PROCESSO & PROCEDIMENTO:
sui termini processuali di deposito
delle decisioni giurisdizionali
e sulla motivazione "per relationem"
(Cons. St., Sez. IV,
sentenza 2 marzo 2013 n. 1632).
Massima
1. E' jus receptum il principio per cui i termini che regolano il deposito delle
decisioni giurisdizionali hanno carattere ordinatorio, sicché il loro mancato
rispetto, in mancanza di una diversa ed esplicita previsione contraria della
legge processuale ed a parte ogni altra considerazione di altra natura, non può
mai riverberarsi negativamente sulla validità della decisione, ma può solo
condurre al riconoscimento del beneficio dell’errore scusabile per l’ipotesi –
che comunque qui non viene in rilievo – di tardiva
impugnazione della stessa.
2. Va altresì precisato che se è vero che la motivazione per relationem è legittima a condizione che siano indicati e resi disponibili gli atti cui si fa rinvio, tale previsione va intesa semplicemente nel senso che all’interessato deve essere possibile di prenderne visione, di richiederne ed ottenerne copia in base alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi e di chiederne la produzione in giudizio; sicché non sussiste l’obbligo dell’Amministrazione di notificare all’interessato tutti gli atti richiamati nel provvedimento, ma soltanto l’obbligo di indicarne gli estremi e di metterli a disposizione sui richiesta dell’interessato.
3. E' ciò che è puntualmente avvenuto nella specie, mercé il richiamo agli atti posti in essere dalla Commissione consultiva nominata proprio per la definizione della vertenza di che trattasi.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 2550 del 2005, proposto dal
COMUNE DI MORI, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato
e difeso dagli avv.ti Paolo Stella Richter e Flavio Dalbosco, con domicilio
eletto presso il primo in Roma, viale G. Mazzini, 11,
contro
- REGIONE AUTONOMA TRENTINO ALTO ADIGE - SUDTIROL, in
persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa ope
legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata presso la
stessa in in Roma, via dei Portoghesi, 12;
- PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, in persona del Presidente pro tempore, non costituita;
- COMUNE DI BRENTONICO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Daria De Pretis, con domicilio eletto presso l’avv. Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14;
- PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, in persona del Presidente pro tempore, non costituita;
- COMUNE DI BRENTONICO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Daria De Pretis, con domicilio eletto presso l’avv. Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14;
per la riforma e/o l’annullamento
della sentenza di data 24 giugno 2004 – 20 dicembre
2004, nr. 420, emessa dal Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del
Trentino Alto Adige – Sudtirol con sede a Trento.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione della Regione Autonoma
Trentino Alto Adige – Sudtirol e del Comune di Brentonico;
Viste le memorie prodotte dal Comune appellante (in
date 4 e 15 gennaio 2013), dalla Regione (in data 17 dicembre 2012) e dal Comune
di Brentonico (in data 4 gennaio 2013) a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 5 febbraio
2013, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi l’avv. Dalbosco per il Comune appellante, l’avv.
Gabriele Pafundi, su delega dell’avv. De Pretis, per il Comune di Brentonico e
l’avv. dello Stato Fabio Tortora per l’Amministrazione regionale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe, notificata al Comune di
Mori in data 26 gennaio 2005, il Tribunale Amministrativo Regionale per il
Trentino-Alto Adige- Sedtirol, ha respinto il ricorso nr. 57/2003 del Comune di
Mori, odierno appellante, proposto per l’annullamento: del decreto del
Presidente della Regione Autonoma Trentino Alto Adige – Sudtirol di data 29
novembre 2002, nr. 744/A, emesso ai sensi dell’art. 49 del decreto del
Presidente della Giunta Regionale 27 febbraio 1995, nr. 4/L, nella controversia
territoriale fra il Comune di Mori e il Comune di Brentonico; della
deliberazione della Giunta Regionale di data 8 agosto 2002, nr. 776; della
relazione conclusiva di data 2 luglio 2002 resa dalla “Commissione regionale
consultiva per la formulazione di proposte per la definizione delle
controversie territoriali fra i Comuni della Provincia di Trento”, richiamata
dalla deliberazione della Giunta Regionale di data 8 agosto 2002, nr. 776, che
a cotale relazione forma totale rinvio motivazionale ob relationem; della
deliberazione della Giunta Provinciale di Trento di data 31 ottobre 2002, nr.
2686, per quanto occorrer possa; dei successivi atti tutti impugnati con motivi
aggiunti e con motivi aggiunti ulteriori; di ogni altro atto comunque connesso,
conseguente e presupposto.
Il Comune di Mori ha impugnato la sentenza deducendo,
premessa una dettagliata ricostruzione storica della vertenza de qua e
dei suoi più recenti esiti giudiziali:
1) violazione di legge (art. 55 della legge 27 aprile
1982, nr. 186, essendo stata la sentenza impugnata depositata ben oltre la
scadenza del termine di legge di 45 giorni);
2) erronee e/o ingiuste motivazioni e statuizioni
della sentenza appellata in ordine alle censure formulate dal ricorrente Comune
di Mori nel proprio “atto di ricorso” di data 30 gennaio 2003, con
specifico riferimento alle doglianze relative:
a) alla violazione del generale principio
di procedura della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (per avere
l’Amministrazione ritenuto di risolvere una controversia non di natura
amministrativa, ma solo concernente i confini catastali);
b) alla omissione di decisione sul punto di
controversia territoriale (determinazione dei confini del territorio
amministrativo);
c) alla violazione di legge (art. 5 della
legge regionale 31 luglio 1993, nr. 13) per difetto assoluto di motivazione del
decreto del Presidente della Regione Autonoma Trentino Alto Adige – Sudtirol 29
novembre 2002, nr. 744/A (per non avere il Presidente della Giunta Regionale
motivato la propria determinazione, limitandosi a fare rinvio a una serie di
atti infraprocedimentali);
d) alla violazione e falsa applicazione di
legge (art. 5.4 della l.r. nr. 13 del 1993) per difetto assoluto di motivazione
del decreto del Presidente della Regione Autonoma Trentino Alto Adige –
Sudtirol 29 novembre 2002, nr. 744/A (non essendo stato indicato e reso
disponibile l’atto ivi richiamato ob relationem);
e) alla violazione e falsa applicazione di
legge (art. 5.4 della l.r. nr. 13 del 1993) per carenza di motivazione del
decreto del Presidente della Regione Autonoma Trentino Alto Adige – Sudtirol 29
novembre 2002, nr. 744/A (non avendo esso esaurientemente argomentato sugli
elementi di giudizio);
f) alla violazione di legge (art. 3.2 della
l.r. nr. 13 del 1993) per mancata determinazione da parte dell’Autorità
regionale procedente del termine di conclusione del procedimento amministrativo
all’esito gravato di ricorso;
g) alla violazione di legge (art. 3.3 –
anche in relazione all’art. 2 – della l.r. nr. 13 del 1993) per mancata
osservanza da parte dell’Autorità regionale procedente del termine di
conclusione del procedimento amministrativo all’esito gravato, stabilito per
legge in 30 giorni;
h) alla violazione di legge (artt. 10 e 11
della l.r. nr. 13 del 1993) per omessa identificazione del procedimento de
quo e per omessa comunicazione della struttura amministrativa
competente e del responsabile del detto procedimento da parte dell’Autorità
regionale procedente;
i) alla violazione di legge (artt. 12, 13.1
e 14 della l.r. nr. 13 del 1993) per omessa comunicazione al Comune di Mori
dell’avvio del procedimento de quo da parte dell’Autorità
regionale procedente;
j) alla violazione di legge (artt. 12, 13.2
e 14 della l.r. nr. 13 del 1993) per omessa comunicazione a soggetti facilmente
individuabili diversi dai diretti destinatari del provvedimento finale
dell’avvio del procedimento de quo da parte dell’Autorità regionale
procedente;
k) alla violazione di legge (art. 13.4.5.6
della l.r. nr. 13 del 1993) per omessa comunicazione al Comune di Mori del c.d.
“preavviso di rigetto” nel procedimentode quo da parte
dell’Autorità regionale procedente, alla derivata conculcazione del diritto del
Comune di Mori di presentare per iscritto proprie osservazioni, al derivato
difetto di motivazione del decreto presidenziale regionale gravato ed
all’eccesso di potere ulteriormente derivato;
l) alla violazione e falsa applicazione di
legge (art. 49 del d.P.G.R. nr. 4/L del 1995) in ordine al parere
illegittimamente richiesto alla Provincia Autonoma di Trento (non ricadendo nel
territorio di quest’ultima alcuna parte dell’area interessata dalla
controversia);
m) alla incompetenza assoluta della
Provincia Autonoma di Trento (art. 49 del d.P.G.R. nr. 4/L del 1995) a rendere
il parere ad essa richiesto dall’Autorità regionale procedente;
n) alla violazione a falsa applicazione di
norme di diritto per la illegittima sostituzione di un componente della
Commissione consultiva originariamente e nominativamente istituita, ed alla
illegittima composizione derivata della predetta Commissione;
o) alla omessa istruttoria o istruttoria
insufficiente o comunque gravemente carente (in virtù del richiamo al parere
della predetta Commissione consultiva);
p) all’eccesso di potere per omessa o
comunque gravemente insufficiente istruttoria, tra cui la mancata acquisizione
d’ufficio da parte dell’organo decidente il ricorso della mappa topografica
allegata al regio decreto 26 settembre 1925, nr. 2163;
q) alla motivazione insufficiente, errata,
pretestuosa e falsa, contraddittoria e gravemente illogica, perplessa e
obiettivamente incomprensibile (a causa della insufficiente istruttoria);
r) all’eccesso di potere per difetto di
istruttoria, alla radicale omessa valutazione di presupposti di fatto e di
diritto, al travisamento di circostanze di fatto e di diritto, ad
irragionevolezza, manifesta ingiustizia, manifesta illogicità e
contraddittorietà;
s) all’eccesso di potere per difetto di
istruttoria, alla radicale omessa valutazione e al travisamento dei presupposti
di fatto e di diritto oggetto di allegazione, ad irragionevolezza, manifesta
ingiustizia, manifesta illogicità e contraddittorietà;
t) all’eccesso di potere per falsità della
causa e sviamento della causa tipica del provvedimento finale e del
procedimento amministrativo ex art. 49 del d.P.G.R. nr. 4/L
del 1995;
3) erronee e/o ingiuste motivazioni e statuizioni
della sentenza appellata in ordine alle censure formulate dal ricorrente Comune
di Mori nei propri “motivi aggiunti” di data 3 dicembre 2003, depositati
il 12 dicembre 2003, con riferimento:
a) alla violazione di legge (art. 21 della
legge 6 dicembre 1971, nr. 1034, con riguardo al mancato deposito in giudizio
degli atti e documenti in base ai quali era stato emanato il provvedimento
impugnato);
b) alle medesime censure di cui al
precedente motivo, sub b) e c);
c) alla violazione di legge (art. 49 della
l.r. nr. 4/L del 1995) in relazione alla deliberazione della Giunta Regionale
di data 6 dicembre 2000, nr. 1391, di nomina della Commissione consultiva (con
riguardo all’essersi quest’ultima arrogata competenze amministrative e
decisionali, e non solo consultive);
d) alla violazione di legge (art. 49 della
l.r. nr. 4/L del 1995) in relazione alla deliberazione della Giunta Regionale
nr. 1391 del 2000 di nomina della Commissione consultiva (per essersi detto
organo consultivo illegittimamente sostituito all’Autorità regionale decidente
nell’audizione delle parti);
e) all’incompetenza assoluta (art. 49 della
l.r. nr. 4/L del 1995) della Commissione consultiva regionale riguardo
all’assunzione di poteri procedurali e decisori spettanti in toto all’Autorità
regionale decidente, anche in relazione alla deliberazione della Giunta
Regionale nr. 1391 del 2000 di nomina della stessa;
f) all’eccesso di potere derivato per tutto
quanto sopra (in relazione al decreto impugnato ed agli effetti su di esso dei
vizi dell’attività svolta dalla Commissione);
g) all’eccesso di potere per omessa e
comunque gravemente insufficiente istruttoria, tra cui spicca la mancata
acquisizione da parte della Commissione consultiva regionale della (da essa pur
reputata risolutiva) mappa topografica allegata al r.d. nr. 2163 del 1925;
h) alla violazione di legge ed all’eccesso
di potere per motivazione insufficiente, errata, pretestuosa e falsa,
contraddittoria e gravemente illogica, perplessa e obiettivamente
incomprensibile (con riguardo al significato attribuito alla Commissione ai
regi decreti degli anni Venti del Novecento);
i) alla violazione e/o falsa applicazione
di legge (art. 49 del d.P.G.R. nr. 4/L del 1995) operata dalla deliberazione
della Giunta Regionale nr. 1391 del 2000 e dal decreto del Presidente della
Regione di data 6 novembre 2001, nr. 597/A, ed al derivato eccesso di potere
per contraddittorietà e sviamento della causa (in relazione all’essere i
patroni delle parti entrati nella stessa composizione della Commissione
consultiva);
j) all’eccesso di potere per difetto di
istruttoria, radicale omessa valutazione di presupposti di fatto e di diritto,
travisamento di circostanze di fatto e di diritto, irragionevolezza, manifesta
ingiustizia, manifesta illogicità e contraddittorietà (con riguardo al rilievo
attribuito alla mancata esecuzione della sentenza dell’I.R. Corte di Giustizia
in Affari Amministrativi di Vienna del 4 giugno 1898, nr. 2696);
k) all’eccesso di potere per difetto di
istruttoria, radicale omessa valutazione e travisamento dei presupposti di
fatto e di diritto oggetto di allegazione, travisamento di circostanze di fatto
e di diritto, irragionevolezza, manifesta ingiustizia, manifesta illogicità e
contraddittorietà (in relazione alla valorizzazione del dato catastale compiuta
dalla Commissione);
l) all’eccesso di potere per falsità della
causa e sviamento della causa tipica del provvedimento finale e del
procedimento amministrativo ex art. 49 del d.P.G.R. nr. 4/L
del 1995;
4) erronee e/o ingiuste motivazioni e statuizioni
della sentenza appellata in ordine alle censure formulate dal ricorrente Comune
di Mori nei propri “motivi aggiunti ulteriori” di data 18 febbraio 2004,
depositati il 26 febbraio 2004.
Per resistere all’appello, si sono costituiti la
Regione Trentino Alto Adige – Sudtirol e il Comune di Brentonico, che hanno
diffusamente argomentato nel senso dell’infondatezza del gravame, concludendo
per la sua reiezione e la conferma della sentenza impugnata; inoltre,
l’Amministrazione regionale ha eccepito la parziale inammissibilità
dell’appello per carenza di specifiche censure avverso i capi della sentenza
impugnata.
All’udienza del 5 febbraio 2013, la causa è stata
trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Giunge all’attenzione di questo Consiglio di Stato
la controversia insorta tra i Comuni di Mori e di Brentonico per la definizione
dei rispettivi confini territoriali, e in particolare per l’individuazione
dell’appartenenza all’uno o all’altro Comune della località denominata “Bordina
alta”, comprendente un’area montana configurata in modo da costituire una
propaggine all’interno del territorio appartenente a Brentonico, che però è stata
da tempo rivendicata dall’Amministrazione di Mori, odierna appellante.
Nel proprio appello, il detto Comune fornisce una
dettagliatissima ricostruzione storica della vertenza (secondo alcuni risalente
addirittura al Medio Evo), nella quale mette conto sottolineare due passaggi
significativi e relativamente recenti, venuti in rilievo nel corso del
procedimento amministrativo cui afferisce il presente giudizio:
- la sentenza della I.R. Corte di Giustizia in Affari
Amministrativi di Vienna del 4 giugno 1898, nr. 2696, con la quale, in
accoglimento dell’impugnazione proposta dal Comune di Mori, venne annullata la
decisione del Ministero dell’Interno che aveva attribuito a Brentonico il
territorio oggetto di contesa;
- i successivi regi decreti nr. 3251 del 30 dicembre
1923 e nr. 2163 del 26 settembre 1925, con i quali si è nuovamente tornati
sulla delimitazione dei confini tra i due Comuni (essendo peraltro controverso
tra le parti se con essi si intervenne o meno anche sull’area de qua).
Più recentemente, con decreto del Presidente della
Giunta Regionale del Trentino Alto Adige – Sudtirol del 27 febbraio 1995, nr.
4/L, sono state dettate le regole per la definizione in via amministrativa
delle “controversie territoriali” fra Comuni da parte della stessa Amministrazione
regionale.
Oggetto del presente giudizio è, per l’appunto,
l’esito di una di queste procedure contenziose, conclusasi con il
riconoscimento della spettanza al Comune di Brentonico dell’area per cui è
causa, che il Comune di Mori ha impugnato dinanzi al T.R.G.A. di Trento, il
quale ha a sua volta respinto il ricorso con la sentenza oggetto dell’odierno
gravame.
2. Tutto ciò premesso, la Sezione reputa l’appello
infondato e pertanto meritevole di reiezione (ciò che consente di prescindere
dall’eccezione di sua parziale inammissibilità sollevata dalle parti
appellate).
3. Con il primo mezzo, si censura il mancato rispetto
da parte del primo giudice del termine di legge di 45 giorni per il deposito
della sentenza.
Il motivo è infondato, essendo jus receptum che
i termini che regolano il deposito delle decisioni giurisdizionali hanno
carattere ordinatorio, sicché il loro mancato rispetto, in mancanza di una
diversa ed esplicita previsione contraria della legge processuale ed a parte
ogni altra considerazione di altra natura, non può mai riverberarsi
negativamente sulla validità della decisione, ma può solo condurre al
riconoscimento del beneficio dell’errore scusabile per l’ipotesi – che comunque
qui non viene in rilievo – di tardiva impugnazione della stessa (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 22 novembre 2005, nr. 6492; Cons. Stato, sez. IV, 22 settembre
2003, nr. 5357).
4. Col secondo motivo di impugnazione
l’Amministrazione appellante ha riprodotto integralmente, interpolandole con
argomentazioni di critica alle opposte conclusioni del T.R.G.A., le doglianze
originariamente articolate nel ricorso introduttivo del giudizio.
Su questi, tuttavia, va complessivamente condiviso
l’avviso del primo giudice in ordine alla loro infondatezza.
4.1. Innanzi tutto, va confermato il giudizio di
inconsistenza dei primi due motivi, con i quali si assume – in estrema sintesi
– che l’Amministrazione regionale avrebbe frainteso i termini della
controversia devolutale, limitando la propria decisione a una mera “revisione
catastale” delle aree controverse anziché al dato sostanziale
dell’appartenenza delle stesse all’uno o all’altro Comune.
Infatti, al di là di questioni nominalistiche e del
dato formale costituito dall’uso di formule evocanti principalmente il dato
catastale, ciò che rileva è, da un lato, che nella specie si sia seguita – come
è incontestato – la procedura di cui all’art. 49 del citato d.P.G.R. nr. 4/L
del 1995 (che è, appunto, specificamente finalizzata alla risoluzione delle
vertenze territoriali fra Comuni), e per altro verso che l’istruttoria condotta
abbia avuto riguardo, anche su sollecitazione dell’Amministrazione odierna
appellante, alle vicende storiche interessanti l’area de qua, di
modo che non è dubbio che la Regione si sia occupata prima e soprattutto del
problema dell’effettiva spettanza di detta area all’uno o all’altro Comune.
4.2. Del pari infondati sono il terzo, il quarto e il
quinto motivi di primo grado, con i quali è riproposta la doglianza di omessa o
carente motivazione a sostegno delle determinazioni regionali impugnate.
Ed invero, come correttamente evidenziato dal primo
giudice, l’art. 3 della legge 7 agosto 1990, nr. 241 (e la normativa regionale
che a quest’ultima si richiama), ammette l’uso della motivazione per
relationem attraverso il rinvio ad altri atti dell’Amministrazione: ed
è ciò che è puntualmente avvenuto nella specie, mercé il richiamo agli atti
posti in essere dalla Commissione consultiva nominata proprio per la
definizione della vertenza di che trattasi.
Va altresì precisato che se è vero, come sottolinea
parte appellante, che la motivazione per relationem è
legittima a condizione che siano indicati e resi disponibili gli atti cui si fa
rinvio, tale previsione va intesa semplicemente nel senso che all’interessato
deve essere possibile di prenderne visione, di richiederne ed ottenerne copia
in base alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi e di
chiederne la produzione in giudizio; sicché non sussiste l’obbligo
dell’Amministrazione di notificare all’interessato tutti gli atti richiamati
nel provvedimento, ma soltanto l’obbligo di indicarne gli estremi e di metterli
a disposizione sui richiesta dell’interessato.
Con riguardo al caso di specie, peraltro, risulta
pacificamente che i Comuni interessati ebbero modo di partecipare ampiamente
alla procedura gestita dall’Amministrazione regionale, di modo che può
ritenersi non solo che essi fossero in grado di conoscere gli atti richiamati
nella determinazione censurata, ma anche che ne conoscessero già – prima e
indipendentemente da ogni successivo accesso - il contenuto essenziale.
4.3. Con i motivi richiamati nella narrativa in fatto
al nr. 2, sub f), g), h), i), j)
e k) sono riproposte una serie di censure attinenti a pretesi vizi
procedimentali, in ordine alle quali pure va ribadito il giudizio di
infondatezza e/o di irrilevanza espresso dal primo giudice.
In particolare:
- la mancata indicazione del termine di conclusione
del procedimento non costituisce vizio invalidante, applicandosi in tale ipotesi
il termine “suppletivo” fissato in via generale dall’art. 2 della legge nr. 241
del 1990;
- neanche l’inosservanza di detto termine determina
l’illegittimità del provvedimento, essendo pacifico che la scadenza dello
stesso non consuma il potere di provvedere dell’Amministrazione, potendo
determinare bensì conseguenze in termini di legittimazione dell’interessato
all’esercizio del rimedio processuale avverso il silenzio-inadempimento, di
responsabilità del dirigente proposto etc.;
- l’omessa indicazione della struttura amministrativa
competente e del responsabile del procedimento non dà luogo a vizio di
legittimità, salvo che sia dimostrato un concreto pregiudizio (ciò che nella
specie non è), applicandosi la norma suppletiva di cui all’art. 5 della citata
legge nr. 241 del 1990, a tenore della quale nella prospettata ipotesi è
considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto
all’unità organizzativa competente (cfr. Cons. Stato, sez. II, 16 maggio 2007,
parere nr. 866);
- pacificamente non era necessaria la comunicazione di
avvio del procedimento ex art. 7 della legge nr. 241 del 1990,
trattandosi nella specie di procedimento avviato ad istanza degli stessi Comuni
interessati;
- non sussiste l’interesse del Comune appellante a
lamentare l’omessa comunicazione del provvedimento finale ad altri soggetti
diversi dai Comuni destinatari (soggetti dei quali, peraltro, parte appellante
non fornisce alcuna individuazione);
- nemmeno può considerarsi invalidante l’omessa previa
notifica del preavviso di rigetto, potendo considerarsi l’eventuale vizio
irrilevante – come puntualmente evidenziato dal primo giudice – alla luce della
concreta e attiva partecipazione alla procedura che comunque è stata consentita
al Comune appellante (il quale, infatti, non ha chiarito se e quale specifico
pregiudizio sarebbe disceso dall’omissione del ridetto adempimento formale).
4.4. Del pari privi di pregio sono i due motivi, qui
riproposti, con i quali si lamenta l’illegittima acquisizione del parere anche
della Provincia Autonoma di Bolzano, oltre che di quella di Trento.
In effetti, tale acquisizione era superflua, essendo
pacifico che nessuna parte dell’area in contestazione ricade nel territorio
della Provincia di Bolzano; e, tuttavia, è del tutto ragionevole concludere che
siffatto passaggio procedurale non abbia avuto alcun effetto invalidante sugli
ulteriori atti del procedimento di che trattasi.
4.5. Va respinta anche la censura afferente alla
asseritamente illegittima sostituzione di un componente della Commissione
consultiva nominata dalla Regione durante l’iter procedimentale.
Al riguardo, va condiviso l’avviso del T.R.G.A. il
quale, muovendo dal rilievo che secondo le determinazioni regionali il detto
soggetto entrava a far parte della Commissione in ragione della carica da lui
rivestita (Capo di gabinetto del Presidente della Giunta Regionale), ha
ritenuto che la perdita di tale qualità comportasse necessariamente anche la
decadenza dall’incarico con l’automatico subentro del successore nel ruolo; al contrario,
sarebbe stata a forte rischio di illegittimità un’ipotetica permanenza
dell’originario componente anche dopo la cessazione dell’incarico
amministrativo, non risultando affatto che l’individuazione dei membri della
Commissione fosse avvenuta intuitu personae.
Né può obiettarsi, in contrario, che il componente
sostituito fosse in possesso di specifiche competenze tecniche, e non anche
colui che lo rimpiazzò: in questo modo, si censurano in termini di opportunità
le scelte dell’Amministrazione in ordine alle persone chiamate a comporre
l’organo consultivo, ma non si introduce alcun concreto ed effettivo vizio di
legittimità di dette scelte.
4.6. Con un ulteriore gruppo di censure (richiamate
nella narrativa in fatto al punto nr. 2, sub p), r), s)
e t) parte appellante torna a denunciare l’illegittimità della
stessa decisione dell’Amministrazione regionale di nominare una Commissione
consultiva, deducendo per un verso che in tal modo la Regione avrebbe abdicato
alle proprie potestà istruttorie e decisionali, e d’altro canto che la
Commissione avrebbe travalicato il proprio ruolo consultivo, non limitandosi ad
esprimere un parere ma arrogandosi una vera e propria potestà decisoria.
Le doglianze in questione sono infondate, in primo
luogo perché, se è vero che nessuna norma contemplava tale modus
procedendi, non ve ne era neanche alcuna che lo proibisse.
Inoltre, ad onta della denominazione attribuita alla
Commissione nominata dall’Amministrazione, dal complesso degli atti di causa
appare evidente che la sua designazione fu intesa proprio allo scopo di
affidare ad un organo ad hoc tutta l’attività istruttoria
prodromica e necessaria per l’espressione del parere sulla cui base
l’Amministrazione regionale avrebbe poi definito la vertenza.
Sul punto, può aggiungersi che del tutto apodittico ed
arbitrario è il parallelo che parte appellante cerca di tracciare fra la
Commissione de qua e una commissione edilizia, atteso che i
poteri di quest’ultima sono ben delimitati dalla legge e che i suoi compiti
sono del tutto inassimilabili a quelli svolti nella specie.
4.7. Con la censura richiamata al punto nr. 2, sub
q), della narrativa in fatto, si lamenta la mancata acquisizione, sia in
sede amministrativa che giurisdizionale, della mappa topografica allegata al
già citato r.d. nr. 2163 del 1925.
Il T.R.G.A. ha ritenuto infondato il motivo,
evidenziando che non vi era contestazione inter partes in
ordine all’esatta individuazione del territorio oggetto di controversia; sul
punto, per vero, parte appellante nulla eccepisce, limitandosi a insistere
nell’affermazione che giammai con tale decreto sarebbero stati presi
provvedimenti in ordine all’area della “alta Bordina”.
L’assunto è chiaro – essendo, anzi, parte essenziale
del thema decidendum quale sia stata l’esatta portata dei regi
decreti degli anni Venti -, ma al di là di ciò (e in disparte la circostanza
della difficoltà incontrata nel reperimento di documentazione cartografica così
risalente) il Comune appellante non chiarisce in alcun modo in quale modo
l’acquisizione della predetta mappa avrebbe potuto essere utile al riguardo, né
quale concreto pregiudizio l’omissione abbia cagionato nelle conclusioni
raggiunte dalla Regione.
5. Col secondo mezzo di gravame, il Comune di Mori
reitera le censure articolate in primo grado con i primi motivi aggiunti,
criticando le conclusioni raggiunte dal T.A.R. circa la loro infondatezza.
Tuttavia, anche queste ultime doglianze risultano
destituite di fondatezza.
5.1. In primis, va respinto il motivo
con cui parte appellante torna a insistere sulle omissioni e i ritardi di cui
l’Amministrazione regionale si sarebbe resa responsabile nel corso del
giudizio, con riguardo al deposito della documentazione indispensabile ai fini
del decidere.
Al riguardo, va ribadito che ogni eventuale atteggiamento
scorretto dell’Amministrazione che dovesse essere dimostrato è destinato a
produrre effetti esclusivamente sul piano processuale, incidendo sulle facoltà
attribuite alle altre parti del giudizio (e innanzi tutto, per l’appunto, su
quella di proporre motivi aggiunti in corso di causa), senza in alcun modo
riverberarsi sulla legittimità o illegittimità degli atti impugnati.
5.2. Di poi, con i motivi richiamati al punto 3, sub
b), della narrativa in fatto, è stata riproposta la questione dell’asserito
fraintendimento dei compiti commessi all’Amministrazione, la quale avrebbe
limitato il proprio accertamento a una verifica “catastale” anziché alla
ricostruzione in chiave storica dei confini tra i due Comuni contrapposti.
Sul punto, è pertanto sufficiente richiamare i rilievi
che si sono svolti sub 4.1 in punto di infondatezza delle
dette censure.
5.3. Del pari già trattati sono i motivi evocati nella
narrativa in fatto al punto 3, sub c), d), e)
ed f) con cui l’Amministrazione appellante torna a denunciare i
vizi connessi all’operato della Commissione consultiva nominata dalla Regione
ed alle sue attribuzioni.
Al riguardo, possono richiamarsi i rilievi svolti al
punto 4.6 che precede in ordine all’inconsistenza delle doglianze de
quibus.
A questi può aggiungersi solo, quanto alla evidenziata
partecipazione ai lavori della Commissione dei “legali” dei Comuni
interessati, che questa non costituisce ex se un vizio degli atti
impugnati: infatti, la procedura di cui al più volte citato art. 49 del
d.P.G.R. nr. 4/L del 1995 era bensì finalizzata a risolvere una vertenza
territoriale fra Comuni, ma non necessariamente all’interno di un quadro
contenzioso, ben potendo la soluzione essere individuata in via concordata a
livello amministrativo; di conseguenza, è erroneo affermare che la presenza dei
due legali suindicati avrebbe dovuto essere circoscritta alla “attività
defensionale” svolta nell’interesse dei Comuni patrocinati, essendo il loro
ruolo chiaramente inteso – prima ancora dell’aprirsi della fase contenziosa – a
contribuire all’attività istruttoria della Commissione, apportando ogni
elemento utile alle sue determinazioni finali.
5.4. Analogamente, è sufficiente richiamare quanto già
esposto sub 4.7 per evidenziare l’infondatezza della censura,
riproposta coi motivi aggiunti di primo grado e richiamata al punto 3, sub
g), della narrativa in fatto, relativa alla mancata acquisizione della
mappa topografica a suo tempo allegata al r.d. nr. 2163 del 1925.
6. Si giunge così al quarto mezzo, col quale – al di
là della reiterazione di doglianze procedimentali della cui infondatezza si è
già detto - è sottoposta alla Sezione la questione di merito sottesa alle
determinazioni conclusive della Commissione consultiva, nel senso della spettanza
al Comune di Brentonico del territorio controverso.
6.1. Al riguardo, il nodo problematico centrale è
rappresentato dal valore da attribuire ai già richiamati rr.dd. del 1923 e del
1925, con i quali certamente si intervenne a definire i confini tra i Comuni di
Mori e Brentonico: il T.R.G.A., condividendo la tesi della seconda di dette
Amministrazioni comunali, ha ritenuto che con tale rideterminazione fu
definitivamente risolta e superata anche la questione della “Bordina alta”,
attribuendola una volta per tutte appunto al Comune di Brentonico; parte
appellante, al contrario, reputa documentato che la questione de qua fu
lasciata impregiudicata nella circostanza, essendo i decreti in parola
finalizzati a intervenire unicamente su altra vicenda, e segnatamente
sull’annessione al Comune di Brentonico della frazione di Loppio (già signoria
di Castelbarco).
Pertanto, i decreti de quibus non
avrebbero comportato il superamento della precedente sentenza della I.R. Corte
di Giustizia in Affari Amministrativi di Vienna nr. 2696 del 1898, con la
quale, risolvendosi una precedente controversia amministrativa, il territorio
conteso era stato invece attribuito al Comune di Mori; la circostanza,
evidenziata da controparte, secondo cui tale sentenza non sarebbe stata mai
eseguita non varrebbe a far venir meno la sua perdurante vincolatività, stante
l’estraneità dei provvedimenti successivi alla vicenda che qui occupa.
Inoltre, il Comune istante evidenzia come, già
all’indomani dei ridetti decreti, la controversia riprese vigore, avendo
praticamente fin da subito l’Amministrazione di Mori rappresentato il proprio
intendimento di porre nuovamente in varie sedi la questione dell’appartenenza
dell’area montana in questione.
6.2. Tutto ciò premesso, la Sezione ritiene che un
piano e sereno esame dei regi decreti del 1923 e del 1925 conforti l’avviso del
primo giudice.
Infatti, se è vero che l’occasione del ricordato
intervento amministrativo fu costituita dal distacco della frazione di Loppio
da Brentonico e dalla sua annessione a Mori (ciò che si ricava anche dalla
premessa del r.d. nr. 2163 del 1925), dal tenore testuale dell’art. 1 del
medesimo decreto emerge con chiarezza l’intendimento di pervenire a una
definizione totale dei confini tra i due Comuni (“Il confine fra i comuni di
Brentonico e Mori è stabilito…”), senza far cenno ad alcuna residua
questione rimasta aperta o impregiudicata.
Di conseguenza, come correttamente evidenziato dalla
difesa del Comune di Brentonico, l’Amministrazione odierna appellante, ove
avesse inteso contestare le determinazioni adottate a livello nazionale e
riaprire formalmente la questione, avrebbe dovuto necessariamente impugnare i
regi decreti in questione, se del caso evidenziando in tale sede il proprio
persistente interesse a che la precedente sentenza della Corte viennese
ricevesse esecuzione.
Ciò non essendo avvenuto, perde consistenza ogni
accadimento storico e amministrativo antecedente agli interventi normativi del
1923-1925; del pari, ha poca rilevanza il fatto che in seguito il Comune di
Mori abbia cercato di riaprire la questione, in quanto ciò – quand’anche
risultasse provato che tale tentativo avesse incontrato una qualche
disponibilità da parte di altre Autorità – attiene alla sfera dei rapporti
politici, nella quale come è ovvio sarebbe stato consentito anche superare o
porre nel nulla consensualmente la determinazione di confini avvenuta con i
ridetti decreti.
Una volta però che tale soluzione politica non è stata
trovata, è evidente che quella determinazione era destinata a costituite un
“punto fermo” nei rapporti giuridico-amministrativi fra i Comuni interessati,
con la conseguenza che appare del tutto immune da censure la scelta della
Regione di valorizzare al massimo tale passaggio nella risoluzione della
vertenza devolutale.
7. Alla luce dei rilievi fin qui svolti, s’impone la
reiezione dell’appello con l’integrale conferma della sentenza impugnata.
8. In considerazione della complessità e della
peculiarità della vicenda esaminata, sussistono giusti motivi per compensare
integralmente tra le parti le spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa tra le parti le spese del presente grado del
giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 5 febbraio 2013 con l’intervento dei magistrati:
Marzio Branca, Presidente FF
Sergio De Felice, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/03/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
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