ADUNANZE PLENARIE & AMBIENTE:
il Consiglio di Stato chiede alla Corte di Giustizia
se il principio "chi inquina" paga
accolto dal nostro T.U. Ambiente
non violi il diritto comunitario
(Ad. Plen., ordinanza di rinvio pregiudiziale CGUE
25 settembre 2013 n. 21).
Magnifica sentenza.
Basti pensare al passaggio <il
principio comunitario “chi inquina paga” affonda le sue radici storiche
nell’omologo principio del diritto nazionale tedesco espresso con il termine «Verursacherprinzip»,
che letteralmente significa “principio del soggetto causatore”>.
Altissimi livelli.
Comunque: il Consiglio di Stato chiede
alla Corte di Lussemburgo (i giornalisti fanno confusione: la Corte di
Strasburgo è la Corte EDU, quella di Lussemburgo è la Corte di Giustizia
dell'U.E.) se alcune norme del nostro T.U. Ambiente, che sanciscono la
responsabilità oggettiva del proprietario di un sito contaminato, siano
contrarie ai principi del diritto comunitario.
Personalmente non credo;
il diritto ambientale oggi è legibus solutus come il diritto
fiscale, almeno in Italia, terra della perpetua emergenza. Qui c'è
il favor naturae lì il favor erarii.
E i diritti del cittadino?
Ecco, aspettiamo la C.G.U.E., deus
ex machina...
FF
Massima
1. Gli
artt. 244, 245 e 253 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (T.U. Ambiente) vanno
interpretati nel senso che, in caso di accertata contaminazione di un sito e di
impossibilità di individuarne il soggetto responsabile o di
impossibilità di ottenere da quest'ultimo gli interventi di riparazione,
il Ministero dell’Ambiente non può imporre al proprietario non responsabile –
che ha solo una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito
dopo l'esecuzione degli interventi di bonifica - l'esecuzione delle misure di
sicurezza d'emergenza e di bonifica.
2. Va
conseguentemente sottoposta la Corte di giustizia dell’Unione europea la
questione pregiudiziale "se i principi dell'Unione Europea in
materia ambientale sanciti dall'art. 191, paragrafo 2, del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea e dalla direttiva 2004/35/Ce del 21 aprile
2004 (articoli 1 e 8, n. 3; tredicesimo e ventiquattresimo considerando) - in
particolare, il principio "chi inquina paga", il
principio di precauzione, il principio dell'azione preventiva, il principio,
della correzione, in via prioritaria, alla fonte, dei danni causati
all'ambiente –ostino” agli artt. 244, 245 e 253 del d.lg.n. 152 del 2006,
come sopra interpretati.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
RINVIO PREGIUDIZIALE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA
DELL’UNIONE EUROPEA
sul ricorso numero di registro generale 28 di A.P. del
2013, proposto da:
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare, Ministero della Salute, Ispra - Istituto Superiore per la
Protezione e a Ricerca Ambientale, in persona dei rispettivi legali
rappresentantipro tempore, tutti rappresentati e difesi per legge
dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei
Portoghesi, 12;
contro
Fipa Group s.r.l. (già Nasco s.r.l.), in persona del
legale rappresentantepro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati
Giovan Candido Di Gioia e Francesco Massa, con domicilio eletto presso lo
studio dell’avvocato Giovan Candido Di Gioia in Roma, piazza G. Mazzini, 27;
nei confronti di
Comune di Massa, Regione Toscana, Provincia di Massa
Carrara, Comune di Carrara, Arpat – Agenzia regionale per la protezione
ambientale della Toscana, Ediltecnica s.r.l., non costituitisi;
sul ricorso numero di registro generale 27 di A.P. del
2013, proposto da:
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero
della Salute, Ispra - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca
Ambientale, in persona dei rispettivi legali rappresentantipro tempore,
tutti rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato,
domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Tws Automation s.r.l., in persona del legale
rappresentantepro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Roberto
Lazzini e Stefano Prosperi Mangili, con domicilio eletto presso l’avvocato
Stefano Prosperi Mangili in Roma, via G. Battista Vico, 1;
nei confronti di
Comune di Massa, Regione Toscana, Provincia di Massa
Carrara, Comune di Carrara, Arpat – Agenzia regionale per la protezione
ambientale della Toscana, Ediltecnica s.r.l., non costituitisi;
sul ricorso numero di registro generale 29 di A.P. del
2013, proposto da:
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero
della Salute, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore,
tutti rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato,
domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Ivan s.r.l., in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovan Candido Di Gioia e
Francesco Massa, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giovanni
Di Gioia in Roma, Piazza Mazzini, n. 27;
nei confronti di
Edison s.p.a. (già Montedison s.p.a.) in persona del
legale rappresentantepro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati
Maria Stefania Masini, Wladimiro Troise Mangoni e Gian Luca Conti, con
domicilio eletto presso l’avvocato Maria Stefania Masini in Roma, via Antonio
Gramsci n.24;
Comune di Massa, Regione Toscana, Provincia di Massa Carrara, Comune di
Carrara, Arpat – Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana,
Ediltecnica s.r.l., non costituitisi;;
per la riforma
quanto al ricorso n. 28 del 2013:
della sentenza breve del T.a.r. Toscana - Firenze:
Sezione II n. 01666/2012, resa tra le parti;
quanto al ricorso n. 27 del 2013:
della sentenza del T.a.r. Toscana - Firenze: Sezione
II n. 01659/2012, resa tra le parti;
quanto al ricorso n. 29 del 2013:
della sentenza del T.a.r. Toscana - Firenze: Sezione
II n. 01664/2012, resa tra le parti;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Fipa Group
s.r.l., di Tws Automation s.r.l., di Ivan s.r.l. e di Edison s.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visto l’art. 79, comma 1, cod. proc. amm.;
Visto l’art. 267 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore alla udienza pubblica del giorno 8 luglio
2013 il consigliere Roberto Giovagnoli e uditi per le parti l’avvocato dello
Stato Gerardis e gli avvocati Di Gioia, Prosperi Mangili, Masini e Troise
Mangoni.
La vicenda processuale
1. Giungono alla decisione dell’Adunanza Plenaria tre
ricorsi in appello proposti dal Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare avverso altrettante sentenze con cui il T.A.R. della
Toscana ha accolto i ricorsi in primo grado proposti dalle società Fipa Group
s.r.l. (già Nasco s.r.l.), TWS Automation s.r.l. e Ivan s.r.l. – che si erano
rese acquirenti di alcune aree, già appartenute a società del gruppo Montedison
e incluse nel sito di interesse nazionale di Massa Carrara, in quanto
interessate da gravi fenomeni di contaminazione – e, per l’effetto, ha
annullato gli atti con cui i soggetti pubblici competenti hanno loro ordinato –
in qualità di proprietari delle aree – di avviare specifiche misure di messa in
sicurezza di emergenza, nonché di presentare la variante del progetto di
bonifica dell’area (progetto risalente al 1995).
2. Le sentenze in questione sono state appellate dal
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il quale ha
articolato tre ricorsi in appello, fondati su argomenti coincidenti.
I motivi di appello
3. Con un primo ordine di motivi, il Ministero osserva
che i primi Giudici avrebbero dovuto rilevare l’inammissibilità dei ricorsi di
primo grado per la ritenuta insussistenza di un interesse diretto, concreto ed
attuale all’impugnativa.
Ed infatti, un siffatto interesse sarebbe nel caso di
specie assente, in considerazione del fatto che nessun pregiudizio diretto ed
immediato poteva derivare alla sfera di interessi delle ricorrenti in primo
grado, atteso che l’amministrazione avrebbe potuto agire in loro danno solo se
si fosse verificato un evento futuro e incerto (la paventata inadempienza della
Montedison s.r.l. – ora Edison s.p.a. – rispetto agli obblighi di cui al Titolo
V della Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n., 152).
Inoltre, i primi Giudici avrebbero dovuto concludere
nel senso dell’inammissibilità dei ricorsi in considerazione del fatto che i
provvedimenti impugnati dinanzi al T.A.R. erano stati notificati alle società
odierne appellate solo in quanto proprietarie delle aree e che tali
provvedimenti non contenevano alcun ordine nei loro confronti, sì da porre in
dubbio la stessa legittimazione al ricorso, prima ancora dell’interesse ad
agire.
4. Con un secondo ordine di motivi, il Ministero
appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui è
stato accolto il motivo di ricorso con il quale si era contestata la
sussistenza dei presupposti per attivare la messa in sicurezza d’emergenza e
per impartire le conseguenti disposizioni nei confronti dei soggetti proprietari
delle aree.
Questo motivo concerne due distinti aspetti delle
sentenze in epigrafe (entrambi, tuttavia, determinanti ai fini della
complessiva risoluzione della vicenda).
4.1. In primo luogo, il Ministero appellante lamenta
che erroneamente i primi Giudici abbiano negato la sussistenza dei presupposti
per disporre l’adozione delle misure di messa in sicurezza d’emergenza di cui
all’articolo 240, comma 1, letteram), del decreto legislativo n. 152 del
2006.
Contrariamente a quanto ritenuto dai primi Giudici,
infatti, le misure di messa in sicurezza d’emergenza potrebbero essere disposte
anche al fine di evitare un incremento repentino (non ancora verificatosi, ma
in concreto possibile) e potenzialmente immediato e incontrollabile
dell’inquinamento. Sotto tale aspetto, la sentenza in epigrafe sarebbe
meritevole di riforma per non aver considerato che l’approccio in questione è
quello maggiormente compatibile con i principi della precauzione, dell’azione
preventiva e della correzione in via prioritaria alla fonte dei danni causati
all’ambiente.
4.2. In secondo luogo, i primi Giudici non avrebbero
considerato che nei confronti del proprietario del sito inquinato ben possono
essere adottati i provvedimenti di cui al titolo IV della parte IV del d.lgs. 3
aprile 2006, n. 152, a prescindere dalla sussistenza di una prova in ordine
all’addebitabilità dell’inquinamento alle sue azioni o omissioni.
Ad avviso del Ministero appellante, invero, il
principio di matrice comunitaria “chi inquina paga” dovrebbe essere inteso con
un’ampia accezione interpretativa e avendo prioritario rilievo alla funzione di
salvaguardia al cui presidio il principio in questione è posto. In definitiva,
il principio in parola dovrebbe essere letto nel senso che la responsabilità
degli operatori economici proprietari o utilizzatori di aree industriali
ricadenti nell’ambito di siti inquinati si qualificherebbe quale “oggettiva
responsabilità imprenditoriale”, conseguente all’esercizio di un’attività
ontologicamente pericolosa.
Ne consegue che i proprietari delle aree sarebbero
tenuti a sostenere integralmente gli oneri necessari a garantire la tutela
dell’ambiente (ad esempio, mediante la realizzazione degli interventi di messa
in sicurezza d’emergenza) in correlazione causale con tutti, indistintamente, i
fenomeni di compromissione collegati alla destinazione produttiva del sito il
quale sarebbe, sotto tale aspetto, gravato da un vero e proprio onere reale
finalizzato alla tutela di prevalenti interessi della collettività.
Del resto l’approccio in questione sarebbe compatibile
con un sistema (quello delineato dagli articoli 240 e seguenti del decreto
legislativo 152 del 2006) il quale, nelle ipotesi in cui il responsabile
dell’inquinamento non sia in concreto individuabile o non provveda, non prevede
che la responsabilità (per così dire “di ultima istanza”) gravi sulla
collettività, ma prevede che i relativi oneri gravino a carico della proprietà,
salvo il diritto di rivalsa da parte del proprietario nei confronti del responsabile.
Sotto questo aspetto, la sentenza in epigrafe sarebbe
meritevole di riforma laddove ha affermato che, nell’ipotesi di mancata
effettuazione degli interventi di ripristino ambientale da parte del
responsabile dell’inquinamento (ovvero, nelle ipotesi di mancata sua
identificazione), le attività di recupero ambientale dovrebbero essere eseguite
dalla P.A. competente (la quale potrà a sua volta rivalersi sul soggetto
responsabile nei limiti del valore dell’area bonificata anche esercitando -
laddove la rivalsa non abbia avuto buon fine - le “garanzie” gravanti sul
terreno in relazione ai medesimi interventi).
5. Con un terzo ordine di motivi, il Ministero lamenta
che le sentenze appellate non avrebbero considerato che l’applicazione del
principio comunitario “chi inquina paga” ben può consentire l’imposizione a un
soggetto di misure urgenti di tutela ambientale in virtù del mero dato
oggettivo della relazione con il sito inquinato e a prescindere dalla prova di
aver cagionato l’evento con la propria condotta dolosa o colposa.
Ciò sarebbe compatibile con la natura cautelare (e di
estrema tutela) e non sanzionatoria che caratterizza le misure di tutela
ambientale d’urgenza.
L’approccio in questione sarebbe confermato dalla
giurisprudenza nazionale (viene citata, al riguardo, Cons. Stato, V, 16
novembre 2005, n. 6406) e comunitaria (viene citata la sentenza della Corte di
giustizia dell’Unione europea del 9 marzo 2010, sui ricorsi riuniti C-379/08 e
C-380/08).
Il Ministero appellante annette particolare importanza
ai fini del decidere alla sentenza da ultimo richiamata, la quale ha affermato
che l’ordinamento comunitario ammette che le misure di riparazione del danno
ambientale possano essere imposte a un soggetto a prescindere dalla
dimostrazione dell’esistenza di un comportamento doloso o colposo da parte
dell’operatore le cui attività siano considerate all’origine del danno
ambientale.
6. Con un quarto ordine di motivi, il Ministero
appellante chiede la riforma delle sentenze in epigrafe per la parte in cui non
hanno considerato che l’imposizione al proprietario dell’obbligo di ripristino
ambientale risulta compatibile con il principio comunitario di precauzione, il
quale postula che – in tutti i casi in cui non siano conosciuti con certezza i
rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa – l’azione dei pubblici
poteri deve tradursi in una prevenzione precoce, anticipatoria rispetto al
consolidarsi delle conoscenze scientifiche.
7. Con un quinto ordine di motivi, il Ministero
appellante chiede la riforma delle sentenze in epigrafe per la parte in cui
hanno assorbito il motivo dedotto dalle società ricorrenti in primo grado in
relazione alla pretesa non conformità delle “prescrizioni” imposte in seno alla
conferenza di servizi decisoria rispetto ai contenuti dell’accordo di programma
intervenuto fra i competenti soggetti pubblici.
Sotto tale aspetto, la pronuncia di assorbimento non
risulterebbe corretta, atteso che i primi Giudici avrebbero piuttosto dovuto
respingere il motivo di ricorso, in quanto infondato, con le conseguente
statuizione di rigetto dei ricorsi nel loro complesso.
L’ordinanza della Sesta Sezione di rimessione
all’Adunanza Plenaria.
8. All’esito della camera di consiglio dell’8 marzo
2013, fissata per la decisione sull’istanza cautelare, la Sesta Sezione ha:
- riunito i ricorsi;
- reso tre ordinanze, con cui è stata respinta
l’istanza di sospensione cautelare degli effetti delle sentenze impugnate, per
carenza dei presupposti di legge;
- trattenuto in decisione i ricorsi e reso sentenza parziale
con contestuale ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria (Cons. Stato,
Sezione Sesta, 21 maggio 2013, n. 2740).
In particolare, la Sesta Sezione ha:a) ritenuto
non fondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dalla difesa
della Nasco s.r.l. (ora FIPA Group s.r.l.) per non essere stato il ricorso in
appello notificato alla società Montedison s.r.l. (ora Edison s.p.a.), poiché
alla società Montedison è stato notificato il ricorso in appello n. 659/2013,
nell’ambito del quale essa ha potuto compiutamente articolare le proprie
difese;b) respinto i motivi di appello con i quali il Ministero ha
chiesto che il ricorso di primo grado fosse dichiarato inammissibile per
carenza di legittimazione attiva e interesse ad agire in capo alle società
ricorrenti in primo grado (la cui posizione giuridica potrebbe essere incisa
solo nell’ipotesi - futura ed incerta - del temuto inadempimento di
Montedison). Al riguardo, secondo la Sezione, è risultato dirimente il fatto
che i provvedimenti impugnati in primo grado sanciscono l’obbligo in via
solidale delle società oggi appellate per la realizzazione degli interventi di
messa in sicurezza di emergenza e per la presentazione delle varianti ai
progetti di bonifica. Ne consegue, afferma la sentenza, che i provvedimenti
impugnati in primo grado risultano idonei ad incidere in modo negativo nella
sfera giuridica di tali imprese, imponendo in capo ad esse (in via solidale
rispetto al soggetto responsabile dell’inquinamento) onerosi obblighi difacere;c)
dichiarato inammissibili – per difetto di interesse – i motivi di appello con i
quali il Ministero ha chiesto di riformare le sentenze per avere negato che nel
caso in esame sussistessero i presupposti per imporre misure di messa in
sicurezza di emergenza, difettando le condizioni all’uopo previste
dall’articolo 240, comma 1, letterem) et) del d.lgs. 152 del
2006. La Sesta Sezione ha ritenuto, a questo proposito, che le sentenze
appellate, diversamente da quanto sostenuto dal Ministero, non hanno posto in
discussione la sussistenza stessa dei presupposti e delle condizioni per
imporre l’adozione di misure di messa in sicurezza di emergenza.
La Sezione ha, quindi, osservato che, non avendo il
T.A.R. escluso che vadano realizzate le misure di messa in sicurezza di
emergenza, nel giudizio occorre unicamente verificare quale sia la concreta
“distribuzione” degli obblighi tra l’autore dell’inquinamento – sia o meno esso
proprietario dell’area – e il proprietario che risulti tale al momento in cui
l’amministrazione ordina le misure imposte dalla legge.
9. Con riferimento a tale profilo, la Sesta Sezione ha
rimesso all’Adunanza Plenaria la questione di diritto se, in base al principio
di matrice comunitaria compendiato nella formula “chi inquina paga” –
l’Amministrazione nazionale possa imporre al proprietario di un’area inquinata,
che non sia anche l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le
misure di messa in sicurezza di emergenza di cui all’articolo 240, comma 1,
lettera m) del decreto legislativo 152 del 2006 (sia pure, in solido con
il responsabile e salvo il diritto di rivalsa nei confronti del responsabile
per gli oneri sostenuti), ovvero se – in alternativa - in siffatte ipotesi gli
effetti a carico del proprietario “incolpevole” restino limitati a quanto
espressamente previsto dall’articolo 253 del medesimo decreto legislativo in
tema di oneri reali e privilegi speciali.
Il quadro giurisprudenziale.
10. Dopo aver ricostruito il complessivo assetto delle
disposizioni che il decreto legislativo 152 del 2006 dedica alla questione
degli obblighi ricadenti, rispettivamente, a carico del soggetto responsabile
dell’inquinamento e del proprietario dell’area, l’ordinanza di rimessione ha
rilevato come in giurisprudenza si siano registrate posizioni differenziate in
ordine al se possa farsi gravare sul proprietario dell’area “incolpevole” della
contaminazione l’obbligo di realizzare gli interventi di cui al titolo V della
parte IV del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (sia pure solo in solido con il
responsabile effettivo e salvo il diritto di rivalsa nei confronti di
quest’ultimo per gli oneri sostenuti).
L’orientamento che ritiene legittima l’imposizione, in
capo al proprietario non responsabile, dell’obbligo di porre in essere le
misure di sicurezza d’emergenza.
11. In base ad un primo orientamento, al quesito
andrebbe data risposta in senso positivo, avuto riguardo al principio di
matrice comunitaria compendiato nella formula “chi inquina paga” (cfr., in tal
senso, il parere n. 2038/2012 reso dalla Seconda Sezione di questo Consiglio di
Stato all’esito dell’adunanza di Sezione del 23 novembre 2011).
In sintesi, i principali argomenti a sostegno della
tesi in questione risultano:
- la valorizzazione del dato testuale sul
coinvolgimento (anche su base volontaria: cfr. art. 245 d.lgs. n. 152 del 2006)
del proprietario nell’adozione delle misure di cui agli articoli 240 e segg.;
- la lettura dei principi comunitari di precauzione,
dell’azione preventiva e del “chi inquina paga”, sulla base dell’esigenza che
le conseguenze dell’inquinamento (a seguito delle alienazione tra privati delle
aree) ricadano sulla collettività;
- la sussistenza di specifici doveri di protezione e
custodia ricadenti sul proprietario dell’area (peraltro riconducibili ai codici
civili del 1865 e del 1942, oltre che alle tradizioni giuridiche degli Stati),
a prescindere dal suo coinvolgimento diretto ed immediato nella determinazione
del fenomeno di contaminazione;
- la sottolineatura della particolare posizione del
proprietario, il cui coinvolgimento nei più volte richiamati obblighi sarebbe
svincolato da qualunque profilo di colpa, essendo qualificabile quale
responsabilità “da posizione”, derivante in ultima analisi: i) dalla mera
relazione con la res; ii) per di più dall’esistenza di un onere reale sul sito
(di fonte normativa); iii) dall’essere (o dall’essere stato) in condizione di
realizzare ogni misura utile ad impedire il verificarsi del danno ambientale.
A questi argomenti, l’ordinanza di rimessione aggiunge
le seguenti ulteriori considerazioni:
- la normativa può essere interpretata nel senso che
le vicende di rilievo civilistico (similmente a quanto accade, per la tutela
del territorio, quando il proprietario pro tempore realizza un immobile
abusivo) non incidono sulla operatività delle disposizioni volte alla
salvaguardia dell’ambiente, anche perché altrimenti diventerebbe estremamente
agevole ridurre o eludere l’applicazione della normativa di cui al decreto
legislativo n. 152 del 2006;
- l’onere reale per sua natura implica che il titolare
del bene, che ne risulta oggetto, sia anche il soggetto tenuto ad adempiere
quanto dovuto (sotto tale profilo, col richiamo all’onere reale – rispetto al
quale l’obbligazione propter rem differisce, perché essa comporta
l’ambulatorietà dell’obbligo, in assenza di un regime giuridico particolare del
bene – il legislatore in re ipsa avrebbe esplicitato la regola che il
proprietario “attuale”, su cui ricade l’onere reale, è per definizione il
soggetto tenuto agli obblighi che costituiscono il presupposto della stessa
esistenza dell’onere reale);
- da decenni la dottrina e la giurisprudenza
civilistica hanno abbandonato (o comunque largamente contestato) il principio
colpevolistico un tempo posto a base della responsabilità civile ed hanno
rilevato come tale principio sia uno dei tanti “criteri di imputazione” del
danno, al quale – in ragione del determinante rilievo dei sopra richiamati
principi comunitari, che tengono conto delle esigenze di difesa dell’ambiente,
della natura e della salute – si può aggiungere quello secondo il quale il
proprietario di un bene immobile (così come risponde della rovina di un
edificio o di un’altra costruzione quale custode dell’area, per gli artt. 2053
e 2051) risponde anche del danno (da inquinamento) che il terreno continua a
cagionare pur dopo il suo acquisto, in ragione degli effetti lesivi permanenti
derivanti dall’inquinamento (proprio quelli che giustificano le misure che
devono trovare attuazione).
- la “rivalsa” spetterebbe alle autorità pubbliche che
abbiano eseguito le misure, proprio in ragione del primario ed immanente
obbligo gravante sul proprietario in quanto tale.
- in coerenza col fondamento stesso del principio “chi
inquina paga”, il “chi” non andrebbe inteso solo come colui che con la propria
condotta attiva abbia posto in essere le attività inquinanti o abusato del
territorio immettendo o facendo immettere materiali inquinanti, ma anche colui
che – con la propria condotta omissiva o negligente – nulla faccia per ridurre
o eliminare l’inquinamento causato dal terreno di cui è titolare.
- infine, per l’id quod plerumque accidit,
l’acquirente di un terreno, ove sia sufficientemente diligente, può venire a
conoscenza del suo grado di inquinamento (specie quando esso sia “grave”):
ritenere che l’alienazione in quanto tale renda “incolpevole” l’acquirente-proprietario
rischia di risultare una formalistica elusione della normativa di salvaguardia
dell’ambiente.
L’orientamento che esclude che l’autorità
amministrativa possa imporre in capo al proprietario non responsabile
l’esecuzione delle misure di messa in sicurezza d’emergenza.
12. In base ad un opposto orientamento (cfr., in
particolare, Consiglio di Stato, Sezione Sesta, 9 gennaio 2013, n. 56;
Consiglio di Stato, Sezione Sesta, 18 aprile 2011, n. 2376), non vi sarebbero,
invece, ragioni testuali o sistematiche per far gravare in capo al proprietario
dell’area gli obblighi di adozione delle misure di cui alle disposizioni più
volte citate.
I principali argomenti addotti a sostegno della tesi
in questione sono i seguenti:
- una lettura del principio comunitario “chi inquina
paga” secondo le categorie tipiche del canone della responsabilità personale,
con l’esclusione del ricorso ad indici presuntivi o a forme più o meno
accentuate di responsabilità oggettiva;
- l’indagine testuale delle disposizioni del d.lgs. n.
152 del 2006, interpretate nel senso che delineano una precisa scansione
nell’individuazione dei soggetti di volta in volta chiamati ad adottare le
misure di protezione e ripristino ambientale, senza possibilità di individuare
in modo diretto ed immediato in capo al proprietario “incolpevole” alcuno degli
obblighi di cui agli articoli 240 e seguenti, salvi gli effetti
dell’imposizioneex legedi particolari oneri reali e di privilegi
speciali per far fronte all’ipotesi di inadempimento da parte del soggetto
responsabile;
A sostegno dell’orientamento negativo, vengono, in
particolare, richiamati i seguenti dati normativi:
- l’articolo 244, comma 3, in base al quale
l’ordinanza che impartisce al responsabile l’ordine di adottare le misure di
cui agli articoli 240 e segg. viene, sì, notificata anche al proprietario
dell’area, ma “ai sensi e per gli effetti dell’articolo 253” (i.e.: ai sensi
della disposizione in tema di oneri reali e privilegi speciali gravanti sul
fondo). Si potrebbe dunque sostenere che il comma 3 non consenta di notificare
l’ordinanza al proprietario anche ai fini della diretta attribuzione nei suoi
confronti - in solido con il responsabile - dell’obbligo di adottare le misure.
- l’articolo 245, comma 2, che pone in capo al
proprietario “incolpevole” solo l’obbligo di attuare le misure di prevenzione
di cui all’articolo 240, comma 1, lettera i) e di cui all’articolo 242, comma 1
(si tratta delle sole misure di somma urgenza, da adottare entro le prime
ventiquattro ore dall’evento e il cui contenuto è puntualmente individuato dal
decreto legislativo n. 152 del 2006). Pertanto, si potrebbe affermare che, in
applicazione del principio di tendenziale inestensibilità degli obblighi
impositivi di prestazioni personali o patrimoniali (nonché del generale
principio “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”), gli obblighi
ricadenti sul proprietario costituiscono unnumerus clausus;
- l’art. 250, che elenca in ordine successivo e
sussidiario i soggetti chiamati a realizzare le attività di cui al più volte
richiamato titolo V, non ha trasformato in “obbligo” ciò che le altre
disposizioni delineano quale mera facoltà, stabilendo invece che l’onere “di
ultima istanza” di realizzare le misure gravi comunque su un soggetto pubblico
(il Comune o la Regione territorialmente competenti), fermo restando -
naturalmente - che in tale ipotesi operano le previsioni e le “garanzie” di cui
all’articolo 253;
- il comma 3 dell’articolo 253 (quale norma di
“chiusura” del sistema) legittima i competenti soggetti pubblici ad avvalersi
del privilegio speciale immobiliare e del connesso diritto di chiedere la
ripetizione delle spese in ipotesi del tutto residuali, quali quelle - che qui
non ricorrono - in cui sia del tutto impossibile accertare l’identità del
soggetto responsabile o in cui sia del tutto impossibile o infruttuoso
l’esercizio dell’azione di rivalsa nei suoi confronti.
A favore della medesima conclusione negativa vengono
poi richiamate ulteriori considerazioni di ordine sistematico:
- l’onere reale sarebbe una figura incompatibile con
la obbligazionepropter rem, che invece pacificamente implica la
“trasmissibilità” dell’obbligo di cui è titolare il dante causa.
- il principio comunitario di precauzione non
implicherebbe necessariamente che il proprietario sia il destinatario
“naturale” delle misure precauzionali (pur se la giurisprudenza comunitaria ha
attenuato il rilievo da riconoscere all’elemento psicologico ai fini della
riferibilità del danno ambientale ai sensi della direttiva 2004/35/CE: CGUE 9
marzo 2010, in C-379/08), in quanto nessuna disposizione comunitaria sembra
consentire che il principio “chi inquina paga” comporti l’addebito di una
responsabilità per danno ambientale quale mera conseguenza di un rapporto
dominicale con laressulla quale sia in atto un fenomeno di
inquinamento.;
- le ipotesi di responsabilità oggettiva per danno
ambientale costituirebbero unnumerus clausus, tendenzialmente
inestensibile in via interpretativa ed applicativa (v. la legge 6 aprile 1977,
n. 185, sulla responsabilità oggettiva nel caso di inquinamento marino da
idrocarburi);
- gli obblighi di protezione e di custodia non
rileverebbero quando - come nel caso in esame - l’inquinamento risalga a un
periodo in cui le aree erano di proprietà di altri soggetti.
La soluzione del contrasto giurisprudenziale sulla
base del quadro normativo nazionale.
13. L’Adunanza Plenaria rileva che, sulla base del
quadro normativo nazionale vigente, alla questione sottoposta dalla Sesta
Sezione, debba darsi risposta negativa, nel senso, cioè, che l’Amministrazione
non possa imporre al proprietario di un’area inquinata, che non sia ancora
l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in
sicurezza di emergenza e di bonifica, di cui all’art. 240, comma 1, letterem)
ep) del decreto legislativo n. 152 del 2006, in quanto gli effetti a
carico del proprietario “incolpevole” restano limitati a quanto espressamente
previsto dall’articolo 253 del medesimo decreto legislativo in tema di onere
reali e privilegi speciale immobiliare.
Le disposizioni contenute nel Titolo V della Parte IV
del decreto legislativo n. 152 del 2006 (articoli da 239 a 253) operano,
infatti, una chiara e netta distinzione tra la figura del responsabile
dell’inquinamento e quella del proprietario del sito che non abbia causato o
concorso a causare la contaminazione.
Le disposizioni legislative nazionali rilevanti (gli
articoli da 239 a 253 del decreto legislativo n. 152 del 2006).
14. Al riguardo si ritiene di premettere alcuni cenni
in ordine al complessivo assetto delle disposizioni che il decreto legislativo
152 del 2006 dedica alla questione degli obblighi ricadenti – rispettivamente –
a carico del soggetto responsabile dell’inquinamento e del proprietario
dell’area.
14.1. L’articolo 242 (in tema di “procedure operative
ed amministrative”) disciplina con un certo livello di dettaglio gli oneri
ricadenti sul soggetto responsabile dell’inquinamento al verificarsi di un
evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito.
L’articolo 242 disciplina gli obblighi ricadenti sul
soggetto responsabile per ciò che riguarda:
i) l’adozione delle necessarie misure di prevenzione,
di ripristino e di messa in sicurezza d’emergenza;
ii) gli obblighi di comunicazione nei confronti dei
soggetti pubblici competenti;
iii) la predisposizione del piano di
caratterizzazione;
iv) la gestione della procedura di analisi del rischio
specifico;
v) l’ottemperanza agli obblighi derivanti
dall’approvazione del piano di monitoraggio;
vi) la presentazione dei progetti operativi degli
interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente;
vii) l’attivazione delle attività di
caratterizzazione, di bonifica, di messa in sicurezza e di ripristino
ambientale rese necessarie, a seconda dei casi, dalle prescrizioni impartite
dai soggetti pubblici competenti.
L’art. 242 non individua alcun obbligo in capo al
proprietario del sito, la cui posizione, in effetti, non viene mai richiamata
nell’ambito della disposizione in esame.
14.2. L’articolo 244 (rubricato “ordinanze”)
disciplina il caso in cui sia stato accertato che la contaminazione
verificatasi nel caso concreto abbia superato i valori di concentrazione della
soglia di contaminazione.
In questo caso, la Provincia diffida con ordinanza
motivata il responsabile della potenziale contaminazione all’adozione delle
misure di cui agli articoli 240 e seguenti.
Il comma 3 stabilisce che “l’ordinanza di cui al
comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli
effetti dell’articolo 253”.
Il successivo comma 4 stabilisce che, “se il
responsabile non sia individuabile o non provveda e non provveda il
proprietario del sito né altro soggetto interessato, gli interventi che
risultassero necessari ai sensi delle disposizioni di cui al presente titolo
sono adottati dall’amministrazione competente in conformità a quanto disposto
dall’articolo 250”.
14.3. L’articolo 245 (rubricato “Obblighi di
intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale
contaminazione”) al comma 1 stabilisce che: “Le procedure per gli interventi
di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal
presente titolo possono essere comunque attivate su iniziativa degli
interessati non responsabili”.
Il comma 2, inoltre, stabilisce che “Fatti salvi
gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui
all’articolo 242, il proprietario o il gestore dell’area che rilevi il
superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della
concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla
regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le
misure di prevenzione secondo la procedura di cui all’articolo 242. La
provincia, una volta ricevute le comunicazioni di cui sopra, si attiva, sentito
il comune, per l’identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso
agli interventi di bonifica. È comunque riconosciuta al proprietario o ad altro
soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento
volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari
nell’ambito del sito in proprietà o disponibilità”.
14.4. L’articolo 250 (rubricato “bonifica da parte
dell’amministrazione”) stabilisce che, “Qualora i soggetti responsabili
della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal
presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il
proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi
di cui all’articolo 242 sono realizzati d’ufficio dal comune territorialmente
competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l’ordine di
priorità fissati dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate,
avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di
apposite procedure ad evidenza pubblica. Al fine di anticipare le somme per i
predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell’ambito
delle proprie disponibilità di bilancio”.
14.5. Infine, rileva l’articolo 253 (rubricato “Oneri
reali e privilegi speciali”), il quale, ai primi quattro commi, stabilisce
quanto segue: “1.Gli interventi di cui al presente titolo costituiscono
onere reale sui siti contaminati qualora effettuati d’ufficio dall’autorità
competente ai sensi dell’articolo 250. L’onere reale viene iscritto a seguito
della approvazione del progetto di bonifica e deve essere indicato nel
certificato di destinazione urbanistica”. “2.Le spese sostenute per gli
interventi di cui al comma 1 sono assistite da privilegio speciale immobiliare
sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2748, secondo
comma, del codice civile. Detto privilegio si può esercitare anche in
pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile”. “3.Il
privilegio e la ripetizione delle spese possono essere esercitati, nei
confronti del proprietario del sito incolpevole dell’inquinamento o del
pericolo di inquinamento, solo a seguito di provvedimento motivato
dell’autorità competente che giustifichi, tra l’altro, l’impossibilita’ di
accertare l’identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi
l’impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo
soggetto ovvero la loro infruttuosità”. “4.In ogni caso, il proprietario
non responsabile dell’inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base
di provvedimento motivato e con l’osservanza delle disposizioni di cui alla
legge 7 agosto 1990, n. 241, le spese degli interventi adottati dall’autorità
competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a
seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi. Nel caso in cui il
proprietario non responsabile dell’inquinamento abbia spontaneamente provveduto
alla bonifica del sito inquinato, ha diritto di rivalersi nei confronti del
responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute e per l’eventuale maggior
danno subito”.
Gli obblighi gravanti sul proprietario non
responsabile.
15. Dal quadro normativo illustrato emerge che è il
responsabile dell’inquinamento il soggetto sul quale gravano, ai sensi
dell’art. 242 decreto legislativo n. 152 del 2006, gli obblighi di messa in
sicurezza, bonifica e ripristino ambientale a seguito della constatazione di
uno stato di contaminazione.
Il proprietario non responsabile è gravato di una
specifica obbligazione difacereche riguarda, però, soltanto l’adozione
delle misure di prevenzione di cui all’art. 242, (che, all’ultimo periodo del
comma 1, ne specifica l’applicabilità anche alle contaminazioni storiche che possono
ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione).
A carico del proprietario dell’area inquinata, che non
sia altresì qualificabile come responsabile dell’inquinamento, non incombe
alcun ulteriore obbligo difacere; in particolare, egli non è tenuto a
porre in essere gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza e di bonifica,
ma ha solo la facoltà di eseguirli per mantenere l’area libera da pesi (art.
245). Nell’ipotesi di mancata individuazione del responsabile, o di mancata
esecuzione degli interventi in esame da parte dello stesso – e sempreché non
provvedano spontaneamente né il proprietario del sito né altri soggetti
interessati – le opere di recupero ambientale sono eseguite
dall’Amministrazione competente (art. 250), che potrà rivalersi sul
proprietario del sito, nei limiti del valore dell’area bonificata, anche
esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul
terreno oggetto dei medesimi interventi (art. 253).
Quindi, solo dopo che gli interventi siano eseguiti
d’ufficio dall’autorità competente, le conseguenze sono poste a carico del
proprietario anche incolpevole, posto che vi è la specifica previsione di un
onere reale sulle aree che trova giustificazione proprio nel vantaggio economico
che il proprietario ricava dalla bonifica dell’area inquinata.
Natura e caratteri dell’onere reale previsto dall’art.
253 d.lgs. n. 152 del 2006.
16. Queste conclusioni sono confermate dal riferimento
che l’art. 253 del decreto legislativo n. 152 del 2006 fa alla figura (ormai in
gran parte desueta) dell’onere reale rispetto a quella dell’obbligazionepropter
rem.
Va al riguardo evidenziato che il richiamo alla
categoria dell’onere reale può, in principio, essere fonte di alcune incertezze
interpretative, che derivano dalla indeterminatezza che tradizionalmente
caratterizza questo istituto giuridico e dalle connesse difficoltà di tracciare
una netta differenziazione con quello analogo dell’obbligazionepropter rem.
L’onere reale, infatti, al pari delle obbligazionepropter
rem, non trova a livello normativo né una definizione, né una disciplina.
L’una e l’altra figura sono caratterizzate dalla connessione con una cosa e
dalla determinazione del debitore in base al suo rapporto con la cosa.
La dottrina e la giurisprudenza hanno sempre mostrato
alcune incertezze non solo nel definire i caratteri dell’onere reale, che, in
assenza di dati normativi, sono spesso ricavati da indagini storiche e
comparatistiche, ma anche nell’individuarne ipotesi concrete nell’ordinamento
vigente.
Ai fini che rilevano in questa sede, si deve
sottolineare che nell’obbligazionepropter rem, l’inerenza al fondo, che
pure le è propria, non ne caratterizza l’intimo contenuto (a differenza di
quanto avviene per gli oneri reali), ma riguarda un aspetto diverso della sua
struttura: quello della individuazione della persona dell’obbligato mediante il
suo riferimento alla qualità di proprietario (o di titolare di altro diritto
reale) sullares. Per il resto l’obbligazione propter rem non si
distingue da una qualsiasi altra obbligazione: l’obbligatopropter rem è
tenuto ad adempiere la sua prestazione nei confronti di un altro soggetto, il
quale dal canto suo non ha un potere immediato sul fondo, ma come creditore può
soltanto pretendere l’adempimento della prestazione.
Nell’onere reale, invece, il collegamento con la cosa
non è tanto il mezzo per determinare la persona che deve eseguire la
prestazione, ma ha soprattutto un significato di garanzia, nel senso che il
creditore può sempre ricavare forzatamente dal fondo il valore della
prestazione che gli è dovuta. Il creditore è titolare nei confronti del
soggetto gravato dell’onere di un’azione reale di garanzia, (con il relativo
diritto di prelazione), che si aggiunge all’azione personale contro il diretto
debitore della prestazione “garantita” dall’onere.La prelazione sul bene è un
vero e proprio “modo di essere” dell’onere reale e del relativo credito. Questo
giustifica l’accostamento tra onere reale e privilegio, caratterizzato
anch’esso dalla assenza di un titolo autonomo, sicché anche per i privilegi la
prelazione è caratteristica inerente al credito, non diritto derivante da fonte
autonoma.
A tal proposito è significativo evidenziare che l’art.
253, dopo aver previsto, al comma 1, che “gli interventi di cui al presente
titolo costituiscono onere reale sui siti contaminati”, specifica, al comma
2, che le relative spese sono sostenute da un “privilegio speciale
immobiliare sulle aree medesime”.
Per questa ragione, si è anche detto, in senso
figurato, che, mentre nelle obbligazionipropter rem, obbligata rimane la
persona individuata in base alla proprietà dellares, nell’onere reale,
obbligata sarebbe la cosa stessa, anche in considerazione del fatto che, come
esplicitato nell’art. 253, il soggetto gravato dall’onere reale risponde nei
limiti di valore dellares.
17. Le considerazioni appena espresse in ordine alla
natura e alle caratteristiche dell’onere reale confermano le conclusioni sopra
svolte in ordine alla posizione del proprietario non autore della contaminazione.
La scelta del legislatore di evocare la figura obsoleta dell’onere reale può
spiegarsi solo ammettendo che il proprietario “incolpevole” non sia tenuto ad
una prestazione difacere(di cui è gravato solo il responsabile), ma sia
tenuto solo a garantire, nei limiti del valore del fondo, il pagamento delle
spese sostenute dall’Amministrazione che abbia eseguito direttamente gli
interventi di messa in sicurezza e di bonifica. Conclusione esplicitata
dall’art. 253, comma 4, che testualmente prevede che “il proprietario non
responsabile dell’inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base di
provvedimento motivato e con l’osservazione delle disposizioni di cui alla
legge 7 agosto 1990, n. 241, le spese degli interventi adottati all’autorità
competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a
seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi”.
In altre parole, si deve ritenere che il riferimento
all’onere reale non valga a far diventare obbligatorio ciò che (l’intervento di
bonifica) poco prima (art. 245) il legislatore ha qualificato in termini di una
mera facoltà, quanto, piuttosto, a far gravare il fondo del rimborso delle
spese sostenute dall’autorità che abbia provveduto d’ufficio all’intervento (e,
quindi, semmai, a far diventare quella facoltà un onere).I principi
civilistici in materia di responsabilità extracontrattuale.
18. Va aggiunto che l’obbligo in capo al proprietario
di procedere alla messa in sicurezza e alla bonifica dell’area, non potrebbe
essere desunto neanche dai principi civilistici in materia di responsabilità
aquiliana e, in particolare, da quello di cui all’art. 2051 c.c. (che
regolamenta la responsabilità civile del custode). Tale criterio, infatti, da
un lato, richiederebbe, comunque, l’accertamento della qualità di custode
dell’area al momento dell’inquinamento (e, quindi, almeno sotto questo profilo,
l’accertamento di una forma di responsabilità in capo al proprietario) e,
dall’altro, sembra, comunque, porsi in contraddizione con i precisi criteri di
imputazione degli obblighi di messa in sicurezza e di bonifica previsti dagli
articoli 240 e ss. del decreto legislativo n. 152 del 2006, che dettano una
disciplina esaustiva della materia, non integrabile dalla sovrapposizione di
una normativa (quella del codice civile, appunto) ispirata a ben diverse
esigenze.
19. Né vale invocare l’evoluzione subita dal sistema
di responsabilità civile verso la direzione del progressivo abbandono dei
criteri di imputazione fondati sulla sola colpa. Nel sistema di responsabilità
civile, rimane centrale, infatti, anche nelle fattispecie che prescindono
dall’elemento soggettivo, l’esigenza di accertare comunque il rapporto di
causalità tra la condotta e il danno, non potendo rispondere a titolo di
illecito civile colui al quale non sia imputabile neppure sotto il profilo
oggettivo l’evento lesivo.
Nel caso di specie, al contrario, seguendo l’opposta
tesi, il proprietario sarebbe gravato non semplicemente di una responsabilità
oggettiva, ma di una vera e propria “responsabilità di posizione”, in quanto
sarebbe tenuto ad eseguire le opere di messa in sicurezza e di bonifica a prescindere
non solo dall’elemento soggettivo (dolo o colpa) ma anche di quello oggettivo
(nesso eziologico). Verrebbe, quindi, chiamato a porre rimedio in forma
specifica, attraverso la messa in sicurezza d’emergenza o la bonifica, a
situazioni di contaminazione che non gli sono imputabili né oggettivamente, né
soggettivamente.
La responsabilità oggettiva in materia di riparazione
del danno ambientale e la relativa procedura di infrazione (n. 2007/4679)
aperta contro l’Italia dalla Commissione europea.
20. Per tale ragione, appaiono anche fuori luogo i
riferimenti ai principi comunitari che impongono la responsabilità oggettiva in
materia di riparazione del danno ambientale e alla relativa procedura di
infrazione (n. 2007/4679) aperta contro l’Italia dalla Commissione europea in
ragione del carattere non oggettivo del regime di responsabilità per danno
all’ambiente prevista dalla legislazione italiana. Vale anche in questo caso la
considerazione che quella vorrebbe farsi gravare sul proprietario sarebbe una
responsabilità non oggettiva, ma, appunto, di mera “posizione”. Si tratta,
quindi, di una questione che esula dall’oggetto di quella procedura di
infrazione, che riguarda invece, le previsioni legislative nazionali (art. 311,
commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006) che, ai fini del
risarcimento del danno ambientale, richiedono, oltre al rapporto di causalità,
anche l’elemento soggettivo.
Il principio costituzionale della funzione sociale
della proprietà (art. 42 Cost.)
21. Ugualmente, non ha pregio richiamare, come pure
talvolta viene fatto nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale, il principio
costituzionale che predica la funzione sociale della proprietà privata (art. 42
Cost.), in nome del quale si giustificherebbe l’imposizione di pesi e oneri in
capo alla proprietà per il perseguimento di superiori interessi generali
(quali, appunto, la tutela dell’ambiente). La compressione del diritto di
proprietà in nome della “funzione sociale” richiede, comunque, anche alla luce
dei principi desumibili dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo, una puntuale base legislativa, che, nel caso di specie, alla luce
delle considerazioni svolte, certamente manca.
La giurisprudenza nazionale.
22. La tesi accolta dal Collegio risulta, del resto,
di gran lunga prevalente nella giurisprudenza amministrativa, sia di primo che
di secondo grado. Il giudice amministrativo, infatti, in maniera pressoché
costante, ha escluso che le norme della Parte Quarta del decreto legislativo n.
152 del 2006 possano offrire all’Amministrazione una base legislativa per
imporre al proprietario non responsabile misure di messa in sicurezza
d’emergenza e di bonifica.
L’orientamento contrario, come ricorda l’ordinanza di
rimessione, ha trovato accoglimento in sede consultiva nel parere n. 2038/2012
(richiamato dall’ordinanza di remissione) e in alcune, non numerose, sentenze
di primo grado (ad esempio, T.a.r. Lazio, sez. I, 14 marzo 2011, n. 2263).
23. Giova, al riguardo, precisare che, a sostegno
dell’indirizzo minoritario, non sembra pertinente il richiamo (contenuto nel
già citato parere n. 2038/2012 e,per relationem, nella ordinanza di
remissione all’Adunanza Plenaria ) alla sentenza della Sesta Sezione del
Consiglio di Stato 15 luglio 2010, n. 4561. Tale decisione, infatti, se, da un
lato, afferma che la responsabilità del proprietario è una responsabilità “da
posizione”, svincolata dai profili soggettivi del dolo o della colpa e dal
rapporto di causalità, dall’altro, specifica, tuttavia, che il “proprietario
del suolo – che non abbia apportato alcun contributo causale, neppure
incolpevole, all’inquinamento – non si trova in alcun modo in una posizione
analoga od assimilabile a quella dell’inquinatore, essendo tenuto non ad
eseguire direttamente le opere di bonifica, ma soltanto a rifondere, in sede di
rivalsa, i costi connessi agli interventi di bonifica esclusivamente in ragione
dell’esistenza dell’onere reale sul sito”. Si tratta, quindi, di un
precedente che va collocato nell’ambito della tesi maggioritaria che esclude,
al di là delle misure di prevenzione, l’esistenza di ulteriori obblighi difacerein
capo al proprietario.
Ugualmente, non appare pertinente a sostegno
dell’indirizzo minoritario il richiamo alla sentenza 25 febbraio 2009, n. 4472,
resa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (in sede di ricorso avverso una
sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche), in cui, con
riferimento all’obbligo di rimozione e smaltimento dei rifiuti, previsto
dall’art. 192, comma 3, decreto legislativo n. 152 del 2006 a carico del
proprietario e dei titolari di diritti reali o personali di godimento
sull’area, si afferma che, “per un verso, le esigenze di tutela ambientale
sottese alla norma citata rendono evidente che il riferimento a chi è titolare
di diritti reali o personali di godimento va inteso in senso lato, essendo
destinato a comprendere qualunque soggetto si trovi con l’area interessata in
un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli - e per ciò stesso
imporgli - di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad
evitare che l’area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti
nocivi per la salvaguardia dell’ambiente; per altro verso, il requisito della
colpa postulato da detta norma ben può consistere proprio nell’omissione degli
accorgimenti e delle cautele che l’ordinaria diligenza suggerisce per
realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area, così impedendo che
possano essere in essa indebitamente depositati rifiuti nocivi”.
Tale sentenza, infatti, si occupa di una fattispecie
diversa rispetto a quella concernente la bonifica dei siti inquinati. Nel caso
deciso dalle Sezioni Unite viene in rilievo un caso di abbandono di rifiuti,
con riferimento al quale l’art. 192 decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede
che chi viola i divieti di abbandono e di deposito incontrollato dei rifiuti è
tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei
rifiuti in solido con il proprietario, con i titolari di diritti reali o
personali di godimento e, appunto, secondo le Sezioni Unite, anche dei
detentori di fatto cui tale violazione sia imputabile a titolo di dolo e di
colpa. In questo caso, peraltro, la responsabilità del proprietario o del
detentore del fondo è circondata da garanzie superiori rispetto a quelle
previste in materia di bonifica dei siti inquinati, in quanto si chiede
espressamente che la violazione sia imputabile anche a titolo di dolo o di
colpa.
Alcuni precedenti, infine, se da un lato riconoscono
la possibilità per l’Amministrazione di imporre al proprietario non
responsabile l’obbligo di messa in sicurezza di emergenza del sito contaminato,
dall’altro specificano che ciò può avvenire non sulla base delle disposizioni
del decreto legislativo n. 152 del 2006, che non contemplano tali obblighi a
carico del proprietario, ma nell’esercizio del potere di adottare ordinanze
contingibili ed urgenti ai sensi dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo
18 agosto 2000, n. 267 (cfr., in tal senso, ad esempio, Cons. Stato, sez. VI, 5
settembre 2005, n. 4525). Anche queste sentenze non sono, tuttavia,
direttamente pertinenti rispetto alla controversia oggetto del presente
giudizio, in cui non si fa questione dell’esercizio del potere di ordinanza extra
ordinem.
24. Da questo rapidoexcursusgiurisprudenziale
emerge, quindi, come l’orientamento interpretativo di gran lunga prevalente
escluda la possibilità per l’Amministrazione nazionale di imporre al
proprietario non responsabile della contaminazione misure di messa in sicurezza
d’emergenza o di bonifica del sito inquinato.
A tale indirizzo, l’Adunanza Plenaria ritiene di dover
dare continuità, in quanto esso, alla luce delle considerazioni già svolte,
esprime l’unica interpretazione compatibile con il tenore letterale delle
disposizioni in esame.
Le conclusioni dell’Adunanza plenaria sulle regole che
si ricavano dalla legislazione nazionale.
25. Volendo schematizzare e riepilogare, dalle
disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 152 del 2006 (in particolare
nel Titolo V della Parte IV) possono ricavarsi le seguenti regole:
1) il proprietario, ai sensi dell’art. 245, comma 2, è
tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione di cui all’art. 240, comma
1, lett.1), ovvero “le iniziative per contrastare un evento, un atto
o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per
l’ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un
danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di
impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”;
2) gli interventi di riparazione, di messa in
sicurezza, di bonifica e di ripristino gravano esclusivamente sul responsabile
della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto
il profilo oggettivo, l’inquinamento (art. 244, comma 2);
3) se il responsabile non sia individuabile o non
provveda (e non provveda spontaneamente il proprietario del sito o altro
soggetto interessato), gli interventi che risultassero necessari sono adottati
dall’Amministrazione competente (art. 244, comma 4);
4) le spese sostenute per effettuare tali interventi
possono essere recuperate, sulla base di un motivato provvedimento (che
giustifichi tra l’altro l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto
responsabile ovvero che giustifichi l’impossibilità di esercitare azioni di
rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità),
agendo in rivalsa verso il proprietario, che risponde nei limiti del valore di
mercato del sito a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi (art. 253,
comma 4);
5) a garanzia di tale diritto di rivalsa, il sito è
gravato di un onere reale e di un privilegio speciale immobiliare (art. 253,
comma 2).
La questione pregiudiziale sottoposta alla Corte di
giustizia dell’Unione europea.
26. Il quadro normativo nazionale così ricostruito
solleva, tuttavia, alcuni dubbi di compatibilità con l’ordinamento dell’Unione
Europea, in particolare con i principi che questo detta in materia ambientale.
Si tratta di dubbi, già adombrati nell’ordinanza di rimessione, che richiedono
la delimitazione della reale portata precettiva dei principi che ispirano la
normativa comunitaria in materia ambientale, ed in particolare del principio
“chi inquina paga”, del principio di precauzione, del principio dell’azione preventiva
e del principio della correzione, in via prioritaria alla fonte dei danni
causati all’ambiente.
È in relazione a tale profilo, al fine di chiarire
l’ambito applicativo e gli effetti di tali principi, che si mostra necessario
il ricorso alla funzione interpretativa della Corte di giustizia ai sensi
dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (di seguito,
anche solo TFUE).
27. In particolare, la questione interpretativa che si
intende sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea è la seguente: “se
i principi dell’Unione Europea in materia ambientale sanciti dall’art. 191,
paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dalla
direttiva 2004/35/Ce del 21 aprile 2004 (articoli 1 e 8, n. 3; tredicesimo e ventiquattresimo
considerando) – in particolare, il principio “chi inquina paga”, il principio
di precauzione, il principio dell’azione preventiva, il principio, della
correzione, in via prioritaria, alla fonte, dei danni causati all’ambiente –
ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli articoli 244,
245, 253 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che, in caso di
accertata contaminazione di un sito e di impossibilità di individuare il
soggetto responsabile della contaminazione o di impossibilità di ottenere da
quest’ultimo gli interventi di riparazione, non consenta all’autorità
amministrativa di imporre l’esecuzione delle misure di sicurezza d’emergenza e
di bonifica al proprietario non responsabile dell’inquinamento, prevedendo, a
carico di quest’ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al
valore del sito dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica”.
L’Adunanza plenaria ritiene di acquisire dalla Corte
di giustizia alcuni elementi interpretativi dei richiamati principi comunitari,
anche al fine di valutare la compatibilità con essi della normativa nazionale,
al fine di pronunciarsi sulla causa di cui è investito.
Ragioni della rilevanza della domanda di pronuncia
pregiudiziale ai fini della definizione del giudizio.
28. La questione pregiudiziale è certamente rilevante
nel presente giudizio, in quanto in esso si discute proprio della legittimità
dei provvedimenti con cui l’autorità amministrativa ha ordinato la messa in
sicurezza d’emergenza e la presentazione di un progetto di variante di bonifica
agli attuali proprietari dei siti inquinati, che risultano, pacificamente, non
responsabili dell’inquinamento. La soluzione della questione pregiudiziale è,
quindi, in grado di condizionare l’esito del giudizio.
29. Inoltre, ad ulteriore conferma della rilevanza
della questione (anche a prescindere dalla delibazione di alcune eccezioni di
inammissibilità degli appelli sollevate dalle società appellate) deve rilevarsi
che, ai sensi dell’art. 99, comma 5, del codice del processo amministrativo,
l’Adunanza Plenaria, “se ritiene che la questione sia di particolare
importanza”, “può comunque enunciare il principio di diritto
nell’interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevebile,
inammissibile o improcedibile, ovvero l’estinzione del giudizio. In tal caso la
pronuncia dell’Adunanza Plenaria non ha effetto sul provvedimento impugnato”.
Nel caso di specie, alla luce della particolare
importanza della questione in esame, destinata a riproporsi in un numero
significativo di giudizi (analoga questione è stata rimessa all’Adunanza
Plenaria sempre dalla Sesta Sezione con ordinanza 26 giugno 2013, n. 3515),
l’Adunanza Plenaria, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, intende,
comunque, enunciare il principio di diritto. Tale circostanza conferisce
evidentemente alla questione pregiudiziale di interpretazione comunitaria una
rilevanza che prescinde anche dall’incidenza concreta, comunque sussistente,
che la pronuncia pregiudiziale può avere sull’esito della lite pendente tra le
odierne parti.
Illustrazione dei motivi che hanno indotto l’Adunanza
plenaria a interrogarsi sull’interpretazione delle disposizioni del diritto
dell’Unione.
30. Alla luce delleRaccomandazioni all’attenzione
dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia
pregiudiziale(pubblicate nellaG.U.C.E. n. 388 del 6 novembre 2011),
si illustrano, di seguito, le ragioni che hanno indotto l’Adunanza plenaria a
interrogarsi sull’interpretazione o sulla validità di talune disposizioni del
diritto dell’Unione, nonché il nesso esistente tra queste disposizioni e la
normativa nazionale applicabile nel procedimento principale.
Il principio chi “inquina paga”.
31. Per quanto concerne il principio “chi inquina
paga” devono certamente ritenersi ormai superate le tesi (sviluppate anche
dalla dottrina italiana sulla scorta di analoghe riflessioni compiute in altre
ordinamenti), secondo cui esso rappresenterebbe una previsione meramente
programmatica, priva di un valore precettivo, ma costituente solo una generale
indicazione di razionalità economica (più che giuridica), nel senso della
tendenziale (perché affidata alla necessaria mediazione di scelte discrezionali
legislative), “internalizzazione” dei costi ambientali. Questi ultimi, visti quali
esternalità negative, che (come spiega il secondo considerando alla direttiva
2004/35/Ce), una volta adeguatamente considerati quali costi dall’imprenditore,
verranno presumibilmente meglio prevenuti.
Oggi, invece, si ritiene pacificamente che il principio
costituisca una regola giuridica precettiva, su cui si fonda tutto il sistema
di responsabilità ambientale.
32. Rimangono, tuttavia, margini di incertezza in
ordine alla reale portata precettiva della regola.
In linea di massima, c’è concordia nel ritenere che laratiodel
principio sia quella di “internalizzare” i costi ambientali (c.d. esternalità
ovvero costi sociali estranei alla contabilità ordinaria dell’impresa),
evitando di farli gravare sulla collettività o sugli enti rappresentativi della
stessa.
Si evidenzia, sotto questo profilo, la duplice
valenza, non solo repressiva, ma anche preventiva del principio, volto ad
incentivare, per effetto del calcolo dei rischi di impresa, la generalizzata
incorporazione nei prezzi delle merci e, quindi, nelle dinamiche di mercato,
dei costi di alterazione dell’ambiente, con conseguente minor prezzo delle
merci prodotte senza incorrere nei predetti costi sociali attribuibili alle
imprese e conseguente indiretta incentivazione per le imprese a non danneggiare
l’ambiente (cfr., in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885).
Si discute, tuttavia, sui “limiti” che incontra questa
operazione di “internalizzazione” del costo ambientale. Più nel dettaglio, ci
si chiede se il danno ambientale possa essere addossato soltanto a “chi” abbia
effettivamente inquinato (di cui sia stata, pertanto, accertata la
responsabilità) o se, al contrario, pur in assenza dell’individuazione del
soggetto responsabile, ovvero di impossibilità di questi a far fronte alle
proprie obbligazioni, il principio comunitario, postuli, comunque di evitare
che il costo degli interventi gravi sulla collettività, ponendo tali costi
quindi, comunque, a carico del proprietario. Ciò in quanto, escludere che i
costi derivanti dal ripristino di siti colpiti da inquinamento venga sopportato
dalla collettività, costituirebbe proprio la ragion d’essere sottesa al
principio comunitario del “chi inquina paga”.
33. Da qui la possibile opzione interpretativa secondo
cui il principio comunitario “chi inquina paga”, piuttosto che ricondursi alla
fattispecie illecita integrata dall’elemento soggettivo del dolo e della colpa
e dall’elemento materiale, imputerebbe, comunque, il danno al proprietario,
perché quest’ultimo è colui che si trova nelle condizioni di controllare i
rischi, cioè il soggetto che ha la possibilità della “cost-benefit analysis”
per cui lo stesso deve sopportarne la responsabilità per trovarsi nella
situazione più adeguata per evitarlo in modo più conveniente.
In altri termini, come pure è stato sostenuto, il
punto di equilibrio fra i diversi interessi di rilevanza costituzionale alla
tutela della salute, dell’ambiente e dell’iniziativa economica privata andrebbe
ricercato in un criterio di “oggettiva responsabilità imprenditoriale”, in base
al quale gli operatori economici che producono e ritraggono profitti attraverso
l’esercizio di attività pericolose, in quantoex seinquinanti, o anche in
quanto semplici utilizzatori di strutture produttive contaminate e fonte di
perdurante contaminazione, sono perciò stesso tenuti a sostenere integralmente
gli oneri necessari a garantire la tutela dell’ambiente e della salute della
popolazione.
In quest’ottica, ciò che rileva ai fini
dell’individuazione del soggetto tenuto alle misure di riparazione, non è, quindi,
tanto la circostanza di aver causato la contaminazione, ma quelle di
utilizzare, per motivi imprenditoriali, a scopo di lucro, i siti contaminati in
maniera strumentale nell’esercizio dell’attività di impresa.
34. Tale opzione interpretativa potrebbe trovare
ulteriore conferma alla luce del tredicesimo considerando della direttiva
2004/35/Ce, in cui si legge: “A non tutte le forme di danno ambientale può
essere posto rimedio attraverso la responsabilità civile. Affinché quest’ultima
sia efficace è necessario che vi siano uno o più inquinatori individuabili, il
danno dovrebbe essere concreto e qualificabile e si dovrebbero accertare nessi
causali tra il danno e gli inquinatori individuati. La responsabilità civile
non è quindi uno strumento adatto per trattare l’inquinamento a carattere
diffuso e generale nei casi in cui sia impossibile collegare gli effetti
ambientali negativi ad atti o omissioni di taluni soggetti”.
Tale considerando, evidenziando l’insufficienza in
materia ambientale della responsabilità civile (sia pure con riferimento
all’inquinamento a carattere diffuso e generale) mostra, comunque, l’esigenza
di individuare criteri di imputazione del danno ambientale che prescindano
dagli elementi costitutivi dell’illecito civile e, dunque, non solo
dall’elemento soggettivo, ma anche dal rapporto di causalità.
35. Ancora, appare rilevante ai fini che in questa
sede rilevano, il considerando n. 24 della citata direttiva 2004/35/Ce in cui
si afferma la necessità di “assicurare la disponibilità di mezzi di
applicazione ed esecuzione efficaci, garantendo un’adeguata tutela dei
legittimi interessi degli operatori e delle altre parti interessate”,
conferendo “alle autorità competenti compiti specifici che implicano
appropriata discrezionalità amministrativa, ossia il dovere di valutare
l’entità del danno e di determinare le misure di riparazione da prendere”.
La discrezionalità amministrativa evocata dalla
direttiva potrebbe, invero, essere letta nel senso di sottintendere anche il
potere per l’autorità competente di individuare il soggetto che si trova nelle
condizioni migliori per adottare le misure di riparazione, anche a prescindere
dal rigoroso accertamento del nesso eziologico.
36. Significativa, inoltre, è anche la previsione
dell’art. 8, n. 3, lett.b), della direttiva 2004/35/Ce, secondo cui i
costi delle azioni di prevenzione e di riparazione non sono a carico
dell’operatore “se egli può provare che il danno ambientale o la minaccia
imminente di tale danno è stato causato da un terzo o si è verificato
nonostante l’esistenza di opportune misure di sicurezza”.
Tale disposizione dà rilievo al rapporto di causalità,
ma non in positivo, bensì in negativo, nel senso che la presenza del nesso di
causalità (e, dunque, la necessità che esso sia dimostrato dall’autorità
competente) non sembra essere condizione necessaria al fine del sorgere della
responsabilità; è, al contrario, la prova, fornita dall’operatore, dell’assenza
del rapporto di causalità, o meglio la dimostrazione di un nesso eziologico che
permetta di ricondurre l’evento lesivo ad un soggetto terzo, che lo esonera
dalla responsabilità. Sembrerebbe, quindi, confermata la possibilità di imporre
misure di prevenzione e di riparazione anche senza rapporto di causalità, ferma
restando la possibilità per l’operatore di recuperare i costi di tali
interventi dimostrando che l’evento lesivo è eziologicamente imputabile ad un
soggetto terzo.
I principi di precauzione e di prevenzione.
37. Oltre al principio “chi inquina paga”, vengono poi
in rilievo i principi di precauzione, di prevenzione e di correzione, in via
prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, anch’essi
esplicitamente richiamati dall’art. 191, paragrafo 2, TFUE, come fondamenti
della politica dell’Unione in materia ambientale.
I principi di precauzione e di prevenzione rendono
legittimo un approccio anticipatorio ai problemi ambientali, sulla base della
considerazione che molti danni causati all’ambiente possono essere di natura
irreversibile.
38. Per prevenire il rischio del verificarsi di tali
danni, il principio di precauzione legittima l’adozione di misure di
prevenzione, riparazione e contrasto ad una fase nella quale il danno non solo
non si è ancora verificato, ma non esiste neanche la piena certezza scientifica
che si verificherà. In altri termini, la ricerca di livelli di sicurezza sempre
più elevati porta ad un consistente arretramento della soglia dell’intervento
delle Autorità a difesa della salute dell’uomo e del suo ambiente: la tutela
diviene “tutela anticipata” e oggetto dell’attività di prevenzione e di
riparazione diventano non soltanto i rischi conosciuti, ma anche quelli di cui
semplicemente si sospetta l’esistenza.
39. Il principio di prevenzione presenta tratti comuni
con il principio di precazione, in quanto entrambi condividono la natura
anticipatoria rispetto al verificarsi di un danno per l’ambiente. Il principio
di prevenzione si differenzia da quello di precauzione perché si occupa della
prevenzione del danno rispetto a rischi già conosciuti e scientificamente provati
relativi a comportamenti o prodotti per i quali esiste la piena certezza circa
la loro pericolosità per l’ambiente.
40. Si potrebbe certamente sostenere, in prima
approssimazione, che entrambi i principi in questione non siano pertinenti
nella presente fattispecie, in cui non vi è un mero rischio (scientificamente
provato o meramente ipotizzato), ma un danno certo e già consumato all’ambiente
e l’incertezza riguarda semmai l’individuazione del soggetto materialmente
responsabile.
41. Tuttavia, in una diversa ottica, si può
evidenziare che, se laratiodei principi di precauzione e di prevenzione
è quella di legittimare un intervento dell’autorità competente anche in
condizioni di incertezza scientifica (sulla stessa esistenza del rischio o
delle sue ulteriori conseguenze), sul presupposto che il trascorrere del tempo
necessario per acquisire informazioni scientificamente certe o attendibili
potrebbe determinare danni irreversibili all’ambiente, allora non appare
peregrino sostenere che la medesimaratioconsenta l’intervento in via
precauzionale o preventiva non solo quando l’incertezza da dipanare riguardi
l’evento di danno, ma anche quando concerna il nesso causale e, quindi,
l’individuazione del soggetto responsabile di un danno certo.
In entrambi i casi, invero, il ritardo nell’intervento
giustificato dalla necessità di acquisire un livello di certezza scientifica
soddisfacente può dare luogo al rischio di effetti irreversibili.
In quest’ottica, quindi, i principi di precauzione e
di prevenzione potrebbero legittimare l’imposizione, a prescindere dalla prova
circa la sussistenza del nesso di causalità, in capo al soggetto che, essendo
proprietario del sito contaminato, si trova nelle migliori condizioni per
attuarle, non solo delle misure di prevenzione descritte dall’art. 240, comma
1, lett.i) decreto legislativo n. 152 del 2006, (già previste a suo
carico dall’art. 245, comma 2, decreto legislativo n. 152 del 2006), ma anche
di misure di sicurezza di emergenza. Anche queste misure, infatti, hanno una
finalità precauzionale ed una connotazione di urgenza, essendo dirette a
contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il
contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di
ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o
permanente.
Il principio della correzione, in via prioritaria alla
fonte, dei danni causati.
42. Infine, viene in rilievo il principio della correzione,
in via prioritaria alla fonte, dei danni causati. Tale principio, infatti,
dispone che i danni causati all’ambiente vengano contrastati in una fase il più
possibile vicino alla fonte, per evitare che i loro effetti si amplifichino e
si ingigantiscano. Nelle situazioni di impossibilità di individuare il
responsabile, o di impossibilitò impossibilità di evitare da questi le misure
correttive, la “fonte” cui il principio fa riferimento sembra potere essere
ragionevolmente individuata nel soggetto attualmente proprietario del fondo,
che, proprio per la sua posizione di proprietario, è quello meglio in grado di
controllare la fonte di pericolo rappresentata dal sito contaminato.
Il punto di vista dell’Adunanza Plenaria sulla
questione pregiudiziale di interpretazione comunitaria.
43. Seguendo sul punto le “Raccomandazioni
all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di
pronuncia pregiudiziale” (punto n. 24), pubblicata sulla GUCE del 6
novembre 2012, C-388, l’Adunanza Plenaria ritiene di indicare succintamente il
suo punto di vista sulla soluzione da dare alla questione pregiudiziale
sottoposta.
44. L’Adunanza Plenaria ritiene che, nonostante la
serietà degli argomenti su cui si fondano i dubbi interpretativi di cui si è trattato,
la questione pregiudiziale sottoposta alla Corte di giustizia possa essere
risolta in senso negativo, escludendo cioè che i richiamati principi comunitari
in materia ambientale ostino ad una disciplina nazionale che non consente
all’autorità competente di imporre misure di messa in sicurezza d’emergenza e
di bonifica in capo al proprietario del sito non responsabile della
contaminazione, prevedendo in capo al medesimo solo una responsabilità
patrimoniale limitata al valore del fondo dopo l’esecuzione degli interventi di
bonifica secondo il meccanismo sopra descritto dell’onere reale e del
privilegio speciale immobiliare.
45. Risulta significativo a tale proposito richiamare
la sentenza della Corte di giustizia, Grande Sezione, 9 marzo 2010, C-378/08.
Questa sentenza è stata pronunciata, in seguito ad una
questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la
Sicilia, su una fattispecie diversa rispetto a quella oggetto del presente
giudizio e proprio tale diversità tra fattispecie, giustifica la presente
domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia.
Ciò nonostante, come si andrà ad esporre, alcuni
principi espressi dal Giudice comunitario in quella sentenza potrebbero
rivelarsi risolutivi anche nel caso in esame.
In particolare, nella sentenza 9 marzo 2010, C-378/08,
la Corte di giustizia ha affermato che, in applicazione del principio “chi
inquina paga”, l’obbligo di riparazione incombe sugli operatori solo in misura
corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento; gli
operatori medesimi, pertanto, non devono farsi carico di oneri inerenti alla
riparazione di un inquinamento al quale non abbiano contribuito.
Più nel dettaglio, nella citata sentenza 9 marzo 2010,
C- 378/08 si legge (punti da 53 a 59):
- dagli artt. 4, n. 5, e 11, n. 2, della direttiva
2004/35 si evince che, così come l’accertamento di un nesso causale è
necessario da parte dell’autorità competente al fine di imporre misure di
riparazione ad eventuali operatori, a prescindere dal tipo di inquinamento in
questione, quest’obbligo è parimenti un presupposto per l’applicabilità di
detta direttiva per quanto concerne forme di inquinamento a carattere diffuso
ed esteso;
- un nesso di causalità del genere può essere
agevolmente dimostrato quando l’autorità competente si trovi in presenza di un
inquinamento circoscritto nello spazio e nel tempo, che sia opera di un numero
limitato di operatori. Viceversa, non è questo il caso nell’ipotesi di fenomeni
di inquinamento a carattere diffuso, per cui il legislatore dell’Unione ha
giudicato che, in presenza di un inquinamento del genere, un regime di
responsabilità civile non costituisce uno strumento idoneo quando detto nesso
di causalità non possa essere accertato. Di conseguenza, ai sensi dell’art. 4,
n. 5, della direttiva 2004/35, quest’ultima si applica a questo tipo di
inquinamentosolo quando sia possibile accertare un nesso di causalità tra i
danni e le attività dei diversi operatori;
- la direttiva 2004/35 non definisce la modalità di
accertamento di un siffatto nesso di causalità; nella cornice della competenza
condivisa tra l’Unione e i suoi Stati membri in materia ambientale, quando un
elemento necessario all’attuazione di una direttiva adottata in base all’art.
175 CE non sia stato definito nell’ambito di quest’ultima, una siffatta
definizione rientra nella competenza di questi Stati e, a tale proposito, essi
dispongono di un ampio potere discrezionale, nel rispetto delle norme del
Trattato, al fine di prevedere discipline nazionali che configurino o
concretizzino il principio «chi inquina paga» (v., in tal senso, sentenza 16
luglio 2009, causa C-254/08, Futura Immobiliare e altri);
- da questo punto di vista, la normativa di uno Stato
membro può prevedere che l’autorità competente abbia facoltà di imporre misure
di riparazione del danno ambientale presumendo l’esistenza di un nesso di
causalità tra l’inquinamento accertato e le attività del singolo o dei diversi
operatori, e ciò in base alla vicinanza degli impianti di questi ultimi con il menzionato
inquinamento;
- tuttavia, dato che, conformemente al principio «chi
inquina paga», l’obbligo di riparazione incombe agli operatorisolo in misura
corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio
di inquinamento(v., per analogia, sentenza 24 giugno 2008, causa C-188/07,Commune
de Mesquer), per poter presumere secondo tali modalità l’esistenza di un
siffatto nesso di causalità l’autorità competente deve disporre di indizi
plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza
dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra
le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore
nell’esercizio della sua attività;
- quando disponga di indizi di tal genere, l’autorità
competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le
attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato. Conformemente
all’art. 4, n. 5, della direttiva 2004/35, un’ipotesi del genere può rientrare
pertanto nella sfera d’applicazione di questa direttiva, a meno che detti
operatori non siano in condizione di confutare tale presunzione.
46. Dai citati passaggi motivazionali, emerge, quindi,
come, per il Giudice comunitario, il rapporto di casualità sia comunque
elemento imprescindibile ai fini dell’applicazione della direttiva 2004/35 Ce e
del principio comunitario “chi inquina paga” in essa richiamato.
47. Tale conclusione, ovvero la necessità di
accertare, eventualmente anche mediante presunzione, l’esistenza del rapporto
di causalità, sembra, del resto, trovare conferma nella considerazione che il
principio comunitario “chi inquina paga” affonda le sue radici storiche
nell’omologo principio del diritto nazionale tedesco espresso con il termine «Verursacherprinzip»,
che letteralmente significa “principio del soggetto causatore”.
48. Depongono in tale direzione anche le Conclusioni
presentate il 22 ottobre 2009 nello stesso procedimento C 378/08 dall’Avvocato
Generale Juliane Kokott, in cui si legge:
- “una responsabilità svincolata da un contributo alla
causazione del danno non corrisponderebbe all’orientamento della direttiva
sulla responsabilità ambientale e non sarebbe neppure conforme a quest’ultima,
qualora essa avesse l’effetto di attenuare la responsabilità del soggetto
effettivamente responsabile, in forza della direttiva stessa, per i danni
ambientali. Infatti, la direttiva costituisce proprio per l’operatore
responsabile un incitamento ad attivarsi per la prevenzione dei danni
all’ambiente e stabilisce che egli debba sopportare le spese per la riparazione
dei danni che dovessero comunque verificarsi” (punto 98).
- “La questione dei presupposti per un esonero
dell’operatore autore del danno dal pagamento dei costi di risanamento viene
disciplinata, in particolare, all’art. 8 della direttiva sulla responsabilità
ambientale. Eventuali più ampie fattispecie di esenzione dal pagamento dei
costi minerebbero con ogni probabilità l’attuazione del principio «chi inquina
paga» perseguita dalla direttiva. Esse attenuerebbero l’effetto di stimolo
associato alla responsabilità prevista e modificherebbero la ripartizione dei
costi giudicata equa dal legislatore comunitario” (punto 99).
- “Se non si vuole svuotare di significato la
responsabilità a titolo prioritario dell’operatore che ha causato il danno,
l’art. 16, n. 1, della direttiva sulla responsabilità ambientale non deve
essere interpretato nel senso che gli Stati membri possano individuare altri
soggetti responsabili destinati a subentrare al predetto. Va respinta altresì
l’ipotesi di individuare ulteriori soggetti responsabili chiamati a rispondere
insieme e a pari titolo con l’autore in modo tale da diminuire la
responsabilità di quest’ultimo” (punto 102).
49. Con questo non si vuol certo intendere che il principio
“chi inquina paga” implichi un divieto assoluto di addossare a soggetti diversi
dall’autore del danno i costi per l’eliminazione dei danni ambientali. Un
simile divieto, infatti, citando ancora le conclusioni dell’Avvocato generale
Kolkott, finirebbe per tradursi nella passiva accettazione di eventuali danni
all’ambiente, nel caso in cui l’autore di questi non potesse essere chiamato a
rispondere. Infatti, anche in caso di riparazione a carico della collettività,
le spese dovrebbero essere sopportate da un soggetto che non è responsabile per
il danno. Tuttavia, l’accettazione dei danni all’ambiente sarebbe incompatibile
con la finalità di promuovere un elevato livello di protezione dell’ambiente e
il miglioramento della qualità di quest’ultimo. Il principio «chi inquina paga»
è funzionale al raggiungimento di tale finalità, sancita non soltanto dal n. 2,
ma anche dal n. 1 dell’art. 191 TFUE (ex art. 174 CE). Il detto principio non
può essere inteso, quindi, in un senso tale da risultare in definitiva
confliggente con la tutela dell’ambiente, ad esempio considerandolo idoneo a
precludere la riparazione dei danni ambientali nel caso in cui l’autore degli
stessi non possa essere chiamato a rispondere. Esso, in definitiva, sembra
precludere una responsabilità per danni ambientali indipendente da un
contributo alla causazione dei medesimi soltanto se ed in quanto essa abbia
l’effetto di elidere quella incombente a titolo prioritario sull’operatore che
ha causato i danni in questione.
Tuttavia, ed è questo il punto che sembra decisivo ai
fini della risoluzione della questione, i principi del diritto dell’Unione in
materia ambientale, pur non ostando, alle condizioni appena viste, ad una
responsabilità svincolata dal rapporto di casualità, non sembrano, tuttavia,
imporla, demandando la regolazione di queste forme sussidiarie di
responsabilità al legislatore nazionale. Tali principi, quindi, non sembrano di
per sé interferire con i limiti (sopra ricostruiti) che il legislatore
nazionale ha voluto prevede alla responsabilità del proprietario non autore
della contaminazione..
Conclusioni.
50. In conclusione, alla luce di quanto esposto, si
rimette all’esame della Corte di giustizia dell’Unione Europea la seguente
questione pregiudiziale di corretta interpretazione che di nuovo si trascrive:se
i principi dell’Unione Europea in materia ambientale sanciti dall’art. 191,
paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dalla
direttiva 2004/35/Ce del 21 aprile 2004 (articoli 1 e 8, n. 3; tredicesimo e ventiquattresimo
considerando) – in particolare, il principio “chi inquina paga”, il principio
di precauzione, il principio dell’azione preventiva, il principio, della
correzione, in via prioritaria, alla fonte, dei danni causati all’ambiente –
ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli articoli 244,
245, 253 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che, in caso di
accertata contaminazione di un sito e di impossibilità di individuare il
soggetto responsabile della contaminazione o di impossibilità di ottenere da
quest’ultimo gli interventi di riparazione, non consenta all’autorità
amministrativa di imporre l’esecuzione delle misure di sicurezza d’emergenza e
di bonifica al proprietario non responsabile dell’inquinamento, prevedendo, a
carico di quest’ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al
valore del sito dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica”.
Atti da trasmettere alla Corte di giustizia.
51. Ai sensi della “nota informativa riguardante la
proposizione di domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici
nazionali” 2011/C 160/01 in G.U.C.E. 28 maggio 2011, vanno trasmessi alla
cancelleria della Corte mediante plico raccomandato in copia i seguenti atti:
- i provvedimenti impugnati con il ricorso di primo
grado;
- i ricorsi di primo grado;
- le sentenze del T.a.r. appellate;
- gli atti di appello del Ministero dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare;
- le memorie difensive depositate da tutte parti nel
giudizio di appello, sia nella fase innanzi alla VI davanti che in quella
davanti all’Adunanza Plenaria;
- la sentenza parziale con contestuale ordinanza di
rimessione all’Adunanza Plenaria pronunciata nel presente giudizio dalla Sesta
Sezione, 21 maggio 2013, n. 2740;
- la presente ordinanza;
- copia delle seguenti norme nazionali: articoli da
239 a 253 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; art. 99 del codice
processo amministrativo.
Sospensione del giudizio.
52. Il presente giudizio viene sospeso, nelle more
della definizione dell’incidente comunitario, e ogni ulteriore decisione, anche
in ordine alle spese, è riservata alla pronuncia definitiva.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe,
dispone:
1) a cura della segreteria, la trasmissione degli atti
alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato
sul funzionamento dell’Unione europea, nei sensi e con le modalità di cui in
motivazione, e con copia degli atti ivi indicati;
2) la sospensione del presente giudizio;
3) riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore
statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese.
Sospende il giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 8 luglio 2013 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Stefano Baccarini, Presidente
Alessandro Pajno, Presidente
Giorgio Giaccardi, Presidente
Marzio Branca, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Nicola Russo, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore
Manfredo Atzeni, Consigliere
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/09/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)