sabato 12 gennaio 2013

Le "sottocategorie" del Diritto amministrativo negli studi legali internazionali .

Dal sito "Diritto24", le ripartizioni del Diritto amministrativo a livello "forense".
Qualche appunto: urbanistica ed appalti rimangono il "cuore" del contenzioso amministrativo, ma Ambiente, Energia ed Authorities  guadagnano terreno, in particolare negli studi legali internazionali, più legati alle problematiche di clienti dal raggio d'azione "multinazionale".
Lo stesso sito consiglia pertanto i seguenti master, sia per specializzarsi in materia che per acquisire un'ottima conoscenza dell'inglese:
.        USA – Vermont Law School – Environmental Law;
·        USA - Lewis and Clark Law School – Environmental Law;
·        USA - Tulane University - Law School, Environmental & Energy Law;
·        USA - George Washington University Law School;
·        UK  - University of Aberdeen, Oil and Gas Law
·        UK – University of Kent, La School, Environmental Law and Policy
·        UK - Dundee, Energy Law and Policy/ Environmental Law  
.        UK - University ofQueen Mary University of London, Environmental Law
·        Belgio - Katholieke Universiteit, Environmental Law
·     Finlandia- University of Eastern Finland, International and European Energy Law and  Policy.
I costi si aggirano tutti sui 15.000 € (minimo) per un anno di corso.

venerdì 11 gennaio 2013

AMBIENTE: il Piano Rifiuti del Lazio è illegittimo: il TAR Lazio non perdona (sent. n. 121/13).


AMBIENTE: 
il Piano Rifiuti del Lazio è illegittimo: 
il TAR Lazio non perdona 
(T.A.R. Lazio, Roma, sent. n. 121/13)


La decisione in esame rafforza quanto già sapevamo: il diritto amministrativo "nazionale" non esiste se non come attuazione di un principio di legalità sempre più lato in direzione "comunitaria", specie in materie del tutto delegate all'U.E. come l'ambiente (o la concorrenza). Redigere un ricorso senza "guardare" oltralpe preclude quindi di molto le probabilità d'accoglimento dello stesso, depotenziando le (giuste) pretese dei singoli e non.
Le P.A. spesso se ne dimenticano (o lo ignorano del tutto), e la giustizia amministrativa fa allora il suo corso. 

Massima


Dal complesso delle norme comunitarie, si evince l’ordine di priorità che si deve seguire nel trattamento dei rifiuti: - prevenzione della produzione dei rifiuti; - recupero; - lo smaltimento (come ultima opzione).
Tra i principi cardine contenuti nella normativa comunitaria dedicata ai rifiuti, va ricordato quello di ‘programmazione’, da cui si desume che il ciclo integrato dei rifiuti impone, per la sua complessità, una metodologia di pianificazione rigorosa, al fine di garantire il raggiungimento degli obiettivi fissati con il consenso più ampio possibile. Ciò comporta, anzitutto, una descrizione in termini precisi dell'oggetto dell'attività pianificatoria e degli ambiti ecologici, sociali ed economici in cui il Piano deve sviluppare la sua influenza.
Accanto al principio di programmazione, si pongono quelli di ‘prossimità’ (in base al quale, ogni bacino deve gestire, riciclare, recuperare e smaltire i rifiuti che ha prodotto presso impianti il più possibile vicini al luogo di produzione) e quello di ‘autosufficienza’ (che tende a far si che la dotazione impiantistica garantisca, tendenzialmente, la completa autosufficienza dei bacini, anche al fine di affermare il principio di responsabilità nella produzione dei rifiuti).


Sentenza per esteso.

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3781 del 2012, proposto da Verdi Ambiente e Società VAS ONLUS, Forum Ambientalista ONLUS e Angelo Bonelli, Consigliere Regionale Capogruppo della Federazione dei Verdi, rappresentati e difesi dall'avv. Valentina Stefutti, con domicilio eletto presso Valentina Stefutti in Roma, viale Aurelio Saffi, 20; 
Cointeressati ricorrenti: Provincia di Latina, rappresentata e difesa dagli avv.ti Carla Vani, Giulio Tatarelli, con domicilio eletto presso la Segreteria del TAR del Lazio in Roma, via Flaminia, 189;
contro
Regione Lazio, rappresentata e difesa dall'avv. Teresa Chieppa, domiciliata in Roma, via Marcantonio Colonna, 27; 
Presidenza del Consiglio dei Ministri, - Dipartimento per le Politiche Europee, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Provincia di Roma, rappresentata e difesa dall'avv. Giovanna De Maio, con domicilio eletto presso Provincia di Roma in Roma, via IV Novembre, 119/A; 
Provincia di Latina, rappresentata e difesa dagli avv.ti Carla Vani, Giulio Tatarelli, con domicilio eletto presso Tar Lazio Segreteria Tar Lazio in Roma, via Flaminia, 189;
Provincia di Viterbo, Provincia di Rieti e Provincia di Frosinone (non costituite); 
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Ass.ne Retuvasa, Rete per la Tutela della Valle del Sacco Onlus, rappresentata e difesa dagli avv.ti Daniela Terracciano e Vittorina Teofilatto, con domicilio eletto presso Vittorina Teofilatto in Roma, via Mirabello,6.
per l'annullamento, previa adozione di misure cautelari,
del Piano di gestione dei rifiuti del Lazio approvato con deliberazione del Consiglio regionale del Lazio del 18 gennaio 2012 n. 14 (pubblicata nel supplemento ordinario n. 15 del Bollettino Ufficiale della Regione Lazio del 14 marzo 2012), ai sensi dell'articolo 7, comma 1 della legge regionale 9 luglio 1998, n. 27; del relativo Rapporto ambientale e della Dichiarazione di sintesi (Valutazione Ambientale Strategica), nonché di ogni atto annesso, connesso, conseguente e presupposto, compresa anche la deliberazione della Giunta regionale del Lazio del 20.5.2011 n. 244, con la quale é stato adottata e sottoposta all'esame del Consiglio regionale la proposta della summenzionata deliberazione consiliare.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lazio, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Provincia di Roma, della Provincia di Latina e dell’Ass.ne Retuvasa, Rete per la Tutela della Valle del Sacco Onlus;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2012 il dott. Roberto Proietti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con delibera del proprio Consiglio Regionale n.112 del 10 luglio 2002, la Regione Lazio approvò il Piano regionale di Gestione dei Rifiuti, contenente numerosi profili di criticità, tanto che la Commissione Europea aprì la procedura di infrazione n. 2002/2284, unitamente alla procedura che riguarda la discarica di Malagrotta.
In tale occasione, la Commissione Europea osservò come la Direttiva 75/442/CEE, all'epoca vigente, avesse come obiettivo quello di assicurare lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti, e quello di incoraggiare l'adozione di misure tese a limitarne la produzione, promuovendo tecnologie pulite e prodotti riciclabili e riutilizzabili.
Con lettera del 19 dicembre 2002, la Commissione richiamò l’attenzione delle Autorità italiane in merito all'attuazione delle Direttive 75/442/CEE e 91/689/CEE, con particolare riferimento, rispettivamente, agli artt. 7 n.1 e 6, segnalando come diverse Regioni, che l'Ordinamento nazionale indica quali ‘Autorità competenti’, non avessero compilato i Piani di gestione ivi previsti.
Non avendo ricevuto l'insieme dei piani richiesti, la Commissione, in data 13 luglio 2005, inviò un parere motivato, in cui evidenziò, tra l’altro, come il Piano di gestione dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi della Regione Lazio non fosse conforme a quanto stabilito dall'art.7, n.1, quarto trattino, della Direttiva 75/442/CEE, come modificata dalla Direttiva 91/156/CEE, quanto all'indicazione dei luoghi adatti per lo smaltimento.
Ne è seguito il deferimento della Repubblica Italiana, da parte della Commissione, alla Corte di Giustizia che, con sentenza 14 giugno 2007 (causa C-82/06), ha condannato, ex art. 226 del Trattato, la Repubblica Italiana ai sensi delle citate norme.
A sostegno della propria decisione, la Corte ha posto la circostanza che pur avendo la Regione adottato tre piani differenti (un Piano di gestione dei rifiuti, un piano di interventi di emergenza ed un piano di individuazione del siti idonei ad ospitare impianti di termovalorizzazione), i tre documenti non consentivano di individuare i luoghi o gli impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti.
Al dichiarato fine di superare la procedura di infrazione 2002/2284 e di aggiornare il Piano al mutato quadro nazionale e comunitario, costituito dal D.lgs. 3 aprile 2006 n.152 e della Direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE, che aveva nel frattempo sostituito la Direttiva 06/12/CE (che, a sua volta, aveva abrogato le sopra citate Direttive del 1995 e del 1991), è stato predisposto il Piano dei Rifiuti oggetto della Deliberazione consiliare n.14 del 18 gennaio 2012.
Sotto il profilo procedurale, con deliberazione 19 novembre 2010 n.523, la Giunta Regionale ha adottato lo schema di Piano Regionale dei Rifiuti, comprensivo del Rapporto Ambientale e della Sintesi non Tecnica di cui al Titolo II del D.lgs. n.152/06.
Terminate le consultazioni, l'Autorità competente, con nota prot. 214998 del 18 maggio 2011 ha reso il parere di rito e la proposta di Piano regionale, unitamente al Rapporto Ambientale della Valutazione Ambientale Strategica (VAS), è stata approvata con la Delibera del Consiglio Regionale indicata in epigrafe, ritenendo "inderogabile dover adottare la proposta di piano regionale dei rifiuti ... al fine di ottemperare a quanto disposto dalla normativa in materia e dalla sentenza della Corte di Giustizia 14 giugno 2007, causa C-82/06, allo scopo di evitare l'applicazione di sanzioni pecuniarie nei confronti dello Stato Italiano che andrebbero a ricadere sul bilancio regionale".
Ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni assunte dall’Amministrazione regionale, Verdi Ambiente e Società VAS ONLUS, Forum Ambientalista ONLUS, e Angelo Bonelli, Consigliere Regionale Capogruppo della Federazione dei Verdi, hanno proposto ricorso dinanzi al TAR del Lazio, avanzando la domanda di annullamento indicata in epigrafe.
La Provincia di Roma si è costituita formalmente in giudizio.
Anche la Provincia di Latina si è costituita in giudizio e, con una articolata memoria corredata da produzione documentale, ha sostenuto l’illegittimità del Piano dei Rifiuti impugnato.
Tale Amministrazione provinciale ha rappresentato, in particolare, di aver impugnato la deliberazione del Consiglio Regionale del 18 gennaio 2012 n.14 (recante l’Approvazione del piano di Gestione Rifiuti del Lazio ai sensi dell'art.7, comma 1 della Legge Regionale 9 Luglio 1998, n.27) con ricorso proposto dinanzi al TAR del Lazio, Sezione distaccata di Latina (R.G. n.498/2012) ma che, con decreto n. 429/2012 del 22.06.2012, il giudice adito ha rimesso, ai sensi dell'art. 47 comma 2 del cod. proc. amm., la causa al TAR Lazio, sede di Roma.
Preso atto che con atto notificato in data 14.05.2012, Verdi Ambiente Società Vas Onlus, Forum Ambientalista ONLUS ed il Consigliere regionale capogruppo della federazione dei verdi Angelo Bonelli, avevano impugnato la medesima deliberazione regionale, la Provincia di Latina si è costituita in tale giudizio, condividendo la domanda di annullamento indicata in epigrafe.
Nella medesima causa, con atto di intervento ad adiuvandum depositato il 6.12.2012, Retuvasa Rete per la Tutela della Valle del Sacco (che ha come scopo statutario quello di tutelare la Valle del Sacco), ha condiviso le doglianze proposte dalla parte ricorrente, segnalando che: - anche per la discarica di Colle Fagiolara, in Colleferro, il Piano impugnato si limita a prevedere il conferimento dei rifiuti in discarica senza previo trattamento (cfr. pag. 93 del Piano); - nell’approvare il Piano si è omesso di valutare gli effetti sull’ambiente e di applicare il processo VAS; - l’ATO di Roma è stato esteso ingiustificatamente e senza previo accordo con i Comuni e le Province interessati.
L’Amministrazione regionale, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso ed ha affermato l’infondatezza delle censure proposte dalle parti ricorrenti.
All’udienza del 20 luglio 2012 le parti ricorrenti hanno rinunciato alle rispettive domande cautelari e le cause sono state rinviate, per la trattazione del merito, all’udienza pubblica del 13 dicembre 2012.
Con successive memorie le parti hanno argomentato ulteriormente le rispettive difese.
All’udienza del 13 dicembre 2012 le cause sono state trattenute dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente, il Collegio respinge le eccezioni di rito avanzate dall’Amministrazione regionale.
La Regione Lazio ha eccepito, anzitutto, l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e difetto di legittimazione attiva delle Associazioni ambientaliste ricorrenti.
L’eccezione di difetto di legittimazione attiva è basata sulla circostanza che, per le Associazioni non riconosciute dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, non sarebbe sufficiente, ai fini della legittimazione ad agire in giudizio, affermare che la figura soggettiva abbia tra i suoi scopi statutari la tutela dell'ambiente.
L’eccezione non può riguardare, ovviamente, la legittimazione processuale delle Associazioni riconosciute ai sensi dell'art.13 della legge 8 luglio 1986 n.349 e, quindi, si rivela infondata perché sia l'Associazione Verdi Ambiente e Società ONLUS, che Forum Ambientalista ONLUS, rientrano in tale ambito, essendo state riconosciute, la prima, con DM 29 marzo 1994, e la seconda, con DM 7 giugno 2007, come emerge anche a pagina 1 del ricorso introduttivo del giudizio.
Sotto il profilo dell’asserita carenza di interesse ad agire, l’Amministrazione regionale ha rilevato che i ricorrenti non avrebbero interesse a contestare l’atto impugnato in quanto trattasi di atto generale di pianificazione (il Piano regionale di rifiuti del Lazio, appunto) che non provoca lesioni concrete ed effettive alle parti ricorrenti.
Sul punto, di contro, va considerato che l’atto in contestazione, qualora si rivelassero fondate le censure proposte dai ricorrenti, risulterebbe, oltre che viziato, dannoso anche per la salute e l’ambiente e, quindi, pregiudizievole per gli interessi rappresentati dai soggetti ricorrenti.
2. In via preliminare, il Collegio rileva anche che la Provincia di Latina ha rappresentato di aver impugnato la deliberazione del Consiglio Regionale del 18 gennaio 2012 n.14 (recante l’Approvazione del piano di Gestione Rifiuti del Lazio ai sensi dell'art.7, comma 1 della Legge Regionale 9 Luglio 1998, n.27) con ricorso proposto dinanzi al TAR del Lazio, Sezione distaccata di Latina (R.G. n.498/2012).
Con decreto n. 429/2012 del 22.06.2012, il giudice adito ha rimesso, ai sensi dell'art. 47, comma 2, c.p.a., la causa al TAR Lazio sede di Roma.
Ora, ai sensi del primo comma del citato articolo 47 c.p.a., fuori dei casi di cui all’articolo 14 c.p.a., non è considerata questione di competenza la ripartizione delle controversie tra Tribunale Amministrativo Regionale con sede nel capoluogo e sezione staccata e, pertanto, il ricorso avrebbe dovuto proseguire autonomamente dinanzi al TAR presso il capoluogo di Regione, mentre la Provincia di Latina ha scelto di costituirsi nella diversa causa proposta con atto notificato in data 14.05.2012, da Verdi Ambiente e Società VAS Onlus ed altri, che hanno impugnato la medesima deliberazione regionale.
Ne consegue che il Collegio avuto riguardo all’irritualità del descritto iter processuale seguito, ritiene di dover esaminare e prendere in considerazione le censure proposte dalla Provincia di Latina nei limiti in cui coincidono con quelle avanzate dalle parti ricorrenti della causa RG n. 3781/2012.
3. Sempre in via preliminare, va rilevato che, con atto di intervento ad adiuvandum depositato il 6.12.2012, Retuvasa Rete per la Tutela della Valle del Sacco (che ha come scopo statutario quello di tutelare la Valle del Sacco), ha condiviso le doglianze proposte dalla parte ricorrente, segnalando che: - anche per la discarica di Colle Fagiolara, in Colleferro, il Piano impugnato si limita a prevedere il conferimento dei rifiuti in discarica senza previo trattamento (cfr. pag. 93 del Piano); - nell’approvare il Piano si è omesso di valutare gli effetti sull’ambiente e di applicare il processo VAS; - l’ATO di Roma è stato esteso ingiustificatamente e senza previo accordo con i Comuni e le Province interessati.
Anche le censure prospettate da Retuvasa vanno prese in considerazione nei limiti in cui coincidono con quelle proposte dalla parte ricorrente, in quanto l'intervento spiegato ai sensi dell'art. 28, comma 2, c. proc. amm. è di tipo adesivo dipendente.
Quindi, ai sensi dell'art. 28 comm 2, c. proc. amm. l'intervento nel processo amministrativo, non essendo di tipo litisconsortile autonomo ma adesivo dipendente, può essere proposto solo a sostegno delle ragioni di una o di altra parte (Consiglio di Stato sez. V, 22 marzo 2012, n. 1640).
4. Ciò posto, va rilevato che avverso gli atti impugnati sono stati proposti i seguenti motivi di ricorso.
I) - Violazione di legge; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, par.1, 2 lett. h) e 6 lett. a) della Direttiva 1999/31/CE e degli artt. 4 e 13 della Direttiva 08/98/CE; violazione dell'art.7 del D.lgs. 13 gennaio 2003 n.36; travisamento, illogicità, difetto di presupposto.
Il Piano impugnato, violando la Direttiva 1999/31/CE e l'art. 7, comma 1, del D.lgs. 13 gennaio 2003 n.36, prevede che i rifiuti vengano collocati in discarica non preventivamente trattati negli impianti di trattamento meccanico biologico (TMB).
Ciò è già stato censurato dalla Commissione Europea con nota prot. 2012042381, in data 10 giugno 2012, quanto alla procedura di infrazione n.2011/4021, ma la Regione Lazio non ha ritenuto di dover mutare opinione al riguardo.
Sul punto non si può richiamare, come fa l’Amministrazione regionale, la circolare del Ministero dell'Ambiente prot. GAB-2009-0014963 del 30/06/2009, posto che la stessa ha preceduto i descritti rilievi della Commissione Europea e, comunque, prevedeva un'opzione del tutto transitoria.
II) - Violazione dell'art. 7, comma 1, della LR 9 luglio 1998 n.27; omissione di un passaggio procedimentale obbligatorio.
Il Piano impugnato risulta viziato per omissione di un passaggio procedimentale obbligatorio, in quanto è stato approvato in violazione dell'art. 7, comma 1, della LR 9 luglio 1998 n.27 (recante "Disciplina regionale della gestione del rifiuti"), il quale stabilisce che: "1. Il Consiglio regionale, su proposta della Giunta regionale e sentito il comitato tecnico-scientifico per l'ambiente previsto dalla Legge regionale 18 novembre 1991, n. 74, approva il piano regionale di gestione dei rifiuti ...”.
Nel caso di specie, il Piano è stato approvato omettendo di acquisire preventivamente il parere obbligatorio del Comitato tecnico-scientifico per l'ambiente.
III) - Violazione dell'art.28, par. 3, lett. d), della Direttiva 08/98/CE; violazione degli artt. 11, comma 5, e 199, comma 3, lett. c), del D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152; travisamento e difetto di istruttoria; illegittimità del Rapporto di VAS in via diretta e derivata.
Con sentenza del 14/06/07, resa nell’ambito della procedura di infrazione n. 2002/ 2284, Causa C 82/06, la Corte di Giustizia Europea ha condannato l'Italia per violazione della Direttiva 75/442/CEE, art. 7, n. 1, quarto trattino, come modificata dalla Direttiva 91/156/CEE.
Nella caso di specie, è stata ritenuta fondata la censura relativa alla mancata elaborazione, da parte della Regione Lazio, di un Piano dei Rifiuti rispettoso delle normative comunitarie, essendo stato affermato che il piano approvato "non ha un grado di precisione sufficiente per assicurare la piena efficacia della Direttiva 75/442, come modificata dalla Direttiva 91/156/CE" e non consente di "individuare i luoghi o impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti, in particolare per quanto riguarda i rifiuti pericolosi".
La Direttiva 75/442/CEE è stata codificata e abrogata dalla Direttiva 06/12/CE del 5 aprile 2006, ed il dettato dell'art. 7, n. 1, quarto trattino della Direttiva 75/442/CEE, è ora contenuto nell'art. 7, paragrafo 1, lettera d), Direttiva 2006/12/CE.
Al contempo, come rilevato dalla stessa Commissione Europea, nella lettera di messa in mora del 16 giugno 2011, nel Piano di gestione dei Rifiati per il periodo 2011-2017, viene evidenziata dalla stessa Regione Lazio (cfr. pag. 91) l'insufficienza della capacità impiantistica dedicata al TMB a livello regionale, inferiore ai quantitativi di rifiuto indifferenziato prodotto, che pure continua ad essere collocato nelle discariche laziali, ivi comprese quelle individuate nel Piano.
Pertanto, l’esecuzione del Piano impugnato determinerebbe l'aggravarsi del contenzioso con la Commissione Europea, con conseguenze pregiudizievoli facilmente prevedibili a carico dell’Italia.
Inoltre, in contrasto con quanto stabilito dall'art.28, paragrafo 3, lett. c), della Direttiva 2008/98/CE, e dall’articolo 199 del codice dell’ambiente, il Piano impugnato non tiene conto della chiusura degli impianti esistenti ed, in particolare, della chiusura della discarica di Malagrotta, che non è stata presa in considerazione neanche in sede di Valutazione Ambientale Strategica e nell’ambito del Rapporto ambientale.
IV) - Violazione dell'art. 174 del Trattato; violazione del principio di precauzione; violazione dell'art. 1, della legge 7 agosto 1990 n.241.
L'Amministrazione regionale ha delineato uno scenario che non consente di perseguire gli obiettivi dettati dalla citata normativa comunitaria, non è rispettoso della gerarchia delineata dall'art. 179 del codice dell’ambiente, non garantisce che tutti i rifiuti conferiti in discarica siano realmente sottoposti a trattamento e che il conferimento avvenga mediante rigidi requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le discariche, finalizzati a stabilire misure, procedure e orientamenti volti a prevenire o a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente, ed, in particolare, l’inquinamento delle acque superficiali, delle acque freatiche, del suolo e dell’atmosfera e sull'ambiente globale, compreso l'effetto serra, nonché i rischi per la salute umana risultanti dalle discariche di rifiuti.
Il Piano si rivela, altresì, in contrasto con il principio di precauzione, cristallizzato dall'art.174 del Trattato, che costituisce uno dei canoni fondamentali del diritto dell'ambiente.
La rilevanza di tale principio generale, direttamente cogente per tutte le pubbliche amministrazioni, menzionato nel Trattato proprio in relazione alla politica ambientale, assume valenza non solo programmatica, ma direttamente imperativa nel quadro degli ordinamenti nazionali, vincolati ad applicarlo qualora sussistano incertezze riguardo all'esistenza o alla portata di rischi per l'ambiente.
5. A sostegno delle censure proposte avverso l’impugnata deliberazione del Consiglio regionale del Lazio del 18 gennaio 2012 n. 14, anche la Provincia di Latina ha contestato il Piano di gestione dei rifiuti del Lazio, rappresentando che, in base a quanto stabilito dall'art.199, comma 3, lettera c) del D. Lgs. 152/06, con il Piano regionale di gestione dei rifiuti devono essere delimitati gli ambiti territoriali ottimali sul territorio regionale. La delimitazione degli ambiti secondo i criteri ed i principi di cui agli art. 147 e 200 del D.lgs. n.152, avrebbe dovuto dare prevalenza ad una valutazione prioritaria degli ambiti provinciali, che però il Piano regionale ha parzialmente disatteso, senza supportare la scelta operata da adeguata motivazione.
Infatti, sebbene il Piano fornisca una fotografia dei territori ed una classificazione di questi ultimi, omette di corredare la delimitazione operata da un adeguata motivazione, segno di una inadeguata istruttoria.
In particolare, per quanto concerne l'ambito ATO Latina (corrispondente al territorio della Provincia di Latina), risultano ingiustificatamente esclusi 5 Comuni (Gaeta, Catelforte, Spigno Saturnia, Minturno, Santi Cosma e Damiano) ricadenti nell'ambito territoriale di ATO Frosinone (cfr. pag.134 del Piano).
L’individuazione delle aree viene supportata dalle considerazioni sviluppate nel par.9.1 "Suddivisione del territorio in aree omogenee", attraverso le quali avrebbe dovuto emergere la motivazione sottesa alla individuazione delle cinque aree e la loro composizione. Dalla enucleazione di taluni criteri (densità e popolazione residente) vengono dal Piano individuate fasce omogenee di Comuni inseriti in cinque ambiti in modo del tutto avulso e non correlato all'intento pianificatorio del documento, il quale manca l’obiettivo di fondo, ovverosia quello della fissazione dei principi di una programmazione della gestione integrata dei rifiuti nel comprensorio laziale, seria e puntuale, improntata al perseguimento di obiettivi realistici.
Del tutto inidonea si palesa l'analisi del territorio regionale e non emerge quale dei parametri considerati o dei criteri che il legislatore ha fissato per la individuazione dell'ambito ritenuto ottimale, ha indotto ad accludere i citati cinque Comuni della Provincia di Latina all'interno dell'Ato Frosinone.
Sotto altro profilo, la Provincia di Latina ha rilevato che, alla nota 21 relativa al paragrafo 7.1.1 del Piano (rubricato "La normativa regionale e l'individuazione degli ATO rifiuti nel Lazio") si legge: "21 Con disposizione di legge successiva, ed entro i tempi previsti, la Regione Lazio provvederà nell'attribuire le funzioni già esercitate dalle Autorità di cui all'art.202 del decreto legislativo n152 del 2006 a soggetto da definirsi.".
In sostanza, la Regione Lazio, nel dare attuazione alla prescritta programmazione, ha omesso di provvedere all'adozione degli atti prodromici ed ineludibili alla programmazione stessa, rimandandone l'adempimento ad un momento successivo ed indeterminato.
Il Piano risulta contraddittorio ove, da una parte, afferma la sufficienza dell’attuale impiantistica e, dall’altra, smentisce tale assunto (cfr. pagg. 218 ss.), ed illegittimo in quanto non tiene conto del Piano della Provincia di Latina di cui alla deliberazione n. 71 del 30.9.1997 e dei successivi aggiornamenti, e della disciplina concernente la valutazione di incidenza in relazione all’influenza del Piano su siti della rete Natura 2000.
La Provincia di Latina ha anche rilevato che, in relazione alla VAS, non sono indicati: - la procedura seguita e la sua interazione con il processo di formazione del Piano; - i soggetti competenti coinvolti; - i settori del pubblico interessati.
Infine, sempre a parere della Provincia di Latina, nel provvedere alla pianificazione della gestione dei rifiuti, la Regione Lazio avrebbe violato le procedure di cooperazione ed i meccanismi concertativi che avrebbe avuto l’obbligo di rispettare a difesa delle istanze delle autonomie locali destinatarie delle prescrizioni del Piano.
Come sopra precisato al punto sub 2), il Collegio avuto riguardo ai profili concernenti l’irritualità dell’iter (descritto al citato punto sub 2) seguito per proseguire dinanzi al TAR del Lazio con sede in Roma la causa inizialmente proposta dall’Amministrazione provinciale dinanzi alla Sezione staccata di Latina del medesimo Tribunale, ritiene di dover prendere in considerazione le censure proposte dalla Provincia di Latina nei limiti in cui coincidono con quelle avanzate dalle parti ricorrenti della causa RG n. 3071/2012 e, comunque, attengono a queste ultime.
6. L’Amministrazione regionale resistente ha prodotto note, memorie e documenti per sostenere la correttezza del proprio operato e l’infondatezza del ricorso.
La Regione Lazio, sotto il profilo della procedura finalizzata all’approvazione del Piano di gestione dei rifiuti, ha rilevato che con D.G.R. del 19 novembre 2010. n. 523, concernente "Adozione dello schema di Piano regionale di gestione dei rifiuti del Lazio”, ha provveduto ad adottare lo Schema di Piano di gestione dei rifiuti comprensivo anche del Rapporto Ambientale e della Sintesi non tecnica, ai sensi del d.lgs. n. 152/2006.
La citata D.G.R. n. 523/2010, con i relativi allegati, è stata pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 209 al BURL n. 45 del 7 dicembre 2010.
Tale pubblicazione ha costituito avviso per l’attivazione delle consultazioni e chiunque, entro il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione dell'avviso, ha potuto prendere visione dello schema di piano e presentare proprie osservazioni all'autorità procedente (Direzione regionale Attività Produttive e Rifiuti), e all’autorità competente alla VAS (Direzione regionale Ambiente), anche fornendo nuovi o ulteriori elementi conoscitivi e valutativi.
Lo Schema di Piano è stato pubblicato sul sito www.regione.lazio.it, depositato presso gli uffici dell'autorità procedente e dell'autorità competente, nonché trasmesso, con nota prot. n. 41687 del 7 dicembre 2010, alle Province per il deposito e l'attivazione delle consultazioni di competenza (cfr. doc. n. 2 Regione Lazio).
Decorsi i termini per la presentazione delle osservazioni, l'autorità competente, in collaborazione con l'autorità procedente, ha svolto le attività tecnico-istruttorie, acquisito e valutato le osservazioni, obiezioni e suggerimenti pervenuti nell'ambito delle conferenze tenutesi nei giorni 1, 4 e 6 maggio 2011 (cfr. doc. n. 3 Regione Lazio).
L'autorità competente ha rilasciato il proprio parere motivato con nota prot. n. 214998 del 18 maggio 2011 (cfr. doc. n. 4 Regione Lazio).
L'autorità procedente, in collaborazione con l’autorità competente, ha provveduto alla revisione dello Schema di Piano tenendo conto delle risultanze del parere motivato.
Alle osservazioni pervenute è stato dato riscontro nell'ambito del documento "Dichiarazione di sintesi" pubblicato sul sito web regionale nel periodo intercorrente tra l'adozione del Piano e la sua approvazione (cfr. doc. n. 5 Regione Lazio).
Con D.G.R. n. 244 del 20 maggio 2011, la Giunta Regionale ha adottato la "Proposta di deliberazione consiliare concernente: Approvazione del Piano di gestione dei rifiuti del Lazio ai, sensi dell’art. 7, comma 1, della L. R. n. 27 del 1998 e s.m.i.'".
Con Deliberazione del Consiglio Regionale del 18 gennaio 2012 n. 14, pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 15 al BURL del 14 marzo 2012, è stato approvato il Piano di gestione dei rifiuti del Lazio.
Per quanto concerne lo smaltimento in discarica dei rifiuti urbani, la Regione Lazio ha richiamato l'art. 7, del D.Lgs. n. 36/2003, il quale prevede che i rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento, a meno che non si tratti di rifiuti inerti il cui trattamento non è tecnicamente fattibile o non si tratti di rifiuti il cui trattamento non contribuisce a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente ed i rischi per la salute umana. Nella definizione di "trattamento" sono ricompresi "i processi fisici, termici, chimici, o biologici, inclusa la cernita, che modificano le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa e di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero".
Ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. h), D. Lgs. 36/2003 il trattamento può essere anche finalizzato a favorire lo smaltimento in condizioni di sicurezza. Il trattamento meccanico biologico, la bioessiccazione e la digestione anaerobica previa selezione, rappresentano a tutti gli effetti forme di trattamento, in quanto si tratta di processi finalizzati sia a modificare le caratteristiche merceologiche e chimico-fisiche del rifiuto urbano, sia a consentire l'avvio delle frazioni in uscita a circuiti di valorizzazione.
La tritovagliatura, quale trattamento fisico finalizzato a ridurre il volume dei rifiuti e a separare alcune frazioni merceologiche come i metalli è da considerarsi pretrattamento del rifiuto indifferenziato ai fini dell'assolvimento dell'obbligo di cui all'art. 7, comma 1, D. Lgs. 36/2003, come emerge dalla circolare del Ministero dell'Ambiente prot. GAB-2009-0014963 del 30.06.2009, con la quale (in vista della definitiva entrata a regime del D.Lgs. n. 36/2003) sono stati forniti chiarimenti in ordine allo smaltimento in discarica dei rifiuti urbani, nonché sui criteri generali di valutazione del rischio ai fini dell'ammissibilità in discarica dei rifiuti. Secondo la circolare ministeriale, anche la raccolta differenziata della frazione cosiddetta pericolosa contribuisce a ridurre la natura pericolosa del rifiuto e, quindi, qualora sia effettuata un'adeguata raccolta differenziata delle frazioni pericolose del rifiuti urbani (farmaci scaduti, pile e batterie), nel caso in cui la capacità impiantistica di trattamento meccanico biologico non sia sufficiente a coprire l'intero fabbisogno, "in via del tutto provvisoria e nelle more della completa realizzazione dell'impiantistica di piano i rifiuti urbani possono essere conferiti in discarica previo trattamento in impianti di tritovagliatura. Tali impianti devono comunque consentire, ad esito della tritovagliatura, il recupero di alcune frazioni merceologiche, quali i metalli".
Quanto alle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione n. 2011/4021 circa le violazioni delle disposizioni di cui alle Direttive 1999/31 e 2008/98 (mancato rispetto della normativa che impone l'obbligo di trattare i rifiuti prima del loro collocamento in discarica ed insufficienza della rete impiantistica regionale dedicata al trattamento meccanico biologico) l’Amministrazione regionale evidenzia che la procedura di infrazione indicata non ha per oggetto la contestazione del Piano di gestione dei rifiuti ed, anzi, il Piano mira proprio ad ottemperare alle disposizioni comunitarie che si assumono essere state violate.
In merito alla contestazione circa la portata dei due scenari previsti dal Piano, l’Amministrazione regionale ha rilevato che lo scenario di controllo nasce con l'intento di fornire indirizzi ai fini degli interventi in caso di mancata realizzazione dello scenario di Piano e, pertanto, si muove in una logica che già in sé prevede il mancato raggiungimento degli obbiettivi di RD comunitari, oltre che la mancata efficacia della politica di riduzione dei rifiuti.
Gli effetti dello scenario di Piano potranno essere valutati soltanto a seguito del monitoraggio di piano previsto annualmente.
Il Piano, nel quadro dello scenario di controllo, evidenzia il deficit impiantistico presente sul territorio regionale, prevede i criteri di localizzazione per i nuovi impianti, prevede (circa il trattamento dei rifiuti prima del loro collocamento in discarica), il fabbisogno impiantistico di impianti di trattamento meccanico biologico che consentano di pretrattare il complesso dei rifiuti indifferenziati.
Quanto alle unità di tritovagliatura, la Regione Lazio evidenzia che, a prescindere dal soddisfacimento dei requisiti di cui all'art. 7 del D.lgs. n. 36/2003, le stesse consentono una riduzione volumetrica dei rifiuti prima del loro collocamento in discarica oltre che il recupero di metalli.
In ordine al fatto che, nel Piano, non sarebbe stata considerata la chiusura della discarica di Malagrotta, l’Amministrazione regionale ha rilevato che il Piano indica le volumetrie residue della discarica, il deficit impiantistico con riguardo allo smaltimento dei rifiuti e disciplina i criteri di localizzazione per i successivi eventuali impianti di smaltimento, nel rispetto delle competenze attribuite alla Regione Lazio.
In merito alla presunta violazione dell'art. 7 della legge regionale n. 27/1998 ed, in particolare, all’asserita assenza del parere di competenza del Comitato Tecnico Scientifico per l'Ambiente (CTSA), l’Amministrazione regionale ha osservato che il citato Comitato (organo tecnico disciplinato dalla legge regionale n. 74 del 1991), previsto allo scopo di fornire supporto agli organi regionali, è stato chiamato ad esprimersi prima della adozione della proposta di Piano da parte della Giunta Regionale, sulla coerenza della bozza di Piano stesso con le Linee Guida per l'adeguamento del Piano di Gestione dei Rifiuti del Lazio e con il bando di gara per il servizio di assistenza tecnica ai fini dell'adeguamento del Piano. La verifica di tale coerenza ha dato esito positivo e si è rinviato per l'espressione del parere di competenza una volta che il Piano fosse stato adottato dalla Giunta (cfr. verbale di seduta del CTSA del 9 novembre 2009).
Tale Comitato, però, ha cessato le sue funzioni in data 29 maggio 2010 (come indicato dall'Area Conservazione Qualità dell'Ambiente alla Direzione competente in data 14 settembre 2011 nell'ambito dei procedimenti relativi all'autorizzazione di impianti mobili) e, quindi, prima dell'adozione del Piano da parte della Giunta Regionale, e non sono stati nominati i nuovi componenti.
Tuttavia, la Regione Lazio ha evidenziato che, sotto il profilo tecnico, nell'ambito delle consultazioni di VAS sono stati invitati ad esprimere il loro parere a riguardo i soggetti competenti in materia ambientale, tra cui anche l'ARPA Lazio.
7. Al fine di affrontare l’esame delle censure proposte dalle parti ricorrenti, è opportuno richiamare, seppure sinteticamente, le fonti che costituiscono il quadro di riferimento della principale normativa comunitaria e nazionale applicabile alla fattispecie oggetto di causa.
La Comunità europea ha, nel corso del tempo, evidenziato la necessità di programmare le politiche e gli interventi in materia, adottando una specifica disciplina in tema di rifiuti: direttiva 75/442/Cee, modificata e integrata dalla direttiva 91/156/Cee; direttiva 91/689/Cee sui rifiuti pericolosi; direttiva 94/62/Ce sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggi; direttiva 99/31/Ce relativa alle discariche.
Per razionalizzare le disposizioni succedutesi nel corso del tempo è stata adottata la direttiva 2006/12/Ce, che ha sostituito la direttiva quadro precedente, riproducendone, sostanzialmente, i contenuti e, poi, la Dir. 19-11-2008 n. 2008/98/CE (Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive).
Dal complesso delle norme comunitarie, si evince l’ordine di priorità che si deve seguire nel trattamento dei rifiuti: - prevenzione della produzione dei rifiuti; - recupero; - lo smaltimento (come ultima opzione).
Tra i principi cardine contenuti nella normativa comunitaria dedicata ai rifiuti, va ricordato quello di ‘programmazione’, da cui si desume che il ciclo integrato dei rifiuti impone, per la sua complessità, una metodologia di pianificazione rigorosa, al fine di garantire il raggiungimento degli obiettivi fissati con il consenso più ampio possibile. Ciò comporta, anzitutto, una descrizione in termini precisi dell'oggetto dell'attività pianificatoria e degli ambiti ecologici, sociali ed economici in cui il Piano deve sviluppare la sua influenza.
Accanto al principio di programmazione, si pongono quelli di ‘prossimità’ (in base al quale, ogni bacino deve gestire, riciclare, recuperare e smaltire i rifiuti che ha prodotto presso impianti il più possibile vicini al luogo di produzione) e quello di ‘autosufficienza’ (che tende a far si che la dotazione impiantistica garantisca, tendenzialmente, la completa autosufficienza dei bacini, anche al fine di affermare il principio di responsabilità nella produzione dei rifiuti).
A livello nazionale, per quel che interessa in questa sede, va rilevato che la disciplina generale in tema di rifiuti è contenuta nel D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, il quale, nella Parte IV, contiene disposizioni in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, recando nel Titolo I (Gestione dei rifiuti), tra le altre, disposizioni generali (cfr. Capo I: artt. 177 - 194), norme in tema di competenze (cfr. Capo II: artt. 195 – 198) e la disciplina del Servizio di gestione integrata dei rifiuti (cfr. Capo III: artt. 199 – 207) recante regole inerenti specificatamente il Piano di gestione dei rifiuti regionale.
Per ciò che interessa in questa sede, va, altresì, citato il D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, recante norme di attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti.
A livello regionale, poi, la legge della Regione Lazio del 9.7.1998 n. 27 , contiene la disciplina regionale della gestione dei rifiuti.
Ciò posto, va rilevato che il Piano impugnato nasce al dichiarato scopo di uniformare e razionalizzare la programmazione che si è susseguita nel tempo, di rispondere a quanto richiesto dalla Comunità Europea (di cui si dirà al punto che segue) e di adeguarsi al mutato quadro normativo nazionale definito dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e dalla Direttiva Europea sui rifiuti 2008/98/CE.
Con specifico riferimento ai Piani di gestione dei rifiuti, va ricordato che, ai sensi dell'art. 199, D.Lgs. n. 152/2006, cosi come modificato dal D.Lgs. n. 205/2010, i piani regionali di gestione dei rifiuti comprendono l'analisi della gestione dei rifiuti esistenti nell'ambito geografico interessato, le misure da adottare per migliorare l'efficacia ambientale delle diverse operazioni di gestione dei rifiuti, nonché una valutazione del modo in cui i piani contribuiscono all'attuazione degli obiettivi e delle disposizioni della parte quarta del decreto legislativo n. 152/2006.
Ai sensi di quanto stabilito dall’art. 199 del codice dell’ambiente, i piani di gestione dei rifiuti devono obbligatoriamente prevedere: a) tipo, quantità e fonte dei prodotti all'interno del territorio, suddivisi per ambito territoriale ottimale per quanto riguarda i rifiuti urbani, rifiuti che saranno prevedibilmente spediti da o verso il territorio nazionale e valutazione dell'evoluzione futura dei .flussi di rifiuti, nonché la fissazione degli obiettivi di raccolta differenziata da raggiungere a livello regionale, fermo restando quanto disposto dall'articolo 205; b) i sistemi di raccolta dei rifiuti e gli impianti di smaltimento e recupero esistenti, inclusi eventuali sistemi speciali per oli usati, rifiuti pericolosi o flussi di rifiuti disciplinati da una normativa comunitaria specifica; c) una valutazione della necessita di nuovi sistemi di raccolta, della chiusura degli impianti esistenti per i rifiuti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti per i rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità di cui agli articoli 181, 182 e 182-bis e, se necessario, degli investimenti correlati; d) informazioni sui criteri di riferimento per l'individuazione dei siti e la capacità dei futuri impianti di smaltimento o dei grandi impianti di recupero, se necessario; e) politiche generali di gestione dei rifiuti, incluse tecnologie e metodi di gestione pianificata dei rifiuti, o altre politiche per i rifiuti che pongono problemi particolari di gestione; f) la delimitazione di ogni singolo ambito territoriale ottimale sul territorio regionale, nel rispetto delle linee guida di cui all'articolo 195, comma 1, lettera m), d.lgs. n. 152/2006; g) il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all'interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali di cui all'articolo 200 del d.lgs. n. 152/2006, nonché ad assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti; h) la promozione della gestione dei rifiuti per ambiti territoriali ottimali, attraverso strumenti quali una adeguata disciplina delle incentivazioni, prevedendo per gli ambiti più meritevoli, tenuto conto delle risorse disponibili a legislazione vigente, una maggiorazione di contributi; a tal fine, le regioni possono costituire nei propri bilanci un apposito fondo; i) la stima dei costi delle operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti urbani; l) i criteri per l'individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti nonché per l'individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento del rifiuti, nel rispetto del criteri generale di cui all'articolo 195, comma 1, lettera p), d.lgs. n. 152/2006; m) le iniziative volte a favorire, il riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero dai rifiuti di materiale ed energia, ivi incluso il recupero e lo smaltimento dei rifiuti che ne derivino; n) le misure atte a promuovere la regionalizzazione della raccolta, della cernita e dello smaltimento dei rifiuti urbani; o) la determinazione, nel rispetto delle norme tecniche di cui all'articolo 195, comma 2, lettera a), d.lgs. n. 152/2006, di disposizioni speciali per specifiche tipologie di rifiuto; p) le prescrizioni in materia di prevenzione e gestione degli imballaggi e rifiuti di imballaggio di cui all'articolo 225, comma 6, d.lgs. n. 152/2006; q) il programma per la riduzione dei rifiuti biodegradabili da collocare in discarica di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36; r) un programma di prevenzione della produzione dei rifiuti, elaborato sulla base del programma nazionale di prevenzione dei rifiuti di cui all’art. 180, che descriva le misure di prevenzione esistenti e fissi ulteriori misure adeguate. Il programma fissa anche gli obiettivi di prevenzione. Le misure e gli obiettivi sono finalizzati a dissociare la crescita economica dagli impatti ambientali connessi alla produzione dei rifiuti. Il programma deve contenere specifici parametri qualitativi e quantitativi per le misure di prevenzione al fine di monitorare e valutare i progressi realizzati, anche mediante la fissazione di indicatori.
Costituiscono parte integrante del piano regionale i piani per la bonifica delle aree inquinate.
Rappresentano oggetto di specifica attività di pianificazione, le fasi della gestione dei rifiuti che riguardano la produzione e la raccolta dei rifiuti urbani, il trattamento meccanico biologico dei rifiuti urbani indifferenziati, nonché lo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti derivanti dal loro trattamento.
Con riferimento alle discariche ove vengono conferiti gli scarti da trattamento meccanico-biologico e da termovalorizzazione, il Piano descrive la situazione della produzione di rifiuti ed il relativo fabbisogno di impianti.
Per completezza, quanto allo smaltimento in discarica dei rifiuti urbani, va ricordato che l'art. 7, D.Lgs. n. 36/2003, prevede che i rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento, a meno che non si tratti di rifiuti inerti il cui trattamento non è tecnicamente fattibile o non si tratti di rifiuti il cui trattamento non contribuisce a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente ed i rischi per la salute umana, non risultando, pertanto, indispensabile ai fini del rispetto dei limiti fissati dalla normativa vigente.
8. Prima di esaminare i motivi di ricorso proposti dalle parti ricorrenti è anche opportuno ricordare gli antefatti che hanno preceduto l’approvazione dell’impugnato Piano dei rifiuti della Regione Lazio.
Con delibera del Consiglio della Regione Lazio n.112 del 10 luglio 2002 fu approvato il Piano di Gestione dei Rifiuti della Regione Lazio, che ha dato luogo all’apertura da parte della Commissione Europea della procedura di infrazione 2002/2284, unitamente alla procedura che riguarda la discarica di Malagrotta.
In particolare, la Commissione Europea, con lettera 19 dicembre 2002, richiamò l’attenzione delle Autorità italiane in merito all'attuazione delle Direttive 75/442/CEE e 91/689/CEE, con particolare riferimento agli artt. 7 n.1 e 6, segnalando come diverse Regioni non avessero redatto i Piani di gestione ivi previsti.
Ne seguì, in data 13 luglio 2005, un parere motivato, in cui la Commissione evidenziò, tra l’altro, come il Piano di gestione dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi della Regione Lazio non fosse conforme a quanto stabilito dall'art.7, n.1, quarto trattino, della Direttiva 75/ 442/ CEE, come modificata dalla Direttiva 91/156/CEE, quanto all'indicazione dei luoghi adatti per lo smaltimento.
Quindi, la Corte di Giustizia CE, con sentenza 14 giugno 2007 (causa C-82/06), ha condannato la Repubblica Italiana, ex art. 226 del Trattato, ai sensi delle citate norme evidenziando, tra l’altro, la circostanza che pur avendo la Regione adottato tre piani differenti (un Piano di gestione del rifiuti, un piano di interventi di emergenza ed un piano di individuazione del siti idonei ad ospitare impianti di termovalorizzazione), i tre documenti non consentivano di individuare i luoghi o gli impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti.
Va anche ricordato che, con DPCM 22 luglio 2011, il Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell'art.5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992 n.225, ha decretato - fino al 31 dicembre 2012 e per quanto concerne la Provincia di Roma -, lo stato di emergenza in relazione alla prevista chiusura della discarica di Malagrotta ed alla conseguente necessità di realizzare un sito alternativo per lo smaltimento dei rifiuti.
Proprio per quanto riguarda la discarica di Malagrotta, il cui esercizio è stato prorogato, la Commissione Europea, con Atto di costituzione in mora C(2011) 4113 del 16 giugno 2011, ha aperto la procedura di infrazione n.4021 nei confronti della Repubblica Italiana, nell'ambito della quale ha osservato come, quanto a Malagrotta, fossero state violate le disposizioni di cui agli artt. 6 lett. a) della Direttiva 99/31/CE e 4 e 13 della Direttiva 2008/98/CE, atteso che nel 2011, "viene ancora collocato nella discarica di Malagrotta un certo quantitativo di rifiuti urbani non sottoposti a previo trattamento".
Al dichiarato fine di superare la procedura di infrazione 2002/2284 e di aggiornare il Piano al mutato quadro nazionale e comunitario, costituito dal D.lgs. 3 aprile 2006 n.152 e della Direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE, che aveva nel frattempo sostituito la Direttiva 06/12/CE (che, a sua volta, aveva abrogato le sopra citate Direttive del 1995 e del 1991), è stato predisposto il Piano dei Rifiuti oggetto della DGR Lazio 18 gennaio 2012.
In questo quadro, quindi, è stato varato il Piano Rifiuti della Regione Lazio relativo al periodo 2011-2017.
9. Il Collegio, ritiene che il ricorso sia fondato e debba essere accolto per le ragioni di seguito esposte.
9.1. Come rilevato al punto che precede, nella lettera di messa in mora del 16 giugno 2011, la Commissione Europea ha svolto una serie di contestazioni afferenti, anzitutto, la violazione dell’art. 1, par.1, e degli artt. 2 lett. h) e 6 lett. a) della Direttiva 1999/31/CE, evidenziando che nella Regione Lazio i rifiuti sono collocati in discarica non preventivamente trattati negli impianti di trattamento meccanico biologico (TMB), contrariamente a quanto previsto dal citato articolo 1, il quale stabilisce che lo scopo della normativa comunitaria è quello di prevedere, mediante rigidi requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le discariche, misure, procedure e orientamenti volti a prevenire o a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente, ed, in particolare, l’inquinamento delle acque superficiali, delle acque freatiche, del suolo e dell'atmosfera e sull'ambiente globale, compreso l'effetto serra, nonché i rischi per la salute umana risultanti dalle discariche di rifiuti, durante l'intero ciclo della vita della discarica, al fine di adempiere alle disposizioni della Direttiva 75/ 442/CEE, ed in particolare degli artt. 3 e 4, oggi trasfusi negli artt. 4 e 13 della Direttiva 08/98/CE.
Al riguardo, oltre a quanto sopra ricordato, va considerato che con nota prot. 2012042381 del 10 giugno 2012, quanto alla procedura di infrazione n.2011/4021, la Commissione Europea ha inviato un parere motivato rivolto alla Repubblica Italiana, ai sensi dell'art.258 TFUE (ex art.226 TCE) – che, per quanto interessa in questa sede, menziona il Piano Rifiuti della Regione Lazio alle pagine 5 e 6, in relazione alle problematiche afferenti il deficit di trattamento e la non adeguatezza delle soluzioni adottate -, con il quale ha integralmente confermato quanto già dettagliatamente espresso nella citata lettera di messa in mora, affermando che nel Piano impugnato si registra la violazione degli artt. 1 par.1, 2 lett.h) e 6 lett. a) della Direttiva 1999/31/CE.
La Commissione Europea ha confermato, in particolare, che il cd. scenario di controllo, previsto dal Piano Rifiuti, disegna un quadro non corrispondente a quanto richiesto dalle citate Direttive comunitarie.
Sul punto, va considerato che l'art. 7, comma 1, del D.lgs. 13 gennaio 2003 n.36, recante "Attuazione della Direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti", in ordine ai rifiuti ammessi in discarica, prevede che i "rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento. Tale disposizione non si applica; a) ai rifiuti inerti il cui trattamento non sia tecnicamente fattibile; b) ai rifiuti il cui trattamento non contribuisce al raggiungimento delle finalità di cui all'art. 1, riducendo la quantità dei rifiuti o i rischi per la salute umana e l'ambiente, e non risulta indispensabile ai fini del rispetto dei limiti fissati dalla normativa vigente".
Come correttamente rilevato dalla Commissione Europea negli atti richiamati, l'art. 4 della Direttiva 08/98/CE (cd. Direttiva Quadro Rifiuti) impone agli Stati Membri, nell'applicare la gerarchia dei rifiuti ivi indicata, di adottare misure volte ad incoraggiare le opzioni che offrano il miglior risultato ambientale complessivo. Il livello di trattamento dei rifiuti destinati a discarica costituisce una delle misure efficaci per garantire il rispetto della gerarchia dei rifiuti.
Sotto i descritti profili, il Collegio ritiene che la Regione Lazio abbia violato la normativa di riferimento indicata e che le argomentazioni offerte in giudizio a sostegno del proprio operato, sostanzialmente coincidenti con quelle prospettate alle Autorità comunitarie a riscontro delle suindicate censure, non siano condivisibili.
A parere dell’Amministrazione regionale, infatti, dovrebbero essere considerati ‘rifiuti trattati’ ai sensi dell'art.2 lett. h) della citata Direttiva comunitaria, i rifiuti non preventivamente trattati in impianti TMB, ma compressi durante il trasporto e dopo lo scarico, e, da ultimo, sottoposti a cernita grossolana. Ciò, sempre secondo la Regione Lazio, dovrebbe indurre a ritenere rispettate le disposizioni comunitarie considerato che la raccolta differenziata, nel Comune di Roma, ha raggiunto 22,4%, che sono in funzione servizi per la raccolta di rifiuti ingombranti e pericolosi e che, al fine di migliorare la qualità del trattamento cui sono sottoposti, la Regione ha predisposto l'attivazione di impianti di tritovagliatura per ridurne il volume e recuperare i metalli ferrosi prima della collocazione in discarica dei rifiuti.
Il tenore e la ratio del citato articolo 2, lett. h), della Direttiva comunitaria applicabile alla fattispecie inducono a ritenere censurabile la soluzione della tritovagliatura (indicata dalla Regione Lazio), posto che la Direttiva Quadro e la normativa nazionale di recepimento non convalidano la tesi secondo cui la tritovagliatura può essere considerata forma di pretrattamento del rifiuto indifferenziato, ai fini dell'assolvimento dell'obbligo di cui all'art. 7, comma 1 del D.Lgs, 36/2003.
Come correttamente affermato dalla Commissione Europea, infatti, per essere conforme alla direttiva discariche ed alla direttiva quadro sui rifiuti, il trattamento dei rifiuti destinati a discarica deve consistere in processi che, oltre a modificare le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa e di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero, abbiano l'effetto di evitare o ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente nonché i rischi per la salute umana.
Sul tema della ‘tritovagliatura, del resto, questa Sezione ha già avuto modo di pronunciarsi con la sentenza del 31 maggio 2011, n. 4195, con la quale – trattando la questione dello smaltimento fuori Regione dei rifiuti urbani non pericolosi -, è stato osservato, tra l’altro, che: “la semplice separazione meccanica della frazione secca dalla frazione umida di un rifiuto non può comportare il mutamento della natura del rifiuto da urbano a speciale, con conseguente sottrazione del ‘rifiuto speciale’ alla disciplina del ‘rifiuto urbano’. Altrettanto si giungerebbe alla conclusione irrazionale che ciò che non può essere smaltito e trasportato fuori Regione “intero” (il rifiuto urbano), possa poi essere smaltito e trasportato una volta “frazionato” (il rifiuto speciale con codice CER 19.12.12). In sostanza, a tal fine non può essere considerata decisiva l’attribuzione del codice CER 19.12.12, perché le operazioni di tritovagliatura (e, cioè, il trattamento che consiste in una operazione di pretrattamento composta di triturazione e vagliatura; la fase di triturazione serve a ridurre il volume dei rifiuti, mentre la vagliatura ha lo scopo di separare i diversi tipi di materiale, ad esempio, in base alla pesantezza, che compongono un determinato rifiuto) si pongono come preliminari rispetto a quella che sarà l’operazione compiuta di recupero o smaltimento cui il rifiuto deve essere sottoposto e non sono, quindi, utili, da sole, a cambiare la classificazione del rifiuto secondo l’origine. Affermare il contrario significherebbe consentire – mediante la semplice operazione meccanica e di riduzione del volume – di disattendere la normativa che disciplina la gestione dei rifiuti urbani, il principio di autosufficienza ed il divieto di smaltimento in regioni diverse da quella di produzione (cfr. Cass. Penale, Sez. III, 9 dicembre 2009, n. 46843: Tribunale di Milano, Ufficio GIP, 23 marzo 2006). In conclusione, deve ritenersi che proprio considerazioni del genere espresso dalla richiamata giurisprudenza abbiano indotto il legislatore ad abrogare la lettera n) del terzo comma dell’articolo 184 del Codice dell’Ambiente (soppressa dall'art. 2, comma 21-bis, del D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4) sostanzialmente, facendo rientrare i rifiuti derivati dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani (in precedenza inclusi tra i rifiuti speciali) nell’ambito della classificazione dei rifiuti urbani.”.
In sostanza, un trattamento che consista nella mera compressione e/o triturazione di rifiuti indifferenziati da destinare a discarica, senza una adeguata selezione delle diverse azioni dei rifiuti ed una qualche forma di stabilizzazione della frazione organica dei rifiuti stessi, non è tale da evitare o ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente ed i rischi per la salute umana.
Quindi, il Collegio ritiene che la Regione Lazio abbia violato l'art.1 della Direttiva Discariche, gli artt. 4 e 13 della Direttiva Rifiuti, l’art. 7, comma 1 del D.Lgs, 36/2003 e, comunque, anche l'art. 174 del Trattato e, quindi, il principio di precauzione che dovrebbe caratterizzare le scelte (anche pianificatorie) dell’amministrazione ove si presentino eventuali dubbi o perplessità in ordine alle decisioni da assumere nel caso concreto.
Sotto altro profilo, va rilevato che la Regione Lazio, pur avendo preso atto della posizione assunta al riguardo dalla Commissione Europea, si è orientata in senso opposto, facendo leva su una circolare ministeriale. Infatti, nel Piano impugnato si legge che: "Per le considerazioni espresse relativamente al conferimento dei rifiuti indifferenziati in discarica e alla previsione dell'utilizzo della tritovagliatura come trattamento preliminare allo smaltimento in discarica si specifica che in coerenza con il D.Lgs. 36/2003 ed in linea con quanto chiarito dal Ministero dell'Ambiente con la circolare Prot. GAB-2009-0014963 del 30/06/2009 la tritovagliatura con deferrizzazione è considerabile come trattamento idoneo a ridurre il volume specifico dei rifiuti, separando alcune frazioni merceologiche come i metalli. In particolare, l’Art. 7, com. 1, del D.Lgs 36/2003 prevede che: ‘I rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento. Tale disposizione non si applica: ai rifiuti inerti il cui trattamento non sia tecnicamente fattibile; b) ai rifiuti il cui trattamento non contribuisce al raggiungimento delle finalità di cui all'Art. 1, riducendo la quantità dei rifiuti o i rischi per la salute umana e l'ambiente, e non risulta indispensabile ai fini del rispetto dei limiti fissati dalla normativa vigente’ intendendo, per "trattamento", in linea con quanto stabilito dalla direttiva europea relativa alle discariche 1999/31/CE: i processi fisici, termici, chimici o biologici, incluse le operazioni di cernita, che modificano le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto, di agevolare il recupero o di favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza".
La citata circolare ministeriale (del 2009), però, oltre ad essere anteriore all'apertura della procedura di infrazione 2011/4021 e ad apparire in contrasto con la normativa indicata, era chiara nel precisare (come, del resto, ammesso dalla Regione Lazio a pag.46 del Piano impugnato) che, in ogni caso, la soluzione della tritovagliatura avrebbe dovuto essere considerata un'opzione del tutto transitoria, proprio alla luce della circostanza che tale soluzione impiantistica non garantisce la riduzione dei rifiuti biodegradabili in discarica e non consente di raggiungere gli obiettivi dettati dalla normativa comunitaria e dal D.lgs. n.36/03.
E’ chiaro che il concetto di ‘transitorità’ non può essere dilatato fino al punto di consentire l’adozione e l’approvazione di un Piano quale quello contestato, a distanza di anni dall’affermazione contenuta dalla circolare richiamata, posto che la Regione Lazio ha approvato l’atto di pianificazione impugnato prevedendo, in presenza di una procedura di infrazione comunitaria pendente, il conferimento fino al 2015 dei rifiuti indifferenziati in discarica utilizzando la tritovagliatura.
9.2. Sempre in relazione alle considerazioni espresse dalla Commissione Europea, che assumono rilevanza in relazione alle censure avanzate dalle parti ricorrenti, va rilevato che nelle risposte alla lettera di costituzione in mora le Autorità italiane ed, in particolare, la Regione Lazio, non hanno fornito adeguati elementi di valutazione diretti a contestare la posizione della Commissione circa il deficit di capacità di TMB che, secondo quanto emerge dal Piano regionale di gestione dei rifiuti, sarebbe pari a -74.393 tonnellate annue.
Secondo l’Amministrazione regionale: - il deficit in questione sarebbe compensato dal surplus di capacità di TMB esistente nel SubAto di Viterbo, con la conseguenza che, sino a quando nel SubAto di Rieti non verrà realizzata la necessaria capacità di TMB, il surplus di capacità esistente a Viterbo potrà essere usato per garantire il trattamento di tutti i rifiuti prodotti nel SubAto di Rieti; - per quanto concerne il SubAto di Latina, il deficit di capacita di TMB (che si dichiara essere pari a -147.358 tonnellate annue), dovrebbe essere ridotto grazie ad un incremento di capacita pari a 60.000 tonnellate, sicché l'attuale deficit sarebbe pari a circa -120.000 t/a, da colmare con l’entrata in esercizio di uno degli impianti di TMB previsti dalla pianificazione regionale, con la conseguenza che il rifiuto regionale indifferenziato prodotto nel SubAto di Latina verrebbe trattato in impianti di TMB; - riguardo al SubAto di Roma, il deficit pari a -1.064.848 t/a, dovrebbe subire riduzioni fino ad arrivare a -550.000 t/a grazie ad alcuni impianti di TMB in fase di realizzazione.
Al riguardo, il Collegio condivide le perplessità manifestate dalla Commissione Europea circa il fatto che, sia nella proposta di Piano, che nel Piano approvato (impugnato), il consistente deficit di capacita di TMB per quanto concerne i SubAto di Latina e di Roma trova conferma ma non adeguata prospettiva di soluzione.
Dal Piano impugnato emerge, ad esempio, che l’Amministrazione regionale dichiara un deficit pari a -126.891 t/a per il SubAto di Latina e di -1.015.659 t/a per il SubAto di Roma omettendo, peraltro, di considerare la non completa operatività (oltre che la prevista chiusura) della discarica di Malagrotta.
Va, inoltre, rilevato che il Piano contiene due diversi scenari.
Il cd. scenario di piano, che prevede il raggiungimento, entro il 31 dicembre 2012, degli obiettivi di raccolta differenziata al 65%, come stabilito dall'art.1 comma 1108, della legge 27 dicembre 2006 n.296, nonché dall'art.205 del D.lgs. 3 aprile 2006 n.132.
Il raggiungimento degli obiettivi minimi di raccolta differenziata stabilito dall'art. 205 del codice dell’ambiente, da raggiungere per ciascun Ambito Territoriale Ottimale, è stato confermato dall'art. 21 del D.lgs. 3 dicembre 2010 n.205 (recante ""Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive"), il quale prevede, al comma 1-bis, una ipotesi di deroga da autorizzarsi a cura del Ministero dell'Ambiente tramite accordo di programma.
Sulla base di tale previsione la Regione Lazio ha basato il cd. scenario di controllo che, tuttavia, come rilevato dalle parti ricorrenti, appare costituire l’ipotesi di piano più realistica (rispetto allo scenario di piano), ma anche quella più pericolosa per l’ambiente e per la posizione assunta dall’Italia dinanzi alle Autorità comunitarie, posto la gestione dei rifiuti urbani prevista da tale scenario non risulta in linea con gli obiettivi di raccolta differenziata fissati a livello normativo.
Infatti, esaminando, in particolare, i due ‘scenari’ emerge che nello scenario di piano, non risulta necessaria una capacità aggiuntiva in discarica (cfr. Tab. 10.4.3., pag.198 del Piano), mentre nella più realistica ipotesi dello scenario di controllo, il deficit delle volumetrie disponibili passa da 828.423 mc nel 2013 a 6.859.956 mc. nel 2017 (cfr. Tab. 10.7.3 pag. 219 del Piano).
Le medesime considerazioni valgono per quanto concerne le capacità di trattamento meccanico biologico dei rifiuti indifferenziati, posto che nello scenario di piano i fabbisogni di trattamento risultano soddisfatti dagli attuali impianti, mentre, nello scenario di controllo la capacità deg1i impianti esistenti risulta insufficiente – passando da un mln. t/a del 2011 a circa 313.000 t/a nel 2017 - e, quindi, i rifiuti indifferenziati prodotti continueranno ad essere avviati in discarica in misura apprezzabile senza trattamenti preventivi, con conseguente necessità di realizzare impianti di TMB per una adeguata capacita totale.
La Regione Lazio afferma che lo scenario di Piano ha assunto la piena realizzazione di tutte le azioni di riduzione della produzione dei rifiuti, ed il raggiungimento del 65% di raccolta differenziata entro il 2012 (cfr. Capitolo IV del Piano: pagg. 65 ss.).
Ma, i dati ufficiali ISPRA, risalenti al Rapporto Rifiuti del 2008 (indicati nel Piano), mostrano una tendenza diversa da quella presa in considerazione dall’Amministrazione regionale, denotando una produzione annua di rifiuti regionali in costante aumento (cfr. tabelle contenute a pagg. 67 e 68 del Piano): al paragrafo 4.5 del Piano, si legge che nel 2008 nel Lazio la raccolta differenziata si attestava su un valore medio del 15% e, quindi, in assenza di previsioni basate su dati concreti e misure di riduzione dei rifiuti indifferenziati attendibili (non previste nello scenario di controllo), il raggiungimento della percentuale del 65% non sembra verosimile.
Ciò induce a ritenere più attendibile lo scenario di controllo che quello di piano, da cui risulta, tra l’altro, il mancato raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata previsti dal Piano e l'insufficienza della capacità impiantistica di TMB a livello regionale inferiore ai quantitativi di trattamento meccanico biologico prodotto.
In questo contesto, è prevista la possibilità di autorizzare ulteriori capacità di trattamento per il rifiuto indifferenziato e di termovalorizzazione, fermo restando il deficit delle volumetrie delle discariche.
Ciò rende poco attendibili anche le stime concernenti la tritovaglatura di rifiuti indifferenziati in quanto, a fronte di 1.097.000 t/a, il Piano prevede che si passi nel 2014 a 145.000 t/a e a zero nel 2015.
Tuttavia, pur accettando la previsione circa i quantitativi di rifiuto indifferenziato oggetto della Tabella 10.4.1, il raggiungimento dell'autosufficienza nel 2015 si basa sull’effettivo pieno funzionamento degli impianti esistenti e sulla messa a regime di quelli autorizzati.
Ma, a prescindere dalla considerazione circa i tempi di realizzazione di tale prospettiva, non è contestato in giudizio che gli otto impianti di pretrattamento presenti nel territorio regionale non lavorano a pieno regime, come emerge, ad esempio, dal fatto che uno dei due impianti di trattamento siti a Malagrotta non è funzionante.
L’inaffidabilità dello scenario di Piano e la concreta attendibilità dello scenario di controllo, hanno indotto la Regione Lazio a prevedere che, nel caso di mancata realizzazione dello scenario di piano, si dovrà, comunque, garantire l'autosufficienza regionale per quanto concerne lo smaltimento in discarica (secondo quanto stabilito dall'art.182 bis, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 152/2006), eventualmente mediante l'adeguamento delle volumetrie delle discariche.
In sostanza, secondo lo scenario di controllo (come detto, più attendibile dello scenario di piano), il Piano - in contrasto con la disciplina comunitaria e nazionale di recepimento, sopra indicata -, risulta, in concreto, basato più sul conferimento in discarica che sull'incremento della raccolta differenziata, sul pretrattamento e sul recupero dei rifiuti.
Pertanto, anche sotto questo profilo, il Piano risulta viziato.
9.3. Il Piano impugnato risulta illegittimo anche perché, in contrasto con quanto stabilito dall'art. 7, comma 1, della LR 9 luglio 1998 n.27 (recante "Disciplina regionale della gestione del rifiuti"), il Consiglio regionale, prima di approvare il piano regionale di gestione dei rifiuti, non risulta aver sentito il comitato tecnico-scientifico per l'ambiente previsto dalla Legge regionale 18 novembre 1991, n. 74.
La normativa richiamata prevede, infatti, l’obbligo di acquisire il parere obbligatorio del Comitato tecnico-scientifico per l'ambiente, prima di approvare il Piano.
Al riguardo, la Regione Lazio ha rilevato che il Comitato Tecnico Scientifico per l'Ambiente (CTSA) è stato chiamato ad esprimersi prima dell’adozione della proposta di Piano da parte della Giunta Regionale (sulla coerenza della bozza di Piano stesso con le Linee Guida per l'adeguamento del Piano di Gestione dei Rifiuti del Lazio e con il bando di gara per il servizio di assistenza tecnica ai fini dell'adeguamento del Piano), ma non dopo l’adozione del Piano da parte della Giunta (cfr. verbale di seduta del CTSA del 9 novembre 2009: doc. n. 7 Regione Lazio), perché tale Organo consultivo ha cessato le sue funzioni in data 29 maggio 2010 e non sono stati nominati i nuovi componenti.
Tale ultima circostanza, a parere del Collegio, deve ritenersi irrilevante in quanto i ritardi e le omissioni circa la tempestiva mancata nomina dei componenti del Comitato Tecnico Scientifico per l'Ambiente non può giustificare la mancata acquisizione di un parere prescritto dalla legge.
Del resto, come correttamente rilevato dai ricorrenti, la circostanza che la versione definitiva del Piano, prima della sua approvazione da parte del Consiglio Regionale, dovesse essere sottoposta al parere del Comitato, è stata ammessa anche dall’Assessore alle Attività Produttive e alle Politiche dei Rifiuti con nota 6 agosto 2010 n.139504 (prodotta in giudizio), avente ad oggetto: "Procedura di infrazione comunitaria n.2002/2284 - Causa C.-82/06 - Sentenza Corte di Giustizia Europea del 14 giugno 2007 - Piano di gestione dei rifiuti della Regione Lazio", ove si legge: "Risulta necessaria una nuova adozione definitiva del Piano da parte della Giunta Regionale (poi, avvenuta nel dicembre successivo all’adozione della citata nota del 2010) che sottoporrà il testo al Comitato Tecnico Scientifico per l'Ambiente (CTSA) ai fini dell'espressione del parere di cui all'art.7 comma 1 LR 27/98 (parere di merito). In seguito, lo stesso Piano dovrà essere sottoposto al Consiglio Regionale per l'approvazione".
Ribadito che dal tenore della norma citata (art. 7, LR 9 luglio 1998 n.27), emerge chiara la natura obbligatoria del parere in questione, deve ritenersi che la sua mancata acquisizione abbia viziato il provvedimento adottato in sua assenza.
9.4. Sotto altro profilo, va rilevato che l'art. 7, paragrafo 1, lettera d), della Direttiva 2006/12/CE, stabilisce che "per realizzare gli obiettivi previsti negli articoli 3, 4 e 5, la o le autorità competenti di cui all' articolo 6 devono elaborare quanto prima uno o più piani di gestione dei rifiuti, che contemplino fra l’altro …. d) i luoghi o gli impianti adatti per lo smaltimento".
L'art.28, paragrafo 3, lett. c), della Direttiva 2008/98/CE, attribuisce agli Stati membri il compito di predisporre, a norma degli articoli 1, 4, 13 e 16, uno o più piani di gestione dei rifiuti, che contengano .... "una valutazione della necessità di nuovi sistemi di raccolta, della chiusura degli impianti per i rifiuti esistenti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti per i rifiuti ai sensi dell'articolo 16 e, se necessario, degli investimenti correlati".
La normativa comunitaria indicata è stata recepita dall'art. 199, comma 3, lett. c), del d.lgs. n. 152/2006, il quale stabilisce che i piani di gestione dei rifiuti devono contenere "una valutazione della necessità di nuovi sistemi di raccolta, della chiusura degli impianti esistenti per i rifiuti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti per i rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità di cui agli articoli 181, 182 e 182-bis e se necessario degli investimenti correlati " .
A fronte di tale previsione, dal Piano di gestione dei Rifiuti per il periodo 2011-2017, emerge, da una parte, l’insufficienza della capacità degli impianti regionali dedicati al TMB, rispetto ai quantitativi di rifiuti indifferenziati prodotti e, dall’altra, l’omessa considerazione di tutti gli impianti esistenti dei quali è prevista la chiusura e, in particolare, della discarica di Malagrotta.
Tale ultimo profilo assume particolare rilievo in quanto presso la discarica di Malagrotta risulta destinato oltre il 50% di tutti i rifiuti solidi urbani dei Comuni di Roma, Fiumicino, Ciampino e dello Stato della Città del Vaticano.
Ciò ha comportato la violazione del citato articolo 199 del codice dell’ambiente, oltre a mettere in dubbio gli esiti della procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), deputata a valutare – ai sensi della Direttiva comunitaria 2001/42/CE (Direttiva VAS), recepita nella Parte II del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, modificata e integrata dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 e dal D. Lgs. 29 giugno 2010, n. 128 -, gli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente naturale, considerato che dall’omessa considerazione della chiusura di Malagrotta è derivata l’omessa valutazione delle conseguenti soluzioni alternative e, quindi, sorgono dubbi sull’attendibilità delle verifiche e delle analisi (oggetto della VAS e del Rapporto ambientale) concernenti la sostenibilità degli obiettivi di piano, gli impatti ambientali significativi delle misure di piano, la costruzione e la valutazione delle ragionevoli alternative, la partecipazione al processo del soggetti interessati ed il monitoraggio delle performances ambientali del piano.
10. Per quanto concerne le puntuali e articolate censure proposte dalla Provincia di Latina, è stato sopra precisato (cfr. punto sub 5) che sarebbe stato possibile prenderle in considerazione nei limiti in cui avessero coinciso con quelle avanzate dalle parti ricorrenti o, comunque, attenuto a queste ultime.
Tuttavia, da quanto rappresentato e considerato ai precedenti punti sub 9), emerge che le contestazioni avanzate dall’Amministrazione provinciale (sopra descritte al punto sub 5), riguardano profili non coincidenti e non attinenti con quelli oggetto dei motivi di ricorso proposti dai ricorrenti.
Ciò non toglie che - in esecuzione della presente decisione e attenendosi all’effetto conformativo derivante dalla stessa – la Regione Lazio dovrà istruire adeguatamente il nuovo procedimento e motivare congruamente le proprie scelte, tenendo conto di tutti gli elementi di valutazione a disposizione e, quindi, anche dei profili evidenziati dalla Provincia di Latina inerenti, in particolare: - la delimitazione degli ambiti territoriali ottimali sul territorio regionale; - l’esclusione di 5 Comuni (Gaeta, Catelforte, Spigno Saturnia, Minturno, Santi Cosma e Damiano) dall'ATO Latina e l’inclusione degli stessi nell'ATO Frosinone; - la circostanza che alla nota 21 relativa al paragrafo 7.1.1 del Piano (rubricato "La normativa regionale e l'individuazione degli ATO rifiuti nel Lazio") si legge: "21 Con disposizione di legge successiva, ed entro i tempi previsti, la Regione Lazio provvederà nell'attribuire le funzioni già esercitate dalle Autorità di cui all'art.202 del decreto legislativo n152 del 2006 a soggetto da definirsi."; - le risultanze del Piano della Provincia di Latina di cui alla deliberazione n. 71 del 30.9.1997 ed i successivi aggiornamenti, e la disciplina concernente la valutazione di incidenza in relazione all’influenza del Piano su siti della rete Natura 2000.
11. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato e debba essere accolto.
12. Le spese seguono la soccombenza, nella misura liquidata nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
- accoglie il ricorso e, per l'effetto, annulla gli atti impugnati;
- condanna la Regione Lazio al pagamento delle spese di lite in favore delle parti ricorrenti costituite, che si liquidano in complessivi 2.000,00 (duemila/00) euro ciascuna, compresi gli onorari di causa;
- ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Linda Sandulli, Presidente
Roberto Proietti, Consigliere, Estensore
Antonella Mangia, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)