venerdì 11 aprile 2014

APPALTI: la garanzia per l'A.T.I. costituenda deve essere intestata a tutte le associande (Cons. St., Sez. III, sentenza 13 marzo 2014 n. 1364).


 APPALTI:
 la garanzia per l'A.T.I. costituenda 
deve essere intestata
a tutte le associande 
(Cons. St., Sez. III, 
sentenza 13 marzo 2014 n. 1364).



Massima

1. Tanto in base al principio generale, affermato dal consolidata giurisprudenza, secondo cui in caso di a.t.i. costituenda la garanzia dev'essere intestata a tutte le associande, atteso che il soggetto da garantire non è l'a.t.i. nel suo complesso, non ancora costituita, né la sola capogruppo, ma tutte le imprese associande che durante la gara operano individualmente e responsabilmente negli impegni connessi alla partecipazione alla gara stessa, ivi compreso, in caso di aggiudicazione, quello di conferire mandato collettivo alla capogruppo che stipulerà il contratto con l'Amministrazione. 
2. Principio, questo, per il quale non occorre espressa previsione nella lex specialis di gara e la cui inosservanza non abbisogna di essere sanzionata con esplicita clausola di esclusione, discendendo da regole generalissime desumibili dall'art. 75 del codice dei contratti, nonché dall'intero contesto della normativa in materia di procedure ad evidenza pubblica.


APPALTI: sui servizi dell'Allegato II B, il Codice NO, ma i principi comunitari SI' (Cons. St., Sez. V, sentenza 13 marzo 2014 n. 1182).


APPALTI: 
sui servizi dell'Allegato II B, il Codice NO,
 ma i principi comunitari SI' 
(Cons. St., Sez. V, 
sentenza 13 marzo 2014 n. 1182).


Massima


1. Ai sensi dell'art. 20 D.Lgs. 163/06, l'aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell'allegato II B (v. ad es. "prestazioni sanitarie") sia disciplinata esclusivamente dall'articolo 68 (specifiche tecniche), dall'articolo 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento) e dall'articolo 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati); trovano, tuttavia applicazione i principi derivanti dai Trattati e dalle direttive Europee. 
2. La disciplina dei requisiti e delle modalità di partecipazione è quindi, nei suoi elementi di dettaglio, rimessa essenzialmente alla lex specialis e può legittimamente ispirarsi a criteri di maggiore semplificazione e speditezza procedimentale" (Consiglio di Stato, Sez, III, 14 dicembre 2012, n. 6444); pertanto, per l'affidamento di tali servizi cd. esclusi non può esigersi il medesimo rigore formale imposto dalle specifiche norme del Codice né l'osservanza dei vincoli procedurali dallo stesso prescritti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 37592010).
3. Nel caso di specie, per quanto riguarda il contestato subappalto, l'aggiudicataria ha dichiarato nella propria offerta di volersi avvalere del subappalto "limitatamente alla visita medica di competenza del professionista abilitato dalla legge ad emettere il giudizio di idoneità fisica e psicoattitudinale"; il punto 17 della lex specialis si limitava a stabilire che "il subappalto è ammesso nei limiti ed alle condizioni di cui all'art. 118 del D.Lgs. n. 16306"; è stato prodotto, in sede di verifica dei requisiti e della congruità dell'offerta, il contratto stipulato con l'Università, con cui quest'ultimo si è impegnata ad eseguire, tramite la struttura del Policlinico, le visite finalizzate all'emissione dei giudizi di idoneità; contratto che si è rivelato idoneo a garantire la Società in ordine al rispetto della clausola della lex specialis di gara circa la qualità dell'organo accertatore dell'idoneità fisica e psicoattitudinale dei conducenti dei mezzi di trasporto pubblico.
Pertanto, deve ritenersi infondata l'eccezione volta a far accertare l'obbligatorietà  dell'immediata indicazione del nominativo del subappaltatore, atteso che tale specifico onere non è stabilito da alcuna clausola di gara.

4. Parimenti, in relazione ai requisiti morali ex art. 38 del Codice degli appalti, è ineludibile la sostanza, ovvero l'effettivo possesso dei requisiti, non i vincoli procedurali di autocertificazione prescritti; con la conseguenza che, nel caso di specie, a fugare ogni possibile dubbio circa la sussistenza dei requisiti morali in capo al suo Vice Presidente, può ritenersi assolto il relativo obbligo, avendo la Società depositato i relativi certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti, unitamente ad una dichiarazione sostitutiva dello stesso volta ad attestare il possesso dei richiesti requisiti di moralità professionale.


Sentenza per esteso

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4072 del 2013, proposto da:
ATAC S.p.A., Azienda per la Mobilità, rappresentata e difesa dall'avv. Enrico Michetti, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, via Giovanni Nicotera, 29; 
contro
Rete Ferroviaria Italiana Spa, rappresentata e difesa dagli avv. Domenico Gentile e Domenico Galli, con domicilio eletto presso l’avv. Domenico Gentile in Roma, via Orsini, 19; 
nei confronti di
CISPI - Centro Italiano Sicurezza Prevenzione Informazione Srl, rappresentata e difesa dagli avv. Francesco Miani e Giuseppe Abenavoli, con domicilio eletto presso l’avv. Massimo Frontoni in Roma, via Guido D'Arezzo, 2; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Lazio – Roma-Sezione II-ter n. 01778/2013;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Rete Ferroviaria Italiana Spa e di Cispi - Centro Italiano Sicurezza Prevenzione Informazione Srl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2014 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti gli avvocati Enrico Michetti, Domenico Gentile e Michele De Cria, su delega dell'avv. Giuseppe Abenavoli;

FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. II-ter, con la sentenza 18 febbraio 2013, n. 1778, ha accolto il ricorso proposto dall’attuale appellata Rete Ferroviaria Italiana - RFI Spa per l’annullamento del provvedimento n. 70-2012 con cui ATAC Spa ha aggiudicato la procedura di gara a favore di C.I.S.P.I. Srl.
Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che l’ATAC Spa, il cui capitale è al 100% di proprietà di Roma Capitale, è qualificabile come organismo di diritto pubblico ai sensi dell’art. 3, comma 26, del codice dei contratti pubblici.
Inoltre, ha osservato il TAR, ATAC Spa non opera, per lo meno per le attività che ne costituiscono il core business, in regime di concorrenza, ma gestisce un servizio pubblico essenziale ed irrinunciabile per la collettività, i cui costi di servizio sono coperti solo in parte con i ricavi tariffari e per il resto con risorse regionali e comunali, con la conseguenza che è assente il rischio di impresa inteso come il rischio cui è soggetta l’impresa che opera in un mercato a struttura concorrenziale.
Pertanto, ha concluso il TAR, è evidente l’applicazione della normativa sui contratti pubblici e la conseguente devoluzione della controversia al Giudice Amministrativo.
Inoltre, osserva il TAR, l’oggetto dell’appalto di cui al lotto 1 è costituito dalle prestazioni sanitarie previste dal D.M. n. 88 del 1999 e dalle altre normative vigenti in materia di rapporto di lavoro, inerenti le visite mediche di revisione del personale di movimento previste dal protocollo sanitario punto 9 del D.M. n. 88 del 1999 (visita cardiologica con ECG, visita ORL con audiometria, spirometria, se espressamente richiesta dall’Azienda, accertamento psico-attitudinale, RX torace in due proiezioni, glicemia, emocromo, ves, transaminasi Got – Gtp, gamma GT, esame delle urine, creatinina, trigliceridi, visita medica con relazione, esame tossicologico, se espressamente richiesto in funzione della qualifica, visita oculistica); l’ATAC si è riservata di effettuare anche le prestazioni previste negli allegati al D.M. n. 88 del 1999 e s.m.i. (visite mediche di assunzione del personale, visite mediche di idoneità al profilo professionale, visite di abilitazione, visite finalizzate al cambio profilo professionale, visite superiori a seguito di ricorso).
Per il TAR, dunque, l’aggiudicazione dell’appalto è meramente strumentale, ponendosi in rapporto di mezzo a fine, all’esercizio dell’attività istituzionale di trasporto svolto dell’Azienda, per cui rientra, sia pure indirettamente, tra gli scopi propri (core business) dello stesso, in relazione al Settore speciale dei trasposti, settore parimenti disciplinato dalla (specifica) normativa sui contratti pubblici.
Infine, ha osservato il TAR, la giurisdizione amministrativa sussiste anche ritenendo che l’appalto in discorso rientri tra i servizi di cui all’allegato II B del codice dei contratti pubblici, che include i servizi sanitari nonché i servizi di supporto e sussidiari per il settore dei trasporti nell’elenco dei servizi di cui agli artt. 20 e 21, poiché l’art. 27, comma 1, dispone che l’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi o forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità; l’affidamento deve essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l’oggetto dell’appalto, imponendo, comunque, una procedura di evidenza pubblica, ancorché estremamente semplificata, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo.
Peraltro, ha aggiunto il TAR, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 16 del 2011 ha chiarito che il citato art. 27 non contempla un “terzo settore” dei pubblici appalti, quelli “esclusi in tutto o in parte”, che si aggiunge ai settori ordinari e ai settori speciali, ma si riconnette pur sempre agli appalti dei settori ordinari o speciali, e ai soggetti appaltanti di tali settori: i “contratti esclusi in tutto o in parte” sono pur sempre quelli che si agganciano ai settori ordinari o speciali di attività contemplati dal codice.
Il TAR ha, inoltre, affermato che la ricorrente in primo grado non aveva alcun onere di impugnare l’indizione della gara in quanto RFI ha prospettato l’esistenza non di un diritto di privativa a suo favore, ma della competenza ad effettuare le visite in discorso, ai sensi del D.M. n. 88 del 1999, da parte della Direzione sanità delle Ferrovie dello Stato o delle sue dipendenze periferiche e degli organi del Servizio sanitario nazionale; l’onere di immediata impugnazione delle clausole della lex specialis, invece, discende dalla immediata lesività delle stesse, che sussiste allorquando siano obiettivamente, vale a dire senza alcun margine di interpretazione, escludenti e, quindi, impeditive della partecipazione alla procedura di gara di una determinata impresa o di una determinata categoria di imprese.
Nel merito, il TAR ha osservato che sarebbero legittimati a svolgere le visite mediche di revisione e di ammissione, ai sensi dell’art. 6 del D.M. 23 febbraio 1988, prioritariamente, la Direzione sanità delle Ferrovie dello Stato e le sue dipendenze periferiche e, all’occorrenza e qualora tecnicamente possibile, gli organi del Servizio sanitario nazionale, così come altrettanto chiare risulterebbero le prescrizioni della lex specialis e cioè l’art. 5.1 della lettera di invito e l’art. 7.1 del capitolato; il D.M. n. 88 del 1999, regolamento recante norme concernenti l’accertamento ed il controllo dell’idoneità fisica e psico-attitudinale del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto ai sensi dell’art. 9, commi 3 e 4, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 753 (allegato A) detta le norme concernenti i criteri e le modalità per il controllo dell’idoneità fisica e psico-attitudinale del personale delle aziende gestori di reti ferroviarie – diverse da quelle concesse ad R.F.I. Spa con il decreto ministeriale 31 ottobre 2000 n. 138/T – e delle aziende esercenti servizi di trasporto sulle reti medesime, metropolitane, tramvie ed impianti assimilabili, filovie ed autolinee.
Ha osservato il TAR che l’ambito soggettivo di applicazione delle norme di cui al regolamento approvato con d.P.R. n. 753 del 1980 comprende i servizi pubblici di trasporto di competenza degli organi dello Stato e delle regioni, ma non anche i servizi pubblici di trasporto di competenza degli enti locali; le previsioni di cui all’art. 6 dell’allegato A al detto regolamento, quindi, non sono cogenti per ATAC Spa, azienda di trasporti municipalizzata, che non era tenuta a limitare la partecipazione alla gara solo ad RFI ed agli organi del Servizio sanitario nazionale.
Tuttavia, ha concluso il TAR, l’ammissione di CISPI alla procedura e la conseguente aggiudicazione in suo favore hanno violato la lex specialis della gara, poiché il punto 7 del capitolato speciale d’appalto, nella descrizione del lotto 1, fa più volte espresso riferimento al D.M. n. 88 del 1999 e, soprattutto, il punto 7.1 del capitolato, nell’individuare i soggetti ammessi a partecipare alla gara, specificando che, “ai sensi del punto 6 del D.M. 88/1999, la competenza ad effettuare le visite sopra indicate è a cura della Direzione sanità delle Ferrovie dello Stato e delle sue dipendenze periferiche e, ove tecnicamente possibile, a cura degli organi del Servizio sanitario nazionale”. Inoltre, l’art. 5.1 della lettera di invito, nell’individuazione dei soggetti ammessi a partecipare alla gara, rimanda per ogni lotto a quanto indicato agli artt. 7.1, 8.1 e 9.1 del capitolato.
Di talché, per il TAR, l’ammissione di CISPI e la conseguente aggiudicazione della gara in suo favore si rivelano illegittime non per violazione della norma regolamentare di cui all’art. 6 dell’allegato A al D.M. n. 88 del 1999, ma per violazione della lex specialis della gara e, quindi, del vincolo che la stazione appaltante si è autoimposta nell’adozione degli atti di disciplina della gara.
L’appellante ATAC contestava la sentenza del TAR deducendo:
- Error in iudicando: violazione e falsa applicazione della lex specialis di gara e del D.M. n. 88-99. Motivazione carente e perplessa. Illogicità, contraddittorietà. Violazione dell’ art. 41 Cost. e del principio di concorrenza;
- Error in iudicando: violazione e falsa applicazione della lex specialis di gara e degli artt. 20, 27, 118 d.lgs. n. 163-2006.
Con l’appello in esame chiedeva la riforma della sentenza appellata.
Si costituiva la parte appellata Rete Ferroviaria Italiana - RFI Spa chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo appello incidentale avverso il capo n. 3 della sentenza del Tar, ove si deducevano i seguenti motivi:
- Error in iudicando: erronea, illogica e/o contraddittoria motivazione del capo della sentenza incidentalmente impugnato per violazione e falsa applicazione del D.M. n. 88-1999. Vizio di ultrapetizione. Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto.
Si costituiva anche la parte appellata controinteressata, C.IS.P.I. s.r.l. (Centro Italiano Sicurezza Prevenzione Informazione) chiedendo la riforma della sentenza appellata.
All’udienza pubblica del 28 gennaio 2014 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO
Rileva il Collegio, preliminarmente, quanto alla sussistenza delle condizioni dell’azione, che il fatto che il bando di gara non sia stato tempestivamente impugnato non preclude a R.F.I. spa di far valere il suo diritto di esclusiva ex D.M. 88-99, poiché, come correttamente argomentato dalla sentenza del TAR impugnata, non sono ravvisabili ipotesi di clausole immediatamente escludenti che giustifichino l’onere di tempestiva impugnazione della lex specialis della procedura, procedura alla quale, peraltro, la stessa ricorrente ha partecipato formulando specifica offerta.
Nel merito, osserva il Collegio che la procedura di gara per cui è controversia è una procedura negoziata di evidenza pubblica suddivisa in tre lotti, per l’affidamento triennale degli accertamenti diagnostici, degli esami sanitari e delle visite, preordinati all’accertamento della sussistenza e della permanenza dell’idoneità fisica e psico-attitudinale del personale addetto alla conduzione del mezzi di trasporto.
Detta gara, per quanto attiene al lotto 1, doveva essere aggiudicata in favore dell’impresa che avesse offerto il maggior ribasso percentuale sull’importo stimato, pari a € 1.861.500,00.
A tale procedura, hanno partecipato R.F.I. s.p.a. e C.I.S.P.I. s.r.l.; la prima ha offerto un ribasso pari al 3,95%; la seconda un ribasso del 29,05%, con conseguente aggiudicazione della gara.
Il Collegio ritiene che, diversamente da quanto opinato dal TAR, il rinvio operato dalla clausola di cui al punto 7.1 del Capitolato speciale d’appalto (C.S.A.) all’art. 6 del D.M. n. 88-99, lungi dal riferirsi alla totalità delle prestazioni oggetto dell’appaltando servizio, riguardi esclusivamente le visite di cui al punto 7 del C.S.A. medesimo (visite di assunzione, idoneità al profilo professionale, di abilitazione, cambio profilo professionale e superiori a seguito di ricorso) in cui si certifica l’idoneità del personale alla mansione e la cui esecuzione ATAC spa ha ritenuto opportuno riservare ai soggetti pubblici che ai sensi del punto 6 del DM n. 88-99 eseguono le stesse visite per il personale delle reti ferroviarie e dei trasporti pubblici di competenza dello Stato e delle Regioni.
Infatti, l’appalto in questione comporta, ai sensi del punto 7.5. del C.S.A., una serie di visite specialistiche, di accertamenti diagnostici, strumentali e di laboratorio, per l’esecuzione delle quali il DM n. 88-99 non opera alcuna riserva di competenza in favore di R.F.I. spa o degli organi del S.S.N.
Coerentemente, il C.I.S.P.I. aggiudicatario aveva dichiarato nella propria domanda di partecipazione, per quanto attiene al punto 7.1 del C.S.A., di volersi avvalere del subappalto limitatamente alla visita medica di competenza del professionista abilitato dalla legge ad emettere il giudizio di idoneità fisica e psico-attitudinale ai sensi del DM n. 88/99; infatti, in occasione della verifica dei requisiti e della congruità dell’offerta, il C.I.S.P.I. aggiudicatario aveva esibito il contratto stipulato con il Policlinico Gemelli dell’Università Cattolica avente, ad oggetto l’esecuzione delle sole visite preordinate al rilascio del giudizio di idoneità.
Pertanto, la presenza nella lex specialis della clausola di cui al punto 7.1 del C.S.A. secondo cui “ai sensi del punto 6 del D.M. 88/99, la competenza ad effettuare le visite sopra indicate è a cura della direzione sanità delle Ferrovie dello Stato e delle sue dipendenze periferiche e, ove tecnicamente possibile, a cura degli organi del Servizio Sanitario Nazionale” non può essere intesa come contenente una riserva integrale, relativa a tutte le prestazioni oggetto dell’appalto, bensì come riserva parziale, limitata all’esecuzione delle sole visite d’idoneità di cui al punto 7.1 del C.S.A.
A favore di tale interpretazione militano quattro argomenti:
- il tenore letterale della clausola di cui al di cui al punto 7.1 del C.S.A. deve essere correlata al punto 5.1. della lettera d’invito, rubricato “Soggetti ammessi a partecipare” che stabilisce che “sono soggetti ammessi a partecipare alla presente procedura negoziata le imprese iscritte nell’Albo dei Fornitori di ATAC che, per le categorie assimilabili all’oggetto dell’attività ovvero quelle che, a seguito di indagine di mercato, sono risultate in possesso, secondo quanto previsto per ogni lotto ed indicato agli articoli 7.1, 8.1. e 9.1. del Capitolato, dei requisiti specifici riguardanti l’oggetto della presente procedura”; pertanto, la clausola in contestazione riguarda soltanto i requisiti relativi alle visite di cui al punto 7 del C.S.A. medesimo (visite di assunzione, idoneità al profilo professionale, di abilitazione, cambio profilo professionale e superiori a seguito di ricorso) e non la totalità delle prestazioni oggetto del servizio; infatti, il citato punto 5.1. riguarda anche i lotti 2 e 3 dell’appalto ove sicuramente non è possibile prospettare alcuna competenza esclusiva di R.F.I. o del S.S.N.;
- a conferma di tale argomento letterale, militano ulteriori argomenti sistematici, ovvero il fatto che il C.S.A. precisava al punto 7.4. che “le attività oggetto del Lotto 1 verranno effettuate presso le sedi della società aggiudicataria. Le strutture dovranno essere provviste di sale visita e di ambienti idoneamente attrezzati per l’esame di vari aspetti della funzionalità fisica e pisco-attitudinale del personale”: è evidente che una prescrizione del genere non possa che sottintendere l’esecuzione delle prestazioni richieste da parte di soggetti diversi da R.F.I., atteso che la predetta è notoriamente dotata delle strutture e delle attrezzature all’uopo necessarie;
- il fatto che, altrimenti opinando, verrebbe meno la stessa ragion d’essere della gara e dell’apposito invito a presentare offerta “di migliore sconto unico percentuale “ rivolto alle imprese “accreditate ed iscritte all’albo dei fornitori”, in contrasto con il canone ermeneutico scolpito dall’art. 1367 c.c., applicabile all’interpretazione delle clausole dei bandi di gara e dei capitolati speciali d’appalto, in quanto pongono condizioni generali di contratto, secondo cui “nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno”. L’interpretazione della clausola contestata adottata dal TAR finirebbe per annullare la stessa ragione della gara, in contrasto con tale canone ermeneutico;
- infine, l’interpretazione della clausola da parte del TAR finirebbe per porsi in contrasto con le esigenze di apertura del mercato degli appalti pubblici, e dunque, paleserebbe una finalità anticoncorrenziale qualificabile come illecita. Infatti, il richiamo all’art. 6 del D.M. n. 88-99, si spiega, sotto il profilo concorrenziale, solo con l’intenzione di riservare ai sanitari appartenenti alla Direzione sanitaria di R.F.I. spa e/o ad organi del S.S.N. le visite di idoneità, aventi valenza certificatrice, di cui al punto 7.1 del C.S.A. , mentre non vi sono ragioni logico-giuridiche per ricomprendervi anche le prestazioni sanitarie a latere e propedeutiche all’emissione del giudizio di idoneità (visita cardiologica con ECG; visita ORL con audiometria; accertamento psico-attitudinale; Rx torace; Glicemia; Emocromo; Ves; Transaminasi; Got-Gpt; Gamma GT; Esame delle urine; Cretinina; Trigliceridi; Esame tossicologico; Visita oculistica), trattandosi di attività vincolate nella loro esecuzione e caratterizzate dalla oggettività delle loro risultanze.
Alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve ritenersi fondato e, dunque, deve essere accolto.
Deve, tuttavia esaminarsi l’appello incidentale proposto da R.F.I.
Tale appello deve essere respinto in quanto infondato.
Infatti, per quanto riguarda l’ambito soggettivo di applicazione delle norme di cui al D.M. n. 88 del 1999, si deve completamente condividere l’opzione ermeneutica del TAR secondo cui tale D.M. deve essere correlato al regolamento approvato con d.P.R. n. 753 del 1980, comprendente i servizi pubblici di trasporto di competenza degli organi dello Stato e delle Regioni, ma non anche i servizi pubblici di trasporto di competenza degli enti locali, come quello di specie.
Le previsioni di cui all’art. 6 dell’allegato A al detto regolamento, quindi, non sono cogenti per ATAC Spa, azienda di trasporti municipalizzata, che non era tenuta a limitare la partecipazione alla gara solo ad RFI ed agli organi del Servizio sanitario nazionale.
Infatti, il D.M. n. 88 del 1999 è il regolamento recante norme concernenti l’accertamento ed il controllo dell’idoneità fisica e psico-attitudinale del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto, emesso proprio ai sensi dell’art. 9, commi 3 e 4, del citato d.P.R. 11 luglio 1980, n. 753.
Tali ultime disposizioni stabiliscono inequivocabilmente che “per il personale delle ferrovie in concessione e degli altri servizi di pubblico trasporto di competenza degli organi dello Stato l’accertamento delle idoneità ed il conseguimento delle abilitazioni sono regolati da apposite norme emanate dal Ministro dei trasporti” e che “per il personale dei servizi di pubblico trasporto di competenza delle Regioni l’accertamento delle idoneità ed il conseguimento delle abilitazioni sono regolati da apposite norme emanate dal Ministro dei trasporti, se addetto a mansioni interessanti la sicurezza dell’esercizio, e dai competenti organi regionali, se addetto ad altre mansioni”.
La norma, come si può vedere, non si riferisce in alcun modo ai servizi di pubblico trasporto di competenza degli Enti Locali che, dunque, devono ritenersi esclusi da tale ambito regolativo.
Per quanto riguarda, infine, le censure del ricorso di primo grado dichiarate assorbite dal TAR e riproposte in appello da R.F.I., se ne deve rilevare l’infondatezza.
Preliminarmente occorre osservare che l’appalto per cui è causa ha ad oggetto un servizio (“prestazioni sanitarie”) rientrante nell’Allegato II B del d.lgs. 163-06 (cfr. anche deliberazione AVCP n. 10 del 25 febbraio 2010): ai sensi dell’art. 20 d.lgs. 163-06 l’aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell’allegato II B è disciplinata esclusivamente dall’articolo 68 (specifiche tecniche), dall’articolo 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento) e dall’articolo 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati).
Questo Consiglio ha già stabilito al riguardo che negli appalti aventi ad oggetto l’affidamento dei servizi di cui all’Allegato II B del Codice dei contratti ai sensi dell’art. 20, in sede di aggiudicazione non trovano applicazione le puntuali disposizioni del Codice, fatta eccezione per gli artt. 65, 68 e 225, ma i principi derivanti dai Trattati e dalle direttive Europee. La disciplina dei requisiti e delle modalità di partecipazione è quindi, nei suoi elementi di dettaglio, rimessa essenzialmente alla lex specialis e può legittimamente ispirarsi a criteri di maggiore semplificazione e speditezza procedimentale” (Consiglio di Stato, Sez, III, 14 dicembre 2012, n. 6444); pertanto, per l’affidamento di tali servizi cd. esclusi non può esigersi il medesimo rigore formale imposto dalle specifiche norme del Codice né l’osservanza dei vincoli procedurali dallo stesso prescritti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3759-2010).
In specifico, per quanto riguarda il contestato subappalto, il Collegio osserva che l’aggiudicataria ha dichiarato nella propria offerta di volersi avvalere del subappalto “limitatamente alla visita medica di competenza del professionista abilitato dalla legge ad emettere il giudizio di idoneità fisica e psico-attitudinale”; il punto 17 della lex specialis si limitava a stabilire che “il subappalto è ammesso nei limiti ed alle condizioni di cui all’art. 118 del D.Lgs. n. 163-06”; è stato prodotto, in sede di verifica dei requisiti e della congruità dell’offerta, il contratto stipulato con l’Università Cattolica del Sacro Cuore, con cui quest’ultimo si è impegnata ad eseguire, tramite la struttura del Policlinico A. Gemelli, le visite finalizzate all’emissione dei giudizi di idoneità; contratto che si è rivelato idoneo a garantire ATAC spa in ordine al rispetto della clausola della lex specialis di gara circa la qualità dell’organo accertatore dell’idoneità fisica e psico-attitudinale dei conducenti dei mezzi di trasporto pubblico.
Pertanto, deve ritenersi infondata l’eccezione con cui R.F.I. ha affermato che C.I.S.P.I. avrebbe dovuto indicare sin da subito il nominativo del subappaltatore, atteso che tale specifico onere non è stabilito da alcuna clausola di gara.
Parimenti, in relazione ai requisiti morali ex art. 38 del Codice degli appalti, è ineludibile la sostanza, ovvero l’effettivo possesso dei requisiti, non i vincoli procedurali di autocertificazione prescritti; con la conseguenza che, nel caso di specie, a fugare ogni possibile dubbio circa la sussistenza dei requisiti morali in capo al suo Vice Presidente (sig. Francesco Maione ), CISPI srl aveva provveduto a depositare sia presso ATAC spa che in giudizio, i relativi certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti, unitamente ad una dichiarazione sostitutiva dello stesso volta ad attestare il possesso dei richiesti requisiti di moralità professionale.
Peraltro, lo Statuto sociale dell’aggiudicataria non assegna poteri decisionali al Vice Presidente, con la conseguenza che non è nemmeno ravvisabile un obbligo di dichiarazione a suo carico (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 16 ottobre 2013, n. 23).
Infine, sull’ipotizzata carenza in capo all’aggiudicataria del requisito del fatturato per servizi analoghi, il Collegio deve rilevare che il motivo è infondato, atteso che la lex specialis richiedeva il pregresso svolgimento, nel triennio precedente l’indizione della gara, di “servizi analoghi”, per un importo complessivo non inferiore a euro 620.500,00 e la società aggiudicataria ha regolarmente prodotto la relativa dichiarazione, secondo l’apposito modello fornito dalla azienda appellante. indicando altresì committenti e relativi importi.
Pertanto, anche i motivi di ricorso di primo grado assorbiti dal TAR e qui riproposti sono infondati, così come l’appello incidentale di R.F.I.
Conseguentemente, in accoglimento dell’appello principale, deve essere riformata la sentenza impugnata e respinto il ricorso di primo grado.
Le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio possono essere compensate, sussistendo giusti motivi.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello principale come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Respinge l’appello incidentale.
Compensa le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/03/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

PROCESSO: l'esecuzione del giudicato e la normativa sopravvenuta (Cons. St., Sez. VI, sentenza 26 marzo 2014).


PROCESSO: 
l'esecuzione del giudicato 
e la normativa sopravvenuta 
(Cons. St., Sez. VI, 
sentenza 26 marzo 2014 n. 


Massima


1. In tema di rapporto tra giudicato e normativa sopravvenuta, l’amministrazione, in fase di rinnovazione procedimentale a seguito di sentenza di annullamento, deve attenersi alla normativa esistente nel momento dell’adozione dei nuovi atti. Tale regola generale, tuttavia, deve essere sottoposta ai fini della sua applicazione, ad un giudizio di compatibilità processuale e procedimentale. In altri termini, la normativa sopravvenuta e la successiva attività amministrativa non devono porsi in contrasto: 
a) con gli accertamenti compiuti nel corso del giudizio e con i conseguenti effetti derivanti dalla sentenza di annullamento (compatibilità processuale); 
b) con le eventuali fasi del procedimento amministrativo che si sono già esaurite nel vigore della precedente disciplina e che non sono state incise della sentenza di annullamento (compatibilità procedimentale). 
In particolare:
- in presenza di effetti di eliminazione,è fatto divieto alla P.A. di adottare, alla luce della normativa esistente, un atto amministrativo che presenti gli stessi vizi accertati;
- in presenza di effetti di ripristinazione, l’amministrazione deve adottare un atto amministrativo idoneo a consentire “ora per allora” il raggiungimento della finalità indicata dalla sentenza;
- in presenza di effetti conformativi (individuazione dei soggetti competenti e del procedimento da seguire), l’amministrazione deve adottare un atto non retroattivo che definisca l’assetto di interessi della futura azione amministrativa nel rispetto delle modalità di corretto esercizio del potere in fase di rinnovazione individuate dalla sentenza.
2. In caso di annullamento in sede giurisdizionale del titolo precedentemente rilasciato per la realizzazione di un opera, non si applica il divieto di sanatoria ex art. 167 D.Lgs. n. 42/2004 di opere realizzate in aree vincolate per legge, trattandosi di norma di proibizione, la stessa, per la sua natura eccezionale, non è suscettibile di applicazione a casi diversi da quelli espressamente contemplati dal legislatore. Ne consegue l’ammissibilità del riesercizio del potere pubblico mediante l’adozione di nuovi atti di autorizzazione paesaggistica.



Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1478 del 2014, proposto da:
Soc. Crescent s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Sanino, Lorenzo Lentini e Paolo Vosa, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180; 
contro
Associazione Italia Nostra Onlus - Associazione nazionale tutela patrimonio artistico della Nazione, rappresentata e difesa dagli avvocati Oreste Agosto e Pierluigi Morena, con domicilio eletto presso Associazione Italia Nostra Onlus in Roma, viale Liegi, 33;
Comune di Salerno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Angelo Clarizia e Antonio Brancaccio, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Taranto, 18;
Regione Campania, Provincia di Salerno, in persona dei rispettivi Presidenti pro tempore, Autorità di Bacino Regionale Campania Sud ed Interregionale Bacino Idrografico Fiume Sele, Immobiliare Panoramica s.r.l., Consorzio Stabile Tekton Soc. Consortile a.r.l., Sviluppo Immobiliare Santa Teresa s.r.l. – Sist, in persona dei rispettivi legali rappresentanti;
Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero per i beni e le attività culturali, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici Province Salerno ed Avellino, in persona del Soprintendente pro tempore, Agenzia del Demanio - Direzione Generale, Agenzia del Demanio - Direzione Regionale Campania - Sede di Napoli, n persona del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Autorità Portuale di Salerno, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Barbara Pisacane, con domicilio eletto presso la segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro 13; 
per chiarimenti in ordine all’ottemperanza
della sentenza 23 dicembre 2013, n. 6223 del Consiglio di Stato, Sezione sesta..

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2014 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Aiello, gli avvocati Lentini, Sanino, Agosto, Morena, Brancaccio, Clarizia e Pisacane.

FATTO
1.– Italia Nostra O.N.L.U.S., Associazione nazionale per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale della Nazione, con sede in Roma (d’ora innanzi solo Italia Nostra), ha impugnato, innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania (a seguito di trasposizione del ricorso straordinario), con due ricorsi, i provvedimenti statali e comunali aventi ad oggetto la sdemanializzazione di area appartenente al demanio statale, la sua successiva alienazione dallo Stato al Comune di Salerno, l’approvazione del piano urbanistico comunale - PUC e del piano urbanistico attuativo - PUA, l’approvazione del progetto per la realizzazione dell’edificio privato denominato Crescent sul lungomare di Salerno nell’area denominata S. Teresa (oggetto della predetta procedura di sdemanializzazione e vendita), il rilascio, alla suddetta società, del relativo permesso di costruire 12 maggio 2011, n. 27563.
1.1.– Il Tribunale amministrativo, con sentenze 8 novembre 2011 n. 1170 e n.1768, ha dichiarato inammissibili i ricorsi e i motivi aggiunti.
2.– La ricorrente in primo grado ha proposto appello. Nel relativo giudizio si sono costituite le parti indicate in epigrafe.
2.1.– Il Consiglio di Stato, Sezione sesta, con sentenza 23 dicembre 2013, n. 6223, ha esaminato una serie di questioni di legittimità afferenti alla urbanistica, alla sdemalializzazione, all’edilizia, al paesaggio, all’assetto idrogeologico, alla sismicità dell’area, all’ambiente, alla concorrenza, alla sostenibilità economico-finanziaria dell’opera.
All’esito del giudizio, la Sezione ha ritenuto fondate esclusivamente le censure relative al difetto di motivazione degli atti di autorizzazione paesaggistica e, pertanto, ha annullato l’autorizzazione paesaggistica relativa al PUA rilasciata dal Comune di Salerno con provvedimento 18 febbraio 2008, n. 20 e l’autorizzazione paesaggistica relativa al progetto definitivo, rilasciata dal Comune di Salerno, con atto del 10 dicembre 2008, n. 164.
La Sezione ha ritenuto che tale annullamento «comporta che le amministrazioni statali e locali dovranno, attraverso i propri organi competenti, adottare nuove determinazioni dotate di una motivazione» adeguata.
3.– La società Crescent, con ricorso notificato il 18 febbraio 2014, ha proposto ricorso per chiarimenti ai sensi dell’art. 112, quinto comma, cod. proc. amm.
La società ha premesso di avere già realizzato la «struttura portante dell’emiciclo del Crescent, per ben quattro settori, oltre la piazza antistante e parte dell’assetto viario e dei parcheggi sottostanti (realizzati dal Comune)». Si aggiunge che le parti hanno previsto, negli atti posti in essere per la realizzazione dell’opera, una specifica clausola di garanzia «secondo cui, in caso di esito negativo, anche di uno solo dei giudizi, il Comune di Salerno si è obbligato a restituire non solo il corrispettivo e gli oneri versati (euro 28.800.00) ma anche il valore delle opere fino a quel momento realizzate che (…) ammontano ad oltre euro 16.000.000».
Ciò premesso, la Società ha dedotto che, con atto del 20 gennaio 2014, «ha invitato le amministrazioni competenti (Comune di Salerno e Soprintendenza)» a dare ottemperanza alla decisione del Consiglio di Stato, «riformulando il tratto dell’azione amministrativa ritenuto carente (la sola motivazione), in prospettiva conformativa».
Successivamente il Capo di Gabinetto del Ministro dei beni ed attività culturali, con note prot. n. 2080 e n. 3683 del 2014, indirizzate alla società, essendo mutata la disciplina del procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, ha prospettato dubbi in ordine alla individuazione della normativa applicabile in sede di rinnovo procedimentale.
La Società, a fronte di tale contrasto interpretativo, ha proposto ricorso per chiarimenti, allo scopo di evitare «un nuovo e defatigante contenzioso, che sarebbe “fatale” per la Società Crescent, che si vede esposta, finora, per oltre euro 50.000.000 e vede accrescersi il danno, de die in diem, in ragione di circa euro 10.000 pro die, per i soli interessi dovuti agli Istituti di credito finanziatori».
Nel ricorso si assume che, ad avviso della Società: i) la rinnovazione del procedimento deve avvenire nel rispetto dell’art. 159 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), applicato ratione temporis nella decisione del Consiglio di Stato; ii) «la statuizione sulle corrette modalità di esecuzione dovrà risultare necessariamente compatibile con il divieto di sanatoria dell’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004 e, quindi, riguardare (…) unicamente la riedizione motivazionale, ora per allora, del titolo paesistico, secondo il regime, all’epoca vigente (art. 159)».
3.1.– Si è costituito in giudizio il Comune di Salerno, rilevando che la rinnovazione del procedimento deve avvenire nel rispetto della normativa prevista dall’art. 159, anche perché la nuova normativa attribuisce al Comune un mero potere istruttorio, spettando la relativa decisione all’amministrazione statale. Si afferma, inoltre, che la sentenza di cognizione avrebbe determinato soltanto effetti conformativi, imponendo il riesercizio del potere in applicazione della normativa vigente al momento dell’adozione degli atti impugnati.
3.2.– Si è costituita in giudizio Italia Nostra, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso, in quanto il Comune avrebbe già provveduto ad eseguire la sentenza mediante l’adozione dell’atto di autorizzazione 14 febbraio 2014, n. 10, che la parte si è riservata di impugnare mediante ricorso incidentale.
Nel merito si è affermato che il riesercizio del potere mediante l’adozione di nuovi atti di autorizzazione sarebbe vietato dagli articoli 146 e 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, che non consentono la sanatoria di opere realizzate in zone vincolate.
3.3.– Si è costituito in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali, rilevando l’inammissibilità del ricorso nella parte in cui sono state impugnate le note del Ministero, sopra indicate, in ragione della loro natura non provvedimentale.
Il Ministero ha proposto anch’esso ricorso incidentale, chiedendo la declaratoria di nullità per violazione del giudicato del provvedimento di autorizzazione paesaggistica n. 10 del 2014. Tale autorizzazione sarebbe stata rilasciata, infatti, in applicazione del regime transitorio previsto dall’art. 159 del d.lgs. n. 42 del 2004 e non di questo definitivo previsto dall’art. 146 dello stesso decreto.
In via subordinata, il Ministero ha affermato che, qualora questo Consiglio dovesse ritenere applicabile il citato art. 159, in ogni caso deve essere dichiarata l’elusività dell’atto di autorizzazione, in quanto lo stesso non conterrebbe una motivazione adeguata, essendosi il Comune limitato a descrivere l’opera già realizzata.
Infine, il Ministero ha chiesto che, avendo il Comune intimato alla Soprintendenza di pronunciarsi entro il termine di due mesi decorrenti dal 17 febbraio 2014, venga sospesa, in via cautelare, l’autorizzazione paesaggistica nelle more della decisione del ricorso per chiarimenti.
3.4.– Si è costituita in giudizio l’Autorità portuale di Salerno, rilevando che la normativa applicabile, ad avviso dell’ente, è l’art. 159 del d.lgs. n. 42 del 2004.
3.5.– Con atto del 10 marzo 2014 Italia Nostra ha chiesto il rinvio della trattazione del causa, essendo «in corso di notifica» l’azione «incidentale di nullità» dell’autorizzazione paesaggistica n. 10 del 2014.
4.– Nel corso della discussione nella camera di consiglio dell’11 marzo 2014, il Collegio non ha concesso il rinvio richiesto, facendo presente che: i) sussistono ragioni di urgenza che hanno giustificato la concessione della abbreviazione del termini e che non sarebbero compatibili con i tempi di attesa della udienza successiva utile, non possibile prima del mese di giugno; ii) i termini del procedimento, pur abbreviati, non erano tali da aver reso impossibile la proposizione di un ricorso incidentale, come quello proposto dal Ministero, in tempo utile per consentire la trattazione della causa alla camera di consiglio già fissata; iii) le esigenze di difesa, rappresentante da Italia Nostra, avrebbero potuto essere ugualmente assicurate mediante l’esposizione orale nel corso della camera di consiglio degli argomenti difensivi contenuti nel ricorso incidentale.
La difesa di Italia Nostra ha, pertanto, illustrato il contenuto di detto ricorso, ribadendo, in sostanza, quanto già contenuto nel proprio atto di costituzione.
5.– La causa è stata, pertanto, decisa, nel senso indicato in motivazione, all’esito della discussione che si è svolta nella suddetta camera di consiglio dell’11 marzo 2014.

DIRITTO
1.– I quesiti posti con il ricorso impongono di esaminare la questione relativa al rapporto tra lo ius superveniens nel corso del giudizio e il regime dell’attività posta in essere dall’amministrazione dopo il giudicato.
La ricorrente, infatti, ha chiesto alla Sezione di chiarire quali sono, alla luce delle sopravvenienze normative, le modalità di esecuzione della sentenza 23 dicembre 2013, n. 6223, con cui questo Consiglio ha annullato le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dal Comune di Salerno per la realizzazione dell’edificio “Crescent”.
2.– L’art. 112, comma 5, cod. proc. amm., prevede che il ricorso di ottemperanza può essere proposto anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di esecuzione: lo scopo perseguito è quello di consentire alle parti interessate, in attuazione del principio di celerità nella definizione delle controversie, di ottenere le indicazioni necessarie ad evitare che venga posta in essere una attività di violazione o elusione del giudicato (Cons. Stato, sez. VI, 19 giugno 2012, n. 3569).
Si tratta di un’azione esecutiva di accertamento volta ad eliminare possibili incertezze nella fase di attuazione del rapporto processuale definito con una sentenza passata in giudicato.
3.– In via preliminare, è necessario riportare, nelle parti che interessano in questa sede, quanto affermato nella sentenza n. 6223 del 2013, nonché le norme rilevanti ai fini della risoluzione della presente controversia.
3.1.– In relazione al primo aspetto, la predetta decisione ha esaminato la legittimità degli atti relativi alla realizzazione dell’edificio “Crescent” con riferimento ad una serie di norme che Italia Nostra aveva ritenuto essere state violate.
Il progetto dell’edificio è stato esaminato nelle fasi di predisposizione degli strumenti urbanistici, di approvazione del progetto stesso, di rilascio del permesso di costruire. La valutazione della fattibilità dell’opera ha richiesto l’attivazione di una serie di procedimenti aventi ad oggetto questioni relative alla urbanistica, alla sdemanializzazione, all’edilizia, al paesaggio, all’assetto idrogeologico, alla sismicità dell’area, all’ambiente, alla concorrenza, alla sostenibilità economico-finanziaria dell’intervento.
All’esito del giudizio, questa Sezione ha ritenuto prive di fondamento tutte le censure prospettate, ad eccezione di quelle relative al difetto di motivazione degli atti di autorizzazione paesaggistica.
In particolare, si è affermato che, ai sensi dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241, «l’atto di autorizzazione dell’ente locale, espressione dell’esercizio di valutazioni tecniche, deve contenere una adeguata motivazione, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria».
Nello specifico settore paesaggistico, la motivazione contenuta nei provvedimenti di autorizzazione comunale 18 febbraio 2008, n. 20 (rilasciata in relazione al progetto inserito nello strumento urbanistico di attuazione) e 10 dicembre 2008, n. 164 (rilasciata in relazione al progetto da approvare) – si è affermato nella sentenza da eseguire – «non risponde al contenuto essenziale che, secondo quanto sopra esposto, il provvedimento in esame deve avere». In particolare, «non viene descritto in modo dettagliato: i) l’edificio, anche mediante l’indicazione delle dimensioni (venendo in rilievo una struttura con una lunghezza di circa 260 metri, uno sviluppo lineare percepibile di circa 200 metri, una altezza fuori terra di circa 25,80 metri e una cubatura di circa 73.000 metri cubi), dei colori e dei materiali impiegati, non essendo sufficiente affermare che l’amministrazione “condivide l’articolazione dei materiali e delle cromie” delle pavimentazioni; ii) il paesaggio nell’ambito del quale esso è collocato, non essendo sufficiente affermare (peraltro, solo con riferimento all’autorizzazione resa sul PUA) che “la volumetria edilizia a semicerchio porticato è idonea a rimarcare la volontà simbolica di accogliere e definire formalmente ciò che per definizione è continuamente mutevole come il mare”; iii) il modo in cui l’edificio si inserisce in modo coerente ed armonico nel contesto complessivo, non essendo sufficiente affermare (peraltro, solo con riferimento all’autorizzazione resa sul PUA) che “le aperture nella cortina edilizia realizzano la necessaria permeabilità visuale, oltre che funzionale, tra la piazza e il tessuto urbano” e che “l’altezza dell’emiciclo raggiunge il giusto equilibrio tra la profondità della piazza, le altezze di alcuni fabbricati moderni alle spalle e la necessità di “monumentalizzare” il sito».
Nella parte finale della sentenza si è rilevato che l’annullamento di tali atti «comporta che le amministrazioni statali e locali dovranno, attraverso i propri organi competenti, adottare nuove determinazioni dotate di una motivazione che rispetti i requisiti indicati nella presente sentenza».
3.2.– In relazione al secondo aspetto, l’articolo 159 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) ha previsto un regime transitorio, applicabile sino al 31 dicembre 2009, secondo cui il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica avviene all’esito di un procedimento complesso composto da due fasi necessarie: l’una di competenza dell’amministrazione locale che svolge valutazioni tecniche in ordine alla compatibilità delle opere con il paesaggio; l’altra di competenza dell’amministrazione statale che svolge, nell’ottica della cogestione del vincolo, un “controllo” in ordine alle modalità di svolgimento delle suddette valutazioni, con divieto, in presenza di una adeguata motivazione, di sovrapporre propri giudizi a quelli sottoposti al suo esame (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9).
L’articolo 146 dello stesso decreto, applicabile a partire dal 1° gennaio 2010, ha cambiato le regole sul procedimento e sulla competenza, prevedendo, al comma 5, l’esistenza di un procedimento unico nell’ambito del quale l’amministrazione locale adotta l’atto di autorizzazione previa acquisizione, in presenza di aree vincolate per legge, del parere vincolante dell’amministrazione statale che ha la possibilità di esprimere valutazioni di merito in ordine alla compatibilità paesaggistica.
Il quarto comma dello stesso articolo 146 ha disposto che «fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi». Il richiamato articolo 167 ha stabilito che tale divieto non opera nei casi in cui: a) i lavori eseguiti non hanno determinato la «creazione di superficie utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati»; b) sono stati impiegati «materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica»; c) gli interventi eseguiti sono qualificabili quali «interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria» ai sensi dell’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).
L’articolo 159, comma 4, sopra riportato, ha previsto che, anche nella fase transitoria, si applica quanto stabilito, tra l’altro, dall’art. 146, comma 4, e quindi opera il divieto di sanatoria con le indicate eccezioni.
4.– Il primo quesito interpretativo posto attiene alla stessa ammissibilità di una fase di riedizione del potere, in presenza di disposizioni (articoli 146, comma 4, 159, comma 5, 167, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 42 del 2004) che hanno stabilito il divieto di sanatoria di opere realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica.
Le norme riportate, come risulta dal loro tenore letterale, non consentono la sanatoria di interventi realizzati in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, ammettendo il rilascio di un provvedimento di compatibilità soltanto nel caso di abusi minori.
Si tratta di norme imperative di divieto di fattispecie specificamente descritte, con individuazione di quelle sottratte al divieto stesso.
Il legislatore non ha ricompreso nell’ambito di applicazione della disposizione in esame la realizzazione di lavori eseguiti sulla base di una autorizzazione paesaggistica rilasciata e, successivamente, annullata in sede giurisdizionale. Né sarebbe ammissibile una interpretazione analogica del citato articolo 146, comma 4, in quanto, venendo in rilievo una norma di proibizione, la stessa, per la sua natura eccezionale, non è suscettibile di applicazione a casi diversi da quelli espressamente contemplati. Ma anche a volere prescindere da tale aspetto, non sussisterebbe neanche la identità di ratio che giustifica il procedimento di interpretazione analogica: non sono, infatti, equiparabili le due fattispecie costituite, da un lato, dall’assenza o difformità dal titolo, dall’altro, dall’esistenza di un titolo invalido ma, sino alla sentenza del giudice amministrativo, pienamente efficace. Lo stesso legislatore tiene normalmente separate le ipotesi in esame: si pensi, a titolo esemplificativo, sia pure in relazione ad un ambito diverso da quello in esame, alla diversa disciplina edilizia prevista per le opere realizzate senza titolo, in difformità essenziale da esso ovvero sulla base di un atto annullato (si vedano, a tale proposito, gli articoli 31 e seguenti del d.lgs. n. 380 del 2001).
5.– Nel caso in questione, le norme sopra riportate – applicabili sia alla luce del regime transitorio che del regime definitivo – non impediscono, pertanto, che le amministrazioni competenti possano riesercitare il potere successivamente al giudicato di annullamento delle autorizzazione paesaggistiche.
6.– Il secondo quesito interpretativo, una volta affermato che detti atti possono essere rilasciati, impone di individuare la disciplina applicabile in sede di riesercizio del potere nel caso in cui la normativa esistente al momento della loro adozione sia mutata nel corso di svolgimento del giudizio.
La questione in esame non è regolata dal legislatore.
Occorre, pertanto, rendere i chiarimenti alla luce dei principi generali che presiedono allo svolgimento dell’azione amministrativa.
7.– Il provvedimento amministrativo, in ossequio al principio di legalità, deve essere conforme alla normativa esistente al momento della sua adozione.
Il giudice amministrativo, nell’esercizio del sindacato di legittimità, deve accertare se la pubblica amministrazione abbia agito nel rispetto della predetta normativa.
Se il giudizio si conclude con una sentenza di annullamento, l’amministrazione, nella fase di rinnovazione procedimentale, deve attenersi, sempre in attuazione del principio di legalità, alla normativa esistente nel momento dell’adozione degli atti (Cons. Sato, sez. VI, 19 giugno 2012, n. 3569, ha affermato questo principio con riferimento al rapporto tra giudicato e normativa sopravvenuta dopo il giudicato). La funzione amministrativa ha, infatti, una dimensione dinamica che impone un costante adeguamento del rapporto regolato dall’amministrazione, in un determinato momento storico, al mutamento degli assetti organizzativi, procedimentali e sostanziali che il legislatore intende assicurare.
Questa regola generale deve, però, essere sottoposta, ai fini della sua applicazione, ad un giudizio di compatibilità processuale e procedimentale.
7.1.– In relazione al giudizio di compatibilità processuale, la nuova normativa e la successiva attività amministrativa non devono porsi in contrasto con gli accertamenti compiuti nel corso del giudizio e con i conseguenti effetti derivanti dalla sentenza di annullamento.
L’accertamento giudiziale ha una intensità modulata alla luce della natura del potere pubblico esercitato: in presenza di una attività vincolata o con “discrezionalità esaurita” il giudice amministrativo può accertare, nel rispetto del principio della domanda, pienamente il rapporto giuridico; in presenza, invece, di una attività connotata da discrezionalità amministrativa o tecnica l’esigenza di garantire il rispetto del principio costituzionale di separazione dei poteri impedisce che l’accertamento si estenda ad ambiti riservati alla pubblica amministrazione (cfr. Cons. Sato, sez. VI, n. 3569 del 2012, cit.).
Gli effetti derivanti dall’accertamento possono essere di eliminazione, di ripristinazione e di conformazione.
La produzione dell’effetto di eliminazione si indirizza al “tempo passato”, in quanto l’atto ritenuto illegittimo viene eliminato dal sistema con effetti retroattivi. E’ fatto, pertanto, divieto all’amministrazione di adottare un atto amministrativo che presenti gli stessi vizi accertati alla luce della normativa esistente al momento della sua adozione.
La produzione dell’effetto di ripristinazione si indirizza al “tempo intermedio”, al fine di adeguare lo stato di fatto e di diritto successivo all’atto illegittimo a quello definito con la pronuncia giurisdizionale. L’amministrazione deve adottare un atto amministrativo retroattivo idoneo a consentire, “ora per allora”, il raggiungimento della finalità indicata nella sentenza (si pensi all’esigenza di ricostruire, sul piano giuridico, la carriera di un dipendente pubblico).
La produzione dell’effetto conformativo si indirizza al “tempo futuro”, in quanto, valorizzando la motivazione della sentenza, si individua il modo corretto di esercizio del potere nella fase di riesercizio dello stesso a seguito dell’annullamento. L’amministrazione deve, sussistendone le condizioni, adottare un atto non retroattivo che definisca l’assetto di interessi della futura azione amministrativa.
7.2.– In relazione al giudizio di compatibilità procedimentale, strettamente connesso al primo, la nuova normativa e la successiva attività amministrativa non devono porsi in contrasto con le eventuali fasi del procedimento amministrativo che si sono già esaurite nel vigore della precedente disciplina e che non sono state incise dalla sentenza di annullamento.
Come è noto, il procedimento amministrativo si compone delle fasi, autonome e collegate, dell’iniziativa, dell’istruttoria, costitutiva e dell’efficacia.
Se nel momento in cui deve svolgersi la fase intermedia dell’istruttoria o quelle successive muta la disciplina, la stessa si applica purché non risulti incompatibile con le fasi già esaurite nel vigore della previgente normativa.
La stessa regola si applica nel caso in cui talune fasi procedimentali si devono rinnovare dopo il giudicato di annullamento delle stesse: la ripetizione deve assicurare la conservazione dei momenti procedimentali sottratti all’effetto di eliminazione derivante dalla sentenza di annullamento.
La ragione sottesa a tale regola risiede nell’esigenza di assicurare il rispetto del principio di economicità e celerità dell’azione amministrativa (art. 1 della legge n. 241 del 1990), che non ammetterebbero la ripetizione di atti che si sono svolti in modo conforme ai parametri legali.
8.– Nella fattispecie in esame occorre, pertanto, stabilire se l’applicazione della nuova normativa, contenuta nell’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, e la successiva attività amministrativa ad essa conforme possano ritenersi compatibili con le fasi del procedimento e del processo che si sono concluse.
8.1.– In relazione al giudizio di compatibilità processuale, la sentenza di cognizione ha accertato, nel rispetto degli ambiti riservati alle valutazioni tecniche dell’amministrazione, la violazione dell’obbligo di motivazione degli atti di autorizzazione paesaggistica. La verifica svolta per pervenire a questo esito è consistita nel confrontare la condotta tenuta dall’amministrazione comunale e la condotta prefigurata dalle norme così come interpretate dalla giurisprudenza amministrativa. In questa indagine si è accertato che sussisteva uno “scarto” tra motivazione legale e motivazione concreta con possibile pregiudizio per la tutela del paesaggio e, pertanto, si è disposto l’annullamento dei provvedimenti di autorizzazione.
L’accertamento processuale ha prodotto effetti di eliminazione e conformativi.
L’effetto di eliminazione è conseguito alla dichiarazione di illegittimità degli atti di autorizzazione per mancanza di adeguata motivazione.
L’attività successiva dell’amministrazione non deve, in applicazione della normativa vigente all’epoca dell’adozione degli atti, incorrere nel vizio accertato con la sentenza di annullamento. La nuova normativa, avendo modificato soltanto le regole di competenza e procedimentali, non interferisce con l’osservanza dell’effetto di eliminazione. L’incompatibilità processuale ci sarebbe stata nel caso in cui lo ius supervienens nel corso del processo avesse stabilito che, da quel momento in poi, gli atti di autorizzazione paesaggistica avrebbero potuto essere adottati senza motivazione.
In definitiva, l’effetto retroattivo di eliminazione dell’atto, derivante dalla sentenza di annullamento, porta con sé, “indietro nel tempo”, soltanto la normativa di cui è stata accertata, in sede giurisdizionale, la violazione.
L’effetto conformativo, risultante implicitamente dalla motivazione e reso esplicito con la presente decisione, è consistito, in particolare, nella individuazione dei soggetti competenti e del procedimento da seguire nella fase di rinnovazione dell’attività amministrativa.
La sentenza di cognizione ha richiamato, ratione temporis, il sistema transitorio previsto dall’articolo 159 del d.lgs. n. 42 del 2014, in quanto lo stesso era funzionale soltanto all’accertamento, ai fini della produzione dell’effetto di eliminazione, della violazione dell’obbligo di motivazione.
La stessa sentenza, chiarendo che l’efficacia temporale della disposizione citata è cessata alla data del 31 dicembre 2009, ha richiamato anche il sistema a regime.
L’effetto conformativo derivante dalla sentenza non può, pertanto, che implicare lo svolgimento futuro dell’azione amministrativa di rinnovazione nel rispetto delle nuove disposizioni sul procedimento e sulla competenza. Non sarebbe, del resto, neanche astrattamente possibile ritenere applicabili norme la cui vigenza è oramai cessata.
L’attività successiva dell’amministrazione deve, pertanto, rispettare la normativa sopravvenuta nel corso del giudizio non tanto perché la stessa non è incompatibile con l’accertamento processuale ma perché, nella specie, le nuove modalità di esercizio delle funzioni amministrative costituiscono adempimento dell’obbligo conformativo derivante dalla sentenza.
In definitiva, la proiezione futura di tale effetto porta con sé la normativa vigente nel momento dell’adozione del nuovo atto.
Né per pervenire ad una diversa conclusione può sostenersi, come ha fatto la ricorrente, che la sentenza di cognizione abbia, invero, prodotto esclusivamente effetti conformativi prescrivendo, mediante il richiamo alla normativa applicabile ratione temporis, che la rinnovazione procedimentale si sarebbe dovuta svolgere nel rispetto della disciplina previgente. Ciò in quanto la produzione dei soli effetti conformativi, a prescindere dai suoi possibili profili di criticità per contrasto con la connotazione tipica dell’azione di annullamento, presuppone una espressa statuizione giudiziale e, in ogni caso, per le ragioni indicate, comporterebbe l’applicazione della normativa sopravvenuta.
8.2.– In relazione al giudizio di compatibilità procedimentale, l’annullamento degli atti di autorizzazione paesaggistica per difetto di motivazione ha inciso esclusivamente sulla fase costitutiva del procedimento amministrativo.
La fase dell’iniziativa procedimentale e, soprattutto, la fase dell’istruttoria sono state ritenute esenti dai vizi denunciati.
E’, pertanto, necessario verificare se l’applicazione della nuova normativa e la successiva attività amministrativa ad essa conforme possano travolgere anche le precedenti fasi procedimentali ovvero gli altri procedimenti connessi.
L’articolo 146, rispetto a quanto stabilito dall’articolo 159, come già rilevato, ha previsto che l’intervento della Soprintendenza avvenga non mediante un atto di “controllo” successivo ma, in presenza di aree vincolate per legge, attraverso l’adozione di un preventivo parere vincolante. La previsione di tale parere implica che il legislatore ha inteso attribuire all’amministrazione statale un potere sostanzialmente decisorio che si inserisce, pertanto, non nella fase dell’istruttoria ma in quella costitutiva.
L’applicazione della nuova normativa, nel momento del riesercizio del potere, non determina, pertanto, la caducazione degli atti procedimentali relativi a fasi già definite.
Le conclusioni cui si è pervenuti non sono in contrasto, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente nel corso della discussione orale nella camera di consiglio, con quanto affermato da questa Sezione nella sentenza 20 dicembre 2012, n. 6585. Con la citata sentenza è stata dichiarata l’illegittimità dell’atto della Soprintendenza perché, senza indicare adeguate ragioni, aveva annullato un atto di autorizzazione paesaggistica comunale. Si è puntualizzato che, nel riesercizio del potere, la Soprintendenza avrebbe dovuto applicare la normativa all’epoca vigente. Ciò in quanto, in quel caso, l’annullamento aveva avuto ad oggetto la sola fase di competenza dell’amministrazione statale, con la conseguenza che l’applicazione della nuova disciplina avrebbe inciso sulla precedente fase del procedimento già esaurita.
La nuova normativa non risulta neanche incompatibile con gli altri procedimenti amministrativi, sopra descritti, connessi o collegati con quello paesaggistico. Il procedimento paesaggistico, infatti, ha, per espressa previsione legislativa, una sua autonomia. La riedizione della sola fase costitutiva di esternazione di una motivazione conforme ai parametri legali non confligge, pertanto, con lo svolgimento della complessiva attività posta in essere dalle parti della presente vicenda amministrativa.
In definitiva, la sentenza di cognizione, sia pure non espressamente, nel richiamare la nuova disciplina del potere autorizzatorio ha ritenuto che la stessa non presentasse profili di incompatibilità con le fasi del procedimento definite e non ritenute illegittime.
10.– La parte del ricorso principale con la quale sono state impugnate le note del Capo di Gabinetto del Ministero per i beni e le attività culturali è inammissibile, in ragione della valenza non provvedi mentale di dette note che le rende non suscettibili di autonoma impugnazione.
11.– Quanto sin qui esposto conduce ad affermare che la nuova disciplina sul procedimento e sulla competenza supera positivamente il giudizio di compatibilità sia procedimentale sia processuale.
12.– Alla luce dei chiarimenti resi, occorre esaminare il ricorso incidentale proposto dal Ministero, con cui si è chiesto che venga dichiarata la nullità dell’atto di autorizzazione n. 10 del 2014, e l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale, sollevata da Italia Nostra, sul presupposto dell’esistenza del predetto atto.
Sul piano dell’ammissibilità del ricorso incidentale, contestata dai ricorrenti principali nel corso della discussione in camera di consiglio, deve rilevarsi che nel processo amministrativo è consentita, ai sensi dell’art. 32 cod. proc. amm., il cumulo di azioni connesse. Nel caso in esame il ricorrente principale ha proposto, come già rilevato, un’azione di ottemperanza con finalità di accertamento del rapporto processuale. L’amministrazione ha proposto un’azione di ottemperanza con finalità di accertamento della nullità dell’atto adottato dal Comune per asserita violazione del giudicato. La connessione tra le due domande è resa palese dalla circostanza che il giudizio sulla nullità dell’atto presuppone il previo accertamento del contenuto della sentenza di cognizione.
Ciò comporta anche l’infondatezza dell’eccezione sollevata da Italia Nostra, in quanto non sussistono preclusioni tra la proposizione dell’azione di chiarimenti e l’eventuale esistenza di atti di esecuzione del giudicato, quando, come nel caso in esame, l’accertamento del rapporto impedisce che vengano posti in essere “ulteriori” atti invalidi.
Nel merito il ricorso incidentale è fondato.
Il Comune, infatti, ha riesercitato il potere, adottando un nuovo atto di autorizzazione, in applicazione della normativa vigente al momento dell’adozione degli atti di autorizzazione annullati.
L’effetto conformativo della sentenza imponeva, invece, per le ragioni esposte, che si applicasse la nuova normativa.
L’atto impugnato è, pertanto, nullo perché elusivo dell’accertamento disposto con la sentenza n. 6223 del 2013.
12.– La domanda di sospensione degli effetti dell’atto di autorizzazione è assorbita dalla intervenuta dichiarazione di nullità dell’atto stesso.
13.– In conclusione, va affermato che:
a) non sussistono ostacoli normativi al riesercizio del potere pubblico mediante l’adozione di nuovi atti di autorizzazione paesaggistica, in quanto il divieto di sanatoria di opere realizzate in aree vincolate per legge non è applicabile nel caso in cui nel momento della realizzazione dell’opera il titolo abilitativo era stato rilasciato ed è stato solo successivamente annullato;
b) nella fase di rinnovazione dei procedimenti devono essere osservate le norme sul procedimento e sulla competenza vigenti al momento dell’adozione dei nuovi atti (articolo 146 del d.lgs. n. 42 del 2004), con la conseguenza che, ferme restando le fasi procedimentali già svolte, l’amministrazione comunale deve adottare gli atti di autorizzazione paesaggistica previa acquisizione del parere vincolante della Soprintendenza, che dovrà essere rilasciato, anche con eventuali prescrizioni, nel rispetto dei termini procedimentali previsti dalla legge;
c) l’atto di autorizzazione paesaggistica 10 febbraio 2014, n. 10, unitamente agli atti preparatori, adottato dal Comune di Salerno è nullo perché elusivo del giudicato.
12.– La natura della controversia e la novità delle questioni esaminate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, Sezione sesta, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando:
a) fornisce i chiarimenti richiesti, dichiarando che la fase di rinnovazione degli atti di autorizzazione paesaggistica è ammissibile e che la stessa deve svolgersi nel rispetto delle norme sul procedimento e sulla competenza contenute nell’art. 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137);
b) dichiara inammissibile il ricorso principale nella parte in cui ha impugnato le note del Capo di Gabinetto del Ministro dei beni ed attività culturali, recanti protocollo n. 2080 e n. 3683 del 2014;
c) accoglie il ricorso incidentale e, per l’effetto, dichiara la nullità dell’atto di autorizzazione paesaggistica 10 febbraio 2014, n. 10, adottato dal Comune di Salerno;
d) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/03/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)