sabato 24 gennaio 2015

APPALTI: sul danno da mancata aggiudicazione (Cons. St., Sez. V, sentenza 22 gennaio 2015, n. 285).


APPALTI: 
sul danno da mancata aggiudicazione 
(Cons. St., Sez. V, 
sentenza 22 gennaio 2015, n. 285)


Come di consueto, privilegiamo nella pubblicazione le sentenze sistematiche.
Perché? Perché forse sono meno "leggibili" su un piano "giornalistico", ma sicuramente più utili a non perdersi nel ginepraio delle pronunce del giustizia amministrativa, la quale ancora non ha raggiunto un livello razionalità concentrica (e non solo) da potersi definire "diritto processuale amministrativo". 
Anche perché non basta a tal fine un Codice, pur pregevolissimo, se l'organo di nomifilachia è giudice anche d'appello e non solo di pura "legittimità", e se ci sono tanti organi nomofilattici quante sono le giurisdizioni...



Massima

Premesso che, ai fini dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno derivante dalla dichiarata illegittimità degli atti della procedura di gara, non è necessaria alcuna particolare indagine in ordine all’elemento soggettivo della responsabilità dell’amministrazione, essendo la stessa in re ipsa - ciò in quanto il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della tutela previsto dalla normativa comunitaria a condizione che la possibilità di riconoscere detto risarcimento non sia subordinata alla constatazione di un comportamento colpevole - deve rammentarsi che in tema di determinazione del danno da mancata aggiudicazione la giurisprudenza ha raggiunto le seguenti univoche conclusioni, dalle quali non vi è motivo di discostarsi:
a) ai sensi degli artt. 30, 40 e 124, comma 1, c.p.a., il danneggiato deve offrire la prova dell'an e del quantum del danno che assume di aver sofferto;
b) in tema di risarcimento danni nei confronti della Pubblica amministrazione, il giudice amministrativo è chiamato a valutare (art. 30, comma 3, c.p.a.), senza necessità di eccezione di parte e acquisendo anche d'ufficio gli elementi di prova all'uopo necessari, se il presumibile esito del ricorso di annullamento dell'atto illegittimo e dell'utilizzazione degli altri strumenti di tutela avrebbe evitato in tutto o in parte il danno, secondo un giudizio di causalità ipotetica basato su una logica probabilistica che apprezzi il comportamento globale del ricorrente (Cons. St., Ad. Plen., 2011, n. 3);
c) spetta all'impresa danneggiata offrire la prova della percentuale di utile che avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, poiché nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.). Quest'ultimo, infatti, intanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l'asimmetria informativa tra amministrazione e privato, la quale contraddistingue l'esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell'azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del principio dispositivo sancito in generale dall'art. 2697, comma primo, cod. civ.;
d) il ricorso alla valutazione equitativa, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ., è ammesso soltanto in presenza di situazione di impossibilità - o di estrema difficoltà - di una precisa prova sull'ammontare del danno;
e) le parti non possono sottrarsi all'onere probatorio e rimettere l'accertamento dei propri diritti all'attività del consulente neppure nel caso di consulenza tecnica d'ufficio cosiddetta "percipiente", che può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, demandandosi al consulente l'accertamento di determinate situazioni di fatto, giacché, anche in siffatta ipotesi, è necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti;
f) la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni. Al riguardo, va precisato che, per la configurazione di una ‘presunzione’, non occorre che l'esistenza del fatto ignoto rappresenti l'unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla scorta della regola della inferenza necessaria), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'id quod plerumque accidit (in virtù della regola dell'inferenza probabilistica), sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall'apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici. In ragione di ciò va esclusa la pretesa di ottenere l'equivalente del 10% dell'importo a base d'asta, sia perché detto criterio non può essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata, sia perché non può formularsi un giudizio di probabilità fondato sull’id quod plerumque accidit secondo il quale allegato l'importo a base d'asta può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile al 10% del detto importo;
g) il mancato utile spetta nella misura integrale solo se la concorrente dimostra di non aver potuto altrimenti utilizzare mezzi e maestranze, in quanto tenuti a disposizione in vista dell'aggiudicazione, sicché, in assenza di tale dimostrazione, è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi, con la conseguente decurtazione del risarcimento di una misura a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum;
h) anche per il cd. danno curricolare il presunto danneggiato deve offrire la prova puntuale del danno che asserisce di aver subito.



Sentenza per esteso

INTESTAZIONE 
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 6319 del 2014, proposto dal COMUNE DI NEVIANO, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Saverio Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso Sticchi Damiani Studio Bdl in Roma, via Bocca di Leone, n. 78; 
contro
L’IMPRESA DE PASCALI PANTALEO, rappresentata e difesa dall'avvocato Pietro Quinto, con domicilio eletto presso l’avvocato Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2; 
nei confronti di
VISCONTI COSTRUZIONI S.R.L., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avvocato Valeria Pellegrino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso Rinascimento, n. 11; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Puglia, Sez. di Lecce, Sez. II, n. 942 dell’11 aprile 2014, resa tra le parti, concernente l’affidamento dei lavori di messa in sicurezza e di prevenzione e di riduzione del rischio connesso alla vulnerabilità degli elementi presso l'edificio scolastico "Papa Giovanni XXIII" - risarcimento danni;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Impresa De Pascali Pantaleo e della s.r.l. Visconti Costruzioni;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2014 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati Sticchi Damiani Saverio, Marchese T., per delega dell’avvocato Quinto Pietro, e Pellegrino Gianluigi, per delega dell’avvocato Pellegrino Valeria;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO
1. Con bando di gara in data 26 aprile 2013, il Comune di Neviano ha indetto una procedura aperta per l'affidamento dei lavori di messa in sicurezza e di prevenzione e di riduzione del rischio connesso alla vulnerabilità degli elementi presso l'edificio scolastico "Papa Giovanni XXIII", per un importo a base d’asta di €. 270.760,86, di cui €. 7.886,24 per oneri di sicurezza, non soggetti a ribasso, da aggiudicarsi con criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi dell'art. 83 del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
All’esito della gara l’appalto è stato aggiudicato definitivamente, giusta determinazione n. 120 del 19 giugno 2013, alla s.r.l. Visconti Costruzioni, la cui offerta aveva conseguito punti 84,097 (di cui punti 69,350 per l'aspetto tecnico e punti 14,747 per quello economico).
2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sez. II, con la sentenza n. 942 dell’11 aprile 2014, nella resistenza dell’intimata amministrazione comunale di Neviano e della controinteressata aggiudicataria Visconti Costruzioni s.r.l., ha accolto il ricorso della Impresa De Pascali Pantaleo, seconda classificata, ed ha annullato l’impugnato provvedimento di aggiudicazione, ritenendo fondato il motivo di censura con cui era stata lamentata la mancata esclusione dalla gara dell’aggiudicataria che aveva omesso la dichiarazione circa l’insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006 del socio maggioritario (dichiarazione prevista espressamente prevista dal disciplinare, alla cui mancanza non poteva supplire la diversa dichiarazione resa dalla legale rappresentante della predetta società con riferimento “…ai soci elencati al precedente numero 1 e al successivo numero 6 della presente dichiarazione”, tra cui non risultava indicato il nominato del socio di maggioranza).
E’ stata peraltro respinta la domanda di inefficacia del contratto, che non costituiva, secondo il tribunale, un effetto automatico dell’annullamento dell’aggiudicazione, essendo piuttosto la conseguenza della giusta comparazione degli interessi contrapposti, ostandovi l’avanzato stato di esecuzione dei lavori; è stata accolta pertanto la domanda di risarcimento del danno per equivalente nella misura del 10% dell’importo totale dell’appalto a base d’asta, oltre al 3% a titolo di danno curriculare.
3. Il Comune di Neviano ha chiesto la riforma della predetta sentenza alla stregua di cinque articolati motivi di gravame così rubricati:
A) in via principale: 1) “Erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha annullato l'aggiudicazione definitiva in favore della Visconti Costruzioni srl.”;
B) in subordine: 2) “Erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha quantificato il danno da mancato utile subito dall'Impresa De Pascali Pantaleo nella misura pari al 10% dell'importo a base di gara”; 3) “erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha quantificato il danno curriculare subito dall'impresa De Pascali Pantaleo nella misura pari al 3% dell'importo a base di gara”; 4) “erroneità della sentenza appellata nella parte in cui non ha affermato la responsabilità solidale della Visconti Costruzioni srl nella causazione dei danni subiti dall'impresa De Pascali Pantaleo”; 5) “Erroneita della sentenza appellata nella parte in cui ha condannato il Comune di Neviano al pagamento, in favore dell'Impresa De Pascali Pantaleo, dell'importo erogato a titolo di contributo unificato”.
Ha resistito al gravame l’Impresa De Pascali Pantaleo, chiedendone il rigetto.
Si è costituita in giudizio anche la s.r.l. Visconti Costruzioni, aderendo in parte all’appello proposto dal Comune di Neviano con particolare riguardo al primo motivo di gravame, e chiedendone invece il rigetto quanto alle censure subordinate volte all’accertamento della sussistenza di una pretesa responsabilità solidale.
4. Nell’imminenza dell’udienza di trattazione, le parti hanno illustrato con apposite memorie le proprie rispettive tesi difensive.
All’udienza pubblica del 28 ottobre 2014, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO
5. E’ infondato il primo motivo di gravame, con cui il Comune di Neviano, deducendo “Erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha annullato l'aggiudicazione definitiva in favore della Visconti Costruzioni srl”, ha sostenuto che, diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, nel caso di specie l’omessa dichiarazione concernente il possesso dei requisiti ex art. 38 del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, da parte del socio di maggioranza (trattandosi di società di capitali con meno di quattro soci) non sarebbe stata sanzionata dal disciplinare di gara (punto 6, lett. c1) del disciplinare) con l’esclusione dalla gara, ed ha aggiunto che tale mancanza si sarebbe potuta (e dovuta) regolarizzare con l’esercizio del ‘soccorso istruttorio’, giacchè nella domanda di partecipazione alla gara, conformemente alle previsioni della lex specialis, erano contenute tutte le indicazioni necessarie a consentire la consultazione dei registri camerali da parte della stessa amministrazione appaltante (consultazione da cui sarebbe emerso agevolmente proprio il nominativo del socio di maggioranza, nei cui confronti non sussisteva peraltro alcuna situazione ostativa ex art. 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006).
5.1. La Sezione osserva al riguardo che il citato art. 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006 - nell’individuare le cause ostative alla partecipazione alle gare di affidamento di concessioni e degli appalti di lavori, forniture o servizi nonché alla stipula dei relativi contratti, con riferimento alle società - ricomprende nel novero dei soggetti, nei cui confronti devono sussistere i requisiti di ordine generale, i soci o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo, i soci accomandatari o il direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico, o il socio unico persona fisica ovvero il socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società.
Il disciplinare di gara della gara de qua (punto 2.1., sub par. par. 2) ha espressamente previsto che la dichiarazione concernente il possesso dei requisiti di ordine generale e l’assenza di cause ostative, ex art. 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006, riguardava “tutte le persone fisiche di cui al precedente numero 1)”, tra cui “il socio unico o i soci di maggioranza in caso di società di capitali con meno di quattro soci”.
Il successivo punto 6, nel prevedere le “cause di esclusione in fase di ammissione”, stabiliva al punto c) che sarebbero stati “…altresì esclusi, prima dell’apertura della busta interna, gli offerenti: c1) che non hanno presentato una o più d’una delle dichiarazioni richieste, successivamente aperta per qualsiasi motivo, ad eccezione di quanto diversamente previsto dal presente disciplinare di gara; oppure che hanno presentato una o più d’una delle dichiarazioni richieste recanti indicazioni gravemente erronee, insufficienti, non pertinenti, non veritiere, comunque non idonee all’accertamento dell’esistenza di fatti, circostanze o requisiti per i quali sono prodotte, che non possono essere regolarizzate ai sensi dell’art. 46 del D. Lgs. 163/2006, oppure non sottoscritte dal soggetto competente o non corredate, anche cumulativamente, da almeno una fotocopia del documento di riconoscimento di ciascun sottoscrittore o dichiarante; per gli operatori nazionali l’esclusione non opera in assenza della dichiarazione di cui al capo 2.1, numero 1, purchè siano dichiarate in modo in modo idoneo e sufficienti le indicazioni necessarie alla consultazione d’ufficio dei Registri della Camera di Commercio, Industria, Artigianato, Agricoltura, competente per territorio; (art. 13 – comma 3 – Statuto delle imprese”.
5.2. Ciò posto, non può ragionevolmente dubitarsi della sussistenza dell’obbligo della dichiarazione ex art. 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006 anche per i soci di maggioranza delle società con meno di quattro soci, obbligo la cui violazione determinava l’esclusione dalla gara, e che nel caso in esame è stato effettivamente violato.
Come infatti emerge dalla documentazione versata in atti, la dichiarazione resa dalla legale rappresentante della società appellante ai fini della partecipazione alla gara non contiene alcuna indicazione circa il socio di maggioranza, benché il modello predisposto dalla stessa amministrazione appaltante e concretamente utilizzato prevedesse uno specifico riquadro proprio per le società o i consorzi con meno di quattro soci, così che nessuna equivocità o incertezza poteva derivare, incolpevolmente per i concorrenti, dall’utilizzo del modello e tanto meno dalla tenore letterale della lex specialis.
Ciò esclude che l’amministrazione appaltante, come sostenuto dalla società appellante, avesse l’obbligo di esercitare il soccorso istruttorio, trattandosi nel caso in esame non già di completare o di integrare una dichiarazione già resa, ma di una dichiarazione completamente mancante (ex multis, Cons. St., sez. V, 28 aprile 2014, n. 2201, secondo cui nelle gare pubbliche, l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti a pena di esclusione non può essere considerata alla stregua di un'irregolarità sanabile, in applicazione del cd. dovere di soccorso di cui all'art. 46, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e, quindi, non ne è permessa l'integrazione o la regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali, e ciò tanto più quando non sussistano equivoci o incertezze generati dall'ambiguità di clausole della legge di gara; sez. III, 9 maggio 2014, n. 2376; sez. IV, 29 maggio 2014, n. 2778; sez. V, 17 luglio 2014, n. 3807). Ciò sotto altro concorrente profilo rende irrilevante ed inutile, ai fini della eventuale sanatoria di tale omissione, la dichiarazione prodotta dal socio di maggioranza in ordine al possesso dei requisiti di cui all’art. 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006 solo in data 10 settembre 2013, laddove il termine per presentare la domanda di partecipazione alla gara de qua scadeva improrogabilmente il 27 maggio 2013.
Deve aggiungersi inoltre che l’esclusione dalla gara per l’omessa dichiarazione di cui si discute, oltre a ricollegarsi direttamente alle previsioni del d. lgs. n. 163 del 2006, era espressamente prevista, come rilevato in precedenza, dallo stesso disciplinare di gara, non potendo trovare accoglimento la suggestiva ricostruzione proposta dall’appellante secondo cui nel caso di specie troverebbe ingresso l’eccezione, pure prevista dal punto 6, c1, del disciplinare per essere comunque state fornite le indicazioni necessarie e sufficienti alla stazioni appaltanti per la consultazione d’ufficio dei Registri della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura.
Al riguardo, va sottolineato che l’esclusione dalla gara è stata determinata non già dall’omessa indicazione del socio di maggioranza, ma dall’omessa dichiarazione - da parte di costui - del possesso dei requisiti di ordine generale del più volte ricordato art. 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006 (così che il fatto che le indicazioni altrimenti contenute nella domanda fossero sufficienti alla consultazione dei registri della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura non sono idonee a neutralizzare la mancanza della dichiarazione).
Le finalità perseguite con la dichiarazione che è mancata non consentono poi di apprezzare favorevolmente la tesi, propugnata dall’appellante, circa la necessaria interpretazione ‘sostanzialistica’ delle ricordate disposizioni della lex specialis (contrapposta a quella ‘formalistica’ che sarebbe stata accolta dai primi giudici), secondo cui l’esclusione non avrebbe potuto mai essere disposta o dichiarata, sussistendo in capo al socio maggioritario i requisiti di ordine generale ex art. 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006.
5.3. In conclusione, non merita censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha annullato l’aggiudicazione definitiva dell’appalto in favore della Impresa Visconti Costruzioni s.r.l., che andava invece effettivamente esclusa dalla gara.
6. Il rigetto del primo motivo di appello impone alla Sezione di procedere allo scrutinio degli altri motivi di gravame dedotti dall’appellante in via espressamente subordinata al mancato accoglimento del primo.
6.1. Possono essere esaminati congiuntamente il secondo ed il terzo motivo, con cui - lamentando “Erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha quantificato il danno da mancato utile subito dall'Impresa De Pascali Pantaleo nella misura pari al 10% dell'importo a base di gara” e “Erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha quantificato il danno curriculare subito dall'impresa De Pascale Pantaleo nella misura pari al 3% dell'importo a base di gara” - l’appellante ha contestato l’ammontare del risarcimento del danno riconosciuto spettante alla impresa De Pascali Pantaleo.
I motivi sono parzialmente fondati, secondo le osservazioni che seguono.
6.1.1. Premesso che, ai fini dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno derivante dalla dichiarata illegittimità degli atti della procedura di gara, non è necessaria alcuna particolare indagine in ordine all’elemento soggettivo della responsabilità dell’amministrazione, essendo la stessa in re ipsa (ex multis, Cons. St., sez. V, 21 giugno 2013, n. 3397; sez. IV, 27 marzo 2014, n. 1478, ciò in quanto il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della tutela previsto dalla normativa comunitaria a condizione che la possibilità di riconoscere detto risarcimento non sia subordinata alla constatazione di un comportamento colpevole), deve rammentarsi che in tema di determinazione del danno da mancata aggiudicazione la giurisprudenza ha raggiunto le seguenti univoche conclusioni, dalle quali non vi è motivo di discostarsi (Cons. St., sez. V, 8 agosto 2014, n. 4242):
a) ai sensi degli artt. 30, 40 e 124, comma 1, c.p.a., il danneggiato deve offrire la prova dell'an e del quantum del danno che assume di aver sofferto;
b) in tema di risarcimento danni nei confronti della Pubblica amministrazione, il giudice amministrativo è chiamato a valutare (art. 30, comma 3, c.p.a.), senza necessità di eccezione di parte e acquisendo anche d'ufficio gli elementi di prova all'uopo necessari, se il presumibile esito del ricorso di annullamento dell'atto illegittimo e dell'utilizzazione degli altri strumenti di tutela avrebbe evitato in tutto o in parte il danno, secondo un giudizio di causalità ipotetica basato su una logica probabilistica che apprezzi il comportamento globale del ricorrente (Cons. St., Ad. Plen., 2011, n. 3);
c) spetta all'impresa danneggiata offrire la prova della percentuale di utile che avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, poiché nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, cod. proc. amm.). Quest'ultimo, infatti, intanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l'asimmetria informativa tra amministrazione e privato, la quale contraddistingue l'esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell'azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del principio dispositivo sancito in generale dall'art. 2697, comma primo, cod. civ.;
d) il ricorso alla valutazione equitativa, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ., è ammesso soltanto in presenza di situazione di impossibilità - o di estrema difficoltà - di una precisa prova sull'ammontare del danno;
e) le parti non possono sottrarsi all'onere probatorio e rimettere l'accertamento dei propri diritti all'attività del consulente neppure nel caso di consulenza tecnica d'ufficio cosiddetta "percipiente", che può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, demandandosi al consulente l'accertamento di determinate situazioni di fatto, giacché, anche in siffatta ipotesi, è necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti;
f) la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni. Al riguardo, va precisato che, per la configurazione di una ‘presunzione’, non occorre che l'esistenza del fatto ignoto rappresenti l'unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla scorta della regola della inferenza necessaria), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'id quod plerumque accidit (in virtù della regola dell'inferenza probabilistica), sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall'apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici. In ragione di ciò va esclusa la pretesa di ottenere l'equivalente del 10% dell'importo a base d'asta, sia perché detto criterio non può essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata, sia perché non può formularsi un giudizio di probabilità fondato sull’id quod plerumque accidit secondo il quale allegato l'importo a base d'asta può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile al 10% del detto importo;
g) il mancato utile spetta nella misura integrale solo se la concorrente dimostra di non aver potuto altrimenti utilizzare mezzi e maestranze, in quanto tenuti a disposizione in vista dell'aggiudicazione, sicché, in assenza di tale dimostrazione, è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi, con la conseguente decurtazione del risarcimento di una misura a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum;
h) anche per il cd. danno curricolare il presunto danneggiato deve offrire la prova puntuale del danno che asserisce di aver subito.
6.1.2. Applicando tali principi alla fattispecie in esame, deve convenirsi con l’amministrazione appellante sull’erroneità della decisione impugnata, che, acriticamente aderendo alla richiesta della originaria ricorrente ed invocando un ‘consolidato’ indirizzo giurisprudenziale che per contro non è tale, ha quantificato il risarcimento del danno da mancata aggiudicazione nella misura del 10% dell’importo totale dell’appalto a base d’asta, ritenendo a tal fine sufficiente la prova del congelamento dei mezzi aziendali nelle more del contenzioso e riconoscendo altresì a titolo di danno curriculare un ulteriore importo pari al 3% della somma a base d’asta.
In effetti non può ammettersi un tale riconoscimento forfettario del danno subito, ciò costituendo un’inammissibile elusione dell’onere della prova dell’effettività del danno subito, con violazione degli articoli 30, 40 e 124, comma 1, c.p.a., oltre che dell’art. 2697 c.c., tanto più che – in applicazione dei principi costituzionali del diritto di difesa e del contraddittorio - va comunque consentito all’amministrazione resistente di poter contestare l’effettiva sussistenza dei danni e la loro quantificazione.
D’altra parte, il criterio forfettario di quantificazione del danno, previsto per la diversa ipotesi di recesso ad nutumdella stazione appaltante nella fase di esecuzione del contratto, proprio quale eccezione alla regola generale del principio secondo cui onus probandi incubit ei qui dicit, non è suscettibile di applicazione analogica alla fattispecie risarcitoria, introducendosi altrimenti una forma generalizzata di indennizzo predeterminato ed automatico, contrario alla stessa natura della tutela risarcitoria, oltre che agli ordinari principi probatori (Cons. St., sez. V, 6 aprile 2009, n. 2143; 20 aprile 2012, n. 2317).
Si può tuttavia ammettere, fermo restando il principio fondamentale dell’onere della prova, che l’ammontare del risarcimento possa essere determinato in via equitativa nella misura del 10% dell’importo dell’offerta, solo se ed in quanto l’impresa abbia documentato di non aver potuto utilizzare, in quanto apprestati ed approntati in previsione dell’appalto da aggiudicare, mezzi e maestranze per l’esecuzione di altri contratti, ed in caso diverso potendo operarsi una decurtazione del risarcimento di una misura a titolo di aliunde perceptum (Cons. St., sez. V, 7 settembre 2013, n. 4376).
6.1.3. Nel caso in esame, escluso, in mancanza di adeguata prova dell’effettivo ammontare del danno subito (e non essendo stata neppure prospettata una impossibilità incolpevole di fornire la predetta prova), che possa riconoscersi forfettariamente a titolo di risarcimento per l’illegittimità dell’impugnato provvedimento di aggiudicazione la somma corrispondente al 10% dell’importo a base d’asta, come statuito dai primi giudici, può tuttavia accedersi ad una valutazione equitativa del danno.
L’impresa De Pascali Pantaleo, ricorrente in primo grado, come si evince dalla documentazione in atti, aveva rappresentato all’amministrazione comunale di Neviano sin dal 27 settembre 2013 (in occasione della comunicazione di proposizione dell’appello avverso l’ordinanza cautelare del tribunale salentino che aveva respinto la richiesta di sospensione dell’esecutività dell’impugnata aggiudicazione) di non aver acquisito “…ulteriori impegni incompatibili con quelli per cui è causa, mantenendo inutilizzati mezzi e personali che, in caso di esito vittorioso del giudizio, sarebbero utili ed indispensabili per lo svolgimento dell’appalto…”.
Tale specifica circostanza, che è stata confermata con la successiva nota in data 31 ottobre 2013 (con la quale la predetta impresa aveva chiesto la revoca dell’impugnata aggiudicazione, sospesa per effetto dell’accoglimento dell’appello cautelare, giusta ordinanza n. 4272 del 29 ottobre 2013 della Quinta Sezione del Consiglio di Stato) e che non è stata in alcun modo contestata dall’amministrazione, costituisce un elemento di fatto di cui si può ragionevolmente tener conto ai fini dell’effettiva sussistenza del danno.
Quest’ultimo, tenuto conto del tempo trascorso tra il provvedimento di aggiudicazione (19 giugno 2013) e le ricordate note dell’impresa ricorrente (27 settembre 2013 e 31 ottobre 2013), del valore presuntivo che esse hanno ai fini dell’esistenza del danno e del fatto che, come già rilevato, non è stata neppure prospettata una impossibilità incolpevole a provare l’effettività del danno subito, può essere pertanto equitativamente quantificato nella misura del 5% dell’importo a base d’asta, decurtato della percentuale di ribasso offerta in sede di gara.
6.1.4. Nessuna somma può essere invece riconosciuta, in difetto di specifica prova, a titolo di danno curriculare.
Occorre al riguardo premettere, per la esatta individuazione di tale categoria di danno, che di norma l'interesse alla aggiudicazione di un appalto, nella vita di un operatore economico, non si esaurisce nella sola esecuzione dell'opera e nei relativi ricavi diretti, ad essa ricollegandosi anche una serie di effetti favorevoli indiretti, quali l’immagine della società, il suo radicamento nel mercato, l’ampliamento della sua capacità industriale o commerciale (Cons. St., sez. IV, 27 ottobre 2010, n. 8253).
Proprio a tali effetti indiretti deve pertanto ragionevolmente ricollegarsi la fattispecie del danno curriculare, che non può pertanto coincidere con il danno derivato direttamente dall’illegittimità dell’aggiudicazione e conseguentemente dal mancato legittimo conseguimento dell’appalto, né può essere ricompreso nella mera perdita di chanches: sennonché di nessuno di tali effetti indiretti è stato oggetto della necessaria prova, né è stata altrimenti provata la perdita di specifiche concrete possibilità di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale, da intendersi anche come immagine e prestigio professionale, al di là dell’incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare (su tali affermazioni di principio, v. Cons. St. sez. VI, 11 gennaio 2010, n. 20 ; sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144; sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751; sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2680; sez. V, 23 luglio 2009, n. 4594; sez. V, 12 febbraio 2008, n. 491; sez. IV, 29 luglio 2008, n. 3723 ; Cass., 4 giugno 2007, n. 12929).
6.2. Deve essere parzialmente accolto anche il quarto motivo di gravame, rubricato “Erroneità della sentenza appellata nella parte in cui non ha affermato la responsabilità solidale della Visconti Costruzioni srl nella causazione dei danni subiti dall'impresa De Pascale Pantaleo”.
Non può infatti negarsi che l’illegittimità del provvedimento impugnato sia da attribuirsi non solo all’operato dell’amministrazione appaltante, che non ha verificato la mancata produzione da parte della aggiudicataria della dichiarazione del socio di maggioranza, ma anche – e soprattutto - alla stessa aggiudicataria s.r.l. Visconti Costruzioni, che effettivamente non ha prodotto quella dichiarazione, agendo con ‘specifica negligenza’, non rinvenendosi alcun elemento di equivocità o di incertezza al riguardo nelle previsioni della lex specialis e nella modulistica predisposta, che possa giustificare quel comportamento.
A ciò consegue che, sotto il profilo causale, non può ragionevolmente dubitarsi che il danno subito sia ascrivibile alla s.r.l. Visconti Costruzioni, oltre che alla amministrazione appellante: ad entrambe essa deve ascriversi in misura uguale (50%), non emergendo dagli atti di causa, né essendo stato prospettato dalla stessa amministrazione appaltante elementi di fatto idonei ad una diversa ripartizione della responsabilità.
Deve al riguardo aggiungersi, sotto il profilo processuale, che l’accertamento della responsabilità concorrente della società originariamente aggiudicataria e del riparto interno della stessa nella misura del 50% deve ritenersi consentito non solo dai principi fondanti la giustizia amministrativa, in base ai quali la controversia deve essere decisa con l’esercizi di poteri decisori e conformativi, e dall’art. 41, comma 2, c.p.a. (che prevede il litisconsorzio necessario del beneficiario dell’atto, in ragione dei peculiari poteri concernenti le statuizioni da adottare anche nei confronti del beneficiario dell’atto illegittimo), ma anche delle domande, eccezioni e difese avanzate dalle parti, con il conseguente rispetto del principio di necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato (in termini, Cons. St., sez. VI, 15 ottobre 2012, n. 5279).
6.3. E’ invece infondato il quinto motivo, con cui l’amministrazione appellante ha ritenuto erroneo ed ingiusto il capo delle sentenza che, pur compensando tra le parti le spese del giudizio, l’ha tuttavia condannata al pagamento in favore della ricorrente in primo grado dell’importo erogato a titolo di contributo unificato.
Al riguardo, va rilevato che nel processo amministrativo nella compensazione delle spese giudiziali non può ritenersi compreso anche il contributo unificato, atteso che esso, ai sensi dell'art. 13 comma 6 bis, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall'art. 2 comma 35 bis, lett. e), del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, come integrato dalla legge di conversione 14 settembre 2011, n. 148, è oggetto di un'obbligazione "ex lege" sottratta alla potestà del giudice, sia quanto alla possibilità di disporne la compensazione, sia quanto alla determinazione del suo ammontare (Cons. St., sez. III, 13 marzo 2014, n. 1160).
7. In conclusione l’appello deve essere parzialmente accolto nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, il ricorso proposto in primo grado dalla impresa De Pascali Pantaleo deve essere parzialmente accolto, nei sensi pure indicati in motivazione.
La parziale fondatezza del gravame giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal Comune di Neviano avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sez. II, n. 942 dell’11 aprile 2014, così provvede:
- accoglie l’appello nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, parzialmente riformando la sentenza impugnata, accoglie in parte il ricorso proposto in primo grado dall’impresa De Pascali Pantaleo ed in particolare: 1) annulla il provvedimento di aggiudicazione; 2) dichiara responsabili del danno subito dalla ricorrente impresa De Pascali Pantaleo in misura uguale (50%) l’amministrazione comunale di Neviano e la società Visconti Costruzioni s.r.l.; 3) condanna l’amministrazione comunale di Neviano al pagamento in favore della ricorrente a titolo dell’intero risarcimento del danno, equitativamente determinato, della somma corrispondente al 5% dell’importo dell’appalto a base d’asta, detratto del ribasso percentuale offerto in sede di gara;
- dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore
Manfredo Atzeni, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

giovedì 22 gennaio 2015

CORTE DI GIUSTIZIA: è legittima la normativa italiana (c.d. Bando Monti 2012) che ha previsto l'allineamento della scadenza (giugno 2016) delle concessioni in materia di giochi e scommesse (C.G.U.E., Sez. III, sentenza 22 gennaio 2015, C-463/13).


CORTE DI GIUSTIZIA: 
è legittima la normativa italiana 
(c.d. Bando Monti 2012)
che ha previsto l'allineamento 
della scadenza (giugno 2016) delle concessioni 
in materia di giochi e scommesse 
(C.G.U.E., Sez. III, 
sentenza 22 gennaio 2015, C-463/13)


La sentenza è sicuramente sfavorevole per la Stanleybet, noto operatore del settore; lo è anche, tuttavia, per gli altri operatori del "mondo C.T.D./C.E.D.".
Va comunque letta bene, anche se il principio sembra proprio "tranchant".


Principio di diritto affermato

Gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE nonché i principi di parità di trattamento e di effettività devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che preveda l’indizione di una nuova gara per il rilascio di concessioni aventi durata inferiore rispetto a quelle rilasciate in passato, in ragione di un riordino del sistema attraverso un allineamento temporale delle scadenze delle concessioni.


Sentenza per esteso

SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
22 gennaio 2015 

«Rinvio pregiudiziale – Articoli 49 TFUE e 56 TFUE – Libertà di stabilimento – Libera prestazione di servizi – Giochi d’azzardo – Normativa nazionale – Riordino del sistema delle concessioni attraverso un allineamento temporale delle scadenze – Nuova procedura di gara – Concessioni di durata inferiore rispetto a quelle rilasciate in passato – Restrizione – Motivi imperativi di interesse generale – Proporzionalità»

Nella causa C‑463/13,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato (Italia) con decisione del 2 luglio 2013, pervenuta in cancelleria il 23 agosto 2013, nel procedimento
Stanley International Betting Ltd,
Stanleybet Malta Ltd
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze,
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato,
con l’intervento di:
Intralot Italia SpA,
SNAI SpA,
Galassia Game Srl,
Eurobet Italia Srl unipersonale,
Lottomatica Scommesse Srl,
Sisal Match Point SpA,
Cogetech Gaming Srl,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta da M. Ilešič, presidente di sezione, A. Ó Caoimh, C. Toader (relatore), E. Jarašiūnas e C.G. Fernlund, giudici,
avvocato generale: N. Wahl
cancelliere: L. Carrasco Marco, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 ottobre 2014,
considerate le osservazioni presentate:
–        per la Stanley International Betting Ltd, da D. Agnello e M. Mura, avvocati;
–        per la Stanleybet Malta Ltd, da F. Ferraro, R.A. Jacchia, A. Terranova e D. Agnello, avvocati;
–        per la SNAI SpA, da A. Fratini e F. Filpo, avvocati;
–        per la Lottomatica Scommesse Srl, da A. Vergerio di Cesana, C. Benelli e G. Fraccastoro, avvocati;
–        per la Sisal Match Point Spa, da L. Medugno, A. Auteri, G. Fraccastoro e F. Vetrò, avvocati;
–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da S. Fiorentino, avvocato dello Stato, e da I. Volpe, esperto;
–        per il governo belga, da J.‑C. Halleux e L. Van den Broeck, in qualità di agenti, assistiti da P. Vlaemminck, advocaat;
–        per il governo portoghese, da L. Inez Fernandes, in qualità di agente;
–        per la Commissione europea, da E. Montaguti e H. Tserepa‑Lacombe, in qualità di agenti,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 49 TFUE e 56 TFUE nonché dei principi di parità di trattamento e di effettività.
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la Stanley International Betting Ltd (in prosieguo: la «Stanley International Betting») e la Stanleybet Malta Ltd (in prosieguo: la «Stanleybet Malta») al Ministero dell’Economia e delle Finanze e all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato, in merito all’indizione di una nuova procedura di gara per l’affidamento di concessioni di durata inferiore rispetto a quelle rilasciate in passato.
 Contesto normativo
3        La normativa italiana prescrive, in sostanza, che la partecipazione all’organizzazione di giochi d’azzardo, compresa la raccolta di scommesse, sia subordinata all’ottenimento di una concessione e di un’autorizzazione di polizia.
4        Fino alle modificazioni della legislazione applicabile intervenute nel corso dell’anno 2002, gli operatori aventi la veste di società di capitali quotate nei mercati regolamentati non potevano ottenere una concessione per i giochi d’azzardo. Tali operatori sono dunque rimasti esclusi dalle gare finalizzate all’attribuzione di concessioni svoltesi nel corso dell’anno 1999. L’incompatibilità di tale esclusione con gli articoli 43 CE e 49 CE è stata dichiarata, in particolare, nella sentenza Placanica e a. (C‑338/04, C‑359/04 e C‑360/04, EU:C:2007:133).
5        Il decreto legge del 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 (GURI n. 18, dell’11 agosto 2006), ha proceduto ad una riforma del settore del gioco in Italia, destinata ad assicurare l’adeguamento di quest’ultimo alle regole imposte dal diritto dell’Unione.
6        In seguito, segnatamente, alla sentenza Costa e Cifone (C‑72/10 e C‑77/10, EU:C:2012:80), la materia dei giochi d’azzardo è stata riformata mediante il decreto legge del 2 marzo 2012, n. 16, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento (GURI n. 52, del 2 marzo 2012, pag. 1), convertito, con modificazioni, dalla legge del 26 aprile 2012, n. 44 (GURI n. 99, del 28 aprile 2012, supplemento ordinario n. 85, pagg. 1 e segg.; testo coordinato, pagg. 23 e segg.; in prosieguo: il «decreto legge n. 16»).
7        L’articolo 10, commi 9 octies e 9 novies, del decreto legge n. 16 prevede quanto segue:
«9 octies Nelle more di un riordino delle norme in materia di gioco pubblico, incluse quelle in materia di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi, le disposizioni del presente comma sono rivolte a favorire tale riordino, attraverso un primo allineamento temporale delle scadenze delle concessioni aventi ad oggetto la raccolta delle predette scommesse, con il contestuale rispetto dell’esigenza di adeguamento delle regole nazionali di selezione dei soggetti che, per conto dello Stato, raccolgono scommesse su eventi sportivi, inclusi quelli ippici, e non sportivi ai principi stabiliti dalla sentenza [Costa e Cifone, EU:C:2012:80]. A questo fine, in considerazione della prossima scadenza di un gruppo di concessioni per la raccolta delle predette scommesse, l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato bandisce con immediatezza, comunque non oltre il 31 luglio 2012, una gara per la selezione dei soggetti che raccolgono tali scommesse nel rispetto, almeno, dei seguenti criteri:
a) possibilità di partecipazione per i soggetti che già esercitano attività di raccolta di gioco in uno degli Stati dello Spazio economico europeo, avendovi la sede legale ove operativa, sulla base di valido ed efficace titolo abilitativo rilasciato secondo le disposizioni vigenti nell’ordinamento di tale Stato e che siano altresì in possesso dei requisiti di onorabilità, affidabilità ed economico-patrimonial[i] individuati dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (...);
b) attribuzione di concessioni, con scadenza al 30 giugno 2016, per la raccolta, esclusivamente in rete fisica, di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi presso agenzie, fino a un numero massimo di 2 000, aventi come attività esclusiva la commercializzazione di prodotti di gioco pubblici, senza vincolo di distanze minime fra loro ovvero rispetto ad altri punti di raccolta, già attivi, di identiche scommesse;
c) previsione, quale componente del prezzo, di una base d’asta di 11 000 euro per ciascuna agenzia;
d) sottoscrizione di una convenzione di concessione di contenuto coerente con ogni altro principio stabilito dalla citata sentenza [Costa e Cifone, EU:C:2012:80], nonché con le compatibili disposizioni nazionali vigenti in materia di giochi pubblici;
e) possibilità di esercizio delle agenzie in un qualunque comune o provincia, senza limiti numerici su base territoriale ovvero condizioni di favore rispetto a concessionari già abilitati alla raccolta di identiche scommesse o che possono comunque risultare di favore per tali ultimi concessionari;
f) rilascio di garanzie fideiussorie (...).
9 novies   I concessionari per la raccolta delle scommesse di cui al comma 9 octies in scadenza alla data del 30 giugno 2012 proseguono le loro attività di raccolta fino alla data di sottoscrizione delle concessioni accessive alle concessioni aggiudicate ai sensi del predetto comma. (…)».
 Procedimento principale e questioni pregiudiziali
8        La Stanley International Betting e la Stanleybet Malta hanno proposto dinanzi al Consiglio di Stato un ricorso volto ad ottenere la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 1884/2013.
9        Tale sentenza aveva ad oggetto una gara per l’affidamento in concessione di 2 000 diritti per l’esercizio congiunto dei giochi pubblici attraverso l’attivazione di una rete fisica di negozi di gioco e la relativa conduzione, ai sensi dell’articolo 10, commi 9 octies e 9 novies, del decreto legge n. 16 (in prosieguo: la «gara»).
10      La Stanley International Betting, una società registrata nel Regno Unito, nonché la sua controllata maltese, Stanleybet Malta, operano in Italia mediante operatori denominati «Centri di trasmissione di dati» (in prosieguo: i «CTD»), ubicati presso locali aperti al pubblico ed i cui titolari mettono a disposizione dei giocatori il collegamento telematico e trasmettono i dati delle singole giocate alle ricorrenti nel procedimento principale.
11      Tale attività è esercitata in Italia attraverso i titolari dei CTD, da circa quindici anni, sulla base di un rapporto riconducibile allo schema contrattuale del mandato, senza il possesso di alcun titolo concessorio e senza l’autorizzazione di polizia.
12      Posto che ritengono di essere state escluse da precedenti gare svoltesi nel 1999 e nel 2006, le ricorrenti nel procedimento principale chiedono l’annullamento della nuova gara, deducendone il carattere discriminatorio e contrastante con le sentenze Placanica e a. (EU:C:2007:133) nonché Costa e Cifone (EU:C:2012:80), e sollecitano l’organizzazione di una nuova gara.
13      Le ricorrenti nel procedimento principale criticano, in particolare, l’introduzione di discriminazioni con riferimento alla durata delle nuove concessioni, che sarebbe di 40 mesi e dunque sensibilmente inferiore a quella, compresa fra nove e dodici anni, delle precedenti concessioni, nonché con riferimento al carattere esclusivo dell’attività di commercializzazione dei prodotti di gioco pubblici ed al divieto di cessione delle concessioni.
14      Esse fanno valere, segnatamente, che tali condizioni restrittive metterebbero in dubbio l’utilità della loro partecipazione alla gara, specialmente in considerazione delle penalità legate alle cause di revoca, di sospensione e di decadenza della concessione, quali l’incameramento della garanzia in caso di decadenza e la cessione, a titolo non oneroso, dell’uso dei beni materiali e immateriali di proprietà che costituiscono la rete di gestione e di raccolta del gioco, alla scadenza della concessione.
15      Esse sottolineano di correre un notevole rischio di decadenza e di revoca delle concessioni eventualmente acquisite a causa del contenzioso che ha coinvolto i CTD tramite i quali esse operano in Italia. Pertanto, le ricorrenti nel procedimento principale ritengono di essere state poste di fronte all’alternativa tra dover rinunciare ad esercitare la loro attività in Italia oppure esporsi al rischio di incorrere nella decadenza dalle concessioni eventualmente acquisite, con perdita delle garanzie prestate.
16      Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha respinto il ricorso, dichiarandolo irricevibile in quanto le ricorrenti nel procedimento principale non avevano partecipato alla gara di cui chiedevano l’annullamento. In seguito a tale sentenza, queste ultime hanno adito il Consiglio di Stato.
17      Il giudice da ultimo menzionato osserva che, se è vero che le disposizioni controverse, che riguardano le nuove concessioni, sono più stringenti e penetranti di quelle previste in passato, esse però non mancano più di chiarezza, riguardano tutti i partecipanti, compresi i precedenti concessionari, e trovano applicazione anche per i rapporti già in essere, così che è difficile comprendere in cosa consista il presunto «vantaggio» perpetuato in favore dei precedenti concessionari.
18      Inoltre, circa 120 altri partecipanti alla gara de qua, inclusi importanti gruppi stranieri che non rientrano fra gli operatori esistenti e che hanno una struttura operativa analoga a quella delle ricorrenti nel procedimento principale, non avrebbero sollevato alcuna censura nei confronti della gara suddetta.
19      Ancora, ad avviso di detto giudice, sebbene le nuove concessioni siano di durata inferiore rispetto a quelle rilasciate in passato, esse sono, però, anche meno onerose e meno impegnative economicamente per l’aspirante concessionario.
20      Ciò posto, e pur esprimendo il proprio parere secondo cui gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE non osterebbero alle disposizioni nazionali controverse, il giudice del rinvio reputa nondimeno necessario interrogare la Corte a tal proposito.
21      Alla luce di quanto sopra, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      Se gli articoli 49 [TFUE] e segg. e 56 [TFUE] e segg. (…) ed i principi affermati dalla Corte (...) nella sentenza [Costa e Cifone (EU:C:2012:80)] vadano interpretati nel senso che essi ostano a che vengano poste in gara concessioni di durata inferiore a quelle in passato rilasciate, laddove la detta gara sia stata bandita al fine di rimediare alle conseguenze derivanti dall’illegittimità dell’esclusione di un certo numero di operatori dalle gare.
2)      Se gli articoli 49 [TFUE] e segg. e 56 [TFUE] e segg. (…) ed i principi affermati dalla Corte (...) nella medesima sentenza [Costa e Cifone (EU:C:2012:80)] vadano interpretati nel senso che essi ostano a che l’esigenza di riordino del sistema attraverso un allineamento temporale delle scadenze delle concessioni costituisca giustificazione causale adeguata di una ridotta durata delle concessioni poste in gara rispetto alla durata dei rapporti concessori in passato attribuiti».
 Sulle questioni pregiudiziali
 Sulla competenza della Corte
22      La Lottomatica Scommesse Srl nega, in sostanza, la competenza della Corte. Essa afferma che, tenuto conto del potere discrezionale degli Stati membri, non spetta alla Corte pronunciarsi sulla questione se la previsione di una durata più o meno ridotta delle concessioni in materia di giochi d’azzardo sia compatibile con gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE. La questione relativa a tale compatibilità rientrerebbe nella competenza del giudice nazionale e non in quella della Corte.
23      A questo proposito, è giocoforza constatare che la predetta società non nega che la legislazione italiana controversa debba essere conforme agli articoli 49 TFUE e 56 TFUE. Orbene, la portata degli articoli 49 TFUE e 56 TFUE è rimessa alla valutazione della Corte e il giudice del rinvio chiede proprio un’interpretazione di tali articoli al fine di stabilire se la durata delle concessioni in argomento sia conforme agli stessi.
24      Di conseguenza, occorre dichiarare che la Corte è competente a rispondere alle questioni sollevate.
 Sulla ricevibilità
25      Il governo italiano ritiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale debba essere dichiarata irricevibile, in quanto la decisione di rinvio non espone il contesto fattuale in modo sufficiente per consentire alla Corte di fornire una risposta utile.
26      A questo riguardo occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto normativo e fattuale che egli definisce sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto, da parte della Corte, di pronunciarsi su una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico, o anche quando la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (sentenza Melki e Abdeli, C‑188/10 e C‑189/10, EU:C:2010:363, punto 27 e la giurisprudenza ivi citata).
27      Risulta parimenti da una giurisprudenza costante che l’esigenza di giungere ad un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo definisca il contesto fattuale e normativo in cui si inseriscono le questioni da lui sollevate, o che esso, quanto meno, spieghi le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. La decisione di rinvio deve inoltre indicare i motivi precisi che hanno indotto il giudice nazionale ad interrogarsi sull’interpretazione del diritto dell’Unione e a ritenere necessaria la presentazione di una questione pregiudiziale alla Corte (sentenza Mulders, C‑548/11, EU:C:2013:249, punto 28 e la giurisprudenza ivi citata).
28      Orbene, la decisione di rinvio descrive in maniera sufficiente il contesto giuridico e fattuale della controversia principale, e le indicazioni fornite dal giudice del rinvio consentono di individuare la portata delle questioni sollevate.
29      Date tali circostanze, la domanda di pronuncia pregiudiziale deve essere dichiarata ricevibile.
 Nel merito
30      Con la prima e la seconda questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE nonché i principi di parità di trattamento e di effettività debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale in materia di giochi d’azzardo che preveda l’indizione di una nuova gara per il rilascio di concessioni aventi durata inferiore rispetto a quelle rilasciate in passato, in ragione di un riordino del sistema attraverso un allineamento temporale delle scadenze delle concessioni.
31      Da un lato, è necessario valutare se la normativa nazionale oggetto del procedimento principale, là dove impone una durata delle nuove concessioni più breve rispetto a quelle precedenti, sia conforme ai principi di parità di trattamento e di effettività.
32      Al riguardo si deve precisare che, mentre nella sentenza Costa e Cifone (EU:C:2012:80) la Corte aveva esaminato anche la conformità della normativa italiana all’obbligo di trasparenza e al principio di certezza del diritto, un simile esame non s’impone più nel presente caso, dato che, secondo il giudice del rinvio, le disposizioni controverse nel procedimento principale presentano un grado di chiarezza sufficiente e non può addebitarsi loro di non essere formulate in maniera chiara, precisa ed univoca.
33      Dall’altro lato, occorre valutare se il motivo dedotto dalle autorità nazionali al fine di giustificare la durata più breve delle nuove concessioni, segnatamente il riordino del sistema delle concessioni attraverso un allineamento temporale delle scadenze, sia idoneo a giustificare un’eventuale restrizione delle libertà garantite dai Trattati.
 Sul rispetto dei principi di parità di trattamento e di effettività
34      Nella fattispecie oggetto del procedimento principale, le ricorrenti chiedono la revoca delle concessioni in corso, l’annullamento dell’ultima gara e l’indizione di un’altra gara su basi non discriminatorie. Esse sostengono che le autorità italiane non avevano il diritto di operare la scelta fra la revoca delle concessioni in corso con successiva ridistribuzione delle stesse e la messa a gara di un numero adeguato di nuove concessioni, e che, in ogni caso, la scelta compiuta lede i principi di parità di trattamento e di effettività.
35      Tuttavia, come già dichiarato dalla Corte, tanto la revoca e la ridistribuzione delle precedenti concessioni, quanto la messa a concorso di un numero adeguato di nuove concessioni potrebbero essere soluzioni appropriate. Entrambe queste soluzioni sono in linea di principio idonee a rimediare, quanto meno per il futuro, all’esclusione illegittima di alcuni operatori, permettendo a questi ultimi di esercitare la loro attività sul mercato alle stesse condizioni applicabili agli operatori esistenti (sentenza Costa e Cifone, EU:C:2012:80, punto 52).
36      Ne consegue che le autorità nazionali hanno il diritto di scegliere tra le suddette soluzioni in virtù del margine di discrezionalità spettante agli Stati membri, in una materia non armonizzata come quella dei giochi d’azzardo, fermo restando comunque che detta discrezionalità trova un limite nei principi di equivalenza e di effettività.
37      Infatti, conformemente alla giurisprudenza costante della Corte, è compito dell’ordinamento giuridico nazionale stabilire modalità procedurali che garantiscano la tutela dei diritti spettanti agli operatori in forza dell’effetto diretto del diritto dell’Unione, a condizione però che tali modalità non siano meno favorevoli di quelle applicabili a situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) e che non rendano impossibile in pratica o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (sentenze Placanica e a., EU:C:2007:133, punto 63, nonché Costa e Cifone, EU:C:2012:80, punto 51).
38      Inoltre, affinché sia rispettato il principio della parità di trattamento nonché l’obbligo di trasparenza che ne deriva, un regime di autorizzazione dei giochi d’azzardo deve essere fondato su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo, in modo da circoscrivere l’esercizio del potere discrezionale delle autorità al fine di evitare un suo uso arbitrario (sentenza Garkalns, C‑470/11, EU:C:2012:505, punto 42).
39      Orbene, come la Corte ha già avuto modo di dichiarare, il fatto stesso che gli operatori esistenti abbiano potuto iniziare la propria attività alcuni anni prima degli operatori illegittimamente esclusi, ed abbiano così potuto insediarsi sul mercato con una certa notorietà e con una clientela propria, conferisce loro un indebito vantaggio concorrenziale. Concedere agli operatori esistenti «ulteriori» vantaggi concorrenziali rispetto ai nuovi concessionari ha come conseguenza di perpetuare e di rafforzare gli effetti dell’esclusione illegittima dalle ultime gare, e costituisce dunque una violazione del principio di parità di trattamento. Inoltre, una misura siffatta rende eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione agli operatori illegittimamente esclusi dall’ultima gara e dunque non rispetta il principio di effettività (v. sentenza Costa e Cifone, EU:C:2012:80, punto 53).
40      Di conseguenza, per essere conforme ai principi di parità di trattamento e di effettività, una normativa nazionale non deve concedere agli operatori esistenti «ulteriori» vantaggi concorrenziali rispetto ai nuovi concessionari.
41      Per quanto concerne il rispetto del principio di parità di trattamento, occorre osservare che, secondo il giudice del rinvio, le disposizioni controverse nel procedimento principale non mancano più di chiarezza, riguardano tutti i partecipanti, compresi i precedenti concessionari, e trovano applicazione anche alle concessioni già in essere, senza concedere agli operatori esistenti «ulteriori» vantaggi concorrenziali. Sebbene tale valutazione non sia condivisa dalle ricorrenti nel procedimento principale, si deve ricordare al riguardo che, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale, non spetta alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni nazionali, né giudicare se l’interpretazione che ne dà il giudice del rinvio sia corretta (v., in particolare, sentenza Angelidaki e a., da C‑378/07 a C‑380/07, EU:C:2009:250, punto 48 e la giurisprudenza ivi citata).
42      Peraltro, si deve prendere in considerazione altresì il fatto che, come risulta dalla decisione di rinvio, le ricorrenti nel procedimento principale operano nel territorio italiano tramite i CTD da circa quindici anni senza essere in possesso di titoli concessori e senza autorizzazione di polizia, sicché esse non possono essere propriamente qualificate come «nuovi entranti sul mercato».
43      Per quanto concerne il principio di effettività, occorre precisare che, sempre secondo il giudice del rinvio, se è vero che le nuove concessioni hanno minore durata rispetto a quelle rilasciate in passato, esse sono però anche meno onerose e meno impegnative economicamente per l’aspirante concessionario.
44      Pertanto, nella fattispecie oggetto del procedimento principale, il rispetto dei principi di parità di trattamento e di effettività risulta garantito.
 Sulla giustificazione di una restrizione delle libertà garantite dagli articoli 49 TFUE e 56 TFUE
45      Per costante giurisprudenza, devono considerarsi restrizioni alla libertà di stabilimento e/o alla libera prestazione di servizi tutte le misure che vietino, ostacolino o rendano meno interessante l’esercizio delle libertà garantite dagli articoli 49 TFUE e 56 TFUE (v., in particolare, sentenza Duomo Gpa e a., da C‑357/10 a C‑359/10, EU:C:2012:283, punti 35 e 36 nonché la giurisprudenza ivi citata).
46      Quindi, una normativa di uno Stato membro, come quella controversa nel procedimento principale, la quale subordini l’esercizio di un’attività economica all’ottenimento di una concessione e preveda varie ipotesi di decadenza della concessione stessa costituisce un ostacolo alle libertà così garantite dagli articoli 49 TFUE e 56 TFUE (v. sentenza Costa e Cifone, EU:C:2012:80, punto 70).
47      Occorre tuttavia valutare se una simile restrizione possa essere ammessa a titolo di misure derogatorie, per ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, espressamente previste dagli articoli 51 TFUE e 52 TFUE, applicabili anche in materia di libera prestazione di servizi ai sensi dell’articolo 62 TFUE, o se essa possa essere giustificata, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi di interesse generale (sentenza Digibet e Albers, C‑156/13, EU:C:2014:1756, punto 22 e la giurisprudenza ivi citata).
48      Infatti, secondo una giurisprudenza costante, le restrizioni alle attività dei giochi d’azzardo possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori nonché la prevenzione delle frodi e dell’incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco (sentenza Digibet e Albers, EU:C:2014:1756, punto 23 e la giurisprudenza ivi citata).
49      Oltre a ciò, per quanto riguarda la normativa italiana in materia di giochi d’azzardo, la Corte ha dichiarato che l’obiettivo attinente alla lotta contro la criminalità collegata a tali giochi è idoneo a giustificare le restrizioni alle libertà fondamentali derivanti da tale normativa (v. sentenza Biasci e a., C‑660/11 e C‑8/12, EU:C:2013:550, punto 23).
50      Nella fattispecie, per quanto riguarda la qualificazione come «motivo imperativo di interesse generale» del motivo invocato dalle autorità nazionali al fine di giustificare la durata più breve delle nuove concessioni, segnatamente il riordino del sistema delle concessioni attraverso un allineamento temporale delle scadenze, è certo che, secondo una giurisprudenza costante, considerazioni di ordine meramente amministrativo non possono giustificare la deroga, da parte di uno Stato membro, alle norme del diritto dell’Unione. Tale principio vale a fortiori laddove la deroga di cui trattasi abbia l’effetto di escludere o di limitare l’esercizio di una delle libertà fondamentali del diritto dell’Unione (v. sentenza Arblade e a., C‑369/96 e C‑376/96, EU:C:1999:575, punto 37 e la giurisprudenza ivi citata).
51      Tuttavia, si deve ricordare il carattere peculiare della disciplina dei giochi d’azzardo, che rientra nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri notevoli divergenze di ordine morale, religioso e culturale. In assenza di un’armonizzazione in materia a livello dell’Unione europea, spetta al singolo Stato membro valutare, in tali settori, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi coinvolti comporta, tenendo presente che, nell’ambito di una controversia sottoposta alla Corte ai sensi dell’articolo 267 TFUE, l’identificazione degli obiettivi effettivamente perseguiti dalla normativa nazionale rientra nella competenza del giudice del rinvio (sentenza Digibet e Albers, EU:C:2014:1756, punto 24 e la giurisprudenza ivi citata).
52      Per tale ragione, in questo specifico settore, le autorità nazionali dispongono di un ampio potere discrezionale per stabilire quali siano le esigenze che la tutela del consumatore e dell’ordine sociale comporta e, a condizione che siano inoltre rispettati i requisiti stabiliti dalla giurisprudenza della Corte, spetta a ciascuno Stato membro decidere se, nel contesto dei legittimi scopi da esso perseguiti, sia necessario vietare totalmente o parzialmente attività riconducibili ai giochi e alle scommesse, oppure soltanto limitarle e prevedere a tal fine modalità di controllo più o meno rigorose (v. sentenza Digibet e Albers, EU:C:2014:1756, punto 32 e la giurisprudenza ivi citata).
53      Ne consegue che, in tale peculiare contesto, il riordino del sistema delle concessioni attraverso un allineamento temporale delle scadenze può, in virtù della previsione di una durata delle nuove concessioni più breve rispetto a quella delle concessioni rilasciate in passato, contribuire ad un coerente perseguimento dei legittimi obiettivi della riduzione delle occasioni di gioco o della lotta contro la criminalità collegata a detti giochi e può altresì soddisfare i requisiti di proporzionalità imposti.
54      Nell’ipotesi in cui, in futuro, le autorità nazionali intendessero ridurre il numero delle concessioni rilasciate oppure esercitare un controllo più rigoroso sulle attività nel settore dei giochi d’azzardo, misure di questo tipo sarebbero agevolate laddove tutte le concessioni fossero rilasciate per la stessa durata e la loro scadenza avvenisse nello stesso momento.
55      In considerazione di quanto precede, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE nonché i principi di parità di trattamento e di effettività devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che preveda l’indizione di una nuova gara per il rilascio di concessioni aventi durata inferiore rispetto a quelle rilasciate in passato, in ragione di un riordino del sistema attraverso un allineamento temporale delle scadenze delle concessioni.
 Sulle spese
56      Nei confronti delle parti nel procedimento principale, la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
Gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE nonché i principi di parità di trattamento e di effettività devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che preveda l’indizione di una nuova gara per il rilascio di concessioni aventi durata inferiore rispetto a quelle rilasciate in passato, in ragione di un riordino del sistema attraverso un allineamento temporale delle scadenze delle concessioni.
Firme