MILITARI:
l’obbligo al rilascio dell’alloggio militare
sussiste indipendentemente
dalla presenza di un eventuale provvedimento formale (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I bis,
sentenza 21.10.2013 n. 9032).
T.A.R. e Consiglio di Stato sono decisamente molto duri ormai sugli alloggi dati ai militari non più in servizio in concessione "reiterata" ed a canoni "calmierati".
Massima
1. Gli alloggi di servizio del personale militare sono beni patrimoniali indisponibili e, per loro natura, possono formare oggetto di concessioni di diritto pubblico, e non di negozi di diritto privato; pertanto, legittimamente l'Amministrazione emana ordini di rilascio in via di autotutela, a nulla rilevando la presenza di una prestazione patrimoniale a carico dell'utente, quali che siano la misura e le modalità di accertamento e di pagamento della medesima ed ancorché tale pagamento continui pur dopo la perdita del titolo ad occupare l'alloggio.
2. Del problema dei canoni concessori si è occupato in particolare il legislatore sin dal 1995.
Infatti, con l’art. 43 della legge finanziaria del medesimo anno sono state dettate due norme che, pur concernendo entrambe i canoni concessori degli alloggi di servizio delle FF.AA., si riferivano, la prima agli alloggi occupati da militari con titolo in corso di validità e la seconda agli alloggi occupati sine titulo ovvero in regime di proroga della concessione.
3. In relazione al discorso generale sul regime concessorio dei beni appartenenti al patrimonio alloggiativo del Ministero della Difesa appare evidente che, in caso di cessazione a qualsiasi titolo del rapporto di servizio tra il militare e l’amministrazione di appartenenza, venga meno di per sé la condizione indispensabile di efficacia del provvedimento concessorio originario.
Pertanto, l’obbligo al rilascio dell’alloggio sussiste indipendentemente dalla presenza di un eventuale provvedimento formale.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5147 del 2011,
integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Giacomo Capizzi, Angelo Scotti, Gianfranco Rossi, Pasquale Saltarelli, Ferruccio Signoretti, Ermanno Ficorilli, Luigi Scavo, Luciano Simoni, Lucio Cipriano, Flavio Doria, Aldo Rampelli, Galeazzo Germani, Antonio Alemanni, Claudio Coltelli, rappresentati e difesi dall'avv. Giulio Murano, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via A. Brofferio N. 7;
Giacomo Capizzi, Angelo Scotti, Gianfranco Rossi, Pasquale Saltarelli, Ferruccio Signoretti, Ermanno Ficorilli, Luigi Scavo, Luciano Simoni, Lucio Cipriano, Flavio Doria, Aldo Rampelli, Galeazzo Germani, Antonio Alemanni, Claudio Coltelli, rappresentati e difesi dall'avv. Giulio Murano, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via A. Brofferio N. 7;
contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro in
carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato,
domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Pier Paolo Pellone, Amedeo Maci, Armando Cavotta, Filippo Bonsignore, Gaetano Casale, Bruno D'Ettorre, Roberto Sacchetti, Giuliano Fontana, Ferdinando Zito, Ferrara Anacleto, Maria Morana, Gaetano Ambrosino, Claudio Castellari, Angelo Perna, Giuseppina D'Addone, Antonio Lamusta, Massimo Di Mauro e Serenella Paone, rappresentati e difesi dall'avv. Giulio Murano, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via A. Brofferio N. 7;
Pier Paolo Pellone, Amedeo Maci, Armando Cavotta, Filippo Bonsignore, Gaetano Casale, Bruno D'Ettorre, Roberto Sacchetti, Giuliano Fontana, Ferdinando Zito, Ferrara Anacleto, Maria Morana, Gaetano Ambrosino, Claudio Castellari, Angelo Perna, Giuseppina D'Addone, Antonio Lamusta, Massimo Di Mauro e Serenella Paone, rappresentati e difesi dall'avv. Giulio Murano, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via A. Brofferio N. 7;
per l'annullamento
con il ricorso principale,
- del Decreto Direttoriale della Direzione Generale
dei Lavori e del Demanio n. 14/2/5/2010 del 22 novembre 2010 con cui si dispone
il trasferimento al patrimonio disponibile degli alloggi da alienare ai sensi
dell'art. 2 co. 628 della L. n. 244/07;
con separati atti contenenti motivi aggiunti,
- del Decreto del Ministero della Difesa del 16 marzo
2011 di rideterminazione del canone degli alloggi di servizio militari occupati
da utenti senza titolo, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 122 del 27
maggio 2011;
- degli atti, emanati a seguito del procedimento ex L.
n. 241 del 1990 e ricevuti dagli attuali istanti nel mese di ottobre 2011 con i
quali è stato comunicato che si è provveduto ad adeguare al prezzo di mercato
il canone di occupazione relativo all’alloggio utilizzato senza titolo ai sensi
del D.M. 16 marzo 2011, già impugnato con il precedente atto contenente motivi
aggiunti;
ed in relazione alla domanda di impugnazione in tema
di accesso in pendenza di ricorso,
del silenzio rigetto dello Stato Maggiore
dell’Aeronautica e dello Stato Maggiore dell’Esercito maturato sulla richiesta
ostensiva degli atti di propria competenza descritti alle lettere sub a), b),
c), d), e), f) e g) della predetta istanza inoltrata il 23 gennaio 2013, nonché
in via subordinata del provvedimento di diniego dello Stato Maggiore
dell’Aeronautica emesso in data 1 marzo 2013 nonostante la previsione contraria
del comma 4 dell’art. 25 della legge n. 241 del 1990;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi
allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero
della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 luglio
2013 il dott. Francesco Riccio e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso principale indicato in epigrafe,
notificato il 25 maggio 2011 e depositato il successivo 15 giugno, le parti
istanti, quali occupanti sine titulo di alloggi di servizio
dell’Amministrazione militare ed interessati ad una procedura di alienazione
degli immobili inseriti nel patrimonio disponibile del Ministero della Difesa,
hanno impugnato il Decreto Direttoriale della Direzione Generale dei Lavori e
del Demanio n. 14/2/5/2010 del 22 novembre 2010 con cui si dispone il predetto
trasferimento degli alloggi da alienare ai sensi dell'art. 2, comma 628, della
L. n. 244/07.
Al riguardo i ricorrenti prospettano i seguenti motivi
di doglianza:
1) Violazione dell’art. 2, comma 628 lett. b), della
legge 24.12.2007 n. 244. Violazione specifica dell’art. 1 della legge n. 241
del 1990: principi di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza dell’azione
amministrativa;
2) Violazione del medesimo art. 2. Eccesso di potere
per sviamento e travisamento dei fatti, nonché omessa attuazione di norme di
legge. Illogicità e contraddittorietà;
3) Violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990.
Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà. Violazione dell’art. 306,
comma 3, del D.Lgs. n. 66 del 2010 e dell’art. 403, comma 3, del D.P.R. n. 90
del 2010. Difetto di istruttoria, travisamento dei fatti. Eccesso di potere per
sviamento, disparità di trattamento;
4) Violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione
riguardante il comma 631 dell’art. 2 della legge n. 244 del 2007.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione della
Difesa la quale si richiama ad ogni buon fine alle relazioni predisposte dai
competenti uffici e debitamente depositate in giudizio.
In particolare, nella relazione depositata il 12
novembre 2012, si eccepisce l’inammissibilità degli interventi ad adiuvandum
dei soggetti indicati in epigrafe atteso che la loro posizione legittimante
consentirebbe soltanto la proposizione di autonomi giudizi impugnatori.
Si sono costituiti in giudizio vari soggetti, anche
essi occupanti sine titulo di alloggi di servizio del Ministero della Difesa,
prospettando come doglianze gli stessi argomenti dedotti dai ricorrenti
principali.
A seguito della pubblicazione del Decreto del
Ministero della difesa del 16 marzo 2011 (Gazzetta Ufficiale n. 122 del 27
maggio 2011), con cui sono stati fissati i criteri di rideterminazione del
canone degli alloggi di servizio militari, le parti istanti hanno proposto con
atto, notificato il 30 giugno 2011 e depositato il successivo 15 luglio,
ulteriori motivi di doglianza diretti a contestare l’atto regolamentare sopra
descritto, in particolare sono stati prospettati i seguenti motivi di censura:
1) Violazione dell’art. 6, comma 21-quater, della
legge 30 luglio 2010 n. 122. Travisamento dei fatti ed omessa attuazione di
norme di legge. Illogicità e contraddittorietà;
2) Eccesso di potere per sviamento.
Rispetto alle censure prospettate con il descritto
atto contenente motivi aggiunti, l’Amministrazione resistente ha eccepito, in
rito, l’inammissibilità dell’azione proposta per mancanza di un collegamento
funzionale con il provvedimento impugnato con il ricorso principale e per
assenza di un pregiudizio concreto subito dai ricorrenti per effetto della
semplice emanazione del citato D.M. del 16 marzo 2011.
In esecuzione ed in applicazione del richiamato e
gravato atto regolamentare, i competenti Comandi Militari territoriali, nel
corso del mese di ottobre 2011, hanno comunicato alle parti istanti il nuovo e
diverso canone di occupazione relativo all’alloggio utilizzato senza titolo.
Per l’annullamento di tali singole e separate
determinazioni, le parti hanno inoltrato un secondo atto contenente motivi
aggiunti, notificato il 16 novembre 2011 e depositato il successivo 30
novembre, prospettando al riguardo i seguenti ulteriori motivi di impugnazione:
1) Violazione dell’art. 3, comma 3, del D.M. 16 marzo
2011. Falsa applicazione. Travisamento ed erronea valutazione dei fatti;
2) Violazione eventuale dell’art. 6, comma 21-quater,
della legge 30 luglio 2010 n. 122. Falsa applicazione. Travisamento ed erronea
valutazione dei fatti.
Riguardo alle censure contenute negli atti contenenti
i motivi aggiunti sopra indicati, l’Amministrazione ha eccepito la relativa
infondatezza nel merito.
Con apposita istanza indirizzata al Presidente della
Sez. I/bis, notificata all’Amministrazione resistente in data 22 marzo 2013 e
depositata il successivo 27 marzo, i ricorrenti hanno proposto una domanda
giudiziale per far valere il proprio diritto di accesso agli atti
amministrativi indicati in una specifica richiesta ostensiva del 23 gennaio
2013 diretta allo Stato Maggiore dell’Aereonautica ed allo Stato Maggiore
dell’Esercito, nonché per chiedere l’annullamento del provvedimento di diniego
espresso dallo Stato Maggiore dell’Esercito e del silenzio rigetto adottato
dallo Stato Maggiore dell’Aereonautica.
Rispetto a tale ultima domanda giudiziale, il
Ministero della Difesa ha eccepito l’inammissibilità dell’istanza di accesso
poiché la stessa - in contrasto con il disposto dell’art. 24, comma 3, della
legge n. 241 del 1990 – sarebbe finalizzata ad un controllo generalizzato
dell’operato della pubblica amministrazione.
Con ordinanza collegiale n. 5853/2013 dell’11 giugno
2013, questa Sezione in relazione alla domanda proposta ai sensi dell’art. 116,
commi 1 e 2, del c.p.a. ha ritenuto che la stessa non possa essere risolta
disgiuntamente da un approfondito esame dei motivi di doglianza, trattandosi di
una istanza di accesso che si innesta in seno ad un processo già pendente e
finalizzata alla definizione del contenzioso già in atto.
All’udienza del 16 luglio 2013 la causa è stata posta
in decisione.
Preliminarmente ed in aderenza all’eccezione in rito -
sollevata dalla difesa erariale - di inammissibilità degli interventi ad
adiuvandum formalizzati dai soggetti indicati in epigrafe, il Collegio
condivide le argomentazioni dedotte nelle apposite memorie di parte avversa.
Infatti, in relazione all’azione principale rivolta
all’annullamento di una serie complessa di atti preordinati da un lato alla
possibile vendita di beni immobili appartenenti al patrimonio (disponibile o
indisponibile del Ministero della Difesa) e dall’altro al recupero delle
utilità economiche connesse all’occupazione sine titulo degli alloggi del
citato Ministero, si sono inseriti altri soggetti, quali parti interventori ad
adiuvandum, che fanno valere per l’impugnazione dei medesimi atti delle
posizioni giuridiche soggettive che andavano tutelate con appositi ricorsi da
avviare nei termini di decadenza. Sotto tale aspetto queste posizioni
processuali vanno escluse dal presente giudizio in applicazione di una pacifica
e costante giurisprudenza.
Nel processo amministrativo, è inammissibile
l'intervento ad adiuvandum da parte di chi sia legittimato a proporre
direttamente il ricorso giurisdizionale in via principale, posto che in tale
ipotesi l'interveniente non fa valere un mero interesse di fatto, bensì un
interesse personale all'impugnazione di provvedimenti immediatamente lesivi,
che può essere introdotto solo mediante proposizione di ricorso principale nei
termini decadenziali (Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 21 dicembre 2011 n. 6777).
Al riguardo è opportuno precisare che gli interventi
proposti, almeno per ciò che concerne l’azione di annullamento del decreto
direttoriale n. 14/2/5/2010 del 23.11.2010, risultano essere anche palesemente
tardivi rispetto alla data di pubblicazione del provvedimento citato nella
Gazzetta Ufficiale del 26 marzo 2011.
Come rilevato e comunicato alle parti presenti nel
corso dell’odierna udienza pubblica, ai sensi e per gli effetti dell’art. 73,
comma 3, del c.p.a., la domanda di impugnazione del Decreto Direttoriale della
Direzione Generale dei Lavori e del Demanio n. 14/2/5/2010 del 22 novembre 2010
- con cui si dispone il trasferimento al patrimonio disponibile degli alloggi
da alienare ai sensi dell'art. 2, comma 628, della L. n. 244/07 - è del tutto
inammissibile per difetto di legittimazione ad agire in capo alle parti
ricorrenti.
L’atto in questione è stato adottato in applicazione
dell’art. 306, comma 3, del D.Lgs. 15 marzo 2010 n. 66 (nel teso in vigore dal
9 ottobre 2010 al 26 marzo 2012, cioè antecedente alle modifiche apportate dal
D.Lgs. 24 febbraio 2012, n. 20) che ha sostanzialmente riprodotto la
disposizione normativa contenuta nell’art. 2, comma 628 lett. b), della legge
n. 244 del 2007.
La norma vigente al momento dell’adozione del decreto
dirigenziale generale, impugnato con il ricorso principale, disponeva
testualmente che:
“Al fine della realizzazione del programma pluriennale
di cui all’articolo 297, il Ministero della difesa provvede all’alienazione
della proprietà, dell’usufrutto o della nuda proprietà di alloggi non più
ritenuti utili nel quadro delle esigenze dell'amministrazione, in numero non
inferiore a tremila, compresi in interi stabili da alienare in blocco, con
diritto di prelazione per il conduttore e, in caso di mancato esercizio da
parte dello stesso, per il personale militare e civile del Ministero della
difesa non proprietario di altra abitazione nella provincia, con prezzo di
vendita determinato d’intesa con l’Agenzia del demanio, ridotto nella misura
massima del 25 per cento e minima del 10 per cento, tenendo conto del reddito
del nucleo familiare, della presenza di portatori di handicap tra i componenti
di tale nucleo e dell’eventuale avvenuta perdita del titolo alla concessione e
assicurando la permanenza negli alloggi dei conduttori delle unità immobiliari
e del coniuge superstite, alle condizioni di cui al comma 2, con basso reddito
familiare, non superiore a quello determinato con il decreto ministeriale di
cui al comma 2, ovvero con componenti familiari portatori di handicap, dietro
corresponsione del canone in vigore all’atto della vendita, aggiornato in base
agli indici ISTAT. Gli acquirenti degli alloggi non possono rivenderli prima
della scadenza del quinto anno dalla data di acquisto. I proventi derivanti
dalle alienazioni sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere
riassegnati in apposita unità previsionale di base dello stato di previsione
del Ministero della difesa.”.
Al fine di individuare una loro posizione giuridica
differenziata, nonché legittimante l’impugnazione proposta, le parti istanti
sostengono che la stessa possa trovare fondamento nella previsione del
programma pluriennale del 1 dicembre 2008 e nei provvedimenti per la vendita
manifestatisi nel D.M. 28 gennaio 2010 e nel D.M. 23 giugno 2010, concernenti
il piano annuale di gestione del patrimonio abitativo della difesa
rispettivamente per il 2008 e per il 2009, adottati ai sensi dell’art. 9, comma
7, della legge n. 537 del 1993.
A tal proposito si sostiene che le norme da ultimo
richiamate abilitavano la predetta Amministrazione ad alienare gli alloggi
militari non ubicati nelle infrastrutture militari o, se invece ubicati in tali
infrastrutture non operativamente posti al loro diretto e funzionale servizio,
secondo quanto previsto da un emanando decreto ministeriale.
In tale contesto, i ricorrenti ritengono che il
decreto impugnato con il ricorso principale sia gravemente lesivo della loro
legittima aspettativa di acquisto.
L’assunto posto a fondamento della posizione
legittimante dei ricorrenti, oltre a basarsi su elementi alquanto incerti e
presuntivi, non trova conforto nei precedenti decreti richiamati poiché gli
stessi sono finalizzati a determinare strumenti di pianificazione risalenti al
1993.
Lo stesso art. 2, comma 631, della legge n. 244 del
2007 ha chiaramente stabilito che nessuna rilevanza giuridica dovesse
accordarsi a qualsiasi procedura di alienazione che avesse, eventualmente e
precedentemente, coinvolto gli immobili alloggiativi della Difesa.
Infatti la norma testualmente dispone che:
“L’articolo 26, comma 11-quater, del decreto-legge 30
settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre
2003, n. 326, è abrogato. Gli immobili originariamente individuati per essere
destinati alle procedure di vendita di cui al citato decreto-legge rimangono
nelle disponibilità del Ministero della difesa per l’utilizzo o per
l’alienazione”
Giova, altresì, rilevare che la stessa disciplina
normativa abrogata, nella sua articolazione, escludeva in radice la possibile
acquisizione con diritto di prelazione a favore degli occupanti sine titulo
degli alloggi di servizio.
Il comma 11-quater dell’art. 26 del D.L. n. 269/2003
stabiliva che: “Con le modalità ed alle condizioni previste al capo I del
decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla
legge 23 novembre 2001, n. 410, e successive modificazioni, sono alienati gli
alloggi di cui alla legge 18 agosto 1978, n. 497, non ubicati nelle
infrastrutture militari (139) o, se ubicati, non operativamente posti al loro
diretto e funzionale servizio, secondo quanto previsto con decreto del
Ministero della difesa, né classificati quali alloggi di servizio connessi
all'incarico occupati dai titolari dell'incarico in servizio. La disposizione
di cui al presente comma non si applica agli alloggi che, alla data di entrata
in vigore della legge di conversione del presente decreto, si trovino in una
delle seguenti situazioni: a) sono effettivamente assegnati a personale in
servizio per attuali esigenze abitative proprie o della famiglia, nel rispetto
delle condizioni e dei criteri di cui al regolamento di cui al D.M. 16 gennaio
1997, n. 253 del Ministro della difesa;
b) sono in corso di manutenzione per avvicendamento
dei titolari;
c) sono occupati da soggetti ai quali sia stato
notificato, anche eventualmente a mezzo ufficiale giudiziario, il provvedimento
amministrativo di recupero forzoso.”.
Invece, con l’entrata in vigore dell’art. 306, comma
2, del D.Lgs. n. 66 del 2010, si è data attuazione all’intento del legislatore
di predisporre una pianificazione pluriennale prevista dall’art. 297 del
medesimo decreto legislativo.
La pianificazione pluriennale è, secondo la lettera di
quest’ultimo articolo, funzionale alle esigenze derivanti dalla riforma
strutturale connessa al nuovo modello delle Forze armate, conseguito alla sospensione
del servizio obbligatorio di leva. Per perseguire tale scopo il Ministero della
Difesa ha il potere di predisporre, con criteri di semplificazione, di
razionalizzazione e di contenimento della spesa, un programma pluriennale per
la costruzione, l’acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio di cui
all’ articolo 231, comma 4.
Il predetto programma pluriennale presuppone
l’individuazione di tre categorie di alloggi di servizio:
a) alloggi da assegnare al personale per il periodo di
tempo in cui svolge particolari incarichi di servizio richiedenti la costante
presenza del titolare nella sede di servizio;
b) alloggi da assegnare per una durata determinata e
rinnovabile in ragione delle esigenze di mobilità e abitative;
c) alloggi da assegnare con possibilità di opzione di
acquisto mediante riscatto.
E’ vero che secondo l’art. 26, comma 11 quinquies, del
citato D.L. n. 269 del 2003, il diritto di opzione previsto dai commi 3 e 6
dell'articolo 3 del decreto-legge n. 351 del 2001, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 410 del 2001, spettava solo a coloro che comunque corrispondono
allo Stato un canone o una indennità per l'occupazione dell'alloggio, ma tale
disposizione normativa ha trovato anche essa un’esplicita abrogazione per opera
dell’art. 2268, comma 1, n. 1018), D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66, a decorrere dal
9 ottobre 2010.
In un diverso assetto normativo si colloca, pertanto,
l’adozione del decreto dirigenziale impugnato con il ricorso principale in
esame.
Ne consegue che, dalla disamina delle norme applicate
e dei provvedimenti adottati, non è possibile ricavare alcuna aspettativa
giuridicamente tutelata di acquisto degli immobili occupati dai ricorrenti.
Nè la stessa poteva sorgere dai piani annuali di
gestione del patrimonio abitativo che, essendo uno strumento di pianificazione,
non potevano assurgere a provvedimento diretto a orientare ed a condizionare le
possibili procedure di alienazione.
Infatti, a titolo esemplificativo, è sufficiente
notare che l’art. 2 del richiamato D.M. del 28 gennaio 2010 dispone soltanto
che “Gli utenti di alloggi AST non aventi più titolo alla concessione, ancorché
si tratti di personale in quiescenza o di vedove non legalmente separate né
divorziate, possono mantenere la conduzione dell'alloggio, qualora il reddito
annuo lordo complessivo dei componenti il nucleo familiare conviventi non
superi la somma di euro 40.167,54, incrementata di euro 1.259,59, per ogni
familiare a carico oltre il terzo, purché né gli utenti, né i loro familiari
conviventi siano proprietari di altro alloggio abitabile sul territorio
nazionale. Tali somme sono comprensive della variazione percentuale dell'indice
ISTAT per l'anno 2009. L'utente dichiara, ai sensi del decreto del Presidente
della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, la situazione reddituale del proprio
nucleo familiare ed altresì che lo stesso nucleo non è proprietario di altro
alloggio abitabile sul territorio nazionale.”.
Né l’esame della vigente normativa di settore pone a
favore degli occupanti sine titulo di alloggi di servizio del Ministero della
Difesa una posizione giuridicamente qualificata che possa definirsi, in
rapporto agli atti generali, ampiamente discrezionali, come interesse legittimo
di natura pretensiva da farsi valere avanti i competenti organi della giustizia
amministrativa.
Ciò induce a ritenere inammissibile il ricorso
principale per difetto di una legittimazione ad agire, normativamente
qualificata.
La predetta questione pregiudiziale pone il Collegio
nella condizione di respingere il ricorso proposto per accertare il diritto
all’accesso agli atti amministrativi posti a fondamento dell’adozione del più
volte richiamato Decreto Direttoriale della Direzione Generale dei Lavori e del
Demanio n. 14/2/5/2010 del 22 novembre 2010.
Al riguardo, è sufficiente richiamare il principio di
ordine processuale già enunciato da questa sezione nella ordinanza n. 5853/2013
dell’11 giugno 2013, dove con richiamo ad una conferente giurisprudenza (Cfr.
Cons. Stato, Sez. VI, 10 ottobre 2002 n. 5450), la domanda giudiziale legata
all’accesso è stata qualificata come attività giurisdizionale che si innesta in
un processo già pendente e può essere risolta positivamente soltanto laddove
l’acquisizione sia utile a dirimere la controversia già instaurata.
Prima di procedere all’esame dei motivi aggiunti
riferiti all’impugnazione del Decreto del Ministero della Difesa del 16 marzo
2011 di rideterminazione del canone degli alloggi di servizio militari occupati
da utenti senza titolo, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 122 del 27
maggio 2011, il Collegio ritiene, stante l’infondatezza delle doglianze
prospettate, di poter prescindere dall’esame delle pregiudiziali in rito sollevate
dalla difesa dell’Amministrazione resistente.
In ogni caso, è necessario premettere una sintetica
analisi della situazione giuridica e di fatto dei singoli ricorrenti, in
particolare in riferimento al rapporto che gli stessi hanno con l’immobile
appartenete al patrimonio dell’Amministrazione della difesa, detenuto senza il
rilascio di un titolo astrattamente idoneo a giustificare la situazione di
fatto che in alcuni casi si protrae da più di vent’anni con grave nocumento per
l’organizzazione dell’Amministrazione tenuta a gestire il patrimonio
alloggiativo e con una perdita notevole per le entrate dello Stato nella misura
in cui gli immobili sono rimasti nella disponibilità dei soggetti, privi di
titolo alla concessione in uso, a fronte di un canone che è risultato essere di
gran lunga inferiore ai prezzi dettati dal mercato delle locazioni di immobili
destinati ad uso abitativo
Come descritto chiaramente nella relazione del Comando
Militare della Capitale – Ufficio Affari Generali, Sezione Alloggi – gli alloggi
di servizio che sono investiti dalla presente controversia sono soggetti alla
concessione in uso, ricevendo allo scopo un vincolo di destinazione finalizzato
a consentire all’assegnatario, in quanto dipendente dell’Amministrazione della
Difesa in servizio, la permanenza nella sede di lavoro per sé ed il proprio
nucleo familiare. Da ciò discende che la causa tipica (o meglio l’interesse
pubblico perseguito nei casi di specie) non è quella di soddisfare un’esigenza
abitativa del singolo dipendente, bensì quella di assicurare la piena
efficienza nella prestazione del pubblico servizio attraverso una idonea
collocazione funzionale del militare concessionario.
Sul punto risulta rilevante e significativo un
precedente di questa Sezione (decisione del 10 maggio 2006 n. 3432), secondo la
quale gli alloggi di servizio del personale militare sono beni patrimoniali
indisponibili e, per loro natura, possono formare oggetto di concessioni di
diritto pubblico, e non di negozi di diritto privato; pertanto, legittimamente
l'Amministrazione emana ordini di rilascio in via di autotutela, a nulla
rilevando la presenza di una prestazione patrimoniale a carico dell'utente,
quali che siano la misura e le modalità di accertamento e di pagamento della
medesima ed ancorché tale pagamento continui pur dopo la perdita del titolo ad
occupare l'alloggio.
Del problema dei canoni concessori si è occupato in
particolare il legislatore sin dal 1995.
Infatti, con l’art. 43 della legge finanziaria del
medesimo anno sono state dettate due norme che, pur concernendo entrambe i
canoni concessori degli alloggi di servizio delle FF.AA., si riferivano, la
prima agli alloggi occupati da militari con titolo in corso di validità e la
seconda agli alloggi occupati sine titulo ovvero in regime di proroga della
concessione.
Nei confronti della prima categoria di militari la
norma disponeva che "Ai fini dell’adeguamento dei canoni di concessione
degli alloggi costituenti il patrimonio abitativo della Difesa, fermo restando
la gratuità degli alloggi di cui al n. 1 dell’art. 6 della legge n. 497 del
1978 e l’esclusione di quelli di cui al n. 2 dello stesso articolo, il cui
importo sarà determinato dal Ministro della difesa con proprio decreto da
emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge, si applica un canone determinato su base nazionale ai sensi
dell’articolo 13 della legge 18 agosto 1978, n. 497 (n.d.r: che demanda al
Ministro della Difesa, di concerto con quello dei Lavori pubblici, di stabilire
con propri decreti i criteri per la determinazione dei canoni di concessione,
sulla base delle disposizioni vigenti in materia di definizione dell’equo
canone), ovvero, se più favorevole all’utente, un canone pari a quello
derivante dall’applicazione della normativa vigente in materia di equo
canone".
Nei confronti della seconda categoria di militari,
invece, la norma dispone che: "Alla data di entrata in vigore della
presente legge, agli utenti non aventi titolo alla concessione dell’alloggio,
fermo restando per l’occupante l’obbligo di rilascio, viene applicato, anche se
in regime di proroga, un canone pari a quello risultante dalla normativa
sull’equo canone maggiorato del 20 per cento per un reddito annuo lordo
complessivo del nucleo familiare fino a 60 milioni di lire e del 50 per cento
per un reddito lordo annuo complessivo del nucleo familiare oltre i 60 milioni
di lire. L’Amministrazione della difesa ha facoltà di concedere proroghe
temporanee secondo le modalità che saranno definite con apposito regolamento da
emanare, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge, con decreto del Ministro della difesa".
Due regolamentazioni dunque sensibilmente diverse
(Cfr. sul punto TAR Lazio, Sez. I/bis, 5 luglio 2006 n. 5429).
In relazione al discorso generale sul regime
concessorio dei beni appartenenti al patrimonio alloggiativo del Ministero
della Difesa appare evidente che, in caso di cessazione a qualsiasi titolo del
rapporto di servizio tra il militare e l’amministrazione di appartenenza, venga
meno di per sé la condizione indispensabile di efficacia del provvedimento
concessorio originario.
Pertanto, l’obbligo al rilascio dell’alloggio sussiste
indipendentemente dalla presenza di un eventuale provvedimento formale.
Nella relazione dell’Amministrazione resistente sopra
riportata si pone in evidenza una circostanza alquanto significativa:
nonostante l’inoltro agli occupanti sine titulo di un formale “avviso di
rilascio” - nel quale, in ottemperanza a quanto previsto dai vari regolamenti
emanati nel corso degli anni (dal D.M. del 2 maggio 1980 sino al D.M. 23
gennaio 2004 n. 88), veniva indicato il motivo di estinzione del titolo
concessorio, nonché l’esatta indicazione del giorno entro il quale l’alloggio
doveva essere riconsegnato all’Amministrazione militare – la p.a. non ha poi
intrapreso le attività di recupero forzoso dei suddetti alloggi a causa dei
continui provvedimenti “sospensivi” che più delle volte hanno ricevuto una
copertura legislativa, come da ultimo avvenuto con la legge 244 del 2007.
Fatta questa premessa di ordine storico sistematico, è
chiaro dunque il quadro normativo e provvedimentale in cui va ad inserirsi
l’adozione del contestato D.M. del 16 marzo 2011.
Tale decreto vede la luce in ragione della
disposizione dell’art. 6, comma 21-quater, del D.L. 31 maggio 2010 n. 78 [comma
abrogato dall'art. 2268, comma 1, n. 1085-bis) del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66,
come modificato dall'art. 9, comma 1, lett. p), n. 13) del D.Lgs. 24 febbraio
2012, n. 20], il quale cosi dispone (va):
“Con decreto del Ministero della difesa, adottato
d’intesa con l’Agenzia del demanio, sentito il Consiglio centrale della
rappresentanza militare, si provvede alla rideterminazione, a decorrere dal 1°
gennaio 2011, del canone di occupazione dovuto dagli utenti non aventi titolo
alla concessione di alloggi di servizio del Ministero della difesa, fermo
restando per l’occupante l’obbligo di rilascio entro il termine fissato
dall’Amministrazione, anche se in regime di proroga, sulla base dei prezzi di
mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili
dall’Agenzia del territorio, del reddito dell’occupante e della durata
dell’occupazione. Le maggiorazioni del canone derivanti dalla rideterminazione
prevista dal presente comma affluiscono ad apposito capitolo dell’entrata del
bilancio dello Stato, per essere riassegnate per le esigenze del Ministero
della difesa”
Anche la previsione normativa di riferimento, laddove
espressamente collega l’occupazione sine titulo all’obbligo di rilascio
dell’immobile, non manifesta alcun intento di sanatoria. Per cui rimane
impregiudicato il potere dell’Amministrazione di procedere al recupero forzoso
degli alloggi di servizio in questione.
Venendo al merito del primo atto contenete motivi
aggiunti, con la prima doglianza le parti prospettano la violazione dell’art.
6, comma 21-quater, della legge 30 luglio 2010 n. 122, nella misura in cui il
gravato D.M. del 2011 non rispetta la volontà del legislatore di sottoporre ad
alienazione quei beni occupati senza titolo, ma persegue un mero intento di
raggiungere un guadagno di tipo economico con contestuale conferma dell’obbligo
al rilascio dell’immobile appartenente al patrimonio indisponibile e/o
disponibile del Ministero della Difesa.
Sul punto si ribadisce che i ricorrenti hanno chiesto,
con apposita diffida, di conoscere la destinazione di ogni singolo alloggio
occupato sine titulo in quanto la corresponsione di un fitto di mercato
pregiudicherebbe la legittima aspettativa a sanare la loro posizione attraverso
una procedura di acquisto.
In disparte le questioni di inammissibilità della
doglianza sopra descritta, in ragione degli argomenti sopra illustrati in
merito all’inammissibilità del ricorso principale per difetto di legittimazione
ad agire, la stessa è priva di fondamento poiché, come indicato nelle premesse
generali di ordine sistematico, il D.M. costituisce la diretta esecuzione
dell’art. 6, comma 21-quater D.L. 31 maggio 2010 n. 78, senza affatto
stravolgere il sistema dettato dal legislatore.
In tale articolo, la posizione dei soggetti occupanti
sine titulo gli alloggi delle Forze armate è correttamente qualificata e
nessuna aspettativa di acquisto viene loro assegnata.
Con il secondo motivo aggiunto i ricorrenti
prospettano un vizio di eccesso di potere sotto la forma dello sviamento,
ritenendo che con l’adozione del D.M. del 16 marzo 2011 il Ministero della
Difesa abbia in pratica perseguito un interesse pubblico diverso da quello
previsto dalla legge, che è quello di ottenere, imponendo dei canoni di affitto
non sostenibili dai ricorrenti, la disponibilità degli alloggi senza porre in
essere le pertinenti azioni esecutive di rilascio e senza giungere alla
determinazione degli immobili destinati all’alienazione a terzi.
In sostanza le parti istanti sostengono che la gestione
degli alloggi di servizio, occupati da soggetti non aventi titolo, è
finalizzata ad indurre gli stessi occupanti a rilasciare l’immobile rispetto al
quale non vi è stata alcuna valutazione di utilità contraria alla loro vendita.
Anche tale censura è infondata poiché per ciò che
riguarda l’interesse pubblico perseguito e le modalità ad esso connesse il
gravato decreto è del tutto coerente con la norma di legge che lo prevede, la
quale si preoccupa, invece, di provvedere sin dal 1 gennaio 2011 alla rideterminazione
del canone di occupazione dovuto dagli utenti non aventi titolo alla
concessione di alloggi di servizio del Ministero della Difesa, fermo restando
per l’occupante l’obbligo di rilascio entro il termine fissato
dall’Amministrazione.
Ciò implica che, a prescindere dal D.M. del 2011 e
come ribadito dal legislatore, è immanente in capo ai ricorrenti l’obbligo del
rilascio dell’alloggio di servizio.
Quindi nessuno sviamento di potere è in qualche modo
ipotizzabile.
Con il secondo atto contenete motivi aggiunti si
impugnano gli atti emanati a seguito del procedimento ex L. n. 241 del 1990 e
ricevuti dagli attuali istanti nel mese di ottobre 2011, con i quali è stato
comunicato che si è provveduto ad adeguare al prezzo di mercato il canone di
occupazione relativo all’alloggio utilizzato senza titolo ai sensi del D.M. 16
marzo 2011, già impugnato con il precedente atto contenente motivi aggiunti.
Trattandosi di rideterminazione definitiva del canone
di occupazione per gli utenti degli alloggi dell’Aereonautica Militare, le
parti si riportano ai motivi addotti con il primo atto contenente motivi
aggiunti, i quali, per le argomentazioni illustrate in precedenza, sono del
tutto infondati.
Limitatamente agli alloggi dell’Esercito, per i quali
vi è stata da parte dell’Amministrazione soltanto un rideterminazione
provvisoria dei canoni di occupazione, le parti deducono anche altri motivi di
doglianza.
Con la prima ulteriore censura le parti contestano la
violazione dell’art. 3, comma 3, del D.M. del 16 marzo 2011, nonché dell’art.
6, 21-quater, della citata legge n. 122/2010.
Si tratterebbe di una rideterminazione sperequata
atteso che il quantum del canone è stato calcolato al lordo di quattro
coefficienti di abbattimento (determinazione della superficie convenzionale,
età e stato di manutenzione, piano, posizione ed esposizione dell’immobile in
questione).
Quanto alla provvisorietà, espressamente dichiarata
dagli atti in argomento, si osserva che – come rilevato in ricorso - né
nell’articolo 6, comma 21 quater, del decreto-legge n. 78/2010, né nel decreto
ministeriale 16 marzo 2011 è dato di rinvenire la previsione di un canone
provvisorio, in sostituzione di quello che risulta già - e pure
provvisoriamente - corrisposto da buona parte degli occupanti senza titolo.
Anzi, l’art. 3, comma 3, del decreto ministeriale 16 marzo 2011 prevede
espressamente che al termine della procedura di determinazione del canone i
Comandi o gli organismi competenti emanino “i definitivi provvedimenti
amministrativi di rideterminazione del canone” e provvedano “alla notifica agli
interessati, dalla quale decorre l'applicazione del nuovo canone”.
Né invero il principio di tipicità dei provvedimenti
amministrativi consentirebbe l’adozione di un atto limitativo della sfera
giuridica dei destinatari al di fuori di una previsione normativa primaria.
Da ciò deriva la fondatezza della doglianza,
conformemente a quanto da ultimo stabilito da questa sezione (Cfr. decisione
7925/2012 del 20 settembre 2012).
Con l’ultima censura le parti istanti ritengono che la
rideterminazione del canone di occupazione, nei casi di specie (ed in
particolar modo per quei casi di calcolo definitivo), siano viziati per
violazione del già citato art. 6, comma 21-quater, della legge n. 122/2010 e
per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, nella parte in cui, ai sensi
del comma 1 dell’art. 2 del D.M. del 2011, sia stato computato il periodo di
occupazione senza titolo come indice della determinazione del reddito
complessivo.
Tale criterio di ordine generale sarebbe contrastante
con la mancata cessazione della sussistenza del diritto a detenere l’alloggio.
Secondo il comma 3 dell’art. 2 del D.M. del 16 marzo
2011, il «reddito di riferimento» di cui al comma 2 è:
a)……
b) aumentato per ogni mensilità intera di conduzione
dell'alloggio con decorrenza dalla data della perdita del titolo alla
conduzione dell'alloggio occupato sino alla data del 31 dicembre 2010, con le
seguenti modalità:
1) euro 100 se il reddito di riferimento è compreso
tra euro 40.000 ed euro 55.000;
2) euro 150 se il reddito di riferimento è compreso
tra euro 55.001 ed euro 75.000;
3) euro 200 se il reddito di riferimento è compreso
tra euro 75.001 ed euro 90.000;
4) euro 300 se il reddito di riferimento è superiore
ad euro 90.001.
L’argomento è privo di qualsiasi rilevanza poiché la
durata dell’occupazione sine titulo è posta dalla norma di legge di
riferimento, laddove si dispone, come criterio generale da seguire in sede di
regolamentazione specifica e di secondo grado, che il canone di occupazione è
stabilito anche in base al reddito dell’occupante e della durata
dell’occupazione.
Nè, allo stesso modo, per tutte le argomentazioni
sopra enunciate, è possibile ricavare una disposizione di legge che, nei casi
all’esame, abbia previsto a favore degli occupanti un diritto a detenere gli
alloggi.
Come chiarito in precedenza la disposizione dell’art.
26, comma 11-quater, della legge n. 326 del 2003 (rectius del D.L. 30 settembre
2003 n. 269), lungi dall’affermare o costituire un diritto alla detenzione
degli immobili a favore degli occupanti senza titolo, risulta essere stata
abrogata dal comma 631 dell'art. 2, L. 24 dicembre 2007, n. 244 con successiva
conferma da parte dell'art. 2268, comma 1, n. 1018), D.Lgs. 15 marzo 2010, n.
66.
Per tutte le argomentazioni sopra si dovrà
estromettere dal giudizio tutti i soggetti interventori ad adiuvandum,
dichiarare inammissibile il ricorso principale per difetto di legittimazione ad
agire - respingendo nel contempo la connessa azione per far valere il diritto
di accesso agli atti, respingere il primo atto contenente motivi aggiunti
perché infondato ed accogliere, in parte, il secondo atto di motivi aggiunti, limitatamente
alla prima doglianza, per violazione dell’art. 3 del D.M. 16 marzo 2011 e,
conseguentemente, annullare i provvedimenti di rideterminazione provvisoria del
canone di occupazione degli alloggi dell’Esercito, facendo comunque salvi gli
ulteriori provvedimenti della p.a.
La complessità delle questioni affrontate induce a
ritenere sussistenti giusti motivi per compensare fra le parti le spese di
giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in
epigrafe proposto, estromette dal giudizio gli interventori, dichiara
inammissibile il ricorso principale, respinge il ricorso per l’accesso agli
atti, respinge, in parte, i motivi aggiunti ed accoglie la prima censura contenuta
nel secondo atto di motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla i provvedimenti
con tale ultimo atto impugnati nei sensi e nei modi di cui in motivazione.
Compensa fra le parti le spese di giudizio
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 16 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Silvio Ignazio Silvestri, Presidente
Francesco Riccio, Consigliere, Estensore
Floriana Rizzetto, Consigliere
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/10/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)