venerdì 5 luglio 2013

APPALTI: natura, effetti, impugnazione dell'aggiudicazione provvisoria (Cons. St., Sez. III, sentenza 7 maggio 2012 n. 2613).


APPALTI: 
natura, effetti, impugnazione
 dell'aggiudicazione provvisoria 
(Cons. St., Sez. III, sentenza 7 maggio 2012 n. 2613)


Massima

1.  E’ noto come, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, l’aggiudicazione provvisoria di un appalto o di un servizio pubblico abbia natura di atto endoprocedimentale, inidoneo a produrre la definitiva lesione dell’interesse dell’impresa che non sia risultata vincitrice, lesione, che si verifica soltanto con l’aggiudicazione definitiva.
Tuttavia, sempre secondo tale indirizzo, l’impresa non aggiudicataria ha non l’onere, ma la mera facoltà di impugnare immediatamente l’aggiudicazione provvisoria.
Nondimeno, sul soggetto che, pur non essendovi tenuto, abbia impugnato immediatamente ed in via autonoma il provvedimento di aggiudicazione provvisoria, grava l’onere di impugnare, in un secondo momento, anche l’aggiudicazione definitiva, pena l’improcedibilità del primo ricorso: l’aggiudicazione definitiva infatti non è un atto meramente confermativo od esecutivo di quella provvisoria, ma un provvedimento, che, anche quando recepisca integralmente i risultati dell’aggiudicazione provvisoria, postula una nuova ed autonoma valutazione, pur facendo parte della medesima sequenza procedimentale; coerentemente, si ritiene pertanto necessaria l’impugnazione autonoma dell’aggiudicazione definitiva, nonostante la precedente contestazione dell’aggiudicazione provvisoria ovvero del provvedimento di esclusione dalla gara.
2.  Va però osservato, in aggiunta a quanto precede, che la parte che sceglie la via dell’immediata contestazione dell’aggiudicazione provvisoria è comunque tenuta a rispettare il termine perentorio di impugnativa e, pertanto, ha l’onere di dedurre, nei confronti degli atti conosciuti al momento della proposizione del ricorso diretto contro l’aggiudicazione stessa, tutti i motivi di doglianza.
Da ciò discende che, in occasione dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, la parte ricorrente non potrà dedurre contro gli atti indittivi o di espletamento della gara ulteriori motivi, che avrebbe potuto proporre in precedenza, essendo pertanto suo ònere, una volta che abbia operato la scelta di impugnare l’aggiudicazione provvisoria, dedurre subito tutti i vizii, di cui sia già a conoscenza, che a suo avviso inficiano il procedimento di gara e non essendole dunque consentito di “centellinare” le censùre, selezionandole tra quelle da far valere immediatamente e quelle da riservare al prosieguo della procedura.
Il perimetro delle censure indirizzabili contro l’aggiudicazione definitiva - quando, si ribadisce, sia stata già impugnata quella provvisoria - si riduce pertanto agli eventuali vizii proprii di detto ultimo atto o, al più, ai vizii di nuovi atti del procedimento, sopravvenuti all’aggiudicazione provvisoria.
In occasione dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, la parte che abbia già proposto ricorso contro quella provvisoria potrà inoltre dedurre anche motivi relativi agli atti già avversati, ma alla sola condizione che siffatti ulteriori motivi trovino giustificazione e fondamento in circostanze non precedentemente conosciute ( C.G.A.R.S., 28 luglio 2011, n. 519 ).



Sentenza per esteso


INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9221 del 2011, proposto da:
CO.BAR S.p.A.,
in persona del legale rappresentante p.t.,
in proprio e nella qualità di mandataria del costituendo RTI con COFELY ITALIA S.p.A., FORA S.p.A., IGNAZIO ALI’ S.p.A., PROGER S.p.A., STUDIO ASSOCIATO MAGNANIMO & C., MIRIZZI ARCHITETTI ASSOCIATI,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Patrizio Leozappa, Marco Annoni e Gianluigi Pellegrino ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Roma, via Giovanni Antonelli, 15,
contro
il Consorzio Cooperative Costruzioni, CCC Società Cooperativa,
in persona del legale rappresentante p.t.,
in proprio e quale mandataria dell’ATI con INSO, SISMED, GLOCAL CANTIERI, EDILGAMMA SOCIETA’ GENERALE COSTRUZIONI, CSPE, AEI PROGETTI, STUDIO TI SOCIETA’ COOPERATIVA ed ARON IACOPO BAGLINI,
costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Angelo Clarizia e Federico Massa ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo, in Roma, via Principessa Clotilde, 2,
nei confronti di
- Azienda Sanitaria Locale di Lecce,
in persona del legale rappresentante p.t.,
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv.to Ernesto Sticchi Damiani ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso, in Roma, via Bocca di Leone, 78;
- Salvatore Matarrese S.p.A.,
in persona del legale rappresentante p.t.,
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv.to Pietro Quinto ed elettivamente domiciliata presso Alfredo Placidi, in Roma, via Cosseria, 2,
per la riforma
del dispositivo di sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE -: SEZIONE II n. 01862/2011, nonché della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE - SEZIONE II n. 02070/2011, resi tra le parti, concernenti APPALTO COSTRUZIONE DI UNA NUOVA STRUTTURA OSPEDALIERA.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visti i motivi aggiunti successivamente proposti;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive domande e difese;
Vista l’Ordinanza n. 226/2012, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 20 gennaio 2012, di reiezione della domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta, alla pubblica udienza del 2 marzo 2012, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace;
Uditi, alla stessa udienza, gli avv.ti Patrizio Leozappa, Marco Annoni e Gianluigi Pellegrino per l’appellante, gli avv.ti Angelo Clarizia e Federico Massa per il Consorzio appellato, l’avv. Ugo Patroni Griffi, in sostituzione dell’avv. Ernesto Sticchi Damiani, per la parte pubblica e l’avv. Maria Teresa Collico, in sostituzione dell’avv. Pietro Quinto, per la controinteressata evocata;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO
1. - L’odierna appellante, avendo partecipato alla procedura aperta per l’affidamento della « PROGETTAZIONE ESECUTIVA, ESECUZIONE DEI LAVORI, FORNITURA DI APPARECCHIATURE ELETTROMEDICALI ED ARREDI PER LA REALIZZAZIONE DI UNA NUOVA STRUTTURA OSPEDALIERA NEL PLESSO DEL P.O. VITO FAZZI – DIPARTIMENTO DI EMERGENZA URGENZA » da aggiudicarsi in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa per un importo a base d’asta di Euro 96.779.459,64= ed essendo risultata aggiudicataria ( prima provvisoria e poi definitiva ) della gara, impugna ( prima con appello avverso il dispositivo e poi con motivi aggiunti proposti a séguito della pubblicazione delle motivazioni ), la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, in accoglimento del ricorso ( con successivi motivi aggiunti ) proposto dalla seconda classificata nella graduatoria della gara medesima, ha annullato l’atto di ammissione della sua offerta alla procedura, nonché i provvedimenti di aggiudicazione provvisoria e definitiva in suo favore, accogliendo altresì la domanda di risarcimento in forma specifica avanzata dalla ricorrente.
2. – Il Giudice di prime cure, dichiarata l’irricevibilità del ricorso incidentale da essa proposto per contestare la procedura di gara in relazione alla mancata esclusione dalla stessa del Consorzio ricorrente principale, ha, in particolare, ritenuto fondati:
- il primo motivo del ricorso principale introduttivo, riproposto anche con i motivi aggiunti indirizzati avverso l’aggiudicazione definitiva, con il quale la ricorrente aveva dedotto l’illegittimità dell’ammissione dell’offerta presentata dall’A.T.I. ( odierna appellante ) poi risultata aggiudicataria, per violazione del términe ultimo stabilito per la presentazione delle offerte;
- il secondo motivo dei primi motivi aggiunti, relativo all’asserita illegittimità degli atti di gara, che hanno portato alla riammissione di detta offerta dopo che nella prima seduta di gara, tenutasi il 20 ottobre 2010, essa era stata esclusa dalla gara, come risulta dal relativo verbale, “per le irregolarità esplicitate nel punto 16.1 del disciplinare e cioè per aver presentato il plico dell’offerta oltre il termine perentorio delle ore 12.00 del giorno stabilito dal bando di gara 18/10/2010 con mezzo idoneo”;
- il terzo atto di motivi aggiunti, nella parte in cui la ricorrente deduceva la violazione dell’art. 37 del D. Lgs. n. 163/2006, per non essere i soggetti, individuati come progettisti mandanti nella costituenda A.T.I. risultata aggiudicataria, in possesso dei requisiti di capacità economico- finanziaria e tecnico professionale richiesti dal bando di gara in misura proporzionale alle quote di partecipazione della costituenda ATI di progettisti.
La sentenza è appellata dall’originaria aggiudicataria soccombente in primo grado, che ne critica le statuizioni sia quanto alla tardività, affermata dal T.A.R., del ricorso incidentale da essa proposto in primo grado avverso l’ammissione alla gara della ricorrente principale, sia quanto al conseguente mancato scrutinio dei gravi vizii che a suo avviso inficierebbero la partecipazione alla gara dell’A.T.I. ricorrente principale, sia, infine, quanto alle censùre, proposte in primo grado col ricorso principale introduttivo e con successivi motivi aggiunti, accolte dal T.A.R.
Si è costituita in giudizio l’Azienda Unità Sanitaria Locale Lecce, stazione appaltante, che, con successiva memoria in data 13 dicembre 2011, prospetta le ragioni di legittimità degli atti oggetto di gravame e, pertanto, l’erroneità della sentenza appellata.
Si è pure costituita in giudizio l’appellata vittoriosa in primo grado, sostenendo, anche con successiva memoria depositata in data 17 gennaio 2012, l’infondatezza dell’appello.
Si è anche costituita con controricorso, sviluppando poi le sue tesi con successiva memoria in data 18 gennaio 2012, la terza classificata nella graduatoria della gara in argomento, già intervenuta ad adiuvandum nel giudizio di primo grado, per affermare la correttezza della decisione del T.A.R. sia quanto alla declaratoria di intempestività del ricorso incidentale ivi proposto, sia quanto all’accoglimento del primo motivo del ricorso principale di primo grado.
Con Ordinanza n. 226/2012, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 20 gennaio 2012, è stata respinta la domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata.
Con memorie rispettivamente in data 13 e 15 febbraio 2012 le parti private appellata ed appellante hanno ulteriormente focalizzato la loro attenzione su alcuni dei profili controversi.
Con memorie di replica in data 20 febbraio 2012 entrambe dette parti sono tornate in particolare sui profili di tempestività, ammissibilità e fondatezza del ricorso incidentale proposto in primo grado.
La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 2 marzo 2012.
3. – Va, anzitutto, in rito, precisato che l’Amministrazione soccombente in primo grado, notificataria dell’appello in esame, si è costituita, per di più con semplice atto non notificato alle controparti, reiterando peraltro le difese già svolte in primo grado e predicando l'erroneità della sentenza impugnata: essa ha con ciò assunto una posizione di contestazione della sentenza del Tar ed adesiva alla posizione della controinteressata originaria aggiudicataria, proponente l'appello in questione.
Ne discende, in questa sede, l'inammissibilità delle predette deduzioni di sostanziale contestazione della sentenza che ha definito il primo grado di giudizio, atteso che l'Amministrazione soccombente in tale sede ha l'onere di proporre appello e non ha legittimazione, quale parte principale e necessaria del giudizio di primo grado, ad assumere, nel giudizio di impugnazione, una posizione adesiva di mero interveniente, che, pur senza integrare il thema decidendum, è in realtà vòlta a rimuovere una situazione di soccombenza "principale" sancita dal "decisum" di primo grado ( Cons. St., VI, 22 novembre 2010, n. 8132; da ultimo, Cons. St., III, 21 dicembre 2011, n. 6777 ).
4. – Venendo al mérito del proposto appello, il Collegio ritiene che, sulla questione dell’ordine di priorità della trattazione del ricorso principale e del ricorso incidentale di primo grado ( che condiziona ineludibilmente l’analoga questione inerente i motivi di appello proposti avverso la declaratoria di irricevibilità del secondo ed avverso le statuizioni di accoglimento del primo ), posta in discussione dall’appellata e dall’interveniente ad adiuvandum con riferimento alla fase della gara nella quale si collocano i vizii reciprocamente denunciati con detti ricorsi, si sia formato il giudicato interno, non essendo stata contestata dalle deducenti con apposito appello incidentale l’espressa statuizione del Giudice di primo grado, che ha ritenuto di “dover partire dall’esame del ricorso incidentale, essendo alcune delle censure sollevate dalla ricorrente incidentale dirette a contestare la stessa legittimazione processuale del ricorrente principale alla impugnativa” ( pag. 8 sent. ).
Tanto osta insuperabilmente alla possibilità di rimettere qui in discussione l’ordine di trattazione delle dette questioni, ormai inoppugnabilmente definito.
5. – Si può passare, allora, all’esame della contestazione, mossa con l’atto di appello e con i successivi motivi aggiunti, della declaratoria, recata dalla sentenza impugnata, di irricevibilità del ricorso incidentale in primo grado proposto dall’odierna appellante.
Osservato, invero, che con esso è stata contestata l’ammissione della ricorrente principale alla procedura di gara e conseguentemente la sua legittimazione alla impugnativa, il T.A.R. ha statuito che l’interesse alla sua proposizione è “emerso non a seguito della emanazione dell’atto di aggiudicazione definitiva e della sua impugnazione da parte del Consorzio ricorrente, ma immediatamente già a seguito della impugnazione dell’atto di aggiudicazione provvisoria” ( pag. 11 sent. ).
Detto interesse, dunque, si ràdica, secondo il Giudice di primo grado, “già dalla impugnazione dell’atto di aggiudicazione provvisoria” ( pag. 10 sent. ), anziché, come ritenuto dalla ricorrente incidentale odierna appellante, a séguito dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva avvenuta con motivi aggiunti; donde, conclude il T.A.R., l’irricevibilità, nel caso di specie, del ricorso incidentale proposto, essendo stato esso “notificato (in data 3 giugno 2011) ben oltre il termine di 60 (sessanta) giorni dalla notificazione del ricorso introduttivo del giudizio (in data 21 gennaio 2011)”: pag. 12 sent.
Obietta in proposito l’appellante, con dovizia di deduzioni, che, una volta che gli atti di gara ( ivi compresa l’ammissione dei concorrenti ) siano divenuti definitivi con l’approvazione dell’aggiudicazione definitiva e che l’aggiudicazione stessa sia stata impugnata con motivi aggiunti nel ricorso già proposto dal concorrente avverso l’aggiudicazione provvisoria, non può che considerarsi tempestivo il ricorso incidentale proposto nel términe previsto dagli artt. 42 e 120 c.p.a. decorrente dalla ricevuta notificazione dei motivi aggiunti, anziché, come ritenuto dal T.A.R., dalla notificazione del ricorso principale diretto avverso l’aggiudicazione provvisoria.
E’ invero, secondo le tesi di appello, l’ammissione “definitiva” del ricorrente principale l’atto, da cui questi “trae legittimazione alla sua impugnazione avverso l’aggiudicazione definitiva” ( pag. 4 mott. agg. ), sì che è a partire da tale impugnativa che decorrono i términi per la proposizione del ricorso incidentale, che quella ammissione intenda contestare; tanto più, aggiunge l’appellante, che “la domanda di annullamento dell’aggiudicazione definitiva costituisce domanda nuova e di per sé autonoma rispetto alla precedente domanda di annullamento dell’aggiudicazione provvisoria … [ alla quale ] la parte intimata può rispondere con ogni eccezione ( riconvenzionale o meno ) o controdomanda, volta a paralizzare l’iniziativa avversaria” ( pagg. 4 – 5 mott. agg. ).
Le pur suggestive tesi d’appello non convincono e la sentenza va sul punto confermata.
E’ noto come, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, l’aggiudicazione provvisoria di un appalto o di un servizio pubblico abbia natura di atto endoprocedimentale, inidoneo a produrre la definitiva lesione dell’interesse dell’impresa che non sia risultata vincitrice, lesione, che si verifica soltanto con l’aggiudicazione definitiva.
Tuttavia, sempre secondo tale indirizzo, l’impresa non aggiudicataria ha non l’onere, ma la mera facoltà di impugnare immediatamente l’aggiudicazione provvisoria.
Nondimeno, sul soggetto che, pur non essendovi tenuto, abbia impugnato immediatamente ed in via autonoma il provvedimento di aggiudicazione provvisoria, grava l’onere di impugnare, in un secondo momento, anche l’aggiudicazione definitiva, pena l’improcedibilità del primo ricorso: l’aggiudicazione definitiva infatti non è un atto meramente confermativo od esecutivo di quella provvisoria, ma un provvedimento, che, anche quando recepisca integralmente i risultati dell’aggiudicazione provvisoria, postula una nuova ed autonoma valutazione, pur facendo parte della medesima sequenza procedimentale (in termini si veda, tra i molti precedenti, Cons. St., sez. V, 23 novembre 2010, n. 8153); coerentemente, si ritiene pertanto necessaria l’impugnazione autonoma dell’aggiudicazione definitiva, nonostante la precedente contestazione dell’aggiudicazione provvisoria ( ch’è meramente facoltativa: cfr. Cons. St., V, 9 ottobre 2007, n. 5253 ), ovvero del provvedimento di esclusione dalla gara ( ch’è necessariamente immediata: cfr. Cons. St., V, 1 agosto 2007, n. 4268; 4 maggio 2005, n. 2168 e, da ultimo, 14 dicembre 2011, n. 6539 ).
Va però osservato, in aggiunta a quanto precede, che la parte che sceglie la via dell’immediata contestazione dell’aggiudicazione provvisoria è comunque tenuta a rispettare il termine perentorio di impugnativa e, pertanto, ha l’onere di dedurre, nei confronti degli atti conosciuti al momento della proposizione del ricorso diretto contro l’aggiudicazione stessa, tutti i motivi di doglianza.
Da ciò discende che, in occasione dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, la parte ricorrente non potrà dedurre contro gli atti indittivi o di espletamento della gara ulteriori motivi, che avrebbe potuto proporre in precedenza, essendo pertanto suo ònere, una volta che abbia operato la scelta di impugnare l’aggiudicazione provvisoria, dedurre subito tutti i vizii, di cui sia già a conoscenza, che a suo avviso inficiano il procedimento di gara e non essendole dunque consentito di “centellinare” le censùre, selezionandole tra quelle da far valere immediatamente e quelle da riservare al prosieguo della procedura.
Il perimetro delle censure indirizzabili contro l’aggiudicazione definitiva - quando, si ribadisce, sia stata già impugnata quella provvisoria - si riduce pertanto agli eventuali vizii proprii di detto ultimo atto o, al più, ai vizii di nuovi atti del procedimento, sopravvenuti all’aggiudicazione provvisoria.
In occasione dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, la parte che abbia già proposto ricorso contro quella provvisoria potrà inoltre dedurre anche motivi relativi agli atti già avversati, ma alla sola condizione che siffatti ulteriori motivi trovino giustificazione e fondamento in circostanze non precedentemente conosciute ( C.G.A.R.S., 28 luglio 2011, n. 519 ).
Calando siffatto nitido quadro di principii all’esame dei rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale ( che, per giurisprudenza ormai consolidata, è lo strumento attraverso il quale il soggetto che assume la posizione di controinteressato tende a paralizzare l'azione principale, impugnando lo stesso provvedimento avverso il quale tale azione è diretta, ovvero un altro atto non oggetto di censure, ma connesso al primo, facendo valere vizii diversi da quelli dedotti dal ricorrente, che, ove considerati fondati, condurrebbero all'annullamento dell'atto in favore del ricorrente incidentale ed alla sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente principale in ordine alla originaria impugnazione, da cui quest'ultimo non trarrebbe alcuna utilità per effetto dell'accoglimento della controimpugnazione: cfr. Cons di Stato, Sez. V, 8 maggio 2002, n. 2468 e 11 maggio 2007, n. 2356 ), risulta chiaro che, una volta che il ricorrente principale abbia ( come avvenuto nel caso di specie ) esercitato la facoltà di impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria ( così nel contempo precludendosi la formulazione, in sede di impugnazione dell’aggiudicazione definitiva quale atto conclusivo del procedimento di selezione del contraente, di ulteriori censure avverso gli atti inseritisi nel contesto procedimentale che ha portato all’aggiudicazione provvisoria fatta oggetto di gravame ), egli ha così delimitato, com’è proprio di qualsivoglia azione giurisdizionale, il campo ( ed il tempo ) delle eccezioni e controdomande volte a paralizzare l’iniziativa avversaria proponibili nel processo amministrativo dal controinteressato, l’interesse alla cui proposizione, com’è proprio appunto del ricorso incidentale, sorge “in dipendenza della domanda proposta in via principale” ( come richiesto dall’art. 42 c.p.a. ), la quale, nella misura in cui esaurisce il novero delle questioni di legittimità proponibili avverso l’atto impugnato e la relativa sequenza procedimentale, ònera l’avversario a far valere, nel términe di decadenza previsto dall’ordinamento, quell’interesse all’impugnativa incidentale, che non poteva sorgere anteriormente alla proposizione del ricorso principale ( giacché l’atto con lo stesso gravato è, nel suo assetto originario, di per sé satisfattivo degli interessi del controinteressato ) e che ricomprende l’intero arco delle eccezioni e domande in grado di paralizzare l’iniziativa avversaria ormai cristallizzata nel suo petitum; tanto in ragione del principio dell’effettività della tutela e del rispetto del cànone della ragionevole durata del giudizio, oltre che dei principii di correttezza e buona fede oggettiva, la cui rilevanza in ambito processuale è da tempo riconosciuta dalla giurisprudenza.
Nella misura in cui, dunque, il titolo di legittimazione all’impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria deriva al ricorrente principale dalla sua ammissione alla gara sfociata in quell’aggiudicazione, l’interesse del controinteressato a reagire con ricorso incidentale a detta impugnazione per negare la sussistenza di quel titolo nasce, per effetto della scelta difensiva operata dal ricorrente principale di impugnare appunto l’aggiudicazione provvisoria, con la notifica del ricorso principale, che vale a fissare ineluttabilmente il momento delle scelte, utili alla tutela della sua situazione giuridica, anche per il controinteressato.
Ne deriva che quello stesso interesse del controinteressato medesimo non potrà, al momento della successiva proposizione da parte del ricorrente principale dei motivi aggiunti diretti contro l’aggiudicazione definitiva, che intendersi limitato al “campo” di difesa ( e di reazione ) alle nuove censure in quella sede proposte per lamentare i vizii proprii degli atti della serie procedimentale successiva alla aggiudicazione provvisoria.
Si chiarisce in questo modo, insomma, che il ricorso incidentale assume un contenuto complesso sì, ma innestato nella matrice comune della “difesa attiva” ( Cons. St., ad. plen., 7 aprile 2011, n. 4 ) e siffatta “difesa attiva” non può non risentire, pena l’abuso dello strumento processuale a scàpito delle controparti, delle preclusioni, che gravano sul ricorrente principale una volta che si sia avvalso della facoltà di impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria; preclusioni, queste, che, in perfetta adesione al principio della parità delle parti nel processo, si riflettono sul novero ( e sui tempi di proposizione ) delle ragioni deducibili col ricorso incidentale, l’interesse alla cui proposizione sorge allora indefettibilmente in dipendenza della notificazione del ricorso principale ( che vale a cristallizzare il thema decidendum con riguardo non solo agli atti con lo stesso aggrediti ma anche agli atti successivi della procedura, nei confronti dei quali potranno essere dedotti soltanto vizii proprii ) e non può certo ritenersi posposto ad un momento successivo (quello dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva), sì che la “nuova domanda concernente i nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara” ( art. 120, comma 7, c.p.a. ) non potrà essere “bloccata” da eccezioni e deduzioni, che avrebbero dovuto proporsi tempestivamente nei confronti del ricorso principale (anche a tutela dell’interesse pubblico alla certezza dell’azione amministrativa autoritativa, cui è connaturata la previsione di termini di decadenza per l’azione in giudizio e per ogni utile “reazione” ad essa) , avendo in fin dei conti le due “domande” oggetti diversi.
D’altra parte, e per concludere sul punto, l’alterazione della corretta sequenza della domande, eccezioni e controdomande sottoposte allo scrutinio del Giudice rappresenterebbe, all’evidenza, la contraddizione del principio di parità delle parti, snaturando la régola dello sviluppo logico del giudizio quale sede di confronto delle posizioni espresse dai litiganti, pur sempre indefettibilmente governato, in piena sintonia con le régole costituzionali in materia di tutela giurisdizionale, dalla necessità di riscontro dei prescritti requisiti della domanda e della regolarità della costituzione del rapporto processuale.
Quanto appena sopra precisato consente anche di respingere la domanda di rimessione in termini per errore scusabile formulata in via subordinata dall’appellante in relazione alla “tesi del T.A.R. … del tutto nuova e niente affatto scontata” ( pag. 8 mott. agg. ), essendosi il T.A.R., così come questo Giudice di appello, limitato a dichiarare in via ricognitiva principii generali del processo amministrativo, direttamente pertinenti al presente giudizio, a fronte di un quadro normativo ( generale e settoriale ), chiaramente definito quanto ai termini di impugnazione.
D’altronde, la presumibile vasta conoscenza degli istituti giuridici e dei pertinenti mezzi di tutela, che indubbiamente caratterizza le parti del presente giudizio, rende inconfigurabile, a danno della ricorrente incidentale odierna appellante, una qualsivoglia difficoltà nella domanda di giustizia od un’effettiva diminuzione della tutela giustiziale ( Cons. St., IV, 22 maggio 2006, n. 3026; VI, 17 ottobre 1988, n. 1140 ); né è da sottacere che un uso eccessivamente ampio del riconoscimento dell’erriore scusabile, lungi dal rafforzare l’effettività della tutela giurisdizionale, potrebbe risolversi in un vulnus del principio di parità delle parti (art. 2, comma 1, Cod. proc. amm.), quanto a rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge processuale [ Cons. Stato, Ad. plen., 2 dicembre 2010, n. 3; da ultimo, Cons. St., VI, 13 dicembre 2011, n. 6531 ].
6. – Una volta escluso, per effetto della veduta intempestività del ricorso incidentale di primo grado, qualsiasi scrutinio circa l’ammissibilità del ricorso principale ivi proposto sotto il profilo della pretesa “perdita di legittimazione” della ricorrente alla proposizione del ricorso stesso, si può passare all’esame del motivo di appello che contesta l’accoglimento di detto ricorso nella parte in cui censurava l’operato dell’Amministrazione per non aver escluso definitivamente dalla gara l’A.T.I. poi risultata aggiudicataria ( odierna appellante ) nonostante che questa avesse presentato la propria offerta oltre il termine ultimo fissato dalla lex specialis per la presentazione delle offerte ( ore 12,00 del 18 ottobre 2011 ).
Anche tale doglianza è infondata.
E’ principio consolidato quello, secondo cui l'inosservanza delle prescrizioni del bando di gara circa le modalità di presentazione delle offerte implica l'esclusione dalla gara, in presenza di una espressa previsione e comminatoria di esclusione, che non consente peraltro al giudice amministrativo di sovrapporre le proprie valutazioni a quelle dell'amministrazione che ha predisposto la lex specialis, dato che il cd. criterio teleologico ha un valore esclusivamente suppletivo rispetto a quello letterale.
Non appare poi superfluo rilevare che le norme del bando, della cui osservanza qui si controverte, non risultano in parte qua impugnate né in via principale né in via incidentale, sì che risultano del tutto incongrue le opposte, ma speculari, difese delle contendenti, tese ad interrogarsi sulla legittimità e ragionevolezza della previsione di gara di cui si discute in ipotesi di interpretazione della stessa contraria alle rispettive tesi.
Al riguardo va anche osservato che, tenendo conto delle disposizioni recate dalle preleggi in tema di interpretazione della legge e di quelle dettate in tema di interpretazione dei contratti dall’art. 1362 c.c., il criterio del significato letterale delle parole costituisce mezzo prioritario e fondamentale per la ricerca dell'intenzione delle parti, attribuendo ad ogni frase o parola il significato che loro è proprio secondo la connessione logica delle stesse.
Ne deriva che il Giudice, prima di accedere a successivi e sussidiarii parametri di interpretazione, deve dare ragione dell'equivocità o dell'insufficienza del dato letterale, a meno che l'inidoneità di tale dato non sia di palmare evidenza ( in tal senso: Cass. Civ., I, 20 marzo 1996, n. 2372, nonché Cons. St., VI, 2 marzo 2011, n. 1297 ).
Orbene, nel caso di specie non è ravvisabile alcuna insufficienza del dato letterale, stante la portata inequivoca, correttamente posta in evidenza dal T.A.R., dell’indicazione recata dalla legge di gara di un unico, inderogabile, términe per la presentazione delle offerte, “con qualsiasi mezzo idoneo” pervenute.
Ed infatti:
- l’art. IV.3.4) del Bando di gara reca ( conformemente a quanto previsto dall’art. 64 e dall’Allegato IX/A del Codice dei contratti pubblici, che individuano appunto il Bando quale sede di siffatta informazione ) l’indicazione del “termine per il ricvevimento dell’offerta o delle domande di partecipazione Data: 18/10/2010 Ora 12.00”;
- il Disciplinare di gara, che disciplina appunto la gara unitamente al Bando ( v. art. VI.3) “Informazioni complementari” del Bando ) e che integra le condizioni generali in particolare quanto alle modalità di presentazione dell’offerta ( v. premessa al Disciplinare stesso ), consta, per quanto qui interessa, di quattro commi, posti in logica successione tra loro.
Il primo (“i plichi contenenti le offerte e la documentazione richiesta dovranno pervenire, a pena esclusione dalla gara, entro il termine perentorio delle ore 12,00 del giorno stabilito nel bando di gara – 18.10.2010 – con qualsiasi mezzo idoneo”) ribadisce il termine già previsto nel bando, ponendolo come perentorio ed inderogabile e specificando, con la formula “con qualsiasi mezzo idoneo”, ch’esso è riferito sia all’ipotesi di plico spedito per posta che a quella di plico consegnato a mano;
Una volta così individuato il termine ( unico ), i commi successivi si volgono a disciplinare le modalità di presentazione delle offerte:
- “il plico deve essere indirizzato a: Azienda Sanitaria Locale LE di Lecce – via Miglietta, 5 – 73100 LECCE”; così indicando esattamente l’indirizzo del destinatario per il caso di spedizione a mezzo posta;
- “è altresì facoltà dei concorrenti” ( dove la congiunzione “altresì” vale ad indicare appunto l’ulteriore modalità di recapito lasciata alla libera scelta del concorrente rispetto a quella individuata al comma che precede ) “la consegna a mano dei plichi, orario dal lunedì al venerdì 08.30/13.30 – all’Ufficio Protocollo della stazione appaltante che ne rilascerà ricevuta su specifica richiesta”.
Ed invero, dunque, l’indicazione, nell’àmbito della specificazione della “modalità” di consegna a mano, dell’orario dell’Ufficio Protocollo, proprio per la sua collocazione e per il suo chiaro significato letterale, non ha affatto, come pretenderebbe l’appellante ( secondo cui l’orario di chiusura dell’ufficio protocollo coinciderebbe con il termine di presentazione delle offerte consegnate a mano ), carattere derogatorio dell’unico termine di presentazione in via generale stabilito al primo comma per “qualsiasi mezzo idoneo” di consegna previsto, ma vale solo a rendere edotti i concorrenti, che tale modalità avessero prescelto, del “normale” orario di apertura dell’Ufficio Protocollo presso il quale bisognava consegnare i plichi, fermo, in ogni caso, il rispetto del termine orario ( ore 12,00 ) nell’ultimo giorno di accettazione delle offerte.
Del resto, che tale sia la corretta, ed unica, possibile interpretazione letterale e logica delle norme sopra descritte ben si evince dal tenore del successivo quarto comma, che, nello stabilire che “ai fini dell’arrivo dei plichi farà fede il timbro e l’orario apposti dall’Ufficio Protocollo”, presuppone, appunto, la rilevanza in ogni caso dell’orario di arrivo ( almeno nell’ultimo giorno di presentazione delle offerte ), laddove, invece, accedendo alla veduta tesi dell’appellante ( secondo cui anche in tale ultimo giorno qualsiasi offerta presentata durante l’apertura dell’ufficio protocollo sarebbe da considerarsi in termine ), la disposizione si rivelerebbe priva di senso ed inutiliter data.
Letteralmente e logicamente interpretate, pertanto, le norme del bando e del disciplinare in questione escludono qualsiasi ragionevole ipotesi di doppio termine per la presentazione dei plichi delle offerte ( l’uno valevole per i plichi consegnati a mano e l’altro per le modalità di recapito diverse ), sì che, non versandosi in fattispecie di incertezza circa l’interpretazione d’una clausola ambigua, rispetto agli invocati principii di favor per la più ampia partecipazione dei concorrenti e di tutela dell’affidamento di questi, deve darsi prevalenza alla volontà di sanzionare con l’esclusione l’inosservanza di una specifica modalità di presentazione delle offerte ( nella fattispecie, il termine ), chiaramente espressa nel bando e nel disciplinare di gara e rimasta altresì, come s’è detto, inoppugnata.
7. – Comportando la reiezione dell’appello sul punto appena esaminato l’esclusione dell’appellante dalla gara ( con conseguente irrilevanza delle doglianze attinenti ai vizii procedimentali ritenuti sussistenti dal T.A.R. quanto al disposto annullamento d’ufficio dell’esclusione inizialmente disposta dall’Amministrazione per la veduta inosservanza ) in una fase anteriore a quella di apertura ed esame della documentazione amministrativa, cui pertengono le restanti censùre accolte dal Giudice di primo grado, l’appello deve per il resto essere dichiarato improcedibile per carenza di interesse.
8. – Lo stesso, in conclusione, va in parte respinto ed in parte dichiarato improcedibile.
Il Collegio ravvisa peraltro la sussistenza di particolari ragioni per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese ed onorarii del presente grado di giudizio.

P.Q.M. 
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe:
- dichiara l’inammissibilità della costituzione in giudizio dell’Azienda sanitaria;
- in parte respinge ed in parte dichiara improcedibile, nei sensi di cui in motivazione, l’appello;
- per l’effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 2 marzo 2012, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore
Vittorio Stelo, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/05/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


La benedizione data a Frate Leone dal serafico Padre San Francesco.



LA BENEDIZIONE DATA A FRATE LEONE 
DAL SERAFICO PADRE SAN FRANCESCO


"Il Signore ti benedica
e ti custodisca.
Mostri a te la Sua faccia
e abbia di te Misericordia.
Volga a te il Suo sguardo
e ti dia Pace.
Il Signore ti Benedica".


(San Francesco d'Assisi)

PROCESSO: le condizioni processuali dell'azione per l'efficienza "ex" art. 1 del D.Lgs. n. 198/99 (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 1 ottobre 2012 n. 8231).


PROCESSO: 
le condizioni processuali dell'azione per l'efficienza 
"ex" art. 1 del D.Lgs. n. 198/99 
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 1 ottobre 2012 n. 8231)


Massima

Qualora l'azione per l'efficienza di cui all'art. 1, D.Lgs. n. 198 del 2009 sia presentata da un ente a tutela di un interesse collettivo l'accertamento della lesività non può che essere compiuto in astratto in relazione all'effettiva capacità di tutela degli interessi della categoria che si assume lesa dall'inefficienza amministrativa e al nesso della violazione denunciata con le finalità statutarie perseguite dall'ente. 
Se, infatti, in caso di azione per l'efficienza proposta da un singolo, ai sensi dell'art. 1 comma 1, D.Lgs. n. 198 del 2009, deve apprezzarsi quale sia l'interesse concreto al ricorso, essenzialmente al fine di verificare l'omogeneità dell'interesse del ricorrente rispetto a quello della classe che egli pretende di rappresentare, nel caso, invece, di una analoga azione proposta da un ente esponenziale è la stessa rappresentatività dell'ente associativo rispetto ad una particolare categoria di utenti o consumatori a consentire di verificare l'omogeneità dell'interesse dell'ente ricorrente rispetto a quello della classe che questo assume di rappresentare. 
E una tale verifica non può che passare attraverso la valutazione del grado di rappresentatività dell'ente e del suo fine statutario, che deve contemplare proprio la garanzia di quei particolari interessi che si intendono tutelare con il ricorso.


Sentenza per esteso


 INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 370 del 2012, proposto da:
AI.BI. - Associazione Amici dei Bambini Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Enrica Dato, dall’Avv. Daniela Frascella e dall’Avv. Cesare Milani, con domicilio eletto presso lo Studio dell’Avv. Ernesto Grandinetti sito in Roma, Via della Croce, 44; 
contro
- il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
per ottenere
- l’accertamento, ai sensi degli artt. 1 e 3 del D.Lgs. n. 198 del 2009, dell'inadempimento del Ministero della Giustizia in relazione alla mancata emanazione, nei termini ex lege previsti, degli atti amministrativi necessari ad istituire la banca dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all'adozione prevista dall’art. 40, comma 1, della legge n. 149 del 2001 e dai decreti ministeriali n. 91 e n. 15025 del 2004 - class action;
- la condanna del Ministero della Giustizia a porre rimedio al proprio inadempimento entro un termine fissato, adottando gli atti idonei e necessari all’istituzione ed all’attivazione della banca dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all'adozione;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 luglio 2012 il Consigliere Elena Stanizzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO
Espone in fatto l’associazione odierna ricorrente - premessi cenni in ordine alla propria natura, obiettivi statutari ed attività – di aver trasmesso al Ministero della Giustizia, in data 24 febbraio 2011, atto di diffida stragiudiziale ai sensi dell’art. 3 della legge n. 198 del 2009 al fine di ottenere l’adozione di tutti gli atti necessari per la creazione della banca dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all'adozione prevista dall’art. 40, comma 1, della legge n. 149 del 2001 e dai decreti ministeriali n. 91 e n. 15025 del 2004.
A tale diffida il Ministero della Giustizia ha dato riscontro con nota del 27 maggio 2011, rappresentando di aver posto in essere adempimenti prodromici alla creazione di detta banca dati di cui alcuni tuttora in fase di svolgimento.
Nel rappresentare parte ricorrente la mancata adozione del decreto dirigenziale che accerti l’installazione e l’idoneità dello strumento elettronico e del sistema di autorizzazione previsto dall’art. 38, comma 2, del decreto ministeriale n. 15025 del 2004, e quindi la perdurante violazione degli obblighi inerenti la creazione della banca dati dei minori adottabili, deduce a sostegno della proposta azione i seguenti motivi di diritto:
1- Sussistenza delle condizioni che rendono proponibile il ricorso.
Nel richiamare parte ricorrente le previsioni di cui alla legge n. 198 del 2009 in materia di azione per l’efficienza della Pubblica Amministrazione, afferma l’ammissibilità dell’azione a fronte della mancata adozione, da parte del Ministero della Giustizia, degli atti amministrativi obbligatori necessari a consentire l’istituzione e l’attivazione della banca dati di cui all’art. 40, comma 1, della legge n. 149 del 2001 nonostante il decorso di 90 giorni dalla diffida a provvedere allo stesso indirizzata.
Con riguardo alla legittimazione ad agire, parte ricorrente la riconduce alla propria natura di ente rappresentativo degli interessi dei minori adottabili e di quelli delle coppie disponibili all’adozione, evidenziando la lesione all’interesse alla formazione di una famiglia attraverso l’adozione derivante dalla mancata attivazione della banca dati in questione in ragione delle finalità cui la stessa risponde.
2 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 198 del 2009, dell’art. 40, comma 1, del D.Lgs. n. 149 del 2001 e dell’art. 38, comma 2, del decreto del Ministro della Giustizia n. 15025 del 2004, per non avere il Ministero della Giustizia provveduto all’emanazione degli atti amministrativi necessari ad istituire ed attivare la banca dati di cui all’art. 40 della legge n. 149 del 2001. Violazione dell’art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 198 del 2009 per mancata o quantomeno parziale eliminazione da parte del Ministero della Giustizia della situazione di inadempimento nonostante la diffida notificata dalla ricorrente. Arresto procedimentale, violazione dell’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo con riferimento all’art. 10 della Costituzione.
Illustra parte ricorrente le fonti normative che prevedono l’obbligo del Ministero della Giustizia di emanare gli atti necessari per la realizzazione della banca dati in questione, prevista dall’art. 40 della legge n. 149 del 2001, da istituire entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge medesima, precisando come con decreto ministeriale n. 91 del 2004 è stato adottato il regolamento recante le modalità attuative della banca dati, mentre con decreto ministeriale n. 15025 del 2004 sono state adottate le regole procedurali per l’attivazione della banca dati, prevedendo che la stessa sia preceduta da un decreto dirigenziale che ne accerti l’installazione e l’idoneità dello strumento e del sistema di autorizzazione unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione.
Nell’evidenziare come con il decreto ministeriale n. 91 del 2004 è stata prevista l’informatizzazione della gestione della banca dati in questione e come la relativa procedura debba essere completata con l’attivazione della fase di collaudo, evidenzia parte ricorrente come le finalità cui la banca dati deve rispondere avrebbero potuto essere realizzate, medio tempore, anche con altri mezzi e con canali già operanti.
Chiede, quindi, parte ricorrente l’accertamento, ai sensi degli artt. 1 e 3 del D.Lgs. n. 198 del 2009, dell'inadempimento del Ministero della Giustizia in relazione alla mancata emanazione, nei termini ex lege previsti, degli atti amministrativi necessari ad istituire la banca dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all'adozione prevista dall’art. 40, comma 1, della legge n. 149 del 2001 e dai decreti ministeriali n. 91 e n. 15025 del 2004, nonchè la condanna del Ministero della Giustizia a porre rimedio al proprio inadempimento entro un termine fissato, adottando gli atti idonei e necessari all’istituzione ed all’attivazione della banca dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all'adozione.
Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione puntualmente rappresentando gli adempimenti posti in essere per la realizzazione della banca dati in questione e lo stato di avanzamento della relativa procedura, avanzando dubbi in ordine alla sussistenza della legittimazione ad agire in capo all’associazione ricorrente ed eccependo la mancanza di interesse ad agire della stessa, deducendo altresì l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.
Con memoria successivamente depositata parte ricorrente ha controdedotto a quanto ex adverso sostenuto ulteriormente argomentando.
Alla pubblica udienza del 4 luglio 2012 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione, come da verbale.

DIRITTO
Con il ricorso in esame è azionato il rimedio introdotto dall’art. 1, comma 1, del D. Lgs. 20 dicembre 2009 n. 198, recante attuazione dell'articolo 4 della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ricorso per l'efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici – c.d. ‘class action’.
In particolare, l’associazione odierna ricorrente, nella dichiarata qualità di ente rappresentativo degli interessi dei minori adottabili e di quelli delle coppie disponibili all’adozione, chiede l’accertamento, ai sensi degli artt. 1 e 3 del D.Lgs. n. 198 del 2009, dell'inadempimento del Ministero della Giustizia in relazione alla mancata emanazione, nei termini ex lege previsti, degli atti amministrativi necessari ad istituire la banca dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all'adozione prevista dall’art. 40, comma 1, della legge n. 149 del 2001 e dai decreti ministeriali n. 91 e n. 15025 del 2004, nonché la condanna di detto Dicastero a porre rimedio al proprio inadempimento entro un termine fissato, adottando gli atti idonei e necessari all’istituzione ed all’attivazione della banca dati in questione.
La delibazione in ordine alla domanda proposta transita, ai fini della verifica della sua ammissibilità ed eventuale fondatezza, attraverso la previa breve ricognizione della fisionomia dell’istituto e dei relativi presupposti.
In tale direzione, va ricordato che l’art. 1 del D.Lgs. n. 198 del 2009, nell’introdurre e disciplinare il ricorso per l'efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, prevede che “Al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio, i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori possono agire in giudizio, con le modalità stabilite nel presente decreto, nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ovvero dalla violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, per le pubbliche amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di performance contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150”.
La proponibilità dell’azione è, quindi, subordinata alla ricorrenza di tre distinti e tassativi comportamenti tipizzati, ovvero la violazione di termini o la mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento; la violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi; la violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e per le pubbliche amministrazioni coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.
Trattasi di violazioni, suscettibili di ledere la situazione giuridica presa in considerazione dalla norma, riferibili a disfunzioni strutturali dell’apparato amministrativo, non limitate a singoli casi, alla cui eliminazione il rimedio è finalizzato.
La domanda all’esame del Collegio, in quanto volta a lamentare la lesione discendente dalla mancata emanazione degli atti necessari per l’attivazione della banca dati di cui all’art. 40, comma 1, della legge n. 149 del 2001 - il quale ne prevede l’istituzione entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge – va ricondotta alla prima delle indicate tipologie di violazioni cui è subordinata l’esperibilità del rimedio.
Avuto riguardo alla vigenza ed applicabilità delle disposizioni recate dall’art. 1 del D.Lgs. n. 198 del 2009 alla luce della previsione contenuta nella disposizione transitoria di cui all’art. 7 del D.Lgs. n. 198 del 2009 – la quale subordina la concreta attuazione del testo normativo alla definizione degli obblighi contenuti nella carte di servizi e gli standard qualitativi ed economici ad opera di decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri - rileva il Collegio, in adesione all’orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto (TAR Lazio – Roma - Sez. III, 20 gennaio 2011, n. 552; Sez. II, 30 luglio 2012 n. 7028; T.A.R. Sicilia - Palermo - Sez. I - 4 aprile 2012, n. 707), da cui non si ravvisano ragioni per discostarsi, che l’azione per l’efficienza delle pubbliche amministrazioni non risulta in alcun modo subordinata all’adozione di atti attuativi, nella forma di decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, nelle ipotesi in cui il legislatore abbia già delineato il comportamento esigibile da parte dell’Amministrazione, come avviene nei casi in cui venga lamentata – come nella fattispecie in esame - l’omissione o la tardiva emanazione di atti amministrativi generali obbligatori non aventi contenuto normativo, dovendosi la disposizione transitoria di cui all’art. 7 del D.Lgs. in esame intendersi riferita esclusivamente alle diverse ipotesi relative alla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ed alla violazione di standard qualitativi ed economici, per le quali la condotta lesiva necessita di una ulteriore disciplina normativa ai fini della concreta applicazione della tutela prevista.
Il rinvio della concreta attuazione delle previsioni recate dal D.Lgs. n. 198 del 2009 alla definizione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi e degli standard qualitativi ed economici ad opera di decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, di cui alla norma transitoria contenuta nell'art. 7 del citato testo legislativo, non può dunque estendersi a quelle norme, da quest’ultimo introdotte, che individuano fattispecie completamente definite in ogni loro aspetto, ivi compresa l'esatta perimetrazione del comportamento lesivo, quale l'obbligo di "emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento".
In tale fattispecie è invero compiutamente predeterminata la posizione giuridica tutelata, che è correlata all'emanazione di un atto le cui caratteristiche sono declinate direttamente dal legislatore, è regolamentata l'azione in relazione a tutti i profili rilevanti, è disciplinato il conseguente processo.
Avuto riguardo alla legittimazione ad agire, che il citato comma 1 dell’art. 1 del D.Lgs. n. 198 del 2009 attribuisce ai titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori – e quindi a soggetti singoli appartenenti a tale collettività - la stessa è altresì riconosciuta dal comma 4 del citato art. 1, ricorrendo i presupposti indicati da detto comma 1, anche alle associazioni o comitati per la tutela degli interessi dei propri associati, appartenenti a tale pluralità.
La class action per l’efficienza della pubblica amministrazione è, quindi, normativamente delineata quale strumento di tutela di interessi diffusi collettivi – dovendo le situazioni giuridiche rilevanti essere ‘plurali ed omogenee per una pluralità di utenti e consumatori’ ed essendo conseguentemente la situazioni giuridica protetta quella pluralistica – azionabile sia da parte del singolo soggetto, titolare dell’interesse indifferenziato relativo ad un bene della vita omogeneo per tutti gli appartenenti alla pluralità, che abbia subito una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi – così elevando gli interessi diffusi ad interessi individualmente azionabili - nonchè da parte di associazioni o enti rappresentativi di tali interessi.
Poste tali brevi premesse di ordine ricostruttivo, occorre procedere allo scrutinio di ammissibilità della proposta azione.
Con riferimento alla legittimazione ad agire – della cui sussistenza in capo all’associazione ricorrente la resistente Amministrazione dubita – osserva il Collegio che oggetto della tutela, nel caso di specie, sono gli interessi, facenti capo ad una peculiare categoria di soggetti, ovvero i minori adottabili e le coppie disponibili all’adozione, il cui interesse si assume leso dalla mancata realizzazione della banca dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all'adozione prevista dall’art. 40, comma 1, della legge n. 149 del 2001 e dai decreti ministeriali n. 91 e n. 15025 del 2004, per effetto della mancata adozione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre il termine di 180 giorni fissato dal citato articolo.
In applicazione del richiamato art. 1, commi 1 e 4, del D.Lgs. n. 198 del 2009 va affermata la legittimazione dell’associazione ricorrente alla proposizione del ricorso in esame, avendo la stessa dimostrato di perseguire statutariamente lo scopo di promuovere e garantire il diritto del minore ad avere una famiglia, svolgendo la propria attività nel campo delle adozioni nazionali ed internazionali
Dovendo la legittimazione delle associazioni alla proposizione dell’azione per l’efficienza delle pubbliche amministrazioni essere vagliata alla luce delle finalità statutarie dell’ente e verificata in concreto in relazione alla natura e alla tipologia dell’interesse leso, al fine di accertare se l’ente ricorrente sia statutariamente deputato alla tutela di quello specifico interesse “omogeneo per una pluralità di utenti e di consumatori”, può affermarsi che le associazioni possono proporre l’azione contemplata dal D.Lgs n. 198 del 2009 in quanto le stesse dimostrino di possedere sufficienti indici di rappresentatività degli interessi diffusi di una particolare categoria di utenti, trasformandosi gli interessi diffusi in interessi collettivi una volta “soggettivizzati” in capo all’ ente esponenziale che agisce a tutela di interessi omogenei del gruppo.
Alla luce delle illustrate coordinate, deve ritenersi sussistente la legittimazione ad agire in capo all’associazione ricorrente in quanto rappresentativa proprio dello specifico interesse asseritamente leso dal Ministero della Giustizia con la mancata attuazione della banca dati dei minori adottabili e dei coniugi disponibili all’adozione alla luce degli scopi e delle attività statutariamente stabiliti.
Positivamente delibata l’ammissibilità dell’azione e la legittimazione ad agire in capo all’associazione ricorrente, occorre scrutinare la sussistenza dell’ulteriore condizione dell’azione costituita dall’interesse al ricorso.
A mente dell'art. 1 comma 1 del D.Lgs. n. 198 del 2009 - riproduttivo delle regola processuale generale - la proposizione dell’azione è condizionata alla sussistenza di una “lesione diretta, concreta ed attuale”, derivante dalle ipotesi tipizzate di violazioni od omissioni dell’amministrazione.
Con tale previsione il legislatore - richiedendo che sia dimostrata la sussistenza di un interesse che, al di là della sua natura, abbia una sua concretezza e sia stato o sia suscettibile di essere leso dai comportamenti tassativamente enucleati - intende evidentemente stemperare la portata dell’ampliamento della legittimazione ad agire, al fine di evitare che l’azione in discorso trasmodi in un’azione popolare sino a diventare uno strumento di controllo oggettivo e generalizzato dell’operato della P.A. e quindi un modello alternativo alla funzione di controllo politico-amministrativo.
Se, dunque, non è sufficiente che il ricorrente si limiti a dedurre l’inefficienza in cui la pubblica amministrazione sia eventualmente incorsa, dovendo egli anche dedurre la lesione personale che abbia subito o che possa subire al proprio interesse, omogeneo a quello di una determinata classe di utenti o consumatori, deve ritenersi, con riferimento all’associazione ricorrente, la sussistenza di tale interesse in quanto connesso ai requisiti di adeguata rappresentatività che ne fondano la legittimazione ad agire.
Ritiene, infatti, il Collegio che qualora l’azione per l’efficienza di cui all’art. 1 del D.Lgs n. 198 del 2009 sia presentata da un ente a tutela di un interesse collettivo l’accertamento della lesività non possa che essere compiuto in astratto in relazione all’effettiva capacità di tutela degli interessi della categoria che si assume lesa dall’inefficienza amministrativa ed al nesso della violazione denunciata con le finalità statutarie perseguite dall’ente.
Se infatti in caso di azione per l’efficienza proposta da un singolo, ai sensi dell’art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 198 del 2009, deve apprezzarsi quale sia l’interesse concreto al ricorso, essenzialmente al fine di verificare l’omogeneità dell’interesse del ricorrente rispetto a quello della classe che egli pretende di rappresentare, nel caso, invece, di una analoga azione proposta da un ente esponenziale è la stessa rappresentatività dell’ente associativo rispetto ad un particolare categoria di utenti o consumatori a consentire di verificare l’omogeneità dell’interesse dell’ente ricorrente rispetto a quello della classe che questo assume di rappresentare. Ed una tale verifica non può che passare attraverso la valutazione del grado di rappresentatività dell’ente e del suo fine statutario, che deve contemplare proprio la garanzia di quei particolari interessi che si intendono tutelare con il ricorso.
Ciò posto, non può che ulteriormente evidenziarsi il nesso tra la finalità perseguita dalla normativa recante l’istituzione della banca dati delle adozioni – ispirata al riconosciuto diritto del minore ad una famiglia e volta a favorire il miglior esito del procedimento di adozione attraverso una rete di informazione e di collegamento tra tutti i tribunali – e gli scopi statutari perseguiti dall’associazione ricorrente, volti a promuovere e garantire il diritto del minore ad avere una famiglia attraverso l’accoglienza familiare e l’istituto dell’adozione, cosicchè il raccordo tra le finalità della normativa di cui si assume la lesione attraverso la proposizione della class action e gli scopi statutari dell’associazione ricorrente integrano il presupposto dell’interesse ad agire come veicolato dalla lesione della situazione giuridica soggettiva pluralistica cui tale interesse inerisce e di cui viene chiesta la tutela.
Delibata l’ammissibilità dell’azione come proposta e riferita all’associazione ricorrente, occorre ulteriormente rilevare, in rito, che risultano osservati gli adempimenti preliminari previsti dal D.Lgs. n. 198 del 2009 ai fini della proponibilità del ricorso, avendo parte ricorrente preventivamente notificato, in ossequio a quanto previsto dall’art. 3 comma 1, del testo normativo in esame, al soggetto poi evocato in giudizio, una diffida ad adottare, entro il termine di novanta giorni, gli atti previsti dall’art. 40 della legge n. 149 del 2001 e dai decreti ministeriali n. 91 del 2004 e n. 15025 del 2004.
Parte ricorrente ha altresì illustrato le ragioni per le quali il riscontro fornito dall'Amministrazione non possa considerarsi sufficiente a rimuovere la situazione denunciata, deducendo la persistenza della allegata omessa adozione degli atti necessari alla realizzazione della banca dati in questione (cfr. art. 3, comma 2) ed ha proposto il ricorso entro il termine perentorio di un anno dalla scadenza del termine indicato nella diffida (art. 3, comma 2).
Avuto riguardo al merito del ricorso, il Collegio ne ritiene la fondatezza.
L’azione, come anticipato, va ricondotta all’ipotesi, tipizzata dall’art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 198 del 2009, di omessa adozione di atti amministrativi generali obbligatori, di contenuto non normativo, da emanarsi entro il termine di 180 giorni dall’entrata in vigore della legge n. 149 del 2001, come previsto dall’art. 40 della stessa, che disciplina l’istituzione della banca dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all’adozione.
Prevede tale norma che “Per le finalità perseguite dalla presente legge è istituita, entro e non oltre centottanta giorni dalla data della sua entrata in vigore, anche con l'apporto dei dati forniti dalle singole regioni, presso il Ministero della giustizia, una banca dati relativa ai minori dichiarati adottabili, nonché ai coniugi aspiranti all'adozione nazionale e internazionale, con indicazione di ogni informazione atta a garantire il miglior esito del procedimento. I dati riguardano anche le persone singole disponibili all'adozione in relazione ai casi di cui all'articolo 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184, come sostituito dall'articolo 25 della presente legge.”
Il quadro normativo di riferimento cui parametrare la violazione denunciata con la proposta azione si completa con la prevista adozione di una disciplina regolamentare – stabilendo il comma 3 dell’art. 40 in esame che “Con regolamento del Ministro della giustizia sono disciplinate le modalità di attuazione e di organizzazione della banca dati, anche per quanto attiene all'adozione dei dispositivi necessari per la sicurezza e la riservatezza dei dati” – che è stata dettata con D.M. 24 febbraio 2004, n. 91, recante modalità di attuazione e organizzazione della banca di dati relativa ai minori dichiarati adottabili – il quale stabilisce, all’art. 2, che la banca di dati è costituita presso il Dipartimento per la giustizia minorile e consente qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l'ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati – nonché con D.M. n. 15025 del 14 luglio 2004, con cui vengono stabilite le regole procedurali di carattere tecnico-operativo per la definizione di dettaglio della gestione della banca dati delle adozioni, prevedendosi in particolare, all’art. 38, che l'attivazione della banca dati “è preceduta da un decreto dirigenziale, emesso d'intesa dal Capo del Dipartimento per la giustizia minorile e dal Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati, che accerta la installazione e la idoneità dello strumento elettronico e del sistema di autorizzazione, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione”.
L’illustrata normativa individua pertanto un preciso obbligo a carico dell’Amministrazione della Giustizia, ovvero la costituzione della banca dati dei minori dichiarati adottabili e delle coppie aspiranti all’adozione nazionale ed internazionale, ed un termine entro il quale la realizzazione di tale banca dati deve avvenire, ovvero 180 giorni dall’entrata in vigore della legge n. 149 del 28 marzo 2001.
Quanto alla natura degli atti di cui viene denunciata la mancata adozione, deve osservarsi che una volta adottati gli atti regolamentari previsti dall’art. 40 della citata legge, la procedura di realizzazione della banca dati, per come disciplinata a livello regolamentare, deve completarsi con l’adozione di un decreto dirigenziale che accerti la installazione e la idoneità dello strumento elettronico e del sistema di autorizzazione, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione.
Non vi è dubbio, quindi, che venga in rilievo un atto generale obbligatorio di natura non normativa, la cui mancata adozione consente di accedere alla tutela prevista dal D.Lgs. n. 198 del 2009, derivando la lesione della pluralità degli utenti, di cui si duole l'associazione, dalla "mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento" (art. 1, cit.).
Se il decreto dirigenziale previsto dal D.M. n. 15025 del 2004 va qualificato quale atto generale obbligatorio, la fattispecie astratta prevista dall’art. 1 del D.Lgs. n. 198 del 2009 si realizza per effetto della previsione del termine di 180 giorni stabilito dall’art. 40 della legge n. 149 del 2001, non potendo incidere sull’obbligo normativo di creazione della banca dati entro un termine fissato dalla legge, vanificandolo, la mancata previsione, da parte degli atti regolamentari, di un ulteriore termine entro il quale completare la procedura di creazione di una banca dati informatizzata con l’adozione del previsto decreto dirigenziale.
L’opzione di cui alla disciplina regolamentare – segnatamente, il D.M. n. 15025 del 2004 - per la realizzazione di una banca dati delle adozioni attraverso un sistema informativo ed i conseguenti appesantimenti procedurali, puntualmente evidenziati dall’Amministrazione resistente, non consentono invero di optare per l’inesistenza dell’inadempimento all’obbligo imposto da una norma di legge entro un preciso termine.
Al riguardo, aderendo alla prospettazione di parte ricorrente, che trova avallo nella disciplina di fonte primaria, deve osservarsi che la creazione di una banca dati delle adozioni non necessariamente avrebbe dovuto avvenire tramite sistema informatizzato, peraltro progettato come sottosistema autonomo del più ampio progetto di informatizzazione della giustizia minorile, potendo la creazione di un archivio generale strutturato su base nazionale trovare attuazione con sistemi diversi e alternativi di più rapida realizzazione, non potendosi sul punto convenire con quanto rappresentato dalla difesa erariale circa la non praticabilità di diverse modalità di scambio di informazioni tra i tribunali, ben potendo le evidenziate esigenze di riservatezza connesse ai dati sensibili coinvolti essere tutelate attraverso adeguate misure organizzative e di rappresentazione delle informazioni.
In ragione delle illustrate considerazioni, non conduce a conclusioni favorevoli alla tesi prospettata dalla difesa erariale la rappresentata considerazione che essendo il decreto dirigenziale l’unico residuale adempimento prodromico all’attivazione della banca dati, la cui emanazione implica il completamento dell’attività tecnica di realizzazione del sistema informativo, ormai prossimo alla definitiva realizzazione, dalla sua adozione non potrebbe derivare la concreta attivazione della banca dati laddove l’installazione dello strumento informatico non sia stata completata e non ne sia stata verificata l’idoneità e la funzionalità, dovendo al riguardo osservarsi che l’opzione dell’Amministrazione per la gestione informatica della banca dati facente parte del più ampio progetto di informatizzazione della giustizia minorile non può vanificare l’obbligo legislativamente imposto di realizzare la banca dati in questione entro un termine stabilito, ormai da lungo tempo decorso, dovendosi optare per una lettura sostanzialistica ed utile della norma che ne ha imposto la realizzazione della banca dati delle adozioni.
Il quadro normativo delinea, infatti, chiaramente il comportamento esigibile dall’Amministrazione, consistente nella realizzazione di una banca dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all’adozione entro un termine prefissato, incombendo conseguentemente sull’Amministrazione l’obbligo di adottare gli atti di carattere tecnico ed organizzativo finalizzati alla realizzazione della stessa.
Né all’adempimento di tale obbligo sono opponibili gli invocati limiti derivanti dalle risorse tecniche e finanziarie, dovendosi al riguardo rilevare come l’art. 40 della legge n. 149 del 2001 abbia espressamente stabilito che dalla creazione della banca dati in questione non dovessero derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, il che rende conseguentemente esigibile il comportamento entro il termine assegnato tenuto conto delle risorse assegnate, dovendo pertanto ritenersi positivamente accertata l’oggettiva inadempienza dell’Amministrazione per effetto della disfunzione attinente alla tempestività dell’azione rispetto ad un termine normativamente assegnato.
Il limite, di cui all’art. 1, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 198 del 2009 – ai sensi del quale “Nel giudizio di sussistenza della lesione di cui al comma 1 il giudice tiene conto delle risorse strumentali, finanziarie e umane concretamente a disposizione delle parti intimate” – il quale subordina l’accertamento di uno dei presupposti dell’azione, costituito dalla lesione diretta, concreta ed attuale di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori, alla esigibilità del comportamento dovuto, che deve essere vagliato alla luce delle risorse strumentali, finanziarie, e umane concretamente a disposizione, introducendo una sorta di clausola rebus sic stantibus, riveste una connotazione particolare ed affievolita in relazione all'ipotesi specifica dell'omissione di atti obbligatori per legge, dal momento che la valutazione dell’esigibilità del comportamento risulta essere stata rimessa ed esercitata dal legislatore al momento dell’imposizione dell’obbligo previsto dalla legge, non potendo quindi il limite delle risorse avere specifico rilievo in caso di inerzia e di omissione di atti generali obbligatori da adottarsi entro un termine legislativamente stabilito.
La disposizione di cui al comma 1-bis dell’art. 1 del D.Lgs. n. 198 del 2009 non offre quindi alcun utile argomento per sostenere l’insussistenza dell’inerzia, la quale risulta integrata per effetto della mancata adozione degli atti necessari per la realizzazione della banca dati delle adozioni nel termine previsto dall’art. 40 della legge n. 149 del 2001.
Alla stregua delle considerazioni svolte, in accoglimento del ricorso, a fronte dell’accertato inadempimento all’obbligo di cui alla descritta normativa, che delinea in modo chiaro il comportamento esigibile dall’intimata Amministrazione ed il termine entro cui deve essere posto in essere, va dichiarato l’obbligo ricadente sulla stessa di adottare gli atti generali di carattere tecnico ed organizzativo finalizzati alla realizzazione della banca dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all’adozione, entro il termine che si ritiene congruo fissare in 90 (novanta) giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, all’uopo utilizzando le risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Le spese di giudizio, stante la peculiarità della vicenda processuale, possono equamente compensarsi tra le parti.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
- Roma - Sezione Prima
definitivamente pronunciando sul ricorso N. 370/2012 R.G., come in epigrafe proposto, lo accoglie e, accertata la mancata realizzazione della banca dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all’adozione di cui all’art. 40 della legge n. 149 del 2001 nel termine ivi previsto e la mancata adozione degli atti necessari a tale fine, ordina al Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, di porre in essere gli adempimenti necessari alla realizzazione di tale banca dati, attraverso l'emanazione dei necessari atti, entro giorni 90 dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, all'uopo utilizzando le risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 luglio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Calogero Piscitello, Presidente
Roberto Politi, Consigliere
Elena Stanizzi, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/10/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)