sabato 25 maggio 2013

APPALTI: inammissibilità della designazione c.d. “a cascata” dei soggetti esecutori dei lavori nei consorzi di cooperative di produzione e lavoro (Ad. Plen., 20 maggio 2013 n. 14).



APPALTI: 
inammissibilità della designazione c.d. “a cascata” 
dei soggetti esecutori dei lavori 
nei consorzi di cooperative di produzione e lavoro 
(Ad. Plen., 20 maggio 2013 n. 14)

Massima

1. Nelle procedure di gara relative ai consorzi di cooperative di produzione e lavoro è inammissibile la designazione c.d. "a cascata" dei soggetti consorziati tenuti alla successiva esecuzione del contratto.
In conformità al ricordato orientamento giurisprudenziale, è da ritenere difatti che l’indicazione di una sub-affidataria dei lavori non sia ammissibile e tuttavia che tale operazione vitiatur sed non vitiat, nel senso che non impedisce di conservare legittimamente l’aggiudicazione in capo al Consorzio, purché questo abbia provveduto  ad indicare in sede di offerta l’impresa consorziata da cui sarebbero stati eseguiti i lavori stessi. E’ questo, infatti, l’unico specifico adempimento imposto dall’art. 37, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006, con conseguente irrilevanza dei comportamenti posti in essere sul punto dalla consorziata designata. 
2. A corollario del precedente assunto, la giurisprudenza ha affermato che al Consorzio aggiudicatario va riconosciuta la facoltà di indicare, quale esecutore, una diversa propria consorziata, ove, per motivi sopravvenuti, la prima designata non sia in condizione di svolgere compiutamente la prestazione. 
3. Può aggiungersi, tuttavia, per completezza, che la designazione di una diversa consorziata per l’esecuzione dei lavori costituisce un atto doveroso ma estraneo all’offerta presentata dal Consorzio, che rimane immutata, sia sotto il profilo dei requisiti di partecipazione, di cui il concorrente ha dimostrato di disporre in proprio, sia sotto i profili progettuali e dell’entità economica, e pertanto non è ravvisabile alcuna violazione della par condicio.



Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11 di A.P. del 2013, proposto da: Edilerica Appalti e Costruzioni A Rl in proprio ed in qualità Capogruppo Mandataria Costituendo Rti, rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesco Nardocci e Silvio Carloni, con domicilio eletto presso Francesco Nardocci in Roma, via Oslavia 14; Rti Mcc Cerone Costruzioni Metalliche S Rl, rappresentato e difeso dagli avv. Silvio Carloni e Francesco Nardocci, con domicilio eletto presso Francesco Nardocci in Roma, via Oslavia 14; 
contro
Universita' degli Studi di Perugia, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
nei confronti di
Consorzio Nazionale di Cooperative di Produzione e Lavoro "Ciro Minotti" Scpa, rappresentato e difeso dagli avv. Ti Roberto Fariselli, Mirca Tognacci e Mario Sanino, con domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180; Serio Società Cooperativa A Rl, Moveco Srl; 
e con l'intervento di
ad adiuvandum:A.C.E.R. Associazione dei Costruttori Edili di Roma e Provincia, rappresentata e difesa dall'avv. Riccardo Barberis, con domicilio eletto presso Riccardo Barberis in Roma, via Antonio Pollaiolo 3; 
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. UMBRIA - PERUGIA: SEZIONE I n. 00450/2012, resa tra le parti, concernente procedimento per l’affidamento dei lavori di restauro e rifunzionalizzazione di un immobile sito in Perugia di proprietà dell’Università di Perugia.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Università' degli Studi di Perugia e del Consorzio Nazionale di Cooperative di Produzione e Lavoro "Ciro Menotti" Scpa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 aprile 2013 il Cons. Marzio Branca e uditi per le parti gli avvocati Carloni, Nardocci, Sanino e dello Stato Ferrante.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. La società Edilerica Appalti e Costruzioni a r.l. e la società MCC Cerone Costruzioni Metalliche a r.l. hanno preso parte (in qualità – rispettivamente – di capogruppo mandataria e di mandante di un R.T.I. costituendo) alla procedura aperta da esperirsi con il metodo del prezzo più basso indetta dall’Università degli studi di Perugia per l’affidamento dei lavori di restauro e rifunzionalizzazione di un immobile sito in via della Tartaruga – Perugia (bando in data 28 marzo 2012).
All’esito delle operazioni di gara, l’amministrazione aggiudicatrice ha comunicato che il R.T.I. Edilerica si era classificato al secondo posto, mentre il Consorzio Nazionale Cooperative di Produzione e Lavoro ‘Ciro Menotti’ si era classificato al primo posto (la comunicazione in questione, resa ai sensi dei commi 2, lettera c) e 5 dell’articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, è stata resa con lettera raccomandata del 5 luglio 2012).
2. Il RTI guidato da Edilerica Appalti e Costruzioni s.r.l. (in seguito Edilerica) ha impugnato l’aggiudicazione dinanzi al TAR dell’Umbria con ricorso notificato il 27 settembre 2012, ossia 8 giorni dopo la scadenza del termine di trenta giorni dal ricevimento della suddetta comunicazione, termine che - tenuto conto della sospensione feriale dei termini – veniva a scadenza il 19 settembre 2012.
Con riguardo al detto superamento del termine di legge, Edilerica ha rappresentato che solo a seguito dell’integrale disamina della documentazione di gara, acquisita solo il 26 luglio 2012, ha potuto rilevare l’esistenza di vizi nella formulazione dell’offerta da parte del Consorzio primo classificato i quali, ove correttamente apprezzati, ne avrebbero dovuto determinare l’esclusione dalla procedura.
In particolare, il vizio nella formulazione dell’offerta da parte del Consorzio aggiudicatario consisterebbe in ciò, di avere designato, quale consorziata che avrebbe eseguito i lavori, la Serio soc. coop. a r.l. e nel fatto che quest’ultima, a propria volta, avesse designato quale impresa esecutrice la Moveco soc. coop. a r.l., non appartenente al Consorzio.
3. Con sentenza adottata in forma semplificata ai sensi dell’articolo 60 del c.p.a. il T.A.R. dell’Umbria ha dichiarato il ricorso in questione irricevibile, ritenendo che il terminus a quo per il computo del termine di impugnativa (pari a trenta giorni, ai sensi del comma 5 dell’articolo 120 del codice del processo amministrativo) coincidesse con il momento di ricezione della comunicazione di cui all’articolo 79 del medesimo codice.
Al riguardo i primi Giudici hanno osservato che la vigente disciplina dell’impugnazione degli atti delle procedure di evidenza pubblica, recata dall’articolo 120 del ‘codice’, ispirata alla ratio di forte accelerazione impressa dalle esigenze di adattamento alla Direttiva 2007/66/CE (costituente il principale criterio ermeneutico nell’applicazione del citato art. 120), “non consent[e] di ritenere compatibile con il richiamato dato normativo la richiamata tesi della difesa ricorrente, anche alla luce dello specifico disposto del comma 7 dello stesso art. 120”.
4.1. La sentenza è stata appellata dalla Edilerica, la quale ha dedotto che nella materia delle pubbliche gare, il termine per l’impugnativa non può farsi decorrere dalla mera conoscenza dell’atto oggetto di impugnativa, bensì dal momento (nel caso di specie, di alcuni giorni successivo) in cui il soggetto inciso ha potuto apprezzarne la lesività e la concreta illegittimità (momento che, nel caso in esame, si è verificato solo a seguito dell’accesso agli atti esperito ai sensi del comma 5-quater dell’articolo 79 del ‘codice dei contratti’).
L’appellante ha sostenuto che le disposizioni in materia di termini e modalità di impugnativa (e, segnatamente, l’articolo 120 del c.p.a.) dovrebbero essere lette e interpretate alla luce del pertinente paradigma comunitario di riferimento (e, segnatamente, dell’articolo 2-quater della direttiva 89/665/CE, secondo cui il termine previsto dalle singole legislazioni nazionali per la proposizione del ricorso deve necessariamente decorrere dalla piena conoscenza da parte dell’interessato dei “motivi pertinenti” i quali hanno condotto all’aggiudicazione).
Tale tesi sarebbe confortata dall’orientamento della giurisprudenza comunitaria e del Consiglio di Stato. La giurisprudenza della Corte di giustizia ha, altresì, sancito l’obbligo per i Giudici nazionali di disapplicare le disposizioni nazionali le quali si pongano in contrasto con il principio di diritto comunitario sopra richiamato.
Opinando in senso diverso – si assume - si giungerebbe alla conseguenza (invero, inammissibile) di far gravare sul partecipante alla gara un onere particolarmente stringente – quello di impugnare gli atti entro il ridottissimo termine di 30 giorni, salva la possibilità di proporre motivi aggiunti – senza porre lo stesso in condizione di disporre di tale termine in modo pieno ed effettivo, al fine di operare una scelta processuale consapevole, pur nel limitato tempo a disposizione.
4.2. Nel merito, il R.T.I. appellante ha ribadito il motivo (già articolato in primo grado e non esaminato dal T.A.R. per avere esso ritenuto assorbente il profilo della tardività del ricorso) secondo cui il Consorzio nazionale Cooperative di Produzione e Lavoro ‘Ciro Menotti’ avrebbe dovuto essere escluso dalla gara per avere illegittimamente designato quale impresa consorziata che avrebbe eseguito i lavori la soc. Serio soc. coop. a r.l., mentre questa aveva – a sua volta – designato quale impresa esecutrice la Moveco soc. coop. a r.l. (che era stata indicata genericamente come ‘associata’ dalla cooperativa Serio).
Secondo l’appellante, il richiamato sistema di indicazione ‘a cascata’ dell’impresa esecutrice si porrebbe in contrasto con la disciplina di settore, la quale consente tale tipologia di designazione solo in caso di consorzio il quale – a propria volta – designi un altro consorzio. Al contrario, ciò non sarebbe possibile nel caso, che qui ricorre, in cui una consorziata (che non è essa stessa un Consorzio, come la soc. Serio) indichi quale impresa esecutrice una semplice associata (quale la soc. Moveco), la quale non è legata da un rapporto organico né con il Consorzio Ciro Menotti, né con la cooperativa Moveco (e che pertanto non potrebbe legittimamente giovarsi, ai fini della partecipazione alla gara, dei requisiti del Consorzio).
In definitiva, sarebbe stato necessario disporre l’esclusione dalla gara del Consorzio Ciro Menotti per violazione della previsione di cui al comma 7 dell’articolo 37 del ‘Codice dei contratti’, secondo cui “i consorzi di cui all’articolo 34, comma 1, lettera b) sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre”.
Con diversa argomentazione, il R.T.I. appellante ha ribadito il motivo (già articolato in primo grado e non esaminato dal T.A.R. per la ritenuta tardività del ricorso) secondo cui l’Università degli Studi di Perugia avrebbe operato in modo gravemente illegittimo (e con rilevanti profili di colposità) per avere difeso il proprio operato con affermazioni ellittiche ed elusive anche quando l’odierna appellante aveva indicato, attraverso l’informativa di cui all’articolo 243-bis del ‘codice dei contratti’ l’esistenza di profili di illegittimità connessi all’aggiudicazione e la propria intenzione di proporre ricorso avverso la stessa.
L’appellante ha, altresì, articolato domanda risarcitoria finalizzata all’integrale ristoro del danno patito in conseguenza degli atti illegittimi posti in essere dall’Università degli Studi di Perugia nell’ambito della complessiva vicenda.
5. Nel giudizio di appello si è costituito il Consorzio Nazionale Cooperative di Produzione e Lavoro ‘Ciro Menotti’, il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello. In senso opposto ha concluso A.C.E.R. –Associazione dei Costruttori Edili di Roma e Provincia, intervenuta ad adjuvandum.
6. Nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione, anche al fine di rendere una decisione in forma semplificata (del che è stata data puntuale comunicazione alle parti presenti).
All’esito della medesima Camera di consiglio il Collegio ha reso l’ordinanza cautelare n. 4857/2012 con cui ha accolto l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza in epigrafe, impedendo – in particolare – la stipula del contratto con il Consorzio appellato, ma, avendo rilevato che un punto di diritto sottoposto al suo esame può dar luogo a contrasti giurisprudenziali, ha deciso di rimettere la decisione del ricorso all’Adunanza plenaria (comma 1 dell’articolo 99 del c.p.a.)..
7. In particolare sono state sottoposte all’Adunanza plenaria le seguenti questioni:
I) “Se il quadro normativo nazionale in tema di impugnativa in sede giurisdizionale degli atti relativi a procedure di aggiudicazione di gare ad evidenza pubblica (e, segnatamente, il comma 5 dell’articolo 120 del c.p.a., letto in combinato disposto con il comma 2, lettera c), con il comma 5 e con il comma 5-quater dell’articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n, 163) debba essere inteso, anche alla luce della matrice comunitaria che lo ispira (direttiva 89/665/CE come modificata dalla direttiva 2007/66/CE), nel senso che il termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso principale:
a) decorre dal giorno della ricezione della comunicazione di cui al comma 2, lettera c) e di cui al comma 5 dell’articolo 79 del ‘codice dei contratti’ nel solo caso in cui la presunta violazione delle disposizioni comunitarie e nazionali poste a fondamento del ricorso sia immediatamente percepibile dal contenuto di tale comunicazione, mentre
b) decorre dal giorno in cui è stato possibile ottenere integrale accesso agli atti della procedura ai sensi del comma 5-quater del medesimo articolo 79 (e comunque non oltre il decimo giorno dalla comunicazione di cui al comma 2, lettera c) e di cui al comma 5 del medesimo articolo) nel caso in cui la presunta violazione non fosse percepibile dal contenuto della dichiarazione e sia resa palese solo a seguito dell’esperito accesso agli atti”;
II) (nel caso in cui il tenore delle disposizioni della cui interpretazione si discute - e, segnatamente, del comma 5 dell’articolo 120 del c.p.a., letto in combinato disposto con il comma 2, lettera c), con il comma 5 e con il comma 5-quater dell’articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n, 163 – non sia suscettibile dell’interpretazione dinanzi ipotizzata sub I)) “Se si ritenga compatibile con i princìpi costituzionali di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale (articolo 24, Cost.) e con il principio comunitario dell’effetto utile il quadro normativo nazionale in tema di impugnativa in sede giurisdizionale degli atti relativi a procedure di aggiudicazione di gare ad evidenza pubblica, per la parte in cui – per un verso – assoggetta a un termine notevolmente accelerato l’impugnativa degli atti in questione e – per altro verso – determina una ulteriore, sostanziale, riduzione dei termini per l’impugnativa nelle ipotesi in cui la presunta violazione non sia direttamente percepibile dal contenuto della dichiarazione di cui al richiamato articolo 79 e sia resa palese solo a seguito dell’esperito accesso agli atti (in tal modo ponendo a carico del soggetto ricorrente lo sfavorevole effetto processuale dell’ulteriore riduzione del termine effettivamente a disposizione ai fini dell’impugnativa e per un numero di giorni pari a quello necessario per avere piena conoscenza degli atti della gara possibile oggetto di impugnativa e dei relativi profili di illegittimità)”.
8. La Sezione remittente non ha mancato di esprimere il proprio avviso sulla soluzione del primo quesito.
Ha infatti osservato che, contemperando l’orientamento della Corte di Giustizia, la quale ipotizza una sorta di “proroga [del] termine di ricorso” jussu judicis al fine di consentire il conseguimento dell’effetto utile da parte della disposizione processuale di matrice comunitaria ( III Sezione, 28 gennaio 2010 in causa C-406/08 (Uniplex)) con l’evidente ratio di concentrazione ed accelerazione sottesa alla previsione di diritto interno in tema di termine decadenziale d’impugnativa e di accesso agli atti di gara (in particolare: comma 5-quater dell’articolo 79 del ‘Codice dei contratti’), il punto di equilibrio fra le richiamate esigenze possa essere individuato in una lettura del complessivo quadro normativo tale, per cui il dies a quo per il decorso del termine decadenziale d’impugnativa sia posticipato sino a decimo giorno dalla comunicazione di aggiudicazione ex art. 79, cit. (ossia al momento in cui il concorrente, agendo in modo diligente, potrà aver avuto conoscenza integrale della documentazione di proprio interesse, attivando le modalità semplificate di accesso agli atti di cui al medesimo comma 5-quater).
Ciò, tuttavia, dovrebbe essere possibile a due condizioni:
a) che, effettivamente, il profilo di illegittimità lamentato in sede di impugnativa non fosse in alcun modo desumibile dal tenore della comunicazione di cui all’articolo 79;
b) che il richiamato termine di dieci giorni (aggiuntivo rispetto a quello di trenta giorni per la proposizione dell’impugnativa ai sensi dell’articolo 120, comma 5 del c.p.a.) dovrebbe essere corrispettivamente ridotto nelle ipotesi in cui, esperito l’accesso agli atti della gara, la pertinente documentazione sia stata resa disponibile in un termine inferiore rispetto a quello di dieci giorni di cui al più volte richiamato comma 5-quater.
9. Con riguardo alle censure di merito, la Sezione si è espressa per la fondatezza del primo motivo di appello, considerando che il comma 7 dell’articolo 37 del ‘Codice dei contratti’ (secondo cui “i consorzi di cui all’articolo 34, comma 1, lettera b) sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre”) sembra ammettere la richiamata tipologia di designazione solo in caso di consorzio il quale – a propria volta – designi un altro consorzio e non anche nell’ipotesi, che qui ricorre, in cui una consorziata (che non è essa stessa un Consorzio, come la soc. Serio) indichi quale impresa esecutrice una semplice associata (quale la soc. Moveco), la quale non è legata da un rapporto organico né con il Consorzio Ciro Menotti, né con la cooperativa Moveco.
Dinanzi all’Adunanza Plenaria hanno presentato memorie Edilerica e l’interveniente ad adjuvandum Associazione dei costruttori edili di Roma e Provincia.
10. Alla camera di consiglio del 22 aprile 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO
1.1. Il Collegio ritiene di non dover affrontare il motivo di appello concernente la statuizione di inammissibilità del ricorso di primo grado per due ordini di ragioni.
In primo luogo, i motivi di merito proposti dall’appellante non sono fondati, come si vedrà in seguito, e tale circostanza, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, produce l’assorbimento dei motivi di rito, salvo che sia dedotto il difetto di giurisdizione.
1.2. In secondo luogo, sebbene, ai sensi dell’art. 99, comma 5, del c.p.a. l’Adunanza Plenaria possa enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge anche in caso di ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, il Collegio, nella specie, non ritiene di avvalersi della detta facoltà.
Nelle more del giudizio, infatti, con ordinanza 23 marzo 2013 n. 427, il Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, Sezione di Bari, ha rimesso alla Corte di Giustizia delle C.E, i seguenti quesiti interpretativi ai sensi dell’art. 267 del Trattato istitutivo:
A) “Se gli artt. 1, 2-bis, 2-quater e 2-septies della direttiva 1992/13/CEE vadano interpretati nel senso che il termine per proporre un ricorso, diretto a far accertare la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, decorra dalla data in cui il ricorrente ha conosciuto, o avrebbe dovuto conoscere secondo l’ordinaria diligenza, l’esistenza della violazione stessa”;
B) “Se gli artt. 1, 2-bis, 2-quater e 2-septies della direttiva 1992/13/CEE ostano a disposizioni processuali nazionali ovvero a prassi interpretative, quali quelle enunciate nella causa principale, che consentono al giudice di dichiarare irricevibile un ricorso diretto a far accertare la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, quando il ricorrente è venuto a conoscenza della violazione dopo la formale comunicazione degli estremi del provvedimento di aggiudicazione definitiva, per la condotta tenuta dall’Amministrazione aggiudicatrice.
E’ agevole constatare che le questioni proposte dal TAR Puglia si sovrappongono a quelle sollevate dall’ordinanza di rimessione qui in esame, e pertanto appare inopportuna l’enunciazione di un punto di diritto su problematica coinvolgente fonti comunitarie mentre è atteso il dictum della Corte competente ad enunciarne l’interpretazione autentica e vincolante.
2. Il principale motivo di merito proposto da Edilerica, mandataria del raggruppamento secondo classificato, tende all’accertamento dell’illegittimità della mancata esclusione del Consorzio Nazionale di Cooperative di Produzione e Lavoro “Ciro Menotti”, cui si addebita di aver presentato una offerta nella quale ha designato quale impresa consorziata che avrebbe eseguito i lavori la soc. Serio soc. coop. a r.l., mentre questa aveva – a sua volta – ha indicato quale impresa esecutrice la Moveco soc. coop. a r.l. (che era stata indicata genericamente come ‘associata’ dalla cooperativa Serio).
Secondo l’appellante, il sistema di indicazione ‘a cascata’ dell’impresa esecutrice si porrebbe in contrasto con la previsione di cui al comma 7 dell’articolo 37 del ‘Codice dei contratti’, secondo cui “i consorzi di cui all’articolo 34, comma 1, lettera b) sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre”. Si richiama l’avviso dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, espresso con deliberazione del 10 gennaio 2007, secondo cui la citata disciplina di settore consentirebbe tale tipologia di designazione “a cascata” solo in caso di consorzio il quale – a propria volta – designi un altro consorzio. Al contrario, ciò non sarebbe possibile nel caso, che qui ricorre, in cui una consorziata (che non è essa stessa un Consorzio, come la soc. Serio) indichi quale impresa esecutrice una semplice associata (quale la soc. Moveco), la quale non è legata da un rapporto organico né con il Consorzio Ciro Menotti, né con la cooperativa Moveco (e che pertanto non potrebbe legittimamente giovarsi, ai fini della partecipazione alla gara, dei requisiti del Consorzio).
Si osserva inoltre che l’esecuzione dei lavori da parte di Moveco non sarebbe riconducibile neppure all’istituto dell’avvalimento, in quanto Moveco non può assumere la posizione di impresa ausiliaria, non essendo stati posti in essere tutti gli adempimenti di cui all’art. 49 del codice dei contratti, finalizzati ad escludere ogni ipotesi di aleatorietà nel rapporto tra le due imprese.
Sarebbe inoltre da respingere la tesi, sostenuta dall’Università degli studi di Perugia già in sede di risposta all’informativa inviata da Edilerica ai sensi dell’art. 243-bis del codice dei contratti, secondo cui al consorzio aggiudicatario di un appalto sarebbe riconosciuta la facoltà di indicare una nuova impresa nell’ipotesi in cui per motivi sopravvenuti l’impresa originariamente designata non si trovi nelle condizioni di svolgere la prestazione. Si sostiene che nella specie non si verte in ipotesi di motivi sopravvenuti, ma di vizio originario dell’offerta a causa dell’indicazione “a cascata” dell’impresa incaricata di eseguire i lavori, con conseguente violazione del principio della par condicio dei concorrenti
3.1. Il Collegio osserva che le argomentazioni dell’appellante sono in parte condivisibili, ma non consentono di pervenire all’accoglimento del motivo dedotto.
Il Consiglio di Stato, con sentenza della Sezione VI del 22 giugno 2007 n. 3477, ma con richiamo ad altro precedente (Sez. VI, 21 aprile 1983 n. 2183), sia pure pronunciata con riferimento alla disciplina di cui all’art. 13, comma 4, della legge n. 109 del 1994, ora riprodotta dall’art. 37, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006, ha avuto occasione di esaminare il problema della legittimità della designazione di secondo grado, o “a cascata”, che si verifichi quando alla gara per l’affidamento di lavori pubblici partecipi un consorzio tra società cooperative di produzione e lavoro costituito a norma della legge 25 giugno 1909 n. 422.
Anche nelle vicende che hanno formato oggetto delle pronunce richiamate era accaduto che la società consorziata indicata per l’esecuzione dei lavori dal consorzio aggiudicatario, anziché provvedervi direttamente, aveva affidato le opere ad un diverso imprenditore non consorziato né legato al consorzio da alcun diverso rapporto.
La detta giurisprudenza ha affermato la non conformità alla legge della designazione di secondo grado, rilevando che l’art. 13, comma 4, della legge n. 109 del 1994 (ora art. 37, comma 7, del d.lgs. n. 106 del 2006), al fine di salvaguardare una specifica categoria di imprese e di incentivare la mutualità, ha inteso assegnare rilievo funzionale solo al rapporto organico che lega il Consorzio concorrente alle imprese o altri consorzi in esso direttamente consorziati e che ne costituiscono, come detto, una sorta di interna corporis (sicché l’attività compiuta dai soggetti consorziati è imputata organicamente al Consorzio concorrente, come unico ed autonomo centro di imputazione e di riferimento di interessi); ma non anche al rapporto, di secondo grado, che finirebbe per collegare il Consorzio aggiudicatario ad un soggetto terzo (ancorché preventivamente designato, in sede di gara, dalla società chiamata ad eseguire i lavori dal Consorzio concorrente, poi risultato aggiudicatario), che con il primo ha solo un rapporto mediato dall’azione di un altro soggetto (che, tra l’altro, come si ripete, neppure risulta dotato, nella specie, almeno stando a quanto emerge dagli atti versati in giudizio, delle prescritte categorie d’iscrizione), associato a quello designato dall’aggiudicatario.
In tal modo il Consorzio aggiudicatario finirebbe per avvalersi, invero, dell’attività svolta da un soggetto terzo rispetto al medesimo e non da esso direttamente designato come esecutore dei lavori.
Di fatto, la potestà assegnata dal legislatore al Consorzio concorrente di designare, sulla base di un ordinario rapporto di fiducia, l’impresa - ad esso consorziata - quale materiale esecutrice delle opere verrebbe a trasferirsi sul soggetto a tal fine designato dal Consorzio concorrente; ciò che il legislatore non ha inteso consentire allorché, con il citato art. 13, comma 4, della legge n. 109/1994, ha eccezionalmente previsto che i Consorzi di cui si tratta indichino, nell’offerta, per quali loro consorziati essi concorrano e non ha, invece, esteso anche ai soggetti (eventualmente costituiti in forma consortile) così designati di indicare, a loro volta, a cascata, i propri consorziati chiamati ad eseguire i lavori stessi.
Trattandosi, inoltre, di situazione eccezionale, non direttamente disciplinata dal legislatore, la stessa amministrazione, nel silenzio della norma, verrebbe a trovarsi in una situazione di obiettiva incertezza in merito all’esercizio delle proprie potestà operative nei confronti del soggetto beneficiario dell’affidamento di secondo grado di cui si tratta e, in particolare, in ordine alla verifica di sussistenza o meno, in capo ad essa impresa sub-designata, di tutti i requisiti di legge che legittimano l’applicabilità della disciplina speciale e di favore di cui si è detto.
Questa consente, in definitiva, al Consorzio concorrente ed aggiudicatario di avvalersi delle prestazioni di un’impresa cooperativa in esso associata e specificamente designata in sede di gara; e, in tal caso, l’impresa indicata può eseguire i lavori pur essendo priva, per le ragioni dianzi indicate, dei requisiti di qualificazione tecnica; ma non anche, a quest’ultima, di avvalersi di un’ulteriore impresa – a sua volta, in essa associata - altrimenti potendosi innescare un meccanismo di designazioni a catena destinato a beneficiare non (secondo la ratio legis) il Consorzio concorrente e le imprese cooperative in esso associate, ma, in ipotesi (come nel caso di specie) anche soggetti terzi, non concorrenti direttamente alla gara, né in questa puntualmente designati, secundum legem, dal concorrente risultato aggiudicatario, quali materiali esecutori dei lavori.
Il riferito orientamento merita di essere confermato non ravvisandosi ragioni che ne inficino la fondatezza. Ne consegue che va condivisa la tesi dell’appellante circa la illegittimità della designazione effettuata dalla consorziata Società Cooperativa Serio r.s.l. in favore della Moveco s.r.l. ai fini dell’esecuzione dei lavori in gara.
3.2. Ad avviso dell’appellante la rilevata illegittimità della designazione di secondo grado avrebbe dovuto condurre alla esclusione dalla gara del Consorzio aggiudicatario.
La tesi non merita adesione, dovendosi invece accogliere le argomentazioni difensive dell’Università degli Studi di Perugia e del Consorzio aggiudicatario, che hanno fatto leva sulle motivazioni esposte nelle sentenze sopra richiamate.
Si è osservato, infatti, che il consorzio fra società di cooperative di produzione e di lavoro costituito a norma della legge 25 giugno 1909, n. 422, può partecipare alla procedura di gara utilizzando i requisiti suoi propri e, nel novero di questi, facendo valere i mezzi nella disponibilità delle cooperative che costituiscono, ai fini che qui rilevano, articolazioni organiche del soggetto collettivo, ossia suoi interna corporis. Il rapporto organico che lega le cooperative consorziate, ivi compresa quella incaricata dell’esecuzione dei lavori, infatti, è tale che l’attività compiuta dalle consorziate è imputata organicamente al consorzio, come unico ed autonomo centro di imputazione e di riferimento di interessi, per cui, diversamente da quanto accade in tema di associazioni temporanee e di consorzi stabili, la responsabilità per inadempimento degli obblighi contrattuali nei confronti della p.a. si appunta esclusivamente in capo al consorzio senza estendersi, in via solidale, alla cooperativa incaricata dell’esecuzione.
D’altronde, una diversa opzione ermeneutica che, in assenza di qualsiasi referente normativo in tale direzione, considerasse l’offerta di un consorzio radicalmente invalida a causa della indicazione di secondo livello operata dalla consorziata, si porrebbe in chiara distonia con la ratio che sorregge la costituzione di detti consorzi e che si spiega con il favore del legislatore per l’incentivazione della mutualità, favorendo, grazie alla sommatoria dei requisiti posseduti della singole imprese, la partecipazione a procedure di gara di cooperative che, isolatamente considerate, non sono in possesso dei requisiti richiesti o, comunque, non appaiono munite di effettive chances competitive.
In conformità al ricordato orientamento giurisprudenziale, è da ritenere, pertanto, che l’indicazione di una sub-affidataria dei lavori non sia ammissibile, per le ragioni esposte sopra, e tuttavia che tale operazione vitiatur sed non vitiat, nel senso che non impedisce di conservare legittimamente l’aggiudicazione in capo al Consorzio, purché questo abbia provveduto – come in effetti è avvenuto - ad indicare in sede di offerta l’impresa consorziata da cui sarebbero stati eseguiti i lavori stessi. E’ questo, infatti, l’unico specifico adempimento imposto dall’art. 37, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006, con conseguente irrilevanza dei comportamenti posti in essere sul punto dalla consorziata designata.
3.3. A corollario del precedente assunto, la giurisprudenza citata ha inoltre affermato che al Consorzio aggiudicatario va riconosciuta la facoltà di indicare, quale esecutore, una diversa propria consorziata, ove, per motivi sopravvenuti, la prima designata non sia in condizione di svolgere compiutamente la prestazione. Le parti resistenti nel presente giudizio si sono richiamate alla detta proposizione per contrastare le tesi dell’appellante.
L’appellante, sul punto, ha dedotto in primo grado, con censura assorbita, e riproposto in appello:
1) che la facoltà riconosciuta al Consorzio di effettuare una seconda designazione si risolverebbe in una palese violazione del principio della par condicio tra le concorrenti, consistendo in una modificazione dell’offerta per evitare la sanzione dell’esclusione;
2) che l’invocata giurisprudenza ha ammesso bensì la possibilità per il Consorzio aggiudicatario di effettuare una seconda scelta della società incaricata dell’esecuzione dei lavori, ma solo nel caso che sopraggiungano ragioni che impediscano l’esecuzione dei lavori da parte dell’impresa originariamente indicata, mentre nella fattispecie tale evenienza non si sarebbe verificata, versandosi in ipotesi vizio ostativo “genetico” dell’offerta, a causa della illegittima designazione a cascata.
3.4. Le dette doglianze si rivelano improcedibili per difetto di interesse.
Il principio, qui ribadito, secondo cui la designazione della sub-affidataria cade ma non rende illegittima l’offerta del Consorzio, comporta che designata per l’esecuzione dei lavori rimanga la consorziata originariamente indicata dal Consorzio stesso, ossia la Serio s.r.l., e nulla impedisce che sia appunto la designata originaria ad eseguire l’appalto. Né risulta che il Consorzio abbia esercitato la contestata facoltà di effettuare una seconda scelta.
Può aggiungersi, tuttavia, per completezza, che la designazione di una diversa consorziata per l’esecuzione dei lavori costituisce un atto doveroso ma estraneo all’offerta presentata dal Consorzio, che rimane immutata, sia sotto il profilo dei requisiti di partecipazione, di cui il concorrente ha dimostrato di disporre in proprio, sia sotto i profili progettuali e dell’entità economica, e pertanto non è ravvisabile alcuna violazione della par condicio.
5.Il rigetto dell’appello nel merito conduce al rigetto della domanda risarcitoria.
6. Sussistono valide ragioni per disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Riccardo Virgilio, Presidente
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Alessandro Pajno, Presidente
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Marzio Branca, Consigliere, Estensore
Aldo Scola, Consigliere
Vito Poli, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Sergio De Felice, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere






IL PRESIDENTE









L'ESTENSORE

IL SEGRETARIO















DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/05/2013
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il Dirigente della Sezione


venerdì 24 maggio 2013

La Corte dei Conti in sintesi (pdf scaricabile).



La Corte dei Conti in sintesi 
(dal sito ufficiale della Corte dei Conti)

PRESENTAZIONE
(in fondo il pdf scaricabile)

"La Corte dei conti, nella ampia gamma di funzioni affidatele, attende sempre ad un’unica missione, quella cioè di garanzia dell’attività della Pubblica amministrazione, con riguardo, in particolare, a quella degli amministratori; a quella della spendita del pubblico denaro; a quella della gestione dei beni patrimoniali e ai comportamenti patrimonialmente rilevanti.
La Corte ha ben presente che la funzione di supremo controllore, imparziale e terzo, dell’attività pubblica e dell’uso delle relative risorse, costituisce un elemento coessenziale della democraticità dell’ordinamento.
Si tratta di una funzione di garanzia per l’intero ordinamento rappresentando la Corte un organo che, da un lato, pone la sua funzione al servizio di altri organi e poteri dello Stato, ma, dall’altro lato, svolge questa funzione per diretta investitura costituzionale, al fine di assicurare o di agevolare il più corretto ed efficiente svolgimento delle funzioni di altri organi.
Questa funzione è assicurata, ad ogni livello di Governo, dalla sua conformazione, essendo la Corte caratterizzata da un disegno unitario che collega le Sezioni centrali con le Sezioni regionali dislocate in tutte le Regioni e Province autonome; unica tra le magistrature italiane, è stabilmente collegata con le Istituzioni comunitarie e, in particolare, con la consorella Corte dei conti europea: una rete unica di uffici e competenze che copre l’intero territorio nazionale, collegando le istanze regionali e locali con quelle centrali, e si ancora, altresì, saldamente al centro delle istituzioni comunitarie.
La Corte assolve quotidianamente questi compiti con spirito di servizio, consapevole dell’importanza e della delicatezza dei poteri e delle funzioni ad essa affidati, ai fini della salvaguardia degli interessi primari della collettività.
Ai suoi magistrati e funzionari è di sprone una convinzione intima, una fede laica, che proviene dagli esempi di quanti li hanno preceduti, dal retaggio di valori dei quali l’Istituto è depositario: l’onestà degli intenti e dei comportamenti, l’etica del servizio, il corretto agire delle pubbliche amministrazioni, il perseguimento del bene dell’uomo e della collettività".


Luigi Giampaolino
Presidente della Corte dei Conti

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AUTOTUTELA: i requisiti per l'annullamento del permesso di costruire (T.A.R. Campania, Napoli, sentenza 9 maggio 2013 n. 2393).


AUTOTUTELA: 
i requisiti per l'annullamento del permesso di costruire (T.A.R. Campania, Napoli, 
sentenza 9 maggio 2013 n. 2393)

Massima

1.  L’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di un provvedimento amministrativo richiede, unitamente al riscontro dell’originaria illegittimità dell’atto, la valutazione della rispondenza della sua rimozione a un interesse pubblico non solo attuale e concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi militanti in favore della sua conservazione e, tra questi, in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco temporale.
2.  Di qui la necessità che l’amministrazione espliciti in sede motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra interessi contrapposti, impegno motivazionale tanto più intenso, quanto maggiore sia l’arco temporale trascorso dall’adozione dell’atto da annullare e solido appaia, pertanto, l’affidamento ingenerato nel privato (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III, 9 maggio 2012 n. 2683; Sez. IV, 16 aprile 2010 n. 2178; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 10 gennaio 2013 n. 239 e 7 marzo 2012 n. 1130).
3.  Tale principio opera anche nell’ipotesi di annullamento in autotutela del permesso di costruire che postula quindi la valutazione di elementi ulteriori rispetto al mero ripristino della legalità violata: in omaggio all’orientamento tradizionale che trova il suo fondamento nei valori di rango costituzionale di buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa è, infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità dell’atto di autotutela ad un apprezzamento concreto, condotto sulla base dell’effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del rilascio dell’atto autorizzativo;
4.  Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso in esame, relativo all'annullamento  di un permesso a costruire sulla base della discordanza del progetto edilizio relativo ad una strada con il P.R.G., deve concludersi per l’illegittimità dell’azione amministrativa dal momento che l’amministrazione locale, pur contestando la difformità dell’intervento edilizio rispetto al vigente P.R.G., ha omesso ogni specificazione in ordine alle ragioni di interesse pubblico sottese al provvedimento di secondo grado, specie tenuto conto del notevole lasso di tempo intercorso tra la data di rilascio della concessione edilizia n. 12/2002 e quella dell’esercizio del potere di autotutela e della conseguente situazione di affidamento ingenerato nei destinatari dell’atto impugnato.


Sentenza breve per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Ottava)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1351 del 2013, proposto da:

Segesta s.a.s., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesco Melone e Umberto Gentile, presso i quali ha eletto domicilio in Napoli, via Melisurgo, 4 (studio legale Abbamonte);
contro
Comune di San Prisco, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;
per l'annullamento
- dell'ordinanza n.2/2013 recante annullamento in autotutela della concessione edilizia n.12 del 20 marzo 2002, della concessione in variante n. 61 del 6 novembre 2002, della d.i.a. in variante prot. n. 9552 del 29 luglio 2003 e contestuale ordine di demolizione;
- della nota prot. n. 7762 del 3 luglio 2012 di comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 L. 241/1990;
- del verbale di sopralluogo del 22 febbraio 2012, del verbale n. 6 della commissione edilizia comunale e della relativa istruttoria prot. n. 44/A.T. del 27 novembre 2012 di valutazione delle osservazioni prodotte dalla società ricorrente, redatta dal Responsabile dell’Area Urbanistica del Comune di San Prisco, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 aprile 2013 il dott. Gianluca Di Vita e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto che il presente ricorso, trattato nell’udienza camerale per la domanda di concessione di misure cautelari, possa essere deciso con sentenza in forma semplificata ai sensi degli artt. 60 e 74 del codice del processo amministrativo, essendo maturo per la decisione di merito, integro il contraddittorio, completa l’istruttoria, sussistendo gli altri presupposti di legge ed avendone dato avviso alle parti presenti;
Richiamato in fatto quanto illustrato nel ricorso e negli scritti difensivi:
Rilevato che, con riguardo al punto di diritto risolutivo del giudizio ai sensi degli artt. 60 e 74 cod. proc. amm., merita assorbente considerazione la censura che attiene alla violazione dell’art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990 n. 241, per le ragioni di seguito illustrate:
- a fondamento dell’atto di autotutela l’amministrazione pone la discordanza tra la previsione del Piano Regolatore e le misurazioni riportate nel progetto edilizio in merito alla strada di progetto che attraversa il lotto, secondo la seguente traiettoria argomentativa: “La zona individuata come strada di progetto di P.R.G. risulta sui grafici ‘Tav. n. 1 – Planimetria” e sullo stralcio di PRG firmato dal tecnico progettista con l’esatta individuazione dell’area di progetto, allegati alla C.E. n. 12/2002, dimensionata di mt. 8,00 in luogo dei previsti mt. 12,00; 2. Dalla stessa area di larghezza originaria di mt. 12,00 come da P.R.G. sottoposta a vincolo decaduto, deve essere comunque rispettata la distanza minima di mt. 5,00 dal limite di zona (art. 14 co. 13 R.E.)”;
- ai sensi del primo comma del richiamato art. 21 nonies “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”;
- secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di un provvedimento amministrativo richiede, unitamente al riscontro dell’originaria illegittimità dell’atto, la valutazione della rispondenza della sua rimozione a un interesse pubblico non solo attuale e concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi militanti in favore della sua conservazione e, tra questi, in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco temporale;
- di qui la necessità che l’amministrazione espliciti in sede motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra interessi contrapposti, impegno motivazionale tanto più intenso, quanto maggiore sia l’arco temporale trascorso dall’adozione dell’atto da annullare e solido appaia, pertanto, l’affidamento ingenerato nel privato (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III, 9 maggio 2012 n. 2683; Sez. IV, 16 aprile 2010 n. 2178; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 10 gennaio 2013 n. 239 e 7 marzo 2012 n. 1130);
- tale principio opera anche nell’ipotesi di annullamento in autotutela del permesso di costruire che postula quindi la valutazione di elementi ulteriori rispetto al mero ripristino della legalità violata: in omaggio all’orientamento tradizionale che trova il suo fondamento nei valori di rango costituzionale di buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa è, infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità dell’atto di autotutela ad un apprezzamento concreto, condotto sulla base dell’effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del rilascio dell’atto autorizzativo;
- applicando tali coordinate ermeneutiche al caso in esame deve concludersi per l’illegittimità dell’azione amministrativa dal momento che l’amministrazione locale, pur contestando la difformità dell’intervento edilizio rispetto al vigente P.R.G., ha omesso ogni specificazione in ordine alle ragioni di interesse pubblico sottese al provvedimento di secondo grado, specie tenuto conto del notevole lasso di tempo intercorso tra la data di rilascio della concessione edilizia n. 12/2002 e quella dell’esercizio del potere di autotutela e della conseguente situazione di affidamento ingenerato nei destinatari dell’atto impugnato.
Le svolte argomentazioni conducono all’annullamento del provvedimento impugnato.
La definizione del giudizio in forma semplificata ed il contegno serbato dalla intimata amministrazione (che non si è costituita in giudizio) giustificano la declaratoria di irripetibilità delle spese processuali.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.
Spese irripetibili.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 24 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Savo Amodio, Presidente
Gianluca Di Vita, Primo Referendario, Estensore
Olindo Di Popolo, Primo Referendario


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/05/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)