GIURISDIZIONE:
i limiti del sindacato di legittimità della Cassazione
sulle decisioni del Consiglio di Stato
(Cons, St,, Sez. VI,
sentenza 14 agosto 2013 n. 4174).
Massima
1. Quanto ai limiti del sindacato della Cassazione sulle decisioni rese dal Consiglio di Stato, occorre innazitutto chiarire quali sono i casi in cui è consentito il ricorso in Cassazione, alla luce dell’evoluzione delle forme di tutela innanzi al giudice amministrativo e, in particolare, delle modalità del sindacato sull’eccesso di potere.
2. L’art. 111 ult. co. Cost. prevede che contro le decisioni del Consiglio di Stato il ricorso in Cassazione è ammesso «per i soli motivi inerenti alla giurisdizione» (medesima disposizione è contenuta nell’art. 110 C.p.A.).
La dizione impiegata deve essere intesa nel senso che le sentenze del Consiglio di Stato sono impugnabili quando le stesse superano il c.d. limite esterno della giurisdizione, che si realizza in presenza:
a) della violazione dei criteri di riparto della giurisdizione, con conseguente invasione della sfera spettante ad altra giurisdizione;
b) del rifiuto di esercizio del potere giurisdizionale sul presupposto erroneo che la materia non possa essere oggetto di funzione giurisdizionale;
c) di un eccesso di potere giurisdizionale, attuato mediante l’invasione di spazi riservati al potere legislativo o, ed è l’aspetto che rileva in questa sede, amministrativo. Non sono, invece, ricorribili per Cassazione le sentenze del Consiglio di Stato per motivi afferenti al superamento dei c.d. limiti interni alla giurisdizione e cioè alle modalità mediante le quali viene garantita la tutela giurisdizionale (Cass., sez. un., 27 febbraio 2013, n. 4852; 16 febbraio 2009, n. 3688; 16 dicembre 2008, n. 29348).
3. L’accertamento di un eccesso di potere giurisdizionale può comportare, in presenza di una vicenda complessa e sul presupposto che esistono spazi per un giudizio di legittimità, che la Cassazione disponga, come è avvenuto nella specie, il rinvio della questione al Consiglio di Stato per la decisione della fase rescissoria. Ciò sul presupposto che la Cassazione non può «sotto alcun profilo» vincolare il «contenuto di merito o di rito» della decisione finale (cfr. Corte cost., 12 marzo 2007, n. 77).
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8925 del 2009,
integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Achille Chiappetti e Enzo Perrettini, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Paolo Emilio, 7; Fallimento Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a., in persona del curatore, rappresentato e difeso dagli avvocati Enzo Perrettini e Marco Annoni, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Udine, 6;
Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Achille Chiappetti e Enzo Perrettini, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Paolo Emilio, 7; Fallimento Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a., in persona del curatore, rappresentato e difeso dagli avvocati Enzo Perrettini e Marco Annoni, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Udine, 6;
contro
Trenitalia s.p.a., in persona del legale
rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato Maria Alessandra Sandulli,
con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, corso Vittorio
Emanuele II, 349;
sul ricorso numero di registro generale 8926 del 2009,
proposto da:
Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Achille Chiappetti e Enzo Perrettini, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Paolo Emilio, 7; Fallimento Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a., in persona del curatore, rappresentato e difeso dagli avvocati Enzo Perrettini e Marco Annoni, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Udine, 6;
Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Achille Chiappetti e Enzo Perrettini, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Paolo Emilio, 7; Fallimento Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a., in persona del curatore, rappresentato e difeso dagli avvocati Enzo Perrettini e Marco Annoni, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Udine, 6;
contro
Trenitalia s.p.a., in persona del legale
rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato Maria Alessandra Sandulli,
con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, corso Vittorio
Emanuele II, 349;
nei confronti di
Team Service Società Consortile, in persona del legale
rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Mario Sanino, con
domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Parioli, 180;
Compass Group Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante,
rappresentata e difesa dagli avvocati Ernesto Stajano, Innocenzo Militerni e
Massimo Militerni, con domicilio eletto presso lo studio legale del primo in
Roma, via Sardegna, 14; Sogea Spa; Fulgens s.r.l., in persona del legale
rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Massimo Massa e Marcello
Vignolo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Antonia De Angelis
in Roma, via Portuense, 104; Consorzio Nazionale Cooperative Pluriservizi, in
persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avvocato Aldo De
Caria, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, V. L. Boccherini, 3;
per la riforma
quanto al ricorso n. 8925 del 2009:
della sentenza 26 novembre 2009, n. 11789 del
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, Sezione III-ter, del
dispositivo relativo alla predetta sentenza n. 293 del 2009;
quanto al ricorso n. 8926 del 2009:
della sentenza 25 novembre 2009, n 11649 del Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, Roma, Sezione III-ter, del
dispositivo della predetta sentenza 294 del 2009.
Visti i ricorsi in appello, i motivi aggiunti e i
relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 maggio
2013 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Perrettini,
Sandulli, Sanino, De Caria e Annoni.
FATTO
1.– La Società Trenitalia s.p.a. (d’ora innanzi anche
solo Trenitalia o stazione appaltante) ha indetto, con bando pubblicato sulla
G.U.C.E. del 6 maggio 2005, una procedura gara per l’affidamento del servizio
di pulizia ferroviaria, relativa all’intero territorio nazionale suddiviso in
lotti regionali.
La Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a. (di seguito anche
PMA o impresa) è risultata aggiudicataria, tra l’altro, dei lotti n. 1 –
Lombardia e n. 8 – Liguria.
L’affidamento del servizio è stato formalizzato con accordi
quadro del 13 febbraio 2006 e con i relativi contratti applicativi del 13
febbraio 2006 e del 25 luglio 2007. La durata dell’accordo quadro è stata
fissata in tre anni, con possibilità di proroga, da parte di Trenitalia, per
altri tre anni.
1.1.– Trenitalia ha, tuttavia, deciso di pubblicare
nuovi bandi.
Con un primo bando, pubblicato nella Gazzetta
ufficiale del 25 giugno 2008, nella GUCE del 24 luglio e nella GURI del
successivo giorno 28, ha indetto una procedura negoziale per l’istituzione di
accordi quadro per «l’affidamento dei servizi di pulizia del materiale rotabile
e degli impianti industriali, da espletarsi presso gli impianti di Trenitalia»,
suddivisa in 20 lotti (l’originario divieto di presentare offerte per più di
due lotti è stato ritenuto illegittimo, in sede di giudizio cautelare, dal
Consiglio di Stato, con ordinanza 30 settembre 2008, n. 5207). La pubblicazione
del bando è stata preceduta da esternazioni dei vertici societari circa la
volontà di sostituire le “vecchie” imprese di pulizia.
La PMA, superata la fase di prequalifica, con lettera
del 19 dicembre 2008, è stata invitata a presentare offerte in relazione a
tutti i lotti. Con note del 9 aprile 2009, numeri 14357, 14378 e 14379,
Trenitalia ha aggiudicato alla predetta impresa tre lotti: lotto 10 Lombardia –
Divisione passeggeri regionale, lotto 18 Liguria – Divisione passeggeri
regionale e lotto 20 – Direzione Tecnica ed Acquisti industriali.
Con due distinte note, di identico contenuto, del 7
maggio 2009 (comunicate il successivo giorno 14), Trenitalia ha caducato le
predette aggiudicazioni, ai sensi dell’art. 38, lettera f), del
decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE
e 2004/18/CE), con la seguente motivazione: «nell’ambito dei rapporti
contrattuali in essere, codesta società ha commesso grave negligenza
nell’esecuzione dei servizi di pulizia affidati con gli Accordi Quadro n. 838 e
n. 844 del 13 febbraio 2006, relativi ai lotti 1 Lombardia e 8 Liguria, come
risulta dalle innumerevoli contestazioni, penali e detrazioni per qualità
mancanti contestate nel periodo ottobre 2006-marzo 2009, nonché dall’esito
delle verifiche in ordine alla qualità del servizio erogata commissionate alla
società di certificazione S.G.S.-Ente terzo con sede in Milano via G.Gozzi, 1/A
– e da questa rassegnate in data 15 aprile 2008, in base alle quali è stata da
ultimo deliberata la risoluzione per inadempimento degli accordi quadro sopra
specificati, comunicata con nota 0017872 e 0017871 in data 7 maggio 2009».
1.2.– Con bando, pubblicato nella GURI del 19 dicembre
2008 e nella GUUE dell’11 dicembre 2008, Trenitalia ha indetto una ulteriore
procedura per l’affidamento dell’appalto dei servizi di pulizia (lotti da 1 a
35).
La PMA ha partecipato anche a tale procedura. Superata
la fase di prequalifica, l’impresa è stata esclusa con provvedimento del 21
maggio 2009. La ragione posta a base di tale determinazione è la stessa di
quella sopra indicata che ha condotto alla caducazione delle aggiudicazioni.
2.– Con distinti ricorsi, n. 4230 del 2009 e n. 4544
del 2009, la PMA ha impugnato, rispettivamente, gli atti del 7 maggio 2009 e
del 21 maggio 2009.
La ricorrente, in entrambi i ricorsi, ha dedotto, in
particolare, l’illegittimità dei provvedimenti impugnati «per eccesso di potere
per sviamento», in quanto Trenitalia .– senza che medio tempore fossero
intervenuti nuovi fatti che potessero giustificare una nuova e diversa
valutazione rispetto a quella effettuata in sede di prequalifica ovvero prima
di disporre le tre proroghe dei contratti applicativi (con note del 31 luglio,
30 ottobre 2008 e 6 febbraio 2009) – avrebbe disposto la risoluzione di
“vecchi” contratti, già scaduti, per costituire ex post una
causa di esclusione ai sensi del citato art. 38, lettera f), del
d.lgs. n. 163 del 2006. Ciò sarebbe confermato dalle «dichiarazioni pubbliche
(…) rese dai legali rappresentanti dell’amministrazione, con le quali era stata
esternata reiteratamente la volontà di non aggiudicare le nuove gare alle
imprese affidatarie dei precedenti appalti». Sotto altro, connesso, aspetto si
deduce l’illegittimità degli atti per motivazione carente, incongrua e
contraddittoria, fondata su verifiche effettuate da SGS con modalità differenti
da quelle contemplate dal capitolato e senza assicurare il rispetto delle
regole del contraddittorio. In particolare, sono state contestate le modalità
temporali di svolgimento dei controlli, i criteri di campionamento utilizzato,
il numero dei treni controllati, gli aspetti del servizio oggetto di verifica.
3.– Il Tribunale amministrativo, con sentenze 25
novembre 2009, n 11649 e 26 novembre 2009, n. 11789, ha respinto entrambi i
ricorsi. In particolare, si è affermato che è idoneo a supportare gli atti
adottati l’accertamento in sede amministrativa della causa di esclusione di cui
all’art. 38, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 163 del 2006, ed il
richiamo, per relationem, del provvedimento con cui, in altro
rapporto contrattuale di appalto, la stessa amministrazione aveva provveduto
alla risoluzione sulla base di ripetuti inadempimenti contrattuali. Del resto,
si aggiunge, dalla copiosa documentazione versata in atti da Trenitalia
emergerebbero le reiterate contestazioni di condotte implicanti senz’altro una
valutazione, ad opera di quest’ultima, della inadeguatezza del comportamento
contrattuale tenuto dalla PMA rispetto all’esigenza di garantire il carattere
fiduciario del rapporto.
4.– Il ricorrente in primo grado ha proposto, avverso le
predette sentenze, due autonomi appelli, prospettando le censure già formulate
in primo grado e chiedendo la riforma delle statuizioni del primo giudice.
4.1.– Si è costituita in giudizio Trenitalia chiedendo
il rigetto dell’appello.
4.2.– Si sono costituite le società controinteressate,
indicate in epigrafe, chiedendo il rigetto dell’appello.
4.3.– Con ordinanze 9 febbraio 2010, n. 56 e n. 57 la
Sezione ha ritenuto necessario, in entrambi i giudizi, l’espletamento di una
consulenza tecnica d’ufficio, affidata al prof. Enrico Laghi, al fine di
chiarire i seguenti aspetti:
«a) se le verifiche effettuate dalla società di
certificazione S.G.S. in ordine alla qualità del servizio di pulizia erogato a
favore di Trenitalia da Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a. nel periodo ottobre 2006
– marzo 2009 si siano svolte con modalità tali da assicurare il rispetto del
contraddittorio, nonché la terzietà e imparzialità del soggetto verificatore,
indagando, a tal fine, anche in merito ai rapporti esistenti tra S.G.S. e Trenitalia;
b) se le verifiche effettuate da S.G.S. in ordine alla qualità del servizio di
pulizia possano considerarsi tecnicamente valide ed attendibili, specie
considerando il periodo di tempo in cui si sono svolte, i criteri di
campionamento utilizzati, il numero dei treni controllati, gli aspetti del
servizio oggetto di verifica; c) se, alla luce della carenze riscontrate
nell’espletamento del servizio di pulizia effettuato da P.M.I. nel periodo
ottobre 2006 – marzo 2009, sia possibile ritenere tecnicamente attendibile il
risultato finale cui giunge la verifica commissionata da Trenitalia, che
individua scostamento percentuale di qualità mancante dell’impianto superiore
al limite e ai casi stabiliti nel CTO parte A, art. 11.2.5. (cioè uno
scostamento superiore al 20% per più di tre volte nel corso dell’appalto)».
4.4.– Il Consiglio di Stato, all’esito della disposta
istruttoria, ha accolto gli appelli.
In particolare, si è ritenuto che l’assunto su cui si
sono fondati gli atti impugnati, secondo cui a seguito dei contestati
inadempimenti sarebbe irreversibilmente venuto meno il rapporto fiduciario,
risulta smentito da una serie di elementi: 1) «Trenitalia, pur richiamando
inadempimenti risalenti all’anno 2006, ha stipulato nel luglio 2007, con PMA un
nuovo contratto applicativo dell’accordo quadro; inoltre, con le note 31 luglio
2008, 30 ottobre 2008, 6 febbraio 2009 Trenitalia ha prorogato il contratto già
scaduto, senza fare alcun riferimento a pregresse inadempienze, e lo ha fatto
pur avendo già ricevuto il rapporto di SGS (risalente al 15 aprile 2008); 2)
«Trenitalia nella fase di prequalfica della gara ha ritenuto sussistenti i
requisiti di partecipazione, ivi compreso quello di cui all’art. 38, comma 1,
lettera f), atteso che, altrimenti, non avrebbe dovuto ammettere
PMA al proseguo della procedura. Ancora in quel momento, quindi, i fatti sulla
cui base è stato poi adottato il provvedimento impugnato, pur essendo già noti
a Trenitalia, non sono stati ritenuti di gravità tale da menomare il rapporto
fiduciario con l’impresa appellante».
Nelle sentenze in esame il Consiglio di Stato ha poi
affermato che: «questo quadro, già di per sé in grado di rivelare una forte
contraddittorietà nel comportamento di Trenitalia e di menomare, di
conseguenza, la motivazione del provvedimento impugnato, è poi ulteriormente
aggravato dalle conclusioni rese dal ctu in ordine alle modalità di
accertamento della grave negligenza da parte di
SGS». Il consulente ha, infatti, evidenziato, si
prosegue nelle sentenze, che: «a) le verifiche effettuate da SGS non si sono
svolte con modalità tali da assicurare il rispetto del principio del
contraddittorio (pur riconoscendo che SGS sia un soggetto terzo e che non vi
sono elementi per ritenere che abbia operato in assenza del requisito di
imparzialità); b) le verifiche effettuate da SGS in relazione alla qualità del
servizio di pulizia del materiale rotabile presentano incoerenze, in termini di
periodo di tempo in cui si sono svolte le verifiche, criteri di campionamento
utilizzati, numero dei treni controllati e aspetto del servizio oggetto di
verifica. Di conseguenza, conclude il ctu, le verifiche effettuate da SGS, pur
tecnicamente in astratto valide, non possono essere ritenute coerenti e attendibili
se riguardate rispetto alle previsioni contenute nel capitolato tecnico
organizzativo- CTO; c) la verifica commissionata da Trenitalia a SGS, relativa
al periodo gennaio-febbraio 2008, non ha rilevato uno scostamento percentuale
della qualità mancante mensile superiore al 20% per più di tre volte nel corso
dell’appalto; bensì ha accertato – peraltro in modo incoerente rispetto a
quanto previsto dal CTO e, dunque tecnicamente inattendibile – uno scostamento
di qualità mancante superiore al 20% per il solo periodo (circa un mese)
rispetto al quale è stata condotta la verifica». Ancora si afferma che: è vero,
come sostiene Trenitalia, che gli atti impugnati non si fondavano
«esclusivamente sul rapporto di SGS (ma anche sulle “innumerevoli contestazioni
penali e detrazioni”): ciò nonostante, tuttavia, i vizi che inficiano il
rapporto di SGS (che comunque viene indicato come elemento della motivazione
del provvedimento di esclusione), unitamente alle contraddittorietà sopra
riscontrate relative al comportamento di Trenitalia, fanno emergere numerosi
indici sintomatici di eccesso di potere, alla stregua dei quali creando il
ragionevole dubbio che il provvedimento impugnato sia in realtà motivato da
ragioni diverse rispetto alla carenza dell’elemento fiduciario».
Per le ragioni sin qui esposte, il Consiglio di Stato
ha accolto gli appelli e annullato gli atti impugnati in primo grado.
5.– Trenitalia ha impugnato le predette sentenze in
Cassazione, rilevando l’avvenuta invasione da parte del giudice amministrativo di
spazi di competenza: i) del giudice ordinario afferenti alla fase
di esecuzione del rapporto; ii) dell’amministrazione, a cui si è
sostituito.
5.1.– La Cassazione, con sentenze 17 febbraio 2012, n.
2312 e n. 2313, ha accolto il secondo motivo di ricorso. In particolare, si è
ritenuto che il Consiglio di Stato abbia ecceduto dai poteri cognitivi,
invadendo sfere riservate alla pubblica amministrazione. In particolare, si è
affermato che sindacato sulla motivazione del rifiuto da parte della stazione
appaltante, in un ambito, quello relativo all’accertamento della mala fede o
grave negligenza nell’esecuzione delle prestazioni contrattuali, riservato al
giudizio della stazione appaltante, deve «essere rigorosamente mantenuto sul
piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi
di fatto esibiti dall’appaltante come ragioni del rifiuto e non può avvalersi,
onde ritenere avverato il vizio di eccesso di potere, di criteri che portano ad
evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa (ove si
recepiscano, come ha fatto il giudice amministrativo, le considerazioni esposte
dal consulente)» (le ulteriori argomentazioni sono riportate nella parte in
diritto).
Per le ragioni sin qui esposte i giudici di
legittimità hanno cassato le decisioni impugnate, rinviando, per la fase
rescissoria, la decisione finale al Consiglio di Stato.
6.– PMA ha riassunto la causa innanzi al Consiglio di
Stato, rilevando, in via preliminare, che le sentenze cassate dalla Cassazione
si fondavano sulla contraddittorietà dei comportamenti tenuti da Trenitalia e
che ciò fosse sufficiente a ritenere illegittimi gli atti impugnati. Sono
stati, poi, riproposti i motivi contenuti nell’atto di appello.
6.1.– Si è costituita in giudizio Trenitalia,
rilevando che, alla luce delle motivazioni contenute nelle sentenza della
Cassazione, l’appello deve essere rigettato.
6.2.– Con memoria del 3 ottobre 2012, l’appellante ha
fatto presente che, con decreto 20 aprile 2011 del Tribunale fallimentare di
Roma, la PMA è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria.
Successivamente, con decreto 18 luglio 2012, è stata disposta la conversione
della predetta procedura in fallimento. Essendosi realizzata una interruzione ope
legis del giudizio, con il predetto atto il Fallimento della PMA ha
riassunto il giudizio.
6.3.– Con successiva memoria PMA ha chiesto che la
causa venisse rinviata per essere decisa unitamente ad altri due ricorsi in
appello recanti i numeri 6929 e 7612 del 2012. In particolare, si è rilevato
che con tali ricorsi è stata impugnata la sentenza 27 aprile 2012, n. 3810 del
Tribunale amministrativo regionale del Lazio che ha rigettato la domanda con
cui il Fallimento di PMA ha impugnato il provvedimento del 3 settembre 2010. In
particolare, con tale provvedimento Trenitalia s.p.a. .– premesse le
contestazioni di grave negligenza notificate all’impresa nell’esecuzione dei
servizi di pulizia affidati con l’accordo quadro n. 1691 del 2006 relativamente
al lotto 15-Sardegna, e considerati altresì i reiterati gravi inadempimenti
della medesima impresa rispetto agli obblighi contrattuali, circostanze tutte
in forza delle quali in data 15 luglio 2010 è stata disposta la risoluzione del
contratto .– ha stabilito la conferma degli atti impugnati nei giudizi che
rilevano in questa sede.
6.4.– Trenitalia ha presentato, anch’essa, una memoria
con la quale ha dedotto, in via preliminare: a) la pendenza innanzi al
Tribunale di Roma dei giudizi proposti da PMA avverso le risoluzioni dei
rapporti contrattuali sui lotti numeri 8 Liguria e 1 Lombardia disposte con
note del 7 maggio 2009; b) «la pendenza dinanzi al Tar del giudizio sul
provvedimento di aggiudicazione del lotto 20 e del giudizio sul provvedimento
di aggiudicazione del lotto 18 (…) in cui la società aggiudicataria ha proposto
ricorso incidentale contro l’ammissione di PMA alla procedura di gara». Nel
merito sono state ribadite le argomentazioni difensive a giustificazione del
rigetto dell’appello. Con successiva memoria Trenitalia si è opposta alla
richiesta di rinvio.
7.– La causa è stata trattenuta in decisione
all’udienza pubblica del 22 maggio 2013.
DIRITTO
1.– La vicenda amministrativa posta all’esame del
Collegio attiene alla legittimità degli atti di revoca dell’aggiudicazione e
non ammissione a determinate procedure di gara di Pietro Mazzoni Ambiente
s.p.a. (d’ora innanzi solo PMA o impresa) poste in essere da Trenitalia sul
presupposto, contemplato dall’art. 38, lettera f), del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE), di accertate gravi negligenze nella fase di esecuzione di
pregressi rapporti negoziali.
2.– La Corte di cassazione, con sentenze 17 febbraio
2012, n. 2312 e n. 2313, ha annullato le decisioni del Consiglio di Stato che
avevano, accogliendo l’appello proposto da PMA, annullato i predetti atti. La
Cassazione ha ritenuto che, nello svolgimento del sindacato giurisdizionale, il
giudice amministrativo avesse invaso spazi riservati alla competenza della
pubblica amministrazione. Nel disporre tale annullamento ha rinviato la
controversia al Consiglio di Stato per la decisione della fase rescissoria.
3.– La connessione, oggettiva e soggettiva, tra gli
appelli proposti impone la loro riunione affinché gli stessi siano decisi con
un’unica decisione.
4.– In via preliminare, deve rilevarsi come la Sezione
non abbia accolto l’istanza di rinvio presentata dalla parte resistente.
Infatti, la circostanza che Trenitalia ha, con un successivo provvedimento,
confermato il contenuto degli atti impugnati in questa sede in ragione di una
accertata ulteriore causa di inadempimento di un precedente rapporto non è
idonea ad incidere direttamente sull’esito della controversia in esame. In
definitiva, fondandosi gli atti impugnati, nei giudizi di cui si chiede la
riunione, su diverse ragioni di inadempimento di contratti pregressi, non
sussiste la necessità di un loro trattazione congiunta.
5.– Nel merito l’appello, riproposto nell’atto di
riassunzione, prescindendo dalle eccezioni preliminari sollevate da Trenitalia,
non è fondato.
6.– Su un piano generale, è necessario indicare, nei
limiti di quanto rileva in questa sede, quali sono i casi in cui è consentito
il ricorso in Cassazione, alla luce dell’evoluzione delle forme di tutela
innanzi al giudice amministrativo e, in particolare, delle modalità del
sindacato sull’eccesso di potere.
6.1.– L’art. 111, ultimo comma, della Costituzione
prevede che contro le decisioni del Consiglio di Stato il ricorso in Cassazione
è ammesso «per i soli motivi inerenti alla giurisdizione» (medesima
disposizione è contenuta nell’art. 110 cod. proc. amm.).
La dizione impiegata deve essere intesa nel senso che
le sentenze del Consiglio di Stato sono impugnabili quando le stesse superano
il cosiddetto limite esterno della giurisdizione, che si
realizza in presenza: i) della violazione dei criteri di riparto
della giurisdizione, con conseguente invasione della sfera spettante ad altra
giurisdizione; ii) del rifiuto di esercizio del potere
giurisdizionale sul presupposto erroneo che la materia non possa essere oggetto
di funzione giurisdizionale; iii) di un eccesso di potere
giurisdizionale, attuato mediante l’invasione di spazi riservati al potere
legislativo o, ed è l’aspetto che rileva in questa sede, amministrativo. Non
sono, invece, ricorribili per Cassazione le sentenze del Consiglio di Stato per
motivi afferenti al superamento dei limiti interni alla
giurisdizione e cioè alle modalità mediante le quali viene garantita la tutela
giurisdizionale (Cass., sez. un., 27 febbraio 2013, n. 4852; 16 febbraio 2009,
n. 3688; 16 dicembre 2008, n. 29348).
L’accertamento di un eccesso di potere giurisdizionale
può comportare, in presenza di una vicenda complessa e sul presupposto che
esistono spazi per un giudizio di legittimità, che la Cassazione disponga, come
è avvenuto nella specie, il rinvio della questione al Consiglio di Stato per la
decisione della fase rescissoria. Ciò sul presupposto che la Cassazione non può
«sotto alcun profilo» vincolare il «contenuto di merito o di rito» della
decisione finale (cfr. Corte cost., 12 marzo 2007, n. 77).
6.2.– Il codice del processo amministrativo,
consacrando una lunga elaborazione giurisprudenziale, ha introdotto il
principio della pluralità delle azioni e trasformato, anche mediante il
potenziamento dei mezzi istruttori che consentono l’accesso al fatto, il
processo amministrativo da un processo sull’atto ad un processo che valuta, nei
limiti che si indicheranno, il rapporto dedotto nel giudizio stesso. L’esigenza
di concludere il processo mediante l’adozione di una sentenza che sia
satisfattiva della pretesa azionata rende sempre più penetrante il sindacato
del giudice amministrativo sul potere pubblico. Ciò non implica, però, che il
giudice amministrativo possa invadere sfere di attribuzioni spettanti alla
pubblica amministrazione. In presenza di una attività discrezionale, la
valutazione comparativa degli interessi pubblici primari, secondari e degli
interessi privati spetta alla autorità pubblica e il giudice amministrativo, al
di fuori del casi di giurisdizione estesa al merito, può svolgere il proprio
controllo, oltre che in presenza di violazioni di legge, soltanto quando
l’attività amministrativa deborda nell’eccesso di potere.
6.2.1.– Nella impostazione tradizionale l’unica figura
sintomatica dell’eccesso di potere - evocata, come si dirà nel prosieguo, nella
presente controversia - era rappresentata dallo sviamento di potere.
Il ricorrente, per ottenere l’annullamento dell’atto doveva dimostrare che la
pubblica amministrazione avesse inteso perseguire un interesse diverso da
quello predefinito dalla legge. Nel corso degli anni, preso atto della
difficoltà di dimostrare in giudizio l’effettiva esistenza di una devianza
dalla causa tipica, la giurisprudenza amministrativa ha elaborato numerose
figure sintomatiche dell’eccesso di potere, quali, a solo titolo
esemplificativo, la motivazione insufficiente, l’errore di fatto, l’ingiustizia
grave e manifesta, la contraddittorietà interna ed esterna, la violazione di
circolari, di norme interne o della prassi amministrativa.
Le predette figure, inizialmente ritenute sintomatiche
dello sviamento di potere, hanno acquisito, nella prassi giudiziaria, una loro
autonomia essendo state ricondotte ai principi generali dell’azione
amministrativa e, in particolare, al principio di ragionevolezza (Cons. Stato,
sez. VI, 30 luglio 2013, n. 4011; 21 gennaio 2013, n. 301) o, secondo una
diversa impostazione, al principio di proporzionalità. In questa prospettiva,
tesa a rafforzare le forme di tutela, è sufficiente, in presenza di una
specifica domanda, che ricorra una di esse affinché si possa annullare un
provvedimento amministrativo senza che sia necessario effettuare un confronto
tra l’interesse pubblico tipico e l’interesse concreto perseguito
dall’amministrazione per dimostrare lo sviamento di potere e cioè che
quest’ultima non abbia perseguito le finalità istituzionali che la legge gli
impone di assicurare. In definitiva, le figure in esame sono divenute regole di
condotta tipizzate a livello giurisprudenziale, secondo uno schema aperto che
consente il continuo adattamento alle esigenza di tutela, la cui violazione
determina l’illegittimità degli atti impugnati. Lo strumento delle figure
sintomatiche è utilizzabile anche quando il sindacato ha ad oggetto una
attività amministrativa connotata da discrezionalità tecnica. In questo caso,
in ragione dell’esistenza di nozioni proprie del sapere specialistico, il
giudice amministrativo, al fine di esercitare un controllo intrinseco, può
avvalersi anche dell’ausilio di un verificatore o di un consulente tecnico
d’ufficio (artt. 66 e 67 cod. proc. amm.).
Il giudice invece non può sostituirsi all’autorità
amministrativa nelle valutazioni opinabili di fatti (in caso di discrezionalità
tecnica) né nel merito dell’azione amministrativa, cioè nelle scelte di
opportunità (in caso di discrezionalità amministrativa). In questo ambito si
possono collocare anche quelle materie la cui valutazione, per ragioni diverse,
viene riservata alla pubblica amministrazione. In particolare, per quanto
rileva in questa sede, si pensi ai poteri negoziali esercitati
dall’amministrazione – in relazione a determinati rapporti che rinviano a
concetti giuridici indeterminati – che possono poi costituire il presupposto
per l’esercizio di diversi poteri di natura amministrativa. In questo caso il
sindacato del giudice amministrativo “sul presupposto” ha valenza incidentale ed
è finalizzato a valutare se l’amministrazione ha, in ipotesi, esercitato in
maniera cattiva il potere amministrativo.
In definitiva, il giudice amministrativo, al di fuori
dei casi di giurisdizione estesa al merito, può sindacare le scelte
irragionevoli dell’amministrazione, anche sul piano tecnico, ma non può
sovrapporre proprie valutazioni a quelle che, per le ragioni indicate, sono
riservate all’amministrazione stessa.
6.2.2.– L’accertamento nel processo dell’eccesso di
potere, nelle diverse manifestazioni indicate, spetta al giudice amministrativo
mediante l’analisi dei fatti e della motivazione (Cass., sez. un., 8 marzo
2012, n. 3622; il principio è contenuto anche nella giurisprudenza più
risalente, Cass., 4 maggio 1960, n. 1006; Cass., 15 marzo 1972, n. 745; Cass.,
14 maggio 1987, n. 4442), con la conseguenza che soltanto se tale figura non
esiste la contestazione giudiziale si risolve in un non consentito sindacato
sulle scelte riservate all’amministrazione.
7.– Nello specifico, occorre, adesso, valutare le
statuizioni contenute nelle sentenze del Consiglio di Stato e i vizi
riscontrati dalla Cassazione al fine di risolvere, attraverso la previa
individuazione dell’eccesso di potere giurisdizionale accertato, la presente
controversia.
7.1.– Il Consiglio di Stato ha fondato le decisioni
annullate sui seguenti postulati.
In primo luogo, si è ritenuto che Trenitalia avesse
posto in essere una attività connotata da contraddittorietà. La stessa,
infatti, ha revocato l’aggiudicazione ovvero non ammesso alla gara PMA
richiamando inadempimenti relativi a pregressi rapporti nonostante
successivamente ad essi avesse stipulato con l’impresa un nuovo contratto
applicativo dell’accordo quadro e prorogato i contratti scaduti.
In secondo luogo, si è ritenuto che tale quadro «già
di per sé in grado di rivelare una forte contraddittorietà nel comportamento di
Trenitalia e di menomare, di conseguenza, la motivazione del provvedimento
impugnato» fosse «ulteriormente aggravato dalle conclusioni rese dal c.t.u.» in
ordine alle modalità di accertamento della grave negligenza da parte di SGS. Il
consulente ha, infatti, evidenziato che le: i) verifiche effettuate
da SGS non si sono svolte con modalità tali da assicurare il rispetto del principio
del contraddittorio; ii) le verifiche effettuate da SGS non possono
essere ritenute coerenti e attendibili se riguardate rispetto alle previsioni
contenute nel CTO; iii) la verifica commissionata da Trenitalia a
SGS, relativa al periodo gennaio-febbraio 2008, non ha rilevato uno scostamento
percentuale della qualità mancante mensile superiore al 20% per più di tre
volte nel corso dell’appalto.
Infine, si è concluso rilevando che, pur se è vero,
come sostiene Trenitalia, che gli atti impugnati si fondavano anche sulle
«innumerevoli contestazioni penali e detrazioni» i vizi che inficiano il
rapporto di SGS, unitamente alle contraddittorietà sopra riscontrare, fanno
sorgere «il ragionevole dubbio che il provvedimento impugnato sia in realtà
motivato da ragioni diverse rispetto alla carenza dell’elemento fiduciario».
7.2.– La Corte di cassazione ha cassato, con rinvio,
le decisioni del Consiglio di Stato per le seguenti ragioni.
In primo luogo, si è rilevato come si sottragga alla
censura di sconfinamento del potere cognitivo la parte delle sentenze in cui si
è accertata l’esistenza di comportamenti contraddittori posti in essere da
Trenitalia, ancorché, come si dirà oltre, ritenuti non sufficienti a condurre
all’annullamento degli atti impugnati.
In secondo luogo, si è sottolineato come l’art. 38,
comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 163 del 2006 rimetta alla
stazione appaltante la scelta di individuare il punto di rottura
dell’affidamento con il futuro contraente. Si afferma, condividendo un rilievo
contenuto nel ricorso, che l’ambito valutativo riservato all’amministrazione
non è segnato da regole tecniche delle quali sia possibile controllare la
coerenza e la adeguatezza ma è qualificato da evidenti riserve di «soggettività
della scelta».
Ne consegue che il sindacato sulla motivazione del
rifiuto deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della «non
pretestuosità» della valutazione degli elementi di fatto esibiti
dall’appaltante come ragioni del rifiuto e non può avvalersi, al fine di ritenere
esistente il vizio di eccesso di potere, di criteri che portano ad evidenziare
la mera «non condivisibilità» della valutazione stessa «ove si
recepiscano, come ha fatto il giudice amministrativo, le considerazioni esposte
dal consulente». In questa prospettiva, il giudice amministrativo può accertare
«l’inesistenza di alcuna ragione giustificante o la esistenza
indiscutibile di ragioni dissimulate» ma non può valutare «solamente la
insufficienza dei dati addotti a sostenere come plausibile il superamento di
quel punto di rottura».
Infine, si conclude rilevando come il Consiglio di
Stato - ritenendo non sufficiente l’elemento della contraddittorietà e non
attribuendo rilevanza alle altre dedotte «innumerevoli contestazioni penali e
detrazioni» - per ritenere sussistente «il ragionevole dubbio» della esistenza
di ragioni diverse rispetto alla carenza dell’elemento fiduciario» si è basato
sulle risultanze della consulenza, incorrendo, per le ragioni indicate,
nell’eccesso di potere cognitivo.
7.3.– Il Collegio ritiene, alla luce di quanto sin qui
esposto, che l’appellante non ha dimostrato che la stazione appaltante abbia
debordato dai limiti della propria discrezionalità, per le ragioni di seguito
indicate idonee ad attribuire connotati di peculiarietà alle fattispecie in
esame.
7.3.1.– L’art. 38, lettera, f) del d.lgs.
n. 163 del 2006 prevede che sono esclusi dalla partecipazione alla gara gli
operatori economici che «secondo motivata valutazione della stazione
appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle
prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara».
La disposizione in esame, pur nella sua apparente
unitarietà, contempla un fatto complesso che impone la distinzione tra il
giudizio afferente alla fase negoziale del pregresso rapporto e il giudizio
relativo all’esercizio di poteri amministrativi.
Il primo giudizio è riservato all’amministrazione che,
quale parte di un pregresso rapporto, può ritenere che l’altra parte abbia
posto in essere, nell’esecuzione delle prestazioni, un comportamento connotato
da grave negligenza o malafede. L’amministrazione potrebbe, come è avvenuto
nella specie, decidere di risolvere il contratto stipulato. In questo caso,
qualora insorgano contestazioni, la competenza a dirimerle spetta al giudice
ordinario, che esercita un controllo pieno sulle cause interne che
hanno condotto alla interruzione del rapporto negoziale.
Il secondo giudizio spetta anch’esso
all’amministrazione che, considerati nel modo anzidetto i pregressi rapporti
negoziali, adotta, nell’esercizio di un potere pubblico, la determinazione con
la quale esclude una impresa da una gara ovvero annulla una aggiudicazione già
disposta. Si tratta di un potere discrezionale che deve valutare se il fatto
pregresso abbia concretamente reso inaffidabile l’operatore economico con
possibile pregiudizio dell’interesse pubblico connesso alla realizzazione,
nella specie, di determinati servizi. In questo caso, se insorgono
contestazioni, la competenza a dirimerle spetta al giudice amministrativo, che
esercita un controllo sulle cause esterne che hanno
determinato la rottura del rapporto fiduciario al fine di accertare se esiste
una figura sintomatica dell’eccesso di potere idonea a comportare
l’illegittimità degli atti amministrativi (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 15 maggio
2012, n. 2761). In tale prospettiva, l’interruzione della relazione fiduciaria
relativa al pregresso rapporto costituisce un presupposto per
l’esercizio del potere pubblico, con la conseguenza che il sindacato, come rilevato
dalla Cassazione, deve limitarsi a valutare l’eventuale inesistenza o
dissimulazione del presupposto stesso.
7.3.2.– Nella specie l’appellante non ha dimostrato
che ricorre una figura sintomatica dell’eccesso di potere né la stessa è emersa
all’esito della disposta consulenza tecnica.
In relazione al primo aspetto, deve rilevarsi che la
domanda di annullamento proposta si è basata sull’asserita esistenza di uno sviamento
di poterefondato sul perseguimento di interessi diversi da quelli
prefigurati dalla normativa attribuiva del potere stesso. L’appellante non ha,
invece, evocato, quale figura autonoma di eccesso di potere, la
contraddittorietà tra atti posti in essere da Trenitalia, in quanto la stessa è
stata richiamata nel contesto della censura relativa al difetto di motivazione
ovvero nell’ambito di una impostazione difensiva mirata a provare l’esistenza
dello sviamento del potere. In questa prospettiva, era onere della parte
dimostrare che effettivamente la stazione appaltante avesse voluto, mediante
l’adozione degli atti impugnati, raggiungere uno scopo diverso da quello
tipizzato dalla legge di disciplina dell’azione pubblica. Questa prova,
oggettivamente difficile, non è stata fornita, in quanto la contraddittorietà
dei comportamenti di Trenitalia, fondata sulla proroga di contratti scaduti e
sulla stipulazione di un nuovo contratto applicato, non ha raggiunto, avuto
riguardo alla sufficiente motivazione contenuta negli atti impugnati, una
soglia tale da fare ritenere che l’impresa abbia dimostrato, in concreto, che
il fine perseguito fosse quello di estrometterla dalla gestione degli appalti
in essere per aprire il mercato a nuovi e diversi operatori economici.
In relazione al secondo aspetto, gli esiti della
consulenza tecnica, sopra riportati, hanno consegnato un giudizio di non
condivisione degli accertamenti disposti dalla stazione appaltante ma
non di insussistenza o dissimulazione del presupposto costituito dalla grave
negligenza nell’esecuzione delle prestazioni negoziali. La relazione tecnica
non ha, pertanto, neanche essa fatto emergere la figura sintomatica
dell’eccesso di potere evocata dagli appellanti. Si tenga conto, inoltre, che
le determinazioni assunte da Trenitalia si sono fondate, come risulta dalla
motivazione e dagli atti del processo, anche su altre contestazioni relative alle
modalità di svolgimento del servizio da parte dell’impresa.
In definitiva, deve ritenersi che, per le ragioni sin
qui esposte, non è stato dimostrato né risulta dalla documentazione acquisita
al giudizio che Trenitalia abbia inteso perseguire scopi diversi da quelli
esternati nella congrua motivazione dei provvedimenti oggetto di impugnazione
nei giudizi di primo grado.
8.– La fase rescissoria deve essere, pertanto,
definita nel senso del rigetto degli appelli proposti con gli atti di
riassunzione.
9.– La natura della controversia giustifica
l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale,
Sezione Sesta, riuniti i giudizi, definitivamente pronunciando:
a) rigetta gli appelli proposti con i ricorsi in
riassunzione, indicati in epigrafe;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le
spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 21 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/08/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
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