PROCESSO:
la sospensione necessaria
"ex" art. 295 c.p.c.
nel grado d'appello
(Cons. St., Sez.V,
sentenza 28 luglio 2015, n. 3711)
E' una sentenza molto interessante, che tocca molti aspetti di procedura amministrativa (notifica a mezzo postale e relativa sanatoria, il requisito della vicinitas ai si fini del riconoscimento della legittimazione attiva, autotutela di provvedimenti gravati in procedimenti diversi ed improcedibilità per carenza d'interesse, etc.), ma quello che più mi ha colpito è quello del rapporto tra sospensione necessaria "ex" art. 295 c.p.c. e pregiuzialità in senso tecnico (e non secundum eventum litis).
Massima
1. Non è configurabile alcun obbligo di sospensione ex art. 295 c.p.c. in appello in relazione al ricorso proposto in primo grado avverso l'atto di autotutela che ha annullato d'ufficio un'autorizzazione ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003, originariamente rilasciata a favore dell'appellante e su cui verte l'appello stesso.
2. La sospensione ex art. 295, infatti, non si applica a giudizi pendenti in diverso grado per pacifica giurisprudenza tanto amministrativa che civile.
2. La sospensione ex art. 295, infatti, non si applica a giudizi pendenti in diverso grado per pacifica giurisprudenza tanto amministrativa che civile.
3. Nel caso di specie, poi, non è configurabile alcuna pregiudizialità in senso tecnico.
Ed infatti sia la pronuncia giurisdizionale del TAR che l’atto sopravvenuto sono sinergicamente convergenti nel senso di ledere gli interessi dell' odierna appellante mentre l’ipotetico accertamento dell’illegittimità di quest’ultimo non esplicherebbe alcuna efficacia vincolante nel presente giudizio, lasciando comunque immutato l’effetto pregiudizievole della prima.
Ed infatti sia la pronuncia giurisdizionale del TAR che l’atto sopravvenuto sono sinergicamente convergenti nel senso di ledere gli interessi dell' odierna appellante mentre l’ipotetico accertamento dell’illegittimità di quest’ultimo non esplicherebbe alcuna efficacia vincolante nel presente giudizio, lasciando comunque immutato l’effetto pregiudizievole della prima.
4. Solo l’opposto (ed altrettanto eventuale) esito del separato giudizio, e cioè il definitivo rigetto dell’impugnativa contro l’annullamento d’ufficio dell’autorizzazione comporterebbe l’improcedibilità del presente appello.
Ciò, tuttavia, per il definitivo consolidarsi di un provvedimento sfavorevole alle due società odierne appellanti, ma non già per l’effetto vincolante che l’annullamento dell’atto di autotutela esplicherebbe nel presente giudizio.
5. Non può del resto concepirsi una pregiudizialità secundum eventum litis.
Ciò, tuttavia, per il definitivo consolidarsi di un provvedimento sfavorevole alle due società odierne appellanti, ma non già per l’effetto vincolante che l’annullamento dell’atto di autotutela esplicherebbe nel presente giudizio.
5. Non può del resto concepirsi una pregiudizialità secundum eventum litis.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il
Consiglio di Stato
in
sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 804 del 2015, proposto dalle s.r.l.
Ma&D Power Engineering e Futuris Aquilana, rispettivamente in persona del
legale rappresentante pro tempore e del consigliere delegato
dott. Aldo Mazza,rappresentate e difese dagli avvocati Aldo Travi e Fabio
Lorenzoni, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Roma, via del Viminale
43;
contro
Comitato
Civico La Terra dei figli, in persona del presidente pro tempore,
Enrico Cocciolone, Evandro Aloisio, Massimo De Simone, Vincenzo Sacchetti,
Serafino Nardecchia, Angelo Cocciolone e Giovanni Cibisca, rappresentati e
difesi dagli avvocati Adriano Rossi e Francesco Camerini, con domicilio eletto
presso Francesco Camerini in Roma, viale delle Milizie 1;
Associazione pro-loco di Onna, in persona del presidente pro tempore,
rappresentata e difesa dall’avvocato Pierluigi Pezzopane, con domicilio eletto
presso Michele Lioi, in Roma, piazza della Libertà 20;
eredi di Vincenzo Masci;
nei
confronti di
Regione
Abruzzo, Autorità dei bacini di rilievo regionale dell’Abruzzo e del bacino
interregionale del Fiume Sangro, Ministero dello Sviluppo Economico e Ministero
dell’Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentati e
difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via
dei Portoghesi 12;
Comune dell’Aquila, Agenzia Regionale per la tutela dell’ambiente, Provincia
dell’Aquila, Consorzio per il nucleo di sviluppo industriale dell’Aquila e
Azienda regionale attività produttive;
per
la riforma
delle
sentenze del T.A.R. ABRUZZO - L'AQUILA, SEZIONE I, nn. 316/2013 e 793/2014,
rese tra le parti, concernenti un provvedimento di autorizzazione unica per la
costruzione e l’esercizio di un impianto di energia elettrica alimentato da
biomasse ed atti consequenziali.
Visti
il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti
gli atti di costituzione in giudizio del Comitato Civico La Terra dei figli,
Enrico Cocciolone, Evandro Aloisio, Massimo De Simone, Vincenzo Sacchetti,
Serafino Nardecchia, Angelo Cocciolone e Giovanni Cibisca, della Regione Abruzzo,
dell’Autorità dei bacini di rilievo regionale dell’Abruzzo e del Bacino
interregionale del Fiume Sangro, del Ministero dello Sviluppo Economico e del
Ministero dell’Interno;
Visto
l’atto di intervento dell’Associazione pro-loco di Onna;
Viste
le memorie difensive;
Visti
tutti gli atti della causa;
Relatore
nell’udienza pubblica del giorno 9 luglio 2015 il consigliere Fabio Franconiero
e uditi per le parti gli avvocati Aldo Travi, Francesco Camerini, Pierluigi
Pezzopane e l'avvocato dello Stato Angelo Venturini;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.
Alcuni cittadini residenti ed associazioni aventi sede in L’Aquila impugnavano
collettivamente davanti al TAR Abruzzo – sede dell’Aquila l’autorizzazione ex
art. 12 d.lgs. n. 387/2003 (“Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa
alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità”) rilasciata dalla Regione
Abruzzo, con determinazione n. 109 del 30 agosto 2010, alla Ma&D Power
Engineering s.r.l., per la realizzazione in località Bazzano del capoluogo
regionale di un impianto di produzione di energia elettrica alimentato a
biomasse vegetali solide (legno vergine). Con successivi motivi aggiunti
venivano formulate ulteriori censure nei confronti del provvedimento
autorizzativo ed impugnate la proroga dei lavori di realizzazione dell’impianto
e la voltura dell’autorizzazione alla Futuris Aquilana s.r.l. (determinazioni
regionali in data 8 settembre e 30 agosto 2011).
2.
Con sentenza non definitiva n. 316 del 28 marzo 2013 il TAR adito dichiarava il
difetto di legittimazione attiva di alcuni ricorrenti, affermandola invece per
altri. Quindi, definendo il merito, con sentenza n. 793 del 12 novembre 2014 il
giudice di primo grado accoglieva l’impugnativa, giudicando illegittimi gli
atti impugnati sotto i seguenti profili:
-
per la previsione nel progetto autorizzato di un locale interrato (collocato a
5 metri al di sotto del piano di campagna), destinato allo stoccaggio delle
biomasse, contrastante con il divieto di realizzazione di piani interrati,
previsto dal vigente piano regionale stralcio per la difesa dalle alluvioni
(approvato con delibera del consiglio regionale n. 94/5 del 29 gennaio 2008),
per zone caratterizzate da rischio idrogeologico (rischio moderato), quale
quella in cui è prevista la realizzazione dell’impianto;
-
perché la Regione aveva prorogato di un anno l’autorizzazione per l’inizio dei
lavori, benché la società istante Ma&D Power Engineering fosse già incorsa
in una causa di decadenza, consistente nel non avere provato di avere la
disponibilità delle aree destinate ad ospitare l’impianto.
3.
La Ma&D Power Engineering e la Futuris Aquilana s.r.l. hanno proposto
appello, nel quale reiterano l’eccezione di difetto di legittimazione attiva di
tutti i ricorrenti e contestano nel merito l’accoglimento dell’impugnativa di
costoro.
4.
Si sono costituiti in resistenza i ricorrenti in primo grado di cui il TAR ha
riconosciuto la legittimazione ad agire, con memoria contenente la
riproposizione ex art. 101, comma 2, cod. proc. amm. dei motivi di ricorso ed
aggiunti non esaminati, oltre che numerose eccezioni preliminari.
5.
E’ intervenuta nel sostenere le ragioni degli appellati l’associazione pro loco
di Onna, già interveniente ad adiuvandum in primo grado.
6.
Ha invece aderito all’appello la Regione Abruzzo, salvo poi annullare in
autotutela l’autorizzazione impugnata nel presente giudizio (determinazione del
28 maggio 2015, n. 172).
7.
Si sono costituite anche le altre amministrazioni indicate in epigrafe.
DIRITTO
1.
Nessuna delle eccezioni preliminari formulate dagli originari ricorrenti è
fondata.
2.
Non lo sono innanzitutto quelle volte a dedurre l’inammissibilità dell’appello
per nullità della notificazione sotto vari profili e per contraddittorio non
integro, a causa della mancata evocazione in giudizio di uno di loro, il sig.
Vincenzo Masci, deceduto nelle more del giudizio di primo grado.
3.
Deve premettersi in linea generale che gli asseriti vizi del procedimento
notificatorio - mediante invio di piego postale a cura del difensore delle
appellanti ai sensi della legge n. 53/1994 (“Facoltà di notificazioni di atti
civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali”)
- quand’anche si siano in effetti tradotti in una o più delle ipotesi di
nullità prospettate, devono in ogni caso ritenersi sanati per effetto del
raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 3, cod. proc. civ., in seguito
alla costituzione nel presente giudizio della parte collettiva che le medesime
nullità ha fatto valere (sul punto, la Cassazione ha infatti affermato che la
sanatoria consegue alla rituale costituzione in caso di qualsiasi difformità
rispetto alle forme previste dalla l. n. 53/1994; Sez. II, 10 marzo 2011, n.
5743).
4.
In contrario non vale obiettare, come fanno i medesimi ricorrenti, che uno di
loro, il sig. Vincenzo Masci, è deceduto nelle more del giudizio di primo
grado.
Infatti,
non essendo tale evento stato dichiarato dal procuratore della parte ai fini
dell’interruzione del processo, è conseguentemente applicabile il principio di
recente affermato dalla Cassazione secondo cui, in caso di evento interruttivo
non dichiarato, la notificazione dell’appello è validamente effettuata presso
il procuratore costituito per le parti che hanno costituito il litisconsorzio
di tipo processuale del giudizio di primo grado, ai sensi dell'art. 330, comma
1, cod. proc. civ., in virtù della conseguente ultrattività del mandato
difensivo nel giudizio d’appello (sentenza 4 luglio 2014, n. 15295; pronuncia
in ragione della quale gli stessi originari ricorrenti hanno rinunciato, in
memoria di replica, all’eccezione di inammissibilità per difettosa
instaurazione del contraddittorio nel presente giudizio).
I
principi affermati dalla sentenza ora richiamata sono pienamente estensibili al
processo amministrativo. Ciò sia in virtù del rinvio “esterno” specificamente
previsto per le notificazioni all’art. 39, comma 2, cod. proc. amm., sia in
ragione della norma riproduttiva di quella del codice di procedura civile
poc’anzi citata, concernente il luogo di notificazione dell’appello davanti al
Consiglio di Stato, contenuta nell’art. 93, comma 1, del medesimo codice del
processo di cui al d.lgs. n. 104/2010.
Peraltro,
nessuna inammissibilità avrebbe mai potuto essere pronunciata, alla luce del
disposto dell’art. 95, comma 3, cod. proc. amm., il quale prevede che il
giudice ordini l’integrazione del contraddittorio nel caso in cui la sentenza «non
è stata impugnata nei confronti di tutte le parti». Ordine tuttavia
superfluo nel caso di specie, essendo stati citati in riassunzione anche gli
eredi del defunto.
5.
Deve peraltro escludersi, in apice, che le nullità della notifica dedotte si
siano verificate.
Palesemente
infondato è innanzitutto il rilievo di tale vizio a causa del mancato deposito
di copia dell’appello presso la segreteria del giudice a quo, e cioè del TAR
Abruzzo – sede dell’Aquila, in spregio a quanto previsto dagli artt. 9 e 11
della citata legge.
Come
infatti controdedotto dalle società appellanti, tale formalità, comunque non
necessaria al fine di rendere conoscibile l’impugnazione ai relativi
destinatari, è strumentale ad adempimenti di cancelleria necessari ad impedire
l’esecutività del decreto ingiuntivo (cfr. in particolare il comma 1 del citato
art. 9), ed è dunque specifico del solo processo civile.
Inoltre,
contrariamente a quanto asseriscono gli originari ricorrenti, la comminatoria
di nullità contenuta nell’art. 11, relativa tra l’altro all’ipotesi in cui «non
sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti», deve
essere riferita, in base ai principi generali in materia di notificazioni di
atti processuali, alle sole forme necessarie al raggiungimento dello scopo
tipico di queste, consistenti appunto nel rendere conoscibile l’atto al
relativo destinatario. A conforto di tale notazione è il caso di evidenziare
che l’art. 3, comma 3, della legge n. 53/1994 statuisce che «Per il
perfezionamento della notificazione e per tutto quanto non previsto dal
presente articolo, si applicano, per quanto possibile, gli articoli 4 e
seguenti della legge 20 novembre 1982, n. 890», vale a dire della legge
contenente le norme generali sulla notificazione a mezzo posta degli atti
giudiziari.
Ed
in questa linea interpretativa si colloca la Cassazione (Sez. I, 25 febbraio
2011, n. 4704), la quale ha affermato che il mancato adempimento previsto
dall’art. 9 l. n. 53/1994 non produce la nullità della notifica, ai sensi del
successivo art. 11 della legge n. 53/1994. Infatti, sebbene questa norma
correli tale sanzione, secondo le regole generali, non solo alla mancanza dei
requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla legge ed all’incertezza sulla
persona cui è stata consegnata la copia dell’atto o sulla data della notifica,
ma anche alla inosservanza delle disposizioni contenute nella legge, la Suprema
corte ha nondimeno precisato che questa «espressione ellittica va riferita a
quegli scarti dal modello legale, verificatisi nel procedimento di notifica,
che abbiano inciso sul suo regolare perfezionamento e non anche all'omissione
di un adempimento che si colloca, teleologicamente e temporalmente, su di un
piano distinto ed ulteriore».
6.
Insussistente è anche la nullità della notifica a causa del mancato deposito
della delibera del competente consiglio forense con cui il procuratore delle
due società appellanti è stato autorizzato ai sensi dell’art. 1 della citata l.
n. 53/1994 ad effettuare le notifiche in proprio, prospettata dagli originari
ricorrenti in memoria di replica.
Prescindendo
da ogni considerazione circa la conformità ai doveri di lealtà processuale del
comportamento della difesa degli originari ricorrenti, che dopo avere dedotto
l’assenza di prova di un requisito di legittimazione necessario alla notifica solo
nell’ultimo scritto difensivo si sono quindi opposti all’istanza di controparte
di produzione del provvedimento autorizzativo nella prima sede processuale
immediatamente successiva, e cioè all’udienza di discussione, la medesima parte
eccipiente non ha comunque specificato quale sarebbe la norma contenente la
comminatoria per tale adempimento. L’eccezione è dunque innanzitutto formulata
in modo generico.
7.
Devono poi ritenersi ampiamente condivisibili le considerazioni formulate dal
difensore delle società appellanti, secondo cui comunque nessuna norma richiede
a pena di nullità che ogniqualvolta sia effettuata una notifica ai sensi della
più volte citata l. n. 53/1994 debba anche essere prodotta la necessaria
autorizzazione, essendo per contro sufficiente che di quest’ultima si faccia
menzione nella relazione di notificazione del provvedimento autorizzatorio (un
simile obbligo è per la verità testualmente previsto dall’art. 3-bis per
il caso di notificazione con modalità telematica).
Ed
infatti, come statuito dalla Cassazione, la nullità discende dalla effettiva
mancanza dell’autorizzazione ad effettuare le notifiche in proprio (Sez. un., 1
dicembre 2000, n. 1242; conforme: Sez. III, 4 aprile 2001, n. 4986; Sez. trib.,
5 agosto 2004, n. 15081), ma non già dall’omessa produzione in giudizio del
provvedimento. E’ in particolare la carenza effettiva del provvedimento ex
artt. 1 e 7 l. n. 53/1994 a determinare l’incapacità dell’avvocato di avvalersi
della facoltà di notifica in proprio consentita dalla legge in esame, ma non
certo la mancata documentazione di tale capacità.
Ebbene,
questa carenza non è stata minimamente contestata dagli odierni appellati,
ragione per la quale, unitamente alla piena sanatoria comunque intervenuta, il
Collegio ha ritenuto di non consentire il deposito del provvedimento
autorizzativo del competente ordine forense all’udienza di discussione.
8.
Deve quindi essere respinta anche l’eccezione di improcedibilità dell’appello,
formulata dai medesimi originari ricorrenti in conseguenza del sopravvenuto
annullamento in autotutela dell’autorizzazione ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003
originariamente rilasciata a favore della MA&D Power Engeneering, in virtù
della citata determinazione regionale del 28 maggio 2015, n. 172, emessa nelle
more del presente giudizio.
In
primo luogo, il difensore delle società ha riferito in sede di discussione di
avere depositato davanti al TAR dell’Aquila il ricorso contro quest’ultimo
atto, nei confronti del quale, in ogni caso, alla data del 9 luglio 2015, in
cui si è tenuta l’udienza, il termine per impugnare non era comunque spirato.
9.
Ciò precisato, è incontestabile che le due società vantino tuttora l’interesse
al presente appello, poiché attualmente pregiudicate non solo dall’atto
sopravvenuto, ma anche dall’annullamento dell’autorizzazione pronunciato in
primo grado dal TAR con la sentenza definitiva n. 793 del 12 novembre 2014, qui
appellata. Solo la rimozione di entrambe le statuizioni consentirebbe infatti
il riespandersi dell’efficacia dell’originaria autorizzazione e dunque la
riacquisizione delle utilità da essa discendente.
10.
Non sussistono nemmeno i presupposti per sospendere il presente giudizio in
attesa della definizione di quello relativo all’annullamento d’ufficio
dell’autorizzazione, in applicazione dell’art. 295 cod. proc. civ., come
parimenti domandato dai medesimi ricorrenti in primo grado.
In
primo luogo, non è configurabile alcun obbligo di sospensione ai sensi della
citata disposizione del codice di procedura civile, dal momento che la stessa
non è applicabile a giudizi pendenti in diverso grado (come affermato da questa
Sezione nella sentenza 16 febbraio 2015, n. 806; del resto in linea con la
giurisprudenza di legittimità: Cass., Sez. un., 19 giugno 2012, n. 10027; sul
carattere obbligatorio della sospensione solo in caso di pregiudizialità ai
sensi della citata disposizione, cfr. la pronuncia di questa Sezione del 29
aprile 2015, n. 2170) .
Ma
in radice non è configurabile alcuna pregiudizialità in senso tecnico. Come
infatti poc’anzi accennato, sia la pronuncia giurisdizionale del TAR che l’atto
sopravvenuto sono sinergicamente convergenti nel senso di ledere gli interessi
delle odierne appellanti, mentre l’ipotetico accertamento dell’illegittimità di
quest’ultimo non esplicherebbe alcuna efficacia vincolante nel presente
giudizio, lasciando comunque immutato l’effetto pregiudizievole della prima.
Solo
l’opposto (ed altrettanto eventuale) esito del separato giudizio, e cioè il
definitivo rigetto dell’impugnativa contro l’annullamento d’ufficio
dell’autorizzazione comporterebbe l’improcedibilità del presente appello. Ciò
tuttavia per il definitivo consolidarsi di un provvedimento sfavorevole alle
due società odierne appellanti, ma non già per l’effetto vincolante che
l’annullamento dell’atto di autotutela esplicherebbe nel presente giudizio. Non
può del resto concepirsi una pregiudizialità secundum eventum litis.
11.
Sempre in via preliminare, gli originari ricorrenti eccepiscono
l’inammissibilità dell’appello nei confronti della sentenza non definitiva n.
316 del 28 marzo 2013, perché la riserva d’appello nei confronti di questa
pronuncia, ai sensi dell’art. 103 cod. proc. amm., è stata effettuata dalla
Ma&D Power Engineering, il cui interesse al ricorso sarebbe tuttavia venuto
meno in seguito al subentro dell’autorizzazione in favore della Futuris
Aquilana (con determinazione in data 8 settembre 2011), mentre quest’ultima non
ha formulato analoga riserva.
Entrambe
sono in realtà pienamente interessate al presente giudizio: la prima quale parte
originaria e dallo stesso non estromessa e la seconda in virtù della
successione a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 cod. proc.
amm.. Nelle descritte qualità le due società sono quindi soggette al giudicato
sostanziale derivante dalla pronuncia definitiva sulla presente impugnativa ai
sensi dell’art. 2909 cod. civ. (il quale giudicato fa stato tra gli aventi
causa delle parti originarie), sicché gli effetti degli atti di impulso della
prima si cristallizzano nel processo se ritualmente svolti e in ragione di ciò
giovano all’altra.
12.
Può dunque passarsi al merito dell’appello.
Infondato
è innanzitutto il motivo diretto a contestare la legittimazione ad agire degli
originari ricorrenti.
Deve
al riguardo puntualizzarsi, diversamente da quanto si sostiene nella censura in
esame, che la presente impugnativa è riconducibile al novero di quelle di
carattere ambientale, perché rivolta contro un’autorizzazione di un impianto di
produzione di energia elettrica alimentato da fonti rinnovabili, ai sensi del
citato art. 12 d.lgs. n. 387/2003.
Per
contro, anche ai fini della domanda subordinata contenuta nella medesima
censura, volta ad escludere la legittimazione solo di alcuni dei ricorrenti in
primo grado, si formulano rilievi in ordine alla prevalenza degli aspetti di
carattere urbanistico – edilizio. Tuttavia, un simile approccio non può essere
condiviso, stante l’ormai pacifica compenetrazione delle problematiche di
carattere ambientale in quelle urbanistiche (si vedano al riguardo le recenti pronunce
della IV Sezione di questo Consiglio di Stato, 9 gennaio 2014 n. 36 e 19
febbraio 2015, n. 839), in ragione della quale deve affermarsi anche il
reciproco, e cioè che laddove venga impugnata un’autorizzazione di natura
ambientale le questioni di carattere urbanistico ed edilizio dedotte a
fondamento di censure di legittimità non mutano la consistenza degli interessi
azionati in giudizio.
13.
Alla luce di quest’ultima notazione, è applicabile la giurisprudenza di questa
Sezione che interpreta in senso estensivo il concetto di vicinitas,
ritenendo che la dimostrazione della legittimazione attiva dei soggetti che si
trovano esposti ad un impianto avente potenziali riflessi negativi
sull’ambiente non possa essere subordinata alla prova puntuale della concreta
pericolosità dello stesso, dovendo al contrario ritenersi sufficiente una
prospettazione della diffusività delle emissioni e delle conseguenti
ripercussioni sul territorio comunale e nelle immediate vicinanze di questo
(sentenze 23 marzo 2015, n. 1564, 18 aprile 2012 n. 2234, citata dal TAR nella
sentenza non definitiva n. 316 del 28 marzo 2013, e 16 settembre 2011, n. 5193;
in termini non dissimili: Sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4775). Prevalgono a
questo riguardo preoccupazioni consistenti nei rischi di vanificare la tutela
giurisdizionale, con violazione dei principi costituzionali sanciti dagli artt.
24 e 113 Cost., laddove si addossasse ai ricorrenti un onere probatorio
particolarmente eccessivo ed irragionevole.
Deve
poi evidenziarsi che, quale condizione dell’azione, la legittimazione ad agire
si fonda su una ragionevole prospettazione della lesione potenziale, senza che
in questa fase possa esigersi una dimostrazione concreta dei danni, peraltro
futuri, con il risultato di addossare alla parte ricorrente una prova
diabolica.
14.
Ciò precisato, la legittimazione ad agire, con l’impugnativa che ha dato
origine al presente giudizio, deve essere affermata nei confronti di tutti i
ricorrenti di primo grado, poiché residenti nelle immediate vicinanze
dell’impianto, ed in particolare in un raggio di circa 1 chilometro, benché in
frazioni diverse da quella di Bazzano (in particolare Monticchio e Onna), vale
a dire in un ambito territoriale la cui potenziale esposizione alle emissioni
atmosferiche dell’impianto contestato non può essere esclusa.
Analoghe
considerazioni devono essere svolte con riguardo alla legittimazione ad agire
del Comitato civico La Terra dei figli, che le due società odierne appellanti
pretendono di negare solo perché non esponenziale di soggetti residenti in
frazione Bazzano, e che, per contro, del tutto correttamente il TAR ha
riconosciuto (nella sentenza non definitiva n. 316 del 28 marzo 2013) sulla
base dell’ampio concetto di vicinitas enucleato dalla
giurisprudenza amministrativa in materia ambientale, con statuizione non
ulteriormente censurata nella presente impugnazione.
15.
Può passarsi al secondo motivo, concernente la conformità dell’impianto con il
piano stralcio per la difesa dalle alluvioni (di cui alla citata delibera del
consiglio regionale n. 94/5 del 29 gennaio 2008), ed in particolare con il
divieto contenuto nell’art. 21, comma 1, lett. b), delle relative norme
tecniche di attuazione, secondo cui «non è consentita la realizzazione di
piani seminterrati e interrati», applicabile ai sensi del successivo art.
22, comma 2, alle aree tipizzate a pericolosità idraulica moderata (P1), quale
quella in cui l’impianto in contestazione dovrebbe sorgere.
Il
TAR ha ricondotto a tale ipotesi astratta il vano destinato allo stoccaggio
delle biomasse.
16.
Le critiche formulate nei confronti di questa statuizione dalle società
appellanti sono tuttavia fondate.
In
particolare, esse sono confortate sul piano probatorio dalla relazione tecnica
depositata nel giudizio di primo grado (doc. n. 9), contenente in particolare
una sezione prospettica longitudinale (tavola 21), dalla quale emerge in modo
chiaro che non si tratta di un piano ma di un volume posto al di sotto del
piano di campagna, fino ad una quota di – 5 metri, facente parte della
complessiva struttura impiantistica (per il resto fuori terra). Dal documento
in esame si trae in particolare la conferma che il vano contestato consiste in
una fossa non accessibile al personale, in cui la biomassa viene scaricata
dagli automezzi dall’apposita apertura «completamente chiudibile mediante
due portoni ad avvolgimento rapido» (così ancora nella relazione tecnica),
al di sopra della quale si colloca, sopra il piano di campagna, un carroponte
elettromagnetico con benna necessario all’estrazione del materiale, sormontato
dal relativo involucro.
17.
Sulla base di ciò risultano smentiti i rilievi del TAR, secondo cui una simile
struttura metterebbe a repentaglio le finalità perseguite dal piano regionale
di difesa dalle alluvioni, a causa del «probabile trascinamento
incontrollato e devastante di tonnellate di materiale, veicolato in superficie
dalla furia dell’acqua». L’apocalittico scenario descritto è in realtà
privo di adeguato supporto probatorio e puntualmente smentito dalle deduzioni
delle odierne appellanti, le quali hanno anche sottolineato, in più punti delle
proprie difese, che la biomassa consiste in cippato e cioè in legno ridotto in
scaglie di modeste dimensioni.
Del
pari smentito è il pericolo per l’incolumità delle persone, avendo le medesime
società debitamente rappresentato, attraverso la relazione tecnica e la tavola
prospettica sopra esaminate, che il vano in questione non è accessibile al
personale addetto all’impianto. La deduzione non è inoltre contestata dalle
parti avversarie.
18.
Con riguardo al capo della sentenza in esame deve quindi precisarsi che
l’accoglimento del motivo di impugnativa (quinto aggiunto) si fonda
esclusivamente sulla previsione di un piano interrato nell’impianto progettato.
Pertanto, è infondata l’eccezione di inammissibilità del motivo d’appello
svolto contro tale statuizione, formulata dagli originari ricorrenti nella loro
memoria costitutiva, sull’assunto che sarebbe invece stata omessa da
controparte ogni critica rispetto all’altra parte del motivo accolto dal TAR, e
cioè quella in cui avevano dedotto che l’impianto di teleriscaldamento a
servizio dell’impianto di produzione energetica è sito in gran parte in zona
tipizzata a pericolosità idrogeologica elevata (P3), con conseguente necessità
di acquisire in conferenza di servizi il parere della competente autorità di
bacino.
Un
simile onere di critica specifica postula, ai sensi dell’art. 101, comma 1,
cod. proc. amm. (come chiarito dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di
Stato nella sentenza 3 giugno 2011, n. 10), una motivazione da sottoporre a
censura mediante appello; ciò che non è configurabile nel caso di specie, non
avendo il TAR minimamente dato conto della censura ora riportata.
19.
Fondato è anche il terzo motivo d’appello, diretto a censurare la sentenza n.
793 del 12 novembre 2014 nella parte in cui il giudice di primo grado ha
escluso il presupposto dell’acquisizione della disponibilità delle aree su cui
l’impianto deve essere realizzato entro l’anno dal rilascio dell’autorizzazione,
e cioè entro il 30 agosto 2011, necessario ai fini della relativa proroga (ai
sensi degli artt. 15, comma 1, d.lgs. n. 79/1999 “Attuazione della direttiva
96/62/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica,
come modificato dall’art. 1, comma 75, l. n. 239/2004 “Riordino del settore
energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni
vigenti in materia di energia”, e 2, comma 159, l. n. 244/2007 finanziaria per
il 2008).
Secondo
il TAR la prova in questione presupponeva necessariamente la registrazione a
fini fiscali dei contratti preliminari di acquisto dei terreni, in conformità a
quanto previsto dall’art. 18 t.u. sull’imposta di registro (d.p.r. n.
131/1986); adempimento tardivamente effettuato, nel caso di specie, nel
successivo mese di settembre 2011.
20.
Il principio affermato dal giudice di primo grado non è tuttavia conforme
all’orientamento della Cassazione, secondo la quale la data certa di una
scrittura privata può essere ricavata da qualsiasi altra prova idonea (da
ultimo: Sez. III, 3 agosto 2012, n. 13943; in termini: Sez. I, 22 ottobre 2009,
n. 22430). Ebbene, nel caso di specie questa idoneità probatoria è certamente
ravvisabile nella documentazione bancaria comprovante i pagamenti in favore dei
promittenti venditori e nelle quietanze di versamento dell’imposta di registro
(mod. f23), entrambi anteriori al termine del 30 agosto 2011, poiché confermano
che le transazioni commerciali sono avvenute alle date indicate nei relativi
documenti.
Attraverso
le produzioni documentali del giudizio di primo grado le appellanti hanno anche
documentato l’ulteriore presupposto necessario alla proroga, su cui peraltro il
TAR nulla ha statuito, e cioè l’accettazione del preventivo per l’allacciamento
alla rete elettrica nazionale, effettuato dalla MA&D sin dal novembre 2009,
avendo quest’ultima in tal modo assunto, in qualità di società (allora)
istante, tutti gli obblighi derivanti dal titolo autorizzativo. Obblighi nei
quali - per rispondere alle censure degli originari ricorrenti sul punto - la
Futuris Aquilana è subentrata in seguito alla voltura dell’autorizzazione a
proprio favore disposta dalla Regione.
21.
Devono a questo punto essere esaminati i motivi di ricorso, riproposti ex art.
101, comma 2, cod. proc. amm. dagli originari ricorrenti, nessuno dei quali è
fondato per i seguenti rilievi:
-
(primo e secondo motivo di ricorso) l’area su cui l’impianto deve essere
realizzato è tipizzata come industriale, cosicché la disponibilità della stessa
non è condizione per il rilascio del titolo ai sensi dell’art. 12, comma 4-bis,
d.lgs. n. 387/2003, la quale è invece applicabile ai soli terreni agricoli (in
virtù della norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 65, comma 5,
d.l. n. 1/2012 “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle
infrastrutture e la competitività”, conv. con l. n. 27/2012);
-
in particolare, in contrario a quanto viene dedotto dagli originari ricorrenti,
il carattere interpretativo della disposizione da ultimo menzionata si evince
in modo chiaro dalla relativa formulazione («Il comma 4-bis dell'articolo 12
del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, introdotto dall'articolo 27,
comma 42, della legge 23 luglio 2009, n. 99, deve intendersi riferito
esclusivamente alla realizzazione di impianti alimentati a biomasse situati in
aree classificate come zone agricole dagli strumenti urbanistici comunali»),
donde la relativa applicabilità in via retroattiva a fattispecie antecedenti
alla sua entrata in vigore;
-
(terzo e quarto motivo) in sede autorizzativa non occorreva alcun parere della
competente Autorità di bacino in base al sopra citato piano stralcio per la
difesa dalle alluvioni (cfr. l’art. 1, comma 6, delle norme tecniche di
attuazione) e non è stato violato il divieto assoluto di realizzare nuove
costruzioni, perché l’uno e l’altro presupposto di legittimità sono legati
all’insistenza dell’opera sulle aree a rischio idraulico elevato (P3), nel caso
di specie non sussistente, come incontestabilmente risulta dalle planimetrie
allegate al piano depositate dalla MA&D nel giudizio di primo grado (doc.
nn. 5 e 6) e dall’attestazione in data 26 settembre 2013 (prot. n. 237201)
parimenti prodotta davanti al TAR da quest’ultima società;
-
(quinto motivo) l’assunto secondo cui l’impianto ricadrebbe in zona P2, e cioè
a rischio idraulico medio, è formulato in modo ipotetico «ove risultasse
collocato in zona P2, lo stabilimento del MA&D risulta indebitamente
autorizzato in zona a rischio idraulico per difetto delle condizioni che ne
avrebbero consentito l’insediamento» (pag. 12 della memoria costitutiva nel
presente giudizio), per cui la censura è inammissibile;
-
(sesto motivo) non sussiste alcuna deroga ai valori limite delle emissioni
inquinanti stabiliti dalla Regione Abruzzo ai sensi dell’art. 272 t.u.
ambiente, poiché, come puntualmente controdedotto davanti al TAR dalla
MA&D, attraverso le modifiche apportate alla delibera di giunta regionale
n. 517 del 27 giugno 2007 con la successiva delibera n. 329 del 29 giugno 2009,
i limiti per i nuovi impianti, tra cui quello in contestazione, sono quelli
valevoli su base nazionale, e cioè i limiti di cui all’allegato I alla parte V
del t.u. ambiente n. 152/2006, e non già quello fisso del 30% di abbattimento
rispetto a questi ultimi precedentemente previsto in via generale in ambito
regionale;
-
(settimo motivo) il piano di approvvigionamento della biomassa non costituisce
elemento di valutazione in sede di autorizzazione ex art. 12 d.lgs. n.
387/2003, perché fuoriesce dalle nozioni di «impianti alimentati da fonti
rinnovabili» e di «opere connesse» e «infrastrutture
indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti»
impiegate nel comma 1 della disposizione in esame;
-
(ottavo motivo) sono inammissibili, perché di puro merito, le doglianze volte a
sostenere l’insostenibilità del piano di approvvigionamento della biomassa
presentato in sede autorizzativa dalla MA&D;
-
(nono motivo) i limiti per la sottoposizione a valutazione di impatto
ambientale del progetto sono quelli propri della tipologia di impianto
(allegato III, alla parte seconda t.u. ambiente), rispetto al cui superamento
non vi è alcuna deduzione, e non già quelli per il mutamento di destinazione
d’uso di aree naturali protette, come invece ritenuto dai ricorrenti in ragione
dei luoghi presso i quali si prevede l’approvvigionamento della biomassa in
base al piano predisposto in sede autorizzativa, fermo restando che
quest’ultima evenienza è stata puntualmente ed in modo condivisibile smentita
già nel corso del giudizio di primo grado, considerato che nel piano medesimo
si prevede il ricorso a colture dedicate già esistenti o a residui e materiale
di scarto di processi agricoli;
-
(decimo motivo) per le medesime ragioni, non vi era la necessità di acquisire
in sede di conferenza di servizi il parere degli enti parco competenti ai sensi
della legge quadro n. 394/1991;
-
(undicesimo motivo) avendo la società originaria istante ottenuto dall’allora
Consorzio per il nucleo di sviluppo industriale dell’Aquila già nel 2009 l’assegnazione
delle aree, come documentato nel giudizio di primo grado, lo stesso non era
onerato di promuovere le relative espropriazioni e di possedere i requisiti
previsti dalla delibera di giunta regionale n. 351 del 12 aprile 2007;
-
(primo motivo aggiunto) è palese l’inammissibilità di un motivo di impugnazione
di un provvedimento, l’autorizzazione ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003,
originariamente rilasciata a favore della MA&D, proposta al fine di
chiederne la decadenza per circostanze sopravvenute al provvedimento medesimo
ed in esso previste, e cioè l’asserito mancato rispetto del termine di inizio
dei lavori;
-
(terzo motivo aggiunto: il secondo è consistito nel censurare gli atti
sopravvenuti in via derivata rispetto ai vizi precedentemente dedotti) rispetto
ai profili accolti dal TAR, in questo motivo si reitera l’assunto che il
termine per l’inizio dei lavori previsto dall’autorizzazione non sarebbe stato
rispettato, perché la MA&D avrebbe omesso di rendere alla Regione la
relativa comunicazione nel termine annuale; la circostanza tuttavia è stata
smentita documentalmente nel giudizio di primo grado dalla società, attraverso
la produzione della propria comunicazione datata 25 agosto 2011 con timbro di
protocollo della Regione del successivo 29 agosto (allegato n. 54);
-
(quarto motivo aggiunto) l’assunto della disponibilità delle aree come
condizione per il rilascio dell’autorizzazione, ai sensi dell’art. 12, comma 4-bis,
d.lgs. n. 387/2003, è smentito dalla citata norma interpretativa di cui
all’art. 65, comma 5, d.l. n. 1/2012, come sopra rilevato;
-
(sesto motivo aggiunto: il quinto è quello relativo al piano interrato, accolto
dal TAR) l’asserita violazione delle norme tecniche del piano regionale
paesistico, risalente al 1995, è stata inammissibilmente dedotta solo con il
secondo atto di motivi aggiunti anziché nel ricorso introduttivo ed in ogni
caso è insussistente, perché l’area interessata dall’impianto progettato non è
vincolata;
-
(settimo motivo aggiunto) le doglianze rivolte alle ragioni addotte alla base
della proroga dei lavori, consistenti nelle difficoltà rappresentate dalla
Futuris Aquiliana nella redazione della progettazione esecutiva a causa della
situazione post-sismica, non si sostanziano nell’enucleazione di specifici vizi
di legittimità, sotto il profilo della violazione di norme di legge o di
profili di eccesso di potere, per cui sono inammissibili;
-
(ottavo motivo aggiunto) per le medesime ragioni è inammissibile anche
l’assunto volto a sostenere l’irrealizzabilità del piano di approvvigionamento
dell’impianto a causa di sopravvenute modifiche alla tariffa incentivante in
materia di produzione di energia elettrica da fonti alternative.
22.
In conseguenza di tutto quanto sopra, in accoglimento del presente appello deve
essere riformata la sentenza del TAR Abruzzo – sede dell’Aquila n. 793 del 12
novembre 2014, dovendosi respingere il ricorso con essa accolto. Devono quindi
essere respinti anche tutti i motivi del medesimo mezzo e quelli aggiunti
riproposti nel presente appello.
Le
spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza nei rapporti tra le
due società odierne appellanti da una parte, i ricorrenti in primo grado e
l’associazione intervenuta ad adiuvandum di questi, potendo
tuttavia essere compensate nei limiti della metà per la complessità delle
questioni controverse. Per la relativa liquidazione si rinvia al dispositivo.
Può
infine essere disposta la compensazione integrale delle spese tra le medesime
società e le amministrazioni intimate per l’assenza di contrasto tra le une e
le altre.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente
pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e
per l’effetto, in riforma della sentenza n. 793 del 12 novembre 2014, respinge
il ricorso di primo grado.
Compensa,
nei limiti della metà, le spese del doppio grado di giudizio nei rapporti tra
le s.r.l. Ma&D Power Engineering e Futuris Aquilana da un parte, il
comitato civico La Terra dei figli, Enrico Cocciolone, Evandro Aloisio, Massimo
De Simone, Vincenzo Sacchetti, Serafino Nardecchia, Angelo Cocciolone, Giovanni
Cibisca, e l’Associazione pro-loco di Onna dall’altra parte, ponendo a carico
di questi ultimi ed a favore delle prime la restante metà, liquidata
complessivamente in € 10.000,00, oltre agli accessori di legge.
Compensa
integralmente le spese del doppio grado di giudizio nei rapporti tra le s.r.l.
Ma&D Power Engineering e Futuris Aquilana da una parte e tutte le
amministrazioni intimate dall’altra.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2015 con
l'intervento dei magistrati:
Carmine
Volpe, Presidente
Francesco
Caringella, Consigliere
Manfredo
Atzeni, Consigliere
Nicola
Gaviano, Consigliere
Fabio
Franconiero, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
|
IL PRESIDENTE
|
|
DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
Il
28/07/2015
IL
SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)