sabato 23 febbraio 2013

E' vietata la scelta "intuitu personae" (anche) per gli appalti sotto-soglia (Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 febbraio 2013, n. 1055).


Massima


Successivamente alla Dir. n.92/50/CE, la giurisprudenza della Corte di giustizia CE ha, infatti, affermato che gli incarichi tecnico-professionali -- compresi quelli al di sotto della soglia comunitaria -- sono tutti appalti pubblici di servizi, di cui all’ “Allegato 1 Categoria 12, classe “867”. Nella specie, “… anche se i contratti al di sotto della soglia comunitaria sono esclusi dalla sfera di applicazione delle direttive comunitarie…le amministrazioni aggiudicatrici sono comunque tenute a rispettare i principi fondamentali del Trattato… di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza” (cfr. sentenze su causa C-324/98, C-50/00 C-231/03, C-458/03).
Pertanto, come la Sezione ha avuto modo di ricordare, anche un incarico sotto soglia non può essere aggiudicato direttamente senza alcuna concorrenza sulla base del solo generico riferimento alla assunta natura “fiduciaria” dell’affidamento, atteso che una simile nozione non ha nulla di giuridicamente definito e si risolve solo nella mancanza di alcun reale meccanismo di confronto concorrenziale. Nella realtà delle cose, la “fiducia” comporta, nella pratica, che i singoli professionisti sono individuati solo perché intrattengono dei rapporti di conoscenza o di amicizia (quando non politici o di favore) con i vertici delle amministrazioni pubbliche (cfr. Cons. Stato, Sez. IV 24 luglio 2012 n. 4211).


Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7907 del 2005, proposto da:
Comune di Casarano, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Pellegrino, con domicilio eletto presso Giovanni Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento, 11;
contro
Regione Puglia, rappresentato e difeso dall'avv. Federico Massa, con domicilio eletto presso Federico Massa in Roma, via del Conservatorio 91; Dir. P. T. Settore Artigianato e Pmi Assessorato Ica Puglia; 

sul ricorso numero di registro generale 7908 del 2005, proposto da:
Comune di Casarano, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Pellegrino, con domicilio eletto presso Giovanni Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento, 11;
contro
Regione Puglia, rappresentato e difeso dall'avv. Federico Massa, con domicilio eletto presso Federico Massa in Roma, via degli Avignonesi, 5; Dir.P.T. Settore Artigianato e P.Mi Assessorato Ica Puglia; 
per la riforma
quanto al ricorso n. 7907 del 2005:
della sentenza del T.A.R. Puglia - Lecce: Sezione I n. 03277/2005, resa tra le parti, concernente corresponsione somme P.O.R. per realizzazione opere di urbanizzazione;
quanto al ricorso n. 7908 del 2005:
della sentenza del T.A.R. Puglia - Lecce: Sezione I n. 03266/2005, resa tra le parti, concernente ammissione al finanziamento relativo ad interventi infrastrutturali.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 novembre 2012 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Alessio Petretti (su delega di Federico Massa) e Giovanni Pellegrino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Con gli appelli di cui in epigrafe il Comune di Casarano impugna le due decisioni del TAR Lecce con cui sono stati respinti i due ricorsi diretti all’annullamento di due provvedimenti con cui la Regione Puglia aveva stralciato gli importi concernenti la progettazione dalla liquidazione dei contributi regionali concessi per la realizzazione, rispettivamente, di un intervento per il riuso ai fini industriali delle acque provenienti dal depuratore (ric. n.7907/2005); e per ulteriori opere di completamento e miglioramento dell’area P.I.P. (ric. n.7908/2005).
Le relative somme non sarebbero state finanziabili a valere sui fondi del c.d. POR, perché il Comune non avrebbe rispettato la legge n.109/94 relativamente alle modalità di affidamento degli incarichi per progettazione e di Direzione Lavori.
Entrambi gli appelli sono affidati alla denuncia di quattro coincidenti capi di doglianza non espressamente rubricati, relativi all’inapplicabilità all’incarico di progettazione de quo della L. n. 104/1994. La convenzione con l’Ing. Antonio De Matteis sarebbe stata stipulata il 1° agosto 1981, e dunque l’affidamento sarebbe stato conferito in epoca di molto anteriore all’entrata in vigore della predetta legge.
Si è costituita in giudizio la Regione Puglia, la quale, con successiva memoria, ha sottolineato la legittimità di propri provvedimenti, adottati a seguito delle indicazioni del Ministero dell’Economia e delle finanze; ed ha concluso per il rigetto dell’appello. della L. n. 104/1994.
Con ordinanza n. 5266 del 4 novembre 2005 la Sezione ha respinto l’istanza di sospensione cautelare della sentenza impugnata.
Con due separate memorie, identiche per entrambi i ricorsi, e con successive repliche agli scritti difensivi di controparte, il Comune:
-- in rito ha rilevato l’estraneità dei report ispettivi del Ministero dell’Economia e delle finanze alla presente liquidazione dei contributi POR e, comunque, l’estraneità del Ministero delle Finanze alla presente vicenda processuale;
-- nel merito ha ribadito la valenza delle proprie argomentazioni.
All’udienza pubblica di trattazione, dopo diffusa discussione, specie ad opera del difensore del Comune, la causa è stata ritenuta in decisione dal Collegio.
____ 1.§. Ai sensi dell’art. 70 del c.p.a. deve disporsi la riunione degli appelli di cui in epigrafe, essendo evidente la connessione oggettiva e soggettiva di entrambi i gravami.
Le sentenze impugnate con i due separati appelli sono, infatti, affidate ai coincidenti rilievi per cui – dovendo prescindersi dalla convenzione stipulata anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 104/1004 e s.m.i. -- la richiesta di finanziamento comportava l’obbligo di osservare:
-- il par. 6.6) del POR Puglia 2000/2006, che subordinava espressamente l’erogazione dei finanziamenti al rispetto di tutta normativa comunitaria e nazionale vigente in materia, ivi compresa la ricordata legge quadro sui lavori pubblici;
-- l’art. 28 della legge regionale 25.9.00, n. 13 (“Procedure per l’attuazione del programma operativo della Regione Puglia 2000-2006”), per il quale “Alla progettazione … degli interventi infrastrutturali previsti dalla presente legge si applicano le disposizioni, anche regolamentari, vigenti in materia di opere e lavori pubblici di cui alla legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modifiche e integrazioni…”.
___ 2.§. Per ragioni di economia espositiva gli identici motivi di entrambi i gravami devono essere esaminati secondo l’ordine che segue.
___ 2.§. Per il loro carattere prioritario devono essere confutati congiuntamente il terzo ed il quarto capo di doglianza, con i quali si denuncia la rilevanza, ai fini della delibazione della questione, del preesistente vincolo connesso con la convenzione con il professionista del 1981.
Dato che la giurisdizione sulle controversie attinenti alla validità o efficacia di una convenzione precedentemente stipulata tra un comune ed un professionista per un incarico di progettazione di opere spetta naturalmente al giudice ordinario, è evidente che la delibazione sui predetti motivi, afferendo ad una questione pregiudiziale concernente posizioni di diritto soggettivo, è delibata incidentalmente nei soli limiti di cui all’art. 8 del c.p.a. .
___ 2.§.1. In particolare, con il terzo motivo si lamenta che le opere in oggetto sarebbero state un progetto-stralcio degli interventi ricompresi nella convenzione stipulata dal Comune nel 1981, a seguito della delibera della Giunta municipale n.591/1979. Tale convenzione concerneva:
-- “ la progettazione di variante alla zonizzazione dello studio particolareggiato della zona industriale di Casarano …;
-- “la progettazione esecutiva di tutte le opere di urbanizzazione primaria previste dallo studio particolareggiato”;
-- “la progettazione del piano particolareggiato dell’area ad attrezzature collettive (opere di urbanizzazione secondaria)”;
-- la progettazione delle attrezzature previste dal piano particolareggiato della suddetta area e delle attrezzature collettive”;
-- “la progettazione di quanto tecnicamente necessario ad attuare lo studio particolareggiato in variante come piano insediamenti produttivi”.
Tra le opere di completamento, oltre alla sistemazione stradale, vi sarebbero stati proprio i progetti oggetto delle sentenze impugnate, così come affermato nella convenzione in parola, per cui il compenso per il tecnico incaricato avrebbe dovuto essere calcolato sulla tariffa professionale, assumendosi come riferimento gli importi posti a base d’asta.
Tale vincolo, legittimamente instauratosi in precedenza, non avrebbe, quindi, potuto essere inciso dalle disposizioni sopravvenute ed avrebbe integrato una situazione esaurita e definita sotto la disciplina precedentemente vigente, ormai cristallizzatasi rispetto agli effetti regolati dello jus sopravvenuto nella fase di esecuzione del rapporto contrattuale.
La nuova normativa non avrebbe potuto incidere sul vincolo genetico di un rapporto legittimamente instauratosi.
L’articolo 232 del regolamento n. 554/1999 farebbe espressamente salvo “il contenuto delle obbligazioni dei contratti” stipulati antecedentemente e “le modalità di svolgimento delle procedure di gara per l’aggiudicazione di lavori e servizi” indette anteriormente all’entrata in vigore del predetto regolamento. Anche per la circolare del Ministro dei lavori pubblici n. 1329/400/19/ del 7 settembre 2000 sarebbe stata certa la non applicabilità della normativa ai contratti stipulati anteriormente.
Nel caso di un diverso comportamento, il Comune, proprio in vista dell’art. 232 del regolamento di attuazione della L. 109/1994, si sarebbe, viceversa esposto ad un contenzioso con il professionista.
Di qui l’erroneità della pronuncia del Tar quando afferma l’irrilevanza - e comunque mette in dubbio l’eventuale perdurante efficacia - della convenzione stipulata prima dell’entrata in vigore della legge Merloni.
___ 2.§.2. Con la quarta censura si assume che, comunque non sarebbe stato rilevante il fatto che, nella convenzione del 1981 non erano espressamente indicate né strade, nè fognature ed opere di depurazione. La sentenza, in ogni caso, non avrebbe risposto alla specifica censura del Comune relativa alla non applicabilità delle norme sull’evidenza pubblica in materia di affidamento di incarichi sotto la soglia comunitaria.
Gli incarichi in questione sarebbero stati, comunque, riconducibili alla voce della convenzione relativa “all’integrazione dei singoli progetti finanziati con gli altri elementi progettuali” necessari per le opere previste nel PIP.
Inoltre le opere in parola si potevano autonomamente considerare come incarichi sottosoglia, riconducibili alla disciplina di cui all’articolo 7, comma 2, lettere d) ed e) del d.lgs. n. 157/1995, richiamato dall’articolo 17 della legge n. 104/1994.
___ 2.§.3. Entrambe le doglianze non convincono.
In primo luogo appare comunque risolvente il rilievo per cui la convenzione del 1981 si poneva in diretto ed immediato contrasto con l’art. 284 del R.D. 03/03/1934, n. 383, che, a tutela della regolarità amministrativa e del buon andamento finanziario delle amministrazioni locali, imponeva l’obbligo di indicare l'ammontare delle spese e dei mezzi per farvi fronte.
Per la Cassazione il disposto della norma predetta -- essendo finalizzato ad evitare che gli amministratori degli enti assumano obbligazioni senza rendersi conto della loro incidenza economica e senza valutare la reale capacità comunale di assolverle -- era prescritto a pena di nullità, alla luce della generale previsione dell'art. 288 dello stesso Testo Unico, per cui "sono nulle le deliberazioni prese in adunanze illegali, o adottate sopra oggetti estranei alle attribuzioni degli organi deliberanti, o che contengano violazioni di legge" (per tutte: Cass., Sez. Un., 10 giugno 2005, n. 12195).
La nullità -- come tale rilevabile d’ufficio -- della delibera e del correlato rapporto di prestazione professionale in convenzione, conseguente alla mancata previsione della spesa, concerne proprio i casi nei quali (come quello in esame) non siano nemmeno indicati gli importi e le specifiche opere, rinviandosi genericamente la relativa individuazione a future determinazioni.
L’indirizzo maggioritario della Cassazione civile (cfr. ad esempio: SS.UU. n. 12195/2005 cit.; Sez. II 03 dicembre 1994 n. 10393) ha, dunque, costantemente concluso, in tali evenienze, per la nullità:
-- dell'atto deliberativo con cui un ente locale, nell'esercizio della facoltà prevista dal R.D. n. 383 del 1934, art. 285, comma 2, affidi ad un professionista privato l'incarico della progettazione di un'opera pubblica, in carenza dell'indicazione della relativa copertura finanziaria prescritta dall'art. 284, comma 1, del medesimo decreto;
ed in conseguenza:
-- della successiva convenzione tra l'ente e il professionista con il quale il rapporto è costituito.
In tali casi si è, infatti, ritenuto che il contratto sia oggettivamente carente di uno dei suoi elementi essenziali.
Del resto è sempre nullo, per indeterminabilità dell'oggetto, il contratto mancata nel quale manchi la descrizione dei beni, la durata del rapporto e la specificazione del corrispettivo per il relativo godimento (arg. ex Cassazione civile Sez. III 11 ottobre 2012 n. 17324).
Nella fattispecie in esame non vi sono dubbi circa la nullità della deliberazione e della convenzione con il professionista (allegati dalla Regione ai documenti versati in primo grado), in quanto, come è evidente dalla stessa elencazione riportata dall’Amministrazione comunale ricorrente:
-- in primo luogo mancava il requisito del termine finale di scadenza (che è sempre necessario ad substanziam per la validità di un contratto normativo, come è quello in esame);
-- non era a priori consentito di comprendere esattamente, per molte voci, la natura stessa dell’incarico (e cioè se concernesse la redazione di strumenti urbanistici, ovvero quella di progettazione di lavori o entrambi gli obblighi);
-- mancava, in convenzione, ogni circostanziata definizione dei contenuti esatti dei singoli interventi, non risultando in alcun modo utile a tal fine i generici riferimenti previsti contrattualmente, come ad esempio quello relativo a “… tutte le opere di urbanizzazione previste dallo studio particolareggiato…”;
-- non sussisteva alcuna indicazione degli importi massimi delle relative opere;
-- non vi era alcun riferimento ai livelli di progettazione contrattualmente richiesti (studio di fattibilità; progetto di massima, generale o esecutivo).
In ogni caso, pertanto, una convenzione, peraltro del tutto generica, stipulata quasi vent’anni prima, non poteva certo costituire quell’ “obbligazione giuridicamente perfezionata”, che sola, come tale, avrebbe potuto consentire la salvezza dei rapporti già costituiti.
In definitiva l’applicazione dell’art. 232 del D.P.R. n.544/1999 al caso in esame deve essere del tutto esclusa.
Sotto altro profilo, ed a prescindere del tutto dalle considerazioni che precedono, si osserva, poi, che, a tutto voler concedere, non pare potessero comunque essere ricompresi, tra gli interventi dedotti nella convenzione, l’impianto di depurazione volto al riutilizzo delle acque per usi industriali e le opere di miglioramento dei PIP in contestazione. Ciò è dimostrato inequivocabilmente dall’assenza di ogni riferimento all’atto del 1981 nelle premesse dei provvedimenti di approvazione dei progetti de quibus.
E ciò anche perché, dopo ben quattro lustri, con ogni probabilità il programma di cui alla convenzione del 1981 si doveva considerare, in realtà, del tutto attuato nelle more.
Insomma l’incarico qui in contestazione, di fatto, risultava autonomamente attribuito nel 2001; e quindi avrebbe dovuto essere soggetto alle regole dell’evidenza pubblica di cui alla L. n.109/1994.
Al tal proposito si rileva, con riguardo al quarto motivo sopra riassunto, che del tutto inconferentemente e tardivamente l’amministrazione afferma l’illegittimità dei provvedimenti regionali invocando la disciplina concernente gli incarichi di progettazione inferiori ai 100.000 euro, di cui all’articolo 7, comma 2, lettere d) ed e) del d.lgs. 17 marzo 1995 n. 157 (oggi abrogato), norma richiamata dall’articolo 17 della legge n. 104/1994 e s.m.i. .
Successivamente alla Dir. n.92/50/CE, la giurisprudenza della Corte di giustizia CE ha, infatti, affermato che gli incarichi tecnico-professionali -- compresi quelli al di sotto della soglia comunitaria -- sono tutti appalti pubblici di servizi, di cui all’ “Allegato 1 Categoria 12, classe “867”. Nella specie, “… anche se i contratti al di sotto della soglia comunitaria sono esclusi dalla sfera di applicazione delle direttive comunitarie…le amministrazioni aggiudicatrici sono comunque tenute a rispettare i principi fondamentali del Trattato… di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza” (cfr. sentenze su causa C-324/98, C-50/00 C-231/03, C-458/03).
Pertanto, come la Sezione ha avuto modo di ricordare, anche un incarico sotto soglia non può essere aggiudicato direttamente senza alcuna concorrenza sulla base del solo generico riferimento alla assunta natura “fiduciaria” dell’affidamento, atteso che una simile nozione non ha nulla di giuridicamente definito e si risolve solo nella mancanza di alcun reale meccanismo di confronto concorrenziale. Nella realtà delle cose, la “fiducia” comporta, nella pratica, che i singoli professionisti sono individuati solo perché intrattengono dei rapporti di conoscenza o di amicizia (quando non politici o di favore) con i vertici delle amministrazioni pubbliche (cfr. Cons. Stato, Sez. IV 24 luglio 2012 n. 4211).
Nella specie, l’applicazione dell’articolo 7 d.lgs. n. 157/1995 avrebbe semmai potuto costituire un’opzione procedimentale da azionare al momento di affidamento dell’incarico, sempreché né ricorressero i necessari presupposti, qui inesistenti. Detta norma per definitiva conseguenza, non può in questa sede essere invocata, in via subordinata ed alternativa al richiamo alla convenzione del 1981, a fondamento postumo della legittimità dell’incarico al progettista.
Devono dunque essere respinti il terzo ed il quarto motivo d’appello.
___ 3.§. In stretta relazione con l’orientamento che precede quindi vanno pure disattese la prima e la seconda censura.
___ 3.§.1. Con il primo capo di doglianza si assume l’erroneità del richiamo al par. 6.6) POR Puglia 2000/2006, per cui “la verifica del rispetto delle politiche comunitarie riguarda prioritariamente (ma non esclusivamente): le regole della concorrenza; le gare d’appalto; la tutela dell’ambiente; le pari opportunità; le politiche del lavoro; le piccole e medie imprese..”. La norma si sarebbe, invece, genericamente limitata a prescrivere un onere di adeguamento alle disposizioni del regolamento comunitario n. 1260/1999; ed anche il richiamo alla concorrenza ed alle gare d’appalto non avrebbe affatto riguardato l’affidamento “di incarichi di progettazione”, ma avrebbe implicato solo il riferimento agli “aiuti di Stato”.
Si sarebbe, cioè, trattato di un generico invito al rispetto dei regolamenti e delle norme comunitarie vigenti (come per esempio quelli “in materia di informazione e pubblicità”). La stessa Giunta regionale, con la delibera n. 7 del 23 gennaio 2001, aveva richiesto la redazione di un progetto redatto da un tecnico, ma senza disporre che le modalità di affidamento seguissero le procedure di cui alla legge n.109/1994.
Nel caso di specie l’incarico sarebbe stato, dunque, conferito in epoca antecedente all’entrata in vigore della normativa di derivazione comunitaria, per cui la stessa normativa del POR ammetteva la prosecuzione ed il completamento degli altri interventi in corso di esecuzione.
Ai fini del finanziamento non era sarebbe stato,perciò, ineluttabile l’affidamento concorrenziale delle attività di progettazione, dato che l’articolo 232 del d.p.r. n 554/1999 faceva, appunto salve “le situazioni definite esaurite sotto la disciplina precedentemente vigente”. Di qui l’errore del Tar nel porre seccamente l’alternativa tra espletamento di gara ad evidenza pubblica per l’attribuzione l’incarico di progettazione ovvero rinuncia finanziamento.
Infine l’articolo 28 della legge regionale n. 13 del 2000 conterrebbe solo dei generici riferimenti alla progettazione senza disciplinare l’affidamento di incarichi di progettazione, anche donde pure per tale via ne dovev risultare una favorevole considerazione per la situazione del Comune.
___ 3.§.2. Con il secondo capo di doglianza si lamenta che:
-- l’imposizione di una gara per individuare l’incarico di progettazione, pur in presenza della fattispecie derogatorie di cui all’art. 232 del d.p.r. n. 554/1999, sarebbe stata contraria ai principi di razionalità e di economicità, perché avrebbe indotto ad imporre lo scioglimento di vincoli contrattuali preesistenti;
-- l’efficacia e la validità della convenzione n.435/1981 non sarebbe stata contestata dalla Regione, limitatasi ad opporre la presunta illegittimità dell’affidamento dell’incarico, in relazione alle disposizioni sopravvenute dettate dalla legge 109/1994.
Entrambe le censure sono infondate.
Una volta esclusa la vincolatività della convenzione del 1981, non vi sono dubbi che, con riguardo ai singoli provvedimenti di incarico trovassero immediata e specifica applicazione rispettivamente:
-- l’art. 12 del REG. COM. UE n.1260/1999, per cui tutte le operazioni di finanziamento finanziate dalla BEI devono “essere conformi alle disposizioni del Trattato e degli atti emanati in virtù dello stesso”: pertanto il riferimento alle regole della concorrenza e degli appalti imponevano senz’altro l’effettuazione di procedure ad evidenza pubblica per l’affidamento dei relativi di incarichi di progettazione;
-- le disposizioni di cui all’art. 28 della L.R. n.13/2011, come peraltro espressamente richiamato dall’art. 2 del disciplinare dei rapporti Regione-Comune;
-- le disposizioni di cui al paragrafo 4.2 punto 3 lett. a) del POR 2000-2006, che, per le attività di progettazione, faceva espresso riferimento a quanto disposto dalla L. n.194/1994.
In proprosito si deve concordare con il primo giudice quando ricorda che l’Allegato 2 (“Spese ammissibili ai fini della rendicontazione e certificazione”) subordinava espressamente l’erogazione dei finanziamenti al rispetto della normativa comunitaria e nazionale e della cd. legge Merloni, per cui la stessa scelta di partecipare alla selezione dei progetti da ammettere al finanziamento comportava, per i richiedenti, l’obbligo di osservare tutte le condizioni fissate dal relativo bando.
Ne derivano l’inconferenza e l’apoditticità dell’invocazione da parte del Comune della maggiore razionalità ed economicità della sua scelta procedimentale quando cogenti disposizioni nazionali e comunitarie in materia imponevano l’effettuazione di una procedura ad evidenza pubblica a tutela della concorrenza.
Di qui, pure, l’esattezza delle conclusioni del primo giudice, per il quale il mancato esperimento di una procedura di selezione comunque trasparente determinava l’illegittimità dell’affidamento della progettazione e di conseguenza la legittimità del provvedimento regionale di non ammissione a contributo della relativa spesa a valere sui finanziamenti comunitari.
___ 4.§. In conclusione entrambi gli appelli sono infondati e vanno respinti, sia pure con le integrazioni motivazionali di cui ai punti che precedono.
Le spese tuttavia, in considerazione della relativa peculiarità della vicenda, possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe:
___ 1. dispone, ai sensi dell’art. 70 del c.p.a., la riunione dei gravami, per l’evidente connessione soggettiva ed oggettiva;
___ 2. respinge gli appelli come in epigrafe proposti e, per l'effetto, conferma le decisioni impugnate, con le integrazioni alla motivazione sopra enunciate;
___ 3. spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore
Oberdan Forlenza, Consigliere
    
L'ESTENSORE
                                                              IL PRESIDENTE

    




DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)




giovedì 21 febbraio 2013

APPALTI: non è illegittima ex sé quella clausola del bando che prevede l’esclusione delle ATI c.d. sovrabbondanti (Cons. St., Sez. III, 12 febbraio 2013, n. 842).


APPALTI: 
non è illegittima ex sé quella clausola del bando che prevede l’esclusione delle ATI c.d. sovrabbondanti 
(Cons. St., Sez. III, 12 febbraio 2013, n. 842) 

Massima



"Si parla di ATI “sovrabbondanti" nelle ipotesi in cui le imprese in grado siano già in grado, singolarmente, di soddisfare i requisiti economici e tecnici di partecipazione. Taluni bandi di gara possono vietare le offerte presentate dalle predette ATI per favorire la concorrenza. La giurisprudenza considera tali clausole non immediatamente lesive, quindi non impugnabili dalla conoscenza del bando (ma soltanto successivamente con la tecnica della c.d. doppia impugnativa,ndr).
Il divieto, come d’altronde ogni limite quantitativo  di operatori in un dato mercato competitivo, anche regolato, serve quindi a garantire che non si verifichi un’indebita, sproporzionata o irragionevole compressione della concorrenza nella specifica gara. Di converso, il divieto va interpretato secondo gli ordinari canoni di valutazione di coerenza della fonte con le regole ed i principi costituzionali e comunitari, ossia precludendo siffatta partecipazione con riguardo alle evidenze del mercato proprio dell’appalto e nei soli limiti in cui ciò è necessario.
Pertanto, se è in sé legittima l’inserzione della citata clausola nel bando, negli ovvi limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, la relativa applicazione, per esser reputata legittima, non può mai prescindere dal concreto accertamento dell’effetto anticoncorrenziale che quella e solo quella ATI sovrabbondante possa produrre in quella ed in quella singola procedura di gara.

Sentenza per esteso 

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 6111/2012 RG, proposto dalla Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, rappresentata e difesa dall'avv. Rodolfo Mazzei, con domicilio eletto in Roma, via XX Settembre n. 1, 
contro
la American Laundry Ospedaliera s.p.a., corrente in Melito di Napoli (NA), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fabio Francario e Massimo Scalfati, con domicilio in Roma, via della Mercede n. 11 e 
nei confronti di
Azienda Usl Roma B, Azienda Usl Roma C, Azienda Usl Roma D, Azienda Usl Roma H, Azienda Usl di Frosinone, INMI Lazzaro Spallanzani – IRCSS ed IRCSS Istituti fisioterapici ospedalieri – IFO, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti nel presente giudizio, 
per la riforma
della sentenza breve del TAR Lazio – Roma, sez. III-quater, n. 7250/2012, resa tra le parti e concernente la gara comunitaria centralizzata, a procedura aperta, finalizzata all'acquisizione del servizio di lavanolo occorrente alle Aziende sanitarie della Regione Lazio;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della sola Società appellata;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, c. 10, c.p.a.;
Relatore nell'udienza pubblica del 7 dicembre 2012 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti costituite, gli avvocati Mazzei e Francario;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO
1. – La Regione Lazio rende noto che, in forza dell’art. 1, c. 455 della l. 27 dicembre 2006 n. 296 e dell’art. 1, c. 68 , lett. c) della l. reg. Lazio 11 agosto 2008 n. 14, ha assunto, su loro delega, la funzione di centrale di committenza per le Aziende sanitarie regionali per indire e gestire a loro favore alcune gare centralizzate per l’acquisizione di beni e servizi.
Tra tali gare, la Regione Lazio fa presente d’aver indetto una procedura aperta europea, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per il servizio quadriennale di lavanolo della biancheria piana e confezionata, dei materassi, dei guanciali, del vestiario e delle divise per il personale di dette Aziende. Con determinazione dirigenziale n. B02371 del 24 aprile 2012, la Regione Lazio ha aggiudicato cinque degli otto lotti appaltandi alla SOGESI s.p.a., mentre le procedure inerenti ai restanti tre sono andate deserte. Sicché per questi ultimi (lotti nn. 3, 5 e 7) la Regione, con bando spedito alla GUCE il 12 giugno 2012 e pubblicato in GU del successivo giorno 15, ha indetto una nuova gara centralizzata per aggiudicare il servizio di lavanolo, per la durata di 48 mesi e per un importo complessivo a base d’asta pari a € 42.686.791,00 oltre IVA ed al netto di € 38.400,00 per rischi da interferenza.
Il bando di gara ha previsto, tra l’altro, la possibilità di proporre offerte in ATI, con esclusione, però (art. 7 del bando), di quelle tra le imprese in grado, già singolarmente, di soddisfare i requisiti economici e tecnici di partecipazione (c.d. ATI “sovrabbondanti”). In particolare, la Regione ha reputato opportuno, per evitare un uso improprio ed anticoncorrenziale, di non consentire in linea di massima tale tipo di ATI, tranne che non associno anche imprese non ipoqualificate, in coerenza con i principi sul punto da ultimo sanciti dalle deliberazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato – AGCM, nonché dall’AVCP (deliberazioni n. 79 del 7 ottobre 2009, n. 13 dell’11 marzo 2010, ecc.).
2. – Avverso la clausola in questione, la American Laundry Ospedaliera s.p.a., corrente in Melito di Napoli (NA), è insorta innanzi al TAR Lazio il quale, con la sentenza breve n. 7250 del 3 agosto 2012, ne ha accolto il ricorso annullando il divieto di partecipazione delle ATI sovrabbondanti.
Appella quindi la Regione Lazio, deducendo in punto di diritto: A) – il difetto di legittimazione in capo alla Società appellata, non avendo inteso partecipare in qualunque forma alla procedura per cui è causa e, come tale, priva della titolarità di un’autonoma e differenziata situazione soggettiva tutelabile in via d’azione; B) – l’irrilevanza al riguardo del preliminare di ATI con un’impresa terza, sia perché l’appellata non ha inteso, senza ragione, rivelarne il nominativo e non essendo chiaro se ed a quale gara tale futura ATI avrebbe inteso partecipare, sia perché non si dimostra la ragione per cui all’appellata sarebbe dovuta occorrere solo un’ATI “sovrabbondante” per partecipare in modo efficace alle gare stesse; C) – la conformità della clausola ai principi pro-concorrenziali delle ATI non sovrabbondanti, come da ultimo suggerito dalla segnalazione dell’AGCM n. AS-880 del 28 settembre 2011, in virtù della quale l’inserimento della clausola stessa può senz’altro contribuire a scongiurare i rischi derivanti da comportamenti opportunistici o collusivi delle imprese, con effetti nocivi sulla gara cui esse partecipano; D) – il principio per cui le clausole di non ammissione delle predette ATI, non essendo basate su norme imperative e non potendo esser desunte in via pretoria, soggiacciono agli ordinari canoni di proporzionalità e di ragionevolezza, in sé e con riguardo allo specifico oggetto dell’appalto; E) – la necessità nella specie della clausola impugnata, in relazione allo specifico ed attuale assetto del mercato relativo, a livelli nazionale e regionale, al lavanolo ed all’entità ed alla complessità della gara centralizzata regionale; F) – in ogni caso, l’assenza d’ogni automatismo, come da ultimo chiarito dall’AVCP e quand’anche l’appellata intendesse partecipare in ATI sovrabbondante, dell’esclusione di quest’ultima senza un accertamento specifico, da parte della stazione appaltante, del concreto effetto anticoncorrenziale d’un tal raggruppamento. Resiste nel presente giudizio la sola Società appellata, concludendo per il rigetto del ricorso in epigrafe.
Con decreto cautelare n. 3233 del 7 agosto 2012, poi confermato con ordinanza cautelare n. 3158 del 1° settembre 2012, la Sezione ha sospeso la sentenza appellata.
Alla pubblica udienza del 7 dicembre 2012, su conforme richiesta delle parti costituite, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
3. – Per una miglior comprensione della situazione di fatto, preme al Collegio far presente che la Società appellata, dopo il citato preliminare di ATI con un’impresa terza, ha poi proposto istanza di partecipazione, appunto in raggruppamento “sovrabbondante” con tale imprese almeno per un lotto, alla gara per cui è causa. Allo stato, sul lotto de quo, il seggio di gara, dopo l’esame della documentazione amministrativa, ha ammesso l’ATI sovrabbondante alle ulteriori fasi della procedura medesima.
Ciò posto, l’appello della Regione è meritevole di condivisione e va accolto, per le ragioni ed con i limiti qui di seguito indicati.
4. – Ora, il Collegio non ritiene di poter seguire la tesi dell’appellante in ordine all’insufficienza della dimostrazione, da parte della predetta Società, d’un interesse qualificato all’impugnazione immediata della clausola in questione.
A tal riguardo, a fronte della prospettazione di primo grado sull’efficacia immediatamente escludente della clausola de qua, la Società appellata ha inteso dare un principio di prova sul proprio interesse all’impugnazione, partendo proprio dalla volontà di partecipare alla gara in ATI sovrabbondante. La Sezione ha avuto modo di precisare sul punto (cfr. Cons. St., III, 11 giugno 2012 n. 3402, resa su vicenda consimile) come, a fronte d’una clausola non ictu oculi preclusiva alla partecipazione, l’impresa, già in sé qualificata ma che volesse fornire una offerta in ATI “sovrabbondante”, dovesse chiarire che, avuto riguardo allo specifico oggetto dell’appalto, solo tal forma di aggregazione le desse una seria chance di positivo risultato. Nella specie, la Società appellata, che, si badi, non era certo onerata a produrre un progetto di offerta per dimostrare il purpose of business da perseguire con l’ATI sovrabbondante, s’è sì limitata a depositare in atti il preliminare di ATI, ma ciò non è manifestamente insufficiente, servendo già a far comprendere la volontà di partecipazione come tale e nella forma aggregativa preferita. Tal sufficienza ben si può evincere sia dal concreto comportamento di buona fede delle parti nell’esecuzione di detto accordo, sia dall’intento effettivamente perseguito nel partecipare in siffatta aggregazione alla gara de qua, sia dalla circostanza che l’impugnata clausola di non ammissione delle predette ATI non consente, in assenza d’una norma imperativa conforme e di principi solidi da cui desumerla in via d’interpretazione, alcun automatismo in danno alle imprese partecipanti.
5. – Per le ragioni spiegate è, dunque, erroneo l’assunto da cui parte l’impugnazione di primo grado e che il TAR ha inteso accogliere.
Il Collegio osserva che la clausola in parola, nel riferirsi a pronunciamenti dell’AVCP sui possibili effetti anticoncorrenziali della partecipazione a gara delle ATI sovrabbondanti, assolve appunto a tal funzione, discendente dall’obbligo della stazione appaltante d’assicurare la maggior concorrenzialità possibile nella specifica procedura di gara.
Ma, come rettamente osserva la Regione appellante, un divieto di tal tipo di ATI non è posto in assoluto, né sarebbe legittimamente possibile, stante l’evidentefavor del diritto comunitario alla partecipazione alle gare ad evidenza pubblica anche dei soggetti riuniti, al di là della forma giuridica di tale loro aggregazione. Il divieto, come d’altronde ogni limite quantitativo all’ingresso di operatori in un dato mercato competitivo, anche regolato, serve a garantire che non si verifichi un’indebita, sproporzionata o irragionevole compressione della concorrenza nella specifica gara. Di converso, il divieto va interpretato secondo gli ordinari canoni di valutazione di coerenza della fonte con le regole ed i principi costituzionali e comunitari, ossia precludendo siffatta partecipazione con riguardo alle evidenze del mercato proprio dell’appalto e nei soli limiti in cui ciò è necessario. Da ciò discende il carattere non immediatamente escludente della clausola, a nulla rilevando che la Società appellata la intenda in modo differente, giacché non v’è evidenza, né a priori, né a seguito dell’effettiva partecipazione di essa alla gara nella forma aggregativa prescelta, che l’ATI sovrabbondante stia creando un’aggregazione anticoncorrenziale.
Pertanto, se è in sé legittima l’inserzione della citata clausola nel bando, negli ovvi limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, la relativa applicazione, per esser reputata legittima, non può mai prescindere dal concreto accertamento dell’effetto anticoncorrenziale che quella e solo quella ATI sovrabbondante possa produrre in quella ed in quella singola procedura di gara.
6. – Le spese del presente giudizio, sussistendone giusti motivi, possono esser compensate in modo integrale tra tutte le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. III), definitivamente pronunciando sull'appello (ricorso n. 6111/2012 RG in epigrafe), lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto ed in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che il presente dispositivo sia eseguito dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 7 dicembre 2012, con l'intervento dei sigg. Magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

mercoledì 20 febbraio 2013

ELEZIONI: il "caso Polverini" fa giurisprudenza: no all'azione d'accertamento "pura" in sede esecutiva se il ricorso è improcedibile (T.A.R. Lazio - Roma -, sent. 18 gennaio 2013 n. 1755).



ELEZIONI: 
il "caso Polverini" fa giurisprudenza: no all'azione d'accertamento "pura" in sede esecutiva 
se il ricorso è improcedibile
(T.A.R. Lazio - Roma -, sent. 18 gennaio 2013 n. 1755)

Massima

1. E' inammissibile la domanda formulata in sede di ottemperanza da una parte ricorrente che, pur confermando di non avere più interesse a ottenere in tal fase una decisione volta all’esecuzione del dictum giurisdizionale, previa declaratoria di nullità degli atti con esso contrastanti, nondimeno chiede l’adozione di una pronuncia di accertamento dell’avvenuta violazione del medesimo dictum da parte della P.A., ritenendo persistente un proprio interesse al riguardo sotto il profilo morale, oltre che in vista del futuro possibile esercizio di un’azione risarcitoria, e comunque ai fini della pronuncia sulle spese di giudizio.
2. Il giudizio di ottemperanza difatti, pur non essendo privo di una componente cognitoria e di accertamento, rimane tuttavia essenzialmente finalizzato a “conseguire l’attuazione” (art. 112, comma 2 c.p.a.) dei provvedimenti del giudice (o quantomeno a ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di tale attuazione: art. 112, comma 5 c.p.a.), ovvero alle complementari tutele di cui all’art. 112, comma 3 c.p.a..
In caso si sopravvenuta carenza d'interesse e quindi di improcedibilità del ricorso, tuttavia, ogni ulteriore accertamento a fini morali o a fini risarcitori ulteriori e meramente eventuali (in mancanza di contestuale e complementare esercizio dell’azione di cui al 112, comma 3 c.p.a.) rimane quindi precluso in sede d'ottemperanza, in presenza dell’accertata sopravvenuta carenza di interesse all’adozione dei conseguenti provvedimenti giurisdizionali previsti dalla disciplina codicistica dell’esecuzione del giudicato amministrativo.
In defintiva, non trova spazio, sotto questo profilo, una tutela di mero accertamento, in disparte ogni ulteriore possibile discussione sui presupposti e sui limiti di tale tipo di tutela cognitoria.



Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis) 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10256 del 2012, proposto da:
Movimento Difesa del Cittadino, rappresentato e difeso dall'Avv. Gianluigi Pellegrino, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Roma, corso Rinascimento, 11; 
contro
Regione Lazio, in persona del Presidente p.t., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli Avv. ti Francesco Saverio Marini e Federico Tedeschini, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, largo Messico, 7; 
e con l'intervento di
ad opponendum:
Codacons e sig. Giovanni Pignoloni, rappresentati e difesi dagli Avv. ti Carlo Rienzi e Gino Giuliano, con domicilio eletto presso Uff.Legale Naz.Le Codacons in Roma, v.le Mazzini, 73; 
per l'esatta esecuzione
previa misura cautelare, anche monocratica
della sentenza TAR Lazio, sez. II - bis, n. 9280/12, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 6002/12.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio;
Visto l’intervento ad opponendum del Codacons e del signor Giovanni Pignoloni;
Viste le memorie difensive;
Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2013 il dott. Francesco Arzillo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Considerato in fatto e in diritto:
a) che parte ricorrente ha chiesto nella presente sede di ottemperanza, agendo ai sensi degli art. 112 e ss. c.p.a., l’esatta esecuzione della sentenza del TAR Lazio, sez. II – bis, n. 9280/2012, integralmente confermata da Cons. Stato, sez. V, n. 6002/2012;
b) che con la predetta sentenza questo Tribunale ha accertato l’obbligo del Presidente dimissionario della Regione Lazio di provvedere all’immediata indizione delle elezioni regionali in modo da assicurarne lo svolgimento entro il più breve termine tecnicamente compatibile con gli adempimenti procedimentali previsti dalla normativa vigente in materia di operazioni elettorali;
c) che con il decreto n. T00411 del 1° dicembre 2012 il Presidente della Regione Lazio ha indetto le elezioni regionali nei giorni di domenica 10 febbraio e lunedì 11 febbraio 2013;
d) che parte ricorrente ha in primo luogo chiesto una pronuncia cautelare monocratica per assicurare, in via di estrema urgenza, la corretta esecuzione della sentenza, contestando - in particolare - la data scelta per la convocazione dei comizi elettorali e ritenendo che il relativo decreto di indizione andasse considerato nullo in quanto violativo del dictum giurisdizionale, essendo tale da comportare un indebito e illegittimo scorrimento in avanti della data delle elezioni;
e) che con decreto cautelare n. 04388/2012 del 5 dicembre 2012 il Presidente di questa Sezione:
- ha rilevato la nullità/inefficacia del decreto n. T00411 del 1 dicembre 2012 con cui il Presidente dimissionario della Regione Lazio ha indetto le elezioni regionali per i giorni 10 e 11 febbraio 2013;
- ha individuato nei giorni 3 e 4 febbraio 2013 la data più idonea a dare esatta esecuzione alla sentenza TAR Lazio, sez. II bis, n. 09280/2012, ordinando al Ministro dell’Interno l’adozione dei conseguenti provvedimenti in qualità di commissario ad acta;
- ha fissato per il giorno 20 dicembre 2012 la data della camera di consiglio per la trattazione collegiale della domanda cautelare proposta nel giudizio di ottemperanza;
f) che la data della predetta camera di consiglio è stata anticipata al giorno 18 dicembre 2012 a seguito della presentazione di una domanda di revoca/modifica del predetto decreto cautelare e di annullamento del conseguente provvedimento commissariale da parte degli intervenienti ad opponendum, e della rinuncia delle parti ai termini processuali;
g) che con atto depositato in data 13 dicembre 2012 parte ricorrente:
- ha fatto riferimento all’evoluzione del quadro politico-istituzionale e in particolare all’esigenza di tenere conto della prospettiva di un possibile svolgimento congiunto delle elezioni regionali e delle elezioni politiche nazionali;
- ha dichiarato di rinunciare alla domanda cautelare proposta - sia in sede monocratica sia in sede collegiale - e agli effetti del decreto presidenziale cautelare n. 04388/2012;
h) che con decreto n. 24103/2012 il Presidente di questa Sezione:
- ha dato atto della suddetta dichiarazione, dalla quale si desumeva comunque il venir meno dell’interesse alla misura cautelare di estrema urgenza;
- ha disposto conseguentemente la cessazione degli effetti del decreto presidenziale n. 04388/2012 e dei provvedimenti emanati in esecuzione dello stesso dal Ministro dell’Interno e dal Prefetto di Roma, con cui erano state indette le elezioni della Regione Lazio per i giorni 3 e 4 febbraio 2013, in esecuzione del decreto cautelare;
i) che alla data della camera di consiglio del 18 dicembre 2012, originariamente fissata per la trattazione collegiale della domanda cautelare, la causa è stata cancellata dal ruolo delle sospensive, con contestuale fissazione della trattazione nel merito della domanda di ottemperanza alla camera di consiglio del 7 febbraio 2013;
l) che con decreto n. T00420 del 22 dicembre 2012 la Presidente della Regione Lazio ha infine indetto la consultazione elettorale per le date del 24 e 25 febbraio 2013, in concomitanza con le elezioni politiche nazionali;
m) che nella camera di consiglio del 7 febbraio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione;
n) che la parte ricorrente, pur confermando di non avere più interesse a ottenere nella presente sede una decisione volta all’esecuzione del dictum giurisdizionale previa declaratoria di nullità degli atti con esso contrastanti, ha nondimeno chiesto l’adozione di una pronuncia di accertamento dell’avvenuta violazione del medesimo dictum da parte del Presidente della Regione Lazio, ritenendo persistente un proprio interesse al riguardo sotto il profilo morale, oltre che in vista del futuro possibile esercizio di un’azione risarcitoria, e comunque ai fini della pronuncia sulle spese di giudizio;
o) che il giudizio di ottemperanza, pur non essendo privo di una componente cognitoria e di accertamento, rimane tuttavia essenzialmente finalizzato a “conseguire l’attuazione” (art. 112, comma 2 c.p.a.) dei provvedimenti del giudice (o quantomeno a ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di tale attuazione: art. 112, comma 5 c.p.a.), ovvero alle complementari tutele di cui all’art. 112, comma 3;
p) che l’accertamento finalizzato a tali forme di tutela è altra cosa rispetto a una tutela di accertamento in qualche modo “astratta”, la quale dovrebbe concentrarsi su puntuali momenti e/o episodi della fase successiva al giudicato (fase caratterizzata dallo scorrere del tempo con le connesse sopravvenienze);
q) che non può dubitarsi, in particolare, del fatto che nella vicenda in esame, in presenza di sopravvenienze collegate allo scioglimento delle Camere e alla successiva individuazione di un cd. “election day” nazionale, il ricorrente medesimo abbia inteso tener presente l’interesse dei cittadini all’immediato volto per le elezioni politiche con un voto congiunto che eviti ogni possibile effettiva interferenza procedimentale, rinunciando su questa base alle misure cautelari e confermando sostanzialmente - nell’ultima camera di consiglio - questa impostazione;
r) che ogni ulteriore accertamento a fini morali o a fini risarcitori ulteriori e meramente eventuali (in mancanza di contestuale e complementare esercizio dell’azione di cui al 112, comma 3 c.p.a.) rimane quindi precluso in questa sede, in presenza dell’accertata sopravvenuta carenza di interesse all’adozione dei conseguenti provvedimenti giurisdizionali previsti dalla disciplina codicistica dell’esecuzione del giudicato amministrativo;
s) che quindi non trova spazio, in tale ambito, una tutela di mero accertamento, in disparte ogni ulteriore possibile discussione sui presupposti e sui limiti di tale tipo di tutela cognitoria;
t) che il presente ricorso va quindi dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse;
u) che per quanto attiene alle spese di giudizio il Collegio ritiene di dover dare prevalenza al profilo di novità e di complessità della questione, considerato il complessivo svolgimento della vicenda, per disporne l’integrale compensazione tra le parti;
v) che, in relazione alla possibile sussistenza di illeciti di natura penale o amministrativo - contabile nella vicenda in esame, occorre comunque disporre la trasmissione di copia degli atti di causa alla Procura della Repubblica di Roma e alla Procura regionale della Corte dei conti per il Lazio
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis)
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo dichiara improcedibile nei sensi di cui in motivazione.
Dispone la compensazione delle spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ordina alla Segreteria della Sezione la trasmissione copia degli atti di causa alla Procura della Repubblica di Roma e alla Procura regionale della Corte dei conti per il Lazio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Eduardo Pugliese, Presidente
Raffaello Sestini, Consigliere
Francesco Arzillo, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)