ESPROPRIAZIONE P.U. & OTTEMPERANZA:
il Comune resistente non può sciogliere "pro diviso"
il bene occupato illegittimamente
e restituirlo senza garantire il godimento dell'intero (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III,
sentenza 14 maggio 2014 n. 605).
Su segnalazione del Collega Giuseppe Mappa (che ringrazio per i sempre preziosi suggerimenti e consigli) segnalo la seguente controversia:
la società ricorrente in ottemperanza, comproprietaria al 50% del bene occupato illegittimamente (non essendo stata portata a termine la procedura espropriativa d'urgenza), si oppone all'esecuzione del giudicato del Comune, consistente nella restituzione di quota parte dello stesso, procedendo, a sua discrezione, al frazionamento del suolo.
A tale opzione si oppone la ricorrente, rilevando che il suo diritto dominicale per quota indivisa non può essere compresso e modificato arbitrariamente dal Comune che intende procedere, nella sostanza ad uno scioglimento stragiudiziale della comunione proprietaria, senza, peraltro interloquire in ordine all’assegnazione delle parti di suolo derivanti sul frazionamento.
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Massima
1. Non esiste alcun principio di diritto che consenta al Comune di limitare le prerogative proprietarie sul suolo in comproprietà che contemplano, in primo luogo quelle di fruire dell’intero bene, benché unitamente agli altri comproprietari.
E’ d’altro canto fortemente dubbio che il Comune (che si atteggia quale debitore di uno dei comproprietari) possa domandare lo scioglimento giudiziale della comunione.
2. Il Comune, pertanto, dovrà procedere a restituire l’intero bene, salva la possibilità che gli altri comproprietari domandino e ottengano lo scioglimento della comunione. Fintanto che ciò non si verifichi, la ricorrente dovrà essere reimmessa nel possesso pro quota dell’intero.
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Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 717 del 2013, proposto da:
--------------., rappresentata e difesa dagli avv. --------------------, con domicilio eletto presso ----------------------------;
contro
---------------------, rappresentato e difeso dall'avv.
--------------------, con domicilio eletto presso
------------------------------;
per l'ottemperanza
alla sentenza Tar Puglia - Bari - n. 2023/2009.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di -------------------------;
Viste le memorie difensive;
Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2014 la
dott.ssa Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori
------------------------------;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La ----------------- è
comproprietaria al 50% di un suolo sito nel Comune resistente, identificato
al fg 7, p.lla 680 di mq 12.244.
Il suolo in questione è
stato oggetto di procedura espropriativa attraverso l’adozione di decreto
sindacale di occupazione di urgenza n. 2535 dell’8.3.1989, eseguito, tramite
immissione in possesso, in data 28.4.1989.
La procedura espropriativa
non è stata mai portata a termine, nonostante siano stati realizzati i lavori
consistenti in un parco giochi (per parte dell’intera superficie).
L’area in questione, peraltro, è stata normata dallo strumento
urbanistico quale zona agricola fino alla data di approvazione del nuovo PRG
(approvato con DGR 613 del 14.5.2002, come indicato a pag 5 della relazione
di stima dell’Agenzia delle entrate depositata da parte ricorrente il
19.9.2013).
Successivamente è divenuta area edificabile C2.
Nel corso degli anni – e sin dalla occupazione di urgenza- la parte
pubblica e l’odierna ricorrente hanno avviato serie e concrete trattative in
ordine alla cessione bonaria del bene in questione, ma le stesse non sono mai
sfociate nell’atto consensuale.
Conclusivamente, dunque, il
Comune intimato ha trasformato la vocazione urbanistica dell’area (da
agricola a edificabile C2), accedendo alla richiesta formulata dalla odierna
ricorrente (si rinvia agli atti del fascicolo processuale per la compiuta
indicazione dei dettagli della vicenda), ma non ha mai né concluso il
procedimento espropriativo né la cessione volontaria.
In sintesi, dunque, dal
28.4.1995 l’occupazione d’urgenza dell’area è scaduta e l’apprensione del
bene è divenuta sine titulo.
La odierna ricorrente ha, pertanto, adito le vie legali per reagire
all’occupazione ormai abusiva, risultando vittoriosa sia nel giudizio di I
grado (conclusosi con sentenza di questo Tar n.2023/2009) sia in quello di
appello (conclusosi con sentenza del CdS n.3331/2011 che ha respinto
l’appello del Comune di Rodi ---------------------).
Agisce in questa sede per l’esecuzione della sentenza di questo Tar
n.2023/2009, come confermata e integrata dalla sentenza del CdS n.3331/2011.
LE STATUIZIONE DELLE PRONUNCE IN ESAME.
In estrema e doverosa sintesi, per la parte che qui interessa (e
tralasciando la strada della riedizione del potere espropriativo, nelle more
abbandonata dallo stesso Comune per mancanza di disponibilità finanziarie v.
delibera CC n. 3 del 30.1.2014, IV capoverso), entrambe le sentenze hanno:
escluso la vigenza
dell’istituto dell’occupazione appropriativa e di modi di acquisto della
proprietà che non siano rispondenti all’osservanza stretta del principio di
legalità;
previsto la possibilità di
acquisto del bene da parte del Comune esclusivamente attraverso moduli
negoziali (alla data di deliberazione della sentenza del CdS era stato
dichiarato incostituzionale l’art. 43 TU espr. e non era stato ancora
introdotto l’art. 42 bis TU cit);
ammesso la possibilità restitutoria,
laddove la parte pubblica non avesse inteso apprendere legittimamente la
proprietà del bene (v. pag 12-14 sent. CdS già cit e pag. 7 sent. di questo
Tar).
Capitolo a parte meritano le richieste risarcitorie da occupazione
illegittima.
Esse si incentrano essenzialmente sul valore da attribuire al bene per
cui è causa, su cui calcolare l’ammontare dei danni secondo i parametri
indicati nella già citata sentenza di appello.
Su tale questione ci si soffermerà compiutamente nel prosieguo.
LE QUESTIONI CONTROVERSE DA DIRIMERE:
1) L’ESECUZIONE DELLA
STATUIZIONE PRINCIPALE IN ORDINE ALL’APPRENSIONE DELLA PROPRIETA’ DEL BENE
OVVERO ALLA SUA RESTITUZIONE
Come già evidenziato, l’assenza di risorse finanziarie, reiteratamente
dichiarata dall’ente comunale nelle delibere e determine prodotte in atti,
esclude che possa accedersi, in fase esecutiva delle statuizioni
giurisdizionali, all’acquisto negoziale del bene o alla sua acquisizione ex
art. 42 bis TU cit.(nelle more entrato in vigore e applicabile al caso di
specie).
Il Comune, pertanto, non
potrà che restituire il bene appreso illegittimamente, avendo chiaramente
affermato di non avere risorse per acquisire il bene.
Tra le parti, per quanto emerso anche in sede di discussione orale, è
incontestata tale possibilità.
Qui il primo punto nodale della decisione.
La società ricorrente è
comproprietaria al 50% del bene occupato illegittimamente. Il Comune resistente
pretende, per ciò, di restituire quota parte dello stesso, procedendo, a sua
discrezione, al frazionamento del suolo (ha, infatti, già conferito incarico
in tal senso con determina dirigenziale 19 del 20.1.2014, che ha comportato,
fra l’altro, impegno di spesa per la remunerazione del professionista).
Senonchè a tale opzione si
oppone la ricorrente, rilevando che il suo diritto dominicale per quota
indivisa non può essere compresso e modificato arbitrariamente dal Comune che
intende procedere, nella sostanza ad uno scioglimento stragiudiziale della
comunione proprietaria, senza, peraltro interloquire in ordine
all’assegnazione delle parti di suolo derivanti sul frazionamento.
La tesi è fondata.
Deve rilevarsi, infatti, che non esiste alcun principio di diritto che
consenta al Comune di limitare le prerogative proprietarie sul suolo in
comproprietà che contemplano, in primo luogo quelle di fruire dell’intero
bene, benchè unitamente agli altri comproprietari.
E’ d’altro canto fortemente dubbio che il Comune (che si atteggia
quale debitore di uno dei comproprietari) possa domandare lo scioglimento giudiziale
della comunione.
Il Comune, pertanto, dovrà
procedere a restituire l’intero bene, salva la possibilità che gli altri
comproprietari domandino e ottengano lo scioglimento della comunione.
Fintanto che ciò non si verifichi, la ricorrente dovrà essere reimmessa nel
possesso pro quota dell’intero.
2) IL RISARCIMENTO PER
OCCUPAZIONE ILLEGITTIMA.
La questione fondamentale sul punto attiene il valore da attribuire al suolo a far data dalla sua nuova
destinazione urbanistica come suolo edificatorio.
Per meglio delineare i termini della questione può prendersi avvio
dalle questioni incontroverse.
L’occupazione d’urgenza è
scaduta il 28.4.1995.
Da tale data va calcolato,
per ciò il risarcimento da occupazione illegittima.
Essa segna, per ciò il
termine iniziale di decorrenza.
Il quantum è stato indicato dalla sentenza di appello a pag. 17,
laddove si individua il danno medio tempore intervenuto , conseguente
all’illegittima occupazione, nella misura degli interessi moratori sul valore
del bene , assumendo quale capitale di riferimento il relativo valore di
mercato in ciascun anno del periodo di occupazione illegittima (oltre gli
accessori).
Il termine finale è individuato, a pag. 15, nel momento di legittima
acquisizione della proprietà. Poiché nel caso di specie, non si procederà a
tanto, non può che individuarsi il termine finale in quello di restituzione
del bene.
Tanto chiarito, il punto nodale risiede nella determinazione, come già
indicato, del valore di mercato del bene.
Fino all’approvazione del nuovo PRG ( datata 14.5.2002) il terreno è
stato caratterizzato dalla destinazione agricola.
Il valore stimato dal Comune, nella determina n.21/2014, è pari, come
allegato dalla stessa ricorrente a euro 6/8 al mq (v. pag 4 memoria di parte
ricorrente dep. il 17.2.2014).
Tale cifra non è sostanzialmente contestata.
Per ciò dal 28.4.1995 al 14.5.2002, il valore del suolo su cui
calcolare gli interessi moratori (e gli ulteriori accessori) è pari ad euro
7/mq (valore stabilito equitativamente nella misura media).
Il vero punto decisivo attiene, invece, il valore venale del suolo per
il periodo successivo: dal 15.5.2002 alla data di restituzione.
L’Agenzia del Territorio, investita dell’incarico di stima da parte
dello stesso Comune, ha quantificato tale valore all’attualità (16.4.2013,
data della relazione di stima) in Euro 75,00 al mq.
Il Comune, tuttavia, pretende di mediare tale valore con altri dati
(valore a fini IMU e stima di un tecnico comunale), con il risultato di
abbassare notevolmente l’ammontare del prezzo di mercato (circa Euro 45,00).
La tesi del Comune è priva di fondamento.
La stima dell’Agenzia si segnala per attendibilità e competenza
dell’organo da cui promana e individua il valore di mercato del bene.
I dati con cui il Comune pretende di mediare tale ammontare non hanno
alcun valore ai fini che interessano e sono, per ciò, privi di rilievo.
Unico elemento cui fare riferimento, infatti, in base al dictum delle
pronunce per la cui ottemperanza si agisce, è il valore di mercato e tale è
quello indicato dall’Agenzia del Territorio.
Peraltro, anche al fine di individuare le variazioni del valore nel
corso del tempo, deve evidenziarsi che l’Agenzia ha fatto riferimento, per
confortare l’attendibilità della stima, a due atti notarili datati 2008 e
2010 (per notaio Gentile), in cui il valore dichiarato di vendita si attesta
sostanzialmente sugli stessi livelli (72,50/mq e 75,00/mq).
Può pertanto, ritenersi che il bene in questione abbia subito modeste
variazioni di valore nel corso degli anni.
In via equitativa, può, per ciò stabilirsi che il valore medio su cui
calcolare gli interessi anno per anno possa individuarsi equitativamente in
Euro 72,00/mq (così mediando il valore al 2013 con il presumibile valore al
2002), senza disporre ulteriori approfondimenti istruttori che
contrasterebbero con il principio di celere definizione della controversia e
inducono ad individuare, sul punto una soluzione equitativa.
Deve peraltro, replicarsi anche all’obiezione formulata nel corso
della discussione dalla difesa di parte resistente secondo cui la società
ricorrente avrebbe ottenuto il beneficio della riqualificazione urbanistica
dell’area (da agricola ad edificabile) unitamente al resto del comparto,
promettendone la cessione bonaria, senza però dare mai corso a tale iniziativa.
Al Comune non resta che replicare che la scelta operata si è
dimostrata a dir poco improvvida ed imperita, tanto da indurre a formulare
seri rilievi in ordine a responsabilità erariale a carico degli
amministratori responsabili, in primo luogo, della mancata conclusione della
procedura espropriativa ed ancor prima della decisione di procedere a
riqualificazione dell’area (e dell’intero comparto) senza ottenere il
promesso accordo in ordine al trasferimento di proprietà.
Si procede, pertanto a trasmissione degli atti al sig. Procuratore
della Repubblica presso la Corte dei Conti sede, per le determinazioni di sua
competenza.
Conclusivamente la quantificazione del danno da occupazione
illegittima andrà calcolata dal 28.4.1995 fino alla data di restituzione del
suolo, nella misura pari agli interessi moratori sul valore venale.
Esso (valore venale) viene stimato in euro 7 al mq dal 28.4.1995 fino
al 14.5.2002.
Dal 15.5.2002 alla data di restituzione esso è quantificato in euro 72
al mq.
In base al dictum della sentenza di appello, le somme così
determinate andranno poi incrementate con interessi e rivalutazione dalla
data di proposizione del ricorso fino alla data di deposito della sentenza di
appello.
Le somme così determinare andranno, ovviamente dimidiate, poiché la
società ricorrente è comproprietaria solo per ½ del suolo in questione ed è,
pertanto, titolare del risarcimento per i relativi danni in pari quota.
Il ricorso per l’ottemperanza va, pertanto, accolto secondo quanto
appena precisato.
All’Amministrazione comunale va assegnato, per provvedere, in favore
della ricorrente, il termine di giorni 60 (sessanta) dalla comunicazione, in
via amministrativa (o dalla sua notificazione se anteriore), della presente
decisione.
Al tempo stesso il Collegio nomina, quale Commissario ad acta, il sig.
Prefetto di Foggia, con facoltà di delega in favore di un funzionario
prefettizio di sua scelta, affinché ove l'indicato termine di 60 (sessanta)
giorni decorra infruttuosamente, provveda a tutti gli adempimenti occorrenti
per l'ottemperanza alla presente decisione nel successivo termine di 90
(novanta) giorni.
In particolare il Commissario è legittimato ad eseguire tutti gli atti
e gli adempimenti necessari per dare concreto soddisfacimento alla
restituzione del suolo ed al diritto di credito; a tale fine l'organo
straordinario deve provvedere sia all’allocazione della somma in bilancio,
ove manchi un apposito stanziamento, nonché all'espletamento delle fasi di
impegno, liquidazione, ordinazione e pagamento della spesa, sia al
reperimento materiale della somma, con la precisazione che l'esaurimento dei
fondi di bilancio o la mancanza di disponibilità di cassa non costituiscono
legittima causa di impedimento all'esecuzione del giudicato.
In virtù del principio della soccombenza, il Comune deve essere
condannato a rimborsare al ricorrente le spese del giudizio, nonché,
successivamente, il compenso eventualmente dovuto al Commissario.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza),
definitivamente pronunciando sul ricorso 717/2013, lo accoglie e per
l’effetto ordina al Comune di ------------------- di adottare le
determinazioni amministrative e contabili necessarie per dare esecuzione alla
sentenza Tar Puglia - Bari - n. 2023/2009, per come puntualmente precisato in
parte motiva.
All’uopo assegna alla predetta Amministrazione il termine di giorni
sessanta (60) dalla comunicazione o notificazione, anche a cura di parte,
della presente sentenza, per ottemperare al giudicato, secondo le indicazioni
formulate in motivazione.
Per il caso di inadempienza ulteriore, nomina Commissario ad acta, il
sig. Prefetto di Foggia con facoltà di delega, perché provveda, entro
ulteriori novanta (90) giorni dal termine predetto, a dare esecuzione al
giudicato, a spese dell’Amministrazione intimata.
Condanna il Comune di -------------------------- al pagamento in
favore della parte ricorrente delle spese e degli onorari del presente
giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.500, 00, oltre IVA, CPA, spese
generali e rifusione del contributo unificato.
Dispone la trasmissione degli atti al Sig. Procuratore presso la
Sezione regionale della Corte dei Conti, secondo quanto indicato in parte
motiva.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 16 aprile
2014 con l'intervento dei magistrati:
Sergio Conti, Presidente
Desirèe Zonno, Primo Referendario,
Estensore
Cesira Casalanguida, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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