venerdì 18 ottobre 2013

AFORISMI: la giustizia "uber alles".


AFORISMI: 
la giustizia 
"uber alles".



"Fiat iustitia et pereat mundus"

(Ferdinando I d'Asburgo)

EDILIZIA: per l'installazione di una canna fumaria il Comune non può subordinare il relativo titolo al consenso dei condomini (T.A.R. Campania, Salerno, sentenza 27 settembre 2013 n. 1985).


EDILIZIA: 
per l'installazione di una canna fumaria
 il Comune non può subordinare 
il relativo titolo 
al consenso dei condomini 
(T.A.R. Campania, Salerno, 
sentenza 27 settembre 2013 n. 1985). 


Massima

Deve essere annullato perché illegittimo il provvedimento del Comune che concede il permesso all’installazione della canna fumaria nella parte in cui impone all’istante "di munirsi di autorizzazione condominiale" per l’esecuzione dei lavori laddove il parametro valutativo dell’attività edilizia svolta dai privati consiste nell’accertamento della conformità dell’opera alla disciplina urbanistica, fatti sempre salvi i diritti dei terzi, dal momento che (come noto)la legittimità di un’autorizzazione edilizia non può comunque condizionare la regolazione dei rapporti tra parti private.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2577 del 1998, proposto da:
Scaglione Antonio, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Vitolo, con domicilio eletto in Salerno, al corso Garibaldi, n. 181; 
contro
Comune di Buccino, in persona del Sindaco in carica pro tempore, non costituito in giudizio; 
nei confronti di
1) Condominio Via Gramsci, n. 4, in persona dell’Amministratore pro tempore, non costituito in giudizio;
2) Luigi Fernicola, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
dell’a autorizzazione edilizia n.13/98, rilasciata per l’esecuzione lavori canna fumaria, nella parte in cui si impone al ricorrente “di munirsi di autorizzazione condominiale”

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2013 il dott. Giovanni Grasso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1.- Con ricorso notificato in data 19 maggio 1998 e depositato l’8 giugno successivo, Antonio Scaglione esponeva di essere proprietario, nel Comune di Buccino, di una unità immobiliare ubicata al secondo piano di un fabbricato sito alla via Gramsci, n. 4, per il quale aveva presentato istanza di autorizzazione per la realizzazione, sulla parete esterna dell’edificio, di una piccola canna fumaria.
Lamentava che, nell’assentire all’intervento, il Comune avesse subordinato l’efficacia dell’autorizzazione al possesso dell’autorizzazione condominiale.
Avverso tale lesiva limitazione insorgeva, prospettandone l’illegittimità sotto plurimo rispetto.
2.- L’Amministrazione comunale, ancorché ritualmente intimata, non si costituiva in giudizio.
Alla pubblica udienza del 6 giugno 2013 la causa veniva riservata per la decisione.

DIRITTO
1.- Il ricorso è fondato e va accolto.
Il parametro valutativo dell'attività edilizia svolta dai privati consiste nell'accertamento della conformità dell'opera alla disciplina urbanistica, lasciando sempre salvi i diritti dei terzi; perciò la legittimità di un'autorizzazione edilizia non può comunque condizionare la regolazione dei rapporti tra parti private. Conseguentemente non sussiste un obbligo generalizzato per l'Amministrazione di verificare che non sussistano limiti di natura civilistica per la realizzazione di un'opera edilizia; tuttavia, essa ha il potere-dovere di verificare in capo al richiedente un idoneo titolo di godimento sull'immobile interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, al fine di accertare il requisito della sua legittimazione. Circa l'ampiezza dei poteri istruttori, a ciò finalizzati, è stato, peraltro, precisato che non si tratta di obbligare la P.A. a complessi e laboriosi accertamenti anche per non aggravare il procedimento.
Ciò premesso, nella specie non si ravvisano limiti sostanziali a richiedere e conseguire il titolo edilizio, in quanto si tratta di intervento riconducibile all'art. 1102 c.c., il quale consente le modificazioni apportate dal singolo condomino, senza necessità del consenso degli altri partecipanti alla comunione, tese a trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini, ivi compresa l'installazione sul muro di elementi ad esso estranei posti al servizio esclusivo della singola unità immobiliare, purché non precluda agli altri condomini l'uso del muro comune e non ne alteri la normale destinazione con interventi di eccessiva vastità (cfr., in relazione ad analoga fattispecie concernente l’installazione di canna fumaria, TAR Toscana, 29 aprile 2009, n. 724, nonché Id. 27 settembre 2012, n. 1569.
In sostanza, non può dubitarsi della riconducibilità all'ambito degli interventi contemplati dall'art. 1102 c.c. di tutte le modificazioni - apportabili dal singolo condomino, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti alla comunione - che consentono di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini, ivi compresa l'installazione sul muro di elementi ad esso estranei posti al servizio esclusivo della singola unità immobiliare, purché non precluda agli altri condomini l'uso del muro comune e non ne alteri la normale destinazione con interventi di eccessiva vastità (ferme restando, beninteso, le iniziative di tutela giurisdizionale esperibili dai condomini in sede civile).
2.- Le esposte ragioni militano nel senso della fondatezza del gravame, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato, nella parte in cui subordina l’efficacia della autorizzazione al conseguimento del previo consenso della compagine condominiale.
Le spese possono essere dichiarate, ricorrendone giustificato motivo, non ripetibili.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla in parte qua il provvedimento impugnato.
Spese non ripetibili.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Antonio Onorato, Presidente
Giovanni Grasso, Consigliere, Estensore
Paolo Severini, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/09/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


giovedì 17 ottobre 2013

PROCESSO & PROCEDIMENTO: sui termini processuali di deposito delle decisioni e sulla motivazione "per relationem" (Cons. St., Sez. IV, sentenza 2 marzo 2013 n. 1632).


PROCESSO & PROCEDIMENTO: 
sui termini processuali di deposito 
delle decisioni giurisdizionali
e sulla motivazione "per relationem
(Cons. St., Sez. IV, 
sentenza 2 marzo 2013 n. 1632). 


Massima

1.  E' jus receptum il principio per cui  i termini che regolano il deposito delle decisioni giurisdizionali hanno carattere ordinatorio, sicché il loro mancato rispetto, in mancanza di una diversa ed esplicita previsione contraria della legge processuale ed a parte ogni altra considerazione di altra natura, non può mai riverberarsi negativamente sulla validità della decisione, ma può solo condurre al riconoscimento del beneficio dell’errore scusabile per l’ipotesi – che comunque qui non viene in rilievo – di tardiva impugnazione della stessa.
2.  Va altresì precisato che se è vero che la motivazione per relationem è legittima a condizione che siano indicati e resi disponibili gli atti cui si fa rinvio, tale previsione va intesa semplicemente nel senso che all’interessato deve essere possibile di prenderne visione, di richiederne ed ottenerne copia in base alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi e di chiederne la produzione in giudizio; sicché non sussiste l’obbligo dell’Amministrazione di notificare all’interessato tutti gli atti richiamati nel provvedimento, ma soltanto l’obbligo di indicarne gli estremi e di metterli a disposizione sui richiesta dell’interessato.
3. E' ciò che è puntualmente avvenuto nella specie, mercé il richiamo agli atti posti in essere dalla Commissione consultiva nominata proprio per la definizione della vertenza di che trattasi.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 2550 del 2005, proposto dal COMUNE DI MORI, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Paolo Stella Richter e Flavio Dalbosco, con domicilio eletto presso il primo in Roma, viale G. Mazzini, 11, 
contro
- REGIONE AUTONOMA TRENTINO ALTO ADIGE - SUDTIROL, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata presso la stessa in in Roma, via dei Portoghesi, 12;
- PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, in persona del Presidente pro tempore, non costituita;
- COMUNE DI BRENTONICO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Daria De Pretis, con domicilio eletto presso l’avv. Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14; 
per la riforma e/o l’annullamento
della sentenza di data 24 giugno 2004 – 20 dicembre 2004, nr. 420, emessa dal Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino Alto Adige – Sudtirol con sede a Trento.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione della Regione Autonoma Trentino Alto Adige – Sudtirol e del Comune di Brentonico;
Viste le memorie prodotte dal Comune appellante (in date 4 e 15 gennaio 2013), dalla Regione (in data 17 dicembre 2012) e dal Comune di Brentonico (in data 4 gennaio 2013) a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2013, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi l’avv. Dalbosco per il Comune appellante, l’avv. Gabriele Pafundi, su delega dell’avv. De Pretis, per il Comune di Brentonico e l’avv. dello Stato Fabio Tortora per l’Amministrazione regionale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con la sentenza in epigrafe, notificata al Comune di Mori in data 26 gennaio 2005, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Trentino-Alto Adige- Sedtirol, ha respinto il ricorso nr. 57/2003 del Comune di Mori, odierno appellante, proposto per l’annullamento: del decreto del Presidente della Regione Autonoma Trentino Alto Adige – Sudtirol di data 29 novembre 2002, nr. 744/A, emesso ai sensi dell’art. 49 del decreto del Presidente della Giunta Regionale 27 febbraio 1995, nr. 4/L, nella controversia territoriale fra il Comune di Mori e il Comune di Brentonico; della deliberazione della Giunta Regionale di data 8 agosto 2002, nr. 776; della relazione conclusiva di data 2 luglio 2002 resa dalla “Commissione regionale consultiva per la formulazione di proposte per la definizione delle controversie territoriali fra i Comuni della Provincia di Trento”, richiamata dalla deliberazione della Giunta Regionale di data 8 agosto 2002, nr. 776, che a cotale relazione forma totale rinvio motivazionale ob relationem; della deliberazione della Giunta Provinciale di Trento di data 31 ottobre 2002, nr. 2686, per quanto occorrer possa; dei successivi atti tutti impugnati con motivi aggiunti e con motivi aggiunti ulteriori; di ogni altro atto comunque connesso, conseguente e presupposto.
Il Comune di Mori ha impugnato la sentenza deducendo, premessa una dettagliata ricostruzione storica della vertenza de qua e dei suoi più recenti esiti giudiziali:
1) violazione di legge (art. 55 della legge 27 aprile 1982, nr. 186, essendo stata la sentenza impugnata depositata ben oltre la scadenza del termine di legge di 45 giorni);
2) erronee e/o ingiuste motivazioni e statuizioni della sentenza appellata in ordine alle censure formulate dal ricorrente Comune di Mori nel proprio “atto di ricorso” di data 30 gennaio 2003, con specifico riferimento alle doglianze relative:
a) alla violazione del generale principio di procedura della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (per avere l’Amministrazione ritenuto di risolvere una controversia non di natura amministrativa, ma solo concernente i confini catastali);
b) alla omissione di decisione sul punto di controversia territoriale (determinazione dei confini del territorio amministrativo);
c) alla violazione di legge (art. 5 della legge regionale 31 luglio 1993, nr. 13) per difetto assoluto di motivazione del decreto del Presidente della Regione Autonoma Trentino Alto Adige – Sudtirol 29 novembre 2002, nr. 744/A (per non avere il Presidente della Giunta Regionale motivato la propria determinazione, limitandosi a fare rinvio a una serie di atti infraprocedimentali);
d) alla violazione e falsa applicazione di legge (art. 5.4 della l.r. nr. 13 del 1993) per difetto assoluto di motivazione del decreto del Presidente della Regione Autonoma Trentino Alto Adige – Sudtirol 29 novembre 2002, nr. 744/A (non essendo stato indicato e reso disponibile l’atto ivi richiamato ob relationem);
e) alla violazione e falsa applicazione di legge (art. 5.4 della l.r. nr. 13 del 1993) per carenza di motivazione del decreto del Presidente della Regione Autonoma Trentino Alto Adige – Sudtirol 29 novembre 2002, nr. 744/A (non avendo esso esaurientemente argomentato sugli elementi di giudizio);
f) alla violazione di legge (art. 3.2 della l.r. nr. 13 del 1993) per mancata determinazione da parte dell’Autorità regionale procedente del termine di conclusione del procedimento amministrativo all’esito gravato di ricorso;
g) alla violazione di legge (art. 3.3 – anche in relazione all’art. 2 – della l.r. nr. 13 del 1993) per mancata osservanza da parte dell’Autorità regionale procedente del termine di conclusione del procedimento amministrativo all’esito gravato, stabilito per legge in 30 giorni;
h) alla violazione di legge (artt. 10 e 11 della l.r. nr. 13 del 1993) per omessa identificazione del procedimento de quo e per omessa comunicazione della struttura amministrativa competente e del responsabile del detto procedimento da parte dell’Autorità regionale procedente;
i) alla violazione di legge (artt. 12, 13.1 e 14 della l.r. nr. 13 del 1993) per omessa comunicazione al Comune di Mori dell’avvio del procedimento de quo da parte dell’Autorità regionale procedente;
j) alla violazione di legge (artt. 12, 13.2 e 14 della l.r. nr. 13 del 1993) per omessa comunicazione a soggetti facilmente individuabili diversi dai diretti destinatari del provvedimento finale dell’avvio del procedimento de quo da parte dell’Autorità regionale procedente;
k) alla violazione di legge (art. 13.4.5.6 della l.r. nr. 13 del 1993) per omessa comunicazione al Comune di Mori del c.d. “preavviso di rigetto” nel procedimentode quo da parte dell’Autorità regionale procedente, alla derivata conculcazione del diritto del Comune di Mori di presentare per iscritto proprie osservazioni, al derivato difetto di motivazione del decreto presidenziale regionale gravato ed all’eccesso di potere ulteriormente derivato;
l) alla violazione e falsa applicazione di legge (art. 49 del d.P.G.R. nr. 4/L del 1995) in ordine al parere illegittimamente richiesto alla Provincia Autonoma di Trento (non ricadendo nel territorio di quest’ultima alcuna parte dell’area interessata dalla controversia);
m) alla incompetenza assoluta della Provincia Autonoma di Trento (art. 49 del d.P.G.R. nr. 4/L del 1995) a rendere il parere ad essa richiesto dall’Autorità regionale procedente;
n) alla violazione a falsa applicazione di norme di diritto per la illegittima sostituzione di un componente della Commissione consultiva originariamente e nominativamente istituita, ed alla illegittima composizione derivata della predetta Commissione;
o) alla omessa istruttoria o istruttoria insufficiente o comunque gravemente carente (in virtù del richiamo al parere della predetta Commissione consultiva);
p) all’eccesso di potere per omessa o comunque gravemente insufficiente istruttoria, tra cui la mancata acquisizione d’ufficio da parte dell’organo decidente il ricorso della mappa topografica allegata al regio decreto 26 settembre 1925, nr. 2163;
q) alla motivazione insufficiente, errata, pretestuosa e falsa, contraddittoria e gravemente illogica, perplessa e obiettivamente incomprensibile (a causa della insufficiente istruttoria);
r) all’eccesso di potere per difetto di istruttoria, alla radicale omessa valutazione di presupposti di fatto e di diritto, al travisamento di circostanze di fatto e di diritto, ad irragionevolezza, manifesta ingiustizia, manifesta illogicità e contraddittorietà;
s) all’eccesso di potere per difetto di istruttoria, alla radicale omessa valutazione e al travisamento dei presupposti di fatto e di diritto oggetto di allegazione, ad irragionevolezza, manifesta ingiustizia, manifesta illogicità e contraddittorietà;
t) all’eccesso di potere per falsità della causa e sviamento della causa tipica del provvedimento finale e del procedimento amministrativo ex art. 49 del d.P.G.R. nr. 4/L del 1995;
3) erronee e/o ingiuste motivazioni e statuizioni della sentenza appellata in ordine alle censure formulate dal ricorrente Comune di Mori nei propri “motivi aggiunti” di data 3 dicembre 2003, depositati il 12 dicembre 2003, con riferimento:
a) alla violazione di legge (art. 21 della legge 6 dicembre 1971, nr. 1034, con riguardo al mancato deposito in giudizio degli atti e documenti in base ai quali era stato emanato il provvedimento impugnato);
b) alle medesime censure di cui al precedente motivo, sub b) e c);
c) alla violazione di legge (art. 49 della l.r. nr. 4/L del 1995) in relazione alla deliberazione della Giunta Regionale di data 6 dicembre 2000, nr. 1391, di nomina della Commissione consultiva (con riguardo all’essersi quest’ultima arrogata competenze amministrative e decisionali, e non solo consultive);
d) alla violazione di legge (art. 49 della l.r. nr. 4/L del 1995) in relazione alla deliberazione della Giunta Regionale nr. 1391 del 2000 di nomina della Commissione consultiva (per essersi detto organo consultivo illegittimamente sostituito all’Autorità regionale decidente nell’audizione delle parti);
e) all’incompetenza assoluta (art. 49 della l.r. nr. 4/L del 1995) della Commissione consultiva regionale riguardo all’assunzione di poteri procedurali e decisori spettanti in toto all’Autorità regionale decidente, anche in relazione alla deliberazione della Giunta Regionale nr. 1391 del 2000 di nomina della stessa;
f) all’eccesso di potere derivato per tutto quanto sopra (in relazione al decreto impugnato ed agli effetti su di esso dei vizi dell’attività svolta dalla Commissione);
g) all’eccesso di potere per omessa e comunque gravemente insufficiente istruttoria, tra cui spicca la mancata acquisizione da parte della Commissione consultiva regionale della (da essa pur reputata risolutiva) mappa topografica allegata al r.d. nr. 2163 del 1925;
h) alla violazione di legge ed all’eccesso di potere per motivazione insufficiente, errata, pretestuosa e falsa, contraddittoria e gravemente illogica, perplessa e obiettivamente incomprensibile (con riguardo al significato attribuito alla Commissione ai regi decreti degli anni Venti del Novecento);
i) alla violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 49 del d.P.G.R. nr. 4/L del 1995) operata dalla deliberazione della Giunta Regionale nr. 1391 del 2000 e dal decreto del Presidente della Regione di data 6 novembre 2001, nr. 597/A, ed al derivato eccesso di potere per contraddittorietà e sviamento della causa (in relazione all’essere i patroni delle parti entrati nella stessa composizione della Commissione consultiva);
j) all’eccesso di potere per difetto di istruttoria, radicale omessa valutazione di presupposti di fatto e di diritto, travisamento di circostanze di fatto e di diritto, irragionevolezza, manifesta ingiustizia, manifesta illogicità e contraddittorietà (con riguardo al rilievo attribuito alla mancata esecuzione della sentenza dell’I.R. Corte di Giustizia in Affari Amministrativi di Vienna del 4 giugno 1898, nr. 2696);
k) all’eccesso di potere per difetto di istruttoria, radicale omessa valutazione e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto oggetto di allegazione, travisamento di circostanze di fatto e di diritto, irragionevolezza, manifesta ingiustizia, manifesta illogicità e contraddittorietà (in relazione alla valorizzazione del dato catastale compiuta dalla Commissione);
l) all’eccesso di potere per falsità della causa e sviamento della causa tipica del provvedimento finale e del procedimento amministrativo ex art. 49 del d.P.G.R. nr. 4/L del 1995;
4) erronee e/o ingiuste motivazioni e statuizioni della sentenza appellata in ordine alle censure formulate dal ricorrente Comune di Mori nei propri “motivi aggiunti ulteriori” di data 18 febbraio 2004, depositati il 26 febbraio 2004.
Per resistere all’appello, si sono costituiti la Regione Trentino Alto Adige – Sudtirol e il Comune di Brentonico, che hanno diffusamente argomentato nel senso dell’infondatezza del gravame, concludendo per la sua reiezione e la conferma della sentenza impugnata; inoltre, l’Amministrazione regionale ha eccepito la parziale inammissibilità dell’appello per carenza di specifiche censure avverso i capi della sentenza impugnata.
All’udienza del 5 febbraio 2013, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO
1. Giunge all’attenzione di questo Consiglio di Stato la controversia insorta tra i Comuni di Mori e di Brentonico per la definizione dei rispettivi confini territoriali, e in particolare per l’individuazione dell’appartenenza all’uno o all’altro Comune della località denominata “Bordina alta”, comprendente un’area montana configurata in modo da costituire una propaggine all’interno del territorio appartenente a Brentonico, che però è stata da tempo rivendicata dall’Amministrazione di Mori, odierna appellante.
Nel proprio appello, il detto Comune fornisce una dettagliatissima ricostruzione storica della vertenza (secondo alcuni risalente addirittura al Medio Evo), nella quale mette conto sottolineare due passaggi significativi e relativamente recenti, venuti in rilievo nel corso del procedimento amministrativo cui afferisce il presente giudizio:
- la sentenza della I.R. Corte di Giustizia in Affari Amministrativi di Vienna del 4 giugno 1898, nr. 2696, con la quale, in accoglimento dell’impugnazione proposta dal Comune di Mori, venne annullata la decisione del Ministero dell’Interno che aveva attribuito a Brentonico il territorio oggetto di contesa;
- i successivi regi decreti nr. 3251 del 30 dicembre 1923 e nr. 2163 del 26 settembre 1925, con i quali si è nuovamente tornati sulla delimitazione dei confini tra i due Comuni (essendo peraltro controverso tra le parti se con essi si intervenne o meno anche sull’area de qua).
Più recentemente, con decreto del Presidente della Giunta Regionale del Trentino Alto Adige – Sudtirol del 27 febbraio 1995, nr. 4/L, sono state dettate le regole per la definizione in via amministrativa delle “controversie territoriali” fra Comuni da parte della stessa Amministrazione regionale.
Oggetto del presente giudizio è, per l’appunto, l’esito di una di queste procedure contenziose, conclusasi con il riconoscimento della spettanza al Comune di Brentonico dell’area per cui è causa, che il Comune di Mori ha impugnato dinanzi al T.R.G.A. di Trento, il quale ha a sua volta respinto il ricorso con la sentenza oggetto dell’odierno gravame.
2. Tutto ciò premesso, la Sezione reputa l’appello infondato e pertanto meritevole di reiezione (ciò che consente di prescindere dall’eccezione di sua parziale inammissibilità sollevata dalle parti appellate).
3. Con il primo mezzo, si censura il mancato rispetto da parte del primo giudice del termine di legge di 45 giorni per il deposito della sentenza.
Il motivo è infondato, essendo jus receptum che i termini che regolano il deposito delle decisioni giurisdizionali hanno carattere ordinatorio, sicché il loro mancato rispetto, in mancanza di una diversa ed esplicita previsione contraria della legge processuale ed a parte ogni altra considerazione di altra natura, non può mai riverberarsi negativamente sulla validità della decisione, ma può solo condurre al riconoscimento del beneficio dell’errore scusabile per l’ipotesi – che comunque qui non viene in rilievo – di tardiva impugnazione della stessa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 novembre 2005, nr. 6492; Cons. Stato, sez. IV, 22 settembre 2003, nr. 5357).
4. Col secondo motivo di impugnazione l’Amministrazione appellante ha riprodotto integralmente, interpolandole con argomentazioni di critica alle opposte conclusioni del T.R.G.A., le doglianze originariamente articolate nel ricorso introduttivo del giudizio.
Su questi, tuttavia, va complessivamente condiviso l’avviso del primo giudice in ordine alla loro infondatezza.
4.1. Innanzi tutto, va confermato il giudizio di inconsistenza dei primi due motivi, con i quali si assume – in estrema sintesi – che l’Amministrazione regionale avrebbe frainteso i termini della controversia devolutale, limitando la propria decisione a una mera “revisione catastale” delle aree controverse anziché al dato sostanziale dell’appartenenza delle stesse all’uno o all’altro Comune.
Infatti, al di là di questioni nominalistiche e del dato formale costituito dall’uso di formule evocanti principalmente il dato catastale, ciò che rileva è, da un lato, che nella specie si sia seguita – come è incontestato – la procedura di cui all’art. 49 del citato d.P.G.R. nr. 4/L del 1995 (che è, appunto, specificamente finalizzata alla risoluzione delle vertenze territoriali fra Comuni), e per altro verso che l’istruttoria condotta abbia avuto riguardo, anche su sollecitazione dell’Amministrazione odierna appellante, alle vicende storiche interessanti l’area de qua, di modo che non è dubbio che la Regione si sia occupata prima e soprattutto del problema dell’effettiva spettanza di detta area all’uno o all’altro Comune.
4.2. Del pari infondati sono il terzo, il quarto e il quinto motivi di primo grado, con i quali è riproposta la doglianza di omessa o carente motivazione a sostegno delle determinazioni regionali impugnate.
Ed invero, come correttamente evidenziato dal primo giudice, l’art. 3 della legge 7 agosto 1990, nr. 241 (e la normativa regionale che a quest’ultima si richiama), ammette l’uso della motivazione per relationem attraverso il rinvio ad altri atti dell’Amministrazione: ed è ciò che è puntualmente avvenuto nella specie, mercé il richiamo agli atti posti in essere dalla Commissione consultiva nominata proprio per la definizione della vertenza di che trattasi.
Va altresì precisato che se è vero, come sottolinea parte appellante, che la motivazione per relationem è legittima a condizione che siano indicati e resi disponibili gli atti cui si fa rinvio, tale previsione va intesa semplicemente nel senso che all’interessato deve essere possibile di prenderne visione, di richiederne ed ottenerne copia in base alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi e di chiederne la produzione in giudizio; sicché non sussiste l’obbligo dell’Amministrazione di notificare all’interessato tutti gli atti richiamati nel provvedimento, ma soltanto l’obbligo di indicarne gli estremi e di metterli a disposizione sui richiesta dell’interessato.
Con riguardo al caso di specie, peraltro, risulta pacificamente che i Comuni interessati ebbero modo di partecipare ampiamente alla procedura gestita dall’Amministrazione regionale, di modo che può ritenersi non solo che essi fossero in grado di conoscere gli atti richiamati nella determinazione censurata, ma anche che ne conoscessero già – prima e indipendentemente da ogni successivo accesso - il contenuto essenziale.
4.3. Con i motivi richiamati nella narrativa in fatto al nr. 2, sub f), g), h), i), j) e k) sono riproposte una serie di censure attinenti a pretesi vizi procedimentali, in ordine alle quali pure va ribadito il giudizio di infondatezza e/o di irrilevanza espresso dal primo giudice.
In particolare:
- la mancata indicazione del termine di conclusione del procedimento non costituisce vizio invalidante, applicandosi in tale ipotesi il termine “suppletivo” fissato in via generale dall’art. 2 della legge nr. 241 del 1990;
- neanche l’inosservanza di detto termine determina l’illegittimità del provvedimento, essendo pacifico che la scadenza dello stesso non consuma il potere di provvedere dell’Amministrazione, potendo determinare bensì conseguenze in termini di legittimazione dell’interessato all’esercizio del rimedio processuale avverso il silenzio-inadempimento, di responsabilità del dirigente proposto etc.;
- l’omessa indicazione della struttura amministrativa competente e del responsabile del procedimento non dà luogo a vizio di legittimità, salvo che sia dimostrato un concreto pregiudizio (ciò che nella specie non è), applicandosi la norma suppletiva di cui all’art. 5 della citata legge nr. 241 del 1990, a tenore della quale nella prospettata ipotesi è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto all’unità organizzativa competente (cfr. Cons. Stato, sez. II, 16 maggio 2007, parere nr. 866);
- pacificamente non era necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della legge nr. 241 del 1990, trattandosi nella specie di procedimento avviato ad istanza degli stessi Comuni interessati;
- non sussiste l’interesse del Comune appellante a lamentare l’omessa comunicazione del provvedimento finale ad altri soggetti diversi dai Comuni destinatari (soggetti dei quali, peraltro, parte appellante non fornisce alcuna individuazione);
- nemmeno può considerarsi invalidante l’omessa previa notifica del preavviso di rigetto, potendo considerarsi l’eventuale vizio irrilevante – come puntualmente evidenziato dal primo giudice – alla luce della concreta e attiva partecipazione alla procedura che comunque è stata consentita al Comune appellante (il quale, infatti, non ha chiarito se e quale specifico pregiudizio sarebbe disceso dall’omissione del ridetto adempimento formale).
4.4. Del pari privi di pregio sono i due motivi, qui riproposti, con i quali si lamenta l’illegittima acquisizione del parere anche della Provincia Autonoma di Bolzano, oltre che di quella di Trento.
In effetti, tale acquisizione era superflua, essendo pacifico che nessuna parte dell’area in contestazione ricade nel territorio della Provincia di Bolzano; e, tuttavia, è del tutto ragionevole concludere che siffatto passaggio procedurale non abbia avuto alcun effetto invalidante sugli ulteriori atti del procedimento di che trattasi.
4.5. Va respinta anche la censura afferente alla asseritamente illegittima sostituzione di un componente della Commissione consultiva nominata dalla Regione durante l’iter procedimentale.
Al riguardo, va condiviso l’avviso del T.R.G.A. il quale, muovendo dal rilievo che secondo le determinazioni regionali il detto soggetto entrava a far parte della Commissione in ragione della carica da lui rivestita (Capo di gabinetto del Presidente della Giunta Regionale), ha ritenuto che la perdita di tale qualità comportasse necessariamente anche la decadenza dall’incarico con l’automatico subentro del successore nel ruolo; al contrario, sarebbe stata a forte rischio di illegittimità un’ipotetica permanenza dell’originario componente anche dopo la cessazione dell’incarico amministrativo, non risultando affatto che l’individuazione dei membri della Commissione fosse avvenuta intuitu personae.
Né può obiettarsi, in contrario, che il componente sostituito fosse in possesso di specifiche competenze tecniche, e non anche colui che lo rimpiazzò: in questo modo, si censurano in termini di opportunità le scelte dell’Amministrazione in ordine alle persone chiamate a comporre l’organo consultivo, ma non si introduce alcun concreto ed effettivo vizio di legittimità di dette scelte.
4.6. Con un ulteriore gruppo di censure (richiamate nella narrativa in fatto al punto nr. 2, sub p), r), s) e t) parte appellante torna a denunciare l’illegittimità della stessa decisione dell’Amministrazione regionale di nominare una Commissione consultiva, deducendo per un verso che in tal modo la Regione avrebbe abdicato alle proprie potestà istruttorie e decisionali, e d’altro canto che la Commissione avrebbe travalicato il proprio ruolo consultivo, non limitandosi ad esprimere un parere ma arrogandosi una vera e propria potestà decisoria.
Le doglianze in questione sono infondate, in primo luogo perché, se è vero che nessuna norma contemplava tale modus procedendi, non ve ne era neanche alcuna che lo proibisse.
Inoltre, ad onta della denominazione attribuita alla Commissione nominata dall’Amministrazione, dal complesso degli atti di causa appare evidente che la sua designazione fu intesa proprio allo scopo di affidare ad un organo ad hoc tutta l’attività istruttoria prodromica e necessaria per l’espressione del parere sulla cui base l’Amministrazione regionale avrebbe poi definito la vertenza.
Sul punto, può aggiungersi che del tutto apodittico ed arbitrario è il parallelo che parte appellante cerca di tracciare fra la Commissione de qua e una commissione edilizia, atteso che i poteri di quest’ultima sono ben delimitati dalla legge e che i suoi compiti sono del tutto inassimilabili a quelli svolti nella specie.
4.7. Con la censura richiamata al punto nr. 2, sub q), della narrativa in fatto, si lamenta la mancata acquisizione, sia in sede amministrativa che giurisdizionale, della mappa topografica allegata al già citato r.d. nr. 2163 del 1925.
Il T.R.G.A. ha ritenuto infondato il motivo, evidenziando che non vi era contestazione inter partes in ordine all’esatta individuazione del territorio oggetto di controversia; sul punto, per vero, parte appellante nulla eccepisce, limitandosi a insistere nell’affermazione che giammai con tale decreto sarebbero stati presi provvedimenti in ordine all’area della “alta Bordina”.
L’assunto è chiaro – essendo, anzi, parte essenziale del thema decidendum quale sia stata l’esatta portata dei regi decreti degli anni Venti -, ma al di là di ciò (e in disparte la circostanza della difficoltà incontrata nel reperimento di documentazione cartografica così risalente) il Comune appellante non chiarisce in alcun modo in quale modo l’acquisizione della predetta mappa avrebbe potuto essere utile al riguardo, né quale concreto pregiudizio l’omissione abbia cagionato nelle conclusioni raggiunte dalla Regione.
5. Col secondo mezzo di gravame, il Comune di Mori reitera le censure articolate in primo grado con i primi motivi aggiunti, criticando le conclusioni raggiunte dal T.A.R. circa la loro infondatezza.
Tuttavia, anche queste ultime doglianze risultano destituite di fondatezza.
5.1. In primis, va respinto il motivo con cui parte appellante torna a insistere sulle omissioni e i ritardi di cui l’Amministrazione regionale si sarebbe resa responsabile nel corso del giudizio, con riguardo al deposito della documentazione indispensabile ai fini del decidere.
Al riguardo, va ribadito che ogni eventuale atteggiamento scorretto dell’Amministrazione che dovesse essere dimostrato è destinato a produrre effetti esclusivamente sul piano processuale, incidendo sulle facoltà attribuite alle altre parti del giudizio (e innanzi tutto, per l’appunto, su quella di proporre motivi aggiunti in corso di causa), senza in alcun modo riverberarsi sulla legittimità o illegittimità degli atti impugnati.
5.2. Di poi, con i motivi richiamati al punto 3, sub b), della narrativa in fatto, è stata riproposta la questione dell’asserito fraintendimento dei compiti commessi all’Amministrazione, la quale avrebbe limitato il proprio accertamento a una verifica “catastale” anziché alla ricostruzione in chiave storica dei confini tra i due Comuni contrapposti.
Sul punto, è pertanto sufficiente richiamare i rilievi che si sono svolti sub 4.1 in punto di infondatezza delle dette censure.
5.3. Del pari già trattati sono i motivi evocati nella narrativa in fatto al punto 3, sub c), d), e) ed f) con cui l’Amministrazione appellante torna a denunciare i vizi connessi all’operato della Commissione consultiva nominata dalla Regione ed alle sue attribuzioni.
Al riguardo, possono richiamarsi i rilievi svolti al punto 4.6 che precede in ordine all’inconsistenza delle doglianze de quibus.
A questi può aggiungersi solo, quanto alla evidenziata partecipazione ai lavori della Commissione dei “legali” dei Comuni interessati, che questa non costituisce ex se un vizio degli atti impugnati: infatti, la procedura di cui al più volte citato art. 49 del d.P.G.R. nr. 4/L del 1995 era bensì finalizzata a risolvere una vertenza territoriale fra Comuni, ma non necessariamente all’interno di un quadro contenzioso, ben potendo la soluzione essere individuata in via concordata a livello amministrativo; di conseguenza, è erroneo affermare che la presenza dei due legali suindicati avrebbe dovuto essere circoscritta alla “attività defensionale” svolta nell’interesse dei Comuni patrocinati, essendo il loro ruolo chiaramente inteso – prima ancora dell’aprirsi della fase contenziosa – a contribuire all’attività istruttoria della Commissione, apportando ogni elemento utile alle sue determinazioni finali.
5.4. Analogamente, è sufficiente richiamare quanto già esposto sub 4.7 per evidenziare l’infondatezza della censura, riproposta coi motivi aggiunti di primo grado e richiamata al punto 3, sub g), della narrativa in fatto, relativa alla mancata acquisizione della mappa topografica a suo tempo allegata al r.d. nr. 2163 del 1925.
6. Si giunge così al quarto mezzo, col quale – al di là della reiterazione di doglianze procedimentali della cui infondatezza si è già detto - è sottoposta alla Sezione la questione di merito sottesa alle determinazioni conclusive della Commissione consultiva, nel senso della spettanza al Comune di Brentonico del territorio controverso.
6.1. Al riguardo, il nodo problematico centrale è rappresentato dal valore da attribuire ai già richiamati rr.dd. del 1923 e del 1925, con i quali certamente si intervenne a definire i confini tra i Comuni di Mori e Brentonico: il T.R.G.A., condividendo la tesi della seconda di dette Amministrazioni comunali, ha ritenuto che con tale rideterminazione fu definitivamente risolta e superata anche la questione della “Bordina alta”, attribuendola una volta per tutte appunto al Comune di Brentonico; parte appellante, al contrario, reputa documentato che la questione de qua fu lasciata impregiudicata nella circostanza, essendo i decreti in parola finalizzati a intervenire unicamente su altra vicenda, e segnatamente sull’annessione al Comune di Brentonico della frazione di Loppio (già signoria di Castelbarco).
Pertanto, i decreti de quibus non avrebbero comportato il superamento della precedente sentenza della I.R. Corte di Giustizia in Affari Amministrativi di Vienna nr. 2696 del 1898, con la quale, risolvendosi una precedente controversia amministrativa, il territorio conteso era stato invece attribuito al Comune di Mori; la circostanza, evidenziata da controparte, secondo cui tale sentenza non sarebbe stata mai eseguita non varrebbe a far venir meno la sua perdurante vincolatività, stante l’estraneità dei provvedimenti successivi alla vicenda che qui occupa.
Inoltre, il Comune istante evidenzia come, già all’indomani dei ridetti decreti, la controversia riprese vigore, avendo praticamente fin da subito l’Amministrazione di Mori rappresentato il proprio intendimento di porre nuovamente in varie sedi la questione dell’appartenenza dell’area montana in questione.
6.2. Tutto ciò premesso, la Sezione ritiene che un piano e sereno esame dei regi decreti del 1923 e del 1925 conforti l’avviso del primo giudice.
Infatti, se è vero che l’occasione del ricordato intervento amministrativo fu costituita dal distacco della frazione di Loppio da Brentonico e dalla sua annessione a Mori (ciò che si ricava anche dalla premessa del r.d. nr. 2163 del 1925), dal tenore testuale dell’art. 1 del medesimo decreto emerge con chiarezza l’intendimento di pervenire a una definizione totale dei confini tra i due Comuni (“Il confine fra i comuni di Brentonico e Mori è stabilito…”), senza far cenno ad alcuna residua questione rimasta aperta o impregiudicata.
Di conseguenza, come correttamente evidenziato dalla difesa del Comune di Brentonico, l’Amministrazione odierna appellante, ove avesse inteso contestare le determinazioni adottate a livello nazionale e riaprire formalmente la questione, avrebbe dovuto necessariamente impugnare i regi decreti in questione, se del caso evidenziando in tale sede il proprio persistente interesse a che la precedente sentenza della Corte viennese ricevesse esecuzione.
Ciò non essendo avvenuto, perde consistenza ogni accadimento storico e amministrativo antecedente agli interventi normativi del 1923-1925; del pari, ha poca rilevanza il fatto che in seguito il Comune di Mori abbia cercato di riaprire la questione, in quanto ciò – quand’anche risultasse provato che tale tentativo avesse incontrato una qualche disponibilità da parte di altre Autorità – attiene alla sfera dei rapporti politici, nella quale come è ovvio sarebbe stato consentito anche superare o porre nel nulla consensualmente la determinazione di confini avvenuta con i ridetti decreti.
Una volta però che tale soluzione politica non è stata trovata, è evidente che quella determinazione era destinata a costituite un “punto fermo” nei rapporti giuridico-amministrativi fra i Comuni interessati, con la conseguenza che appare del tutto immune da censure la scelta della Regione di valorizzare al massimo tale passaggio nella risoluzione della vertenza devolutale.
7. Alla luce dei rilievi fin qui svolti, s’impone la reiezione dell’appello con l’integrale conferma della sentenza impugnata.
8. In considerazione della complessità e della peculiarità della vicenda esaminata, sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del grado.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 febbraio 2013 con l’intervento dei magistrati:
Marzio Branca, Presidente FF
Sergio De Felice, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/03/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


mercoledì 16 ottobre 2013

PROCEDIMENTO: il silenzio-inadempiemento nella fattispecie di cui all'art. 20 del Testo Unico dell'Edilizia - d.P.R. n. 380/01 (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, sentenza 3 giugno 2013 n. 5536).


PROCEDIMENTO: 
il silenzio-inadempiemento 
nella fattispecie di cui all'art. 20 
del Testo Unico dell'Edilizia - d.P.R. n. 380/01 
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 
sentenza 3 giugno 2013 n. 5536)

Massima

1.  Ai sensi dell'art. 20, d.P.R. n. 380 del 2001, sussiste l'obbligo del Comune di concludere comunque il procedimento attivato nel caso di specie con una istanza di frazionamento e di cambio di destinazione d'uso di un immobile, applicando le disposizioni ivi contenute in ordine all'eventuale acquisizione di pareri di più Amministrazioni e alla convocazione della Conferenza di Servizi. 
2.  In presenza dei presupposti, la P.A. è tenuta a pronunciarsi espressamente, con atto formale e motivatamente, secondo i principi generali dell'azione amministrativa; infatti, la discrezionalità della P.A. nell' an e nel quantum non implica che essa possa sottrarsi all'obbligo di provvedere esplicitamente e motivatamente sulle ragioni del suo intendimento favorevole o sfavorevole all'interessato. 
3.  A fortiori si deve, dunque, affermare che quando sia stata convocata la Conferenza di Servizi e quest'ultima abbia assunto le relative determinazioni, il Comune ha l'obbligo di pronunciarsi sulle stesse, mediante deliberazione del Consiglio Comunale . In difetto di tale pronuncia, si realizza pertanto un'ipotesi di silenzio-inadempimento , giustiziabile con il rito ex artt. 31 e 117 c.p.a..


Sentenza per esteso

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 876 del 2013, proposto da:
Fernanda Buccella, rappresentata e difesa dagli avv.ti Stenio Salzano e Paolo Ricciardi, con domicilio eletto presso il loro studio, in Roma, viale Tiziano, 80; 
contro
Comune di Castel Madama, rappresentato e difeso dall'avv. Maria Teresa Desideri, con domicilio eletto presso l’avv. Maria Beatrice Zammit in Roma, via Alessandria, 130;
Regione Lazio, n.c.; 
nei confronti di
Maria Euple Pacifici, n.c.; 
per la declaratoria dell’illegittimità
del silenzio – inerzia del Comune di Castel Madama in ordine alla convocazione di una Conferenza di servizi per acquisire gli atti d'assenso necessari all'avviamento dell'attività di sede farmaceutica n. 2 del medesimo Comune, nonchè sull'istanza del 20 marzo 2011 di rilascio di permesso di costruire per il frazionamento ed il cambio di destinazione d'uso dell'immobile sito in Castel Madama via Empolitana km 3+400;
e per la declaratoria
dell’obbligo del Comune di provvedere in ordine alla convocazione della predetta Conferenza di servizi;
e per la nomina
di un Commissario ad acta che provveda alla indicata Conferenza di servizi;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Castel Madama;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2013 il Consigliere Solveig Cogliani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1 - Con il ricorso indicato in epigrafe, l’istante, premesso di essere risultata vincitrice di un concorso pubblico indetto con bando 9 aprile 2001 n. 166 per l’assegnazione di sedi farmaceutiche, ottenendo con provvedimento 3 giugno 2008 n. 65516 , la sede n. 2 del Comune di Castel Madama, esponeva di aver individuato un locale idoneo in via Empolitana Km 3,400 di proprietà del sig. Refrigeri, ottenendo parere favorevole da parte della USL Roma G in data 12 maggio 2010 e che, tuttavia, in data 10 giugno 2010 l’Amministrazione rappresentava che il locale non aveva idonea destinazione urbanistica. Di seguito, dunque, intercorsa una serie di sospensioni del procedimento, l’istante, evidenziato di essere in attesa della definitiva approvazione da parte della Regione di una variante al P.R.G. che prevede tra l’altro, per l’area in esame destinazioni urbanistiche compatibili, invitava il Comune a provvedere attraverso il rilascio di un permesso in deroga agli strumenti urbanistici vigenti ai sensi dell’art. 14, d.P.R. 6 giugno 2011 n. 380. Con domanda del 20 marzo 2012, il sig. Refrigeri Antonio, nella qualità di Amministratore unico della Società A&G.R., proprietaria dell’unità immobiliare d’interesse, chiedeva il permesso di costruire per il frazionamento ed il contestuale cambio di destinazione d’uso da industriale a commerciale della predetta unità. Di seguito lo Sportello unico dell’Edilizia del Comune comunicava al legale rappresentante della Società indicata che la procedura istruttoria si sarebbe conclusa entro sessanta giorni dalla data di deposito della domanda. Su istanza della ricorrente in qualità di interessata, il Comune informava che lo Sportello Unico aveva fissato per la data del 20 giugno 2012 apposita Conferenza di servizi per acquisire e conseguire tutti i prescritti atti di assenso e concedeva un’ulteriore proroga dei termini del procedimento, che era reiterata sino al 31 marzo 2013 in attesa della conclusione del procedimento.
Stante l’inerzia dell’Amministrazione, la ricorrente proponeva ricorso deducendo i seguenti profili di illegittimità: violazione e errata applicazione dell’art. 20, comma 3, d.P.R. 6 giugno 2011 n. 380 e s.m.i. in relazione al comma 6 e all’art. 11, d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, nonché errore nei presupposti, difetto di istruttoria, contraddittorietà ed illogicità.
Chiedeva, dunque, previa declaratoria dell’illegittimità del silenzio serbato, di ordinarsi al Comune la convocazione del Consiglio comunale e della Conferenza dei servizi ovvero di nominare un Commissario ad acta perché provveda al posto dell’Amministrazione, con riserva di proporre un autonomo giudizio ai fini risarcitori.
Si costituiva l’Amministrazione, precisando di aver tempestivamente comunicato il preavviso di rigetto a fronte della mancanza di compatibilità urbanistica dei locali individuati. Eccepiva, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione ad agire poiché i predetti locali non risultano né di proprietà né in disponibilità dell’istante. In via gradata, chiedeva la reiezione del gravame poiché con nota prot. 4983 del 17 maggio 2012 il Comune aveva convocato la Conferenza di servizi per il 20 giugno 2012 e la ASL RM G faceva pervenire il proprio parere, sicchè era redatto verbale, inviato alle pubbliche amministrazioni con nota prot. n. 6439 del 28 giugno 2012. Peraltro, il responsabile dell’Ufficio tecnico comunale predisponeva lo schema di deliberazione da sottoporre all’assemblea consiliare competente a rilasciare l’autorizzazione ai fini del rilascio di un permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici.
Tuttavia precisava che la convocazione del consiglio comunale costituisce atto altamente discrezionale e che non esistono termini perentori per la conclusione di siffatto procedimento.
Alla camera di consiglio fissata per la discussione, dopo il deposito di memorie in replica, la causa era trattenuta in decisione il 9 maggio 2013.
2 – Osserva, preliminarmente, il Collegio che l’art. 31 c.p.a. dispone al primo comma che “Decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere”.
Nella specie non pare potersi porre in dubbio la sussistenza di una posizione legittimante in capo alla ricorrente, con riferimento alla conclusione del procedimento teso all’ottenimento del permesso di costruire per frazionamento e cambio di destinazione, stante da un lato la sottoscrizione del contratto preliminare stipulato con la Società proprietaria e del versamento della caparra alla medesima Società, come prelazione sull’affitto del locale di cui si discute, dall’altro in riferimento più specificamente alla individuazione del locale in questione come sede della farmacia assegnata alla ricorrente.
3 – Passando, dunque, all’esame del merito, deve rilevarsi che – come documentato dall’Amministrazione resistente – la Conferenza dei servizi era convocata in data 20 giugno 2012 e successivamente era redatto verbale poi inviato a tutti gli enti convocati, tant’è che il Responsabile del servizio interessato predisponeva la delibera consiliare per il rilascio del permesso in deroga in considerazione dell’elevato interesse pubblico.
Per tale capo di domanda il ricorso, dunque, va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Tuttavia il procedimento non risulta concluso, non essendo stato convocato il Consiglio comunale per l’adozione della prescritta autorizzazione.
4 - Ai sensi dell’art. 20, d.P.R. n. 380 del 2001, sussiste l’obbligo del Comune di concludere comunque il procedimento, applicando le disposizioni ivi contenute in ordine anche all’eventuale acquisizione di pareri di più amministrazioni ed alla convocazione della Conferenza di servizi. In presenza dei presupposti, la P.A. è tenuta a pronunciarsi espressamente, con atto formale e motivatamente, secondo i principi generali dell’azione amministrativa; infatti, la discrezionalità della pubblica amministrazione nell’an e nel quomodo non implica che essa possa sottrarsi all’obbligo di provvedere esplicitamente e motivatamente sulle ragioni del suo intendimento favorevole o sfavorevole all’interessato.
Nella specie l’art. 14 dello stesso decreto dispone che “Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia”.
A fortiori si deve, dunque, affermare che quando sia stata convocata la Conferenza di Servizi e quest’ultima abbia assunto le relative determinazioni, il Comune ha l’obbligo di pronunciarsi sulle stesse, mediante deliberazione del Consiglio Comunale; in difetto di tale pronuncia si realizza, pertanto, un’ipotesi di silenzio-inadempimento, giustiziabile con il rito ex artt. 31 e 117 del d.lgs. n. 104/2010.
Tale affermazione trova una chiara conferma nella fattispecie già esaminata dalla giurisprudenza (TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 09.12.2008, n. 2325), con riguardo alla previsione contenuta nell’ art. 5, comma 2, del d.P.R. n. 447/1998, relativamente al procedimento di autorizzazione per la realizzazione, ampliamento, ristrutturazione e riconversione degli impianti produttivi, per il quale si è detto che ad esito della Conferenza di servizi, convocata ex art. 14 della l. n. 241/1990, il Consiglio comunale è tenuto a pronunziarsi definitivamente entro sessanta giorni .
Ne consegue che non può trovare condivisione la tesi di parte resistente in ordine alla sottraibilità della convocazione del Consiglio comunale ai principi che reggono il procedimento amministrativo, laddove – come in questo caso – essa sia necessaria ai fini di concludere comunque il procedimento. Il Comune è tenuto a valutare l’istanza e, in esito a siffatta valutazione, a rilasciare l’autorizzazione o rigettarla motivatamente, in modo da consentire l’eventuale corso della tutela del privato interessato.
5 – Per i motivi sopra esposti, in parziale accoglimento del ricorso, deve ordinarsi al Comune di Castel Madama di adottare i provvedimenti espressi relativi all’istanza formulata in ordine al frazionamento ed al cambio di destinazione d’uso dell’immobile sito nel medesimo Comune alla via Empolitana Km 3+400, nel termine di sessanta giorni dalla notificazione ovvero dalla comunicazione della presente decisione, con l’avvertenza che in caso di perdurare dell’inerzia dell’amministrazione si procederà alla nomina del commissario ad acta a mera richiesta della parte istante.
6 – In ragione del parziale accoglimento del ricorso, sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite tra le parti.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara improcedibile con riferimento all’istanza di convocazione della Conferenza di servizi ed, in ordine alla domanda di conclusione del procedimento, ordina al Comune di Castel Madama di adottare i provvedimenti espressi relativi all’istanza formulata in ordine al frazionamento ed al cambio di destinazione d’uso dell’immobile sito nel medesimo Comune alla via Empolitana Km 3+400, nel termine di sessanta giorni dalla notificazione ovvero dalla comunicazione della presente decisione, con l’avvertenza che in caso di perdurare dell’inerzia dell’amministrazione si procederà alla nomina del commissario ad acta a mera richiesta della parte istante.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Eduardo Pugliese, Presidente
Antonio Vinciguerra, Consigliere
Solveig Cogliani, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)