sabato 30 novembre 2013

ADUNANZE PLENARIE: le questioni costituzionali e pregiudiziali nel rito elettorale (Ad. Plen., sentenza 9 novembre 2013 n. 22).


ADUNANZE PLENARIE: 
le questioni costituzionali e pregiudiziali
 nel rito elettorale 
(Ad. Plen., sentenza 9 novembre 2013 n. 22).



Unica certezza: non uscirà mai all'esame di Stato.


Massima

1. Il Consiglio di Stato – qualora decida un appello proposto ai sensi dell’art. 129 del codice del processo amministrativo, avverso una sentenza che abbia deciso un ricorso proposto contro l’esclusione di una lista da una competizione elettorale – non può sollevare questioni di costituzionalità o pregiudiziali, poiché vi sono esigenze di massima celerità della definizione della controversia, mentre l’esplicazione piena delle garanzie difensive connesse ad eventuali fasi incidentali resta riservata alle impugnazioni degli atti successivi, secondo il rito disciplinato dagli artt. 130 ss. del codice.
2. Il giudice di pace è legittimato ad autenticare le firme i sottoscrittori delle liste elettorali solo all’interno del territorio di competenza dell’ufficio di cui è titolare.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale Adunanza Plenaria n. 39 del 2013 (rispettivamente, Sesta Sezione, n. 7223 del 2013), proposto da Holzmann Giorgio, quale presentatore e candidato della lista elettorale “Fratelli d’Italia”, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Avolio e Stefano Ascioni, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, viale Giulio Cesare, 95;
contro
Provincia autonoma di Bolzano, Ufficio elettorale centrale, Commissariato del Governo per la Provincia di Bolzano;
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. - SEZIONE AUTONOMA DELLA PROVINCIA DI BOLZANO, n. 296/2013, resa tra le parti e concernente: esclusione di una lista di candidati dalle elezioni provinciali del 27 ottobre 2013;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 9 ottobre 2013, il Cons. Bernhard Lageder e uditi, per le parti, gli avvocati Abate, per delega di Ascioni, ed Avolio;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Con l’atto impugnato in primo grado, l’Ufficio elettorale centrale, costituito per lo svolgimento delle elezioni per il rinnovo del Consiglio della Provincia autonoma di Bolzano (fissate, con decreto del Presidente della Provincia del 16 maggio 2013, n. 127/2.1, alla data 27 ottobre 2013), non ha ammesso la lista dei candidati “Fratelli d’Italia”, determinandone l’esclusione dalle elezioni provinciali, con la seguente, testuale motivazione di cui al verbale del 26 settembre 2013: «Considerato che 218 sottoscrizioni della lista “Fratelli d’Italia” sono state autenticate in Bolzano dal Giudice di pace di Mezzolombardo e che pertanto lo stesso ha adempiuto alle proprie funzioni di autenticatore al di fuori del proprio territorio di competenza, la lista viene esclusa; ciò in considerazione del fatto che effettuata la sottrazione delle 218 sottoscrizioni non è più garantito il numero minimo necessario di sottoscrizioni previste per legge».
2. Con la sentenza in epigrafe, il T.r.g.a, Sezione autonoma di Bolzano, ha respinto il ricorso n. 258 del 2013, proposto dai presentatori della lista avverso la sua mancata ammissione, rilevando – per quanto qui interessa, tenuto conto dei limiti deldevolutum – che i pubblici ufficiali (tra cui il giudice di pace), ai quali l’art. 18, comma 4, l. reg. Trentino-Alto Adige/Südtirol (Testo unico delle leggi regionali per la elezione del Consiglio regionale) 8 agosto 1983, n. 7, con disposizione a contenuto sostanziale omologo all’art. 14 l. 21 marzo 1990, n. 53, attribuisce il potere di autenticare le sottoscrizioni delle liste dei candidati, dispongono di tale potere esclusivamente nell’ambito del territorio di competenza dell’ufficio, di cui gli stessi sono titolari, sicché riteneva legittima l’esclusione della lista, in quanto le 218 sottoscrizioni erano state autenticate dal giudice di pace di Mezzolombardo a Bolzano, al di fuori della circoscrizione territoriale del suo ufficio.
3. Avverso tale sentenza interponevano appello i ricorrenti soccombenti, deducendo, quale unico, complesso motivo la violazione dell’art. 18 della citata l. reg. n. 7 del 1983, in quanto la limitazione del potere di autenticazione del giudice di pace – da esercitare esclusivamente all’interno della circoscrizione territoriale del proprio ufficio – non troverebbe alcun riscontro nella legge elettorale applicabile alla fattispecie in esame, dovendosi comunque considerare che lo stesso avrebbe agito entro i confini regionali.
4. All’esito dello svolgimento dell’udienza pubblica dell’8 ottobre 2013, la Sesta Sezione, investita della causa d’appello, pronunciava ordinanza, con la quale, ritenuta l’ammissibilità del deferimento all’adunanza plenaria di questioni inerenti a cause assoggettate al rito speciale ex art. 129 cod. proc. amm., rilevava un possibile contrasto giurisprudenziale sulla questione centrale di diritto afferente la sussistenza, o meno, di limiti di competenza territoriale in capo ai pubblici ufficiali muniti del potere di autenticazione, in particolare in capo ai giudici di pace, e di conseguenza rimetteva la questione all’adunanza plenaria.
In particolare, la Sezione rimettente rilevava che l’orientamento giurisprudenziale, ripetutamente espresso dal Consiglio di Stato – sebbene con obiter dicta in relazione a fattispecie riguardanti i limiti territoriali e funzionali del potere di autenticazione attribuito ai consiglieri comunali e provinciali, con riferimento all’ordinamento statale – e richiamato nell’appellata sentenza (Cons. Stato, Sez. V, 20 marzo 2012, n. 1889; Cons. Stato, Sez. V, 16 febbraio 2011, n. 999; Cons. Stato, Sez. I, parere n. 2671 del 2013), secondo cui i pubblici ufficiali menzionati nell’art. 14 l. 21 marzo 1990, n. 53, tra cui il giudice di pace, sono titolari del potere di autenticare le sottoscrizioni esclusivamente all’interno del territorio di competenza dell’ufficio di cui sono titolari o ai quali appartengono, appariva contrastare con i principi di legalità dell’azione amministrativa, secondo cui la legge determina il contenuto degli atti, i suoi effetti e le conseguenze che si verificano in caso di violazione delle normative di settore, nonché con il principio di tassatività dei vizi di nullità. Inoltre, tale orientamento non avrebbe considerato l’eventuale applicabilità dell’istituto di cui all’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, né appariva configurabile un’ipotesi di difetto di attribuzione, trattandosi, invero, di rilevare, se la normativa attributiva del potere certificativo avesse dato rilievo alla titolarità dello status, nella specie di giudice di pace, ovvero avesse implicitamente richiesto anche che il suo titolare esercitasse il proprio potere intramoenia. La Sezione prospettava, inoltre, un’eventuale contrasto con il principio dell’affidamento incolpevole dei sottoscrittori della lista esclusa dalla competizione elettorale.
5. All’odierna udienza pubblica, la causa è stata trattenuta in decisione.
6. Giova premettere, in via pregiudiziale di rito, che la procedura disciplinata dall’art. 129 cod. proc. amm., in considerazione delle esigenze di certezza e di celerità immanenti all’assetto d’interesse sostanziale connotante gli atti di esclusione dal procedimento per le elezioni comunali, provinciali e regionali, sia incompatibile con qualsiasi tipo di fase incidentale (tra cui la rimessione all’adunanza plenaria ex art. 99 cod. proc. amm.) che possa comportare il differimento dell’udienza o la sospensione del giudizio, poiché ogni esplicazione piena delle garanzie difensive connesse ad eventuali fasi incidentali resta riservata alle impugnazioni degli atti successivi, secondo il rito disciplinato dagli artt. 130 ss. cod. proc. amm., la cui proposizione è rimessa alla scelta processuale della parte interessata (v. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2012, n. 1058). Ciò non di meno, l’adunanza plenaria ritiene opportuno pronunciarsi sul merito della questione ad essa deferita e, al contempo, dell’intera controversia, ai sensi dell’art. 99, comma 4, cod. proc. amm., in quanto nel caso di specie risulta garantita, in concreto, la coordinazione con i termini connotanti la fase preparatoria delle operazioni elettorali.
6.1. Il testo dell’art. 18, commi 3 e 4, l. reg. 8 agosto 1983, n. 7, che reca la disciplina della formazione delle liste delle candidature e che trova applicazione alle elezioni per la Provincia autonoma di Bolzano anche dopo la riforma costituzionale varata con l. cost. 31 gennaio 2001, n. 2, in forza del rinvio operato dalle leggi provinciali 8 maggio 2013, n. 5 (Disposizioni sull’elezione del Consiglio della Provincia autonoma di Bolzano per l’anno 2013 e sulla composizione e formazione della Giunta provinciale), 9 giugno 2008, n. 3 (Disposizioni sull’elezione del Consiglio della Provincia autonoma di Bolzano per l’anno 2008), e 14 marzo 2003, n. 4 (Disposizioni sull’elezione del Consiglio della Provincia autonoma di Bolzano per l’anno 2003), emanate in esplicazione della potestà legislativa primaria attribuita alle Province autonome dall’art. 47 d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), testualmente recita:
«(3) La firma del sottoscrittore deve essere debitamente autenticata.
(4) Gli elettori sono elencati con cognome , nome e data di nascita; la loro firma deve essere autenticata, anche cumulativamente, da un notaio, o dal cancelliere di un ufficio giudiziario, o dal segretario comunale, o dal giudice conciliatore, e per ogni elettore deve essere indicato il Comune nelle cui liste elettorali figura iscritto. ».
Quanto alla figura del «giudice conciliatore», la stessa, in virtù della disposizione di coordinamento contenuta nell’art. 39 l. 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), deve ritenersi sostituita da quella del «giudice di pace», il quale esercita le proprie funzioni giurisdizionali e conciliative nell’ambito della circoscrizione territoriale (ex-mandamenti delle Preture) di cui all’art. 2 l. n. 374 del 1991, nella versione applicabile ratione temporis alla fattispecie sub iudice.
Ritiene, al riguardo, l’adunanza plenaria di confermare il consolidato principio giurisprudenziale, secondo cui i pubblici ufficiali, ai quali la legge elettorale (nella specie, l’art. 18 l. reg. n. 7 del 1983, a contenuto in parte qua sostanzialmente omologo alla disciplina prevista dall’art. 14 l. n. 53 del 1990) conferisce il potere di autenticare le sottoscrizioni delle liste di candidati, siano legittimati ad esercitare il potere certificativo esclusivamente nel territorio di competenza dell’ufficio di cui sono titolari o al quale appartengono, in quanto:
- l’individuazione dei soggetti, ai quali la citata disposizione della legge elettorale conferisce la menzionata pubblica funzione certificativa, da cui deriva la fede privilegiata dell’attestazione proveniente dal pubblico ufficiale, propria dell’atto pubblico (art. 2699 cod. civ.), implica un rinvio allo statuto proprio delle singole figure di pubblici ufficiali, e dunque anche ai limiti territoriali, entro i quali i medesimi esercitano, in via ordinaria, le proprie funzioni;
- i limiti alla competenza territoriale dell’ufficio di appartenenza integrano, dunque, un elemento costitutivo della fattispecieautorizzatoria;
- peraltro, l’art. 2699 cod. civ. – secondo cui «l’atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato» – stabilisce un preciso nesso di collegamento tra competenza territoriale (e per materia) del pubblico ufficiale e luogo di esercizio del potere di autenticazione (si precisa, al riguardo, che l’indicazione del luogo di attestazione della sottoscrizione, nella relazione di autentica, costituisce non già elemento estrinseco, bensì parte essenziale dell’atto pubblico);
- il successivo art. 2701 cod. civ. prevede che il documento formato da pubblico ufficiale incompetente non ha l’efficacia di fede privilegiata di atto pubblico, attribuendo allo stesso, qualora sottoscritto dalle parti, la mera efficacia probatoria della scrittura privata, con conseguente inidoneità autenticatoria nell’ambito delle operazioni elettorali;
- resta, con ciò, superata ogni questione sull’inquadramento della patologia sub specie di nullità, annullabilità, mera irregolarità o altra figura, poiché la richiamata, espressa previsione di legge sancisce l’inefficacia dell’atto pubblico formato da pubblico ufficiale incompetente;
- a favore dell’orientamento qui confermato milita, inoltre, l’argomento interpretativo di ordine letterale, secondo cui la disposizione in esame, nell’elencazione della figura del notaio, avente competenza a livello distrttuale, impiega l’articolo indeterminato «un», mentre, nell’elencazione degli altri pubblici ufficiali ivi contemplati, è impiegato l’articolo determinato «il», con evidente riferimento al pubblico ufficiale del luogo dell’autenticazione;
- peraltro, l’attribuzione del potere certificativo delle sottoscrizioni delle liste di candidati a una pluralità di figure di pubblico ufficiale persegue la finalità di facilitare gli elettori e i presentatori delle liste, senza che a tal fine fosse necessario un ampliamento e/o un’abolizione dei limiti territoriali di esercizio delle rispettive funzioni, per contro contrastante con esigenze di certezza e di un’ordinata e trasparente raccolta delle sottoscrizioni;
- né, infine, a fronte della consolidata prassi amministrativa (v. circolare del Ministero dell’Interno - Direzione centrale servizi elettorali, 20 aprile 2006, n. 79/2006, e varie istruzioni emanate dallo stesso Ministero in occasione di ripetute tornate elettorali) e del richiamato consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, può configurarsi un’ipotesi di incolpevole affidamento dei presentatori della lista.
Per le esposte ragioni, deve essere riaffermato il principio enunciato dal consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. V, 20 marzo 2012, n. 1889; Cons. Stato, Sez. V, 16 febbraio 2011, n. 999; Cons. Stato, Sez. I, parere n. 2671 del 2013), secondo cui i pubblici ufficiali menzionati nell’art. 14 l. 21 marzo 1990, n. 53 (e, per quanto qui interessa, nell’art. 18 l. reg. n. 7 del 1983), tra cui il giudice di pace, sono titolari del potere di autenticare le sottoscrizioni esclusivamente all’interno del territorio di competenza dell’ufficio di cui sono titolari o ai quali appartengono.
6.2. Nel merito, le enunciate ragioni impongono la reiezione dell’appello e la conferma dell’impugnata sentenza, essendo pacifico che le sottoscrizioni sono state raccolte dal giudice di pace di Mezzolombardo fuori dai limiti territoriali del suo ufficio.
7. Si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra tutte le parti.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma l’appellata sentenza; dichiara le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra tutte le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Riccardo Virgilio, Presidente
Stefano Baccarini, Presidente
Alessandro Pajno, Presidente
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Marzio Branca, Consigliere
Aldo Scola, Consigliere
Vito Poli, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Nicola Russo, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere, Estensore






IL PRESIDENTE
GIORGIO GIOVANNINI









L'ESTENSORE

IL SEGRETARIO
BERNHARD LAGEDER

ANTONIO SERRAO












DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il      09/10/2013     
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


venerdì 29 novembre 2013

CULTURA: Il tramonto secondo Dante.


CULTURA: 
il tramonto
secondo Dante



 "Era già l'ora che volge il disio
      ai navicanti e 'ntenerisce il core
   3 lo dì c'han detto ai dolci amici addio;
        e che lo novo peregrin d'amore
      punge, se ode squilla di lontano
   6 che paia il giorno pianger che si more;"

(Dante Alighieri, Purgatorio, VIII, 1-6).

GIURISDIZIONE: i limiti del sindacato di legittimità della Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato (Cons, St,, Sez. VI, sentenza 14 agosto 2013 n. 4174).


GIURISDIZIONE: 
i limiti del sindacato di legittimità della Cassazione 
sulle decisioni del Consiglio di Stato
 (Cons, St,, Sez. VI, 
sentenza 14 agosto 2013 n. 4174).



Massima

1.  Quanto ai limiti del sindacato della Cassazione sulle decisioni rese dal Consiglio di Stato, occorre innazitutto chiarire quali sono i casi in cui è consentito il ricorso in Cassazione, alla luce dell’evoluzione delle forme di tutela innanzi al giudice amministrativo e, in particolare, delle modalità del sindacato sull’eccesso di potere.
2.  L’art. 111 ult. co. Cost. prevede che contro le decisioni del Consiglio di Stato il ricorso in Cassazione è ammesso «per i soli motivi inerenti alla giurisdizione» (medesima disposizione è contenuta nell’art. 110 C.p.A.).
La dizione impiegata deve essere intesa nel senso che le sentenze del Consiglio di Stato sono impugnabili quando le stesse superano il c.d. limite esterno della giurisdizione, che si realizza in presenza: 
a)  della violazione dei criteri di riparto della giurisdizione, con conseguente invasione della sfera spettante ad altra giurisdizione; 
b) del rifiuto di esercizio del potere giurisdizionale sul presupposto erroneo che la materia non possa essere oggetto di funzione giurisdizionale; 
c) di un eccesso di potere giurisdizionale, attuato mediante l’invasione di spazi riservati al potere legislativo o, ed è l’aspetto che rileva in questa sede, amministrativo. Non sono, invece, ricorribili per Cassazione le sentenze del Consiglio di Stato per motivi afferenti al superamento dei c.d. limiti interni alla giurisdizione e cioè alle modalità mediante le quali viene garantita la tutela giurisdizionale (Cass., sez. un., 27 febbraio 2013, n. 4852; 16 febbraio 2009, n. 3688; 16 dicembre 2008, n. 29348).
3. L’accertamento di un eccesso di potere giurisdizionale può comportare, in presenza di una vicenda complessa e sul presupposto che esistono spazi per un giudizio di legittimità, che la Cassazione disponga, come è avvenuto nella specie, il rinvio della questione al Consiglio di Stato per la decisione della fase rescissoria. Ciò sul presupposto che la Cassazione non può «sotto alcun profilo» vincolare il «contenuto di merito o di rito» della decisione finale (cfr. Corte cost., 12 marzo 2007, n. 77).


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8925 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Achille Chiappetti e Enzo Perrettini, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Paolo Emilio, 7; Fallimento Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a., in persona del curatore, rappresentato e difeso dagli avvocati Enzo Perrettini e Marco Annoni, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Udine, 6; 
contro
Trenitalia s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato Maria Alessandra Sandulli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 349; 

sul ricorso numero di registro generale 8926 del 2009, proposto da:
Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Achille Chiappetti e Enzo Perrettini, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Paolo Emilio, 7; Fallimento Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a., in persona del curatore, rappresentato e difeso dagli avvocati Enzo Perrettini e Marco Annoni, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Udine, 6; 
contro
Trenitalia s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato Maria Alessandra Sandulli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 349; 
nei confronti di
Team Service Società Consortile, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Mario Sanino, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Parioli, 180; Compass Group Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Ernesto Stajano, Innocenzo Militerni e Massimo Militerni, con domicilio eletto presso lo studio legale del primo in Roma, via Sardegna, 14; Sogea Spa; Fulgens s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Massimo Massa e Marcello Vignolo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, 104; Consorzio Nazionale Cooperative Pluriservizi, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avvocato Aldo De Caria, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, V. L. Boccherini, 3; 
per la riforma
quanto al ricorso n. 8925 del 2009:
della sentenza 26 novembre 2009, n. 11789 del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, Sezione III-ter, del dispositivo relativo alla predetta sentenza n. 293 del 2009;
quanto al ricorso n. 8926 del 2009:
della sentenza 25 novembre 2009, n 11649 del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, Sezione III-ter, del dispositivo della predetta sentenza 294 del 2009.

Visti i ricorsi in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 maggio 2013 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Perrettini, Sandulli, Sanino, De Caria e Annoni.

FATTO
1.– La Società Trenitalia s.p.a. (d’ora innanzi anche solo Trenitalia o stazione appaltante) ha indetto, con bando pubblicato sulla G.U.C.E. del 6 maggio 2005, una procedura gara per l’affidamento del servizio di pulizia ferroviaria, relativa all’intero territorio nazionale suddiviso in lotti regionali.
La Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a. (di seguito anche PMA o impresa) è risultata aggiudicataria, tra l’altro, dei lotti n. 1 – Lombardia e n. 8 – Liguria.
L’affidamento del servizio è stato formalizzato con accordi quadro del 13 febbraio 2006 e con i relativi contratti applicativi del 13 febbraio 2006 e del 25 luglio 2007. La durata dell’accordo quadro è stata fissata in tre anni, con possibilità di proroga, da parte di Trenitalia, per altri tre anni.
1.1.– Trenitalia ha, tuttavia, deciso di pubblicare nuovi bandi.
Con un primo bando, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 25 giugno 2008, nella GUCE del 24 luglio e nella GURI del successivo giorno 28, ha indetto una procedura negoziale per l’istituzione di accordi quadro per «l’affidamento dei servizi di pulizia del materiale rotabile e degli impianti industriali, da espletarsi presso gli impianti di Trenitalia», suddivisa in 20 lotti (l’originario divieto di presentare offerte per più di due lotti è stato ritenuto illegittimo, in sede di giudizio cautelare, dal Consiglio di Stato, con ordinanza 30 settembre 2008, n. 5207). La pubblicazione del bando è stata preceduta da esternazioni dei vertici societari circa la volontà di sostituire le “vecchie” imprese di pulizia.
La PMA, superata la fase di prequalifica, con lettera del 19 dicembre 2008, è stata invitata a presentare offerte in relazione a tutti i lotti. Con note del 9 aprile 2009, numeri 14357, 14378 e 14379, Trenitalia ha aggiudicato alla predetta impresa tre lotti: lotto 10 Lombardia – Divisione passeggeri regionale, lotto 18 Liguria – Divisione passeggeri regionale e lotto 20 – Direzione Tecnica ed Acquisti industriali.
Con due distinte note, di identico contenuto, del 7 maggio 2009 (comunicate il successivo giorno 14), Trenitalia ha caducato le predette aggiudicazioni, ai sensi dell’art. 38, lettera f), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), con la seguente motivazione: «nell’ambito dei rapporti contrattuali in essere, codesta società ha commesso grave negligenza nell’esecuzione dei servizi di pulizia affidati con gli Accordi Quadro n. 838 e n. 844 del 13 febbraio 2006, relativi ai lotti 1 Lombardia e 8 Liguria, come risulta dalle innumerevoli contestazioni, penali e detrazioni per qualità mancanti contestate nel periodo ottobre 2006-marzo 2009, nonché dall’esito delle verifiche in ordine alla qualità del servizio erogata commissionate alla società di certificazione S.G.S.-Ente terzo con sede in Milano via G.Gozzi, 1/A – e da questa rassegnate in data 15 aprile 2008, in base alle quali è stata da ultimo deliberata la risoluzione per inadempimento degli accordi quadro sopra specificati, comunicata con nota 0017872 e 0017871 in data 7 maggio 2009».
1.2.– Con bando, pubblicato nella GURI del 19 dicembre 2008 e nella GUUE dell’11 dicembre 2008, Trenitalia ha indetto una ulteriore procedura per l’affidamento dell’appalto dei servizi di pulizia (lotti da 1 a 35).
La PMA ha partecipato anche a tale procedura. Superata la fase di prequalifica, l’impresa è stata esclusa con provvedimento del 21 maggio 2009. La ragione posta a base di tale determinazione è la stessa di quella sopra indicata che ha condotto alla caducazione delle aggiudicazioni.
2.– Con distinti ricorsi, n. 4230 del 2009 e n. 4544 del 2009, la PMA ha impugnato, rispettivamente, gli atti del 7 maggio 2009 e del 21 maggio 2009.
La ricorrente, in entrambi i ricorsi, ha dedotto, in particolare, l’illegittimità dei provvedimenti impugnati «per eccesso di potere per sviamento», in quanto Trenitalia .– senza che medio tempore fossero intervenuti nuovi fatti che potessero giustificare una nuova e diversa valutazione rispetto a quella effettuata in sede di prequalifica ovvero prima di disporre le tre proroghe dei contratti applicativi (con note del 31 luglio, 30 ottobre 2008 e 6 febbraio 2009) – avrebbe disposto la risoluzione di “vecchi” contratti, già scaduti, per costituire ex post una causa di esclusione ai sensi del citato art. 38, lettera f), del d.lgs. n. 163 del 2006. Ciò sarebbe confermato dalle «dichiarazioni pubbliche (…) rese dai legali rappresentanti dell’amministrazione, con le quali era stata esternata reiteratamente la volontà di non aggiudicare le nuove gare alle imprese affidatarie dei precedenti appalti». Sotto altro, connesso, aspetto si deduce l’illegittimità degli atti per motivazione carente, incongrua e contraddittoria, fondata su verifiche effettuate da SGS con modalità differenti da quelle contemplate dal capitolato e senza assicurare il rispetto delle regole del contraddittorio. In particolare, sono state contestate le modalità temporali di svolgimento dei controlli, i criteri di campionamento utilizzato, il numero dei treni controllati, gli aspetti del servizio oggetto di verifica.
3.– Il Tribunale amministrativo, con sentenze 25 novembre 2009, n 11649 e 26 novembre 2009, n. 11789, ha respinto entrambi i ricorsi. In particolare, si è affermato che è idoneo a supportare gli atti adottati l’accertamento in sede amministrativa della causa di esclusione di cui all’art. 38, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 163 del 2006, ed il richiamo, per relationem, del provvedimento con cui, in altro rapporto contrattuale di appalto, la stessa amministrazione aveva provveduto alla risoluzione sulla base di ripetuti inadempimenti contrattuali. Del resto, si aggiunge, dalla copiosa documentazione versata in atti da Trenitalia emergerebbero le reiterate contestazioni di condotte implicanti senz’altro una valutazione, ad opera di quest’ultima, della inadeguatezza del comportamento contrattuale tenuto dalla PMA rispetto all’esigenza di garantire il carattere fiduciario del rapporto.
4.– Il ricorrente in primo grado ha proposto, avverso le predette sentenze, due autonomi appelli, prospettando le censure già formulate in primo grado e chiedendo la riforma delle statuizioni del primo giudice.
4.1.– Si è costituita in giudizio Trenitalia chiedendo il rigetto dell’appello.
4.2.– Si sono costituite le società controinteressate, indicate in epigrafe, chiedendo il rigetto dell’appello.
4.3.– Con ordinanze 9 febbraio 2010, n. 56 e n. 57 la Sezione ha ritenuto necessario, in entrambi i giudizi, l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio, affidata al prof. Enrico Laghi, al fine di chiarire i seguenti aspetti:
«a) se le verifiche effettuate dalla società di certificazione S.G.S. in ordine alla qualità del servizio di pulizia erogato a favore di Trenitalia da Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a. nel periodo ottobre 2006 – marzo 2009 si siano svolte con modalità tali da assicurare il rispetto del contraddittorio, nonché la terzietà e imparzialità del soggetto verificatore, indagando, a tal fine, anche in merito ai rapporti esistenti tra S.G.S. e Trenitalia; b) se le verifiche effettuate da S.G.S. in ordine alla qualità del servizio di pulizia possano considerarsi tecnicamente valide ed attendibili, specie considerando il periodo di tempo in cui si sono svolte, i criteri di campionamento utilizzati, il numero dei treni controllati, gli aspetti del servizio oggetto di verifica; c) se, alla luce della carenze riscontrate nell’espletamento del servizio di pulizia effettuato da P.M.I. nel periodo ottobre 2006 – marzo 2009, sia possibile ritenere tecnicamente attendibile il risultato finale cui giunge la verifica commissionata da Trenitalia, che individua scostamento percentuale di qualità mancante dell’impianto superiore al limite e ai casi stabiliti nel CTO parte A, art. 11.2.5. (cioè uno scostamento superiore al 20% per più di tre volte nel corso dell’appalto)».
4.4.– Il Consiglio di Stato, all’esito della disposta istruttoria, ha accolto gli appelli.
In particolare, si è ritenuto che l’assunto su cui si sono fondati gli atti impugnati, secondo cui a seguito dei contestati inadempimenti sarebbe irreversibilmente venuto meno il rapporto fiduciario, risulta smentito da una serie di elementi: 1) «Trenitalia, pur richiamando inadempimenti risalenti all’anno 2006, ha stipulato nel luglio 2007, con PMA un nuovo contratto applicativo dell’accordo quadro; inoltre, con le note 31 luglio 2008, 30 ottobre 2008, 6 febbraio 2009 Trenitalia ha prorogato il contratto già scaduto, senza fare alcun riferimento a pregresse inadempienze, e lo ha fatto pur avendo già ricevuto il rapporto di SGS (risalente al 15 aprile 2008); 2) «Trenitalia nella fase di prequalfica della gara ha ritenuto sussistenti i requisiti di partecipazione, ivi compreso quello di cui all’art. 38, comma 1, lettera f), atteso che, altrimenti, non avrebbe dovuto ammettere PMA al proseguo della procedura. Ancora in quel momento, quindi, i fatti sulla cui base è stato poi adottato il provvedimento impugnato, pur essendo già noti a Trenitalia, non sono stati ritenuti di gravità tale da menomare il rapporto fiduciario con l’impresa appellante».
Nelle sentenze in esame il Consiglio di Stato ha poi affermato che: «questo quadro, già di per sé in grado di rivelare una forte contraddittorietà nel comportamento di Trenitalia e di menomare, di conseguenza, la motivazione del provvedimento impugnato, è poi ulteriormente aggravato dalle conclusioni rese dal ctu in ordine alle modalità di accertamento della grave negligenza da parte di
SGS». Il consulente ha, infatti, evidenziato, si prosegue nelle sentenze, che: «a) le verifiche effettuate da SGS non si sono svolte con modalità tali da assicurare il rispetto del principio del contraddittorio (pur riconoscendo che SGS sia un soggetto terzo e che non vi sono elementi per ritenere che abbia operato in assenza del requisito di imparzialità); b) le verifiche effettuate da SGS in relazione alla qualità del servizio di pulizia del materiale rotabile presentano incoerenze, in termini di periodo di tempo in cui si sono svolte le verifiche, criteri di campionamento utilizzati, numero dei treni controllati e aspetto del servizio oggetto di verifica. Di conseguenza, conclude il ctu, le verifiche effettuate da SGS, pur tecnicamente in astratto valide, non possono essere ritenute coerenti e attendibili se riguardate rispetto alle previsioni contenute nel capitolato tecnico organizzativo- CTO; c) la verifica commissionata da Trenitalia a SGS, relativa al periodo gennaio-febbraio 2008, non ha rilevato uno scostamento percentuale della qualità mancante mensile superiore al 20% per più di tre volte nel corso dell’appalto; bensì ha accertato – peraltro in modo incoerente rispetto a quanto previsto dal CTO e, dunque tecnicamente inattendibile – uno scostamento di qualità mancante superiore al 20% per il solo periodo (circa un mese) rispetto al quale è stata condotta la verifica». Ancora si afferma che: è vero, come sostiene Trenitalia, che gli atti impugnati non si fondavano «esclusivamente sul rapporto di SGS (ma anche sulle “innumerevoli contestazioni penali e detrazioni”): ciò nonostante, tuttavia, i vizi che inficiano il rapporto di SGS (che comunque viene indicato come elemento della motivazione del provvedimento di esclusione), unitamente alle contraddittorietà sopra riscontrate relative al comportamento di Trenitalia, fanno emergere numerosi indici sintomatici di eccesso di potere, alla stregua dei quali creando il ragionevole dubbio che il provvedimento impugnato sia in realtà motivato da ragioni diverse rispetto alla carenza dell’elemento fiduciario».
Per le ragioni sin qui esposte, il Consiglio di Stato ha accolto gli appelli e annullato gli atti impugnati in primo grado.
5.– Trenitalia ha impugnato le predette sentenze in Cassazione, rilevando l’avvenuta invasione da parte del giudice amministrativo di spazi di competenza: i) del giudice ordinario afferenti alla fase di esecuzione del rapporto; ii) dell’amministrazione, a cui si è sostituito.
5.1.– La Cassazione, con sentenze 17 febbraio 2012, n. 2312 e n. 2313, ha accolto il secondo motivo di ricorso. In particolare, si è ritenuto che il Consiglio di Stato abbia ecceduto dai poteri cognitivi, invadendo sfere riservate alla pubblica amministrazione. In particolare, si è affermato che sindacato sulla motivazione del rifiuto da parte della stazione appaltante, in un ambito, quello relativo all’accertamento della mala fede o grave negligenza nell’esecuzione delle prestazioni contrattuali, riservato al giudizio della stazione appaltante, deve «essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto esibiti dall’appaltante come ragioni del rifiuto e non può avvalersi, onde ritenere avverato il vizio di eccesso di potere, di criteri che portano ad evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa (ove si recepiscano, come ha fatto il giudice amministrativo, le considerazioni esposte dal consulente)» (le ulteriori argomentazioni sono riportate nella parte in diritto).
Per le ragioni sin qui esposte i giudici di legittimità hanno cassato le decisioni impugnate, rinviando, per la fase rescissoria, la decisione finale al Consiglio di Stato.
6.– PMA ha riassunto la causa innanzi al Consiglio di Stato, rilevando, in via preliminare, che le sentenze cassate dalla Cassazione si fondavano sulla contraddittorietà dei comportamenti tenuti da Trenitalia e che ciò fosse sufficiente a ritenere illegittimi gli atti impugnati. Sono stati, poi, riproposti i motivi contenuti nell’atto di appello.
6.1.– Si è costituita in giudizio Trenitalia, rilevando che, alla luce delle motivazioni contenute nelle sentenza della Cassazione, l’appello deve essere rigettato.
6.2.– Con memoria del 3 ottobre 2012, l’appellante ha fatto presente che, con decreto 20 aprile 2011 del Tribunale fallimentare di Roma, la PMA è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria. Successivamente, con decreto 18 luglio 2012, è stata disposta la conversione della predetta procedura in fallimento. Essendosi realizzata una interruzione ope legis del giudizio, con il predetto atto il Fallimento della PMA ha riassunto il giudizio.
6.3.– Con successiva memoria PMA ha chiesto che la causa venisse rinviata per essere decisa unitamente ad altri due ricorsi in appello recanti i numeri 6929 e 7612 del 2012. In particolare, si è rilevato che con tali ricorsi è stata impugnata la sentenza 27 aprile 2012, n. 3810 del Tribunale amministrativo regionale del Lazio che ha rigettato la domanda con cui il Fallimento di PMA ha impugnato il provvedimento del 3 settembre 2010. In particolare, con tale provvedimento Trenitalia s.p.a. .– premesse le contestazioni di grave negligenza notificate all’impresa nell’esecuzione dei servizi di pulizia affidati con l’accordo quadro n. 1691 del 2006 relativamente al lotto 15-Sardegna, e considerati altresì i reiterati gravi inadempimenti della medesima impresa rispetto agli obblighi contrattuali, circostanze tutte in forza delle quali in data 15 luglio 2010 è stata disposta la risoluzione del contratto .– ha stabilito la conferma degli atti impugnati nei giudizi che rilevano in questa sede.
6.4.– Trenitalia ha presentato, anch’essa, una memoria con la quale ha dedotto, in via preliminare: a) la pendenza innanzi al Tribunale di Roma dei giudizi proposti da PMA avverso le risoluzioni dei rapporti contrattuali sui lotti numeri 8 Liguria e 1 Lombardia disposte con note del 7 maggio 2009; b) «la pendenza dinanzi al Tar del giudizio sul provvedimento di aggiudicazione del lotto 20 e del giudizio sul provvedimento di aggiudicazione del lotto 18 (…) in cui la società aggiudicataria ha proposto ricorso incidentale contro l’ammissione di PMA alla procedura di gara». Nel merito sono state ribadite le argomentazioni difensive a giustificazione del rigetto dell’appello. Con successiva memoria Trenitalia si è opposta alla richiesta di rinvio.
7.– La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 22 maggio 2013.

DIRITTO
1.– La vicenda amministrativa posta all’esame del Collegio attiene alla legittimità degli atti di revoca dell’aggiudicazione e non ammissione a determinate procedure di gara di Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a. (d’ora innanzi solo PMA o impresa) poste in essere da Trenitalia sul presupposto, contemplato dall’art. 38, lettera f), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), di accertate gravi negligenze nella fase di esecuzione di pregressi rapporti negoziali.
2.– La Corte di cassazione, con sentenze 17 febbraio 2012, n. 2312 e n. 2313, ha annullato le decisioni del Consiglio di Stato che avevano, accogliendo l’appello proposto da PMA, annullato i predetti atti. La Cassazione ha ritenuto che, nello svolgimento del sindacato giurisdizionale, il giudice amministrativo avesse invaso spazi riservati alla competenza della pubblica amministrazione. Nel disporre tale annullamento ha rinviato la controversia al Consiglio di Stato per la decisione della fase rescissoria.
3.– La connessione, oggettiva e soggettiva, tra gli appelli proposti impone la loro riunione affinché gli stessi siano decisi con un’unica decisione.
4.– In via preliminare, deve rilevarsi come la Sezione non abbia accolto l’istanza di rinvio presentata dalla parte resistente. Infatti, la circostanza che Trenitalia ha, con un successivo provvedimento, confermato il contenuto degli atti impugnati in questa sede in ragione di una accertata ulteriore causa di inadempimento di un precedente rapporto non è idonea ad incidere direttamente sull’esito della controversia in esame. In definitiva, fondandosi gli atti impugnati, nei giudizi di cui si chiede la riunione, su diverse ragioni di inadempimento di contratti pregressi, non sussiste la necessità di un loro trattazione congiunta.
5.– Nel merito l’appello, riproposto nell’atto di riassunzione, prescindendo dalle eccezioni preliminari sollevate da Trenitalia, non è fondato.
6.– Su un piano generale, è necessario indicare, nei limiti di quanto rileva in questa sede, quali sono i casi in cui è consentito il ricorso in Cassazione, alla luce dell’evoluzione delle forme di tutela innanzi al giudice amministrativo e, in particolare, delle modalità del sindacato sull’eccesso di potere.
6.1.– L’art. 111, ultimo comma, della Costituzione prevede che contro le decisioni del Consiglio di Stato il ricorso in Cassazione è ammesso «per i soli motivi inerenti alla giurisdizione» (medesima disposizione è contenuta nell’art. 110 cod. proc. amm.).
La dizione impiegata deve essere intesa nel senso che le sentenze del Consiglio di Stato sono impugnabili quando le stesse superano il cosiddetto limite esterno della giurisdizione, che si realizza in presenza: i) della violazione dei criteri di riparto della giurisdizione, con conseguente invasione della sfera spettante ad altra giurisdizione; ii) del rifiuto di esercizio del potere giurisdizionale sul presupposto erroneo che la materia non possa essere oggetto di funzione giurisdizionale; iii) di un eccesso di potere giurisdizionale, attuato mediante l’invasione di spazi riservati al potere legislativo o, ed è l’aspetto che rileva in questa sede, amministrativo. Non sono, invece, ricorribili per Cassazione le sentenze del Consiglio di Stato per motivi afferenti al superamento dei limiti interni alla giurisdizione e cioè alle modalità mediante le quali viene garantita la tutela giurisdizionale (Cass., sez. un., 27 febbraio 2013, n. 4852; 16 febbraio 2009, n. 3688; 16 dicembre 2008, n. 29348).
L’accertamento di un eccesso di potere giurisdizionale può comportare, in presenza di una vicenda complessa e sul presupposto che esistono spazi per un giudizio di legittimità, che la Cassazione disponga, come è avvenuto nella specie, il rinvio della questione al Consiglio di Stato per la decisione della fase rescissoria. Ciò sul presupposto che la Cassazione non può «sotto alcun profilo» vincolare il «contenuto di merito o di rito» della decisione finale (cfr. Corte cost., 12 marzo 2007, n. 77).
6.2.– Il codice del processo amministrativo, consacrando una lunga elaborazione giurisprudenziale, ha introdotto il principio della pluralità delle azioni e trasformato, anche mediante il potenziamento dei mezzi istruttori che consentono l’accesso al fatto, il processo amministrativo da un processo sull’atto ad un processo che valuta, nei limiti che si indicheranno, il rapporto dedotto nel giudizio stesso. L’esigenza di concludere il processo mediante l’adozione di una sentenza che sia satisfattiva della pretesa azionata rende sempre più penetrante il sindacato del giudice amministrativo sul potere pubblico. Ciò non implica, però, che il giudice amministrativo possa invadere sfere di attribuzioni spettanti alla pubblica amministrazione. In presenza di una attività discrezionale, la valutazione comparativa degli interessi pubblici primari, secondari e degli interessi privati spetta alla autorità pubblica e il giudice amministrativo, al di fuori del casi di giurisdizione estesa al merito, può svolgere il proprio controllo, oltre che in presenza di violazioni di legge, soltanto quando l’attività amministrativa deborda nell’eccesso di potere.
6.2.1.– Nella impostazione tradizionale l’unica figura sintomatica dell’eccesso di potere - evocata, come si dirà nel prosieguo, nella presente controversia - era rappresentata dallo sviamento di potere. Il ricorrente, per ottenere l’annullamento dell’atto doveva dimostrare che la pubblica amministrazione avesse inteso perseguire un interesse diverso da quello predefinito dalla legge. Nel corso degli anni, preso atto della difficoltà di dimostrare in giudizio l’effettiva esistenza di una devianza dalla causa tipica, la giurisprudenza amministrativa ha elaborato numerose figure sintomatiche dell’eccesso di potere, quali, a solo titolo esemplificativo, la motivazione insufficiente, l’errore di fatto, l’ingiustizia grave e manifesta, la contraddittorietà interna ed esterna, la violazione di circolari, di norme interne o della prassi amministrativa.
Le predette figure, inizialmente ritenute sintomatiche dello sviamento di potere, hanno acquisito, nella prassi giudiziaria, una loro autonomia essendo state ricondotte ai principi generali dell’azione amministrativa e, in particolare, al principio di ragionevolezza (Cons. Stato, sez. VI, 30 luglio 2013, n. 4011; 21 gennaio 2013, n. 301) o, secondo una diversa impostazione, al principio di proporzionalità. In questa prospettiva, tesa a rafforzare le forme di tutela, è sufficiente, in presenza di una specifica domanda, che ricorra una di esse affinché si possa annullare un provvedimento amministrativo senza che sia necessario effettuare un confronto tra l’interesse pubblico tipico e l’interesse concreto perseguito dall’amministrazione per dimostrare lo sviamento di potere e cioè che quest’ultima non abbia perseguito le finalità istituzionali che la legge gli impone di assicurare. In definitiva, le figure in esame sono divenute regole di condotta tipizzate a livello giurisprudenziale, secondo uno schema aperto che consente il continuo adattamento alle esigenza di tutela, la cui violazione determina l’illegittimità degli atti impugnati. Lo strumento delle figure sintomatiche è utilizzabile anche quando il sindacato ha ad oggetto una attività amministrativa connotata da discrezionalità tecnica. In questo caso, in ragione dell’esistenza di nozioni proprie del sapere specialistico, il giudice amministrativo, al fine di esercitare un controllo intrinseco, può avvalersi anche dell’ausilio di un verificatore o di un consulente tecnico d’ufficio (artt. 66 e 67 cod. proc. amm.).
Il giudice invece non può sostituirsi all’autorità amministrativa nelle valutazioni opinabili di fatti (in caso di discrezionalità tecnica) né nel merito dell’azione amministrativa, cioè nelle scelte di opportunità (in caso di discrezionalità amministrativa). In questo ambito si possono collocare anche quelle materie la cui valutazione, per ragioni diverse, viene riservata alla pubblica amministrazione. In particolare, per quanto rileva in questa sede, si pensi ai poteri negoziali esercitati dall’amministrazione – in relazione a determinati rapporti che rinviano a concetti giuridici indeterminati – che possono poi costituire il presupposto per l’esercizio di diversi poteri di natura amministrativa. In questo caso il sindacato del giudice amministrativo “sul presupposto” ha valenza incidentale ed è finalizzato a valutare se l’amministrazione ha, in ipotesi, esercitato in maniera cattiva il potere amministrativo.
In definitiva, il giudice amministrativo, al di fuori dei casi di giurisdizione estesa al merito, può sindacare le scelte irragionevoli dell’amministrazione, anche sul piano tecnico, ma non può sovrapporre proprie valutazioni a quelle che, per le ragioni indicate, sono riservate all’amministrazione stessa.
6.2.2.– L’accertamento nel processo dell’eccesso di potere, nelle diverse manifestazioni indicate, spetta al giudice amministrativo mediante l’analisi dei fatti e della motivazione (Cass., sez. un., 8 marzo 2012, n. 3622; il principio è contenuto anche nella giurisprudenza più risalente, Cass., 4 maggio 1960, n. 1006; Cass., 15 marzo 1972, n. 745; Cass., 14 maggio 1987, n. 4442), con la conseguenza che soltanto se tale figura non esiste la contestazione giudiziale si risolve in un non consentito sindacato sulle scelte riservate all’amministrazione.
7.– Nello specifico, occorre, adesso, valutare le statuizioni contenute nelle sentenze del Consiglio di Stato e i vizi riscontrati dalla Cassazione al fine di risolvere, attraverso la previa individuazione dell’eccesso di potere giurisdizionale accertato, la presente controversia.
7.1.– Il Consiglio di Stato ha fondato le decisioni annullate sui seguenti postulati.
In primo luogo, si è ritenuto che Trenitalia avesse posto in essere una attività connotata da contraddittorietà. La stessa, infatti, ha revocato l’aggiudicazione ovvero non ammesso alla gara PMA richiamando inadempimenti relativi a pregressi rapporti nonostante successivamente ad essi avesse stipulato con l’impresa un nuovo contratto applicativo dell’accordo quadro e prorogato i contratti scaduti.
In secondo luogo, si è ritenuto che tale quadro «già di per sé in grado di rivelare una forte contraddittorietà nel comportamento di Trenitalia e di menomare, di conseguenza, la motivazione del provvedimento impugnato» fosse «ulteriormente aggravato dalle conclusioni rese dal c.t.u.» in ordine alle modalità di accertamento della grave negligenza da parte di SGS. Il consulente ha, infatti, evidenziato che le: i) verifiche effettuate da SGS non si sono svolte con modalità tali da assicurare il rispetto del principio del contraddittorio; ii) le verifiche effettuate da SGS non possono essere ritenute coerenti e attendibili se riguardate rispetto alle previsioni contenute nel CTO; iii) la verifica commissionata da Trenitalia a SGS, relativa al periodo gennaio-febbraio 2008, non ha rilevato uno scostamento percentuale della qualità mancante mensile superiore al 20% per più di tre volte nel corso dell’appalto.
Infine, si è concluso rilevando che, pur se è vero, come sostiene Trenitalia, che gli atti impugnati si fondavano anche sulle «innumerevoli contestazioni penali e detrazioni» i vizi che inficiano il rapporto di SGS, unitamente alle contraddittorietà sopra riscontrare, fanno sorgere «il ragionevole dubbio che il provvedimento impugnato sia in realtà motivato da ragioni diverse rispetto alla carenza dell’elemento fiduciario».
7.2.– La Corte di cassazione ha cassato, con rinvio, le decisioni del Consiglio di Stato per le seguenti ragioni.
In primo luogo, si è rilevato come si sottragga alla censura di sconfinamento del potere cognitivo la parte delle sentenze in cui si è accertata l’esistenza di comportamenti contraddittori posti in essere da Trenitalia, ancorché, come si dirà oltre, ritenuti non sufficienti a condurre all’annullamento degli atti impugnati.
In secondo luogo, si è sottolineato come l’art. 38, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 163 del 2006 rimetta alla stazione appaltante la scelta di individuare il punto di rottura dell’affidamento con il futuro contraente. Si afferma, condividendo un rilievo contenuto nel ricorso, che l’ambito valutativo riservato all’amministrazione non è segnato da regole tecniche delle quali sia possibile controllare la coerenza e la adeguatezza ma è qualificato da evidenti riserve di «soggettività della scelta».
Ne consegue che il sindacato sulla motivazione del rifiuto deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della «non pretestuosità» della valutazione degli elementi di fatto esibiti dall’appaltante come ragioni del rifiuto e non può avvalersi, al fine di ritenere esistente il vizio di eccesso di potere, di criteri che portano ad evidenziare la mera «non condivisibilità» della valutazione stessa «ove si recepiscano, come ha fatto il giudice amministrativo, le considerazioni esposte dal consulente». In questa prospettiva, il giudice amministrativo può accertare «l’inesistenza di alcuna ragione giustificante o la esistenza indiscutibile di ragioni dissimulate» ma non può valutare «solamente la insufficienza dei dati addotti a sostenere come plausibile il superamento di quel punto di rottura».
Infine, si conclude rilevando come il Consiglio di Stato - ritenendo non sufficiente l’elemento della contraddittorietà e non attribuendo rilevanza alle altre dedotte «innumerevoli contestazioni penali e detrazioni» - per ritenere sussistente «il ragionevole dubbio» della esistenza di ragioni diverse rispetto alla carenza dell’elemento fiduciario» si è basato sulle risultanze della consulenza, incorrendo, per le ragioni indicate, nell’eccesso di potere cognitivo.
7.3.– Il Collegio ritiene, alla luce di quanto sin qui esposto, che l’appellante non ha dimostrato che la stazione appaltante abbia debordato dai limiti della propria discrezionalità, per le ragioni di seguito indicate idonee ad attribuire connotati di peculiarietà alle fattispecie in esame.
7.3.1.– L’art. 38, lettera, f) del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede che sono esclusi dalla partecipazione alla gara gli operatori economici che «secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara».
La disposizione in esame, pur nella sua apparente unitarietà, contempla un fatto complesso che impone la distinzione tra il giudizio afferente alla fase negoziale del pregresso rapporto e il giudizio relativo all’esercizio di poteri amministrativi.
Il primo giudizio è riservato all’amministrazione che, quale parte di un pregresso rapporto, può ritenere che l’altra parte abbia posto in essere, nell’esecuzione delle prestazioni, un comportamento connotato da grave negligenza o malafede. L’amministrazione potrebbe, come è avvenuto nella specie, decidere di risolvere il contratto stipulato. In questo caso, qualora insorgano contestazioni, la competenza a dirimerle spetta al giudice ordinario, che esercita un controllo pieno sulle cause interne che hanno condotto alla interruzione del rapporto negoziale.
Il secondo giudizio spetta anch’esso all’amministrazione che, considerati nel modo anzidetto i pregressi rapporti negoziali, adotta, nell’esercizio di un potere pubblico, la determinazione con la quale esclude una impresa da una gara ovvero annulla una aggiudicazione già disposta. Si tratta di un potere discrezionale che deve valutare se il fatto pregresso abbia concretamente reso inaffidabile l’operatore economico con possibile pregiudizio dell’interesse pubblico connesso alla realizzazione, nella specie, di determinati servizi. In questo caso, se insorgono contestazioni, la competenza a dirimerle spetta al giudice amministrativo, che esercita un controllo sulle cause esterne che hanno determinato la rottura del rapporto fiduciario al fine di accertare se esiste una figura sintomatica dell’eccesso di potere idonea a comportare l’illegittimità degli atti amministrativi (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 15 maggio 2012, n. 2761). In tale prospettiva, l’interruzione della relazione fiduciaria relativa al pregresso rapporto costituisce un presupposto per l’esercizio del potere pubblico, con la conseguenza che il sindacato, come rilevato dalla Cassazione, deve limitarsi a valutare l’eventuale inesistenza o dissimulazione del presupposto stesso.
7.3.2.– Nella specie l’appellante non ha dimostrato che ricorre una figura sintomatica dell’eccesso di potere né la stessa è emersa all’esito della disposta consulenza tecnica.
In relazione al primo aspetto, deve rilevarsi che la domanda di annullamento proposta si è basata sull’asserita esistenza di uno sviamento di poterefondato sul perseguimento di interessi diversi da quelli prefigurati dalla normativa attribuiva del potere stesso. L’appellante non ha, invece, evocato, quale figura autonoma di eccesso di potere, la contraddittorietà tra atti posti in essere da Trenitalia, in quanto la stessa è stata richiamata nel contesto della censura relativa al difetto di motivazione ovvero nell’ambito di una impostazione difensiva mirata a provare l’esistenza dello sviamento del potere. In questa prospettiva, era onere della parte dimostrare che effettivamente la stazione appaltante avesse voluto, mediante l’adozione degli atti impugnati, raggiungere uno scopo diverso da quello tipizzato dalla legge di disciplina dell’azione pubblica. Questa prova, oggettivamente difficile, non è stata fornita, in quanto la contraddittorietà dei comportamenti di Trenitalia, fondata sulla proroga di contratti scaduti e sulla stipulazione di un nuovo contratto applicato, non ha raggiunto, avuto riguardo alla sufficiente motivazione contenuta negli atti impugnati, una soglia tale da fare ritenere che l’impresa abbia dimostrato, in concreto, che il fine perseguito fosse quello di estrometterla dalla gestione degli appalti in essere per aprire il mercato a nuovi e diversi operatori economici.
In relazione al secondo aspetto, gli esiti della consulenza tecnica, sopra riportati, hanno consegnato un giudizio di non condivisione degli accertamenti disposti dalla stazione appaltante ma non di insussistenza o dissimulazione del presupposto costituito dalla grave negligenza nell’esecuzione delle prestazioni negoziali. La relazione tecnica non ha, pertanto, neanche essa fatto emergere la figura sintomatica dell’eccesso di potere evocata dagli appellanti. Si tenga conto, inoltre, che le determinazioni assunte da Trenitalia si sono fondate, come risulta dalla motivazione e dagli atti del processo, anche su altre contestazioni relative alle modalità di svolgimento del servizio da parte dell’impresa.
In definitiva, deve ritenersi che, per le ragioni sin qui esposte, non è stato dimostrato né risulta dalla documentazione acquisita al giudizio che Trenitalia abbia inteso perseguire scopi diversi da quelli esternati nella congrua motivazione dei provvedimenti oggetto di impugnazione nei giudizi di primo grado.
8.– La fase rescissoria deve essere, pertanto, definita nel senso del rigetto degli appelli proposti con gli atti di riassunzione.
9.– La natura della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, riuniti i giudizi, definitivamente pronunciando:
a) rigetta gli appelli proposti con i ricorsi in riassunzione, indicati in epigrafe;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/08/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)