deroghe introdotte al principio del prezzo contrattato dalle norme del
2003 e del 2004.
16.7. Esaminando l’ulteriore censura, relativa alla
prospettata violazione dell’art. 41 Cost., la Corte ha osservato che il
comparto dei farmaci di fascia “A”, “contraddistinto da penetranti poteri di
regolazione e di intervento del Ministero della Salute nella determinazione del
prezzo ed anche dei margini di utile lungo l’intera filiera (produttore,
grossista, farmacista)”, non costituisce un mercato concorrenziale perché,
almeno quanto al prezzo, non si tratta di prodotti che danno luogo a confronto
competitivo.
16.8. Il meccanismo dello sconto obbligatorio, ha poi
osservato la Corte, è ancorato alla quota di utile spettante al produttore, ai
sensi dell’art. 1, comma 40, della l. 662/1996, a sua volta calcolata in misura
percentuale rispetto al prezzo di vendita al pubblico del farmaco, sicché il
nuovo e minor prezzo risultante dalla imposizione dello sconto è determinato in
maniera tale da tener conto dei costi di produzione e di commercializzazione
dei farmaci oltre che di efficacia degli stessi e resta, comunque, entro il
margine di utile assicurato ai produttori dall’art. 1, comma 40, testé citato.
16.9. Infine, ha osservato la Corte respingendo la
questione di costituzionalità sollevata in riferimento all’art. 41 Cost., la
sfera di autonomia privata non riceve dall’ordinamento una protezione assoluta, “sì
che la sua lamentata compressione nella determinazione del prezzo non è
costituzionalmente illegittima quando si riveli preordinata a consentire il
soddisfacimento contestuale di una pluralità di interessi costituzionalmente
rilevanti”, come era avvenuto nel caso di specie, con le norme citate,
mediante le quali il legislatore aveva perseguito l’obiettivo di “realizzare
il contenimento della spesa sanitaria in vista del fine di utilità sociale
costituito dalla garanzia del più ampio godimento del diritto alla assistenza
farmaceutica, lasciando comunque all’imprenditore un più ridotto ma ragionevole
margine di utile”.
17. Gli interventi del legislatore, dopo la pronuncia
della Corte e, forse, anche in ragione dell’orientamento da essa espresso, non
sono mancati nemmeno successivamente e si sono avute, negli ultimi anni, altre
deroghe al principio del prezzo contrattato.
18. Tralasciando in questa sede e per il momento
l’art. 1, comma 796, della l. 296/1996, la quale ha riconosciuto alle imprese
farmaceutiche la facoltà di richiedere all’Agenzia del farmaco la sospensione
della misura della ulteriore riduzione del cinque per cento dei prezzi, sulla
quale si tornerà in seguito esaminando, più in particolare, il meccanismo del
c.d. pay-back, è poi intervenuto l’art. 13, comma 1, lett. b), del
d.l. 39/2009 (c.d. decreto Abruzzo), convertito in legge, con modificazioni,
dalla l. 77/2009, il quale ha rideterminato, per i medicinali equivalenti di
cui all’art. 7, comma 1, del d.l. 347/2001, le quote di spettanza: per le
imprese farmaceutiche il 58,65%, per i grossisti il 6,65% e per i farmacisti il
26,7%.
19. La restante quota dell’8% veniva redistribuita tra
i farmacisti e i grossisti, operatori della distribuzione, secondo le regole di
mercato, ferma restando la quota minima per la farmacia.
20. In questo modo il d.l. 39/2009 (c.d. decreto
Abruzzo), convertito in l. 77/2009, ha rideterminato per i soli medicinali
equivalenti in fascia A le predette quote spettanti ai produttori, con
ulteriore sacrificio per le imprese farmaceutiche genericiste che vedevano,
obbligatoriamente e in via permanente, ridotta la loro quota di spettanza dal
66,65% al 58,65%, affinché la rimanente quota dell’8% fosse devoluta a favore
degli operatori della distribuzione (farmacisti e grossisti) secondo le regole
di mercato.
21. È in tale contesto normativo, sin qui
sommariamente delineato, che sopraggiunge e si innesta la nuova previsione del
d.l. 78/2010, oggetto del presente giudizio.
22. Occorre riportare, per l’importanza della
questione, il testo dell’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010, siccome convertito
dalla l. 122/2010, nella sua integrale formulazione.
“In attesa dell’adozione di una nuova metodologia
di remunerazione delle farmacie per i farmaci erogati in regime di Servizio
sanitario nazionale, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto, le quote di spettanza dei grossisti e dei
farmacisti sul prezzo di vendita al pubblico delle specialità medicinali di
classe A, di cui all’articolo 8, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n.
537, previste nella misura rispettivamente del 6,65 per cento e del 26,7 per
cento dall’ articolo 1, comma 40, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e dall’
articolo 13, comma 1, lettera b), del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39,
convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n. 77, sono
rideterminate nella misura del 3 per cento per i grossisti e del 30,35 per
cento per i farmacisti che deve intendersi come quota minima a questi
spettante. A decorrere dal 31 maggio 2010 il Servizio sanitario nazionale, nel
procedere alla corresponsione alle farmacie di quanto dovuto, trattiene ad
ulteriore titolo di sconto, rispetto a quanto già previsto dalla vigente
normativa, una quota pari all’1,82 per cento sul prezzo di vendita al pubblico
al netto dell’imposta sul valore aggiunto. L’ulteriore sconto dell’1,82 per
cento non si applica alle farmacie rurali sussidiate con fatturato annuo in
regime di Servizio sanitario nazionale, al netto dell’imposta sul valore
aggiunto, non superiore a euro 387.324,67 e alle altre farmacie con fatturato
annuo in regime di Servizio sanitario nazionale, al netto dell’imposta sul
valore aggiunto, non superiore a euro 258.228,45. Dalla medesima data le
aziende farmaceutiche, sulla base di tabelle approvate dall’Agenzia italiana
del farmaco (AIFA) e definite per regione e per singola azienda, corrispondono
alle regioni medesime un importo dell’1,83 per cento sul prezzo di vendita al
pubblico al netto dell’imposta sul valore aggiunto dei medicinali erogati in
regime di Servizio sanitario nazionale”.
23. L’odierna appellante deduce che originariamente,
prima della recente riforma del d.l. 78/2010, nella c.d. filiera del farmaco in
fascia A, il sistema di regolazione del prezzo dei medicinali rimborsato dal
Servizio Sanitario Nazionale era così ripartito: 66,65% per le imprese
farmaceutiche, 6,65% per i grossisti e 26,7% per i farmacisti.
24. Con il d.l. 78/2010, nella prima formulazione
dell’art. 11, comma 6, precedente alla conversione, le predette quote di
spettanza sono state nuovamente rideterminate, questa volta per i farmacisti e
per i grossisti, con sacrificio solo per i grossisti, che hanno visto
obbligatoriamente ridotta la loro quota di spettanza dal 6,65% al 3%, affinché
la rimanente quota del 3,65% fosse interamente devoluta a favore dei
farmacisti, con conseguente aumento della loro quota di spettanza dal 26,7% al
30,35%.
25. In realtà il suindicato aumento del 3,65% della
quota di spettanza dei farmacisti era solo apparente e, per così dire,
virtuale, perché sostanzialmente eliminato o neutralizzato dal contestuale
sconto imposto ai farmacisti nella stessa misura del 3,65% a favore del
Servizio Sanitario Nazionale.
26. In altri termini, in base all’originaria
formulazione del decreto legge prima delle modifiche introdotte in sede di
conversione, soltanto i grossisti vedevano ridurre la loro quota dal 6,65% al
3%, con un decremento del 3,65%, poiché il corrispondente incremento del 3,65%,
attribuito ai farmacisti, era poi compensato ed annullato dallo sconto
obbligatorio loro imposto per la percentuale corrispondente.
27. Rispetto ai farmacisti e, soprattutto, ai
produttori l’originario meccanismo previsto dal decreto-legge era del tutto
neutro e improduttivo di effettivi vantaggi o svantaggi economici.
28. Senonché, in sede di conversione del d.l. 78/2010
in l. 122/2010, l’art. 11, comma 6, ha subito una notevole trasformazione
perché, fermo restando l’obiettivo di conseguire un risparmio della spesa
pubblica in misura del 3,65% sul prezzo dei farmaci rimborsati dal Servizio
Sanitario e pur mantenendo invariata la modifica delle quote di spettanza a
vantaggio dei farmacisti e a scapito dei grossisti, è stato ridotto lo sconto
obbligatorio inizialmente posto in capo ai farmacisti, passando dall’aliquota
del 3,65% all’1,82% sul prezzo di vendita, affinché la differenza di quota
risultante da tale riduzione – l’1,83% – fosse posta a carico delle imprese
farmaceutiche, mediante l’obbligo di queste ultime di corrispondere
direttamente alle Regioni una somma pari all’1,83% del prezzo di vendita al
pubblico dei medicinali.
29. L’art. 11, comma 6, del decreto legge n. 78/2010,
come modificato dalla legge di conversione n. 122/2010, ha infatti previsto,
come si è già visto, che, in attesa dell’adozione di una nuova metodologia di
remunerazione delle farmacie per i farmaci erogati in regime di Servizio sanitario
nazionale, a decorrere dall’entrata in vigore della legge di conversione del
decreto, le quote di spettanza dei grossisti e dei farmacisti sul prezzo di
vendita al pubblico delle specialità medicinali i classe A, sono rideterminate
nella misura del 3% per i grossisti e del 30,35% per i farmacisti, che deve
intendersi come quota minima a questi spettante.
30. A decorrere del 31 maggio 2010 il Servizio
Sanitario Nazionale, nel procedere alla corresponsione di quanto dovuto alle
farmacie, trattiene ad ulteriore titolo di sconto, rispetto a quanto già
previsto dalla vigente normativa, una quota pari al’1,82% sul prezzo di vendita
al pubblico al netto dell’imposta sul valore aggiunto.
31. Dalla medesima data le imprese farmaceutiche,
sulla base di tabelle approvate dall’Agenzia italiana del farmaco (A.I.F.A.) e
definite per Regione e per singola azienda, corrispondono alle Regioni stesse
un importo dell’1,83% sul prezzo di vendita al netto dell’imposta sul valore
aggiunto dei medicinali erogati in regime di Servizio sanitario nazionale.
32. Con la citata disposizione, in sintesi, si è
imposto alle imprese farmaceutiche l’obbligo di corrispondere alle Regioni una
somma pari all’1,83% del prezzo dei farmaci di fascia A e si è attribuito
all’A.I.F.A. il potere di quantificare gli importi che ciascuna azienda
farmaceutica dovrà corrispondere in favore delle singole Regioni.
33. L’A.I.F.A., come si è già esposto nella parte
motiva in fatto (v., supra, §§ 2-4), ha conseguentemente pubblicato
il 28.2.2011 l’approvazione delle tabelle in base alle quali ha determinato
l’importo di pay-back che dovrà essere versato alle singole
Regioni entro i successivi 10 giorni dalla pubblicazione e ha predefinito, con
determinazione del 18.2.2011, la metodologia in applicazione della quale
sarebbe stato quantificato l’importo dovuto per ogni azienda farmaceutica.
34. Di qui è sorto il presente contenzioso.
35. Servier Italia s.p.a. ha infatti impugnato avanti
al T.A.R. Lazio, come si è detto, i provvedimenti dell’A.I.F.A. ha approvato le
tabelle contenenti gli importi che essa avrebbe dovuto riversare allo Stato, in
applicazione deducendo la illegittimità di tali atti, propria e derivata dalla
censura illegittimità
36. Il T.A.R. Lazio ha respinto tutti i motivi di
ricorso, originari e aggiunti, ritenendo infondate le censure di illegittimità
propria degli atti impugnati e ritenendo, altresì, manifestamente infondate, ai
sensi e per gli effetti dell’art. 23 della l. 87/1953, tutte le questioni di
costituzionalità dell’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010, siccome convertito in
l. 122/2010, sollevate dalla ricorrente in primo grado.
37. Tali censure, disattese dal T.A.R., sono state
riproposte in questa sede dall’odierna appellante, che assume l’erroneità della
decisione, adottata dal primo giudice, di respingere i motivi di doglianza
proposti.
38. Preliminarmente occorre esaminare l’eccezione di
inammissibilità dell’appello, sollevata dall’Agenzia appellata in relazione ad
un triplice ordine di motivi.
38.1. Con il primo l’A.I.F.A. ha infatti eccepito
l’inammissibilità dell’appello, sostenendo che i rilievi mossi dall’appellante
nel presente giudizio sarebbero diretti a contestare non tanto la
determinazione dell’A.I.F.A. pubblicata il 28.2.2011 e/o l’art. 11, comma 6,
del d.l. 78/2010, quanto piuttosto l’intero sistema normativo che disciplina il
regime di rimborso e il sistema di ripartizione dei ricavi dei farmaci inseriti
nella classe A.
38.1.1. L’eccezione, sotto tale profilo, è infondata
perché l’appellante, diversamente da quanto ha sostenuto A.I.F.A., ha mosso
specifiche e puntuali censure alla sentenza gravata, riproponendo tutte le
questioni di illegittimità, propria e derivata, degli atti impugnati in prime
cure e disattese dal T.A.R. Lazio.
38.2. Sotto altro e distinto profilo, poi, l’A.I.F.A.
deduce l’inammissibilità dell’appello, sottolineando che, come già si è veduto
nella parte motiva in fatto (cfr., supra, §§ 17-18), con determina
del 27.3.2013, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 80 del 5.4.2013, il
Ministero dell’Economia e delle Finanze ha determinato le modalità di
versamento all’entrata del bilancio dello Stato delle somme dovute dalle
imprese farmaceutiche, ai sensi dell’art. 2, comma 12-septies, del d.l.
225/2010.
38.2.1. In base a tale determina le imprese titolari
di autorizzazione all’immissione in commercio (c.d. A.I.C.), sulle quali grava
l’onere del pay-back dell’1,83% relativo ai mesi di giugno e
luglio 2010, erano tenute a versare l’importo dovuto su apposito capitolo di
bilancio, dandone successiva comunicazione all’A.I.F.A.
38.2.3. Dalle distinte contabili risulterebbe,
sostiene l’appellata, che Servier Italia s.p.a. abbia provveduto ad effettuare
il suddetto versamento al bilancio dello Stato, come ha disposto il Ministero.
38.2.4. La determina del Ministero del 27.3.2013
costituirebbe, quindi, il provvedimento attuativo della previsione normativa
dettata dall’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010, non avendo in questo contesto
la determinazione A.I.F.A. del 18.2.2011 portata immediatamente lesiva degli
interessi legittimi dell’odierna appellante.
38.2.5. Ne discenderebbe che, non essendo stata la
determina del Ministero dell’Economia e delle Finanze oggetto di impugnazione
da parte della società appellante ed essendo stato l’appello notificato ben
oltre la data di pubblicazione della determina nella Gazzetta Ufficiale,
l’appello sarebbe inammissibile per carenza di un interesse legittimo ed
attuale alla riforma della sentenza di primo grado.
38.2.6. L’eccezione, anche per tale secondo profilo,
deve essere respinta.
38.2.7. La determina del Ministero dell’Economia e
delle Finanze non ha una portata lesiva, poiché essa si limita soltanto a
stabilire in quale capitolo del bilancio le imprese dovranno versare l’importo
dell’1,83% a titolo di pay-back, sicché, come ha esattamente
ritenuto il primo giudice, tale adempimento non ha alcuna incidenza sulla
formazione della posizione debitoria in capo alle imprese farmaceutiche, che
matura al momento in cui dall’astratta previsione normativa dell’an e
del quantum fa seguito l’inserimento nelle apposite tabelle,
impugnate, di quelle, tra tali imprese, che l’A.I.F.A. individua come
debitrici.
38.2.8. Non sussisteva dunque, in capo all’odierna
appellante, alcun onere di impugnare la determina del Ministero dell’Economia e
delle Finanze, del tutto ininfluente sulla posizione giuridica soggettiva che
Servier Italia s.p.a. assume essere stata lesa dai provvedimenti dell’A.I.F.A.
impugnati in prime cure.
38.2.9. Sussiste pertanto, diversamente da quanto
sostiene l’A.I.F.A., tutto l’interesse dell’odierna appellante ad impugnare la
sentenza che ha respinto le censure mosse contro detti provvedimenti impositivi
del pay-back nei suoi riguardi.
38.3. Sotto un terzo ed ultimo profilo, ancor in via
preliminare ed infine, l’Autorità appellata deduce l’inammissibilità dell’appello
per carenza di interesse con riferimento al motivo di impugnazione relativo
alla contestata illegittimità costituzionale delle norme del d.l. 78/2010 e
degli atti applicativi.
38.3.1. L’A.I.F.A. deduce, a tal riguardo, che sia del
tutto inammissibile l’affermazione, svolta dall’appellante, secondo cui la
misura in questione avrebbe l’obiettivo di arrecare un ingiusto vantaggio
economico per gli operatori della stessa filiera e, cioè, i farmacisti.
38.3.2. Sostiene l’Autorità che, se anche si voglia
prescindere dal rilievo che l’appellante, in quanto impresa produttrice, non
può farsi portavoce anche degli interessi dei grossisti, dovrebbe rilevarsi, in
senso contrario ostativo all’ammissibilità dell’appello, che l’art. 11, comma
6, del d.l. 78/2010 si prefigge l’obiettivo di produrre un risparmio della
spesa pubblica al fine di garantire i servizi farmaceutici alla platea quanto
più ampia possibile di cittadini.
38.3.3. In tale prospettiva, conseguentemente, il
legislatore ha tentato di ottenere una riduzione della spesa del 3,65%,
rimodulando le quote di ricavi spettanti ai tre protagonisti della filiera:
imprese produttrici, grossisti e farmacisti.
Sarebbe quindi evidente, ad avviso dell’A.I.F.A., la
carenza di interesse, da parte dell’appellante, a svolgere siffatto motivo di
censura.
38.3.4. L’eccezione di inammissibilità, anche rispetto
a tale terzo ed ultimo dedotto profilo, deve essere al pari degli altri due
disattesa.
38.3.5. L’appellante non ha certo inteso farsi latrice
di interessi facenti capo ad altri soggetti della filiera, quali sono i
grossisti, né semplicemente sottolineare e lamentare, sul piano economico, il
vantaggio, in termini di maggiori ricavi, che i farmacisti ricevono dalla
manovra, ma ha censurato gli atti dell’A.I.F.A., assumendone l’illegittimità
propria e derivata dalla denunciata illegittimità costituzionale dell’art. 11,
comma 6, del d.l. 78/2010, a tutela della propria sfera giuridica soggettiva e
di un proprio specifico interesse, in qualità di impresa produttrice di farmaci,
a non veder compressa la propria libertà di iniziativa economica da interventi
legislativi ritenuti contrari a parametri costituzionali e da provvedimenti
amministrativi asseritamente illegittimi.
38.3.6. Emerge dunque, sotto tale aspetto, piena e
nitida la sussistenza di un interesse ad agire, personale e concreto, in capo
all’odierna appellante e appare, per converso, altrettanto chiara
l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità sul punto sollevata.
39. Ciò premesso sull’eccezione preliminare di inammissibilità,
siccome sviluppata e articolata nel suo triplice profilo dall’A.I.F.A., occorre
ora esaminare singolarmente le censure mosse dall’odierna appellante.
40. Con il primo motivo Servier Italia s.p.a. ha
dedotto, in primo grado, e riproposto, in questa sede, la violazione dei
principi di ragionevolezza e di proporzionalità di cui agli artt. 3 e 41 Cost.
40.1. L’appellante sostiene che la temperie storica e
il panorama normativo, nel contesto dei quali ebbe a pronunciarsi la sentenza
della Corte costituzionale n. 279/2006, dianzi citata ed esaminata, sarebbero
radicalmente mutati, sicché sarebbe necessario, diversamente da quanto ha
ritenuto il T.A.R. che l’ha giudicata manifestamente infondata, riproporre alla
Corte costituzionale la questione di legittimità di una normativa che, ormai
sistematicamente e non più solo per episodiche e temporanee esigenze, come al
tempo ritenne la Corte, interviene a modificare il prezzo dei farmaci,
incidendo in modo ormai non più tollerabile e sistematico sull’iniziativa
economica delle imprese farmaceutiche.
40.2. Servier Italia s.p.a. ha sottolineato i presunti
elementi di diversità dell’attuale contesto rispetto a quello sul quale la
Corte costituzionale si pronunciò nel 2006.
40.3. In particolare, ricordandole qui in estrema
sintesi, essa ha evidenziato che:
1) la riduzione dell’1,83% di cui si discute non è una
misura isolata ed estemporanea, come accade nell’ipotesi esaminata dalla Corte,
ma si aggiunge ad una serie ormai più che decennale di misure legislative ed
amministrative, sopra ricordate in premessa, di riduzione dei prezzi e di
limitazione degli utili che avrebbero colpito, quasi esclusivamente, la
categoria dei produttori di specialità medicinali, al punto che la “somma” di
tali interventi travalicherebbe ormai ampiamente i limiti costituzionali di
ragionevolezza;
2) i prezzi dei farmaci, in Italia, sono mediamente
più bassi del 15-20% rispetto a quelli degli altri Paesi europei aventi sistemi
comparabili a quello italiano, e ciò dimostrerebbe, ad avviso dell’appellante,
come il potere di contrattazione del prezzo dei farmaci, che differenzierebbe
la posizione dei produttori da quelli degli altri operatori della filiera, ha
perso dal punto di vista economico gran parte della sua consistenza ed incide
scarsamente sul ricavo che ne ha il produttore;
3) la consistenza, anche concettuale, del meccanismo
così detto del “prezzo concordato” è ormai fortemente ridotta anche sul
piano normativo, posto che, con riferimento agli ormai molti farmaci presenti
in lista di trasparenza, l’art. 11, comma 9, del d.l. 78/2010 ha attribuito
all’AIFA il potere di determinare il rimborso “sulla base di una
ricognizione dei prezzi vigenti nei Paesi dell’Unione europea”, ponendo
anche il vincolo che il nuovo livello dei prezzi deve essere stabilito “in
misura idonea a realizzare un risparmio di spesa non inferiore a 600 milioni di
euro che restano nelle disponibilità regionali”, tanto che essi sono stati
ridotti autoritativamente fino a livelli pari al 40%;
4) è stato introdotto un nuovo sistema di regolazione
della spesa farmaceutica territoriale con l’art. 5 del d.l. 159/2007,
convertito nella l. 222/2007, fondato sulla previsione di un tetto di spesa
nazionale e sull’assegnazione ad ogni azienda farmaceutica di un budget annuale
di spesa, con possibilità di recuperare l’eventuale spesa eccedente con un
sistema di pay-back addossato alle imprese farmaceutiche
proporzionalmente allo sfondamento da queste fatto registrare sul proprio budget,
con la conseguenza che l’eventuale incremento dei ricavi, dovuto all’aumento
della domanda dei farmaci, non si traduce più, per le imprese farmaceutiche,
come era stato all’epoca supposto dalla Corte, in un aumento dei profitti;
5) l’aleatorietà, nel suo complesso, di un sistema di
mercato nel quale non è possibile previsioni attendibili circa i ricavi attesi,
che si traduce nell’impossibilità di programmare l’attività di impresa non
tanto sotto l’aspetto produttivo, ma soprattutto sotto quello della ricerca e
dell’innovazione.
40.4. Tutti questi elementi, ad avviso
dell’appellante, stanno a significare che il sistema sul quale fondò le sue
argomentazioni e trasse le sue conclusioni la sentenza n. 279/2006 della Corte,
che invece il T.A.R. Lazio ha ritenuto ancora attuale respingendo il ricorso promosso
in prime cure, è stato superato nei fatti e sotto la spinta di una emergenza
continua, di cui non è possibile prevedere la fine, sicché quel sistema
normativo, che costituiva il presupposto della pronuncia, non esiste più ed è
stato sostituito da un meccanismo ormai permanente, assai gravoso e sempre più
erosivo dei profitti, del tutto svincolato dai costi di produzione, dagli
investimenti per la ricerca e, non da ultimo, dall’utile di impresa che, in
definitiva, costituisce lo scopo ultimo dell’attività dei produttori
farmaceutici.
40.5. L’impresa appellante sottolinea, in questo –
asseritamente – mutato contesto, il meccanismo gravemente penalizzante
introdotto dal d.l. 78/2010 che, a suo avviso, bloccherebbe o, comunque,
limiterebbe fortemente la possibilità di libera crescita e di sviluppo delle
imprese farmaceutiche e, quindi, anche della propria.
40.6. Il nuovo prelievo di ricchezza imposto alle
imprese in favore delle Regioni sarebbe illegittimo, poi, perché prescinde dai
costi di produzione sopportati dalle stesse imprese e, quindi, contrasterebbe
ulteriormente con l’art. 41 Cost.
40.7. In conclusione, secondo la tesi in esame, il
sistema della determinazione del prezzo dei farmaci, rispetto al momento in cui
è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 279 del 7.7.2006, è
radicalmente mutato e non assimilabile a quello da essa esaminato, con la
conseguenza che è ben possibile, alla luce del nuovo quadro normativo,
richiedere un nuovo pronunciamento della Corte, non pregiudicato dagli esiti
della precedente sentenza, sulla ragionevolezza e sulla proporzionalità della
misura dettata dal legislatore con l’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010, nella
parte in cui ha imposto alle imprese farmaceutiche una riduzione del margine di
guadagno riservato ai produttori in una misura pari all’1,83% del prezzo al
pubblico dei medicinali rimborsati al S.S.N.
41. Di fronte a questi rilievi di affermata novità,
ribaditi con forza e analiticamente dettagliati anche in questa sede
dall’odierna appellante, il T.A.R. Lazio ha osservato, in senso contrario, che
permane invece tuttora valida e rimane condivisibile la conclusione del giudice
delle leggi nella sentenza n. 279/2006, secondo cui, nonostante le restrizioni,
il sistema vigente è ancora in grado di garantire alle aziende farmaceutiche,
se intelligentemente gestite, “un più ridotto ma ragionevole margine di
utile”, con la conseguenza che, nei loro confronti, risultano rispettati
dal legislatore, ancor oggi e di nuovo, i principi costituzionali della proporzionalità
e della ragionevolezza.
41.1. D’altro canto, rileva ancora il primo giudice, i
dati ufficiali confermano questa conclusione, poiché, per quanto riguarda i
farmaci, l’Italia è ancora uno dei più grandi mercati, terza in Europa, quinta
nel mondo, e nel 2009 il fatturato è cresciuto del 4,4%, mentre la spesa
farmaceutica totale è aumentata dell’11,5% e, in termini pro capite, del 2,5%
tra il 2006 e il 2009.
42. L’appellante, nel ribadire la censura di
costituzionalità già sollevata in prime cure, ha criticato la sentenza
impugnata, che avrebbe erroneamente misconosciuto i rilevanti elementi di
diversità rispetto al passato sistema normativo, sul quale era stata chiamata a
pronunciare la Corte costituzionale nel 2006.
42.1. La sostanza della contestazione che fa questo
profilo l’appellante ha mosso contro la norma del d.l. 78/2010 – si legge
espressamente a p. 8 del ricorso in appello – si fonda sulla “circostanza
che, anche in questo caso, il legislatore ha deciso di addossare pressoché
l’intero carico della manovra economica di risparmio sulla spesa pubblica sulla
categoria dei produttori di specialità medicinali (e, in parte, su quella dei
grossisti)”.
43. Ritiene il Collegio che la censura di
costituzionalità sia manifestamente infondata.
43.1. L’intero carico della manovra economica,
diversamente da quanto assume l’appellante, non è stato addossato solo sulla
categoria dei produttori, ma anche su quella dei grossisti, che hanno visto
ridurre la loro quota dal 6,65% al 3%.
43.2. Ora è vero, come sostiene l’appellante, che la
diminuzione del 3,65% imposta ai grossisti è stata in parte riversata in sede
di conversione sui produttori, che sono stati chiamati a pagarne la metà allo
Stato, nella misura dello sconto obbligatorio pari all’1,83%, ma questo
sacrificio aggiuntivo si colloca nel contesto di una complessa manovra
economica, intesa, da un lato, a ridurre la spesa sanitaria e, dall’altro, ad
acquisire risorse per finanziarla, incamerando una parte dei ricavi conseguiti
dagli attori della filiera dalla vendita al pubblico dei farmaci di fascia A.
43.3. In sede di conversione il legislatore,
ricalibrando le quote di spettanza dei protagonisti della filiera del farmaco,
ha deciso di dimezzare la quota spettante ai grossisti (passata dal 6,65% al
3%), attribuendo formalmente la parte di quota loro sottratta ai farmacisti, di
aumentare sostanzialmente dell’1,83% quella dei farmacisti, tenuti a versare
solo metà dell’aumento loro attribuito, mediante lo sconto dell’1,82%, e di
ridurre, invece, dell’1,83% quella dei produttori, chiamati a corrispondere lo
sconto obbligatorio nella corrispondente misura.
43.4. Appare evidente come il peso della manovra non
sia ricaduto solo sui produttori, ma anzitutto sui grossisti, la cui quota
iniziale del 6,65% non solo è stata più che dimezzata, con la sottrazione del
3,65%, ma anche attribuita – per la metà e, cioè, nella misura dell’1,83% – ai
farmacisti, tenuti a corrispondere una somma pari all’1,82%.
43.5. Tale aumento della quota attribuita ai
farmacisti – l’1,83% – è stato compensato con lo sconto obbligatorio imposto ai
produttori da corrispondere, in pari percentuale, in favore delle Regioni.
43.6. La rimodulazione delle quote fa parte di un
disegno complessivo e di più ampio respiro, perseguito dal legislatore, che il
Collegio ritiene non possa essere tacciato o sospettato di irragionevolezza o
di arbitrarietà.
43.7. Il legislatore ha ritenuto, in altri termini, di
riproporzionare le quote di spettanza a quello che, nella sua discrezionale e
non irragionevole valutazione, era l’effettivo apporto economico dei diversi
protagonisti della filiera del farmaco, senza tuttavia stravolgere – per
l’esiguità percentuale dell’intervento (l’1,83%) – la quota spettante ai
produttori.
44. L’appellante non ha spiegato perché e in quale
misura questo intervento, in fondo modesto se rapportato all’ampio margine di
guadagno già riconosciutole, dovrebbe ritenersi irragionevole e sproporzionato
e, perciò, travalicante il limite della sopportabilità, paralizzando la sua
potenzialità di crescita economica, soprattutto ove si consideri che tale
modifica, che certo costituisce un prelievo di ricchezza e una riduzione del
profitto, è stata adottata temporaneamente, nella previsione e nell’attesa
dell’adozione di una nuova metodologia di remunerazione delle farmacie erogati in
regime di Servizio sanitario nazionale.
44.1. Non si tratta, dunque, di una modifica “a
regime”, ma di una misura provvisoria, per quanto di non breve durata,
destinata ad essere soppiantata da un nuovo e più organico sistema
remunerativo, siccome ora prevede l’art. 15, comma 2, del d.l. 95/2012, per
quanto tuttora il nuovo metodo sia ancora in fase di gestazione.
Ritiene quindi il Collegio, come già il giudice di
prime cure, che permangano tuttora valide le ragioni che hanno indotto la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 279 del 7.7.2006, a respingere analoga
questione di costituzionalità.
44.2. Gli elementi addotti dall’appellante a sostegno
di una nuova remissione della questione della Corte, per la pretesa novità del
quadro normativo rispetto all’epoca della pronuncia, non sembrano al Collegio
tali da poter rimettere in discussione quanto la Corte rilevò già all’epoca, sì
da poter giustificare nuovamente un dubbio di non manifesta infondatezza della
normativa relativa allo sconto obbligatorio sui farmaci.
44.3. Dalla “sommatoria” di tali interventi non può
infatti trarsi la conclusione, propugnata invece dall’appellante, che il
sistema sia divenuto nel suo complesso insostenibile per le imprese
farmaceutiche, svuotando di contenuto e privando di profitto l’esercizio
dell’attività economica in questa materia.
44.4. Non può ignorare l’appellante, impresa
specializzata del settore farmaceutico, che quello dei farmaci di fascia A,
rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale, non può definirsi un vero e proprio
“mercato”, come ha ben rilevato anche la Corte costituzionale, nel quale operi
la logica del profitto pura o le dinamiche concorrenziali di un normale
mercato.
44.5. Ciò non è e non è mai stato, nel nostro sistema
legislativo, né può essere, perché, fermo restando che alle imprese
farmaceutiche deve essere garantito un margine di utile ragionevole e
remunerativo, di fatto non intaccato dall’esiguità percentuale dello sconto qui
contestato, proprio per i farmaci di fascia A si pone, con maggior evidenza e
maggior incidenza, il bisogno incomprimibile di garantire al più ampio numero
di cittadini la più ampia gamma di farmaci essenziali o per malattie croniche
senza, però, nel contempo aggravare ulteriormente, oltre i limiti della
sostenibilità finanziaria di un’economia nazionale già in crisi, il bilancio
dello Stato.
45. La circostanza che tale contenuto sacrificio gravi
anche – e non solo – sui produttori, nell’economia dell’intervento legislativo,
non appare né irragionevole né sproporzionata, posto che, come ha riconosciuto
la Corte costituzionale nella sentenza n. 279 del 7.7.2006, nella c.d. filiera
del farmaco i produttori occupano una posizione del tutto peculiare e
preminente, essendo gli unici attori della filiera a concorrere, direttamente e
incisivamente, a determinare il prezzo contrattato dei farmaci rimborsabili
(delibera CIPE n. 3 del 1.2.2011), conoscendone e indicandone i fattori
rilevanti (rapporto costo-efficacia, domanda, prezzi di altri farmaci, con una
c.d. asimmetria informativa che costituisce e comporta un indubbio vantaggio,
anche in termini economici, rispetto agli altri soggetti della filiera.
45.1. E sono sempre i produttori stessi, ha osservato
ancora la Corte, a poter incidere significativamente sulla variabile della
domanda, essendo in grado di incrementarne il volume attraverso la promozione e
la diffusione.
45.2. Ciò non autorizza il legislatore, naturalmente,
a mortificare l’iniziativa economica delle imprese farmaceutiche in misura e
con modalità tali da annullarne gli utili o da paralizzarne l’attività, ciò che
del resto nemmeno la stessa appellante ha lamentato, ma nemmeno impedisce alla
legge di intervenire sui profitti che le aziende farmaceutiche conseguono dalla
vendita dei farmaci di fascia A, riducendone il margine di utile.
45.3. Il legislatore non ha inteso insomma espropriare
i profitti delle imprese farmaceutiche, sacrificando la loro libertà economica
protetta dall’art. 41 Cost., ma solo imporre un modesto prelievo su tali utili
in misura da garantire, insieme, un risparmio della spesa sanitaria in ambito
farmaceutico, incidendo temporaneamente – fino all’adozione di un nuovo sistema
– sui profitti dei produttori nel perseguimento di un interesse pubblico,
certamente – come meglio si dirà – preminente su quello egoistico da essi fatto
valere, all’erogazione di essenziali livelli di assistenza farmaceutica.
45.4. Ciò del resto il legislatore ha fatto anche in
riferimento alla quota dei grossisti, imponendo ai farmacisti di riversare allo
Stato lo sconto obbligatorio dell’1,82% appartenente alla quota loro sottratta.
45.5. Stima il Collegio, in conclusione, che anche nel
(parzialmente) mutato contesto normativo degli ultimi anni, determinato da
sempre più pressanti esigenze di contenimento della spesa pubblica in un
nevralgico settore, come quello dei servizi sanitari, e dalle straordinarie
contingenze negative che hanno colpito le economie di molti Stati tra i quali
l’Italia, non sia venuto meno quel ragionevole margine di guadagno che
costituisce indubbiamente, anche nel settore dei farmaci di fascia A, il nucleo
inviolabile e il fine incoercibile dell’iniziativa economica privata delle
imprese farmaceutiche, sicché non può dirsene lesa in termini irragionevoli e
sproporzionati, anche da tale ultimo intervento normativo, la libertà tutelata
dagli artt. 3 e 41 Cost.
45.6. La questione di costituzionalità sollevata in
riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., in quanto manifestamente infondata, deve
essere pertanto disattesa.
46. Con il secondo motivo l’appellante contesta la
violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all’art. 3
Cost., con conseguente affermata illegittimità derivata degli atti impugnati.
46.1. Dalla comparazione tra i sacrifici imposti alla
categoria dei produttori, con lo sconto obbligatorio dell’1,83%, e il diverso
trattamento riservato dal legislatore ai farmacisti, addirittura agevolati
dalla manovra in questione con l’aumento corrispondente dell’1,83% della quota
loro spettante, si evincerebbe, ad avviso dell’appellante, la manifesta
disparità di trattamento e la radicale diseguaglianza che viziano alla radice
il contestato intervento normativo.
46.2. La gravità dello sperequato trattamento
normativo, introdotto dal legislatore in sede di conversione, emergerebbe con
ancor maggiore chiarezza, secondo Servier Italia s.p.a., sol che si comprenda
come, nel confronto tra le categorie complessivamente coinvolte nel
fondamentale servizio di assistenza farmaceutica territoriale, gli oneri
vengano posti a carico di quella che investe nella ricerca per produrre
medicinali in grado di migliorare il livello della salute pubblica,
beneficiandosi all’opposto, a suo dire, una categoria che, semplicemente, “si
limita ad una funzione che è poco più che quella della distribuzione e consegna
all’assistito del farmaco prescritto dal medico” (p. 40 del ricorso in
appello).
46.3. L’appellante contesta, in particolare, che la
sentenza di prime cure, incorrendo in un grave error facti, abbia
completamente equivocato il senso della normativa contestata, siccome approvata
in sede di conversione, poiché non avrebbe compreso che con la l. 122/2010 i
farmacisti hanno visto sostanzialmente aumentare la quota dei ricavi a loro
spettante nella misura del 1,83% a tutto e ingiusto detrimento dei produttori,
diversamente da quanto prevedeva in origine il d.l. 78/2010.
47. Il motivo deve essere respinto, seppur con le
precisazioni che seguono, apparendo manifestamente infondata, anche per tal
riguardo, la questione di costituzionalità sollevata da Servier Italia s.p.a.
47.1. Si può convenire con l’appellante nel rilievo
che l’impugnata sentenza abbia trascurato o mal compreso il diverso assetto che
l’intera materia ha ricevuto, dapprima, nel testo del decreto-legge e,
successivamente, in quello modificato in sede di conversione.
47.2. Rispetto all’originaria previsione, contenuta
nel testo iniziale del decreto-legge, di una riduzione del 3,65% prevista per
la quota dei grossisti, con la previsione di un corrispondente sconto del 3,65%
da applicarsi sulla quota, aumentata virtualmente di pari importo, dei
farmacisti, si è passati in sede di conversione, come si è già accennato sopra,
alla previsione di un minor sconto dell’1,82% imposto ai farmacisti, che così
hanno visto effettivamente accrescere la loro quota dell’1,83%, e di uno
sconto, prima non contemplato, dell’1,83% ai produttori.
47.3. La fisionomia dell’intervento normativo ne è
uscita modificata e ricalibrata, poiché la manovra, in sede di conversione, non
è stata più neutra né per i farmacisti, che ne hanno tratto un beneficio, né
per i produttori, che ne hanno invece subito una limitazione.
47.4. Quando si legge, a p. 19 dell’impugnata
sentenza, che sarebbe inesatta l’affermazione “secondo cui il modificato
art. 11, comma 6, d.l. n. 78 del 2010 avrebbe riservato un trattamento di
favore ai soli farmacisti, essendo vero, al contrario, che il legislatore ha
posto rimedio all’intervento dell’Esecutivo i favore delle aziende
farmaceutiche, esonerate da ogni sconto, dividendo in parti eguali la
percentuale del 3,65% fra produttori e venditori”, si avverte nettamente
che il primo giudice non abbia compreso o non abbia debitamente considerato che
i farmacisti, nel subire, in sede di conversione, lo sconto del solo 1,82%, non
patiscono in realtà alcun decremento della loro quota, dato che essi hanno già
beneficiato dell’aumento del 3,65%, ma al contrario vedono, sostanzialmente,
aumentare la loro quota dell’1,83%, percentuale che viene invece addossata ai
produttori.
47.5. Tutto ciò è indubbiamente vero e, in tal senso e
solo in tal senso, coglie nel segno la censura dell’appellante.
48. Non merita condivisione, invece, la conclusione
che l’appellante ne trae in termini di sospetta incostituzionalità della
disciplina, così risultante, per una manifesta disparità di trattamento e per
la violazione del principio di eguaglianza.
48.1. Non pare al Collegio dubbio che il favor
legis riservato dall’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010, siccome
modificato in sede di conversione, alla categoria dei farmacisti, nell’ambito
della c.d. filiera del farmaco, risponda ad una legittima e, comunque, non
sproporzionata né arbitraria redistribuzione della ricchezza all’interno della
filiera stessa, non soltanto per la eccessiva differenza quantitativa ritenuta
evidentemente esistente dal legislatore tra la precedente quota assegnata ai
produttori e quella riservata ai farmacisti rispetto all’effettivo contributo
rispettivamente dato da questi alla rete distributiva dei farmaci di fascia A,
contributo che certo non può essere liquidato con il semplicistico e inesatto
rilievo dell’appellante che i farmacisti sarebbero meri “distributori” di
farmaci al cospetto della funzione propulsiva dell’industria farmaceutica, ma
anche per la volontà di aiutare l’anello evidentemente stimato dal legislatore
più debole della catena distributiva, quello dei farmacisti, in un evidente
momento di generalizzata crisi economica, rispetto alla posizione di maggior e
preponderante forza, imprenditoriale e contrattuale, di cui indubbiamente gode
la categoria dei produttori.
48.2. Ciò è reso evidente, ad esempio, dall’espressa
previsione, contenuta nell’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010, sempre nel testo
modificato in sede di conversione, che “l’ulteriore sconto dell’1,82 per
cento non si applica alle farmacie rurali sussidiate con fatturato annuo in
regime di Servizio sanitario nazionale, al netto dell’imposta sul valore
aggiunto, non superiore a euro 387.324,67 e alle altre farmacie con fatturato
annuo in regime di Servizio Sanitario Nazionale, al netto dell’imposta sul
valore aggiunto, non superiore a euro 258.228,45”.
48.3. Non sembra irragionevole né arbitrario, anche
per tale aspetto, l’intento legislativo di venire in aiuto alle farmacie in un
momento di crisi e in via d’urgenza, dispensando addirittura dallo sconto
dell’1,82%, come si evince dalla disposizione testé menzionata, talune
particolari categorie di farmacie particolarmente “disagiate” che risultino
avere un fatturato annuo in regime di Servizio sanitario nazionale inferiore a
certi livelli minimi.
48.4. Come meglio si dirà infatti, esaminando il
relativo motivo di censura, il principio dell’autonomia contrattuale, secondo
cui le quote, come si è accennato supra, possono essere modificate solo
previo accordo tra i produttori e l’A.I.F.A., non gode né di efficacia assoluta
né di tutela incondizionata nel nostro ordinamento, secondo quanto ha già
rilevato la Corte costituzionale stessa, sicché ben può il legislatore
intervenire d’imperio, nel contenere la spesa pubblica mediante prestazioni
patrimoniali imposte, anche redistribuire la ricchezza tra i soggetti della
filiera in un più vasto e lungimirante disegno di riorganizzazione della spesa
sanitaria.
48.5. Perché tutto ciò sia iniquo e irragionevole nel
caso di specie, di fronte alla indubbia ineguaglianza sostanziale tra la
preponderante forza economica delle imprese farmaceutiche e quella, sicuramente
inferiore per quanto non irrilevante, dei farmacisti, l’appellante non ha
potuto né inteso chiarire, limitandosi ad una generica ed apodittica censura di
disuguaglianza che ignora, volutamente, le complesse ragioni e le molteplici
direttrici dell’intervento normativo nel suo complesso.
48.6. È proprio dal complesso di tale intervento,
infatti, e da un’integrale lettura dell’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010 che
si può evincere come anche ai farmacisti sia stato imposto, pro quota,
un non insignificante sacrificio in nome dell’interesse pubblico.
48.7. Lo sconto di cui è controversia, giova qui
infine aggiungere, dev’essere comunque considerato e contestualizzato, sia sul
piano sistematico che su quello cronologico, nella cornice predisposta
dall’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010, una cornice improntata ad una
provvisorietà, come accennato, evidente e dichiarata sin dal primo periodo
della disposizione, laddove si legge che la ripartizione delle quote è adottata
“in attesa dell’adozione di una nuova metodologia di remunerazione delle
farmacie per i farmaci erogati in regime di Servizio sanitario nazionale”,
e nel contempo ispirata ad una finalità, seppur non ultima ma altrettanto
dichiarata dalla disposizione, di assicurare comunque ai farmacisti la quota
del 30,35%, “che deve intendersi come quota minima a questi spettante”.
49. Per tutte le esposte ragioni, quindi, anche tale
secondo motivo di censura dev’essere respinto, apparendo manifestamente
infondata la censura di costituzionalità.
50. Miglior sorte non arride nemmeno al terzo motivo
di censura, a mezzo del quale l’odierna appellante ha dedotto la questione di
illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010 rispetto
all’art. 3 Cost. in combinazione con altri parametri costituzionali e, in
particolare e rispettivamente, con gli artt. 4, 9, 41 e 53 Cost.
50.1. L’addossamento del contestato sconto
all’industria farmaceutica a tutto vantaggio del settore commerciale dei
farmacisti, assume l’appellante, risulterebbe costituzionalmente illegittimo,
perché irragionevole, in rapporto a principi fondamentali come quello della capacità
contributiva (art. 53 Cost.), del diritto al lavoro (art. 4 Cost.), della
ricerca scientifica (art. 9 Cost.) e, ancora una volta ma sotto diverso
profilo, della libertà d’impresa (art. 41 Cost.).
50.2. Quanto al primo aspetto, infatti, sostiene Servier
Italia s.p.a. che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in
ragione della loro capacità contributiva, mentre nel caso di specie ciò non è
avvenuto perché il prelievo di ricchezza è stato subito solo dalla categoria
dei produttori, mentre alla base della misura di risparmio vi sarebbe, invece,
la redistribuzione delle quote di spettanza tra farmacisti e grossisti.
50.3. Appare all’appellante del tutto irragionevole,
allora, che gli oneri conseguenti alla manovra vengano riversati su una categoria
di operatori, i produttori, che sono o – almeno nell’originario impianto del
decreto-legge erano – del tutto estranei a tale redistribuzione di quote tra
farmacisti e grossisti, non ricevendone alcun vantaggio.
50.4. Non soltanto tale scelta sarebbe irrazionale, ma
violerebbe il nesso, imposto dalla Costituzione, tra imposizioni tributarie e
capacità contributiva.
50.5. Verrebbe cioè meno nell’assetto voluto dalla
legge di conversione, secondo l’appellante, il “presupposto al quale la
prestazione è collegata”, attraverso il quale unicamente è consentito il
sindacato di legittimità costituzionale sull’assoluta irragionevolezza
dell’imposizione.
50.6. Quanto agli artt. 4, 9 e 41 Cost., dei quali
pure si deduce e lamenta la violazione, Servier Italia s.p.a. osserva che
l’addossare un onere economico all’industria farmaceutica ad esclusivo
vantaggio dei farmacisti, aggiungendo un ulteriore sacrificio a quelli già
pesanti subiti dai produttori, significa colpire proprio quella parte degli
operatori del settore che investe nella ricerca, che consente progresso e
innovazione, e che produce lavoro e occupazione in misura certo
incomparabilmente superiore a quella degli altri operatori del settore.
50.7. Evidente sarebbe, sotto tal riguardo, la
violazione non solo dell’art. 3 Cost., ma anche degli artt. 4, 9 e 41 Cost.,
rimanendo più penalizzata quella parte del settore farmaceutico che più
contribuisce a sviluppare la ricerca e a incrementare l’occupazione.
50.8. Ne risulta anche fortemente colpita e avvilita
la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost., che verrebbe
resa solo “teorica” dai pesi complessivamente imposti al settore, anche alla
luce di tutti gli interventi del legislatore, incisivi se non addirittura
invasivi, di cui si è fatto cenno.
51. Il T.A.R. Lazio ha ritenuto di dover disattendere
la censura, ritenendo erroneo l’addebito, mosso dall’odierna appellante
all’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010, di aver addossato la grandissima parte
dei costi della manovra nel settore farmaceutico, penalizzando solo alcuni
operatori della filiera del farmaco.
51.1. Il giudice di prime cure ha poi svalutato il
contributo dato dall’industria farmaceutica alla ricerca nazionale, rilevando
che gli investimenti effettuati dalle imprese produttrici sarebbero in realtà
assai contenuti a fronte della scelta di acquistare principi attivi frutto di
ricerche condotte all’estero o di importare farmaci all’estero prodotti, ed ha
altresì ritenuto irrilevante l’apporto fornito dalla stessa industria
all’occupazione rispetto a quello offerto dagli altri operatori della filiera,
soggiungendo che si tratta, a suo avviso, di “differenza che dipende
esclusivamente dalla natura dell’attività che ciascuna categoria professionale
svolge, dalla quale, anche sotto il profilo della logica pura, non possono
farsi discendere speciali meriti o demeriti” (p. 25 dell’impugnata
sentenza).
52. L’appellante ha criticato le argomentazioni del
T.A.R. Lazio, censurando ancora una volta l’errore di fondo, nel quale sarebbe
incorso per aver mal compreso o mal apprezzato il senso della normativa
risultante dalla legge di conversione, e stigmatizzandone l’impianto di fondo,
eccessivamente e ingiustamente svalutativo degli apporti forniti dalle
industrie farmaceutiche alla ricerca e all’occupazione.
53. Ritiene il Collegio che la censura, seppur con le
precisazioni che ora seguiranno, debba essere anch’essa disattesa, apparendo la
questione di costituzionalità, anche per i dedotti profili di violazione degli
artt. 3, 4, 9, 41 e 53 Cost., manifestamente infondata.
53.1. È ancora una volta esatto il rilievo
dell’appellante, secondo il quale il primo giudice non ha ben compreso, come si
è già visto, il significato della normativa approvata in sede di conversione
del decreto legge, apparendo chiaro l’errore del T.A.R. nel non aver compreso
che ai farmacisti veniva attribuita la quota dell’1,83%, sottratta ai
grossisti, e che veniva contestualmente imposto ai produttori di applicare uno
sconto di pari percentuale sulla quota di propria spettanza.
53.2. Ma ancora una volta, ammesso che la misura in
questione abbia natura tributaria, come pure l’appellante sostiene, non è
condivisibile la conclusione, che questa pur sempre ne trae, di sospetta
illegittimità della disciplina normativa in oggetto, anzitutto in rapporto
all’art. 53 Cost., di cui l’appellante non sembra cogliere tutte le
implicazioni.
53.3. Vero è che il principio di capacità
contributiva, affermato dall’art. 53 Cost., impone che “tutti”
contribuiscano secondo le loro capacità a finanziare le spese pubbliche, ma non
tutti e comunque indiscriminatamente, prescindendo da quanto possano in termini
di forza economica, poiché tale principio deve essere letto in combinato
disposto con il più generale principio dell’art. 3, comma secondo, Cost.
53.4. Come riconosce la costante giurisprudenza della
Corte costituzionale, infatti, il dovere di contribuzione non può prescindere,
ma anzi deve muovere dalla diversa capacità economica e dalla diseguaglianza
sostanziale dei soggetti incisi, sicché, per dirla in sintesi, più dovrà chi
più potrà.
53.5. Lo stesso giudice delle leggi ha chiarito in una
sua fondamentale pronuncia, molti anni or sono, che dall’art. 53 Cost., in
combinato disposto con l’art. 3 Cost., discende il principio di “eguaglianza
tributaria”, in base al quale “a situazioni eguali devono corrispondere
uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un
trattamento tributario diseguale” (Corte cost., 6.7.1972, n. 120).
53.6. Il fondamento solidaristico della capacità
contributiva, per altro verso, non può che condurre ad un maggior prelievo di
ricchezza da parte dei soggetti che manifestano una capacità economica
maggiore, quali appunto, nel caso di specie e incontestabilmente, sono i
produttori, e può comportare una redistribuzione di tale ricchezza in favore
dei soggetti che, anche all’interno del medesimo settore economico, sopportano
oneri e/o difficoltà soverchianti o, comunque, sproporzionati rispetto alla
loro attuale capacità, quali sono appunto i farmacisti.
53.7. Questo spostamento di ricchezza comporta un
riequilibrio dell’intero settore farmaceutico e, quindi, un beneficio, per
quanto indiretto, all’intera filiera del farmaco nel suo complesso e, per
questa via, all’intera collettività.
54. Ora non è dubbio che la manovra in questione abbia
avuto, tra le altre, anche questa finalità redistributiva della ricchezza – in
termini di profitti derivanti dalla vendita al pubblico dei farmaci di fascia A
– tra le diverse categorie della filiera del farmaco, sicché, se anche si voglia
muovere dal presupposto che l’intero intervento normativo abbia carattere di
imposizione tributaria, come sostiene l’appellante sulla scorta di quanto
affermato dalla Corte costituzionale, non si può disconoscere che esso, proprio
per tale affermata natura, non appaia misura irragionevole né arbitraria, ma
anzi corretta applicazione dei principi costituzionali in questa materia, nel
loro complesso, e in particolare del principio quello di eguaglianza
sostanziale, nella sua specifica – ed affermata – declinazione di “eguaglianza
tributaria”, e di quello solidaristico.
55. E ciò senza dire, peraltro, che anche i
farmacisti, seppur in forma diversa e per quanto si è già sopra rilevato, hanno
subito anch’essi un sacrificio dalle misure di contenimento e di contingentamento,
imposte dall’art. 11 del d.l. 78/2010 e nel loro complesso considerate.
56. Quanto alle dedotte violazioni degli artt. 3, 4,
9, e 41 Cost., che possono essere insieme esaminate insieme per la loro intima
connessione, rileva il Collegio che esse devono essere disattese per la
irrilevanza delle stesse.
56.1. Per quanto non sembrino condivisibili infatti le
argomentazioni del primo giudice, che ha inteso contrapporre alle
argomentazioni stereotipe della ricorrente ragioni altrettanto stereotipe di
segno contrario, rileva il Collegio che la questione di costituzionalità, nei
termini con i quali è formulata, appare del tutto generica e inconferente, ai
fini del presente giudizio, dato che l’appellante non ha in alcun modo
dimostrato se e in che misura la contestata imposizione dello sconto
obbligatorio abbia effettivamente inciso sulla ricerca scientifica e
sull’assunzione di lavoratori.
56.2. Non è stata allegata, prima ancor che provata,
alcuna contrazione della ricerca scientifica o diminuzione del personale che
sia solo lontanamente riconducibile, sul piano eziologico, alla misura di cui
si controverte, sicché non è dato comprendere al Collegio la rilevanza di una
simile questione, che si limita ad una mera affermazione di principio o, per
meglio dire, ad una petitio principii priva di qualsivoglia
concreto riferimento alla situazione sostanziale di cui si lamenta nel presente
giudizio la lesione.
56.3. L’appellante non può ignorare che la scelta di
investire nella ricerca scientifica o di assumere dipendenti e collaboratori,
da parte di un’impresa farmaceutica, dipende da tante e tanto complesse
valutazioni, sul piano della politica industriale, e da altrettante e
altrettanto numerose variabili, sul piano delle strategie aziendali, che non
può essere imperniata sulla logica del mero (aumentato o ridotto) profitto, non
essendovi un nesso di necessaria derivazione causale tra riduzione del
profitto, peraltro in misura percentuale esigua e in riferimento ai soli
farmaci di fascia A, e asserito – ma mai dimostrato – calo degli investimenti
nella ricerca o dell’occupazione o addirittura totale, ancorché indimostrata,
compressione della libertà d’impresa.
56.4. È evidente, quindi, che la censura si fonda su
un ragionamento apodittico che, in quanto tale, non basta a sostanziare di
concreto e apprezzabile contenuto argomentativo, sul piano processuale, il
motivo di censura, la cui irrilevanza, prima ancor che infondatezza, appare
manifesta ai sensi e per gli effetti dell’art. 23 della l. 87/1953.
57. Con un ulteriore motivo di censura l’odierna
appellante ha lamentato, avanti al T.A.R., la violazione degli artt. 3 e 41
Cost., da parte dell’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010, laddove questo avrebbe
inciso sul legittimo affidamento riposto dalle imprese farmaceutiche in ordine
a quanto pattuito in sede di contrattazione del prezzo e delle condizioni di
cessione dei medicinali di fascia A al Servizio sanitario nazionale.
57.1. La Corte costituzionale, assumeva la ricorrente
in prime cure, aveva da tempo precisato come tale principio, benché non
espressamente menzionato nella Carta fondamentale, avesse certamente dignità
costituzionale.
57.2. Numerose pronunce da parte del giudice delle
leggi, infatti, avevano colto le connessioni esistenti tra i suoi contenuti e
la tutela dell’iniziativa economica privata che, proiettata per sua natura in
una dimensione dinamica, non tollererebbe mutamenti in itinere delle
“regole del gioco”.
57.3. L’affidamento del cittadino sulla stabilità e
sulla certezza delle situazioni giuridiche soggettive costituirebbe, in tale
prospettiva, uno degli elementi fondamentali dello Stato di diritto e
costituirebbe espressione di un principio formalmente riconducibile alla
clausola generale di ragionevolezza delle leggi, di cui all’art. 3 Cost., che
non può essere leso da disposizioni retroattive che trasmodino in un
regolamento irrazionale di situazioni sostanzialmente fondare su leggi
preesistenti.
57.4. Tali principi si applicherebbero, secondo quanto
ritiene ancora la costante giurisprudenza costituzionale, non solo alle ipotesi
nelle quali la norma di legge opera in deroga al canone tempus regit
actum, spiegando effetti giuridici che si riverberano negativamente su
situazioni già trascorse o che si ricollegano a fattispecie esauritesi nel
passato (c.d. irretroattività in senso proprio), ma anche nelle ipotesi in cui
il legislatore si sia limitato a modificare per il futuro, in senso sfavorevole
per i beneficiari, le condizioni di rapporti giuridici di durata in
itinere e fondati su leggi preesistenti (c.d. retroattività in senso
improprio), e dunque anche ad una disposizione di legge che, come l’art. 11,
comma 6, del d.l. 78/2010, indiscutibilmente incide in modo determinante
sull’affidamento tutelato delle imprese in ordine alla stabilità dell’assetto
giuridico determinatosi al momento in cui queste hanno stipulato i contratti di
cessione delle proprie specialità medicinali al Servizio Sanitario Nazionale.
57.5. La manovra in questione, secondo l’appellante,
non soltanto introdurrebbe un nuovo meccanismo di rimborsabilità dei medicinali
equivalenti, che si risolverà nel mutamento autoritativo del loro prezzo
contrattato, ma introduce anche, in via generale, lo sconto ulteriore
dell’1,83% da restituire alle Regioni nella forma del pay back.
57.8. Tale sconto andrebbe ad incidere sui ricavi
relativi al singolo medicinale sui quali l’impresa ha fatto affidamento in sede
di contrattazione per la collocazione in fascia A, cambiando “in corsa”
le regole del rapporto in Servizio Sanitario Nazionale, ma ciò determinerebbe,
appunto, una violazione del principio costituzionale dell’affidamento del
cittadino sulla stabilità e certezza delle situazioni giuridiche soggettive di
vantaggio discendenti da regolari contrattazioni svoltesi con la pubblica
autorità.
58. Il T.A.R. Lazio ha ritenuto la questione di
costituzionalità, sollevata sul punto, manifestamente infondata.
58.1. Il giudice di prime cure ha osservato che non
esiste né la ricorrente ha individuato alcuna legge che, relativamente alla
materia in questione, abbia dichiarato l’immutabilità, nel tempo, delle sue
statuizioni.
58.2. Ha soggiunto il T.A.R. Lazio che è irragionevole
che la questione sia stata proposta da un operatore economico che pretende dal
legislatore un’immutabilità delle sue determinazioni che il libero mercato, di
cui è frequentatore abituale, non gli garantisce affatto, pur essendo comuni al
settore pubblico e a quello privato la necessità di costante adeguamento del
prefissato al nuovo sistema che si presenta.
58.3. Ritenere che il progressivo aumento dei costi –
che il Servizio sanitario nazionale sopporta e al quale in larga misura
concorre non solo il continuo aumento di prezzi fissati dalle imprese
farmaceutiche, ma anche la periodica immissione, sul mercato, di nuovi prodotti
di più largo consumo e, sovente, di derivazione straniera da parte delle stesse
imprese – debba considerarsi ininfluente sui rapporti economici e organizzativi
intercorrenti tra Servizio sanitario e produttori di farmaci sarebbe, secondo
il primo giudice, una pretesa priva di supporto logico e che da tempo sarebbe
stata condannata nella giurisprudenza sia del giudice delle leggi che di quello
europeo.
58.4. La sentenza impugnata, in particolare, ha posto
l’accento su quell’indirizzo della Corte costituzionale che ha dichiarato
legittimi e doverosi gli interventi correttivi, che si impongono con
immediatezza a tutti coloro che, a diverso titolo, sono presenti nello
specifico settore, atteso che la necessità di assicurare compatibilità ed
equilibrio fra spesa sostenibile e qualità e quantità del servizio da erogare
alla collettività costituisce regola indefettibile, in quanto dettata a tutela
dell’interesse generale, a fronte del quale l’interesse del privato fornitore
della prestazione, peraltro liberamente offerta, deve ritenersi, nei limiti
della ragionevolezza, recessivo.
58.5. A corroborare tale convincimento il T.A.R. Lazio
ha richiamato anche le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte di
Giustizia, secondo cui i criteri, in base ai quali deve essere effettuata da
parte degli organi pubblici la periodica verifica delle condizioni
macroeconomiche, possono legittimamente comportare per essi anche la necessità
di un immediato intervento correttivo sul prezzo dei farmaci, da far gravare
esclusivamente sulla spesa farmaceutica.
58.6. Ove i risultati di dette verifiche lo
giustifichino, infatti, lo Stato membro può adottare le misure di riduzione dei
prezzi di tutte le specialità medicinali o di certe loro categorie più volte
nel corso di un unico anno e nel ripetersi di molti anni.
58.7. Da qui discende, secondo il giudice di prime
cure, la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità sollevata.
59. L’appellante, nel censurare la sentenza impugnata
anche in parte qua, ha osservato in senso critico che, pur
tralasciando ogni improprio riferimento da parte del primo giudice, per i
farmaci di fascia A, al libero mercato, che non è sostenibile sul piano
normativo, il T.A.R. Lazio confonderebbe tra la mutevolezza delle leggi, che è
un ovvio principio, con la stabilità delle pattuizioni già stipulate, che non
solo risponde al principio fondamentale sul quale si fonda il diritto –pacta
sunt servanda – ma è condizione imprescindibile per qualsivoglia
intervento economico.
59.1. Ciò che colpisce, sostiene Servier Italia
s.p.a., non è la facoltà dello Stato di adeguare la domanda in relazione al
mutare delle condizioni economiche del Paese e modificare, in conseguenza, il
sistema di erogazione dell’assistenza farmaceutica, ma il trattare le imprese
farmaceutiche come una sorta – così si legge, con icastica espressione,
nell’atto di appello (p. 48) – di “bancomat”, uno sportello automatico
al quale attingere quando v’è bisogno, senza toccare altre categorie o
corporazioni con interventi di prelievo di ricchezza forse più scomodi o impopolari
sul piano politico.
59.2. L’appellante ha quindi inteso riproporre la
censura di costituzionalità, nei termini sopra esposti e ricordati, ritenendo
assolutamente erronea, al riguardo, la valutazione espressa dal primo giudice.
60. La censura, seppur con le precisazioni che qui
seguono, deve essere respinta, apparendo manifestamente infondata, anche per la
lamentata violazione dell’art. 41 Cost. sotto lo specifico profilo
dell’affidamento, la questione di costituzionalità.
60.1. Si può senz’altro e in linea di principio
condividere l’osservazione critica svolta dell’appellante, secondo cui non vi è
questione, nel caso di specie, di immutabilità delle leggi, che essa mai ha
inteso lamentare nel corso del giudizio, quanto piuttosto di modifica sopravvenuta, per
factum principis, di intese già raggiunte sui prezzi tra A.I.F.A. e
produttori, sicché non pare convincente, perché non pertinente, il riferimento
del primo giudice ad una pretesa immutabilità delle determinazioni normative,
principio mai invocato dall’odierna appellante.
60.2. Il motivo essenziale della censura si sostanzia
e si incentra, invece, nel rilievo che il legislatore non potrebbe violare, con
un intervento normativo ex post che incida sulla loro quota di
spettanza, l’affidamento riposto dalle imprese farmaceutiche sui prezzi
concordati con l’A.I.F.A. in base al c.d. principio negoziale, che costituisce,
come si è detto, la regola in subiecta materia.
60.3. La deroga introdotta dal legislatore violerebbe,
secondo la prospettiva dell’appellante, il principio fondamentale della regola pacta
sunt servanda, non potendosi disconoscere che il contratto ha forza di
legge tra le parti, ai sensi dell’art. 1372 c.c., e che esso deve essere
rispettato quindi anche dalla parte pubblica, senza violare successivamente le
intese raggiunte con le imprese e incidere ex post sui
“prezzi” contrattualmente stabiliti.
60.4. Rileva il Collegio che, in effetti, il giudice
delle leggi ha sottolineato con forza il principio dell’autonomia negoziale
(art. 1322 c.c.) in questa materia, osservando che le quote di spettanza sono
fissate direttamente dal legislatore nazionale che una “eventuale modifica
delle stesse è implicitamente rimessa all’autonomia contrattuale dei soggetti
del ciclo produttivo e distributivo attraverso convergenti dichiarazioni di
volontà” (Corte cost., 13.11.2009, n. 295).
60.5. La stessa Corte costituzionale, per altro verso,
ha sottolineato però che il principio dell’autonomia contrattuale e il sistema
del prezzo contrattato, in questo come in altri settori dell’ordinamento, non
costituiscono valori assoluti e inderogabili, poiché sullo sfondo, invero, dei
diversi interventi normativi succedutisi in materia si è sempre posta
l’esigenza di coniugare “una necessaria opera di contenimento della spesa
farmaceutica” con la garanzia che continuino ad erogarsi a carico del
Servizio sanitario nazionale i farmaci reputati, secondo un apprezzamento
tecnico-scientifico, idonei a salvaguardare il diritto alla salute degli
assistiti (Corte cost., 16.12.2011, n. 330).
60.6. Sorge da questa incomprimibile garanzia la
necessità di assicurare il rispetto di ben altri, fondamentali e, comunque,
prevalenti valori costituzionali, quali il diritto alla salute (art. 32 Cost.)
che, giova ricordarlo, non è solo uno dei diritti inviolabili e fondamentali
della persona (art. 2 Cost.), ma anche un diritto sociale, un “interesse
della collettività”, come lo definisce espressamente l’art. 32 Cost., che
alligna nel principio solidaristico e nel principio di eguaglianza sostanziale,
consentendo anche ai soggetti più deboli e alle classi sociali più disagiate di
accedere ad un’assistenza sanitaria, in primo luogo farmaceutica, essenziale
per i medicinali ritenuti indispensabili o per le malattie croniche.
61. Il diritto amministrativo, che di tali principi
nel settore sanitario – come, del resto, in molti altri settori dei servizi
pubblici – costituisce diretta emanazione, pur nel delicato contemperamento,
affidato alla cura dell’Amministrazione, tra interessi pubblici e privati,
assume la spiccata e moderna connotazione di un diritto inteso a disciplinare
un’amministrazione c.d. prestazionale (c.d. Leistungsverwaltung),
che eroga, cioè, servizi e prestazioni essenziali per il bene collettivo e per
la salute dei singoli.
61.1. Ora pare evidente al Collegio che il richiamo ai
principi contrattualistici e, in particolare, a quello dell’autonomia
contrattuale, pur costituendo l’orizzonte e il terreno nei quali si colloca, in
linea generale, la fissazione delle regole che disciplinano l’erogazione dei
farmaci di fascia A, non possa essere assunto a dogma insuscettibile di deroga
da parte del legislatore in un ambito nel quale, proprio per l’essenzialità
degli interessi coinvolti, il contemperamento con altri, talvolta divergenti e
senz’altro superiori valori costituzionali appare tanto più necessario e
delicato e richiede anche, d’imperio e in via d’urgenza, interventi
riequilibratori.
61.2. Ciò non discende solo dal rilievo, meramente
formale, che il principio dell’autonomia contrattuale in questa materia,
proprio in quanto introdotto da una legge ordinaria, da altra legge ordinaria,
per quanto successiva, possa essere derogato (o addirittura – e come sta
avvenendo per alcuni settori della distribuzione farmaceutica – abrogato),
poiché un simile argomento, di natura giuspositivistica e imperativistica, ben
potrebbe sottrarre a qualsiasi censura di irragionevolezza o di arbitrarietà
una legislazione che, anche al di fuori di qualsivoglia necessitata ed
equilibrata misura autoritativa, “tradisca” i patti raggiunti con i produttori
dei farmaci.
61.3. Ben altre, e sostanziali, sono le ragioni che
militano contro il preteso assunto, da parte dell’appellante, della violazione
dell’art. 41 Cost. per la violazione del principio pacta sunt servanda.
61.4. Il principio di una illimitata e sovrana libertà
contrattuale (c.d. Vertragsfreiheit) ha cessato di essere un dogma,
ormai da tempo, nel suo stesso campo d’elezione e di derivazione, quello del
diritto civile, dove nella seconda metà del secolo scorso e, poi, nei primi
anni di questo, sino ad oggi, sia la dottrina che la giurisprudenza hanno
inteso richiamare i limiti posti all’autonomia contrattuale dall’ordinamento e,
nell’ambito stesso del regolamento negoziale e dei suoi effetti, dalle c.d. fonti
eteronome (art. 1374 c.c.), nel necessario bilanciamento, che pure in
quel nevralgico settore si pone (forse con minor evidenza, frequenza o
urgenza), con altri valori costituzionali, pure tutelati in modo sempre più
capillare ed incisivo dalla legislazione privatistica.
61.5. Non si può negare allora che, in un settore come
quello del diritto amministrativo c.d. prestazionale, volto all’erogazione di
un servizio pubblico fondamentale e di essenziali livelli di assistenza
sanitaria, i “contratti” e le intese raggiunte tra produttori di farmaci e la
parte pubblica per particolari e gravi ragioni possano conoscere, ad opera
della stessa parte pubblica, interventi modificativi e deroghe, introdotti
successivamente ex auctoritate legislatoris, al fine di
riequilibrare l’intero ciclo distributivo del farmaco, anche nella ripartizione
delle quote di spettanza, nonché al fine di perseguire il contenimento della
spesa pubblica, nella prospettiva, più ampia e di ispirazione costituzionale,
di garantire, ad un prezzo (ragionevolmente) più basso, il più ampio numero di
farmaci ritenuti essenziali al più ampio numero di cittadini.
61.6. E tale è stata, del resto, la conclusione alla
quale è pervenuta il giudice delle leggi, proprio in riferimento ad analoga
misura di sconto obbligatorio imposto ai produttori sui farmaci di fascia A,
nella più volte richiamata sentenza n. 279 del 7.7.2006, laddove ha rilevato
che la sfera dell’autonomia privata non riceve dall’ordinamento una protezione
assoluta, sì che “la sua lamentata compressione nella determinazione del
prezzo non è costituzionalmente illegittima quando si riveli preordinata a
consentire il soddisfacimento contestuale di una pluralità di interessi
costituzionalmente rilevanti”.
61.7. La Corte costituzionale ha infatti osservato che
con l’imposizione dello sconto ai produttori il legislatore persegue, in
maniera non sproporzionata né inidonea, l’obiettivo di “realizzare il
contenimento della spesa sanitaria in vista del fine di utilità sociale
costituito dalla garanzia del più ampio godimento del diritto alla assistenza
farmaceutica, lasciando comunque all’imprenditore un più ridotto ma ragionevole
margine di utile” (Corte cost., 7.7.2006, n. 279).
61.8. Una simile conclusione, per tutte le esposte
ragioni e per quelle ben evidenziate dalla Corte, non può che essere ribadita e
applicata anche allo sconto obbligatorio dell’1,83% introdotto dall’art. 11,
comma 6, del d.l. 78/2010, rispetto alla quale il Collegio non ritiene
sussistere un dubbio, non manifestamente infondato alla luce delle coordinate
costituzionali sin qui tracciate, di irragionevolezza o di arbitrarietà nella
scelta legislativa.
62. Non di intervento normativo irragionevole si
tratta, infatti, né di presunta violazione dei patti, ma di limitata deroga
introdotta dal legislatore e imposta dal sempre più urgente contenimento della
spesa pubblica per assicurare il rispetto di principi e di valori
costituzionali, di rango superiore, rispetto ai quali l’affidamento
contrattuale delle imprese produttrici, nei limiti della ragionevolezza e per
gravi ragioni, è e non può non essere recessivo, come pure ha osservato il
giudice di prime cure.
62.1. Il richiamo al principio giusnaturalistico del pacta
sunt servanda, codificato dall’art. 1372 c.c. nella metaforica espressione
della “forza di legge” riconosciuta al contratto ad indicare la sua efficacia
di giuridica regolamentazione posta tra le parti, ha certo un’efficacia
suggestiva, ma non decisiva nell’esame di una questione, come quella presente,
dove ben altre e più gravi nonché attuali esigenze di tutela costituzionale
vengono a porsi.
62.3. Già in diverse sue pronunce questa Sezione ha
sottolineato come il richiamo a principi ed istituti privatistici, peraltro
invocati quali assiomi e concepiti quali supremi archetipi concettuali, sub
specie aeternitatis, senza un’accurata e appropriata considerazione né del
loro senso storico né del loro proprio e attuale valore giuridico, con la
conseguente loro estensione al diritto amministrativo, può rivelarsi improprio
o, addirittura, erroneo, in quanto essi non sempre e comunque sono compatibili,
ad onta di un’artificiosa e velleitaria reductio ad unitatem dell’ordinamento,
con la mutevole, complessa, specifica e spesso sfuggente fenomenologia
dell’interesse pubblico.
62.4. Per altro verso, se proprio a suggestive
categorie giusnaturalistiche di remota origine o a categorie
giuscontrattualistiche di ampio respiro si vuole a tutti costi far riferimento,
non potrà negarsi che il legislatore, nell’assicurare un’essenziale tutela
della salute a tutti i cittadini con l’erogazione dei farmaci di fascia A,
debba in primo luogo e con preferenza garantire il rispetto di quei diritti
inviolabili (artt. 2 e 32 Cost.) e dei correlativi inviolabili obblighi
scaturenti dal pactum unionis che sta a fondamento dello
Stato, con conseguente temporanea “sospensione” degli obblighi assunti con le
imprese, ben potendo e anzi dovendo, nel rispettare gli obblighi primari che ha
verso ciascuno e tutti, derogare agli accordi stipulati con i produttori dei
farmaci, che non sono certo opponibili sempre e comunque, irragionevolmente e
iniquamente, all’intera collettività.
62.5. Tanto ha voluto stabilire del resto anche la
nostra Costituzione, in termini, per così dire, giuspositivistici e più
moderni, allorché sancì, nell’art. 41 Cost., che l’iniziativa economica privata
di cui l’autonomia contrattuale è certo massima espressione, benché in linea di
principio sia libera, “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale
o in modo da recare danno alla sicurezza, alla dignità umana” e che la
legge può introdurre anche programmi e opportuni perché “l’attività
economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini
sociali”.
62.6. Proprio i limiti assegnati dall’art. 41 Cost.,
letti e intesi alla luce delle coordinate fissate in questa materia dalla Corte
costituzionale e di una complessiva considerazione dell’ordinamento nella sua
interezza, per quanto ciò sia consentito e rilevi nel presente giudizio, nonché
nello specifico settore dell’assistenza sanitaria, inducono il Collegio, per le
esposte e precisate motivazioni, a ritenere manifestamente infondata la questione
di costituzionalità riproposta sotto tale specifico profilo dall’appellante.
63. Con il quinto motivo di censura l’odierna
appellante ha dedotto e censurato l’erroneità della sentenza impugnata nella
parte in cui non ha riconosciuto l’illegittimità propria degli atti impugnati
per eccesso di potere, per difetto dei presupposti, per difetto di istruttoria,
per irragionevolezza grave e manifesta, per violazione e falsa applicazione
dell’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010 o, in via subordinata, nella parte in
cui non ha comunque riconosciuto la non manifesta infondatezza della questione
di legittimità costituzionale, sotto tale specifico profilo, dell’art. 11,
comma 6, del d.l. 78/2010, per violazione del principio di ragionevolezza e
proporzionalità di cui agli artt. 3 e 41 Cost.
63.1. La ricorrente in prime cure aveva impugnato gli
atti applicativi dell’A.I.F.A., contestandone l’illegittimità propria per aver
questa adottato un’erronea base o un erroneo metodo di calcolo per determinare
la somma da restituire alle Regioni mediante il meccanismo del pay
back.
63.2. Il metodo seguito dall’A.I.F.A. si basa,
infatti, sui dati OsMed, che – come si è detto nella parte motiva in fatto
(cfr., supra, §§ 10-12) – sono dati relativi alla spesa
farmaceutica convenzionata ai prezzi al pubblico per ogni singola specialità
medicinale, generata dalle prescrizioni, a carico del Servizio sanitario
nazionale, di farmaci erogati attraverso le farmacie.
63.3. Ciò non apparirebbe corretto, ad avviso
dell’appellante, quanto meno nell’ipotesi in cui si verifichi una situazione
nella quale vi sia un farmaco originariamente coperto da brevetto, ormai
scaduto, che sia inserito nella lista di trasparenza di cui all’art. 7 del d.l.
347/2001, ma abbia un prezzo superiore al prezzo massimo di rimborso del Servizio
sanitario nazionale, indicato nella suddetta lista, per il principio attivo al
quale appartiene.
63.4. In questo caso infatti, ha sostenuto la
ricorrente in prime cure, una parte del costo del farmaco viene sostenuto non
dal Servizio sanitario nazionale, bensì direttamente dal cittadino, sicché non
avrebbe senso prevedere, anche per questa ipotesi, un pay-back dell’1,83%
del prezzo di vendita al pubblico, imponendosi altrimenti alle imprese
farmaceutiche la restituzione di somme che lo Stato non ha mai pagato.
64. Il T.A.R. Lazio ha osservato, nel respingere tale
censura, che essa impropriamente attribuisce all’Amministrazione una scelta che
appartiene, invece, al legislatore ordinario, atteso che il riferimento al
prezzo di vendita al pubblico, come base di calcolo dello sconto imposto sia
alle imprese che ai farmacisti, è presente sia nel testo originario del d.l.
78/2010 che in quello approvato, in sede di conversione, dalla l. 122/2010 e
costituisce, ope legis, la regola che l’A.I.F.A. è tenuta ad applicare.
64.1. La tesi di Servier Italia s.p.a., ha osservato
ancora il giudice di prime cure, non può essere seguita nemmeno laddove essa
propone, in via subordinata, la questione di illegittimità costituzionale della
disposizione, per presunta irragionevolezza, nella parte in cui essa richiede
alle imprese la restituzione, in favore del Servizio sanitario nazionale, di
quanto esso non ha mai pagato.
64.2. Ha osservato il T.A.R. Lazio, in senso
contrario, che “la questione è mal posta atteso che la materia del
contendere non è la pretesa “restituzione” di quanto non è mai stato pagato, ma
lo sconto sul prezzo di vendita al pubblico del farmaco, che viene imposto in
misura pressocché [sic] eguale a due dei massimi operatori del
comparto sanitario (produttore e venditore) e nel quale il legislatore ha
individuato un valido contributo alla copertura della spesa che il sistema
sanitario pubblico comporta” (pp. 30-31 della sentenza impugnata).
65. Anche questa conclusione del primo giudice è fatta
oggetto di approfondita critica da parte dell’appellante, la quale ha osservato
che una norma debba essere interpretata con riferimento alla ratio che
ne giustifica l’introduzione nell’ordinamento, ben espresso dal termine pay-back,
ossia “restituzione”, in favore del Servizio Sanitario Nazionale, di quanto da
esso corrisposto, sicché l’A.I.F.A. avrebbe dovuto comprendere che essa si
applicava, nei casi in questione, limitatamente a quella parte del prezzo al
pubblico, coincidente con il prezzo massimo di rimborso indicato nella lista di
trasparenza, che viene effettivamente sopportata dal Servizio sanitario
nazionale.
65.1. Diversamente interpretando la norma, invece, il
primo giudice non avrebbe potuto esimersi dal sollevare questione di
costituzionalità, rilevandone la non manifesta infondatezza e rimettendone la
decisione alla Corte costituzionale.
65.2. Ciò che, appunto, il T.A.R. Lazio non avrebbe
fatto erroneamente, avallando di fatto una norma che irragionevolmente
imporrebbe la restituzione di quanto non è mai stato pagato dal Servizio
sanitario nazionale ai farmacisti.
65.3. L’appellante ha perciò riproposto la censura di
illegittimità degli atti impugnati, sia per vizio proprio sia, in via
subordinata, per vizio derivante dalla prospettata illegittimità costituzionale
dell’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010, siccome convertito con l. 122/2010,
per violazione degli artt. 3 e 41 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza.
65.4. In tutte le ipotesi di farmaci inseriti in liste
di trasparenza, ai sensi dell’art. 7 del d.l. 347/2001, ha ribadito
l’appellante, l’A.I.F.A. avrebbe dovuto applicare correttamente l’art. 11,
comma 6, del d.l. 78/2010, quand’anche ciò avrebbe comportato una indiscutibile
complicazione nella procedura di determinazione degli importi soggetti a pay
back, e calcolare tali importi non sulla base de valore “prezzo al
pubblico”, dal quale sempre e in ogni caso ha preso le mosse nei
provvedimenti applicativi impugnati, bensì dal valore “prezzo massimo di
rimborso per il principio attivo”, riportato nella lista di trasparenza,
non potendo evidentemente il Servizio sanitario nazionale chiedere la
restituzione di null’altro, a titolo di pay back, di quanto esso
non abbia effettivamente versato al farmacista a titolo di rimborso.
66. Ritiene il Collegio che anche questa censura,
nella sua duplice e ancipite formulazione, debba essere disattesa.
66.1. Bene ha rilevato il primo giudice, al riguardo,
che l’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010 fa espresso ed esclusivo riferimento
al “prezzo al pubblico” quale importo base sul quale debba essere
calcolato lo sconto dell’1,83%, senza distinguere tra farmaci inseriti o non
inseriti in lista di trasparenza, sicché non ha errato l’Autorità nell’adottare
tale prezzo a base del calcolo per tutti i farmaci di fascia A.
66.2. Non si può pertanto condividere la censura di
illegittimità propria dei provvedimenti impugnati, laddove essi hanno, invece e
correttamente, fatto applicazione, anche in ossequio all’antico canone
ermeneutico ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus, del
solo metodo di calcolo previsto dall’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010,
uniformemente previsto per tutti i farmaci di fascia A, che fossero o meno
inseriti nelle liste di trasparenza, e cioè il prezzo di vendita al pubblico.
66.3. Altra e più complessa questione concerne,
invece, la censurata illegittimità costituzionale della stessa previsione
dell’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010, laddove esso non avrebbe distinto,
nell’ambito dei farmaci inseriti in lista di trasparenza ai sensi dell’art. 7
del d.l. 347/2001, la quota rimborsata dal Servizio sanitario nazionale e
quella pagata dall’assistito, imponendo alle imprese farmaceutiche, su entrambe
e indistintamente, lo sconto dell’1,83%, benché la restituzione (c.d. pay
back) di tale percentuale, secondo l’appellante, riguardasse solo somme
sborsate dal Servizio sanitario nazionale, per esigenze di contenimento della
spesa sanitaria, e non quelle che invece restano a carico dei cittadini.
66.4. Occorre brevemente riportare, per il corretto
inquadramento della questione e per la miglior comprensione della censura qui
disaminata, la disposizione dell’art. 7 del d.l. 347/2001.
“Art. 7. Prezzo di rimborso dei farmaci di uguale
composizione.
1. I medicinali, aventi uguale composizione in princìpi
attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di
rilascio, numero di unità posologiche e dosi unitarie uguali, sono rimborsati
al farmacista dal Servizio sanitario nazionale fino alla concorrenza del prezzo
più basso del corrispondente prodotto disponibile nel normale ciclo
distributivo regionale, sulla base di apposite direttive definite dalla
regione.
2. Il medico nel prescrivere i farmaci di cui al comma
1, aventi un prezzo superiore al minimo, può apporre sulla ricetta adeguata
indicazione secondo la quale il farmacista all’atto della presentazione, da
parte dell’assistito, della ricetta non può sostituire il farmaco prescritto
con un medicinale uguale avente un prezzo più basso di quello originariamente
prescritto dal medico stesso.
3. Il farmacista, in assenza dell’indicazione di cui
al comma 2, dopo aver informato l’assistito, consegna allo stesso il farmaco
avente il prezzo più basso, disponibile nel normale ciclo distributivo
regionale, in riferimento a quanto previsto nelle direttive regionali di cui al
comma 1.
4. Qualora il medico apponga sulla ricetta
l’indicazione di cui al comma 2, con cui ritiene il farmaco prescritto
insostituibile ovvero l’assistito non accetti la sostituzione proposta dal
farmacista, ai sensi del comma 3, la differenza fra il prezzo più basso ed il
prezzo del farmaco prescritto è a carico dell’assistito con l’eccezione dei
pensionati di guerra titolari di pensioni vitalizie”.
67. Dalla disposizione dell’art. 7, comma 1, del d.l.
347/2001 si evince chiaramente che il Servizio sanitario, tra i farmaci
equivalenti – aventi cioè lo stesso principio attivo – di fascia A, rimborsa
solo la parte di prezzo corrispondente al prezzo del farmaco più equivalente
più basso, restando la differenza, per gli altri farmaci equivalenti più
costosi, a carico dell’assistito.
67.1. In altri termini e per esemplificare, se vi sono
tre farmaci equivalenti del prezzo di € 100,00, € 200,00 ed € 300,00, il
Servizio sanitario nazionale copre per intero il primo e, per gli altri due,
solo la parte di prezzo sino ad € 100,00, restando la superiore differenza di
prezzo – € 100,00 per il secondo ed € 200,00 per il terzo – a carico
dell’assistito.
67.2. La legge lascia naturalmente libero il medico di
prescrivere e il paziente di scegliere il farmaco equivalente ritenuto più
utile, salvaguardando il diritto di scelta terapeutica da parte del primo e la
libertà di cura dell’altro, ma mira nel contempo e precipuamente a conseguire
un risparmio di spesa, assicurando l’integrale copertura solo del farmaco più
economico e, per gli altri farmaci eventualmente scelti, la parziale copertura
del prezzo fino alla concorrenza del prezzo del farmaco meno dispendioso.
67.3. Il farmaco c.d. generico è definito, in ambito
farmaceutico, come imitazione di un prodotto originale, privo ormai di
protezione brevettuale: quest’ultima caratteristica consente la produzione del
generico a qualsiasi impresa.
67.4. Il farmaco generico, in linea teorica, viene
messo in commercio senza un marchio commerciale definito, ma sotto la
cosiddetta Denominazione Comune Internazionale (DCI).
67.5. Nelle realtà di mercato internazionali, di
fatto, esistono tre categorie di farmaci generici:
- generici c.d. branded, ovvero copie di
specialità farmaceutiche recanti un proprio marchio distintivo;
- generici c.d. semibranded,
commercializzati sotto la DCI seguita dal nome del produttore;
- generici “puri” o c.d. unbranded.
67.6. Nel passaggio dalla specialità coperta dal
brevetto, prodotta quindi dalla sola azienda innovatrice, al farmaco generico,
prodotto potenzialmente da un numero illimitato di imprese, muta radicalmente
la struttura del “mercato” – pur con tutte le cautele con le quali questo
concetto dev’essere usato per i farmaci di fascia A – di riferimento.
67.7. Il “monopolio”, che consentiva all’impresa
farmaceutica innovatrice e produttrice del c.d. farmaco originator di
recuperare, tramite prezzi elevati, gli investimenti effettuati in ricerca e
sviluppo, viene sostituito da un mercato concorrenziale in cui le aziende si
concentrano sui processi produttivi più efficienti per offrire il farmaco
generico ai prezzi più competitivi sul mercato.
67.8. La previsione di un importante sviluppo del
mercato dei farmaci generici comporta, altresì, un radicale mutamento
nell’attività delle singole imprese innovatrici.
67.9. I prodotti maturi, per i quali la copertura
brevettuale è venuta meno, perdono d’importanza all’interno del portafoglio
prodotti dell’azienda, essendo commercializzati da una pluralità di soggetti a
prezzi presumibilmente più bassi: l’impresa innovatrice è portata, quindi, a
lanciare sul mercato prodotti che rendano obsoleti quelli per cui è scaduta la
protezione brevettuale.
68. Questo Consiglio, effettuando un’ampia
ricognizione del quadro normativo in materia, ha rilevato che “il
legislatore non impone il livellamento dei prezzi dei farmaci contenenti il
medesimo principio attivo preoccupandosi, invece, di evitare che le differenze
di prezzi si ripercuotano sui flussi di spesa pubblica” (Cons. St., sez. V,
5.7.2011, n. 4036).
68.1. Se dunque questo è, in estrema sintesi, il dato
normativo presupposto dalla censura, qui disaminata, giova confrontare ora tale
dato, nel suo significato giuridico ed economico, con l’impianto complessivo
della manovra di cui al d.l. 78/2010 per valutare la reale consistenza della
censura.
68.2. L’appellante omette di considerare, anzitutto,
proprio il complessivo impianto della manovra, siccome sopra è stato delineato
e ricostruito, dimenticando che il legislatore ha inteso “incamerare” la quota
del 3,65%, prima attribuita ai grossisti, non mediante un versamento diretto da
parte di questi, ma mediante un articolato meccanismo consistente
nell’attribuzione della loro quota ai farmacisti, che hanno visto così
aumentare formalmente la loro quota del 3,65%, e il successivo sconto
obbligatorio imposto, in sede di conversione, per la metà, nella misura
dell’1,82%, ai farmacisti stessi – che perciò, come detto, hanno visto aumentare
sostanzialmente la loro quota dell’1,83% – e per l’altra metà, nella misura
dell’1,83%, alle imprese farmaceutiche.
68.3. È evidente che tutto questo meccanismo,
complesso, si basa sul prezzo al pubblico, senza distinguere tra “prezzo al
pubblico” e “prezzo massimo di rimborso del principio attivo”, come vorrebbe
l’appellante, perché la ripartizione delle quote tra i protagonisti della
filiera, sulla quale agisce la leva della manovra, non può che avere, per
espressa volontà del legislatore, tale prezzo di base, indipendentemente da chi
lo corrisponda – Servizio sanitario o cittadino – o dal tipo di farmaco –
generico o meno – venduto.
68.4. Ciò in quanto, come si è più volte già
evidenziato, la finalità del legislatore, la ratio legis, del d.l.
78/2010, è stata duplice: far conseguire alle Regione il 3,65% degli utili
derivanti dalla vendita dei farmaci in fascia A, prima riconosciuto ai
grossisti, seppur in via indiretta, mediante l’imposizione del doppio sconto
dell’1,82% ai farmacisti e dell’1,83% ai produttori, come sopra detto, e
insieme agevolare, in un’ottica redistributiva, anche i farmacisti,
aumentandone sostanzialmente la quota dell’1,83% (o addirittura del 3,65% nelle
ipotesi, invero limitate e sopra esaminate, in cui essi siano persino esonerati
dallo sconto dell’1,82% su loro gravante).
68.5. La misura in questione ha inteso colpire, con
tale prelievo di ricchezza aggiuntivo nella misura del 3,65% autoritativamente
determinato dal legislatore, la produzione di ricchezza, nel settore della
vendita dei farmaci di fascia A, addossandone l’onere in parte ai produttori,
chiamati a sostenerne l’1,83%, e in parte ai grossisti, chiamati a versarne
l’1,82%, benché soggetti formalmente incisi, per tale ultima parte, risultino i
farmacisti.
68.6. È evidente che, questo essendo il complessivo
senso della manovra, il legislatore non ha inteso chiedere il rimborso di
quanto anticipato dal Servizio sanitario nazionale sui farmaci equivalenti,
come impropriamente assume l’appellante facendo leva sull’equivocità lessicale
dell’espressione pay-back – peraltro nemmeno espressamente
usata dal legislatore – che, come si dirà, significa tutt’altro, bensì
prelevare forzosamente quanto nel complesso guadagnato dai diversi soggetti
della filiera incisi, anche laddove il prezzo di tali farmaci, come
nell’ipotesi dei farmaci equivalenti inseriti nelle liste di trasparenza, sia
stato corrisposto – in parte – dai cittadini e non sia a totale carico del
Servizio sanitario nazionale.
68.7. Non rileva quindi, ex latere debitoris,
chi – se il Servizio sanitario nazionale o il cittadino – e in che misura abbia
pagato il prezzo del farmaco, ma chi e in che misura, ex latere
creditoris, abbia percepito questo prezzo, dato che il legislatore ha
inteso incidere autoritativamente sulle quote di ricavo – e quindi sulla
manifestazione di ricchezza – dei singoli protagonisti della filiera per
prelevarne, in parte, gli utili e per ridistribuirne, in parte, anche i
proventi.
68.8. Il concetto di “prezzo al pubblico” non è
espressione generica e atecnica, ma è usata consapevolmente e in senso proprio
dal legislatore, con riferimento alla nozione che esso ha nello specifico
settore.
68.9. Non si deve dimenticare, infatti, che la
delibera CIPE n. 3 del 1.2.2001 ha stabilito espressamente, nell’art. 6, che “relativamente
al segmento di mercato che transita attraverso il canale della distribuzione
intermedia e finale, al prezzo ex-fabrica contrattato vanno aggiunte, per la
definizione del prezzo al pubblico, l’IVA e le quote di spettanza per la distribuzione”.
70. Né deve trarre in inganno il ricorso, da parte
dell’A.I.F.A., alla procedura del pay-back, che non è né menzionata
né comunque prevista dalla legge, per effettuare lo sconto obbligatorio.
70.1. Il riferimento da parte dall’Autorità al concetto
e alla procedimento del pay-back (restituzione), sul quale
tanto insiste l’appellante,è infatti neutro rispetto alla natura giuridica
dello sconto e al presupposto normativo della sua quantificazione, siccome
configurati dalla legge, costituendo esso solo il mezzo procedimentale
attraverso il quale lo sconto obbligatorio viene attuato dall’Amministrazione,
e non certo il fine perseguito dal legislatore.
70.2. L’appellante incorre in un equivoco, dunque,
allorquando richiama, a sostegno della sua tesi, il concetto del “pay-back”.
70.3. Il meccanismo del pay back è
stato inizialmente previsto nel 2007 perché collegato al sistema di tetti sulla
spesa farmaceutica introdotto con la l. 222/2007, che ha convertito il decreto
fiscale collegato alla Finanziaria per il 2008.
70.4. Tale sistema, che si è rivelato molto efficiente
e vantaggioso, è stato adottato dall’A.I.F.A. anche per la corresponsione dello
sconto obbligatorio previsto dall’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010.
70.5. Esso non ha nulla a che vedere con il concetto
di rimborso, da parte delle imprese, delle somme erogate dal Servizio sanitario
nazionale.
70.6. Il “Pay-back” non vuol dire né implica,
infatti, il rimborso di quanto lo Stato ha erogato ex latere debitoris alle
imprese per i farmaci di fascia A, ma al contrario versamento, in favore dello
Stato, dell’1,83% guadagnato dalle imprese ex latere creditoris.
71. L’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010 stabilisce
solo, infatti, che a decorrere dal 31.5.2010 le imprese farmaceutiche, sulla
base delle tabelle approvate dall’A.I.F.A. e definite per Regione e per singola
azienda, “corrispondono” – e non già “rimborsano” o “restituiscono” –
alle Regioni medesime un importo dell’1,83% “sul prezzo di vendita al
pubblico al netto dell’imposta sul valore aggiunto dei medicinali erogati in
regime di Servizio sanitario nazionale”.
71.1. Del pari, a decorrere dallo stesso 31.5.2010, il
Servizio sanitario nazionale, nel procedere alla corresponsione alle farmacie
di quanto loro dovuto, trattiene ad ulteriore titolo di sconto, rispetto a
quanto già previsto dalla vigente normativa, una quota pari all’1,82% “sul
prezzo di vendita al pubblico al netto dell’imposta sul valore aggiunto”.
71.2. Il parallelismo istituito e imposto dalla legge
tra i due prelievi, che hanno entrambi, quale base di calcolo, il prezzo di
vendita al pubblico dei farmaci, mostra come la procedura di pay back adottata
dall’A.I.F.A. per lo sconto alle imprese non implichi affatto, né
concettualmente né sostanzialmente, l’idea di una restituzione di quanto
corrisposto dallo Servizio sanitario nazionale, bensì il versamento dell’1,83%
di quanto semplicemente queste hanno percepito, poiché il presupposto del
prelievo o, comunque, la giustificazione della misura sta, per entrambi
(farmacisti e produttori), nella percezione di una determinata ricchezza,
corrispondente ai ricavi, pro quota, dei farmaci di fascia A
venduti al pubblico, e non nella restituzione di quanto erogato dallo Stato.
71.3. Non vi è, pertanto, alcuna disparità di
trattamento tra i farmacisti e gli industriali, poiché entrambi subiscono,
seppur con le precisazioni e per le ragioni che si è detto, uno sconto
percentuale rapportato ai ricavi determinati in base ai farmaci venduti al
pubblico e, quindi, al loro prezzo di vendita al pubblico stesso, siano o no
essi rimborsabili per intero o in parte dal Servizio sanitario nazionale.
71.4. L’unica differenza è che, nel caso delle imprese
e per precisa scelta dell’Autorità, il pagamento dello sconto avviene tramite
il sistema delpay back.
72 Occorre solo aggiungere, da ultimo ma non per
ultimo, che, accedendo alla tesi dell’appellante, il Servizio sanitario
nazionale, per il tramite delle Regioni, non conseguirebbe tutta la quota
dell’1,83% che, in un’ottica redistributiva, il legislatore ha posto a carico
dei produttori per ottenere la corrispondente quota in aumento riconosciuta a
vantaggio e in ausilio dei farmacisti, ai quali è invece incontestabile e
incontestato che il d.l. 78/2010 abbia inteso attribuire l’1,83% di quota, nel
suo complesso e per intero, calcolato sul prezzo al pubblico dei farmaci senza
ulteriori distinzioni e diminuzioni.
72.1. Sarebbe così frustrata la ratio compensativadello
sconto in questione, che è stato imposto dalla legge di conversione ai
produttori, da un lato, per favorire sì i farmacisti, che hanno beneficiato –
occorre sottolineare – per l’intero e senza distinzioni dell’incremento
dell’1,83%, ma dall’altro per consentire al Servizio sanitario nazionale, per
il tramite delle Regioni, di incamerare e recuperare, appunto, la
corrispondente ed eguale quota dell’1,83%, attribuita ai farmacisti, senza
riduzioni o differenze.
72.2. Si tratterebbe, quindi, di una sperequazione in
danno dello Stato – il quale, in sostanza, otterrebbe sul “suo” 1,83% meno di
quanto ricevono sul “loro” 1,83% i farmacisti dalla manovra – che, oltre a non
essere stata prevista dalla lettera del d.l. 78/2010, sarebbe del tutto
contraria alla ratio della normativa in questione e si
porrebbe, essa probabilmente sì, in termini di irragionevolezza rispetto
all’art. 3 Cost.
72.3. In conclusione la misura dello sconto
obbligatorio dell’1,83% imposto dall’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010 ai
produttori sull’intero prezzo di vendita al pubblico, anche per la parte di
prezzo pagata dell’assistito con riferimento ai farmaci equivalenti di cui
all’art. 7 del d.l. 347/2001, non appare al Collegio né irragionevole né
arbitraria, ma pienamente congrua e del tutto rispondente alla finalità della
normativa e alla natura dello sconto stesso.
73. Per tutte queste ragioni, pertanto, ritiene il
Collegio che la censura dell’appellante, anche sotto il profilo della
denunciata illegittimità costituzionale della disposizione per violazione
dell’art. 3 Cost., debba essere respinta, essendo la questione manifestamente
infondata anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 23 della l. 87/1953.
74. Deve essere infine esaminato l’ultimo motivo di
censura, con il quale l’appellante ha lamentato e dedotto l’illegittimità degli
atti impugnati per violazione dell’art. 7 della l. 241/1990.
75. Il giudice di prime cure, osserva l’appellante, ha
disatteso anche il motivo con il quale era stata censurata la legittimità del
provvedimento impositivo dell’obbligo di versare la somma a titolo di pay-back per
il periodo dal 1.6.2010 al 31.7.2010 in quanto non preceduto dalla rituale
comunicazione di avvio del procedimento.
76. Il T.A.R. Lazio ha ritenuto, al riguardo, che “l’iter che
conduce all’accertamento dell’an e del quantum debeatur è
procedimentalizzato dalla legge che ha introdotto la disciplina in esame, con
la conseguenza che le aziende farmaceutiche sono ben avvedute dell’obbligo che
incombe sulle stesse di versare alle Regioni una somma, pari all’1,83% sul
prezzo di vendita al pubblico del farmaco” (p. 31 dell’impugnata sentenza).
77. Tutto ciò, ha riconosciuto Servier Italia s.p.a.
nel ricorso in appello (p. 55), sarebbe perfettamente vero, ma ciò non
toglierebbe che la quantificazione del preciso ammontare dell’1,83%
richiederebbe un confronto procedimentale con i destinatari dell’obbligo di
pagamento stabilito direttamente dalla legge, destinatari che, invece,
sarebbero stati posti davanti a delle cifre, non giustificate in alcuna
maniera, men che mai supportate da dati contabili, che hanno dovuto accettare
“per buone” e corrispondere in spregio dei più elementari principi del
contraddittorio amministrativo.
77.1. Né varrebbe replicare, come fa l’A.I.F.A., che
essa ha predisposto una piattaforma di comunicazione nell’A.I.F.A. Front
End di tali oneri aggiuntivialle imprese farmaceutiche nell’anno 2010,
piattaforma che sarebbe stata aperta in consultazione quale avvio del
procedimento finalizzato all’applicazione della procedura di pay back.
77.2. Nella piattaforma di comunicazione, rileva
infatti l’appellante, non altro viene riportato che i totali delle cifre che
devono essere versate alle imprese farmaceutiche, distinte per ciascun prodotto
e per ciascuna Regione, ma non i dati sulla base dei quali quelle cifre sono
state elaborate dall’A.I.F.A.
77.3. Infine, anche se l’appellante non ha sviluppato
compiutamente tale motivo di censura, non rinvenendosi nell’atto di appello
specifiche critiche rivolte alla sentenza del T.A.R. Lazio, e si è limitata
solo a riportare il motivo proposto in prime cure (pp. 58-59 del ricorso in appello),
è stata sollevata anche la questione dell’illegittimità derivata degli atti
impugnati per l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 6, del d.l.
78/2010, convertito, con modificazioni, nella l. 122/2010, come successivamente
modificato dall’art. 2, comma 12-septies,del d.l. 225/2010, convertito,
con modificazioni, dalla l. 10/2011, per violazione del principio di
ragionevolezza e proporzionalità di cui agli artt. 3 e 41 Cost.
77.4. La richiesta pervenuta dall’A.I.F.A. con gli
atti, impugnati dall’odierna appellante con ricorso per motivi aggiunti in
prime cure, trova infatti il proprio fondamento nella disposizione di cui
all’art. 2, comma 12-septies, del d.l. 225/2010, convertito, con
modificazioni, nella l. 122/2010, come successivamente modificato dall’art. 2,
comma 12-septies,del d.l. 225/2010, convertito, con modificazioni, dalla
l. 10/2011, che avrebbe conferito al nuovo “balzello” – così si legge a p. 59
del ricorso in appello – persino un valore retroattivo, facendolo decorrere dal
31.5.2010.
77.5. Anche la disposizione dell’art. 2, comma 12-septies,del
d.l. 225/2010, convertito, con modificazioni, dalla l. 10/2011, come già la
norma che essa ha modificato, sarebbe incostituzionale, ad avviso
dell’appellante, per i profili esposti nell’atto introduttivo del giudizio e
sopra esaminati.
78. L’appellante ha perciò dedotto e fatto valere la
presunta erroneità e, comunque, l’assenza di motivazione, sul punto, della
sentenza impugnata.
79. Il motivo di appello deve essere respinto.
79.1. Quanto alla omessa comunicazione di avvio del
procedimento, infatti, lo stesso appellante non contesta, ma anzi riconosce la
correttezza del rilievo svolto dal primo giudice, secondo cui “l’iter che
conduce all’accertamento dell’an e del quantum debeatur è
procedimentalizzato dalla legge che ha introdotto la disciplina in esame, con
la conseguenza che le aziende farmaceutiche sono ben avvedute dell’obbligo che
incombe sulle stesse di versare alle Regioni una somma, pari all’1,83% sul
prezzo di vendita al pubblico del farmaco”.
79.2. A tale considerazione, in sé del tutto corretta
e condivisibile, si aggiunga che, proprio per la particolare modalità con il
quale lo sconto obbligatorio è stato previsto e configurato dall’art. 11, comma
6, del d.l. 78/2010, il contenuto dei provvedimenti applicativi, emanati
dall’A.I.F.A., è totalmente vincolato rispetto ai parametri in astratto
prefissati dalla legge, sicché non si comprende – né l’appellante spiega in
modo convincente – quale sarebbe potuto essere il concreto apporto partecipativo
che l’impresa farmaceutica avrebbe potuto dare al procedimento in questione,
dove alcuno spazio discrezionale era lasciato all’Amministrazione nel
determinare l’importo da versare.
79.3. E ciò ancor più ove si muova dal presupposto,
come fa l’appellante che costantemente richiama e cita i concetti di imposta e
di “balzello”, la sostanziale natura tributaria della prestazione patrimoniale
imposta, risultandone ancor più evidente e stringente la natura vincolata degli
atti impositivi in concreto adottati dall’A.I.F.A.
79.4. Invano quindi si lamenta dall’appellante la
violazione dell’art. 7 della l. 241/1990, poiché, per la natura vincolata dei
provvedimenti impositivi adottati dall’A.I.F.A., si tratta di disposizione del
tutto inapplicabile al caso in questione, al di là del suo improprio e
improduttivo richiamo fatto dall’A.I.F.A. stessa con riferimento alla
predisposizione della piattaforma di comunicazione, ostando all’applicazione
dell’art. 7 della l. 241/1990 il chiaro disposto dell’art. 13, comma 2, della
stessa legge, secondo cui le norme sulla partecipazione – tra le quali figura
proprio, per definizione, l’art. 7 – non si applicano ai procedimenti
tributari, e comunque, quand’anche non si condivida – ma è la stessa appellante
a ribadirlo più volte, sicché incorrerebbe in contraddizione – la natura
impositiva dello sconto in questione, anche l’altrettanto chiaro disposto
dell’art. 21-octies, comma 2, della stessa l. 241/1990.
79.5. Non appaiono peraltro estensibili alla procedura
di pay-back, adottata dall’A.I.F.A. con riferimento all’art. 11,
comma 6, del d.l. 78/2010, i principi affermati dal T.A.R. Lazio, per ben
diverse ragioni e in altra pronuncia (T.A.R. Lazio, 29.3.2012, n. 3001), con
riferimento alla diversa procedura di pay-back prevista
dall’art. 5, comma 2, del d.l. 159/2007, come lo stesso giudice di prime cure
ha esattamente osservato, con valutazione, peraltro, immune da errore e non
censurata specificamente nemmeno dall’appellante.
79.6. Quanto poi alla censura di illegittimità derivata
degli atti impugnati per la denunciata illegittimità costituzionale dell’art.
11, comma 6, del d.l. 78/2010, convertito, con modificazioni, nella l.
122/2010, come successivamente modificato dall’art. 2, comma 12-septies,del
d.l. 225/2010, convertito, con modificazioni, dalla l. 10/2011, per violazione
del principio di ragionevolezza e proporzionalità di cui agli artt. 3 e 41
Cost., rileva il Collegio che tale censura, in quanto non formulata né rivolta
contro precise e ben individuate motivazioni del provvedimento impugnato, ma
riportata nell’atto di appello sic et simpliciter con la
generica riproposizione dei “motivi aggiunti” in prime cure, non supera il
vaglio di ammissibilità, difettando del necessario requisito della specificità
imposto dall’art. 101, comma 1, c.p.a.
79.7. La censura, comunque, è anche nel merito
infondata, per la palese infondatezza della questione di costituzionalità in
rapporto al principio di ragionevolezza, avendo il giudice di prime cure ben
espresso, nelle pp. 28-29 dell’impugnata sentenza, le ragioni, non censurate
dall’appellante, per le quali il principio di irretroattività della legge (art.
11 disp. prel. c.c.) non sia assoluto e inderogabile, come del resto afferma la
costante giurisprudenza della Corte costituzionale, e sia stato
ragionevolmente, nel caso di specie, derogato, peraltro con un’efficacia
retroattiva dell’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010 assai contenuta sul piano
temporale.
80. Ne segue, pertanto, che anche tale ultimo motivo,
in quanto infondato sotto i suoi molteplici – e invero poco perspicui ed
alquanto eterogenei – aspetti, debba essere disatteso.
81. In conclusione l’appello di Servier Italia s.p.a.,
per tutti i motivi esposti, deve essere respinto, meritando conferma, seppur
con le precisazioni sopra evidenziate, la sentenza di primo grado.
82. Ai sensi dell’art. 26 c.p.a. e dell’art. 92, comma
secondo, c.c. le spese del presente grado di giudizio, attesa la complessità
delle questioni ad esso sottese, che investono anche il complesso e delicato
bilanciamento di basilari valori costituzionali, devono essere interamente
compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge, confermando per l’effetto, ai sensi di cui in motivazione, la
sentenza impugnata.
Compensa interamente tra le parti le spese del
presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 28 novembre 2013 con l’intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/12/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)