SERVIZI PUBBLICI LOCALI
& SOCIETA' PUBBLICHE:
ottimo "excursus" sulle modifiche legislative
in materia di società pubbliche
e servizi pubblici locali
(Cass. Civ., Sez. Lav.,
sentenza 6 ottobre 2013)
"Excursus" storico-legislativo
1. Sul piano legislativo deve premettersi che la L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 22, recante l'ordinamento delle autonomie locali, prevedeva che comuni e province, nell'ambito delle rispettive competenze, provvedessero alla gestione dei servizi pubblici aventi ad oggetto la realizzazione di fini sociali e la promozione dello sviluppo economico e civile delle comunità locali (comma 1), mediante varie forme giuridiche (in economia, in concessione a terzi, a mezzo di azienda speciale, di istituzione o di società per azioni a prevalente capitale pubblico, comma 3).
1.1 Il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 recante il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, nella sua originaria formulazione, ribadì che questi ultimi avrebbero dovuto provvedere alla gestione dei servizi pubblici di interesse delle comunità locali nelle stesse forme già individuate dalla L. n. 142, art. 22 (artt. 112 e 113).
1.2 A breve distanza di tempo, tuttavia, l'impostazione del D.Lgs. n. 267 del 2000 fu rivista dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 35 nell'ambito del patto di stabilità interno per gli enti pubblici (previsto dal capo terzo del titolo terzo della legge).
Tale art. 35 modificò detto art. 113 ed introdusse l'art. 113 bis, distinguendo la gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza industriale (art. 113) dalla gestione dei servii pubblici locali privi di rilevanza industriale (art. 113 bis).
1.3 Deve richiamarsi la formulazione dell'art. 113 adottata in tale occasione, la quale, sotto la rubrica Gestione delle reti ed erogazione dei servici pubblici locali di rilevanza industriale, prevedeva che la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, ove separata dall'attività di erogazione dei servizi, dovesse essere effettuata dagli enti locali, anche in forma associata, mediante a) "soggetti allo scopo costituiti, nella forma di società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche associati, cui può essere affidata direttamente tale attività", b) "imprese idonee, da individuare mediante procedure ad evidenza pubblica ..." (comma 4).
1.4 Lo stesso art. 113 prevedeva, inoltre, che l'erogazione del servizio, dovesse avvenire in regime di concorrenza, secondo le apposite discipline di settore "con conferimento della titolarità del servizio a società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica" (comma 5). In particolare, era previsto il divieto di "ogni forma di differenziazione nel trattamento dei gestori di pubblico servizio in ordine al regime tributario, nonché alla concessione da chiunque dovuta di contribuzioni o agevolazioni per la gestione del servizio" (comma 10).
2. Si tratta, in altre parole di una vera e propria opzione di carattere gestionale, in relazione alla onerosità dell'attività, tanto è vero che gli enti in questa ipotesi sono posti dinanzi all'alternativa di avvalersi o di soggetti economici costituiti in forma societaria partecipata dagli enti interessati, oppure di idonee imprese da scegliere attraverso pubblica gara (comma 4). Dunque, la forma societaria di diritto privato è per l'ente locale una modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall'ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell'obiettivo pubblico è caratterizzato dall'accettazione delle regole del diritto privato.
2.1 Le disposizioni in esame definiscono il proprio ambito di applicazione non secondo il titolo giuridico in base al quale le società operano, ma in relazione all'oggetto sociale di queste ultime. Tali disposizioni sono fondate sulla distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica e attività d'impresa di enti pubblici. L'una e l'altra possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di svolgimento sono diverse.
Nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione. Nel secondo caso, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza.
2.2 Questi concetti sono ben presenti nella giurisprudenza costituzionale la quale, soprattutto al fine di individuare il corretto discrimine tra la legislazione regionale e quella statuale, considera la legislazione ora in esame quale frutto di disposizioni che mirano a separare la sfera di attività amministrativa da quella privata per evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività d'impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto pubblica amministrazione. Non è, dunque, negata né limitata la libertà di iniziativa economica degli enti territoriali, ma è imposto loro di esercitarla distintamente dalle proprie funzioni amministrative, rimediando a una frequente commistione, che il legislatore statale ha reputato distorsiva della concorrenza (Corte Cost. 1.08.08 n. 326).
3. Giova ricordare il principio enunziato dalle Sezioni unite con la sentenza 19.12.09 n. 26806 che - nello statuire che spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all'azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti - ha affermato che non è configurabile, avuto riguardo all'autonoma personalità giuridica della società, né un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti.
Tale principio è stato adottato da tutta la giurisprudenza successiva delle Sezioni Unite anche in relazione a società per azioni a partecipazione pubblica maggioritaria o totalitaria, anche se sottoposte a penetranti poteri di controllo dell'ente pubblico ed anche se la s.p.a. gestisce un servizio pubblico essenziale (SS.UU. 07.07.11 n. 14957; SS.UU. 12.10.11 n. 20940; 5.07.11 n. 14655).
Sentenza per esteso
Intestazione
LA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE
LAVORO
[…]
FATTO
1.- Con ricorso al Giudice
del lavoro di Torino Iride s.p.a.proponeva opposizione avverso cartella
esattoriale ad essa notificata da Equitalia Nomos s.p.a., con la quale era
stato ingiunto il pagamento della somma di cui alla cartella per omesso
versamento all'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), nel periodo
indicato dei contributi per cassa integrazione straordinaria e ordinaria,
mobilità e indennità di malattia dovuti per i propri dipendenti, oltre le
relative somme aggiuntive e gli interessi di mora. Sosteneva l'opponente che la
sua ragione societaria privata era trasposizione solo formale delle originarie
aziende municipali di erogazione di pubblici servizi e che essa conservava la
sua originaria natura di azienda pubblica e rimaneva soggetta alla normativa
pubblicistica. Il Tribunale di Torino accoglieva l'opposizione proposta da
Iride Servizi s.p.a. ed annullava la cartella.
2.- Proposto appello
dall'INPS, la Corte d'appello di Torino con sentenza 30.11.2010 accoglieva
l'impugnazione e rigettava l'opposizione. Ritiene la Corte d'appello che Iride
spa non gode dell'esenzione contributiva riservata dalla legge alle
imprese pubbliche, essendo
assoggettata alla comune disciplina delle società per azioni. Pertanto, essa non rientra fra le imprese
esonerate dall'applicazione della cassa integrazione guadagni (D.L.C.P.S. 12
agosto 1947, n. 869, art. 3 e della L. 5 novembre 1968, n. 1115, art. 2 e della
L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 16) ed è tenuta al pagamento della
contribuzione relativa, nonchè della contribuzione conseguente per la mobilità
dei lavoratori rientranti nel campo di applicazione della cassa integrazione.
La società appellante
per la Corte torinese non rientra neppure nella categoria delle aziende di
pubblici servizi, che, al pari delle aziende pubbliche, non sono soggette all'assicurazione obbligatoria per la
disoccupazione involontaria (R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 40, n. 2 e
D.P.R. 24 aprile 1957, n. 818, art. 36), nè gode del regime derogatorio
previsto dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20 (conv. dalla L. 5 agosto
2008, n. 133), che ha stabilito che l'obbligo assicurativo in questione sia
applicato alle dette aziende solo a decorrere dall'1.01.09. Veniva invece
respinta la domanda concernente l'indennità di malattia
3.- Avverso questa sentenza
propone ricorso per cassazione Iren s.p.a. (già Iride spa). Risponde l'INPS con
controricorso, in proprio e quale mandatario della SCCI s.p.a. Non svolge attività
difensiva Equitalia Nomos sp.a. La ricorrente ha depositato memoria.
DIRITTO
4.- I motivi di impugnazione della società ricorrente sono i
seguenti.
4.1.- Primo motivo: violazione dell'art. 132 c.p.c. e
nullità della sentenza di appello per erroneità delle indicazioni riportate
nella sua motivazione, riferita a società diversa
dalla ricorrente.
4.2.- Secondo motivo: quanto alla contribuzione
CIGO-CIGS, violazione di legge e carenza di motivazione, in quanto alla
presente controversia (relativa alla contribuzione dovuta negli anni 2006 e
2007) trova applicazione il D.Lgs. n. 448 del 2001, art. 35 e, pertanto, a
differenza che sotto il vigore della L. n. 142 del 1990 (art. 22), gli enti
locali per la gestione di servizi, reti, impianti e beni non hanno più la
facoltà, ma l'obbligo di valersi di "soggetti allo scopo costituiti, nella
forma di società di
capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche
associati" (L. n. 142, art. 113, come modificato dal D.Lgs. n. 448, art.
35), di modo la società di
capitali partecipata assume la funzione di ente strumentale dell'ente locale
per l'esercizio dei servizi pubblici. Iride Servizi, dunque, rientrerebbe tra
le imprese escluse dall'applicazione delle norme sull'integrazione dei guadagni
degli operai dell'industria, ai sensi dell'art. 3, comma 1, nel testo vigente,
risultante dalle modifiche apportate dalla L. 8 agosto 1972, n. 464, art. 1 e
dalla L. 12 luglio 1988, n. 270, art. 4, comma 1.
Del resto, il D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 3
considera impresa pubblica il soggetto economico su cui un soggetto pubblico
può esercitare un'influenza dominante, quale, nella forma del controllo,
consegue alla proprietà della maggioranza della società e il diritto di nominare più della metà dei
componenti del consiglio di amministrazione.
4.3.- Terzo motivo, quanto alla contribuzione per la
mobilità violazione della L. n. 223 del 1991, art. 16, commi 1 e 2, atteso che
l'accoglimento del secondo motivo comporterebbe l'automatico esonero da tale
contribuzione, che è dovuta solo per le aziende tenute alla contribuzione
CIGS-CIGO. 4.4.- Quarto motivo: si allega l'illogicità e contraddittorietà
della motivazione (nella quale si ritiene equa la compensazione integrale delle
spese di lite) rispetto al dispositivo di condanna alle spese di entrambi i
gradi di merito.
5. Il primo motivo è inaccoglibile dovendo, l'errata
indicazione (in motivazione) della società interessata
considerarsi frutto di una mera improprietà che non altera la sostanza della
pronunzia, posto che, comunque la Corte di appello ha individuato e risolto
tutte le questioni giuridiche proposta dalla odierna ricorrente al suo esame.
6.- Sul piano legislativo deve premettersi che la L. 8
giugno 1990, n. 142, art. 22, recante l'ordinamento delle autonomie locali,
prevedeva che comuni e province, nell'ambito delle rispettive competenze,
provvedessero alla gestione dei servizi pubblici aventi ad oggetto la
realizzazione di fini sociali e la promozione dello sviluppo economico e civile
delle comunità locali (comma 1), mediante varie forme giuridiche (in economia,
in concessione a terzi, a mezzo di azienda speciale, di istituzione o di società per azioni a prevalente
capitale pubblico, comma 3).
Il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (emanato in forza
della delega conferita dalla L. 3 agosto 1999, n. 265, art. 31), recante il
testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, nella sua
originaria formulazione, ribadì che questi ultimi avrebbero dovuto provvedere
alla gestione dei servizi pubblici di interesse delle comunità locali nelle
stesse forme già individuate dalla L. n. 142, art. 22 (artt. 112 e 113). A
breve distanza di tempo, tuttavia, l'impostazione del D.Lgs. n. 267 del 2000 fu
rivista dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 35 nell'ambito del patto di
stabilità interno per gli enti pubblici (previsto dal capo terzo del titolo
terzo della legge).
7.- Tale art. 35 modificò detto art. 113 ed introdusse
l'art. 113 bis, distinguendo la gestione delle reti ed erogazione dei servizi
pubblici locali di rilevanza industriale (art. 113) dalla gestione dei servii
pubblici locali privi di rilevanza industriale (art. 113 bis).
Deve richiamarsi, ai fini della presente controversia,
la formulazione dell'art. 113 adottata in tale occasione, la quale, sotto la
rubrica Gestione delle reti ed erogazione dei servici pubblici locali di
rilevanza industriale, prevedeva che la gestione delle reti, degli impianti e
delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, ove separata
dall'attività di erogazione dei servizi, dovesse essere effettuata dagli enti
locali, anche in forma associata, mediante a) "soggetti allo scopo
costituiti, nella forma di società di
capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche
associati, cui può essere affidata direttamente tale attività", b)
"imprese idonee, da individuare mediante procedure ad evidenza pubblica
..." (comma 4). Lo stesso art. 113 prevedeva, inoltre, che l'erogazione
del servizio, dovesse avvenire in regime di concorrenza, secondo le apposite
discipline di settore "con conferimento della titolarità del servizio
a società di capitali
individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza
pubblica" (comma 5). In particolare, era previsto il divieto di "ogni
forma di differenziazione nel trattamento dei gestori di pubblico servizio in
ordine al regime tributario, nonchè alla concessione da chiunque dovuta di
contribuzioni o agevolazioni per la gestione del servizio" (comma 10).
8.- Emerge che la società ricorrente è derivata dall'Azienda Energetica
Municipalizzata (AEM) del Comune di Torino, la quale, ai sensi della L. 8
giugno 1990, n. 142, art. 22 (ordinamento delle autonomia locali), si trasformò
in AEM Torino s.p.a., a capitale dapprima interamente pubblico e in seguito,
dopo la quotazione in Borsa, parzialmente privato, pur restando di proprietà
del Comune di Torino la maggioranza assoluta delle azioni. A decorrere dal
31.10.06 AEM Torino s.p.a. incorporò AMGA (Azienda Municipalizzata Gas e Acqua)
Genova s.p.a. e si trasformò in Iride s.p.a., partecipata al 51% da Finanziaria
Sviluppo Utilities s.r.l., le cui quote appartengono per metà ciascuno al
Comune di Torino ed al Comune di Genova. Lo stesso 31.10.06 l'attività
societaria fu disarticolata in quattro società controllate al 100% da Iride s.p.a., alle quali, per
trasferimento di ramo di azienda, furono trasferiti gli specifici settori di
attività delle due originarie aziende municipalizzate.
8.- Con i motivi secondo e terzo la parte ricorrente
afferma, in ragione della detenzione maggioritaria del capitale sociale da
parte dei Comuni di Genova e Torino, la sua natura di impresa pubblica, dato
che la formula della società partecipata
imposta dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 113 (nel testo introdotto dalla L. 28
dicembre 2001, n. 448, art. 35) consente al soggetto pubblico di esercitare,
direttamente o indirettamente, un'influenza dominante in ragione della
maggioritaria partecipazione azionaria. Iride spa rientrerebbe, dunque, tra le
imprese escluse dall'applicazione delle norme sull'integrazione dei guadagni
degli operai dell'industria, ai sensi del D.L.C.P.S. 12 agosto 1947, n. 869,
art. 3, comma 1, nel testo vigente (risultante dalle modifiche apportate dalla
L. 8 agosto 1972, n. 464, art. 1 e dalla L. 12 luglio 1988, n. 270, art. 4,
comma 1) e di conseguenza tra quelle escluse dal pagamento dell'indennità di
mobilità ai sensi della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 16, comma 1.
La giurisprudenza della Corte di cassazione ha già
preso in considerazione tali obiezioni rilevando che nella specie non può
identificarsi la società partecipata
con "le imprese industriali degli enti pubblici" esonerate,
trattandosi di società di
natura essenzialmente privata nella quale l'amministrazione pubblica esercita
il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato;
dovendosi altresì escludere, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto
a quella propria dello schema societario, che la mera partecipazione - pur
maggioritaria, ma non totalitaria - da parte dell'ente pubblico sia idonea a
determinare la natura dell'organismo attraverso cui la gestione del servizio
pubblico viene attuata (Cass. 24.06.09 n. 14847, 10.03.10 n. 5816 e, da ultimo,
13.05.13 n. 11417).
Tale principio è posto in discussione dalla odierna
ricorrente in quanto, a suo avviso, basato su un presupposto legislativo non
più attuale, quale il riferimento alla norma della L. n. 142 del 1990, art. 23
che non comprende l'ente societario tra quelli che sono qualificati strumentali
degli enti locali. La norma applicabile ratione temporis alla fattispecie,
infatti, prevedrebbe ormai l'obbligatorietà del ricorso all'ente societario
(T.U. n. 267 del 2000, art. 113, comma 4, come modificato dalla L. 28 dicembre
2001, n. 448, art. 35) e prescinderebbe da ogni più o meno dichiarato carattere
di strumentalità.
L'obiezione è infondata. Innanzitutto, anche dopo la
modifica di detto art. 113 ad opera della L. n. 448, art. 35, il successivo
art. 114, non toccato dalla modifica, continua a non prevedere l'ente
societario tra quelli strumentali dell'ente locale. Inoltre, il ricorso alla
forma societaria è considerato dal nuovo testo dell'art. 113 frutto di una vera
e propria scelta economica imposta all'ente locale, atteso che detta forma
societaria è consentita solo nel caso esista separazione dell'erogazione dalla
gestione del servizio e solo per la gestione delle reti, degli impianti e delle
altre dotazioni patrimoniali. Si tratta, in altre parole di una vera e propria
opzione di carattere gestionale, in relazione alla onerosità dell'attività,
tanto è vero che gli enti in questa ipotesi sono posti dinanzi all'alternativa
di avvalersi o di soggetti economici costituiti in forma societaria partecipata
dagli enti interessati, oppure di idonee imprese da scegliere attraverso
pubblica gara (comma 4). Dunque, la forma societaria di diritto privato è per
l'ente locale una modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e
prescelta dall'ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui
il perseguimento dell'obiettivo pubblico è caratterizzato dall'accettazione
delle regole del diritto privato.
Le disposizioni impugnate definiscono il proprio
ambito di applicazione non secondo il titolo giuridico in base al quale
le società operano, ma
in relazione all'oggetto sociale di queste ultime. Tali disposizioni sono
fondate sulla distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica e
attività d'impresa di enti pubblici. L'una e l'altra possono essere svolte
attraverso società di
capitali, ma le condizioni di svolgimento sono diverse.
Nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura
finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica
amministrazione. Nel secondo caso, vi è erogazione di servizi rivolta al
pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza.
Questi concetti sono ben presenti nella giurisprudenza
costituzionale la quale, soprattutto al fine di individuare il corretto
discrimine tra la legislazione regionale e quella statuale, considera la
legislazione ora in esame quale frutto di disposizioni che mirano a separare la
sfera di attività amministrativa da quella privata per evitare che un soggetto,
che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività
d'impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto
pubblica amministrazione. Non è, dunque, negata nè limitata la libertà di
iniziativa economica degli enti territoriali, ma è imposto loro di esercitarla
distintamente dalle proprie funzioni amministrative, rimediando a una frequente
commistione, che il legislatore statale ha reputato distorsiva della
concorrenza (Corte cost. 1.08.08 n. 326).
9.- Nulla aggiunge a questa impostazione il richiamo
effettuato dalla società ricorrente
alla definizione di impresa pubblica accolta dal D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163,
recante il codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture
(attuativo delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) per il quale
"imprese pubbliche sono
le imprese su cui le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare,
direttamente o indirettamente, un'influenza dominante o perchè ne sono
proprietarie, o perchè vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù
delle norme che disciplinano dette imprese", e "l'influenza dominante
è presunta quando le amministrazioni aggiudicatrici, direttamente o
indirettamente, riguardo all'impresa, alternativamente o cumulativamente: a)
detengono la maggioranza del capitale sottoscritto; b) controllano la
maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall'impresa; c) hanno
il diritto di nominare più della metà dei membri del consiglio di
amministrazione, di direzione o di vigilanza dell'impresa" (art. 3, comma
28). Il D.Lgs. n. 103 del 2006, infatti, non è la fonte dello statuto
dell'impresa pubblica, ma è una disposizione che, in attuazione del dettato
comunitario, enuclea una nozione convenzionale da adottare nel suo campo di
azione, che è quello della disciplina dei contratti delle stazioni appaltanti,
degli enti aggiudicatoli e dei soggetti aggiudicatoli, aventi per oggetto
l'acquisizione di servizi, prodotti, lavori ed opere (art. 1, comma 1). In
questo campo l'attività di impresa è comunque considerata una proiezione delle
potestà dei soggetti pubblici (territoriali e non), atteso che, ove consentito,
la scelta di un eventuale socio privato è sottoposta all'espletamento di
procedure di evidenza pubblica (art. 1, comma 2).
10.- Nessun significato interpretativo può, infine,
attribuirsi al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, conv. dalla L. 6 agosto 2008, n.
133, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e
la perequazione tributaria, il quale ha previsto, solo con decorrenza 1.01.09
l'obbligo del versamento dei contributi per malattia e maternità nei confronti
delle "imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali,
privatizzate ed a capitale misto" (art. 20, comma 2). Infatti, la
contribuzione disciplinata da tale norma è diversa da quella inerente i titoli
vantali dall'INPS nella presente controversia e non implica una
"razionalizzazione" dell'intera materia dell'obbligazione
contributiva delle imprese pubbliche,
privatizzate e a capitale misto, ovvero una assimilazione di tali imprese a
qualunque fine previdenziale o assistenziale, dato che, piuttosto, la
omogeneità è solo nel senso della estensione dell'obbligo contributivo per la
malattia a tutte le imprese, comprese quelle privatizzate e a capitale misto
(v. la già citata sentenza Cass. n. 5816 del 2010).
11.- Giova pure richiamare il principio enunziato
dalle Sezioni unite con la sentenza 19.12.09 n. 26806 che - nello statuire che
spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all'azione di
risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte
illecite degli amministratori o
dei dipendenti - ha affermato che non è configurabile, avuto riguardo
all'autonoma personalità giuridica della società, nè un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente pubblico
titolare della partecipazione, nè un danno direttamente arrecato allo Stato o
ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei
conti. Tale principio è stato adottato da tutta la giurisprudenza successiva
delle Sezioni Unite anche in relazione a società per azioni a partecipazione pubblica maggioritaria o
totalitaria, anche se sottoposte a penetranti poteri di controllo dell'ente
pubblico ed anche se la s.p.a. gestisce un servizio pubblico essenziale (S.u.
7.07.11 n. 14957; S.u. 12.10.11 n. 20940;
5.07.11 n. 14655).
In questa sede deve essere rimarcato che a dette
conclusioni le Sezioni Unite sull'onda della già menzionata sentenza n. 26806
del 2009 sono pervenute proprio sulla base del rilievo - che questo Collegio ha
più sopra già affermato - che le disposizioni del codice civile sulle società per azioni a
partecipazione pubblica non valgono a configurare uno statuto speciale delle
stesse e che la scelta della Pubblica Amministrazione di acquisire
partecipazioni in società private
implica l'assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta.
12. Fondato è invece il quarto motivo stante la
evidente incompatibilità delle
affermazioni contenute in motivazione rispetto al dispositivo di condanna alle
spese. Mentre quindi sono da rigettare i primi tre motivi di ricorso,
quest'ultimo motivo va accolto, conseguendone - limitatamente ad esso - la
cassazione della sentenza impugnata. La Corte può, tuttavia, decidere
direttamente sul punto (art. 384 c.p.c. statuendo nel senso della integrale
compensazione tra le parti ivi costituite delle spese di entrambi i gradi di
merito, tenuto conto della complessità e peculiarità delle questioni di quelle
sedi trattate. Per le stesse ragioni ritiene equo compensare le spese del
giudizio di legittimità tra le parti costituite nulla statuendo, invece, nei
confronti di Equitalia Nomos spa, in difetto di attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte accoglie l'ultimo motivo di ricorso e rigetta
gli altri.
Cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza
impugnata e decidendo nel merito compensa tra le parti costituite le spese di
giudizio di merito e del giudizio di legittimità. Nulla nei confronti delle
altre parti.
Così deciso in Roma, il 15 aprile 2013.
Depositato in Cancelleria
il 7 ottobre 2013