ADUNANZA PLENARIE:
l'Antitrust
e la competenza sanzionatoria
sulla "pratica commerciale aggressiva"
(Ad. Plen., sentenza 9 febbraio 2016, n. 3)
Principi di diritto
1. La competenza ad irrogare la sanzione per “pratica commerciale considerata in ogni caso aggressiva” è sempre individuabile nell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;
2. Non viene meno l’interesse alla pronuncia di annullamento per incompetenza dell’Antitrust, dovendo essere invece direttamente respinta la censura di incompetenza.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
(Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 16
di A.P. del 2015, proposto da:
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Vodafone Omnitel NV, in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fabio
Cintioli e Vittorio Minervini, con domicilio eletto presso l’avvocato Fabio
Cintioli in Roma, via Vittoria Colonna, 32;
nei confronti di
Associazione Altroconsumo;
e con l'intervento di
ad opponendum:
Telecom Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Siragusa e Fausto Caronna, con domicilio eletto presso l’avvocato Mario Siragusa in Roma, piazza di Spagna, 15;
Telecom Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Siragusa e Fausto Caronna, con domicilio eletto presso l’avvocato Mario Siragusa in Roma, piazza di Spagna, 15;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Lazio, Roma,
Sez. I, n. 01742/2013, resa tra le parti, concernente l’irrogazione di sanzione
amministrativa pecuniaria per pratica commerciale scorretta.
Visti il ricorso in appello e i relativi
allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio
di Vodafone Omnitel NV;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno
9 dicembre 2015 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti
l’Avvocato dello Stato Meloncelli e gli avvocati Minervini, Cintioli, Siragusa
e Caronna;
FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
il Lazio, Roma, Sez. I, con la sentenza 18 febbraio 2013, n. 1742, ha accolto
il ricorso proposto dall’attuale parte appellata Vodafone Omnitel NV per
l’annullamento della decisione 6 marzo 2012, n. 23357, assunta all’esito del
procedimento PS7002 e notificata a Vodafone in data 23 marzo 2012, con cui
l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha condannato Vodafone, in
qualità di professionista, al pagamento della sanzione amministrativa
pecuniaria di euro 250.000,99 in relazione alla pratica commerciale giudicata
scorretta ai sensi degli artt. 20, 24, 25 e 26, lett. f), d.lgs. n. 206-2005
(Codice del Consumo), e “consistente nell'aver omesso di informare in maniera
adeguata gli acquirenti delle SIM dell'esistenza di servizi accessori già
attivati, fra i quali, in particolare, la navigazione in internet ed il
servizio di segreteria telefonica”, anche nella parte in cui rigetta gli
impegni proposti da Vodafone.
La sentenza è stata appellata avanti al
Consiglio di Stato e la Sezione VI, cui è stato assegnato il ricorso, con
ordinanza 18 settembre 2015, n. 4352, ha rimesso all’Adunanza Plenaria le
seguenti questioni:
a) se l’articolo 27, comma 1-bis, del
Codice del consumo, sia da interpretarsi come norma attributiva di una
competenza esclusiva ad AGCM in materia di pratiche commerciali scorrette,
anche a fronte di condotte disciplinate da specifiche norme settoriali di
derivazione europea (ritenute idonee a reprimere il comportamento sia con
riguardo alla completezza ed esaustività della disciplina, sia con riguardo ai
poteri sanzionatori, inibitori e conformativi attribuiti all’Autorità di
regolazione);
b) in caso affermativo, se la circostanza
che lo jus superveniens abbia attribuito ad AGCM la competenza
all’esercizio del potere sanzionatorio in materia di pratiche commerciali
scorrette comporti il venir meno dell’interesse alla decisione in ordine alla
censura di incompetenza – formulata con riguardo alla sanzione adottata da tale
Autorità nel precedente regime - anche nell’ipotesi in cui la nuova norma abbia
aggravato il procedimento di irrogazione della sanzione con la previsione della
necessaria acquisizione del parere dell’Autorità di regolazione.
Le parti, in sede di discussione avanti a
questa Adunanza all’udienza 9 dicembre 2015, hanno riproposto le tesi già
ribadite negli atti depositati in giudizio, insistendo in particolar modo (da
parte di Vodafone) sulla necessità di deferimento della questione oggetto del
giudizio alla Corte di Giustizia.
DIRITTO
1. Rileva preliminarmente questa Adunanza
che la fattispecie che ha dato luogo all’irrogazione della sanzione contestata
in questo giudizio consiste nell’aver attivato, da parte del professionista, i
servizi di navigazione in internet e di segreteria telefonica sulle SIM vendute
senza aver previamente acquisito il consenso del consumatore e senza averlo
reso edotto dell’esistenza della preimpostazione di tali servizi e della loro
onerosità, così esponendolo ad eventuali addebiti inconsapevoli connessi alla
navigazione internet e al servizio di segreteria.
Questa condotta è stata ritenuta “idonea a
determinare un indebito condizionamento tale da limitare considerevolmente, e
in alcuni casi addirittura escludere, la libertà di scelta degli utenti in
ordine all’utilizzo e al pagamento dei servizi reimpostati” e, quindi,
integrante la fattispecie della “pratica commerciale considerata in ogni caso
aggressiva”, attuata esigendo il pagamento immediato o differito o la
restituzione o la custodia di prodotti che il professionista ha fornito, ma che
il consumatore non ha richiesto, vietata ai sensi dell’art. 26, comma 1, lett.
f), d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206.
La condotta appena descritta, oggetto di
sanzione da parte dell’Antitrust, è contestata nella misura in cui dà luogo a
conflitti di norme sostanziali applicabili appartenenti a corpus normativi
differenti, segnatamente riferibili nel caso di specie, nella prospettiva
dell’appellata Vodafone, al settore regolato dall’Autorità per le Garanzie
nelle Comunicazioni (“AgCom”).
Ciò anche in considerazione del fatto che
questa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 11 maggio 2012,
n. 11 (e successive sentenze da 12 a 16-2012) ha stabilito l’incompetenza
dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ad applicare la
disciplina sulle pratiche commerciali scorrette (artt. 21 e ss. Codice del
Consumo) nei settori in cui la tutela del consumatore è attribuita ad un’autorità
regolamentare, secondo lo schema della cd. specialità “per settori”.
2. Questa Adunanza ritiene di poter
risolvere la questione relativa alla competenza dell’Autorità appellante (cui
entrambi i quesiti, sostanzialmente, fanno riferimento), valorizzando nel caso
in esame le condotte in specifico contestate.
Secondo questa Adunanza, la fattispecie in
esame integra pacificamente una condotta anticoncorrenziale ai sensi della
normativa appena citata, pur attuata mediante l’inosservanza di obblighi imposti
dal Codice delle comunicazioni elettroniche e dalla normativa ad esso
riferibile.
Tali condotte, infatti, consistono
specificamente in pratiche commerciali aggressive messe in opera attraverso la
violazione di obblighi informativi circa i servizi telefonici reimpostati.
Nel nostro sistema, mentre la pratica
commerciale aggressiva è inequivocabilmente attratta nell’area di competenza
dell’Autorità Antitrust appellante, la violazione degli obblighi informativi
suddetta è invece, di per sé, suscettibile di sanzione da parte dell’Autorità
per le Garanzie nelle Comunicazioni.
E’ evidente, quindi, che nel caso di
specie si assiste ad una ipotesi di specialità per progressione di condotte
lesive che, muovendo dalla violazione di meri obblighi informativi comportano
la realizzazione di una pratica anticoncorrenziale vietata ben più grave per
entità e per disvalore sociale, ovvero di una pratica commerciale aggressiva.
Si realizza quindi nell’ipotesi in esame,
sempre ai fini dell’individuazione dell’Autorità competente, più che un
conflitto astratto di norme in senso stretto, una progressione illecita,
descrivibile come ipotesi di assorbimento-consunzione, atteso che la condotta
astrattamente illecita secondo il corpus normativo presidiato dall’Autorità per
le Garanzie nelle Comunicazioni è elemento costitutivo di un più grave e più
ampio illecito anticoncorrenziale vietato secondo la normativa di settore
presidiata dall’Autorità Antitrust appellante.
Infatti, la violazione dei predetti
obblighi informativi di per sé non è sufficiente ad integrare la fattispecie di
illecito concorrenziale, poiché da tali obblighi è necessario inferire
l’esistenza di un condizionamento tale da limitare considerevolmente, e in
alcuni casi addirittura escludere, la libertà di scelta degli utenti in ordine
all’utilizzo e al pagamento dei servizi reimpostati e, per conseguenza,
ritenere integrata la condotta del “pagamento immediato o differito di prodotti
che il consumatore non ha richiesto” che costituisce, ai sensi dell’art. 26 del
Codice del consumo citato, “pratica commerciale considerata in ogni caso
aggressiva”.
3. Tale conclusione non è in contrasto con
le citate pronunce dell’Adunanza Plenaria da 11 a 16-2012, atteso che le stesse
stabilivano (al punto 6 della sentenza n. 11-2012) da un lato che “occorre
impostare il rapporto tra la disciplina contenuta nel Codice del consumo e
quella dettata dal Codice delle comunicazioni elettroniche e dai provvedimenti
attuativi/integrativi adottati dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni”,
muovendo dalla circostanza che “la disciplina recata da quest'ultimo corpus
normativo, presenti proprio quei requisiti di specificità rispetto alla
disciplina generale, che ne impone l'applicabilità alle fattispecie in esame”.
Dall’altro, tuttavia, si specificava che
“ciò evidentemente non basta: per escludere la possibilità di un residuo campo
di intervento di Antitrust occorre anche verificare la esaustività e la
completezza della normativa di settore”.
Proprio attuando tale ultimo inciso nel
caso di specie, si può evidenziare, alla luce di quanto appena descritto che il
comportamento contestato all'operatore economico con il provvedimento Antitrust
impugnato in questa sede non è per nulla interamente ed esaustivamente
disciplinato dalle norme di settore, che non comprende affatto un’ipotesi di
illecito come quella considerata, ovvero una “pratica commerciale considerata
in ogni caso aggressiva”, ricostruita sulla base dei processi inferenziali
sopra descritti.
4. Peraltro, ritiene questo Collegio di
dovere parzialmente ritornare sulle decisioni citate di questa Adunanza
Plenaria da 11 a 16-2012, optando per un revirement parziale delle medesime
nella misura in cui esse possano essere lette come mera applicazione del
criterio di specialità per settori e non per fattispecie concrete.
Tale revirement, nel senso ora precisato,
si impone anche in considerazione del fatto che, con lettera di costituzione in
mora in data 18 ottobre 2013, ex art. 258 TFUE, la Commissione Europea ha
aperto una procedura di infrazione (n. 2013-2169) nei confronti della
Repubblica Italiana per scorretta attuazione ed esecuzione della direttiva
2005/29/UE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori
nel mercato interno e della direttiva al servizio universale e ai diritti degli
utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica.
La Commissione ha contestato l’inadeguata
applicazione da parte italiana dell’art. 3, par. 4, e degli artt. da 11 a 13
della direttiva in materia di pratiche sleali poiché, in sostanza,
nell’ordinamento italiano non sarebbe correttamente applicato il principio
della “lex specialis” contenuto nella direttiva, che regola il
coordinamento tra tale disciplina (a carattere transettoriale) e le normative
specifiche di settore.
In particolare, la Commissione ha
addebitato all’Italia che tale errata applicazione del diritto europeo,
riconducibile a criteri interpretativi delle disposizioni italiane di
recepimento della normativa europea stabiliti in alcune sentenze di giudici
amministrativi e in delibere dell’AGCM, avrebbe provocato la mancata attuazione
della direttiva pratiche commerciali sleali nel settore delle comunicazioni
elettroniche.
La Commissione contesta, in particolare,
la tesi per cui l’esistenza di una disciplina specifica settoriale, in quanto
considerata esaustiva, comporterebbe la prevalenza di tale disciplina su quella
generale, ancorché di derivazione europea, in materia di tutela dei
consumatori.
Nell’interpretazione data dalle autorità
italiane si determinerebbe un contrasto tra legge speciale e norma generale non
soltanto quando esista una opposizione – tesi sostenuta dalla Commissione
europea – ma anche in presenza di una sovrapposizione per cui la disciplina
speciale regolerebbe la totalità delle fattispecie al punto che non avrebbe
ragione l’applicazione, sia pure in funzione sussidiaria o come norma di
chiusura, della disciplina generale.
Secondo la Commissione, inoltre, a causa
di tale lacuna in Italia non vi sarebbe alcuna autorità indipendente competente
a far rispettare la direttiva pratiche commerciali sleali nel settore delle
comunicazioni elettroniche.
Nell’atto di avvio della procedura
d’infrazione si legge tra l’altro che “l’art. 3, par. 4, della direttiva non
consente di concludere che l’applicazione della stessa possa essere esclusa
solo perché esiste una legislazione più specifica per un dato settore. Tale
affermazione è corretta solo se tale legislazione più specifica si fonda su
altre norme dell’Unione e se è limitata agli aspetti da essa disciplinati”.
5. Tale procedura di infrazione, che si è
aperta sul presupposto che questo Consiglio avesse completamente integralmente
e senza eccezioni adottato lo schema della specialità per settori, presupposto
per altro erroneo come si è visto, poiché una tale lettura ermeneutica,
eccessivamente rigida e schematica oblitera il contenuto articolato e complesso
delle pronunce, induce comunque ad un ripensamento di tale schema.
Schema che non può che essere quello della
specialità basato sul raffronto tra le fattispecie, secondo il collaudato
principio di specialità conosciuto nel nostro ordinamento che assurge a
criterio generale di regolazione dei rapporti tra norme sanzionatorie, penali e
amministrative, in tutte le materie disciplinate dalla legge nel nostro
ordinamento ove si verifichino conflitti apparenti di norme e sia necessario,
pertanto, risolvere le antinomie giuridiche.
Pertanto, ove disposizioni appartenenti ai
due diversi ambiti convergano sul medesimo fatto se ne applica una sola, quella
speciale, individuata in base ai criteri noti nel nostro ordinamento e in modo
compatibile, come è ovvio, con l’ordinamento comunitario nella specifica
materia di pertinenza comunitaria.
Nel caso di specie, e sempre ai fini della
competenza ad irrogare la sanzione, è evidente che l’art. 3, par. 4, della
direttiva 2005/29/UE impone che vi sia sempre l’intervento di un’Autorità
indipendente competente a far rispettare la predetta direttiva, sanzionando
all’uopo le pratiche commerciali sleali anche nel settore delle comunicazioni
elettroniche.
L’Autorità indipendente menzionata dalla
direttiva è, nel nostro sistema nazionale, l’Autorità Antitrust.
6. Sul tema della competenza si deve
peraltro osservare che con l’art. 1, comma 6, lett. a), d. lgs. 21 febbraio
2014, n. 21, recante l’attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei
consumatori (v. anche l’art. 1, e l’Allegato B, della l. n. 96/2013 – legge di
delega europea 2013), è stato inserito, nell’art. 27 del codice del consumo, il
comma 1-bis, secondo cui “anche nei settori regolati, ai sensi dell'articolo
19, comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei
professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando
il rispetto della regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all'Autorità
garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base ai poteri di
cui al presente articolo, acquisito il parere dell'Autorità di regolazione
competente”.
La relazione illustrativa allo schema del
citato d.lgs. n. 21-2014 evidenzia che la norma di modifica del codice del
consumo con la quale si attribuisce in via esclusiva all’Antitrust, acquisito
il parere dell’Autorità di settore, la competenza a intervenire nei confronti
delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale
scorretta, ha l’obiettivo di superare la citata procedura d’infrazione n.
2013-2069 avviata dalla Commissione europea con lettera di costituzione in mora
del 18 ottobre 2013.
Ciò posto, alla luce di quanto appena
detto, è evidente che tale norma ha una portata esclusivamente di
interpretazione autentica, atteso che, come detto, anche alla luce di una
corretta analisi ermeneutica delle sentenze dell’Adunanza Plenaria da 11 a
16-2012 e dell’applicazione dei principi da essa scaturenti è indubbia la
competenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ad
applicare la disciplina sulle pratiche commerciali scorrette nel caso oggetto
del presente giudizio già in base alla normativa antecedente che l’art. 1,
comma 6, lett. a), d. lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 si è limitata, per quanto
qui rileva, soltanto a confermare.
7. Né in senso contrario può opporsi la
previsione, contenuta in tale norma sopravvenuta, di un eventuale previo parere
dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, poiché tale segmento
procedimentale, ora previsto nell’art. 16 della Delibera AGCM 1° aprile 2015,
n. 25411 (Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di tutela del
consumatore) era già previsto in precedenti delibere (cfr. Delibera AGCM 15
novembre 2007, n. 17589); il legislatore, pertanto, non ha fatto altro che
innalzare al rango di norma primaria una disposizione già esistente
nell’ordinamento, che, per tale motivo, non può ritenersi avere portata
sostanzialmente innovativa.
Tale considerazione esime l’Adunanza
dall’esaminare il tema del principio del “tempus regit actum”, peraltro
correttamente applicato dalla sentenza della VI Sezione 5 marzo 2015, n. 1104,
in base al quale l’Amministrazione adotta i provvedimenti di sua competenza
sulla base della normativa anche, appunto, relativa alla competenza vigente nel
momento (nella specie, posteriore alla modifica normativa intervenuta)
dell’adozione del nuovo provvedimento da emanare nel riesercizio del potere
amministrativo.
8. Inoltre, deve essere rilevato che in
nessun modo potrebbe porsi nel caso di specie, con specifico riferimento
all’individuazione dell’Autorità competente, un problema di compatibilità
comunitaria della normativa italiana, su cui insistono le controparti in
appello, tenendo conto del noto principio di indifferenza dell’Unione rispetto
all’organizzazione interna.
A questo riguardo, si osserva, infatti,
che in numerose occasioni la Corte di Giustizia ha affermato l'indifferenza dell'ordinamento
europeo rispetto all'articolazione delle competenze amministrative all'interno
degli Stati membri (cfr. ex multis, Corte di Giustizia, sentenza 25
maggio 1982, Commissione delle Comunità europee c. Regno dei Paesi Bassi, causa
C-96/81, in Raccolta 1982, p. 1791; sentenza 17 giugno 1986, Commissione delle
Comunità europee c. Regno del Belgio, causa 1/86, in Raccolta 1987, p. 2797;
sentenza 13 dicembre 1991, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica
italiana, causa C-33/90, in Raccolta 1991, p. I-5987).
Il principio sul quale si incentrano
queste decisioni è una dichiarazione di indifferenza del giudice comunitario
rispetto alla distribuzione delle competenze attuative all'interno degli Stati
membri dell'UE: ciò che la Corte di giustizia intende sottolineare è
soprattutto la volontà di non ascoltare giustificazioni ad inadempimenti di
obblighi comunitari che invochino meccanismi interni di riparto delle
competenze.
9. Né, infine, si può condividere la tesi
di una violazione del principio ne bis in idem, poiché l’art. 4,
Prot. n. 7 CEDU implica soltanto, nella sostanza, la tendenziale messa al bando
del c.d. “doppio binario” sanzionatorio, vale a dire della previsione, per il
medesimo fatto, di sanzioni di natura distinta (sul piano della qualificazione
interna) applicabili alla stessa persona tramite procedimenti di diverso tipo.
La violazione della norma convenzionale è
innescata non dalla mera pendenza contemporanea di due procedimenti (peraltro,
nel caso di specie, ne risulta pendente soltanto uno), ma dal fatto che uno di
essi venga instaurato o prosegua dopo che l'altro si è chiuso con una decisione
definitiva, non importa se di assoluzione o di condanna (cfr. Corte CEDU,
decisione Grande Stevens contro Italia 4 marzo 2014 e i c.d. criteri Engel ,
elaborati in una vecchia decisione del 1976 e progressivamente affinati).
Pertanto, nessuna violazione del principio
del ne bis in idem può dedursi come sussitente nel caso in
esame.
10. In conclusione, in risposta ai quesiti
sottoposti dalla Sezione VI, l’Adunanza Plenaria enuncia i seguenti principi di
diritto:
- la competenza ad irrogare la sanzione
per “pratica commerciale considerata in ogni caso aggressiva” è sempre
individuabile nell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;
- non viene meno l’interesse alla
pronuncia di annullamento per incompetenza dell’Antitrust, dovendo essere
invece direttamente respinta la censura di incompetenza.
L’Adunanza restituisce per il resto il
giudizio alla Sezione remittente ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a., cui
spetterà ovviamente anche la liquidazione delle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
pronunciando sull'appello, come in
epigrafe proposto, enuncia i seguenti principi di diritto:
- la competenza ad irrogare la sanzione
per “pratica commerciale considerata in ogni caso aggressiva” è sempre
individuabile nell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;
- non viene meno l’interesse alla
pronuncia di annullamento per incompetenza dell’Antitrust, dovendo essere
invece direttamente respinta la censura di incompetenza.
Restituisce per il resto il giudizio alla
Sezione remittente ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a.
Spese al definitivo.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 9 dicembre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio, Presidente
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Stefano Baccarini, Presidente
Alessandro Pajno, Presidente
Paolo Numerico, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere
Nicola Russo, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere,
Estensore
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
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IL PRESIDENTE
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L'ESTENSORE
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IL SEGRETARIO
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/02/2016
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il Dirigente della Sezione