giovedì 21 maggio 2015

GIURISDIZIONE & CONCESSIONI: va al Giudice ordinario la controversia su una sub-concessione/contratto che non investa (anche) la concessione/provvedimento (SS.UU., sentenza 29 aprile 2015, n. 8623).



GIURISDIZIONE & CONCESSIONI:
 va al Giudice ordinario 
la controversia su una sub-concessione/contratto
 che non investa (anche) 
la concessione/provvedimento
 (SS.UU., sentenza 29 aprile 2015, n. 8623)



Massima

1. La controversia riguarda un rapporto tra un soggetto titolare di una concessione (S.A.C.) e un terzo (P.&S.) con cui il primo ha stipulato una convenzione senza la partecipazione diretta della P.A. concedente. 
In particolare il petitum sostanziale, emergente dagli elementi oggettivi che caratterizzano il rapporto dedotto in giudizio, è chiaramente identificabile nella pretesa del terzo (P.&S.) a conservare il godimento del bene, senza porre in discussione la durata del rapporto primario, ma prospettando la nullità della clausola determinativa della scadenza biennale della sub-concessione.
2. La pretesa della sub-concessionaria è fondata, dunque, su un rapporto oggettivamente e soggettivamente privatistico, diverso da quello di concessione; e a tale pretesa S.A.C, oppone il proprio diritto alla restituzione alla indicata scadenza contrattuale. La natura dell'azione proposta, rispettivamente, in via principale e riconvenzionale, non riguarda, dunque, il contenuto dell'atto primario, non investe l'oggetto della sub-concessione e non attiene alle facoltà spettanti al sub-concessionario, ma si risolve in un'azione tra privati in ordine all'esistenza o meno dell'obbligo restitutorio alla scadenza contrattuale ovvero a quella legale; il che vale a radicare la giurisdizione del giudice ordinario.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
EPIGRAFE
[...]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Promozioni e Sviluppo Sicilia s.r.l. ha proposto regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio promosso innanzi al Tribunale di Catania nei confronti di S.A.C. Società Aeroporto di Catania s.p.a. (di seguito, brevemente, S.A.C.) per sentire accertare che il contratto di subconcessione, tra esse stipulato in data 12.05.2011, relativo ad area interna all'aerostazione di Catania Fontanarossa, ha natura di contratto di locazione di immobili urbani ad uso commerciale, soggetto alla disciplina di cui alla L. n. 392 del 1978.
La ricorrente ha precisato che S.A.C. - resistendo alla domanda e proponendo, a sua volta domanda riconvenzionale di accertamento dell'intervenuta scadenza biennale della sub-concessione alla data del 26.05.2013 e di condanna all'immediato rilascio del bene - ha dedotto che l'atto di sub-concessione era inscindibilmente collegato, sotto il profilo spaziale e funzionale, alla concessione di ENAC in suo favore per la durata quarantennale della gestione totale dell'aeroporto di (OMISSIS), risultando da detta concessione connesso e condizionato quanto al presupposto e alle sorti. Ha, dunque, concluso perchè venga accertato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nel giudizio da essa instaurato innanzi al Tribunale di Catania, dichiarando - ove venga riconosciuto che il contratto inter partes non è un contratto di locazione, bensì un contratto pubblico di concessione di immobile demaniale - la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Ha resistito S.A.C, s.p.a. deducendo l'inammissibilità e, comunque, l'infondatezza dell'istanza di regolamento.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell'art. 380 ter c.p.c., sulla base delle conclusioni scritte del pubblico ministero, il quale ha richiesto di dichiarare l'inammissibilità del ricorso e, in subordine, la sua infondatezza con rimessione della causa innanzi al Tribunale di Catania.
La ricorrente ha replicato con memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va osservato che la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione non è preclusa dalla circostanza che il giudizio del quale si chiede di regolare la giurisdizione, sia stato promosso dalla stessa parte istante per il regolamento in assenza di una specifica eccezione di controparte, laddove sussistano ragionevoli dubbi sui limiti esterni della giurisdizione - quali, nella specie, quelli che potrebbero sottendersi alla ricostruzione in senso pubblicistico, proposta da S.A.C., all'atto della sua costituzione in giudizio - con conseguente interesse concreto e immediato ad una risoluzione della questione in via definitiva ed immodificabile, onde evitare che la relativa statuizione in sede di merito possa incorrere in successive modifiche nel corso del giudizio, ritardando la definizione della causa (ex plurimis Cass. Sez. Unite, ord. 14 giugno 2007, n. 13892).
Va, dunque, rigettata la pregiudiziale eccezione di inammissibilità del ricorso.
2. Osserva la ricorrente che - a seguire l'impostazione difensiva della resistente S.A.C. - il giudizio, in relazione al disposto del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, lett. b e c, risulterebbe riservato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, avuto riguardo, da un lato, alla riconducibilità della sub-concessione in termini di collegamento essenziale con la concessione quarantennale dell'aeroporto a S.A.C. e, dall'altro, all'inserzione dell'attività di Promozione e Sviluppo nelle finalità pubbliche della gestione aeroportuale.
2.1. L'istanza di regolamento è infondata, dovendo dichiararsi la giurisdizione dell'Autorità Giudiziaria Ordinaria a conoscere della controversia.
Come è noto, ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo occorre aver riguardo al petitum sostanziale, identificato non solo o non tanto in funzione della concreta statuizione richiesta al giudice, ma anche e soprattutto in relazione alla causa petendi, ossia alla effettiva natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo alla sostanziale protezione ad essa accordata, in astratto, dal diritto positivo (v., ex plurimis, Cass. Sez. Unite 28 giugno 2006, n. 14846; Cass. Sez. Unite 31 marzo 2005 n. 6743).
Ciò posto e considerato che l'applicazione del suddetto criterio implica senza dubbio l'apprezzamento di elementi che attengono anche al merito (con la conseguenza che la Corte di Cassazione è in materia anche giudice del fatto), ma non comporta che la statuizione sulla giurisdizione possa confondersi con la decisione sul merito nè, in particolare, che la decisione possa essere determinata secundum eventum litis (Cass. Sez. Unite, ord. 05 dicembre 2011, n. 25927), si osserva, innanzitutto, che il titolo da cui entrambe le parti pretendono di derivare le loro opposte pretese - quella di Promozione e Sviluppo al perdurante godimento dello spazio aeroportuale ad essa sub-concesso da S.A.C. in considerazione della durata legale delle locazioni commerciali ex lege n. 392 del 1978 e quella di S.A.C. alla dichiarazione di risoluzione alla scadenza convenzionale biennale e al conseguente rilascio - è la convenzione di sub-concessione in data 12.05.2011, con la quale S.A.C. in forza dell'atto di concessione quarantennale in data 22.05.2007 in suo favore da ENAC per la gestione totale dell'aeroporto di (OMISSIS), ha affidato all'odierna ricorrente un'area da destinarsi a vendita di prodotti tipici siciliani (art. 2.1. della sub-concessione).
Si tratta di un'attività commerciale, come tale non ricompresa tra quelle direttamente riconducibili a facoltà e diritti attribuiti dall'Amministrazione concedente alla concessionaria, tant'è che l'atto primario di concessione - mentre prevede per l'affidamento di aree e locali destinati alle attività aeronautiche la preventiva autorizzazione di ENAC (art. 3, comma 1) - per quanto riguarda l'affidamento delle stesse aeree e locali per lo svolgimento di altre attività, tra le quali, a titolo esemplificativo, sono indicate quelle commerciali, richiede una semplice comunicazione scritta alla concedente. La diversa modalità di affidamento trova ragion d'essere nella considerazione che non si tratta di attività coessenziali al trasporto aereo e alla concessione che lega S.A.C. all'ente pubblico, con la conseguenza che la concessionaria, nello stipulare le convenzioni, come quella in oggetto, agisce in veste privatistica in ordine a un bene di cui ha la disponibilità, per il perseguimento di interessi economici e imprenditoriali disancorati dallo scopo primario della gestione dell'aeroporto, che è quello di assicurare la regolarità del traffico aereo e, correlativamente, l'efficienza e la funzionalità degli impianti.
2.2. Queste Sezioni Unite, in tema di concessione in uso esclusivo a privati, hanno affermato che il giudice ordinario conosce di ogni controversia relativa agli obblighi derivanti da rapporti di natura privatistica, che accedono a quello di concessione - come il rapporto di appalto o di subconcessione fra il concessionario ed il terzo per l'esercizio di un pubblico servizio o l'utilizzazione di un bene pubblico - quando l'Amministrazione concedente resti totalmente estranea a detto rapporto derivato e non possa, quindi ravvisarsi alcun collegamento fra l'atto autoritativo concessorio e il rapporto medesimo. Al contrario, quando la pretesa azionata sia riferibile direttamente all'atto di concessione e l'Amministrazione concedente abbia espressamente previsto ed autorizzato il rapporto tra concessionario e terzo, opera la regola generale che prevede la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie relative a concessioni amministrative, di cui alla L. n. 1034 del 1971, art. 5 comma 1 ed ora D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, lett. b) e c), (CPA) (ex plurimis Cass. Sez. Unite, 28 gennaio 2011, n. 2062; 02 dicembre 2008, n. 28549; 25 giugno 2002, n. 9233; 23 luglio 2001, n. 10013).
Invero presupposto indefettibile della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in controversie siffatte è l'esistenza di una pretesa che, nascendo dal contenuto dell'atto di concessione, sia direttamente riferibile alla pubblica amministrazione concedente, laddove - come si è avuto modo di affermare proprio con riferimento alla medesima vicenda concessoria e, più esattamente, in sede di regolamento di giurisdizione nel giudizio di annullamento degli atti di sub-concessione posti in essere da S.A.C. in favore di alcune società (tra cui, l'odierna ricorrente) di spazi commerciali all'interno dell'aeroporto di (OMISSIS) per l'espletamento dell'attività di "food & beverage" (cfr. Cass. Sez. Unite, 19 dicembre 2009, n. 26823) - nella specie non si è in presenza di una procedura di affidamento di lavori o di servizi o di forniture idonea a radicare la giurisdizione amministrativa ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 244, poichè S.A.C. ha deliberato esclusivamente la subconcessione di alcune aree aeroportuali.
2.3. In definitiva la controversia riguarda un rapporto tra un soggetto titolare di una concessione (S.A.C.) e un terzo (Promozione e Sviluppo) con cui il primo ha stipulato una convenzione senza la partecipazione diretta della P.A. concedente. In particolare il petitum sostanziale, emergente dagli elementi oggettivi che caratterizzano il rapporto dedotto in giudizio, è chiaramente identificabile nella pretesa della Promozione e Sviluppo a conservare il godimento del bene, senza porre in discussione la durata del rapporto primario, ma prospettando la nullità della clausola determinativa della scadenza biennale della sub-concessione.
La pretesa della sub-concessionaria è fondata su un rapporto oggettivamente e soggettivamente privatistico, diverso da quello di concessione; e a tale pretesa S.A.C, oppone il proprio diritto alla restituzione alla indicata scadenza contrattuale. La natura dell'azione proposta, rispettivamente, in via principale e riconvenzionale, non riguarda, dunque, il contenuto dell'atto primario, non investe l'oggetto della subconcessione e non attiene alle facoltà spettanti al sub-concessionario, ma si risolve in un'azione tra privati in ordine all'esistenza o meno dell'obbligo restitutorio alla scadenza contrattuale ovvero a quella legale; il che vale a radicare la giurisdizione del giudice ordinario.
In definitiva va dichiarata la giurisdizione del Giudice ordinario, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2015.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2015 




mercoledì 20 maggio 2015

GIURISDIZIONE & "PROCEDIMENTO": gli elementi sintomatici della riconducibilità di una convenzione ad una accordo amministrativo (Sez. Un., 12 marzo 2015, n. 4948).


GIURISDIZIONE & "PROCEDIMENTO": 
gli elementi sintomatici 
della riconducibilità di una convenzione
 ad una accordo amministrativo 
(Sez. Un., 12 marzo 2015, n. 4948)



Queste Sezioni Unite fanno da pendant alla Plenaria n. 28/2012 (relativa alla esperibilità del rimedio di cui all'art. 2932 c.c., anche da parte di un ente pubblico, per la "stipula" di un accordo ex art. 11 della l. n. 241/1990).
Una nota di colore: la controversia viene instaurata davanti al Giudice civile nel 1986. La Corte d'appello dichiara la giurisdizione del Giudice ordinario, ed oggi le Sezioni Unite, dopo quasi trent'anni, dicono che si può ricominciare dal T.A.R. (!).


Massima

1. Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo quando sono compresenti i seguenti elementi
- la natura amministrativa in senso oggettivo e soggettivo dell'accordo, riconducibile all'art. 14 della l. n. 241/1990 (anche se tale norma è stata introdotta successivamente all'art. 
- la natura pubblica degli interessi coinvolti, 
- le scelte discrezionali operate dalla P.A. per la tutela di essi (non incidendo a tal fine la trasformazione in ente pubblico economico dell'azienda F.S. per effetto della L. n. 210 del 1985, art. 2, lett. h) (e poi in società per azioni, per effetto della L. n. 35 e L. n. 359 del 1992, attribuite al 100% al Ministero del Tesoro, ora dell'Economia e delle Finanze), e la analoga natura giuridica del consorzio concessionario per l'esecuzione delle opere pubbliche),
- il ricorso a strumenti anche autoritativi da parte del Comune, 
- la manifesta incidenza dell'esecuzione della convenzione sui servizi pubblici di trasporti e viabilità, sul territorio e sui beni delle F.S. e del Comune.
2. La convenzione di cui è controversia, dunque, poiché comporta non soltanto la verifica della legittimità di atti e provvedimenti della pubblica amministrazione richiamati nella convenzione (verifica che, peraltro ed in tali limiti, ben potrebbe essere compiuta anche dal giudice ordinario ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248), ma soprattutto perché è stata strumento cui si è fatto ricorso allo scopo di dare concreta ed effettiva realizzazione agli anzidetti interessi pubblici e con strumenti finanziari riferibili, direttamente od indirettamente, alla P.A. in senso proprio - sì da configurare organismo di diritto pubblico nell'accezione contenuta nell'art. 1, lett. b della direttiva 14 giugno 1993 n. 93/37 Cee e nell'art. 2, comma 6, dell'attuativa L. n. 109 del 1994 sui lavori pubblici, che definisce "di diritto pubblico qualsiasi organismo con personalità giuridica, istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, ovvero la cui gestione sia sottoposta al controllo di tali soggetti, ovvero i cui organismi di amministrazione, di direzione o di vigilanza siano costituiti in misura non inferiore alla metà da componenti designati dai medesimi soggetti" - correttamente è stata inquadrata dalla Corte di merito negli accordi previsti dalla L. 7 agosto 1990, n. 241 (S.U. 12725 del 2005).
3. Peraltro la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sussiste anche per effetto del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, comma 1 e comma 2, lett. b), a norma del quale sono ad esso devolute tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti ai trasporti - e quello ferroviario è definito essenziale dalla L. n. 146 del 1990, art. 1, comma 2, lett. b) - e del D.Lgs., art. 34, commi 1 e 2, come sostituito dalla L. n. 205 del 2000, art. 7, lett. b), applicabile per le controversie instaurate dal 10.8.2000, e rilevante ai sensi dell'art. 5 c.p.c., che devolve a detto giudice le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica - concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio, in cui rientra la regolamentazione del traffico comunale - ed edilizia.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
EPIGRAFE
[...]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del febbraio 2002 la R.F.I. (Rete Ferroviaria Italiana) convenne dinanzi al Tribunale di Roma il Comune di Maddaloni deducendo: 1) con convenzione del 15 gennaio 1986, efficace dal settembre 1986, nell'ambito di attuazione del piano decennale per la soppressione dei passaggi a livello sulle linee ferroviarie dello Stato, ai sensi della L. n. 71 del 1981, art. 1, lett. i), approvato con L. n. 189 del 1983, il Ministero dei Trasporti, Ente F.S., aveva convenuto con il Comune di Maddaloni la rinuncia di questo ente all'attraversamento esercitato a mezzo dei passaggi a livello della linea Cassino - Napoli autorizzando l'ente F.S. alla soppressione definitiva, all'atto della consegna al Comune delle opere sostitutive - tra cui la costruzione di un cavalcavia e una strada - appaltate al Consorzio Ital.co.cer., con obbligo del Comune di disporre le limitazioni del traffico stradale e dei sottoservizi necessari per l'esecuzione di dette opere, da concordare con il Consorzio, e di tenere indenne la R.F.I. da ogni molestia o pretesa che in conseguenza di tale rinuncia fosse avanzata da terzi e da aventi diritto a titolo particolare per i passaggi a livello; 2) il Consorzio, agendo in nome e per conto dell'ente F.S., aveva perciò stipulato una convenzione con il Comune di Maddaloni.
Non avendo il Comune però non aveva adempiuto alle obbligazioni assunte, l'Azienda Autonoma F.S. chiese, previo accertamento dell'inadempimento, di dichiarare il diritto di eliminare il passaggio a livello e di far eseguire le opere necessarie e di condannare il Comune al risarcimento dei danni derivatine, pari ad Euro 1.043.242,94, e alla remunerazione del capitale inutilmente investito nella costruzione delle opere sostitutive, corrispondente agli interessi su Euro 1.740.976,21 a decorrere dal 1991, disponendo la trasmissione degli atti alla competente Corte dei Conti.
Il Comune, in comparsa di risposta, eccepì la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, l'incompetenza del foro di Roma, l'invalidità della clausola del foro convenzionale e, nel merito, l'infondatezza della domanda. Il Tribunale rilevò che il Comune in data 9 agosto 1991 aveva accettato i lavori eseguiti, conformi a quelli pattuiti, ed aveva chiuso due passaggi a livello, mentre quello di (OMISSIS) soltanto dalle ore ventidue alle ore sei, condizionandone la soppressione all'inizio dei lavori di un sottopasso carrabile, modificato nel 1996 in sottovia e passerella pedonale. Quindi, malgrado l'accettazione del progetto, il Comune, ne marzo 1998, aveva revocato l'approvazione delle opere sostitutive concordate ed in particolare la chiusura e la soppressione del passaggio a livello, chiedendo alle F.S. di proporre soluzioni alternative, e nel 2000 e nel 2002 il medesimo ente, esercitando i poteri conferitigli dalla L. n. 142 del 1990, art. 38, comma 2, e L. n. 833 del 1978, art. 32, aveva diffidato il Consorzio Ital.Co.Cer.
dall'iniziare i lavori di chiusura del predetto passaggio a livello, invitando il Prefetto di Caserta ad impedirne le opere. Il Tribunale evidenziò che la convenzione del 1986, ed in particolare le clausole da 2 a 10, disciplinavano i rispettivi diritti ed obblighi, ma nel 1991 il Comune, pur avendo constatato l'esecuzione delle opere concordate, non eseguì i propri obblighi, ed anzi emise provvedimenti contrari al loro adempimento, in violazione degli obblighi di correttezza e buona fede. Rilevò che comunque l'esecuzione delle ulteriori opere richieste era condizionata all'approvazione degli organi competenti, e che il Comune aveva successivamente revocato l'approvazione anche di queste, persistendo nella violazione di tutti gli obblighi assunti. Ed infatti aveva diffidato le Ferrovie dal recintare la strada ferrata dall'area stradale comunale, in corrispondenza degli accessi del passaggio a livello, così determinando la non approvazione dell'accordo integrativo del 1991 (che prevedeva la suddetta costruzione di passerella pedonale e sottovia carrabile). Pertanto, accertato il comportamento pretestuoso e dilatorio del Comune, ne dichiarò l'esclusiva responsabilità, anche nei confronti della popolazione.
Disapplicò conseguentemente ai sensi della L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5, all. E gli atti amministrativi illegittimi e condannò il Comune, ai sensi degli artt. 1218 e 1223 c.c., al risarcimento dei danni, per un totale di Euro 1.465.425, e ai relativi accessori di rivalutazione ed interessi, indicando le rispettive decorrenze dal termine delle annualità di riferimento delle singole voci di spesa e fino alla pubblicazione della sentenza. Condannò altresì il Comune al pagamento delle spese di giudizio che liquidò in Euro 55.400,00 di cui Euro 50.000,00 per onorari.
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 16 luglio 2012, ha riformato la decisione affermando la giurisdizione del G.A. sulle seguenti considerazioni: 1) la questione di giurisdizione, riproposta con il primo motivo di appello, era fondata alla luce dei principi espressi dalla Corte Costituzionale sulla giurisdizione esclusiva - n. 204 del 2004 - che ha dichiarato la parziale illegittimità del D.Lgs n. 80 del 1998, art. 33, commi 1 e 2 e art. 34, come sostituiti dalla L. n. 205 del 2000, poichè l'art. 5 c.p.c., secondo il quale la giurisdizione si determina al momento della domanda, non opera se successivamente la norma è divenuta incostituzionale, e le controversie concernenti i pubblici servizi sono soggette alla giurisdizione esclusiva amministrativa se la P.A. agisce esercitando i suoi poteri autoritativi e adotta strumenti negoziali sostitutivi di detto potere (L. n. 241 del 1990, art. 11); 2) il pubblico servizio è configurarle se persegue l'interesse generale e quindi con esclusione delle attività ad esso strumentali; 3) erroneamente il Tribunale aveva ritenuto la sua giurisdizione escludendo la connessione funzionale del rapporto con la materia dei pubblici servizi, spettanti alla giurisdizione del G.A., senza considerare che l'accordo con il Comune non concerne il servizio di trasporto, nè la erogazione del pubblico servizio, ma è a monte di tali attività per dotare il gestore del servizio degli strumenti necessari per lo svolgimento di esso; 4) invece, da un lato la materia di cui al D.Lgs. n. 80 del 1998, comma 2, lett. b) non deve esser limitata alle controversie tra gestore e amministratore se comunque l'attività è finalizzata a soddisfare i bisogni della collettività e coinvolge la P.A. autorità; 5) dall'altro i diritti speciali ed esclusivi della s.p.a. Ferrovie dello Stato sono esistenti anche per il parco rotabile e per la gestione della rete ferroviaria, sì che essa è anche un'impresa pubblica in senso tecnico essendo concessionaria ex lege del servizio, quale sostituto ed organo indiretto della P.A., i cui atti sono sostanzialmente amministrativi; 6) perciò la soppressione dei passaggi a livello non può esser ricondotta ad un rapporto paritetico e civilistico stante il nesso funzionale ai bisogni della collettività, e quindi la convenzione era riconducibile ai poteri autoritativi dei programmi per l'ammodernamento della rete ferroviaria, necessario per esigenze del servizio mediante manufatti sostitutivi o deviazioni stradali, interpellando la Regione; 7) anche sotto altro profilo sussisteva la giurisdizione amministrativa come gestione del territorio nella scelta tra l'attraversamento a raso della strada o attraverso un cavalcavia, tant' è che nel 1997 era stata convocata la conferenza dei servizi per la modifica delle opere sostitutive e quindi non era ravvisabile una mera attività materiale disancorata da provvedimenti amministrativi; 8) inoltre la giurisdizione amministrativa sussisteva anche sui comportamenti e sulle azioni in esecuzione di atti amministrativi; 9) la soccombente R.F.I. s.p.a. doveva esser condannata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio (confermando gli importi liquidati in primo grado e riducendoli per il secondo grado).
Ricorre la s.p.a. R.F.I. Si è difeso il Comune di Maddaloni.
La ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo la s.p.a. R.F.I. lamenta: "Violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 11, comma 5 e art. 15 del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, comma 2, lett. b) e art. 34 e art. 5 c.p.c..
Insufficienza e contraddittorietà di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3, 4)". La convenzione del 1986 è anteriore alla L. n. 241 del 1990 e quindi la qualificazione del rapporto doveva esser diversa e le norme sul procedimento amministrativo - artt. 15 e 11 della citata Legge - erano conseguentemente inapplicabili. La normativa sulla soppressione dei passaggi a livello prevedeva che la scelta dei criteri da adottare avvenisse tra Ferrovie e Regioni - nonchè l'ANAS per le strade statali - lasciando arbitra le Ferrovie di attuare gli interventi pattuiti nelle forme più consone alla situazione di fatto. L'intesa con la Regione Campania si era formalizzata con D.P.G.R. n. 6412 del 1986, richiamato nelle premesse del contratto, con cui era stato espresso parere favorevole sui criteri adottati per la soppressione, ed il Comune aveva incondizionatamente aderito. Poichè all'epoca non era stato emanata la precitata legge, non essendo applicabile l'art. 15, la convenzione, tramite il concessionario Ital.co.cer., era stata conclusa nell'esercizio dell'autonomia privata. Quindi, pur se nel provvedere alla soppressione dei passaggi a livello le Ferrovie erano portatrici di interessi pubblici, acquisita l'intesa con la Regione Campania, nell'espletamento della conseguente attività, legittimamente poteva esser utilizzato uno strumento privatistico e perciò erroneamente la Corte di merito ha ritenuto che il nuovo riparto di giurisdizione abbia modificato la natura della convenzione, qualificandola pubblicistica per effetto dello ius superveniens, e comunque per i poteri autoritativi esercitati da R.F.L ex L. n. 241 del 1990 e D.Lgs. n. 80 del 1981, ritenendo che i diritti speciali ed esclusivi sussisterebbero non solo per la gestione del trasporto ferroviario, ma anche per quella del materiale rotabile e della rete ferroviaria. Inoltre la Corte di merito non ha neppure verificato, come aveva chiesto R.F.I., se la domanda del Comune fosse basata su una convenzione riconducibile agli artt. 11 e 15, atteso che il negozio di cui è stato chiesto l'adempimento non rientra tra "gli accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune" (L. n. 241 del 1990, art. 15) e quindi comunque non è soggetto all'applicazione dell'art. 11, comma 5 - poi abrogato dall'art. 133, comma 1, lett. A), n. 2 c.p.a. - per cui "sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi e sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi tra pubbliche amministrazioni". Infatti innanzi tutto è dubbia l'applicabilità di questo istituto all'attività di soggetti non qualificabili come amministrazioni pubbliche e R.F.I., concessionaria della rete ferroviaria pubblica, è società di diritto privato a capitale pubblico, ma non è P.A. Inoltre la L. n. 241 de 1990 configura un' ipotesi convenzionale inserita all'interno di una categoria che comprende la composizione negoziata degli interessi pubblici coinvolti, definiti procedimenti di coordinamento infrastrutturale, attraverso i quali si tende a superare l'organizzazione burocratico - gerarchica di soggetti ed interessi, che non danno vita ad una nuova figura giuridica, distinta dalle amministrazioni partecipanti. Dunque la convenzione del 1986 tra Ital.Co.Cer. e Comune non rientra nella tipologia di cui alla L. n. 241, art. 15 essendo finalizzata non a sostituire o integrare un provvedimento amministrativo, non previsto dalle L. n. 71 del 1981 e L. n. 210 del 1985, ma a risolvere questioni di fatto, inerenti alla campagna di soppressione della gran parte dei passaggi a livello esistenti sull'infrastruttura, e Ital.Co.Cer. è intervenuto come concessionario dell'ente preposto dalla legge alla missione di migliorare l'efficienza della rete ferroviaria anche mediante la chiusura dei passaggi a livello e per realizzare opere sostitutive, mentre il Comune non è un soggetto pubblico portatore di interessi comuni a quelli di R.F.I., ma come qualunque terzo è titolare di interferenza - la strada - la cui risoluzione deve esser regolata con strumenti privatistici. Quindi è da escludere la collaborazione di attività di interesse comune, essendo anzi il Comune portatore di un interesse antitetico a quello di R.F.I., lucrando e tentando di lucrare opere sostitutive aggiuntive sempre più costose. Anche perciò la convenzione è stata uno strumento che ha composto interessi contrapposti: la rinuncia del Comune alla servitù compensata da opere sostitutive in una vicenda comune a tante altre, in cui le opere pubbliche interferiscono tra loro - strade, condotte, linee ferroviarie, elettriche, telefoniche, acquedotti - senza perciò sottoporne le controversie alla G.A. non essendo legittimo ritenere che se il titolare di un bene interferente è un privato la giurisdizione è del G.O., se è un ente pubblico, o questo è committente dell'opera, la giurisdizione è del G.A. Quanto alla cura degli interessi pubblici inerenti l'uso e la gestione del territorio, era affidata alla Regione che aveva approvato gli interventi. Una volta raggiunta l'intesa, non vi era più spazio per l'esercizio di poteri pubblici e come aveva ritenuto il Tribunale, il Comune aveva esercitato una condotta materiale, impeditiva, di manipolazione del territorio.
Il motivo è infondato.
1.1- Il quadro di riferimento normativo, ratione temporis applicabile, è il seguente.
Gli artt. 1.1, 1.3 e 1.5, d) e i), e 2 della L. 12 febbraio 1981, n. 17 dispongono: "Il Governo presenterà al Parlamento .. un nuovo piano poliennale di sviluppo, elaborato d'intesa con le Regioni, della rete ferroviaria nazionale da definirsi nell'ambito della elaborazione del piano generale dei trasporti". "L'azienda autonoma delle F.S. in attesa del piano poliennale, è autorizzata a dare esecuzione ad un programma integrativo di interventi per il riclassamento, il potenziamento e l'ammodernamento delle linee e degli impianti della rete, nonchè dei mezzi di esercizio.." "Il Programma integrativo ha lo scopo di: assicurare gli interventi per la riqualificazione .. delle linee di collegamento di maggior rilievo delle zone interne del Mezzogiorno .. nonchè per un recupero di efficienza sulla rete complementare e secondaria; avviare gli interventi più urgenti per il rinnovamento degli impianti o per la soppressione dei passaggi a livello o per il miglioramento delle relative condizioni di esercizio"; "per la realizzazione degli interventi di cui all'art. 1 l'azienda autonoma delle F.S. è autorizzata ad assumere, anche in via immediata, impegni fino alla concorrenza di lire 8.950 miliardi, dei quali 4.200 miliardi ai riclassamento, potenziamento ed ammodernamento delle linee e degli impianti; 200 miliardi da destinare al riclassamento, potenziamento ed ammodernamento delle linee e degli impianti della rete ferroviaria compresa nei territori dell'Italia meridionale..". L'art. 10, comma 1 e art. 11, commi 1, 2 e 5 della stessa legge proseguono: "Per le opere da eseguirsi a cura o per conto dell'azienda autonoma F.S. l'accertamento delle conformità alle prescrizioni delle norme e dei piani urbanistici e dei programmi edilizi, nonchè la progettazione di massima delle opere, sono fatti dalla stessa azienda d'intesa con le Regioni interessate, che devono sentire preventivamente gli enti locali nel cui territorio sono previsti gli interventi". "L'azienda autonoma della F.S. è autorizzata ad avvalersi delle facoltà previste dal D.L. n. 2150 del 1929, convertito nella L. 22 dicembre 1930, n. 1752 e successive modificazioni, ferme restando le facoltà stabilite dalle leggi, per l'azienda stessa, in materia di progettazione ed esecuzione delle opere. L'azienda autonoma delle F.S., nell'affidare in concessione le eventuali opere, è obbligata a seguire, nella scelta del concessionario, le disposizioni previste per il sistema degli appalti. Parimenti è data facoltà all'azienda autonoma delle F.S. di comprendere negli appalti le procedure espropriative relative all'acquisizione, all'asservimento o all'occupazione temporanea di beni occorrenti per la realizzazione delle opere". L'art. 12, commi 1 e 3 dispongono: "L'azienda autonoma delle F.S., qualora sia necessario per le esigenze dell'esercizio, può provvedere alla soppressione di passaggi a livello mediante manufatti sostitutivi o deviazioni stradali, secondo criteri sui quali sia stata sentita la regione interessata, e per quanto concerne la viabilità statale, d'intesa con l'ANAS. L'azienda predetta può altresì accordare contributi a .. Comuni per analoghi interventi connessi a prevalente interesse della viabilità ordinaria. Analoghi contributi possono essere accordati ai titolari per la eliminazione di servitù." L'art. 15 continua: "Per la realizzazione delle opere previste dai programmi di interventi per il potenziamento e l'ammodernamento delle linee e degli impianti della rete ferroviaria dello Stato sono istituite cinque unità speciali, .. con le seguenti attribuzioni: a) curare gli studi per l'esecuzione delle nuove opere previste dal programma di interventi, programmare gli interventi, ..
con necessari collegamenti con i servizi dell'azienda autonoma delle F.S. e degli enti locali, seguire la progettazione delle opere in armonia con gli strumenti urbanistici vigenti, anche sotto l'aspetto dell'assetto del territorio, coordinare la perfetta sincronia di tutte le strutture, con particolare riguardo a quelle periferiche chiamate ad operare per l'esecuzione del piano". L'art. 22, comma 4 stabilisce: "A decorrere dalla data di trasferimento" - "della competenza in materia di costruzioni ferroviarie riservata al Ministero dei LL.PP." (art. 22, comma 1) -"l'azienda autonoma delle F.S. subentra al Ministero dei LL.PP...".
La L. 10 maggio 1983 n. 189 all'art. 1 dispone: "Fermi restando gli interventi di cui alla L. 12 febbraio 1981, n. 17, art. 1, lett. l), l'azienda autonoma delle F.S. è autorizzata a predisporre e a dare esecuzione, nel periodo 1983 - 1992, ad un piano decennale di soppressione di passaggi a livello, mediante costruzione di idonei manufatti sostitutivi o deviazioni stradali, nonchè di miglioramento delle condizioni di esercizio dei passaggi a livello non eliminabili, ..". Art. 3. 1 e 2: "Il piano per il primo triennio .. sarà approvato con decreto del Ministro dei Trasporti, previo parere del consiglio di amministrazione dell'azienda autonoma. Nella stessa forma saranno approvate le eventuali variazioni.". Art. 5. 1, 2, 3:
"Per gli interventi soppressivi dei passaggi a livello di cui all'art. 1 si applicano le disposizioni di cui agli artt. 11 e 12 della L. n. 17 del 1981. I manufatti sostitutivi o le deviazioni stradali di cui alla citata Legge, art. 1, nonchè quelli di cui alla L. n. 17 del 1981, art. 12, commi 1 e 2, dovranno esser commisurati alle caratteristiche della viabilità esistente e tali da garantire la stessa capacità di traffico. Gli elaborati progettuali saranno approvati, per quanto concerne la viabilità statale, di intesa con i compartimenti della viabilità dell'ANAS o, in caso di mancato accordo, di intesa con gli organi centrali dell'amministrazione, che, occorrendo, provvederanno alla nomina di apposita commissione tecnica".
Istituito con L. 17 maggio 1985, n. 210 l'ente ferrovie dello Stato, l'art. 2, lett. a) ad esso trasferì "L'esercizio delle linee di rete" (sì da divenirne concessionario ex lege) e, con l'art. 25, comma 2, l'esercizio dei poteri concernenti il procedimento per "I progetti di costruzione degli impianti .. e delle opere connesse" - della cui natura pubblica non vi è da dubitare e che "non possono essere sottratti alla loro destinazione senza il consenso dell'ente" (art. 15, comma 2) - da comunicare "agli enti locali nel cui territorio sono previsti gli interventi, per una verifica di conformità alle prescrizioni e ai vincoli delle norme e dei piani urbanistici ed edilizi..".
1.2- Consegue dall'insieme di dette disposizioni che la convenzione stipulata tra il Ministero dei Trasporti ente F.S. e il Comune di Maddaloni nel 1986 per la soppressione di passaggi a livello, la rinuncia di quest' ultimo ente alla servitù di attraversamento a raso in corrispondenza di esso, la costruzione - appaltata alla Ital.co.cer. - di opere sostitutive di detta soppressione, è servente del piano poliennale di sviluppo della rete ferroviaria nazionale previsto dalla L. n. 17 del 1981, ed assolve alla funzione di individuazione convenzionale dell'accordo di programma tra enti pubblici a conclusione di un procedimento preordinato all'esercizio delle rispettive pubbliche funzioni amministrative: regolamentazione ed ammodernamento degli impianti ed infrastrutture per il miglioramento del servizio ferroviario (il cui carattere pubblico ne giustifica la concessione) e disciplina del territorio e regolamentazione urbanistica. Si tratta pertanto di un accordo ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 15, soggetto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per effetto del richiamo alla citata Legge, art. 11, (comma 5) in quanto la controversia non attiene ad aspetti meramente patrimoniali del rapporto regolati dall'autonomia negoziale per la composizione di contrapposti interessi, ma involge, invece, valutazioni tecniche strettamente inerenti al momento funzionale di esso, poichè la violazione degli obblighi scaturenti dalla convenzione incide sulle modalità e sui beni destinati all'esercizio del servizio ferroviario e sulla conformazione e regolamentazione dell'assetto del territorio.
Ed infatti la Corte di merito ha messo in luce che, all'esito delle intese raggiunte tra Comune, Regione e Ministero dei Trasporti, era stato depositato il progetto esecutivo dalle Ferrovie dello Stato, richiamato nelle premesse della convenzione, approvato con D.M. 3 agosto 1984, n. 1995. Quindi, sorto dissenso da parte del Comune in fase attuativa di essa, al fine di semplificare le procedure amministrative per la modifica, nel 1997 era stata indetta la conferenza dei servizi tra Regione, e Comune e ente F.S. (L. n. 241 del 1990, art. 14), onde "acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi", a conferma del coinvolgimento di molteplici interessi pubblici implicanti scelte e valutazioni tecnico - discrezionali, onde bilanciare la tutela del servizio di viabilità e di quello ferroviario. E poichè gli atti autoritativi emanati dal Comune avvalendosi dei poteri pubblici conferitigli dalla legge anche per la tutela di interessi pubblici, investono la legittimità della convenzione, che infatti è stata contestata dal Comune proprio invocando tali interessi, e all'inadempimento di essa è eziologicamente ricollegata la richiesta di adempimento e di risarcimento danni di R.F.I., anche sotto questo ulteriore profilo è corretta la declinatoria di giurisdizione del G.O. (S.U. 5923 del 2011).
1.3 - Resta da aggiungere che la surichiamata norma sulla giurisdizione è applicabile anche agli accordi (come quello in esame) stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore - S.U. 24009 del 2007, 732 del 2005 - senza che a tale attribuzione sia di ostacolo la congiunta proposizione, oltre alle domande di accertamento dell'inadempimento e adempimento dell'accordo, per le quali detta giurisdizione pacificamente sussiste, anche di una richiesta di condanna al risarcimento dei danni, trattandosi di questione non attinente all'ambito della giurisdizione, ma solo all'estensione dei poteri del giudice amministrativo.
Dunque, sia per la natura amministrativa in senso oggettivo e soggettivo dell'accordo, sia per la natura pubblica degli interessi coinvolti (S.U. 15660 del 2005, richiamata da 16883 del 2013), sia per le scelte discrezionali operate dalla P.A. per la tutela di essi - non incidendo a tal fine la trasformazione in ente pubblico economico dell'azienda F.S. per effetto della L. n. 210 del 1985, art. 2, lett. h) (e poi in società per azioni, per effetto della L. n. 35 e L. n. 359 del 1992, attribuite al 100% al Ministero del Tesoro, ora dell'Economia e delle Finanze, con Delib. Cipe 12.6. e 12.8.1992 per rendere l'attività economica più efficace e funzionale), e la analoga natura giuridica del consorzio concessionario per l'esecuzione delle opere pubbliche - sia per il ricorso a strumenti anche autoritativi da parte del Comune, sia per la manifesta incidenza dell'esecuzione della convenzione sui servizi pubblici di trasporti e viabilità, sul territorio e sui beni delle F.S. e del Comune, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo.
Pertanto la convenzione di cui è controversia, poichè comporta non soltanto la verifica della legittimità di atti e provvedimenti della pubblica amministrazione richiamati nella convenzione (verifica che, peraltro ed in tali limiti, ben potrebbe essere compiuta anche dal giudice ordinario ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248), ma soprattutto perchè è stata strumento cui si è fatto ricorso allo scopo di dare concreta ed effettiva realizzazione agli anzidetti interessi pubblici e con strumenti finanziari riferibili, direttamente od indirettamente, alla P.A. in senso proprio - sì da configurare organismo di diritto pubblico nell'accezione contenuta nell'art. 1, lett. b della direttiva 14 giugno 1993 n. 93/37 Cee e nell'art. 2, comma 6, dell'attuativa L. n. 109 del 1994 sui lavori pubblici, che definisce "di diritto pubblico qualsiasi organismo con personalità giuridica, istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, ovvero la cui gestione sia sottoposta al controllo di tali soggetti, ovvero i cui organismi di amministrazione, di direzione o di vigilanza siano costituiti in misura non inferiore alla metà da componenti designati dai medesimi soggetti" - correttamente è stata inquadrata dalla Corte di merito negli accordi previsti dalla L. 7 agosto 1990, n. 241 (S.U. 12725 del 2005).
1.4- Peraltro la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sussiste anche per effetto del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, comma 1 e comma 2, lett. b), a norma del quale sono ad esso devolute tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti ai trasporti - e quello ferroviario è definito essenziale dalla L. n. 146 del 1990, art. 1, comma 2, lett. b) - e del cit.
D.Lgs., art. 34, commi 1 e 2, come sostituito dalla L. n. 205 del 2000, art. 7, lett. b), applicabile per le controversie instaurate dal 10.8.2000, e rilevante ai sensi dell'art. 5 c.p.c., che devolve a detto giudice le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica - concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio, in cui rientra la regolamentazione del traffico comunale - ed edilizia.
2.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta: "Violazione e falsa applicazione del D.M. 8 aprile 2004, n. 127 (T.P.) Omessa motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 4)". Il valore della causa era di Euro 2.522.234,75 in quanto la condanna in primo grado in favore di R.F.I. era pari ad Euro 1.465.425, oltre interessi e rivalutazione.
Applicando alle prestazioni i valori massimi di tariffa sino a 2.582.300,00 gli onorari sono pari a Euro 37.120, per il primo grado ed Euro 31.210 per il secondo grado, superiori di oltre 27.000 Euro all'importo di Euro 95.500 liquidato dalla Corte di merito per il primo e secondo grado senza motivare il superamento dei massimi della tariffa e senza considerare la tardività dell'eccezione ritenuta fondata, oltre che l'oggettiva difficoltà della questione, che poteva almeno indurre a compensare in tutto o in parte le spese.
Il motivo è parte inammissibile, parte infondato.
Ed infatti, quanto alla censura di superamento del massimo della tariffa professionale nella liquidazione degli onorari, la ricorrente aveva l'onere di sviluppare il calcolo del valore complessivo della controversia atteso che il giudice di primo grado ha riconosciuto la rivalutazione e gli interessi sull'ammontare totale di Euro 1.465.425,00, con decorrenza, per ciascun importo, dalla data dell'esborso di ogni posta contabile e, sul corrispondente ammontare, aveva liquidato gli onorari di Euro 50.000,00. Questo importo, come emerge dalla narrativa, era stato confermato in secondo grado, e per l'appello era stato ridotto di Euro 500,00. Dunque in mancanza di specificità dell'ammontare della somma liquidata dal Tribunale queste Sezioni Unite non possono controllare l'esistenza della violazione di legge denunciata e la censura è inammissibile.
E' invece Infondata la censura sulla tardività dell'eccezione di difetto di giurisdizione perchè come risulta dalla narrativa il Comune di Maddaloni l'aveva sollevata fin dalla comparsa di risposta in primo grado.
3.- Conclusivamente, affermandosi la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, il ricorso va respinto.
4.- La natura delle questioni trattate e la difformità tra le pronunzie rese nei gradi di merito costituiscono giusti motivi per compensare per intero tra le parti le spese dei giudizio di Cassazione.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione. La Corte da atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater per il versamento da parte della soccombente di un ulteriore importo, pari al contributo unificato dovuto per l'impugnazione.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2014.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2015 

martedì 19 maggio 2015

PUBBLICAZIONI: Gabriele Pepe: "Necessità di un’adeguata motivazione della legge restrittivamente incidente nella sfera giuridica dei cittadini?" Commento alla sentenza della Corte Cost. n. 70/2015.



GABRIELE PEPE
"Necessità di un’adeguata motivazione della legge restrittivamente incidente 
nella sfera giuridica dei cittadini?" 
Commento a sentenza Corte Cost. n. 70/2015 


Pubblichiamo qui sul blog il primo commento scientifico, ad opera di Gabriele Pepe, Ricercatore di Diritto Amministrativo, sulla recentissima sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015 (che potete leggere cliccando QUI). 
Sinora hanno parlato i giornalisti, i politici, gli opinionisti... ecco oggi parla un giurista, che stimo come persona come professionista e come studioso della "nostra" amata materia.
L'articolo è stato già pubblicato in data 16.05.2015 sulla nota rivista "Amministrazione e Contabilità degli Enti pubblici" (www.contabilità-pubblica.it).
Se volete leggerlo per intero, lo trovate sul link cliccando QUI.
A presto.

*    *    *

(Incipit)
La pronuncia in commento si segnala per l’accoglimento di una delle censure presentate dai ricorrenti con conseguente declaratoria di incostituzionalità di una disposizione della c.d. legge Fornero e, segnatamente, dell’art. 24, co. 25, d. l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, co. 1, l. 22 dicembre 2011, n. 214. Si tratta della disposizione che, in una prospettiva di risanamento dei conti pubblici, ha imposto risparmi di spesa attraverso il blocco della indicizzazione di taluni trattamenti pensionistici per gli anni 2012 e 2013.
Il presente articolo non mira ad una ricostruzione analitica dell’intera pronuncia della Corte bensì intende soffermarsi su due passaggi della sentenza, che sia pur incidentalmente, sembrano presentare nei termini in cui sono stati espressi, elementi di novità per l’ordinamento italiano. Inoltre l’articolo riserva talune considerazioni finali al sindacato di ragionevolezza operato dalla Consulta la quale, nella valutazione comparativa degli interessi costituzionalmente rilevanti, ha pretermesso di considerare l’interesse prioritario al pareggio di bilancio (art. 81 I co. Cost.).

In due passaggi della sentenza, anche se non tra i profili apparentemente fondamentali, la Corte sembra introdurre un principio rivoluzionario per il sistema giuridico italiano: il principio secondo cui ogni legge che incida negativamente nella sfera giuridica dei destinatari necessiti di una congrua ed adeguata motivazione in ordine alle specifiche ragioni della scelta normativa compiuta. Tale proposizione è chiarita dalla Corte nella parte della sentenza in cui statuisce che “la disposizione concernente l’azzeramento del meccanismo perequativo, contenuta nel comma 24 dell’art. 25 del d. l. 201 del 2011, come convertito, si limita a richiamare genericamente la “contingente situazione finanziaria”, senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi così fortemente incisivi”[1]. Inoltre, sottolinea la Consulta, come l’interesse dei pensionati ed in particolare di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, sia finalizzato alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui coerentemente discende il diritto ad una prestazione previdenziale adeguata. Aggiunge, infine, che “tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio”.

(continua)


[1] Inoltre, prosegue la sentenza, “anche in sede di conversione (legge 22 dicembre 2011, n. 214), non è dato riscontrare alcuna documentazione tecnica circa le attese maggiori entrate, come previsto dall’art. 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante «Legge di contabilità e finanza pubblica» (sentenza n. 26 del 2013, che interpreta il citato art. 17 quale «puntualizzazione tecnica» dell’art. 81 Cost.)”.

lunedì 18 maggio 2015

"AUTHORITY": la Telecom sanzionata (pesantemente) dall'Antitrust per abuso di posizione dominante (Cons. St., Sez. VI, sentenza 15 maggio 2015, n. 2479).



"AUTHORITY": 
la Telecom sanzionata (pesantemente)
 dall'Antitrust 
per abuso di posizione dominante 
(Cons. St., Sez. VI, 
sentenza 15 maggio 2015, n. 2479)


Brevissimo commento

Una sentenza così non puoi massimarla senza (almeno un po') tradirla).
Si segnalano, comunque, sia le precisazioni sull'effetto devolutivo dell'appello (punto n. 4), sui limiti del sindacato del Giudice amministrativo in materia di sanzioni delle Autorità Amministrative Indipendenti, come l'Antitrust (punti n. 5) e sulla nozione rilevante di "abuso di posizione dominante" (punto n. 6 del diritto).



Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7371 del 2014, proposto da:
Telecom Italia Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Angelo Clarizia, Francesco Cardarelli, Antonio Briguglio, Mario Siragusa, Filippo Lattanzi, Marco D'Ostuni, con domicilio eletto presso Lattanzi Cardarelli Studio Legale Lca in Roma, Via G.P. Da Palestrina N.47; 
contro
Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12; Fastweb Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Andrea Guarino, Gustavo Olivieri, Renzo Ristuccia, Luca Tufarelli, con domicilio eletto presso Andrea Guarino in Roma, piazza Borghese N. 3; Wind Telecomunicazioni Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Mario Libertini, Beniamino Caravita Di Toritto, Sara Fiorucci, con domicilio eletto presso Beniamino Caravita in Roma, Via di Porta Pinciana, 6; AII-Associazione Italiana Internet Provider, rappresentato e difeso dall'avv. Andrea Valli, con domicilio eletto presso Andrea Valli in Roma, Via del Governo Vecchio 20; Vodafone Omnitel Nv, rappresentato e difeso dagli avv. Fabio Cintioli, Alessandro Boso Caretta, con domicilio eletto presso Fabio Cintioli in Roma, Via Vittoria Colonna 32; Bt Italia Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Rino Caiazzo, Sergio Fienga, Francesca Costantini, con domicilio eletto presso Rino Caiazzo in Roma, Via Ludovisi, 35; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I n. 04801/2014, resa tra le parti, concernente irrogazione sanzione amministrativa pecuniaria per abuso di posizione dominante;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato – Antitrust, di Fastweb Spa, di Wind Telecomunicazioni Spa, di AII-Associazione Italiana Internet Provider, di Vodafone Omnitel Nv e di Bt Italia Spa;
Viste le memorie difensive, le memorie conclusionali e di replica;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 aprile 2015 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Clarizia, Briguglio, Cardarelli, D'Ostuni, Siragusa, Lattanzi, l’avvocato dello Stato Fiorentino, gli avvocati Guarino, Olivieri, Ristuccia, Caiazzo, Valli, Cintioli, Boso Caretta, Caravita Di Toritto, Fiorucci;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
La società Telecom agiva in tempi diversi dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con due distinti ricorsi (r.g.n.4406 del 2012 e r.g. n.6374 del 2013) avverso atti adottati dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato; con il primo (4406 del 2012), veniva impugnato il provvedimento prot. N.27139/11 di rigetto degli impegni presentati nell’ambito del procedimento A 428 ai sensi dell’art. 14-ter L.287 del 1990; con il successivo ricorso (r.g.n.6374 del 2013), veniva impugnato il provvedimento adottato dall’Autorità con cui si era accertato che la Telecom aveva commesso due abusi di posizione dominante in violazione dell’art. 102 TFUE, ordinando di astenersi dall’attuare in futuro comportamenti analoghi e si applicava la sanzione amministrativa pari a euro 88.182.000 per il primo abuso e euro 15.612.000 per il secondo abuso; veniva altresì impugnato il provvedimento recante rigetto degli impegni del 14 marzo 2012.
In fatto, a seguito delle segnalazioni inviate dalle concorrenti società Wind e Fastweb, l’AGCM in data 23 giugno 2010, aveva deliberato l’avvio di un procedimento istruttorio per abuso di posizione dominante ai sensi dell’art. 102 TFUE, riguardante l’elevato numero di rifiuti di attivazioni di servizi all’ingrosso richiesti dai concorrenti per la fornitura di servizi ai clienti finali e l’applicazione di rilevanti sconti alla clientela business nelle aree aperte all’Unbundling LocalLoop, cioè nelle aree ove è fornito ai concorrenti il servizio di accesso al tratto finale della rete verso il cliente, e tale da non consentire agli OLO (Other Licensed Operators, ovvero gli operatori concorrenti) di competere in maniera efficace.
A seguito di complessa istruttoria, alla quale prendevano parte in qualità di intervenienti numerosi concorrenti e che vedeva numerose audizioni di Telecom e del suo Organo di Vigilanza, in data 8 luglio 2011-2 agosto 2011 Telecom presentava i propri impegni, ai sensi dell’art. 14-ter della Legge n.287 del 1990, pubblicati sul sito dell’Autorità in data 5 agosto 2011 e in data 20 dicembre 2011 ne presentava di ulteriori, ma gli stessi non venivano accettati dall’Autorità che, dopo avere prorogato il termine di chiusura del procedimento, in data 11 dicembre 2012 inviava la comunicazione delle risultanze istruttorie.
Nel procedimento, l’Autorità Garante per le Comunicazioni, dopo avere richiesto proroga del termine di cui all’art. 1, comma 6 lettera c) n. 11 della legge n.249 del 1997, rilasciava il richiesto parere in data 29 marzo 2013.
Quindi, l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, nell’adunanza del 9 maggio 2013, chiudeva l’istruttoria, adottando il provvedimento n.24339, con cui imputava alla società Telecom di avere posto in essere due abusi di posizione dominante: il primo consistente nella opposizione di un numero ingiustificatamente elevato di rifiuti di erogazione dei servizi all’ingrosso, nel periodo 2009/2011, finalizzato a rallentare il processo di crescita dei concorrenti nei mercati dei servizi di accesso al dettaglio di telefonia vocale e di accesso ad internet a banda larga; il secondo, nella compressione dei margini dei concorrenti nelle offerte alla Grande Clientela Affari, nel periodo 2009-luglio 2011, al fine di ostacolare l’esplicarsi di una effettiva concorrenza per l’offerta dei servizi di accesso al dettaglio rivolti alla clientela non residenziale.
Con il provvedimento conclusivo dell’istruttoria veniva intimato a Telecom di astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi e venivano irrogate due sanzioni amministrative pecuniarie pari rispettivamente ad euro 88.182.000 euro per la prima infrazione e a euro 15.612.00 per la seconda infrazione.
I motivi di ricorso consistevano nei vizi di violazione di legge e difetto di istruttoria sotto svariati profili.
Il giudice di primo grado respingeva tutti i motivi di ricorso, ritenendo immune dalle dedotte censure l’attività svolta dall’Autorità.
In particolare, il primo giudice riteneva immune da censure il rigetto degli impegni, in quanto la valutazione negativa da parte dell’A.G.C.M. degli impegni rientra nel margine di discrezionale apprezzamento, che viene rimesso dalla vigente normativa all’Autorità procedente, non apprezzabile nel merito in sede giurisdizionale; inoltre, la gestione immotivatamente differenziata, e quindi discriminatoria, della procedura avente ad oggetto le richieste di accesso degli OLO costituisce una palese violazione degli obblighi gravanti sull’impresa in posizione dominante necessari a garantire le condizioni di concorrenza effettiva nei mercati collegati a quello dell’infrastruttura di rete.
Inoltre, secondo la sentenza, le direttive comunitarie e la disciplina nazionale impongono specifici obblighi in materia di uso e di accesso da parte dei concorrenti di determinate risorse di rete, proprio al fine di promuovere la concorrenza e di tutelare gli interessi dei new comers e quindi a valle dei consumatori, per il principio di non discriminazione fra attività interne ed esterne affinchè le imprese aventi potere di mercato, attive anche nei mercati a vale di quello della infrastruttura essenziale, non distorcano la concorrenza a detrimento dei terzi. Essendo l’infrastruttura di Telecom essenziale per consentire agli OLO di fornire i servizi di fonia e di banda larga, la stessa società è tenuta, indipendentemente dal rispetto delle regole di settore delle comunicazioni elettroniche, a garantire l’accesso dei concorrenti a tale infrastruttura a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie, configurandosi, in caso contrario, una ipotesi di abuso di posizione dominante paradigmatica con effetti escludenti e con un conseguente grave pregiudizio allo svolgimento della concorrenza nei mercati a valle al dettaglio (i mercati al dettaglio collegati a quello a monte dell’accesso alla infrastruttura di rete) in cui l’impresa titolare dell’input essenziale detiene una posizione dominante e nei quali la sostituibilità tra la produzione di TI e quella degli OLO suoi concorrenti è piena.
Veniva ritenuta immune da censure anche la parte del provvedimento riguardante il secondo abuso contestato, consistente in una condotta di compressione dei margini (margin squeeze), consistente nell’avere attuato una politica di sconti alla grande clientela affari per il servizio di accesso al dettaglio alla rete telefonica fissa, con effetti restrittivi della concorrenza.
Venivano respinte anche le doglianze relative alla quantificazione delle sanzioni, ritenute immuni dalle dedotte censure.
Avverso la sentenza di primo grado propone appello, non sintetico, Telecom Italia spa (114 pagine), nel quale in principio sintetizza l’atto di gravame ai sensi dell’art. 3, comma 2 del c.p.a. con apposito indice degli argomenti e delle censure, dividendo il corpo dell’atto in fatto e in diritto.
Nella ricostruzione in fatto, l’appellante spiega cosa sono i KO, definisce il quadro regolamentare e contrattuale, gli accertamenti dell’Agcom e dell’ODV (organo indipendente di vigilanza di Telecom), il provvedimento impugnato in primo grado e il parere condizionato dell’Agcom e successivamente ripercorre la vicenda processuale di primo grado, riportando a grandi tratti il ricorso e la sentenza.
Successivamente, deduce numerosi motivi di appello, in buona sostanza riproduttivi dei motivi già proposti e respinti o comunque non accolti in prime cure.
Nella parte in diritto, come primo motivo di appello, deduce omessa pronuncia e difetto assoluto di motivazione in generale; si sostiene che, nonostante la enorme importanza della vicenda per l’assetto economico ed organizzativo di Telecom, la sentenza sarebbe affetta dal vizio di omessa pronuncia e difetto assoluto di motivazione, in violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale, in quanto il primo giudice non avrebbe considerato tutti i motivi di ricorso, ma spesso avrebbe utilizzato come perifrasi il provvedimento antitrust, rifiutando di svolgere una minima delibazione dei fatti pur documentati da Telecom e delle sue proposte ragioni.
Con motivi dal secondo al quinto dei motivi di appello, in particolare, sul rifiuto costruttivo di fornitura, deduce: mancata prova del rifiuto costruttivo, mancata misurazione dei tempi di fornitura, sostenendo che i concorrenti hanno goduto di risultati migliori e tempi di fornitura più rapidi di quelli di Telecom; la obbligatorietà delle presunte scelte organizzative diTelecom contestate (lista delle verifiche necessarie, uso dei KO); altre contraddizioni e gravi errori del provvedimento; mancata prova dei comportamenti opportunistici.
Il provvedimento antitrust censura il sistema di fornitura all’ingrosso ai concorrenti dei servizi di accesso alla rete in postazione fissa di Telecom, costruito in base a puntuali indicazioni dell’Agcom e degli stessi concorrenti per garantire la concorrenza e la parità di trattamento.
A partire dal 2008, su ordine dell’Agcom, Telecom ha adottato, tra l’altro: 1) liste tassative concordate con gli altri operatori dei casi in cui occorre scartare un ordine di fornitura (c.d. causali di scarto); 2) modalità codificate di comunicazione in formato elettronico degli scarti (c.d. KO); 3) una innovativa forma di separazione funzionale delle unità aziendali che forniscono i servizi all’ingrosso, mediante i c.d. Impegni Open Access.
L’Agcom e l’organo indipendente di Telecom (ODV) hanno accertato che, nel periodo sotto accusa (2008/2011), questo modello di fornitura ha ben funzionato, garantendo una effettiva parità di trattamento tra gli operatori pur con modalità di lavorazioni diverse.
Secondo l’Autorità Antitrust, invece, il maggior ricorso ai KO nelle forniture ai concorrenti costituirebbe un rifiuto costruttivo di fornitura perché avrebbe rallentato la lavorazione delle loro richieste, benché essi abbiano ottenuto risultati migliori delle funzioni interne di Telecom proprio in termini di attivazione delle forniture, tempi di lavorazione e relativi costi.
Il provvedimento sarebbe quindi affetto da numerosi vizi.
Con il secondo motivo di appello, nello specifico, si sostiene che, come accertato da Agcom e dall’ODV di Telecom, l’uso dei KO non ha rallentato le forniture ai concorrenti, che hanno goduto, al contrario, di tempi di fornitura più rapidi rispetto alle funzioni interne di Telecom, nonché di maggior successo nell’attivazione dei servizi. L’Autorità Antitrust disponeva dei dati sui tempi ma, peccando in difetto di istruttoria, avrebbe omesso di menzionarli nel provvedimento, le cui accuse risultano perciò infondate e sprovviste di prova.
Con il terzo motivo, si sostiene che l’uso dei KO e le liste tassative delle verifiche dei processi di fornitura ai concorrenti non sono scelte autonome imputabili a Telecom, ma sono imposti dalla normativa di settore.
Con il quarto motivo, si sostiene che, dimenticando le differenze tra i processi di fornitura ai concorrenti e alle funzioni interne di Telecom, il provvedimento commette quattro errori gravi nel comparare i rispettivi risultati con riguardo al numero dei KO, rilevati anche dall’Agcom, dall’ODV e anche dalla denunciante Fastweb: 1) non ha contato le sospensioni opposte alle funzioni interne di Telecom come se non fossero mai esistite, benché per ammissione della stessa AGCM individuino anche esse l’insorgenza di problemi e abbiano rallentato la lavorazione, al pari dei KO; 2) ha confrontato in maniera inattendibile l’incidenza di specifiche tipologie di causali di scarto nei due processi, dimenticando che i processi di fornitura alle divisioni interne di Telecom non usano le stesse liste e quindi non sono direttamente confrontabili; 3) con un errore logico, ha comparato i risultati delle funzioni interne di Telecom con quelli della media dei concorrenti; tuttavia, la media aggrega risultati individuali molto diversi, in quanto alcuni concorrenti hanno ottenuto risultati migliori delle funzioni interne di Telecom e altri concorrenti hanno ottenuto risultati peggiori, evidentemente per inefficienze proprie e non dei metodi di lavorazione di Telecom; pertanto, l’AGCM ha errato nel concludere che, in generale, i concorrenti siano stati discriminati; 4) i dati riportati nel provvedimento confermano l’assenza di abusi con riguardo a talune tipologie di servizi (linee attive, servizi a banda larga) e per l’intero anno 2011.
Con il quinto motivo di appello si sostiene l’erroneità della sentenza, in quanto, come dimostrano anche gli sforzi profusi dall’appellante Telecom, i risultati raggiunti dai concorrenti e la documentazione al fascicolo, l’Autorità Antitrust non ha provato che Telecom abbia adottato, tra il 2009 e il 2011, una strategia volta a rifiutare intenzionalmente le richieste di fornitura di servizi all’ingrosso con giustificazioni pretestuose, come invece sostenuto.
Con i motivi di appello dal sesto al decimo, sull’abuso consistente nella compressione dei margini, deduce: mancanza della condotta, erronea quantificazione dei ricavi derivanti dall’ipotetica offerta analizzata, erronea sovrastima dei costi commerciali, mancata analisi del bundle; erronea quantificazione di prezzi e costi e altri errori metodologici.
Con il sesto motivo, in particolare, deduce che l’AGCM ha sanzionato Telecom per una condotta ipotetica, che secondo i suoi stessi accertamenti, quest’ultima non avrebbe posto in essere; e pertanto non vi è alcun abuso.
Con il settimo motivo, deduce che, nella valutazione di replicabilità, volta a confrontare costi e ricavi delle ipotetiche offerte che Telecom avrebbe potuto commercializzare, l’AGCM non ha considerato tutti i ricavi ottenibili, falsando così la valutazione stessa.
Con l’ottavo motivo deduce che l’AGCM ha errato nell’applicazione dei test di prezzo regolamentari con riguardo alla stima dei costi commerciali.
Con il nono motivo deduce che secondo le indicazioni della Commissione europea e dell’Agcom, l’AGCM avrebbe dovuto svolgere l’analisi di replicabilità con riguardo ai pacchetti di servizi messi in gara, anziché ai soli servizi di accesso; con il decimo motivo contesta che l’AGCM ha erroneamente quantificato numerose voci di costo.
Viene contestata l’erroneità delle valutazioni che hanno portato alla seconda contestazione di attività anticoncorrenziale, in quanto l’accertamento del preteso abuso consistente nella compressione dei margini sarebbe erroneo per l’approccio metodologico dell’Autorità, che non riesce a dimostrare che la differenza tra i prezzi al dettaglio praticati ai clienti finali e i prezzi all’ingrosso praticati ai concorrenti, quale impresa detentrice di una risorsa essenziale, affinchè questi possano offrire a loro volta lo stesso servizio al dettaglio, è tale da non coprire i costi specifici che gli stessi concorrenti sostengono per erogare servizi in questione nei mercati a valle.
Con i motivi dall’undicesimo al tredicesimo, come ulteriori vizi generali, comuni ad entrambi gli abusi, deduce: l’incompatibilità dell’assunto dell’AGCM con il quadro regolamentare di riferimento; lesione dei diritti di difesa; erroneo rigetto degli impegni.
Senza fornire adeguata motivazione rafforzata (undicesimo motivo), l’AGCM ha ignorato il contesto regolamentare e contraddetto gli accertamenti dell’Agcom, benché questi fossero volti ad assicurare i medesimi obiettivi dell’AGCM, con analoghe metodologie e sulla base di un’analisi degli stessi dati.
L’AGCM non ha consentito a Telecom (dodicesimo motivo di appello) un adeguato contraddittorio, sia perché il provvedimento modifica significativamente le accuse e gli elementi di prova a carico, rispetto alla comunicazione delle risultanze istruttorie e sia perché non ha concesso a Telecom l’accesso a documenti decisivi, utilizzati ai fini delle accuse.
In fine, l’AGCM ha erroneamente rigettato (tredicesimo motivo di appello) le proposte di impegni avanzate da Telecom nel corso del procedimento.
Con il quattordicesimo e ultimo motivo di appello, vengono dedotte censure in ordine alla quantificazione delle sanzioni: la sanzione irrogata è illegittima per assenza dei presupposti per la irrogazione della sanzione (imputabilità ed elemento soggettivo), per erronea valutazione sulla gravità e sulla durata, per mancata considerazione di circostanze attenuanti ed erronea imputazione della recidiva.
Si è costituita con memoria di costituzione Vodafone Omnitel B.V., che chiede di dichiarasi l’inammissibilità dell’appello e comunque di rigettarlo perché infondato; ripropone le eccezioni di inammissibilità delle censure con le quali si vorrebbe, a suo dire, sostituire il giudice nelle scelte dell’Autorità proponendo un sindacato avanzato di merito, inammissibile in sede di giurisdizione di legittimità o esclusiva e consentito soltanto per le sanzioni; deduce l’inammissibilità anche per mancanza dei motivi specifici su cui si fonda il ricorso (anche d’appello) teso a contestate tutti i passaggi tecnici svolti dall’Autorità Antitrust, ma con carenza di vere censure di legittimità.
Si è costituita la società BT Italia spa chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.
Si è costituita la società Fastweb spa, che ripropone le eccezioni di inammissibilità già sollevate in prime cure e chiede il rigetto dell’appello perché infondato.
Si è costituita l’Associazione Italiana Internet Provider (AIIP) che chiede il rigetto dell’appello; si è costituita la WIND Telecomunicazioni spa, società con azionista unico, che conclude per l’inammissibilità e il rigetto dell’appello.
Si è costituita l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato e ribadendo la legittimità del suo operato.
Telecom Italia spa ha depositato memoria conclusionale e memoria di replica; Fastweb spa ha depositato memoria e replica; Vodafone Omnitel B.V. ha depositato memoria e replica; BT Italia spa ha depositato memoria; Wind Telecomunicazioni spa ha depositato memoria; l’Associazione Italiana Internet Provider (AIIP) ha depositato memoria.
Nelle memorie difensive +e repliche depositate in vista della udienza di merito del 28 aprile 2015, le varie parti hanno ribadito in sostanza le stesse difese dei precedenti atti.
Con deposito del 7 aprile 2015 la difesa di Vodafone Omnitel spa ha depositato la delibera AGCOM n.309/14/Cons del 19 giugno 2014 avente ad oggetto: “Diffida, ai sensi del decreto legislativo 1 agosto 2003, n.259, a Telecom Italia s.p.a. a rispettare gli obblighi di fornitura dei servizi di accesso wholesale di cui alle delibere nn.718/08/CONS.731/09/CONS, e le procedure di cui alle delibere n.274/07/CONS, n.41/09/CIR, n.35/10/CIR”.
Alla udienza pubblica del 28 aprile 2015 la causa, previa discussione, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO
1.Il primo abuso contestato ha per oggetto la opposizione di un numero significativamente elevato di KO (ossia di riscontri negativi o c.d.rifiuti di fornitura) alle richieste di attivazione di servizi di accesso per la fornitura del servizio al dettaglio di accesso a internet a banda larga da parte dei nuovi potenziali concorrenti (OLO), con un trattamento sostanzialmente divergente, e quindi ritenuto discriminatorio dall’Autorità, a seconda della provenienza delle medesime richieste dalle divisioni interne di Telecom oppure dagli OLO.
L’Autorità Garante aveva evidenziato che per le divisioni commerciali di Telecom la procedura prevede che esse interagiscano direttamente con la funzione aziendale c.d. Open Access costituita nel 2008 all’interno della Direzione Technology & amp, Operations di Telecom e che i loro ordinativi nel caso di indisponibilità di risorse siano posti in sospensione, in attesa che le risorse si liberino; per gli operatori alternativi, invece, è previsto che essi debbano interagire con la funzione aziendaleNational Wholesale Services e che i loro ordinativi nei medesimi casi ricevano un KO immediato, per effetto del quale sono costretti a procedere alla emissione di un nuovo ordinativo e a dare avvio ad una nuova ed ulteriore procedura di richiesta di accesso.
Tale condotta, per l’Autorità, incide in modo significativo sui tempi di lavorazione degli ordinativi, che per gli OLO risultano ingiustificatamente più lunghi di quelli previsti per le divisioni interne dell’incumbent, ostacolando la capacità di questi ultimi di operare in condizioni di sostanziale parità con la società Telecom e, quindi, di poter conquistare parte dei clienti già serviti daTelecom.
2.Il secondo abuso di posizione dominante individuato dall’Autorità Garante consiste in una condotta di compressione dei margini (margin squeeze), avendo l’impresa posta in posizione dominante attuato una politica di sconti alla grande clientela affari (GCA) per il servizio di accesso al dettaglio alla rete telefonica fissa, tale da non consentire, ad un concorrente altrettanto efficiente, di operare in modo redditizio e su base duratura nei medesimi mercati, considerati anche i costi di accesso alla rete praticati da Telecom agli altri operatori, con conseguenti effetti restrittivi della concorrenza sul mercato al dettaglio dei servizi di accesso alla clientela non residenziale nelle aree aperte alla concorrenza, ove è disponibile il servizio di accesso al tratto finale di rete verso il cliente.
In primo grado, l’operato dell’Autorità garante è stato dal primo giudice ritenuto immune dalle addotte censure, in sostanza riproposte in appello.
3.In estrema sintesi, come già riportato, nella parte in diritto, come primo motivo di appello, si deduce omessa pronuncia e difetto assoluto di motivazione in generale; si sostiene che il primo giudice non avrebbe considerato tutti i motivi di ricorso, ma spesso avrebbe utilizzato come perifrasi il provvedimento antitrust, rifiutando di svolgere una minima delibazione dei fatti pur documentati da Telecom e delle sue proposte ragioni.
La sentenza non esaminerebbe, quantomeno compiutamente limitandosi ad asserzioni non dimostrate, molti motivi di ricorso, riproposti in appello (ci si riferisce ai motivi dal primo al quarto); farebbe riferimento alla “gestione opportunistica delle causali di scarto” ritenendo “una oggettiva e dimostrata consistenza nel quadro della complessiva condotta dell’incumbent”; con riguardo al secondo abuso non avrebbe tenuto conto delle doglianze reiterate in appello con i motivi dal settimo al decimo, sopra riportati; erroneamente ha ritenuto che contro il ricorso depongono sia le decisioni della Commissione nei mercati delle telecomunicazioni, sia gli accertamenti dell’Agcom sulla compressione dei margini; erroneamente ha respinto il motivo undicesimo, ritenendo che la normativa di settore non esenta dal divieto di abuso di posizione dominante; l’Agcom e l’ODV di Telecom erano a conoscenza degli accertamenti di fatti in senso diverso; il primo giudice adduce una motivazione apodittica sia con riguardo alle censure di legittimità sulla motivazione del provvedimento sanzionatorio che con riguardo alle censure avverso il rigetto degli impegni.
4.Il Collegio osserva che, in virtù del tipico effetto devolutivo dell’appello, da un lato la lamentata omessa statuizione su un capo di impugnativa, laddove essa effettivamente sussista, non può ricondursi al fenomeno processuale dell’assorbimento, ma costituisce una vera e propria omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c. (così Cons. Stato, VI; 30 giugno 2011, n.3891); tale omissione non si traduce però in una causa di annullamento della sentenza, in virtù dell’effetto devolutivo dell’appello e delle tassative cause di annullamento con rinvio (ex artt. 105 c.p.a. e 353 e 354 c.p.c.). Proposta tale censura in appello, l’effetto devolutivo, tipico del secondo grado di giudizio, consente al giudice di valutare nuovamente ogni domanda riproposta, modificando o integrando la motivazione, ove necessario (in tal senso, Cons. Stato, VI, 7 giugno 2011, n.3429; IV, 20 dicembre 2005, n.7201; V, 13 febbraio 2009, n.824; 19 novembre 2009, n.7259; VI, 25 settembre 2009, n.5797).
Pertanto, il giudice di appello è in condizione di esaminare compiutamente le doglianze riproposte, anche per la parte in cui si ritiene che esse siano state insufficientemente esaminate.
L’appello in questione, d’altronde, in modo compiuto, censura sia la sentenza appellata sia il provvedimento Antitrust.
In linea di principio, nel giudizio di appello l’atto impugnato è la sentenza del Tar e non il provvedimento impugnato in prime cure (tra varie, Cons. Stato, VI, 3 novembre 2009, n.6805), sicchè l’appellante ha l’onere di confutare le argomentazioni del giudice di primo grado indicando, soprattutto, i motivi per i quali la sentenza sarebbe erronea e da riformare.
Per tale carattere devolutivo, laddove le censure di cui si lamenta il mancato esame, siano state abbondantemente riproposte, come nella specie, criticando soprattutto il provvedimento piuttosto che la sentenza (e anzi riproponendo praticamente tante delle questioni, se non tutte, rappresentate in sede procedimentale) sussiste in ogni caso la necessità del riesame completo del thema decidendum sostanziale del giudizio di primo grado e tale operazione ben può condurre a conclusioni opposte come anche identiche a quelle raggiunte in primo grado (così Cons. Stato, III, 5 giugno 2012, n.3310).
L’appello censura la sentenza di primo grado alternativamente: per essere stata completamente omissiva nell’esame di diverse censure; per avere ripreso intere parti del provvedimento antitrust per concludere per la legittimità dello stesso.
Il Collegio osserva che è la stessa modalità di prospettazione introdotta dalla parte appellante, di sottoporre in modo non sintetico e a critica analitica praticamente la quasi totalità dei passaggi di fatto e di diritto della motivazione del provvedimento sanzionatorio antitrust – peraltro già introdotti e controdedotti in quella fase - e non soltanto taluni passaggi dell’iter logico-intellettivo ritenuti essenziali ai fini del decidere, ad avere costretto il primo giudice a richiamare di contro, in modo altrettanto pedissequo, le argomentazioni offerte dell’Autorità Garante.
Inoltre, non pare che le numerose censure proposte, che a volte sono tra di loro analoghe, siano state trascurate dal primo giudice, che le ha esaminate tutte, in relazione agli argomenti addotti.
5.In relazione alla possibile sostituzione indebita del giudice amministrativo nell’esercizio dei poteri riservati all’Autorità Antitrust, talune delle parti appellate (si veda Vodafone Omnitel B.V.) hanno eccepito l’inammissibilità dei motivi; dall’altra parte, l’appello lamenta, come detto, rispetto a talune censure, la omessa pronuncia o il mancato esame.
Il Collegio osserva che, in linea generale, va di volta in volta trovato un punto di equilibrio in relazione alla fattispecie concreta, tra la esigenza di garantire effettività e pienezza alla tutela giurisdizionale, come invoca la parte appellante e, dall’altro canto, l’esigenza di evitare che il giudice sia portato esercitare il potere spettante all’Autorità (così Cons. Stato, VI, 10 dicembre 2014, n.6050).
Il giudice può sindacare con pienezza di cognizione i fatti oggetto della indagine ed il processo valutativo mediante il quale l’Autorità applica alla fattispecie concreta la regola individuata, anche utilizzando le scienze specialistiche appartenenti all’Autorità.
Una volta ritenute applicate correttamente tali regole, il sindacato del giudice deve però necessariamente arrestarsi, non potendo consistere in una reiterazione del procedimento Antitrust.
In definitiva, le censure della parte appellante, con particolare riguardo al primo abuso contestato (motivi dal secondo al quinto) per quanto ammissibili ed esaminabili, come poi si vedrà, si pongono quasi ai limiti della stessa ammissibilità e trovano il loro limite, nella misura in cui pretendono una reiterazione o rinnovazione, punto per punto, degli accertamenti di fatti svolti dalla istruttoria dell’Autorità, nonché dei vari passaggi logici, laddove deve ritenersi che ciò che viene stigmatizzato è il comportamento complessivo costituente l’abuso di posizione dominante, con strategia escludente o con effetti escludenti.
Per completezza, naturalmente, questo Collegio giudicante si ritiene in dovere di esaminare tutti i motivi di appello, valutandoli nella loro sostanza di critiche, rivolte sia al provvedimento sia alla sentenza, che lo ha ritenuto immune dalle dedotte censure.
6.Prima di affrontare le corpose, e non sintetiche, censure dell’appello, in buona sostanza reiterative di quelle proposte e respinte o (si assume) non esaminate in primo grado, va in premessa fatto riferimento alla nozione di abuso di posizione dominante, agli obblighi di speciale responsabilità dell’ex monopolista e ai limiti di sindacato dell’adito giudice amministrativo rispetto a provvedimenti sanzionatori antitrust.
Come ha ribadito la Sezione in materia (tra varie, sentenza n. 1673 dell’8 aprile 2014; sentenza del 12 febbraio 2014, n.693), la posizione dominante rappresenta una situazione di forza rispetto ai concorrenti tale per cui l'impresa che la detiene è in grado di poter (e qui sta il limite tra l'uso e l'abuso) ostacolare il persistere delle condizioni che sono a base di una situazione generale di effettiva concorrenza nel mercato che rileva; ed è per questa sua forza, dagli effetti economici, in grado di tenere comportamenti significativamente indipendenti da quelli dei concorrenti, dei clienti e, in ultimo, dei consumatori.
Costituiscono abuso di posizione dominante i comportamenti idonei ad incidere sulla struttura di un mercato rilevante dove, per effetto della presenza della dominante, il livello della concorrenza è già debole e che consistono non solo nell'effettivamente impedire, ma anche soltanto nel tentare di impedire, con mezzi diversi da quelli dell'ordinaria e proporzionata competizione in prodotti o servizi, che permanga il livello di concorrenza ancora esistente o il suo sviluppo.
A maggior ragione, delicata è la posizione di dominanza nella ipotesi in cui, come nella specie, si tratti dell’ex monopolista, che detiene l’infrastruttura essenziale (essential facilities) e che sia verticalmente integrata con la sua attività di impresa nel mercato a valle.
L'articolo 102 TFUE (come anche l'art. 3 l. n.287 del 1990) si limita a vietare l'abuso di posizione dominante, ma non ne fornisce la definizione.
L'elenco di condotte ivi riportate non è esaustivo e le pratiche menzionate sono solo alcuni esempi di siffatti abusi: l'elenco delle pratiche abusive contenute in tale disposizione è un numero aperto, che non esaurisce le modalità di sfruttamento abusivo di posizione dominante contrastanti con il Trattato.
Ai fini dell'art. 102 TFUE, la prova dell'oggetto e quella dell'effetto anticoncorrenziale si confondono tra loro: se si dimostra che lo scopo perseguito dal comportamento di un'impresa dominante è di restringere la concorrenza, un tale comportamento è di per sé pregiudizievole, in quanto può anche comportare tale effetto (sentenza del Tribunale Ue, del 29 marzo 2012, causa T336/07, Telefonica; sentenza del Tribunale Ue, del 30 settembre 2003, causa T203/01 Michelin; così sentenza del Tribunale Ue, del 17 dicembre 2003, causa T219/99 dove si dice che "qualora un'impresa in posizione dominante ponga effettivamente in essere una pratica che produca un effetto preclusivo nei confronti dei propri concorrenti, la circostanza secondo cui il risultato voluto non sia stato raggiunto non è sufficiente ad escludere la sussistenza di un abuso di posizione dominante ai sensi dell'art. 102 TFUE").
L'illecito, cioè, si perfeziona con la condotta anticoncorrenziale, purché di suo idonea a turbare il funzionamento corretto e in esso la libertà stessa del mercato. È sufficiente a integrarlo già la mera potenzialità dell'effetto restrittivo.
Ed è perciò già la correttezza del comportamento economico del concorrente che l'ordinamento intende garantire, non necessariamente la sola, oggettiva, concorrenzialità del mercato.
Dunque, per quanto in via statistica la più parte dei comportamenti abusivi di dominante generi effetti restrittivi della concorrenza, va sottolineato che (Corte di giustizia, 9 aprile 2012, causa C549/2012 P, Tomra) per accertare un abuso di posizione dominante è sufficiente che il comportamento abusivo dell'impresa dominante miri a restringere la concorrenza, ovvero che sia tale da avere, o da poter avere, un tale effetto.
Al più, è stato ritenuto che se la prassi di un'impresa dominante non può essere qualificata abusiva se manca del tutto un minimo effetto anticoncorrenziale, tale effetto non deve comunque essere concreto e totale rispetto alle intenzioni, essendo sufficiente un effetto anticoncorrenziale potenziale (sentenza della Corte di giustizia, 6 dicembre 2012, causa C457/10, Astrazeneca).
Il carattere abusivo di un comportamento alla luce dell'art. 102 TFUE non ha relazione con la sua conformità ad altre normative (sent. Astrazeneca, cit.), giacché gli abusi di posizione dominante consistono, per lo più, proprio in comportamenti leciti alla luce di altri settori dell'ordinamento, diversi dal diritto alla concorrenza (così anche questa Sezione nel recente caso Pfizer: sent. 12 febbraio 2014, n. 693).
Non si tratta di valutare la legittimità di atti alla luce dei vari settori dell'ordinamento investiti, ma di considerare quelle condotte, pur settorialmente lecite, alla luce della loro portata anticoncorrenziale.
Prospettiva in relazione alla quale certi atti, anche se legittimi da quel punto di vista settoriale, si colorano come elementi indicatori di questo sproporzionato intento o effetto anticoncorrenziale (così nel detto recente precedente n.1673 del 2014 della Sezione). Diversamente, l'abuso di posizione dominante sarebbe pressoché inconfigurabile, grazie al semplice fatto che consiste il più delle volte in comportamenti analiticamente leciti se visti solo alla luce di settori dell'ordinamento altri da quello della concorrenza.
La reciproca relatività degli ordinamenti di settore fa comprendere il fenomeno per cui ciò che è lecito dal punto di vista dell'uno ordinamento, può al contempo non esserlo dal punto di vista dell'altro.
In questa prospettiva, va considerato che la tutela della concorrenza ad opera di un'apposita autorità amministrativa indipendente - anche a mezzo dell'esercizio della potestà sanzionatoria, anch'essa finalizzata alla sua generale funzione di regolazione del settore - concerne il funzionamento corretto ed equilibrato del diritto di libertà economica. Per questa ragione essa riguarda senza esclusioni, anche a ragione delle inevitabili interazioni delle condotte individuali d'impresa, tutti i comportamenti rilevanti per praticare la restrizione della concorrenza, che considera dal solo punto di vista economico (in quanto - nel caso particolare di abuso di posizione dominante - orientati al ricorso a mezzi diversi da quelli che governano la normale competizione dei prodotti o dei servizi sulla base delle prestazioni degli operatori economici).
È perciò essenziale, per l'effettività della tutela del mercato dai comportamenti distorsivi, valutare le condotte per quello che economicamente significano, adeguandole alla utilità economica che perseguono: considerandole come stretti atti economici, in rapporto agli interessi concreti cui sono orientate. Il che postula di renderle, a questi fini, indifferenti alle qualificazioni che eventualmente ricevono altrove: e perciò di assumerle solo nella loro dimensione utilitaristica, prescindendo dalle attribuzioni formali che possono caratterizzarle alla luce di altri ordinamenti di settore. Diversamente, alcuni comportamenti potrebbero sfuggire all'operatività della tutela della concorrenza e al divieto di distorsione del mercato: ad esempio, le condotte elusive o quelle di abuso; e più ancora se ne sottrarrebbero i comportamenti tipizzati o comunque leciti sotto altri e diversi punti di vista. L'effetto di sistema che ne deriverebbe sarebbe quello di un intervento di garanzia intermittente e claudicante, a dispetto del carattere sistemico del mercato e interdipendente dei comportamenti dei suoi attori.
Nella specie, la posizione dominante è quella dell’ex monopolista, che possiede la infrastruttura essenziale (essential facilities) per accedere al mercato a valle, nel quale contestualmente continua ad occupare una situazione, anche percentuale, di predominanza.
7.Sul secondo profilo, coerentemente, il medesimo riguardo all'effettività dell'ordinamento di tutela della concorrenza impone anche di considerare che la posizione di impresa dominante – e tale è per definizione l’incumbent o ex monopolista - in un mercato rilevante genera speciali doveri concorrenziali, realisticamente legati al suo particolare potere di mercato e alla conseguente particolare sensibilità del mercato rilevante alle sue operazioni anticoncorrenziali, a maggior ragione quando essa sia, e continui ad essere, la titolare della infrastruttura essenziale, senza l’accesso alla quale i nuovi operatori non possono competere nel mercato a valle.
Il cennato limite, a questo riguardo, tra uso e abuso della posizione di concorrente dominante è dunque, in ragione del principio generale di proporzionalità, da individuare in concreto, comparando questo potere economico alle distorsioni della concorrenza che la condotta di quell'impresa in quello specifico ambito è in grado di generare. Questa posizione particolare è dunque in concreto fonte, in quel mercato, di una - come è evidenziato dalla giurisprudenza europea sin da Corte giust. CE, 9 novembre 1983, n. 322/81, Michelin c. Commissione - "speciale responsabilità" che incombe sull'impresa dominante, con conseguenti obblighi particolari di tenere comportamenti collaborativi o di astenersi da comportamenti che avrebbero un effetto distorsivo proprio in quanto originati dalla dominanza (cfr., ad es., Cons. Stato, VI, 13 settembre 2012, n. 4873).
In realtà, quando si tratta di restringere la concorrenza, anche comportamenti commerciali comuni o avallati dalla normativa di settore - che restano ben legittimi se adottati da imprese non dominanti - possono essere abusivi se adottati da un'impresa dominante (così, anche Trib. I grado Comunità europee, 30 settembre 2003, n. T203/01, Michelin).
L’enforcementantitrust tutela la concorrenza con riferimento a comportamenti discrezionali dell’operatore dominante nelle singole relazioni con i concorrenti, circoscritte nei tempi e nei modi, nessun rilievo, a tal fine, potendo avere i precedenti quadri regolatori favorevoli.
8.Prescindendo dalla eccezione di inammissibilità svolta da taluna delle appellate (Fastweb ma anche Vodafone) come sopra riportato, con specifico riguardo alla materia antitrust, il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, è pieno e particolarmente penetrante (in superamento della distinzione tra forte e debole, secondo Cons. Stato, VI, 10 dicembre 2014, n.6050 per il principio di effettività anche comunitaria in relazione alla specificità della controversia) e si svolge tanto con riguardo ai vizi dell’eccesso di potere (logicità, congruità, ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza del provvedimento sanzionatorio e del relativo impianto motivazionale), ma anche attraverso la verifica dell’attendibilità delle operazioni tecniche compiute, quanto a correttezza dei criteri utilizzati ed applicati.
Resta comunque fermo il limite della relatività delle valutazioni scientifiche o della scienza economica, sicchè al giudice amministrativo è consentito censurare la sola valutazione che si pone al di fuori dell’ambito di opinabilità, di modo che il relativo giudizio non divenga sostitutivo di una valutazione parimenti opinabile (così Cons. Stato, VI, 6 maggio 2014, n.2302).
Con riferimento alle valutazioni tecniche, anche quando riferite ai c.d. concetti giuridici indeterminati, la tutela giurisdizionale, per essere effettiva, non può limitarsi ad un sindacato meramente estrinseco, ma deve consentire al giudice un controllo intrinseco, avvalendosi eventualmente anche di regole e conoscenze tecniche appartenenti alla medesima scienza specialistica applicata dall’Autorità.
Sotto tale profilo, pertanto, sono superabili, alla fine, le eccezioni d’inammissibilità dei motivi di ricorso e di appello, perché sarebbero tesi a sostituire la valutazione soggettiva dell’adito giudice alle valutazioni dell’Autorità, e in senso contrario non depone la evidenziata circostanza che i motivi svolti dall’appellante, in primo e secondo grado, intendano mettere in discussione ogni passaggio procedimentale svolto dal procedimento, anche se non può negarsi che il principio della inammissibilità della pretesa della integrale sostituzione del giudice amministrativo venga messa a dura prova da ricorsi formulati rimettendo in discussione tutti i passaggi rilevanti di un procedimento antitrust, come avviene nella specie (basti, al riguardo, osservare la riproduzione nel corpo del corposo appello, di grafici sui KO alle pagine 53, 54, 55 dell’appello sui KO tecnico-gestionali).
Alla fine, tuttavia, e ciò assume valenza decisiva, può ritenersi che si tratti di un rilievo di tipo quantitativo e non qualitativo, e quindi, prese singolarmente, le doglianze sono esaminabili nei limiti appena dinanzi rammentati, anche per evidenti ragioni di completezza dell’adempimento del dovere di rendere giustizia.
9.1.Come anticipato, verranno esaminate sia le critiche alla sentenza sia le riproposte critiche al provvedimento antitrust originariamente impugnato, essendo questo lo stile utilizzato dalla impugnazione.
Il primo giudice, in ordine al primo abuso, ha ritenuto che la gestione immotivatamente discriminatoria della procedura avente ad oggetto le richieste di accesso degli OLO costituisca una palese violazione degli obblighi gravanti sull’impresa in posizione dominante, necessari a garantire condizioni di concorrenza effettiva nei mercati collegati a quello della infrastruttura di rete.
Il provvedimento antitrust censura il sistema di fornitura all’ingrosso ai concorrenti dei servizi di accesso alla rete in postazione fissa di Telecom, costruito però, asseriva Telecom, in base a puntuali indicazioni dell’Agcom e degli stessi concorrenti per garantire la concorrenza e la parità di trattamento.
Secondo l’Autorità Antitrust, invece, il maggior ricorso ai KO nelle forniture ai concorrenti costituirebbe un rifiuto costruttivo di fornitura perché avrebbe rallentato la lavorazione delle loro richieste, benché essi abbiano ottenuto a volte risultati migliori delle funzioni interne di Telecom proprio in termini di attivazione delle forniture, tempi di lavorazione e relativi costi.
Con motivi dal secondo al quinto dei motivi di appello, in particolare, sul rifiuto costruttivo di fornitura, deduce: mancata prova del rifiuto costruttivo e mancata misurazione dei tempi di fornitura, sostenendo che i concorrenti hanno goduto, anche, di risultati migliori e tempi di fornitura più rapidi di quelli di Telecom; la obbligatorietà delle presunte scelte organizzative diTelecom contestate (lista delle verifiche necessarie, uso dei KO); altre contraddizioni e gravi errori del Provvedimento; mancata prova dei comportamenti opportunistici.
Si aggiunge che, a partire dal 2008, su ordine dell’Agcom, Telecom ha adottato, tra l’altro: 1) liste tassative concordate con gli altri operatori dei casi in cui occorre scartare un ordine di fornitura (c.d. causali di scarto); 2) modalità codificate di comunicazione in formato elettronico degli scarti (c.d. KO); 3) una innovativa forma di separazione funzionale delle unità aziendali che forniscono i servizi all’ingrosso, mediante i c.d. Impegni Open Access.
L’Agcom e l’organo indipendente di Telecom (ODV) hanno accertato che, nel periodo sotto accusa (2008/2011), questo modello di fornitura ha ben funzionato, garantendo una effettiva parità di trattamento tra gli operatori pur con modalità di lavorazioni diverse.
Nello specifico, il provvedimento sarebbe quindi affetto dai vari vizi: a) per il secondo motivo di appello, come accertato da Agcom e dall’ODV, l’uso dei KO non avrebbe rallentato le forniture ai concorrenti, che hanno goduto al contrario di tempi di fornitura più rapidi rispetto alle funzioni interne di Telecom, nonché di maggior successo nell’attivazione dei servizi; l’Autorità Antitrust disponeva dei dati sui tempi ma ha omesso di menzionarli nel provvedimento; b) per il terzo motivo, l’uso dei KO e le liste tassative delle verifiche dei processi di fornitura ai concorrenti non erano scelte autonome imputabili aTelecom, ma erano imposti dalla normativa di settore; c) per il quarto motivo, il provvedimento commette diversi errori gravi nel comparare i rispettivi risultati con riguardo al numero dei KO, rilevati anche dall’Agcom, dall’ODV e anche dalla denunciante Fastweb: 1) non ha contato le sospensioni opposte alle funzioni interne di Telecom come se non fossero mai esistite, benché per ammissione della stessa AGCM, individuino anche esse l’insorgenza di problemi e abbiano rallentato la lavorazione, al pari dei KO; 2) ha confrontato in maniera inattendibile l’incidenza di specifiche tipologie di causali di scarto nei due processi, dimenticando che i processi di fornitura alle divisioni interne di Telecom non usano le stesse liste e quindi non sono direttamente confrontabili; 3) con un errore logico, ha comparato i risultati delle funzioni interne di Telecom con quelli della media dei concorrenti; tuttavia, la media aggrega risultati individuali molto diversi, in quanto alcuni concorrenti hanno ottenuto risultati migliori delle funzioni interne di Telecom e altri concorrenti hanno ottenuto risultati peggiori, evidentemente per inefficienze proprie e non dei metodi di lavorazione di Telecom, pertanto, l’AGCM ha errato nel concludere che, in generale, i concorrenti siano stati discriminati; 4) persino i dati riportati nel provvedimento confermano l’assenza di abusi con riguardo a talune tipologie di servizi (linee attive, servizi a banda larga) e per l’intero anno 2011; d) per il quinto motivo di appello, l’Autorità Antitrust non ha provato che Telecom abbia adottato tra il 2009 e il 2011 una strategia volta a rifiutare intenzionalmente le richieste di fornitura di servizi all’ingrosso con giustificazioni pretestuose.
In sostanza, con le dette censure, Telecom sostiene che l’AGCM non ha dimostrato che i tempi di fornitura dell’attivazione degli OLO sono stati più lunghi di quelli assicurati alle sue divisioni commerciali; la stessa Autorità ha ammesso che tali tempi non sono misurabili e ha riconosciuto, contraddittoriamente, che anche le sospensioni degli ordinativi hanno causato alle divisioni commerciali di Telecom un allungamento dei tempi di fornitura.
Non è dimostrato un rifiuto di fornitura e neanche un rifiuto costruttivo di fornitura, consistente in “ritardi indebiti o in altre forme di danneggiamento della fornitura del prodotto, o nella imposizione di condizioni irragionevoli in cambio della fornitura”, poiché i tempi di fornitura non sono stati misurati; secondo l’appellante, sia l’Agcom che l’ODV hanno riconosciuto la correttezza del suo operato e la mancanza di disparità di trattamento.
In sostanza, ancora, Telecom contesta il criterio di metodo adottato dall’Autorità Antitrust, osservando che il dato meramente quantitativo sarebbe errato e che dall’altro lato, occorreva valutare i tempi medi; contesta che vi sia prova dell’utilizzo opportunistico dei dinieghi.
9.2.Le doglianze su riportate, relativa alla contestazione del primo abuso, sono infondate, sia in via generale, perché l’appellante pretende di sostituire il suo metodo logico a quello, spiegato adeguatamente e non illogico né irragionevole, adottato dall’Autorità garante, sia perché anche le singole confutazioni non superano la prova di resistenza della logicità dell’istruttoria e della completezza procedimentale e provvedimentale.
Il Collegio, per ordine e completezza, ritiene di esaminare le censure di appello, così come proposte dalla parte appellante, seguendo l’ordine di formulazione svolto dal gravame, che si duole della omissione di pronuncia su varie domande già proposte in primo grado.
Non può non evidenziarsi che, in relazione alla vicenda esaminata, in cui il Provvedimento dell’Autorità è costituito da 573 paragrafi, la confutazione del tenore dello stesso (così come la impugnativa della sentenza di prime cure che lo ha ritenuto esente da censure di illegittimità proposte) non può essere effettuata attraverso la critica singola, punto per punto, delle affermazioni (per esempio, statistiche o testimoniali o su singoli episodi) in esso contenute, le quali possono scontare un margine di indeterminatezza, come di errori quantitativi accettabili.
Vanno esaminate e ritenute ammissibili le censure volte a dimostrare l’erroneità dell’iter logico-intellettivo utilizzato dall’Autorità e solo in tal senso globale e complessivo, come detto, possono essere inquadrate le censure.
In premessa, va chiarito che una condotta di rifiuto a contrarre (anche di tipo costruttivo) ricade nel divieto di cui all’art. 102 del TFUE quando il rifiuto si riferisce ad un prodotto o servizio obiettivamente necessario per poter competere nei mercati a valle e, in tali mercati, è quindi idoneo a produrre effetti restrittivi della concorrenza, a danno dei consumatori.
Nella specie, per la normativa di settore (c.d. pacchetto Telecom e codice delle comunicazioni elettroniche di cui al d.lgs.259 del 2003) sussiste l’obbligo a contrarre di Telecom fornendo l’accesso alla propria rete e la mancanza di infrastrutture alternative.
In ordine all’asserito difetto di istruttoria, per avere l’Autorità non tenuto adeguato conto dei tempi, il Collegio osserva che l’Autorità, come rilevato dal primo giudice nel paragrafo 6.3, nel paragrafo 445 del Provvedimento, ha sì sottolineato che “la semplice comparazione dei tempi di lavorazione potrebbe potenzialmente condurre a risultati ambigui soprattutto in relazione alle conseguenze in termini di costi complessivi per gli OLO”; anche a parità di tempi di lavorazione tra i due processi, il processo esterno potrebbe incorrere in costi maggiori di rilavorazione degli ordinativi che invece il sistema delle sospensioni (a favore delle sole divisioni interne di Telecom) tende ad eliminare, potendo l’ordinativo in attesa e dunque sollevando l’operatore dall’onere di reimmettere lo stesso (o un nuovo) ordinativo nel sistema.
L’Autorità è partita, nel suo metodo, certamente, dal numero eccessivamente più elevato e per ciò significativo di KO nei confronti degli OLO ma, come si è visto e si vedrà, ha altresì concentrato l’attenzione sulle ingiustificate differenze qualitative tra i due processi.
Allo stesso modo, è inaccoglibile la pretesa di Telecom di valutare i tempi di lavorazione soltanto sulle richieste elementari e quelle che vanno a buon fine dopo l’ostacolo del KO, avendo il metodo dell’Autorità riguardato i tempi di tutte le richieste.
Ne deriva che, se, logicamente, la semplice analisi dei tempi non è sufficiente a individuare una condotta abusiva, sono proprio le divergenze e discriminazioni strutturali fra la gestione degli ordinativi OLO e di quelli delle divisioni interne (in particolare l’utilizzo dei KO a differenza delle sospensioni) a far concludere che la mera comparazione temporale non sarebbe significativa.
La stessa Telecom (paragrafo 475) ammette che il processo interno si caratterizza per la possibilità di fruire della sospensione, sicchè il mero dato temporale sarebbe da solo non attendibile.
Pertanto, il provvedimento non è viziato dalle addotte censure nella parte in cui non ha dato valore significativo, in sé, ai tempi dei procedimenti, ma ha considerato soprattutto le differenze qualitative e discriminatorie delle procedure.
L’Autorità ha rimarcato (par. 453, dove si fa riferimento alle fasi ulteriori e diverse per gli OLO in fase di controllo, rispetto a quelle cui sono sottoposti gli ordinativi delle direzioni commerciali di Telecom, con aumento della “probabilità che agli ordinativi degli OLO vengano opposti rifiuti di attivazione, per cause formali e gestionali”) che non basta guardare alla mancata attivazione e ai tempi della fornitura, ma anche alla maggiore o minore complicazione (“farraginosità”) del processo.
D’altra parte, gli OLO possono anche, in teoria, riuscire ad impiegare un tempo minore a superare le difficoltà di un processo reso maggiormente farraginoso dall’ex monopolista, ma questo non eluderebbe il problema.
La condotta di ostacolo tenuta da Telecom (come ricostruisce la sentenza al par. 6.3) consiste nelle differenze strutturali nella gestione dei due servizi di attivazione tra gli OLO e le sue divisioni commerciali.
Tali differenze – che rilevano soprattutto in ordine al quarto motivo dell’appello, sopra riportato, relativo alla rilevanza delle sospensioni, alle causali di scarto, alla situazione delle funzioni interne di Telecom, ad alcune tipologie di servizi - consistono nella intermediazione della divisione NWS nella gestione del servizio di attivazione degli OLO, a differenza di quanto avviene per le divisioni interne di Telecom, che possono interfacciarsi direttamente con Open Access.
Altra differenza, spiegata dall’Autorità Garante e dal primo giudice condivisa, oltre che abbondantemente evidenziata dagli operatori alternativi in sede di giudizio, è nella gestione della verifica formale degli ordinativi di lavoro: nella fase iniziale di acquisizione le richieste degli OLO sono soggette a verifica formale, con buona probabilità di interruzione sul nascere dell’iter in caso di mancata rispondenza alle regole di compilazione; nell’ambito del processo interno, la fase di acquisizione iniziale è immediata e le divisioni commerciali di Telecom verificano direttamente le anagrafiche, risolvono attraverso il call-center gli errori formali nella compilazione dell’ordine e possono modificare l’ordine nella fase di predisposizione.
Nei casi di indisponibilità di rete, per gli OLO si attiva direttamente il KO, mentre per le divisioni interne opera la sospensione della pratica; le banche dati di Telecom non sono dettagliate ed aggiornate in tempo reale, mentre sono più efficienti e sempre aggiornate in tempo reale quelle per le divisioni interne; il mancato aggiornamento, quasi con un effetto a catena, a sua volta determina un maggior numero di richieste che si concludono negativamente con i KO; altra disparità è dovuta alla circostanza che con la sospensione si mantiene la priorità dell’ordinativo, mentre con il KO è necessario ripresentare una richiesta di attivazione.
Come rilevato anche dal primo giudice, proprio perché l’infrastruttura di Telecom è essenziale (si tratta dell’ex monopolista) per consentire agli OLO di fornire i servizi di fonia e di banda larga, la stessa è tenuta, indipendentemente dal rispetto delle regole di settore delle comunicazioni elettroniche, a garantire l’accesso dei concorrenti a tale infrastruttura a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie, configurandosi altrimenti una paradigmatica ipotesi di abuso di posizione dominante con effetti escludenti e con un conseguente grave pregiudizio allo svolgimento della concorrenza nei mercati a valle al dettaglio (i mercati al dettaglio collegati a quello a monte dell’accesso all’infrastruttura di rete) in cui l’impresa titolare dell’input essenziale detiene una posizione dominante e nei quali la sostituibilità tra la produzione con quella degli OLO è piena.
La pretesa di parte appellante, che a pagina 31 dell’appello riformula le censure con le quali si lamenta la mancata considerazione dei tempi di lavorazione, che avrebbero dimostrato il trattamento di favore e non di sfavore per gli OLO, non è quindi da accogliere.
Infatti, il comportamento volto a ritardare e ostacolare la concorrenza nei mercati a valle al dettaglio è dedotta, come visto, da numerosi e variegati indici sintomatici, sul diverso trattamento formale tra processo di delivery interno ed esterno.
Decisivo è anche il diverso e deteriore grado di soddisfacimento degli ordinativi di lavoro degli OLO rispetto a quello delle divisioni commerciali della Telecom; la diversa configurazione del processo di delivery che impone solo agli OLO la intermediazione della struttura (NWS) consentendo invece alle strutture commerciali di Telecom Italia di interfacciarsi direttamente; la previsione solo per gli OLO di cause di tipo formale, legate alla errata o incompleta compilazione dei vari campi, che comportano il KO, con la conseguenza sfavorevole della perdita di priorità di lavorazione della domanda di acquisto, mentre le divisioni commerciali interne possono risolvere i problemi direttamente mediante un dialogo interno; nei casi di indisponibilità, la procedura per le divisioni interne determina soltanto una sospensione, con riattivazione quando possibile e collocazione in coda di attesa, mentre gli OLO sono costretti alla ripresentazione della richiesta, anche con perdita della priorità della lavorazione in precedenza acquisita; le messa a disposizione di banche dati, che gli OLO non hanno, per le divisioni interne, con dati più aggiornati.
Tutti i rilievi relativi ai tempi dei vari procedimenti, nonché le problematiche connesse anche alle sospensioni per le divisioni interne, su cui insiste la difesa di Telecom, non sono in grado di confutare le conclusioni della evidente diversità dei diversi procedimenti, della evidente svantaggiosità per gli OLO e maggiore farraginosità, nonché degli effetti che, voluti o meno, assumono la veste di creazione di ostacoli alla effettiva concorrenza.
Soprattutto – e ciò viene evidenziato nel provvedimento antitrust con riguardo alla non giustificata discriminatorietà oltre che nelle difese dell’Avvocatura dello Stato e di Fastweb - e anche ciò assume rilievo decisivo, in nessun modo Telecom prova a spiegare il perché della scelta di due diversi procedimenti, con effetti certamente discriminatori.
Non è ragione idonea a confutare il provvedimento neanche l’osservazione secondo cui il dato negativamente numerico, nel complesso, di molti KO non sarebbe rilevante; secondo Telecom essi sarebbero uno stato intermedio di lavorazione, sicchè neanche l’Autorità può dimostrare che gli OLO ne avrebbero ricevuto un danno effettivo, avendo poi gli operatori concluso, alla fine, positivamente le pratiche con l’acquisizione dei clienti finali.
Anche tale obiezione non supera l’ammissione della creazione di procedure maggiormente difficoltose soltanto per gli OLO, a nulla valendo la circostanza che, in seguito, superata la maggiore difficoltà dei KO, le pratiche siano andate a buon fine.
L’Autorità ha accertato in modo indiscutibile la maggiore percentuale con riguardo dei KO per gli OLO rispetto alle divisioni interne di Telecom per gli anni 2009, 2010, 2011 (paragrafi 144, 146).
Dal punto di vista logico, è ineccepibile, e non superato dai rilievi dell’appello, la considerazione dell’Autorità secondo cui la capacità concorrenziale degli operatori alternativi risulta fortemente ridotta e indebolita anche dai rifiuti ingiustificati relativi ai singoli ordinativi di lavoro, che, riducendo l’efficienza del processo di provisioning, rendono necessari interventi aggiuntivi di rilavorazione da parte degli OLO, “con conseguenze in termini di incremento dei costi, di allungamento dei tempi per l’attivazione del servizio, e di possibile perdita della clientela” (par. 428); si determina una perdita di guadagni, in caso di perdita del cliente, e di reputazione agli occhi dei potenziali clienti futuri (par. 431).
Non rileva oltre modo la qualifica tecnica dei KO, se fase intermedia di lavorazione dei processi oppure se rifiuto di attivazione in assoluto: importante è che in essi sia configurabile, in modo discriminatorio e non giustificato, un rifiuto costruttivo nel senso sopra indicato, in grado di concretare un abuso di posizione dominante con intento o comunque un effetto escludente.
Né rileva che, solo a causa di tale necessità di passaggio intermedio, si evincano “percentuali di insuccesso complessive” diverse da quelle ritenute dall’Autorità, come a sostenere che, in assenza del conto complessivo dei KO, gli OLO sarebbero soddisfatti in buona misura.
Decisivo, come detto, è il diverso trattamento riservato da una parte agli OLO e dall’altra parte alle divisioni interne: in ordine a tale disparità, nel senso di spiegare le ragioni di tale diversità, le argomentazioni utilizzate da Telecom, tese a spiegare soprattutto, in tale parte dell’appello, la efficienza delle procedure per gli OLO, non sono convincenti.
In una parola, non basta sostenere che i procedimenti (ritenuti più gravosi) per gli OLO in realtà comportavano maggiore o almeno pari efficienza.
Occorre dimostrare – smentendo l’accusa di ingiustificata discriminazione e maggiore farraginosità sollevata dall’Autorità Garante Antitrust - che essi non erano maggiormente complicati e in ogni caso, e soprattutto, occorre spiegare perché erano diversi. Né a tal fine è sostenibile che le procedure erano diverse perché, in fatto, le divisioni interne operano con strutture proprie della medesima azienda; in quanto tale circostanza è semmai confermativa del fatto che la differenza tra le procedure riposa proprio sul fatto della posizione strutturale dell’impresa in posizione dominante e proprietaria dell’infrastruttura di rete indispensabile per l’accesso degli altri operatori.
Ciò che caratterizza come illecito antitrust il comportamento tenuto dall’incumbent è la creazione di ostacoli, che pregiudicano il principio della competizione ad armi pari con l’equivalenza delle possibilità: a tal fine, non è necessario che alla fine del processo vi sia un accesso piuttosto che un mancato accesso, ma che si sia creato un sistema di ostacoli o difficoltà, che impedisce non già e non solo l’accesso alla infrastruttura, ma l’acquisizione di clientela, in precedenza servita da Telecom.
Restano confermate e non smentite le differenze quanto a: procedura di delivery, con interfaccia di intermediazione di NWS solo per gli OLO; verifiche formali degli ordinativi di lavoro, con possibile KO formale solo per gli OLO; KO solo per gli OLO e sospensione per gli interni; accesso a data-base più completi e aggiornati per le divisioni interne di Telecom.
Oltre a tali evidenti differenze qualitative dei processi, sono significativi anche i dati numerici, su cui, come visto, pure insiste l’appello, ancorché a suo favore.
Dal punto di vista numerico, i dati riportati nelle tabelle allegate al provvedimento (16, 21, 25, 26) dimostrano che i KO tecnico-gestionali nel caso dell’unbundling per gli OLO sono stati: nel 2009 del 170% più elevati rispetto a Telecom; nel 2010 del 130% più elevati; nel 2011 del 60% più elevati rispetto a Telecom.
Inoltre, per gli OLO una volta su quattro vi è ripetizione di precedenti ordinativi, mentre per Telecom il range è tra il 6 e il 13%.
Trattandosi di dati che evidenziano differenze anche eclatanti, sotto entrambi i profili numerici, in vero non contestati né tantomeno smentiti dall’appello, che piuttosto contesta il metodo, le conclusioni raggiunte dall’Autorità Garante non paiono né illogiche, né irragionevoli, né poco istruite o malamente motivate.
La stessa Autorità di settore, come rileva la difesa dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato sul punto, non contraddetta da Telecom, ha riscontrato differenze di qualità dei processi, ma anche quantitative, in vantaggio di Telecom a svantaggio degli OLO.
In definitiva, il metodo utilizzato dal Garante, che ha considerato le differenze soprattutto qualitative di accesso all’infrastruttura, in raccordo con le evidenze numeriche, ritenendole ingiustificatamente farraginose e discriminatorie e in grado di produrre effetti escludenti per i concorrenti, regge alle dedotte censure.
9.3.Con il terzo motivo di appello, Telecom deduce l’obbligatorietà delle scelte organizzative contestate (come la lista delle verifiche necessarie, l’uso dei KO).
Telecom sostiene (da pagina 37 in poi dell’appello) che per la normativa di settore, per gli OLO sarebbero imposti sia la lista tassativa di controlli, sia l’uso dei KO in luogo delle sospensioni; trattandosi di causa giustificatrice prevista dalla legge, tale comportamento non potrebbe concretizzare un abuso; tali scelte non dipenderebbero da scelte organizzative gestionali ed autonome di Telecom, né si può dire che la interposizione di NWS avrebbe introdotto solo per gli OLO fasi di controllo ulteriori e diverse; gli stessi OLO avrebbero preteso un elenco tassativo di causali di rigetto, come elemento essenziale dei processi; la interposizione di NWS non avrebbe comportato controlli diversi ed ulteriori e il sistema sarebbe stato ritenuto corretto dall’Agcom; allo stesso modo, non sarebbe rispondente al vero l’affermazione della messa a disposizione di differenti banche dati, circostanza sulla quale l’Autorità non avrebbe effettuato il dovuto accertamento istruttorio.
Le doglianze non sono fondate.
Come ha dedotto Fastweb, desumendone anche ragioni di inammissibilità dei relativi motivi di appello (perché non necessario comprovare anche la disparità), in realtà la farraginosità (per l’Autorità, anche discriminatoria) in sé del procedimento – che tra l’altro sarebbe, in parte, anche contra factum proprium, perché contraria agli stessi interessi di Telecom quale titolare della infrastruttura essenziale - è in grado da sola di costituire una condotta abusiva, un ostacolo, anche prescindendo dalla discriminazione con le sue divisioni interne, che pure sono evidenti.
L’Autorità ha ritenuto che nel triennio 2009-2011 gli ordini di attivazione emessi dagli operatori alternativi hanno ricevuto un numero molto elevato di KO (par. 136 del provvedimento con relative percentuali di rifiuto, del 48%, del 42% del 36%, per il servizio ULL, del 51%, del 43%, per WLR, del 56%, del 53% del 47%, per il bitstream, anno per anno dal 2009 al 2011).
Secondo l’Autorità, Telecom, che dispone della infrastruttura e che dispone di una base di clienti molto considerevole (70-80% della telefonia e il 54,1% della connettività internet), ha indebitamente impedito od ostacolato la posizione degli operatori alternativi e ciò effettivamente prescinde anche dalla disparità di trattamento con le sue divisioni interne, che pure evidentemente sussiste.
Con riguardo alla disparità di trattamento, come sopra individuata e anche questa non adeguatamente smentita, in vero Telecom non spiega le ragioni della disparità di trattamento, ma si concentra, come detto, soprattutto a dimostrare che essa non sussiste e che comunque non produce effetti sfavorevoli o di inefficienza.
E’ infondato il motivo con il quale si sostiene che le suddette operazioni sarebbero imposte da normative di settore (il sistema degli ordini); non può essere condivisa, pur alla luce delle deduzioni dell’appellante, l’asserita vincolatività delle specifiche scelte che, come sopra elencate, sono in grado di rendere più complicato il sistema di accesso per gli OLO.
Con riguardo alla scelta, ritenuta vincolata, di istituire i NWS per contatti con gli OLO, non è spiegata la ragione per cui, soltanto per gli OLO e non anche per le divisioni interne, sia necessario un aggravio di procedimento, né può sostenersi, ragionevolmente, la vincolatività anche delle scelte organizzative di dettaglio a valle.
Non vale la considerazione di un sostanziale apprezzamento da parte dell’Autorità di vigilanza di settore, essendo nota la distinzione tra la regolazione ex ante, preordinata a realizzare in modo progressivo un assetto del mercato quanto più possibile vantaggioso per gli utilizzatori, e controllo ex post sull’abuso della concorrenza.
E’ noto che la regolazione ex ante definisce soltanto la cornice regolatoria, i criteri di comportamento, in cui possono annidarsi, nella situazione concreta, condotte con effetti comunque escludenti, sia pure comprese in quel quadro.
E’ evidente che non tutte le farraginosità dei processi sono state considerate dal regolatore del settore nella valutazione ex ante, così come è significativo che, ancora nell’anno 2014 (delibera 309/2014 del 19 giugno 2014), come esposto dalla difesa di Vodafone, l’AGCOM abbia rilevato evidenti criticità.
La valutazione da ultima citata dell’Agcom, negativa per Telecom, unitamente al parere favorevole in ordine al procedimento antitrust, anch’esso negativo per Telecom, portano ad escludere le asserite contraddizioni dell’operato dell’Autorità Antitrust rispetto alle valutazioni ex ante ed ex post espresse dell’Autorità di regolazione del settore.
9.4.Con riguardo alla contestazione del diverso utilizzo dei data- base, l’appellante sostiene che tale differenza non sussisterebbe.
Il Collegio osserva che in realtà, al di là della superfluità della dimostrazione della disparità di trattamento anche sotto tale profilo, essendo dimostrati già molteplici e più gravosi vari aspetti che per gli OLO rendono più farraginosa l’attivazione dei servizi, è incontestato che gli OLO hanno accesso solo a sottoinsiemi di tali dati, tra l’altro aggiornati solo periodicamente, il che di per sé comporta la disparità di trattamento ed evidenti disfunzioni, non essendo irrilevante che un buon numero di KO derivi proprio da tale carenza di aggiornamento perché legati a ragioni formali dovuti alla carenza di notizie.
In una parola, come rileva l’Antitrust ed evidenziato dalle difese in giudizio, non può ritenersi che gli OLO siano, per colpa loro, più inefficienti, se essi non dispongono di dati aggiornati e se una delle discriminazioni riguarda proprio l’accessibilità a tali dati.
9.5.Sono infondate anche le doglianze riproposte con il quarto motivo di appello, con cui si sostiene l’erroneità della mancata comparazione dei due processi, senza contare le sospensioni interne, l’errato confronto tra le causali di scarto, perché quelle interne sono generiche, la mancata considerazione della maggiore efficienza di taluni OLO piuttosto che della media, l’ignoranza dei dati sulle linee attive, al di là del fatto che tali critiche sono già assorbibili dalle precedenti considerazioni.
Il Collegio osserva che non vale a provare l’assenza di differenze la spiegazione specifica delle varie cause possibili di KO o di sospensione (Telecom sostiene che le inefficienze degli OLO creano i KO e non viceversa), sostenendo che entrambe le procedure e non soli i KO arresterebbero i processi di lavorazione.
Infatti, Telecom non riesce a giustificare e spiegare il perché della diversità di trattamento che, ad una valutazione esterna, non può non apparire differente (sia sufficiente la distinzione individuata dall’Autorità al paragrafo 486 sulla perdita di priorità per i KO), e a nulla valendo la osservazione che, poi, gli OLO hanno ottenuto risultati analoghi e positivi, successivamente, mediante la ri-sottoposizione degli ordinativi (par. 235 provvedimento).
9.6.Non sono degne di positiva valutazione neanche le osservazioni con le quali Telecom sostiene l’erroneità del ragionamento dell’Autorità, perchè i processi esterni per gli OLO avrebbero dovuto garantire un tasso di successo pari a quelli interni, che invece presentavano solo differenze di denominazione, in quanto è evidente la diversità di trattamento, che la stessa appellante, anche in tale formulazione della censura, non riesce a negare, non rilevando i rifiuti definitivi in sé considerati, ma già essendo sufficiente la maggiore complessità (farraginosità discriminatoria) del procedimento esterno per gli OLO.
9.7.E’ infondata anche la ragione che sostiene la erroneità del procedimento, in quanto avrebbe fatto riferimento alla media degli OLO, mentre l’eccesso di rifiuti (KO) sarebbe dovuto a cause potenzialmente riconducibili agli stessi OLO.
La parte appellante cita il paragrafo 435 del provvedimento, come se in essa vi fosse l’affermazione che i KO dipendono (solo) dal malfunzionamento degli OLO.
Il Collegio osserva che non è così: in tale frase l’Autorità fa riferimento alle causali tecniche o gestionali, dipendenti dalle modalità di organizzazione e svolgimento del processo di delivery e attivazione, distinguendole da quelle riconducibili agli stessi OLO ovvero al cliente finale.
Al paragrafo 430 l’Autorità osserva, in modo condivisibile e non adeguatamente smentito, che la pressoché totalità dei KO riferiti agli OLO è riconducibile a causali di natura tecnica e gestionale e dipende fortemente dalle modalità secondo cuiTelecom ha organizzato il processo di attivazione.
La numerosità dei casi di riscontro negativo per i singoli ordinativi è a sua volta indicativa delle criticità del processo di delivery.
La farraginosità dell’accesso comporta per il nuovo entrante un aggravio di costi, una perdita di clienti, una perdita di guadagni, una perdita di reputazione agli occhi dei potenziali clienti futuri.
La conseguenza, contraria alla concorrenza, è che l’intempestiva e inefficace attivazione da parte di Telecom dei servizi di accesso alla rete determina difficoltà per gli OLO, con frenata del processo di erosione della base clienti dell’incumbent da parte dei concorrenti.
Non era necessario riferire la media degli insuccessi dei processi di attivazione degli OLO, come pretende l’appellante invocando un diverso metodo logico di ragionare, ma è sufficiente che l’Autorità abbia, in modo completo sotto il profilo istruttorio e logico sotto il profilo dell’iter seguito, dato conto dei dati statistici, servizio per servizio, anno per anno, rinvenendo diversità evidenti nella trattazione dei servizi e nella loro funzionalità.
9.8.Con altra censura, l’appellante deduce la mancata prova dei comportamenti opportunistici, avendo l’Autorità nei paragrafi dal 460 al 464 tratto argomenti da elementi dubbi o errati.
Il Collegio osserva che in tali passaggi l’Autorità ha dimostrato che Telecom ha, in numerose occasioni, opposto agli OLO KO funzionali alla successiva attivazione degli stessi clienti da parte delle sue divisioni commerciali o, in alternativa, ha emesso causali di scarto non coerenti, in modo da impedire la pronta risoluzione del problema da parte degli OLO.
Non convince quanto sostiene Telecom, che nega qualunque suo vantaggio nel mantenere una condotta inefficiente, in quanto è evidente che l’incumbent, ex monopolista, ha già una nutrita base di clienti, sicchè è in grado, più degli operatori alternativi, di tollerare disfunzioni e malfunzionamenti.
Al paragrafo 425 l’Autorità spiega come vi sia “un vantaggio evidente della posizione di incumbent di Telecom (nel) la possibilità di fornire i servizi di fonia ad una base storica di utenti “attivi” senza dover richiedere l’attivazione di serviziwholesale. Per contro, gli OLO devono chiedere tipicamente l’attivazione su linea attiva nel caso in cui intendano servire un cliente precedentemente servito da Telecom”.
In tale ottica, non ha senso riprendere, singolarmente, come pretende Telecom, tutti gli elementi o fatti specifici, dai quali, nella loro globalità, l’Autorità ha rinvenuto un comportamento opportunistico.
E’ evidente anche che ogni rifiuto, in sé considerato, in quanto in tesi contrario agli interessi del gestore della infrastruttura essenziale, non sarebbe un comportamento opportunistico, ma tale tesi prova troppo.
Al paragrafo 432 l’Autorità evidenzia, correttamente e non adeguatamente smentita, altro vantaggio per Telecom, consistente nel contenimento della erosione della quota di clienti, dal momento che “le richieste di attivazione di servizi fonia su linee attive più frequentemente oggetto di KO si riferiscono alla conquista, da parte degli OLO, di nuovi clienti precedentemente servizi da Telecom”.
Non è a rigore necessario che i clienti delusi dagli OLO, a causa di una certa, causata, inefficienza, trasmigrino nuovamente all’ex monopolista, ma è sufficiente che gli operatori alternativi non riescano a conquistarli.
La circostanza, poi, della affermazione, riportata più volte nell’appello (si veda, tra varie, pagina 69) dell’Autorità Garante delle comunicazioni, che avrebbe dato conto del miglioramento delle politiche di liberalizzazione del settore (Presentazione della Relazione annuale 2011), della definitiva affermazione della concorrenza nel settore delle comunicazioni, non rileva oltre modo, sia per la diversità, più volte richiamata, della regolazione ex ante dal controllo ex post su condotte anticoncorrenziali, sia perché le funzioni delle due Autorità (AGCM e Agcom) sono in rapporto non di antitesi ma di complementarietà, sia perché, come evidenzia anche la sentenza appellata al punto 3.3, l’Agcom stessa, che pure aveva contribuito al quadro regolatorio, ha poi confermato in ogni caso la esistenza di criticità in termini di confronto tra processi interni ed esterni.
E’ evidente, al proposito, che il sistema degli OLO, così come tante pratiche soggette ad attività di regolazione, richiedono sempre un continuo monitoraggio (una continua attenzione, come la carica dell’orologio) e sono sempre migliorabili.
Al proposito, non a caso, la difesa dell’Autorità Antitrust evidenzia delibera Agcom 74/12/CIR, che vieta a Telecom di utilizzare causali di scarto non previste dalla normativa e che si riferisce al periodo che va dal 2011 al 2012.
Ad abundantiam, anche se naturalmente tale periodo è al di fuori dell’oggetto del presente contenzioso e dei provvedimenti scrutinati, è stata depositata da Vodafone in data 7 aprile 2015 delibera dell’Agcom n.309/2014 del 19 giugno 2014 che, ancora, (punti 29, 30, 31) evidenzia criticità e malfunzionamenti nei KO per gli OLO.
Al di là della considerazione che l’Autorità, in modo compiuto ed esaustivo (come riferisce la sentenza nel punto 6.6.), ha esteso il suo accertamento non solo agli ordinativi di lavoro, ma anche alle c.d. richieste elementari, rinvenendo anche in tale caso un maggiore appesantimento del processo degli OLO a causa della emissione di una maggiore percentuale di richieste elementari multiple, va rifiutata una visione parcellizzata e atomistica della vicenda, come pretenderebbe la parte appellante, quasi ad accertare o contrastare punto per punto ogni dato di fatto, essendo nozione comune che costituisca abuso di posizione dominante proprio una condotta o complesso di condotte commissive o omissive (non già la singola condotta) da parte dell’impresa che detiene una notevole forza di mercato, volte ad estromettere l’impresa concorrente attraverso l’adozione di una complessa strategia escludente o predatoria nei confronti dei rivali.
9.9.
Le direttive comunitarie di liberalizzazione dei servizi di comunicazione elettronica (direttiva 2002/21/CE “direttiva quadro” e direttiva 2002/19/CE “direttiva accesso”) e la normativa nazionale di recepimento, contenuta nel d.lg. n. 259 del 2003 hanno imposto specifici obblighi in materia di accesso e di uso da parte dei concorrenti di determinate risorse di rete proprio al fine di promuovere la concorrenza e di tutelare gli interessi dei new comers e quindi dei consumatori, e hanno recepito il principio di non discriminazione fra attività interne ed esterne affinchè le imprese aventi potere di mercato, attive anche nei mercati a valle di quello dell'infrastruttura essenziale, non distorcano la concorrenza a detrimento dei terzi. Pertanto, secondo la Commissione Europea, in presenza di condotte volte ad ostacolare, nel senso di rendere più gravosa, o ritardare l'accesso all'infrastruttura essenziale, la probabilità di indebite limitazioni del diritto di effettiva concorrenza è tanto più elevata quanto maggiore è la quota di mercato dell'impresa dominante nel mercato a valle, quanto minori sono i concorrenti nel mercato a valle e quanto maggiore è la sostituibilità tra la produzione dell'impresa dominante e quella dei suoi concorrenti, con la possibilità che la domanda che potrebbe essere soddisfatta dai concorrenti oggetto di preclusione venga indebitamente deviata o mantenuta a vantaggio dell'impresa dominante.
Quindi, proprio perché l'infrastruttura di Telecom è indubitabilmente essenziale per consentire agli OLO di fornire i servizi di fonia e di banda larga, la medesima Società è tenuta, indipendentemente dal rispetto delle regole di settore delle comunicazioni elettroniche, a garantire 1'accesso dei concorrenti a tale infrastruttura a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie, configurandosi in caso contrario una ipotesi classica di abuso di posizione dominante con effetti escludenti e con un conseguente grave pregiudizio allo svolgimento della concorrenza nei mercati a valle al dettaglio (i mercati al dettaglio collegati a quello a monte dell'accesso all'infrastruttura di rete) in cui l'impresa titolare dell'input essenziale detiene una posizione dominante e nei quali la sostituibilità tra la sua produzione e quella degli OLO concorrenti è piena.
10.1.Con i motivi di appello dal sesto al decimo, sull’abuso consistente nella compressione dei margini, deduce: mancanza della condotta, erronea quantificazione dei ricavi derivanti dall’ipotetica offerta analizzata ed erronea sovrastima dei costi commerciali, mancata analisi del bundle; erronea quantificazione di prezzi e costi e altri errori metodologici.
Con il sesto motivo, in particolare, deduce che l’AGCM ha sanzionato Telecom per una condotta ipotetica, che secondo i suoi stessi accertamenti, quest’ultima non ha posto in essere e pertanto non vi è alcun abuso.
Con il settimo motivo, deduce che, nella valutazione di replicabilità, volta a confrontare costi e ricavi delle ipotetiche offerte che Telecom avrebbe potuto commercializzare, l’AGCM non ha considerato tutti i ricavi ottenibili, falsando così la valutazione stessa.
Con l’ottavo motivo deduce che l’AGCM ha errato nell’applicazione dei test di prezzo regolamentari con riguardo alla stima dei costi commerciali.
Con il nono motivo deduce che secondo le indicazioni della Commissione europea e dell’Agcom, l’AGCM avrebbe dovuto svolgere l’analisi di replicabilità con riguardo ai pacchetti di servizi messi in gara, anziché ai soli servizi di accesso.
Con il decimo motivo contesta che l’AGCM ha erroneamente quantificato numerose voci di costo.
Viene contestata l’erroneità delle valutazioni che hanno portato alla seconda contestazione di attività anticoncorrenziale, in quanto l’accertamento del preteso abuso consistente nella compressione dei margini sarebbe erroneo per l’approccio metodologico dell’Autorità, che non riuscirebbe a dimostrare che la differenza tra i prezzi al dettaglio praticati ai clienti finali e i prezzi all’ingrosso praticati ai concorrenti, quale impresa detentrice di una risorsa essenziale, affinchè questi possano offrire a loro volta lo stesso servizio al dettaglio, sia tale da non coprire i costi specifici che gli stessi concorrenti sostengono per erogare servizi in questione nei mercati a valle.
I motivi sono infondati.
L’abuso contestato rientra nel classico abuso di posizione dominante consistente in una strategia di condotta di compressione dei margini (margin squeeze), con una politica di sconti alla c.d. Grande Clientela Affari con il servizio di accesso al dettaglio alla rete telefonica fissa, tale da non consentire, ad un concorrente altrettanto efficiente, che si mira ad estromettere dal mercato, di operare in modo redditizio e su base duratura nei medesimi mercati, considerati i costi di accesso alla rete praticati daTelecom agli altri operatori, con conseguenti effetti restrittivi della concorrenza sul mercato al dettaglio dei servizi di accesso alla clientela non residenziale nelle aree aperte alla concorrenza, ove è disponibile il servizio di accesso al tratto finale di rete verso il cliente.
Il margin squeeze è un illecito di prezzo che può essere commesso solamente dall’impresa verticalmente integrata, ossia da un soggetto attivo in più stadi della filiera produttiva che vende all’ingrosso l’input necessario per la produzione di un determinato bene/servizio finale, competendo poi nel relativo mercato al dettaglio.
Si tratta di quei casi in cui il soggetto dominante è, allo stesso tempo, fornitore e concorrente delle altre imprese (situazione tipica del mercato delle tlc, ove gli ex monopolisti di rete fissa detengono l’unica rete capillarmente diffusa sul territorio, essendo attivi anche nei relativi servizi all’utenza finale).
L’abuso si verifica quando il differenziale di prezzo tra l’input intermedio (ad esempio, venduto a 1) e il bene/servizio finale (ad esempio, venduto al medesimo prezzo di 1, ovvero con un margine minimo) è negativo o così ridotto da non mettere in condizione i concorrenti di poter competere con l’impresa concorrente.
Come correttamente rilevato dal primo giudice, l’Autorità ha rilevato che: a) è idonea a compromettere il mercato e pregiudizievole al commercio intracomunitario in violazione dell’art. 102 TFUE la prassi operata dall’ex monopolista di praticare una politica tariffaria di sconti eccessivi per i servizi di accesso alla rete telefonica fissa alla Grande Clientela Affari; b) tale pratica aveva l’intento o comunque l’effetto di compromettere la capacità competitiva di concorrenti altrettanto efficienti sulla carta; c) la scontistica predisposta dall’impresa era addirittura contenuta in una direttiva del settembre 2007 diramata ai propri agenti (c.d. linee guida o marketing guidelines) contenenti una griglia di sconti estremamente elevati applicabili sul listino dei prezzi al dettaglio dei servizi di accesso per il periodo 2008-2011; d) i prezzi al dettaglio prevedono sconti pari al 15%, 20%, 25% sul contributo una tantum per l’attivazione del servizio e sei diversi livelli di sconto sul canone mensile ed è selettivamente diretta, secondo il provvedimento, ai clienti che ricorrono a procedure di selezione del fornitore (Grande Clientela Affari o top business client) e che sono collocati in aree aperte alla concorrenza; e) dagli accertamenti effettuati, non contrastati nei contenuti, è emerso che le linee guida sono state applicate dal gennaio 2008 al luglio 2011, confermando i livelli di sconto previsti; f) dalla acquisizione dei dati sui prezzi, da parte dell’Autorità, è emerso che effettivamente i prezzi praticati da Telecom per la fornitura di accesso ai principali 30 clienti, in termini di fatturato, nei contratti sottoscritti dal 2008 al 2011, confermano l’applicazione in pieno di quegli sconti e a volte anche in misura superiore a quella prevista nelle Linee Guida.
Il Collegio osserva che tale problematica è stata affrontata nel provvedimento nei paragrafi dal 508 al paragrafo 551, così come sono state trattate nella sentenza di primo grado (almeno) dal punto 3.4 al punto 3.4.4.
In ogni caso, riproponendo la parte appellante le medesime censure proposte e non accolte in primo grado, si osserva quanto segue.
Le censure, così come riproposte, nei motivi dal sesto al nono dell’appello, scontano i medesimi dubbi di porsi, come eccepito da Fastweb, quasi ai limiti dell’ammissibilità, pretendendo di reiterare tutto il percorso logico-intellettivo svolto dall’Autorità, mettendo in dubbio la legittimità di tutti i passaggi logici, ponendosi come censure di eccesso di potere per difetto d’istruttoria e illogicità del ragionamento.
Si sostiene che: la condotta è solo ipotetica; che non sono stati considerati tutti i ricavi; che nell’applicazione dei test di prezzo si è errato nella stima dei costi commerciali; che l’analisi di replicabilità avrebbe dovuto riguardare non solo i servizi di accesso ma i pacchetti di servizi; che sono state quantificate erroneamente numerose voci di costo.
I motivi sono infondati nel merito e da respingere.
In primo luogo, va respinto il rilievo (espresso nell’appello alle pagine 69 e seguenti) secondo cui l’abuso solo potenziale non è tale se non si traduce in comportamenti escludenti, in quanto, sulla base della giurisprudenza sopra richiamata, è da ritenere sufficiente l’idoneità (potenziale quindi) a ledere la concorrenza.
In ordine alla contestazione del ragionamento, la Sezione osserva che è evidente, come rilevato dall’Autorità nelle conclusioni, che le offerte alla grande clientela business da parte dell’impresa dominante non erano replicabili da parte di concorrenti altrettanto efficienti, pur in un mercato caratterizzato da un avanzato processo di liberalizzazione fin dagli anni novanta e anzi che vedeva una dinamica evolutiva con il progressivo consolidamento della posizione di mercato di nuovi concorrenti, come Vodafone, Wind, Fastweb, in competizione con l’incumbent Telecom.
La Grande Clientela, in ragione della sua importanza e della dislocazione sul territorio nazionale, rappresenta per gli OLO un obiettivo importante per il raggiungimento delle economie di scala per rendere possibili strategie imperniate sul ricorso a servizio che richiedono livelli elevati di costi fissi.
La conclusione dell’Autorità è che, per gli sconti effettuati alla GCA sulla base delle Linee Guida, se Telecom avesse sostenuto i costi iniziali che devono affrontare i concorrenti, non avrebbe potuto che trovarsi in perdita.
Sotto il profilo del margin test, la condotta di Telecom va esaminata, secondo le nozioni comuni della materia concorrenziale, anche per la sua predatorietà, rispetto al campo di gioco del mercato dai concorrenti potenziali, oltre che per la replicabilità economica.
L’appello censura l’operato del Garante per avere preso in considerazione soltanto i ricavi generati sulle aree aperte ai servizi ULL, ignorando invece i ricavi derivanti dalle offerte in aree non coperte. Le offerte alle GCA includono anche forniture alle aree non ULL e quindi dovrebbero essere considerate complessivamente. Il valore andrebbe quindi valutato nella media dei prezzi scontati (aree ULL) e prezzi non scontati (aree non ULL).
Ad opinione di questo Collegio, in modo non illogico, l’Autorità ha replicato che vi è una parte contendibile del mercato, diversa dalle aree non aperte al servizio ULL, nella quale gli OLO possono essere rivenditori unicamente dei servizi di accesso acquisiti da Telecom mediante il servizio WLR (wholesale line rental).
Nel corpo dell’atto (paragrafi 518 e 519), in modo non irragionevole, l’Autorità spiega la ragione per cui il metodo di determinazione della compressione dei margini tra prezzi e costi è stato effettuato con riferimento alle condizioni praticate per i servizi di accesso, spiegando la rilevanza di quel mercato al dettaglio, distinto da quello di fonia vocale (traffico), rilevando che tali servizi in alcuni casi sono stati acquistati separatamente, che essi rappresentano un costo fisso per la clientela, con maggiore importanza dello sconto praticato.
In definitiva e in sintesi, l’Autorità ha, in modo non illogico né irragionevole, sostenuto e dimostrato che i servizi di accesso costituiscono un mercato rilevante autonomo e distinto da quello del traffico, sia pure in grado poi di trainarlo.
Inoltre, aggiunge l’Autorità, a comprovare che tali mercati e servizi sono ben distinti e distinguibili, con ragionamento della cui logicità non è dato dubitare, nonostante i rilievi dell’appello, le offerte si collocano in un periodo in cui il regolatore ex antesottoponeva a valutazione di replicabilità le condizioni economiche solo per i servizi di traffico, sicchè l’analisi del Garante della concorrenza si è concentrata su una componente dell’offerta neanche soggetta a verifica di prezzo ex ante.
Proprio perché la scontistica praticata ai clienti Top (30 Grandi clienti considerati) è quella più esposta alla concorrenza, la politica di forti sconti è diretta a pregiudicare la capacità competitiva dei concorrenti e in ogni caso consegue tale effetto.
Quanto alla censura riproposta di erronea sovrastima dei costi commerciali (da pagina 78 in poi dell’appello), e quindi di difetto di istruttoria sotto altro profilo, ad opinione del Collegio è sufficiente rilevare che l’Autorità (paragrafi 529 e 530) ha osservato che, con riferimento alla quantificazione dei costi relativi al servizio di collocazione e al valore dello SLA Wholesale Plus, proprio in accoglimento delle istanze di Telecom, ha ritenuto di utilizzare le stime di costo fornite dalla stessa società nel corso dell’istruttoria e in sede di memoria conclusiva (par.529 del provvedimento); inoltre, non è stato possibile addivenire ad una quantificazione attendibile dei costi commerciali sostenuti per la erogazione dei servizi in questione (par.530), avendo proprio Telecom rappresentato di non disporre di una contabilità specifica che indichi in maniera separata il dettaglio dei costi commerciali e di altri costi operativi direttamente connessi alla fornitura del servizio di accesso alla grande clientela business, sicchè si è ritenuto di adottare il mark-up adottato dal regolatore per i test di prezzo ex ante (e adottato dalla stessaTelecom nel produrre le stime dei costi commerciali agli atti del procedimento).
Il Collegio ribadisce ancora una volta che tale fase di sindacato giurisdizionale, per quanto approfondita, non può però consistere in una puntuale reiterazione di ogni specifico e minimo, se pure importante, passaggio logico della fase procedimentale dinanzi al Garante della concorrenza, sicchè è inaccettabile la pretesa di Telecom, in presenza della prova così evidente di Linee Guida, applicata a trenta Grandi Clienti sul punto, di pretendere valutazioni concrete secondo il metodo del “caso per caso” sulla contrattualistica adottata.
In ogni caso, al riguardo, come osservato dal primo giudice, non smentito adeguatamente sul punto, proprio la delibera Agcom la cui applicazione in altre parti è rivendicata da Telecom, indica il 12% come valore per i servizi di accesso anche nel contesto delle gare.
Il rilievo dell’appellante della inattualità, oramai, di quel valore (a pagina 80 dell’appello si sostiene che l’AGCM avrebbe dovuto utilizzare il dato del 10%), in realtà nulla aggiunge con riguardo al riscontrato abuso nelle misure, nei termini e nelle modalità sopra riportate (si è visto, sconti del 15, del 20, del 25 per cento o maggiori).
Con riguardo alla censura di non avere tenuto conto dell’intero pacchetto ma solo dei servizi di accesso (reiterata specificamente con riferimento al bundle a pagina 80 e 81 dell’appello) vale quanto sopra considerato.
10.2.Con altra censura (l’ultima di tale serie, da pagina 81 a pagina 85) l’appellante lamenta (di nuovo, ma in modo specifico) la erronea quantificazione, da parte dell’Autorità, che avrebbe errato nella quantificazione di alcune voci per l’attivazione del servizio, dei costi di riparazione e dei costi per gli apparati ISDN.
L’Autorità ha osservato come la verifica sia consistita semplicemente nell’accertare se la stessa Telecom sarebbe stata in grado di offrire i medesimi servizi al dettaglio secondo i prezzi praticati (anche correggendoli nel senso indicato da Telecom) senza subire perdite, sostenendo i costi all’ingrosso che essa pratica ai concorrenti in quanto proprietaria verticalmente integrata degli input essenziali per l’accesso al mercato.
Al riguardo, al paragrafo 547, l’Autorità spiega e conclude in modo esaustivo e convincente nel senso che la “replica dell’analisi di compressione dei margini basata sui prezzi medi effettivi mostra come le offerte effettivamente praticate da Telecom non sarebbero replicabili da un concorrente altrettanto efficiente che sostenga costi commerciali superiori al 22-24% dei costi di rete negli anni 2009-2011, e superiori al 30% dei costi di rete nel 2008”.
Dalla tabella 31, menzionata nella difesa dell’Antitrust, si evidenzia che la percentuale di sconto ha anche superato il 70% (quindi a volte ben oltre il 20-25% di altri sconti alla Grande Clientela) e che il calcolo dei costi dell’impresa è avvenuto, inbonam partem a favore di Telecom, tenendo conto della misura massima possibile, e ciò dovrebbe evitare altre contestazioni sul punto (si veda in tal senso su tale riflessione il par. 6.9 della sentenza appellata), viste e considerate le percentuali di sconto nelle dette misure elevate.
Rispetto a tale percentuale di sconti così elevata, le argomentazioni di minimi scarti addotte dall’appellante non sono in grado di sovvertire quindi la correttezza del ragionamento seguito dall’Autorità Garante; oltre la considerazione che a tale conclusione tanto pregnante l’appellante non oppone adeguate deduzioni in grado di smentirle, le percentuali indicate, pur con margini di variabilità e opinabilità necessarie, confermano la valenza concreta dell’effetto anticoncorrenziale della condotta, consistente in sconti tanto rilevanti ad una importante Grande Clientela.
11.Con i motivi dall’undicesimo al tredicesimo, come ulteriori vizi generali, comuni ad entrambi gli abusi, deduce: l’incompatibilità dell’assunto dell’AGCM con il quadro regolamentare di riferimento; lesione dei diritti di difesa; erroneo rigetto degli impegni.
Senza fornire adeguata motivazione rafforzata (undicesimo motivo), l’AGCM avrebbe ignorato il contesto regolamentare e contraddetto gli accertamenti dell’Agcom, benché questi fossero volti ad assicurare i medesimi obiettivi dell’AGCM, con analoghe metodologie e sulla base di un’analisi degli stessi dati.
L’AGCM non avrebbe consentito a Telecom (dodicesimo motivo di appello) un adeguato contraddittorio, sia perché il provvedimento modifica significativamente le accuse e gli elementi di prova a carico, rispetto alla comunicazione delle risultanze istruttorie e sia perché non ha concesso a Telecom l’accesso a documenti decisivi, utilizzati ai fini delle accuse.
In fine, l’AGCM ha erroneamente rigettato (tredicesimo motivo di appello) le proposte di impegni avanzate da Telecom nel corso del procedimento.
Anche tali motivi sono infondati.
E’ infondata la censura di violazione del quadro regolatorio di riferimento, rispetto ai pareri favorevoli dell’Agcom, dell’ODV di Telecom (che appare un organismo di garanzia e controllo interno a Telecom), delle Autorità europee, di violazione del ne bis in idem.
Si è già fatto ampio riferimento alla esigenza di distinguere il ruolo della regolazione ex ante dal controllo ex post di violazioni della concorrenza e della differenza degli abusi della concorrenza, pur nel rispetto formale e sostanziale della regolazione di settore.
I rapporti tra disciplina antitrust e regolazione settoriale non sono in rapporto di esclusione e sovrapposizione, ma di complementarietà.
L’Autorità deve tenere conto del quadro di riferimento nel cui ambito si muovono gli operatori del settore, ma ciò non le impedisce di valutare autonomamente le loro condotte, sicchè l’applicazione delle norme a tutela della concorrenza non è esclusa nei casi in cui, come nella fattispecie, le disposizioni regolamentari lascino sussistere la possibilità per le imprese di adottare comportamenti autonomi atti ad ostacolare, restringere o falsare la concorrenza, confermando la esistenza di un doppio controllo, regolatorio e antitrust.
La presenza di un atto di approvazione o ratifica da parte del regolatore delle condotte investigate non impedisce in ogni caso all’autorità della concorrenza di sindacare e condannare la medesima condotta (così Corte di Giustizia UE, sentenza 14 ottobre 2010, C-280/08-Deutsche Telekom).
La stessa previsione del parere obbligatorio e non vincolante dell’Autorità di settore reso ai sensi dell’art. 1 comma 6 lettera c) n. 11 della legge n.249 del 1997 rende evidente che la competenza in materia spetti all’Autorità Garante, alla quale incomberebbe il solo dovere di motivare il discostamento da un parere eventualmente contrario, neanche esistente nella specie.
I compiti attribuiti all’AGCOM, Autorità nazionale di regolazione, in tema di definizione dei mercati rilevanti e delle posizioni dominanti, non hanno fatto venire meno la generale competenza antitrust spettante all’AGCM.
I positivi apprezzamenti dell’Agcom sul miglioramento dei processi in favore degli OLO, sui progressi in termini di efficienza e altro, non sono in grado di giustificare la ragione di ogni passaggio processuale introdotto (solo) per gli OLO.
Nel parere reso in data 29 marzo 2013 relativamente al procedimento in questione, rilasciato dopo avere richiesto proroga, l’Autorità di settore, da parte sua, non lamenta alcuno sconfinamento e anzi riconosce che l’Autorità Garante della concorrenza è l’unica competente ad accertare abusi quali quelli contestati, che non sono evitati dalla attività regolatoria ex ante.
D’altra parte, una cosa è il giudizio favorevole di determinati processi di organizzazione o di attivazione (sulla delivery, paragrafo 497 del Provvedimento), approvata dal regolatore del settore nel senso dell’auspicato miglioramento; altra cosa è accertare che, con le specifiche previsioni e organizzazioni di tali processi con le modalità più volte sopra richiamate, siano tenute in modo strategico e a fini o con effetti escludenti, da parte dell’ex monopolista, condotte ostruzionistiche in danno degli operatori alternativi.
Sintomatica è la circostanza che, in successivi pareri, al di là del parere espresso con il quale l’Agcom ha condiviso le valutazioni dell’Antitrust, rispetto alla vicenda in esame, l’Agcom continui a rilevare criticità per i servizi a favore degli OLO (si veda delibera 19 giugno 2014 su citata).
Non può non osservarsi che in tali critiche, sotto la rubrica della violazione delle delibere dell’Agcom, la parte appellante reitera nuovamente le censure già esposte in precedenza relative alle addotte condotte (si veda pagina 96 dell’appello, sui processi esterni, sul periodo considerato, sugli accertamenti positivi di Agcom).
Pertanto, vale in ogni caso anche quanto già osservato a proposito delle specifiche censure avverso le singole condotte.
In sintesi: le precedenti valutazioni regolatorie ex ante non rilevano per i motivi detti; il parere di Agcom reso nel procedimento è adesivo alla posizione dell’Antitrust; anche successivamente alla vicenda oggetto del giudizio, l’Autorità di regolazione evidenzia criticità sugli stessi processi.
12.Con altro motivo di appello viene reiterata la censura, già proposta e respinta in primo grado, attinente alla lesione dei diritti di difesa di Telecom, nell’ambito del procedimento.
L’appello pone un doppio ordine di lesioni: per violazione del principio di corrispondenza tra la iniziale contestazione e il provvedimento finale; per mancato accesso e conoscenza di documenti resi inaccessibili.
La stessa parte appellante ammette (pagina 97 dell’appello) la piena corrispondenza tra la formulazione testuale dei paragrafi 397 e 318 della comunicazione rispetto ai paragrafi 491 e 492 e tuttavia la ritiene non decisiva, ai fini della immutabilità della contestazione e della lesione del suo diritto di difesa.
E’ evidente che tale corrispondenza fa ritenere che non vi sia stata in sostanza una mutazione della natura intrinseca della violazione accertata rispetto alla contestazione, essendosi l’Autorità limitata a riproporre le stesse imputazioni, sia pure arricchite da ulteriori valutazioni, non potendosi sostenere che vi sia stata una “modifica dell’imputazione” (per tale nozione nel campo processuale penale si veda art. 423 c.p.p.).
D’altra parte, è assurdo pretendere (lo ha ribadito la Corte di Giustizia, sentenza 3 settembre 2009, C-534/07) che la decisione finale sia una copia della comunicazione degli addebiti formulati, dovendo avere il procedimento la sua funzione di acquisizione di ulteriori fatti, elementi, acquisizioni, che debbono pur avere il loro peso.
Violazione del diritto di difesa, sotto tale profilo, si avrebbe solo nella ipotesi in cui, similmente al processo penale (Cons. Stato, VI, 1 marzo 2012, n.1192), la decisione finale facesse riferimento ad una imputazione non esposta, nella comunicazione degli addebiti, in modo sufficiente per consentire ai destinatari di difendersi: il parametro è sempre costituito dal diritto di difesa.
Il riferimento alla circostanza che nella comunicazione l’Autorità abbia contestato la condotta come concorrenziale “a prescindere dalla intenzionalità” (par.366-367,400), rispetto alla conclusione in cui si è ravvisato non solo l’effetto escludente ma anche l’intento escludente, non può che fare riferimento alla nozione di abuso di posizione dominante che, nella teorica della materia, ben nota agli operatori del settore, notoriamente è comprensivo di entrambe le accezioni, che stigmatizza, l’intento e l’effetto anticoncorrenziali.
13.E’ infondato anche il motivo di appello con il quale si reitera la censura, già esaminata e respinta in primo grado, relativamente ad una serie di informazioni secretate e rese inaccessibili, che sarebbero state utilizzate dall’Autorità garante, per trarne conclusioni in danno di Telecom (ci si riferisce, in particolare, a documentazione fornita da Fastweb, per esempio, che, come risulterebbe in alcuni paragrafi, che l’appello menziona a pagina 100, avrebbe dimostrato la “farraginosità” dei processi esterni).
In disparte la considerazione che l’intera struttura dei processi riservati agli OLO, come ricostruita nel giudizio (KO, sospensioni, ragioni degli scarti, etc., accesso a banche dati), non viene contestata, in sé, dalla parte appellante Telecom, che appunta le sue difese su tutto il resto, il Collegio osserva che le differenze evidenziate sono incontestabili relativamente alla differenza tra KO e sospensione, tra divisioni interne e OLO.
In ogni caso, sotto il profilo squisitamente dell’utilizzo di documenti inaccessibili, costituisce dato comune ed acquisito che il contemperamento tra accesso e riservatezza debba avvenire tutelando le posizioni sensibili, anche di tipo commerciale o imprenditoriale delle parti interessate, sicchè prima l’amministrazione e poi il giudice debbono, ai sensi degli artt. 22 e seguenti della legge n.214 del 1990 e dell’art. 116 del c.p.a. operare tale contemperamento.
Si aggiunga, poi, che né separatamente in fase procedimentale, né all’interno del giudizio o con separato giudizio, l’appellante società si è avvalsa del rimedio, pur previsto dal codice di rito all’articolo 116, al quale si può ritenere che fosse onerata, né, in vero, ha indicato le conseguenze negative che sarebbero derivate da tale mancata ostensione.
14.Con altro motivo di appello (da pagina 100 in poi) la parte appellante si duole dell’erroneità (della sentenza e) del rigetto degli impegni.
I motivi sono infondati.
In primo luogo, per consolidato orientamento, la valutazione negativa da parte dell’AGCM degli impegni rientra nel margine di discrezionale apprezzamento rimesso all’Autorità garante, non apprezzabile nel merito in sede giurisdizionale se non in determinati limiti.
E’ vero che tra il provvedimento finale e il rigetto degli impegni non sussiste un rapporto di consequenzialità necessaria, ma solo di connessione e che in assoluto il rigetto degli impegni è anch’esso sottoposto al sindacato limitato del giudice amministrativo, ma non in modo talmente intenso e profondo da poter riguardare profili di opportunità per così dire di “discrezionalità economica” (così la Sezione, sentenza 22 settembre 2014, n.4773).
Al riguardo, l’Autorità, nel provvedimento di rigetto adottato in data 14 marzo 2012 (ripreso nella sentenza) ha ampiamente motivato l’inidoneità degli impegni a superare la situazione contestata.
Ciononostante, pedissequamente, l’appellante ripropone le censure e riproduce (pagine 101 e 102) gli impegni da 1 a 7, contestandone il rigetto.
In primo luogo – e ciò è assorbente – il Collegio osserva che gli impegni, per come rappresentati, anche ad una delibazione sommaria, non toccano nelle parti sostanziali gli abusi contestati relativi alle ragioni di disfunzione collegate al sistema dei KO (interruzioni e sospensioni, perdita di priorità, ragioni formali del diniego, accesso a banche dati diverse, etc.).
Anche analizzando ogni aspetto, il Collegio osserva, riprendendo le risposte dell’Autorità sul punto, che in relazione all’impegno 1, consistente nella implementazione di un servizio end-to-end per l’attivazione (provisioning) dei servizi finali alla clientela, il gradimento presso gli operatori è risultato nullo e anzi peggiorativo; l’impegno 2, riguardante uno sconto di una voce di costo, incideva soltanto su una componente marginale; gli impegni 3 e 4 consistevano nella riclassificazione e aggiornamento delle causali di scarto e nello sviluppo e aggiornamento dei database di toponomastica, ma sono stati ritenuti non in grado di incidere, perché riguardanti aspetti solo formali ed estranei alle criticità.
Il Collegio rileva che i miglioramenti, le maggiori efficienze, la maggiore qualità, pur tutte condivisibili, sono state ritenute inadeguate al superamento di tutte le criticità, come sopra ampiamente evidenziate nella contestazione del primo abuso, con motivazione logica e non contraddittoria, che non potrebbe essere sovvertita se non al costo, inammissibile anche processualmente, di ripercorrere ogni fase e stadio del procedimento sanzionatorio dinanzi a questo giudice amministrativo (eppure, gli impegni neanche paiono affrontare le maggiori e discriminatorie farraginosità evidenziate dal Provvedimento antitrust).
In relazione ai quattro impegni, contenuti nei numeri dal 5 all’8, giustificatamente l’Autorità ne ha ritenuto la tardività, in quanto pervenuti soltanto a conclusione del market test già espletato sui precedenti impegni dal n. 1 al n. 4.
Al riguardo, il primo giudice ha ritenuto che essi erano tardivi e che non potevano configurarsi come una modifica accessoria.
L’appello (pagina 102), al fine di sostenerne la tempestività, deduce solo che il termine di presentazione non è perentorio (principio su cui si può convenire in astratto) e che essi erano integrazioni di quelli già proposti.
E’ vero che il termine previsto in materia (art. 14-ter L.n.287 del 1990) ha carattere ordinatorio e sollecitatorio e non già perentorio; la logica del termine, tuttavia, non può non essere “effettuale”, sicchè se da un lato le imprese non debbono affrettarsi e l’Autorità deve essere in grado di valutarne la idoneità alla correzione rispetto ai profili anticoncorrenziali emersi (di qui la natura non perentoria), una volta valutati, non è possibile ritenere, in concreto, la loro ripresentabilità all’infinito.
In realtà, tuttavia, l’appello nulla dice in relazione alla ritenuta tardività sul perché la presentazione sia avvenuta successivamente ai test già effettuati sui primi impegni; sotto altro profilo, è evidente che, dalla mera analisi letterale dei nuovi impegni (miglioramento della policy di contatto, unificazione dell’attività di delivery, accesso dell’AGCM ai database delle offerte di gara), essi sono diversi ontologicamente da quelli in precedenza proposti.
In definitiva, da un lato tali impegni erano del tutto nuovi; in più, anche se ciò è irrilevante, essi erano anche giudicati inidonei, come i precedenti, a superare le riscontrate criticità per gli OLO.
15.1.Con il quattordicesimo e ultimo motivo di appello, vengono dedotte censure in ordine alla quantificazione delle sanzioni: la sanzione irrogata sarebbe illegittima per assenza dei presupposti per la irrogazione della sanzione (imputabilità ed elemento soggettivo, nesso eziologico), per erronea valutazione sulla gravità e sulla durata, per mancata considerazione di circostanze attenuanti ed erronea imputazione della recidiva.
L’appello (pagine 103 e 104) censura la sentenza, per avere ritenuto: assenza della novità, il rifiuto costruttivo ampiamente noto nella pratica antitrust, non decisivi gli impegni quanto al comportamento di collaborazione di Telecom, l’importo ragionevolmente commisurato ai due abusi, il calcolo delle ammende in linea con gli orientamenti, la evidente ripetizione degli illeciti, l’apprezzabile gravità quanto all’effetto di rallentare il processo di crescita dei concorrenti; sostiene che il primo motivo sia stato trascurato e che gli altri siano stati esaminati in modo incompleto.
Ripropone motivi: sull’an della sanzione; su gravità e durata delle infrazioni; su circostanze aggravanti ed attenuanti.
15.2.Va osservato che in applicazione dei poteri di cui il g.a. dispone in ordine alla quantificazione della sanzione pecuniaria irrogata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato propri di una giurisdizione di merito (riconosciuta ora espressamente dall’art. 134 c.p.a., comma 1, lett. c, c.p.a.) si può quindi procedere alla rideterminazione della sanzione (tra varie Cons. Stato, VI, 9 febbraio 2011, n.896).
Con riguardo alla consapevolezza della gravità dei suoi comportamenti in senso anticoncorrenziale (par.561), alla esclusione di ogni legittimo affidamento di Telecom, il Collegio osserva, sulla base di quanto già sopra evidenziato, che non possono valere i richiami agli affidamenti che ritiene espressi nel suo ambito dall’Autorità di regolazione del settore, trattandosi in ogni caso di ambiti del tutto differenti.
Non può dubitarsi che, per come imputati sin dalle iniziali contestazioni, le due condotte abusive contengano tutti gli elementi dell’illecito (elemento soggettivo, nesso eziologico rispetto al danno o pericolo anticoncorrenziale, imputabilità degli illeciti) e che la presenza degli elementi dell’illecito concorrenziale siano stati esposti (condotta, intento o comunque effetto, danno) nel corposo provvedimento.
15.3.L’art. 31 della legge 287 del 1990 al fine di quantificare la sanzione, ai sensi del richiamato art. 11 L.689 del 1981, considera la gravità della violazione, le condizioni economiche, il comportamento delle imprese coinvolte e le eventuali iniziative volte a eliminare o attenuare le conseguenze delle violazioni. A ciò va aggiunto (rectius, in ciò è ricompreso), naturalmente, il danno anticoncorrenziale.
Nuovamente, quanto alla durata e alla gravità della condotta, il Collegio osserva che l’Autorità ha tenuto conto delle Comunicazioni della Commissione 2006/C 210/02; la durata è quella determinata dall’Autorità nel provvedimento finale, ai fini della determinazione della sanzione; in ogni caso, non possono comportare differenziazioni, al fine di contrastare la gravità sotto gli effetti anticoncorrenziali, ben descritti dalla sanzione, né lievi diminuzioni dei KO nell’anno 2011 (come sostiene a pagina 110 l’appello), né il riferimento, nuovamente, alle delibere di Agcom.
Il periodo di riferimento per la questione dei KO degli OLO è il 2009-2011 (per anni e non per mesi), sicchè le dichiarate lievi diminuzioni finali non possono rilevare più di tanto.
Il periodo del secondo abuso è definita tra il gennaio 2009 e il luglio 2011 (paragrafo 562 del provvedimento).
Peraltro, nel contestare genericamente il periodo facendo riferimento alle delibere Agcom 2009 e 2010 (pagina 110 dell’appello) si mira nuovamente a contestare la sussistenza dell’illecito, in realtà nulla aggiungendo quanto alla durata determinata dall’Autorità.
Anche con riguardo alla durata del margin squeeze, nel mentre l’appello contesta addirittura un omesso esame di ricorso, in realtà nulla contrappone alla determinazione del periodo effettuata dall’Autorità, evidenziata nella contestazione e confermata nella parte sanzionatoria (che costituisce un successivo passaggio logico della prima, in tal senso, Cons. Stato, VI, 24 agosto 2011, n.4800).
16.Con altro motivo di appello l’appellante contesta che la sentenza di primo grado non abbia fatto applicazione del principio di proporzionalità nella riduzione della sanzione, potere esercitabile anche in assenza di vizi di legittimità.
Al riguardo, tale motivo di appello non si premura però di contrastare i passaggi, almeno per larghi tratti, nei quali l’Autorità ha esposto i criteri di determinazione con riguardo ai diversi mercati, ai fatturati, agli specifici periodi (parr. da 563 a 568 e parr. da 569 a 573).
Non possono essere ritenuti idonei a contestare i criteri di determinazione della sanzione i riferimenti, ancora una volta (pagine 111 e 112 dell’appello), alla legittimità asserita della condotta (perché avallata dal regolatore di settore), alla asserzione del trattamento migliore e non deteriore per i KO degli OLO (che, come visto, costituisce la questione centrale del primo abuso), in quanto, come già detto, la determinazione della sanzione è un passaggio logico successivo a quella della imputazione della condotta, già acclarata.
Dall’altro lato, la stessa Autorità ha argomentato dovutamente in ordine alla presenza di attenuanti (par. 566) di avviamento di miglioramenti nelle procedure di delivery e altro; quanto alla esigenza di tenere conto del ravvedimento operoso o degli impegni, se del primo si è tenuto conto nella misura sopra vista al paragrafo 566, è evidente che gli impegni, per il giudizio severo sulla loro assoluta inidoneità a superare le criticità nella loro sostanza, non avrebbero potuto essere, coerentemente, ritenuti cause attenuanti.
17.E’ da respingersi anche il motivo con il quale si contesta l’applicazione della recidiva.
L’Autorità ha fatto riferimento ai precedenti: “Telecom ha già violato in diverse occasioni la normativa antitrust in materia di abuso di posizione dominante in relazione a comportamenti sostanzialmente escludenti, consistenti nell’applicazione di condizioni tecniche ed economiche discriminatorie nei confronti dei concorrenti” (par. 565).
Tale richiamo è, ad opinione del Collegio, sufficiente a ritenere configurabile la recidiva di condotta abusiva.
Non vale l’argomentazione di parte appellante che negli altri casi si trattava di “rifiuto di fornire servizi se non a condizioni inique” o altro oppure che la compressione dei margini contestata sia, tra le parti, inedita.
E’ evidente che, per la speciale responsabilità alla quale è sottoposta l’impresa ex monopolista, le ascritte condotte non possono non essere considerate nell’ambito di una condotta ripetuta di illeciti anticoncorrenziali, anche al fine della determinazione della sanzione.
D’altra parte, la recidiva è la ricaduta, anche a far riferimento alla c.d. recidiva aggravata, nella suddetta materia, in condotte della stessa indole, non richiedendosi la “identità” completa degli aspetti marginali della fattispecie.
18.Per le considerazioni sopra svolte, essendo stati esaminati e respinti tutti i motivi proposti dalla parte appellante, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma dell’appellata sentenza.
La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando l’appellata sentenza.
Condanna l’appellante Telecom Italia spa al pagamento delle spese per complessive euro trentaduemila (euro 32.000,00), di cui settemila (euro 7.000,00) a favore dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, cinquemila (euro 5.000,00) a favore di Fastweb spa, cinquemila (euro 5.000,00) a favore di BT Italia spa, cinquemila (euro 5.000,00) a favore di AII-Associazione Italiana Internet Provider, cinquemila (euro 5.000,00) a favore di Vodafone Omnitel spa, cinquemila (euro 5.000,00) a favore di Wind Telecomunicazioni spa.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2015 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Claudio Contessa, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere


                                      L'ESTENSORE                      
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/05/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)



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