PROCESSO:
la litispendenza è configurabile
tra giurisdizioni diverse?
(Cons. St., Sez. IV,
sentenza 6 dicembre 2013, n. 5820).
Visto che oggi è nata una discussione a Studio (ed io avevo torto...!)
pubblico questa interessante sentenza.
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Massima
Sul piano generale l'istituto della litispendenza, disciplinato dall'art.
39 c.p.c., postula non
solo l'identità della controversia, bensì la sua pendenza dinanzi a giudici
diversi della giurisdizione ordinaria, non essendo configurabile invece tra
giudizi instaurati in diversi ambiti giurisdizionali, rispetto ai quali
l'eventuale e potenziale conflitto può risolversi solo attraverso regolamento
di giurisdizione, oppure denunciando il conflitto di giurisdizione (cfr. per
tutte Cass., Sez. V, 30 luglio 2007, n. 16834).
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Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale
4853 del 2011, proposto da:
Comune di Ariano Irpino, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Scuderi e con
questi elettivamente domiciliato in Roma, alla via Taranto n. 18, presso lo
studio dell’avv. Antonio Brancaccio, per mandato a margine dell’appello;
contro
Livio Blundo, e per lo stesso il coniuge
superstite Antonia Morra, quale erede per accettazione beneficiata del 2
febbraio 2009, e i figli Piero Blundo e Roberto Blundo, quali cessionari dei
crediti litigiosi per atto del 17 febbraio 2007, tutti rappresentati e difesi
dagli avv.ti Anna Giannerini, Paolo Stella Richter e Elena Stella Richter, ed
elettivamente domiciliati in Roma, al viale Giuseppe Mazzini n. 11, presso lo
studio Stella Richter, per mandato a margine di atto di costituzione depositato
il 25 gennaio 2013, in sostituzione degli originari difensori avv.ti Franco
Bruno Campagni e Mario Ettore Verino, officiati con il controricorso e
contestuale appello incidentale;
nei confronti di
- Prometeo S.a.s. di Pirro Domenico &
C., con sede in Ariano Irpino, in persona del legale rappresentante
pro-tempore, intimata non costituita nel giudizio di primo grado e di appello;
- Giuseppe Macchione, titolare dell'omonima ditta corrente in Ariano Irpino,
intimato non costituito nel giudizio di primo grado e di appello;
- Gerardo Bernardo, titolare dell'omonima ditta corrente in Ariano Irpino,
intimato non costituito nel giudizio di primo grado e di appello;
- Polisud S.n.c. di Mainieri Sabatino e Albanese, con sede in Ariano Irpino, in
persona del legale rappresentante pro-tempore, intimata non costituita nel
giudizio di primo grado e di appello;
sul ricorso numero di registro generale
7534 del 2011, proposto da:
Antonia Morra, quale erede di Livio Blundo, per accettazione beneficiata del 2
febbraio 2009, e Piero Blundo e Roberto Blundo, quali cessionari dei crediti
litigiosi da parte del padre Livio Blundo per atto del 17 febbraio 2007, tutti
rappresentati e difesi dagli avv.ti Anna Giannerini, Paolo Stella Richter e
Elena Stella Richter, ed elettivamente domiciliati in Roma, al viale Giuseppe
Mazzini n. 11, presso lo studio Stella Richter, per mandato a margine di atto
di costituzione depositato il 25 gennaio 2013, in sostituzione degli originari
difensori avv.ti Franco Bruno Campagni e Mario Ettore Verino, officiati con
l’appello
contro
Comune di Ariano Irpino, rappresentato e
difeso dall’avv. Antonio Scuderi e con questi elettivamente domiciliato in
Roma, alla via Taranto n. 18, presso lo studio dell’avv. Antonio Brancaccio,
per mandato a margine dell’atto di costituzione in giudizio;
nei confronti di
- Prometeo S.a.s. di Pirro Domenico & C.,
con sede in Ariano Irpino, in persona del legale rappresentante pro-tempore,
intimata non costituita nel giudizio di primo grado e di appello;
- Giuseppe Macchione, titolare dell'omonima ditta corrente in Ariano Irpino,
intimato non costituito nel giudizio di primo grado e di appello;
- Gerardo Bernardo, titolare dell'omonima ditta corrente in Ariano Irpino,
intimato non costituito nel giudizio di primo grado e di appello;
- Polisud S.n.c. di Mainieri Sabatino e Albanese, con sede in Ariano Irpino, in
persona del legale rappresentante pro-tempore, intimata non costituita nel
giudizio di primo grado e di appello;
per la riforma
quanto al ricorso n. 4853 del 2011:
delle sentenze del T.A.R. per la Campania,
Sezione staccata di Salerno, Sezione II, n 4287 dell’11 agosto 2009 e n. 502
del 21 marzo 2011, la prima parziale di accoglimento della domanda di
annullamento del decreto dirigenziale n. 2113 del 4 giugno 2002 di acquisizione
sanante ex art. 43 d.P.R. n. 327/2001 e della presupposta deliberazione di
Giunta municipale n. 106 del 13 marzo 2002 di analogo contenuto, con
declaratoria di improcedibilità per difetto d’interesse dell’impugnativa della
deliberazione di Giunta municipale n. 231 del 7 agosto 2008 e della conseguente
determinazione dirigenziale n. 266 del 4 settembre 2008, oltre che disponente
consulenza tecnica d’ufficio; la seconda, recante declaratoria
d’inammissibilità della domanda risarcitoria formulata dal Comune di Ariano
Irpino ex art. 43 comma 3 d.P.R. n. 327/2001, stante la declaratoria
d’illegittimità costituzionale dell’intera disposizione, e, in relazione agli
effetti dell’annullamento disposto con la sentenza parziale, ex art. 34 e 88
c.p.a., di statuizione dell’obbligo di stipulazione di cessione a titolo
gratuito, condizionato al pagamento delle somme liquidate a titolo di
risarcimento danno, come determinate in motivazione
quanto al ricorso n. 7534 del 2011:
della sentenza del T.A.R. per la Campania,
Sezione staccata di Salerno, Sezione II, n. 502 del 21 marzo 2011, recante
declaratoria d’inammissibilità della domanda risarcitoria formulata dal Comune
di Ariano Irpino ex art. 43 comma 3 d.P.R. n. 327/2001 stante la declaratoria
d’illegittimità costituzionale dell’intera disposizione, e, in relazione agli
effetti dell’annullamento disposto con la sentenza parziale, ex art. 34 e 88
c.p.a., di statuizione dell’obbligo di stipulazione di cessione a titolo
gratuito, condizionato al pagamento delle somme liquidate a titolo di
risarcimento danno, come determinate in motivazione, ai fini della liquidazione
del risarcimento del danno secondo i criteri enunciati dal sopravvenuto art. 42
bis del d.P.R. n. 327/2001.
Visti i ricorsi in appello principali e incidentale
e i relativi allegati;
Visti i rispettivi atti di costituzione in
giudizio di Livio Blundo, di Antonia Morra, quale erede di Livio Blundo, di
Piero Blundo e Roberto Blundo, quali cessionari dei crediti litigiosi da parte
del padre Livio Blundo e del Comune di Ariano Irpino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno
26 febbraio 2013 il Cons. Leonardo Spagnoletti e uditi l'avv. Antonio Scuderi
per il Comune di Ariano Irpino, e gli avv.ti Paolo Stella Richter ed Elena
Stella Richter per Antonia Morra, Piero Blundo e Roberto Blundo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.) Livio Blundo, proprietario di suoli
ricompresi nel piano degli insediamenti produttivi di Ariano Irpino,
assoggettati a occupazione d’urgenza, dopo aver promosso un giudizio civile
(tuttora pendente) dinanzi al Tribunale di Avellino per il risarcimento dei
danni conseguenti all’occupazione e trasformazione irreversibile di una minore
superficie di circa 20.000 mq., con ricorso in primo grado n.r. 428/2008,
integrato con motivi aggiunti, ha impugnato la determinazione dirigenziale di
acquisizione sanante ex art. 43 d.P.R. n. 327/2001, la presupposta
deliberazione di Giunta municipale n. 106 del 13 marzo 2002, che disponeva
l'acquisizione, e la successiva deliberazione di Giunta municipale n. 231 del 7
agosto 2008, che disponeva l’utilizzazione delle somme rivenienti dalla
cessione dei lotti del p.i.p. ai fini della corresponsione di quelle da
corrispondere per effetto dell’acquisizione sanante, nonché la conseguente
determinazione dirigenziale n. 266 del 4 settembre 2009.
Con la sentenza parziale n. 4287 dell’11
agosto 2009 il T.A.R. Campania, Sezione staccata di Salerno ha annullato la
determinazione dirigenziale di acquisizione sanante e la presupposta
deliberazione di giunta - dichiarando improcedibili per carenza d’interesse i
motivi aggiunti proposti avverso la successiva e consequenziale deliberazione
di Giunta, e il successivo provvedimento dirigenziale n. 266 di prot. del 4
settembre 2008 -, sul rilievo della sua illegittimità, sia in relazione alla
carente motivazione in ordine alle ragioni d’interesse pubblico e alla
valutazione ponderata con l’interesse del privato, sia in ragione dell’omessa
comunicazione dell’avvio del procedimento; e, in riferimento alla domanda di
esclusione della restituzione, con risarcimento del danno ex art. 43 comma 3
del d.P.R. n. 327/2001, formulata dal Comune di Ariano Irpino e alla quale
aveva aderito il ricorrente con memoria depositata in corso di causa, ha
disposto consulenza tecnica d’ufficio.
In esito all’incombente istruttorio, con
sentenza definitiva n. 502 del 21 marzo 2011 il T.A.R., da un lato, ha preso
atto e dichiarato l’improcedibilità della domanda formulata dal Comune, in
relazione alla dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’intera
disposizione dell'art. 43 del d.P.R. n. 327/2001, dall’altro, ritenendo che, ai
sensi degli art. 34 e 88 c.p.a., gli effetti della sentenza parziale d’annullamento,
legittimassero egualmente, la cognizione del profilo risarcitorio, ha statuito
l’obbligo di stipulazione di una cessione a titolo gratuito, condizionato al
pagamento delle somme liquidate a titolo di risarcimento danno, come
determinate in motivazione.
2.) Con appello principale, notificato il
6 giugno 2011 e depositato il 23 giugno 2011, iscritto al n.r. 4853/2011, il
Comune di Ariano Irpino ha impugnato sia la sentenza definitiva che la sentenza
parziale e istruttoria, quest'ultima sull’assunto di avere formulato riserva
d’appello ai sensi dell’art. 340 c.p.c. con note d’udienza depositate il 12
novembre 2009, deducendo in sintesi le seguenti censure:
1) Error in iudicando - Violazione
ed errata applicazione di legge (art. 23 ss. d.P.R. 327/2001 in relazione agli
artt. 28 e ss. l. 219/1981 - Erroneità della motivazione – Erroneità dei
presupposti di fatto - Perplessità
Il T.A.R. ha omesso di considerare un
profilo evidenziato in prime cure, ossia che il termine della declaratoria di
pubblica utilità doveva ritenersi decorrente non già dalla deliberazione di
Consiglio comunale n. 29 del 16 febbraio 1987, sebbene dalla successiva
deliberazione consiliare n. 22 del 9 luglio 1992, recante variante sostanziale
al p.i.p., con conseguente scadenza al 9 luglio 2002, onde la determinazione
dirigenziale e la presupposta deliberazione di Giunta, in quanto emanate in
costanza della validità della declaratoria di p.u., dovrebbero intendersi
“convertiti” in provvedimento espropriativo, se ed in quanto, peraltro, si
possa ritenere che la declaratoria di p.u. connessa all’approvazione dei P.I.P.
nelle zone terremotate e ai sensi della legge n. 219/1981, sia assoggettata a
termine.
2) Error in iudicando - Violazione
del principio del ne bis in idem e del principio di corrispondenza tra chiesto
e pronunciato (artt. 39 e 112 c.p.c.)
Il Tar ha erroneamente respinto
l’eccezione formulata dal Comune in ordine alla litispendenza dinanzi al
Tribunale civile di Avellino di un giudizio risarcitorio, instaurato con atto
di citazione notificato il 19 gennaio 2010 e non ancora definito, relativo
all’occupazione e trasformazione di una porzione, ancorché più ridotta, dei
suoli, tanto più che il risarcimento è stato liquidato con riferimento
all’intera superficie, comprensiva quindi anche di quella porzione.
In sostanza e alternativamente, o il Tar,
ritenendo che il ricorrente avesse domandato il risarcimento del danno per
l’intero suolo, non ha rilevato la litispendenza, ovvero, erroneamente
interpretando la domanda, da ritenere circoscritta alla sola porzione che non
era oggetto del giudizio civile, è andato oltre i suoi limiti.
3) Error in iudicando - Errata
determinazione dell’ammontare delle somme poste a carico del Comune
Si contesta, in modo puntuale, la
quantificazione delle somme da liquidare a titolo di risarcimento, evidenziando
che il C.T.U. non si è espresso in modo effettivo ed esauriente sui rilievi
critici svolti dal consulente tecnico di parte: in sostanza si assume che il
valore doveva essere rapportato a quello agricolo, e non al valore edificabile
in zona d’insediamenti produttivi (a seguito della scadenza del P.I.P.), che
doveva assumersi quindi un valore unitario ben inferiore a € 24 per metro
quadro, che l’incidenza del suolo sarebbe pari al massimo al 10%, e non già al
15%, che dovesse considerarsi il costo di realizzazione (€ 510,00) e non il
valore venale (€ 600,00), che in chiave sintetico-comparativa sarebbero stati
considerati immobili non omogenei, e non anche gli elementi parametrici offerti
dal Comune.
Nel giudizio si sono costituiti Antonia
Morra, quale coniuge superstite ed erede in virtù di accettazione beneficiata
di Livio Blundo e i figli Piero e Roberto Blundo, quali cessionari dei crediti
afferenti alla res litigiosa, con memoria di costituzione e contestuale appello
incidentale.
Quanto all’appello principale è stata
dedotta:
a) L’inammissibilità dell’appello con
riferimento alla sentenza parziale, perché con memoria del 25 novembre 2010 il
Comune avrebbe dato come presupposto il passaggio in giudicato della medesima,
con ciò manifestando volontà abdicativa alla riserva d’appello precedentemente
formulata;
b) L’infondatezza dell’appello, perché il
termine decennale della declaratoria di p.u. non può ricondursi alla
deliberazione consiliare n. 22 del 9 luglio 1992, recante mera variante
“interna”, priva di ogni riferimento a termini di efficacia, assoggettata,
ancorché adottata in base alle disposizioni della legge n. 219/1981, allo
stesso termine decennale ex art. 28 della legge n. 865/1971, termine quindi
scaduto sin dal 16 febbraio 1997, ben prima dell’irreversibile trasformazione
del suolo, accertata dal C.T.U. come avvenuta nell’aprile 1997; non
sussisterebbe poi alcuna litispendenza, insostenibile tra giudizi instaurati
dinanzi a giurisdizioni diverse, e comunque avendo il giudizio civile oggetto
diverso e più ristretto; è insostenibile che, scaduta l’efficacia del vincolo
espropriativo, cessi la destinazione urbanistica di zona, e in ogni caso quella
pregressa di “zona agricola semplice” consentiva la realizzazione di edifici
produttivi e industriali nei limiti del 50% della superficie.
Con l’appello incidentale sono stati
dedotti, poi, i seguenti motivi:
1) Violazione del principio della
domanda e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 24 Cost., art.
112 c.p.c. e relativi principi) - Errata e/o illogica pronuncia su capo
determinante della controversia (art. 11 legge n. 241/1990; principi vigenti) -
Omessa motivazione su punti decisivi della controversia
Si contesta la statuizione dell’obbligo di
stipulare un atto di cessione a titolo gratuito, anziché a titolo oneroso,
nonché il riferimento quale momento temporale iniziale del credito risarcitorio
alla data d'irreversibile trasformazione del suolo, in funzione della mancata
declaratoria dell’occupazione usurpativa e dell’obbligo del Comune di stipulare
cessione onerosa dietro pagamento di un corrispettivo pari al valore venale di
mercato alla data di stipula dell’atto di cessione, con risarcimento del danno
da occupazione da ragguagliare agli interessi moratori sul valore di mercato
del bene per ciascun anno del periodo di occupazione.
2) Violazione del principio della
domanda e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 24 Cost., art.
112 c.p.c. e relativi principi) - Errata e/o illogica pronuncia su capo
determinante della controversia (artt. 1 e 27 legge n. 1/1978, principi
emergenti)
Il risarcimento del danno dovrebbe essere
ancorato alla data di occupazione d’urgenza (28 gennaio 1994), perché il
relativo decreto è stato emesso dopo la scadenza del termine ex art. 1 legge n.
1/1978, ossia decorso il triennio dall’approvazione del progetto.
In ogni caso l’occupazione non può
ritenersi protratta legittimamente, poiché il decreto di esproprio non è stato
emanato entro il quinquennio dalla dichiarazione di pubblica utilità, e quindi
il risarcimento era dovuto per il periodo dal 12 aprile 1994 al 27 settembre
1998.
3) Errata e/o illogica pronuncia
su capo determinante della controversia - Omessa e/o illogica motivazione su un
punto decisivo
Il danno avrebbe dovuto essere commisurato
non al valore di mercato, all’epoca, dell’irreversibile trasformazione (aprile
1997) sebbene all’attualità (si rinnovano sostanzialmente i rilievi di cui al
primo motivo).
Il C.T.U. ha erroneamente applicato il
saggio degli interessi legali e non quello degli interessi moratori, e non ha
considerato l’ulteriore rivalutazione monetaria ex art. 1224 comma 2 cod. civ.
L’importo dovrebbe essere tenuto indenne
dalla ritenuta d’acconto, il cui ammontare andrebbe aggiunto alla somma da
liquidare.
4) Errata e/o illogica pronuncia
su capo determinante della controversia - Erroneità nei presupposti di fatto.
Illogicità della motivazione
Il C.T.U. si è riferito al valore di
mercato “minimo”pari a € 600 mq., mentre quello reale oscilla tra € 700,00 ed €
800,00; ha inoltre considerato, nel costo di produzione, un utile pari al 15%,
mentre nella realtà del mercato immobiliare esso è pari almeno al 20-25%, ha
considerato una incidenza del suolo pari al 15% anziché al 20%; in sostanza
secondo un più appropriato metodo sintetico-comparativo, il valore al mq. deve
fissarsi in almeno 35-40 euro, superiore a quello determinato di 24,00 euro.
Il risarcimento, inoltre, deve
ricomprendere anche il valore delle opere realizzate dal Comune, nonché il
valore dei soprassuoli (€ 18.965,60) e l’indennità di asservimento della
porzione nella quale sono state realizzate tubature interrate (particelle 92 e
93).
5) Violazione e/o errata
applicazione di norme di legge (art. 26 d.lgs. n. 104/2010 e principi
desumibili) e di disposizioni regolamentari (d.m. 8 aprile 2004, n. 127).
Errata e/o illogica motivazione su capo di sentenza, in riferimento agli onorari
di difesa, non liquidati secondo la tariffa forense, in base alla quale essi
ascendono a € 29.485,00.
3.) Con separato appello notificato il 20
settembre 2011 e depositato il 29 settembre 2011, iscritto al n.r. 7534/2011,
Antonia Morra, e i figli Piero e Roberto Blundo, sempre nelle richiamate
qualità, hanno impugnato in via autonoma la sentenza n. 502 del 21 marzo 2011,
in relazione al rilievo della sopravvenuta disposizione di cui all’art. 42 bis
del d.P.R. n. 327/2001.
Fermi i motivi dell’appello incidentale,
hanno dedotto:
1) Applicabilità alla fattispecie
della norma sopravvenuta (art. 113 c.p.c., principi desumibili con riferimento
all’art. 42 bis d.P.R. n. 327/2001) - Effetti della sentenza
d’incostituzionalità dell’art. 43 d.P.R. n. 327/2001, sostenendosi
l’applicabilità della norma sopravvenuta di cui all’art. 42 bis.
2) Violazione e/o falsa
applicazione di norme di diritto (art. 42 bis d.P.R. n. 327/2001), sul
presupposto dell'applicabilità della disposizione, si invocano ai fini della
liquidazione del danno i relativi criteri nelle tre componenti (danno
patrimoniale connesso alla perdita del diritto di proprietà, ex art. 37; danno
patrimoniale da occupazione, pari al 5% annuo del risarcimento del danno da
perdita di proprietà; danno non patrimoniale, pari al 20% dell’importo del
risarcimento del danno da perdita di proprietà); né sarebbe ostativa la
qualificazione nominalistica delle somme ex art. 42 bis quale “indennizzo”,
dovendo comunque esse rapportarsi a serio ristoro del pregiudizio patrimoniale
e considerarsi debito di valore rivalutabile.
Con memorie difensive la parti hanno
confutato le reciproche deduzioni.
All’udienza pubblica del 26 febbraio 2013
gli appelli sono stati discussi e riservati per la decisione.
4.) Il Collegio, in limine, deve disporre
la riunione degli appelli in epigrafe siccome connessi, soggettivamente e
oggettivamente, posto che con l'appello autonomo successivo n.r. 7534/2011 è
impugnata, sotto profili diversi da quelli dedotti con l'appello incidentale
proposto nell'appello principale n.r. 4853/2011, la sentenza definitiva n. 502
del 21 marzo 2011, con la quale, in esito alla consulenza tecnica d'ufficio
disposta con la sentenza parziale e istruttoria n. 4287 dell'11 agosto 2009, è
stato statuito l'obbligo di stipulazione di atto di cessione del suolo
subordinato al pagamento delle somme liquidate e titolo di risarcimento del
danno.
4.1) L'appello autonomo successivo n.r.
7534/2011 è peraltro inammissibile sotto un duplice aspetto.
Con l'appello, infatti, è stato invocato
lo "jus superveniens" costituito dalla disposizione dell'art. 42 bis
del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 327, come introdotto dall'art. 34 comma 1 del d.l.
6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni nella legge 15 luglio 2011,
n. 111.
Si sostiene, in relazione all'ottavo e
ultimo comma dell'art. 42 bis ("Le disposizioni del presente articolo
trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed
anche se vi e' già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato
o annullato..."), e in generale in funzione del principio jura
novit curia, che nella specie dovrebbero applicarsi "...i criteri
risarcitori ivi previsti...".
Orbene, osserva il Collegio, sotto un
primo profilo, che con l'impugnazione suddetta è stata, in effetti, introdotta
una domandanuova in appello, che dovrebbe esser decisa in
unico grado, in contrasto col chiaro disposto dell'art. 104 c.p.a., e al di
fuori della riserva, ivi contemplata, di cui al precedente art. 34 comma 3,
poiché in realtà la sentenza parziale 4287 dell'11 agosto 2009 ha comunque
annullato il provvedimento dirigenziale e la presupposta deliberazione di
Giunta municipale che aveva disposto l'acquisizione ai sensi dell'art. 43 del
d.P.R. n. 327/2001.
Sotto altro aspetto, non può poi tralasciarsi
di evidenziare che i criteri invocati attengono alla liquidazione del c.d.
indennizzo, che a sua volta presuppone l'emanazione di apposito provvedimento
discrezionale da parte dell'Autorità che utilizza il bene.
Come già rilevato da questa Sezione,
"...le disposizioni di cui all'art. 42 bis del DPR n. 327/2001...sono
rivolte non già al giudice, bensì alla amministrazione pubblica...(sicché) è
detta autorità che deve procedere (ovvero non procedere) a liquidare
l'indennizzo...potendo il giudice valutare la legittimità dell'attività
amministrativa solo ex post, una volta che - richiestone dalla parte che si
ritiene lesa - sia chiamato a sindacare l'operato della pubblica
amministrazione" (Cons. Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2013, n. 76).
In altri termini, la disposizione
individua una sfera di discrezionalità intangibile dalla giurisdizione
amministrativa, nel senso che l’emanazione del provvedimento rimane affidata
all’iniziativa e alla responsabilità dell’Amministrazione, ossia de “...l’autorità
che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in
assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della
pubblica utilità…”, previa motivazione “…delle attuali ed eccezionali ragioni
di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate
comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l'assenza
di ragionevoli alternative alla sua adozione…”.
Ne consegue, appunto, che il giudice
amministrativo non può fare diretta applicazione dei criteri
"indennitari" enunciati dall'art. 42 bis, potendo soltanto sindacare
l'esercizio del potere se e in quanto si sia estrinsecato nell'adozione del
provvedimento di acquisizione.
4.2) Con l'appello principale n. 4853/2011
sono state impugnate sia la sentenza parziale e istruttoria n. 4287 dell'11
agosto 2009, che la sentenza definitiva n. 502 del 21 marzo 2011.
4.2.1) Con la prima sentenza il giudice
amministrativo salernitano ha annullato la determinazione dirigenziale n. 2123
prot. del 4 giugno 2002, e la presupposta deliberazione di Giunta municipale n.
106 del 13 marzo 2002, con cui era stata disposta l'acquisizione del compendio
immobiliare ai sensi dell'art. 43 del d.P.R. n. 327/2001, dichiarando invece
improcedibile per carenza d'interesse l'impugnativa, proposta con motivi
aggiunti, della successiva deliberazione di Giunta municipale 231 del 7 agosto
2008 e della conseguente determinazione dirigenziale n. 266 del 4 settembre, in
quanto atti strettamente consequenziali e quindi travolti dall'annullamento
degli atti presupposti; in relazione alla domanda subordinata proposta dal
Comune di Ariano Irpino, ai sensi del comma 3 dell'art. 43, ha poi disposto
consulenza tecnica d'ufficio ai fini della "...quantificazione del danno
patito dal privato in relazione alla natura ed alla effettiva estensione dei
suoli oggetto di apprensione, di modificazione e di utilizzazione per scopi di
interesse pubblico".
A tale sentenza si riferiscono, in
effetti, i primi due motivi dell'appello principale, con i quali sostiene: col
primo che gli atti impugnati, che sarebbero stati emanati in pendenza del
termine d'efficacia decennale della declaratoria di pubblica utilità -
ricondotta alla deliberazione consiliare n. 22 del 9 luglio 1992 - dovrebbero
intendersi "convertiti" in effetti in provvedimenti espropriativi;
col secondo che sussisteva litispendenza tra il giudizio instaurato dinanzi al
T.A.R. e quello pendente dinanzi al Tribunale civile di Avellino con atto di
citazione notificato il 19 gennaio 2010.
Gli appellati, a loro volta, hanno dedotto
l'inammissibilità dell'impugnazione della sentenza parziale n. 4287 dell'11
agosto 2009, perché il Comune di Ariano Irpino, nella memoria difensiva
depositata in primo grado il 25 novembre 2010, avrebbe dato come presupposto il
passaggio in giudicato della medesima, manifestando una volontà abdicativa
della riserva d'appello formulata in precedenza.
Osserva il Collegio che l'eccezione
pregiudiziale testé richiamata è destituita di fondamento giuridico.
Incontestata la formulazione della riserva
d'appello nei confronti della sentenza parziale (sulla cui ammissibilità, in
applicazione analogica dell'art. 340 c.p.c., cfr. già Cons. Stato, Sez. IV, 18
marzo 1997, n. 259 e 1° marzo 2001, n. 1121, nonché Sez. V, 30 maggio 2006, n.
3294 e 27 ottobre 2011, n. 5738), è evidente che la rinuncia alla riserva
d'impugnazione non può essere correlata a una mera
generica indicazione, contenuta in uno
scritto difensivo, sul passaggio in giudicato della sentenza parziale, poiché,
trattandosi di negozio processuale abdicativo, essa richiede l'estrinsecazione
di una dichiarazione di volontà chiara e inequivoca, ancorché non esternata
secondo formule sacramentali.
Peraltro, sia il primo che il secondo
motivo dell'appello principale n.r. 4853/2011 sono destituiti, a loro volta, di
fondamento giuridico e devono essere rigettati.
Quanto al motivo sub 1), infatti, e
secondo quanto esattamente rilevato dagli appellati, l'efficacia temporale
della dichiarazione di pubblica utilità non può riconnettersi alla
deliberazione di Consiglio comunale n. 22 del 9 luglio 1992, poiché la medesima
non ha provveduto all’approvazione di un nuovo piano degli insediamenti
produttivi, con connessa decorrenza di nuovo termine decennale di validità,
sebbene di una semplice variante al P.I.P., più o meno estesa, di adeguamento a
rilievi della Soprintendenza relativi alla tutela delle aree tratturali.
Ne consegue che è del tutto infondato
l'assunto secondo il quale il termine d'efficacia del piano e della connessa
declaratoria di pubblica utilità avrebbe assunto scadenza al 9 luglio 2002, e
che la deliberazione di Giunta municipale n. 106 del 13 marzo 2002 e la
determinazione dirigenziale n. 2123 prot. del 4 giugno 2002, con cui era stata
disposta l'acquisizione ex art. 43 del d.P.R. n. 327/2001, dovrebbero ritenersi
"convertiti" o "convertibili" in provvedimento
espropriativo o comunque, di là dal nomen juris, assumerne
contenuto ed effetti.
Quanto poi al motivo sub 2), deve negarsi
la prospettata litispendenza tra il giudizio civile per il risarcimento del
danno riferito ad una minore porzione (circa la metà) del compendio
immobiliare, e quello amministrativo.
Sul piano generale, infatti, l'istituto
della litispendenza, disciplinato dall'art. 39 c.p.c., postula non solo
l'identità della controversia, bensì la sua pendenza dinanzi a giudici diversi
della giurisdizione ordinaria, non essendo configurabile invece tra giudizi
instaurati in diversi ambiti giurisdizionali, rispetto ai quali l'eventuale e
potenziale conflitto può risolversi solo attraverso regolamento di
giurisdizione, oppure denunciando il conflitto di giurisdizione (cfr. per tutte
Cass., Sez. V, 30 luglio 2007, n. 16834).
Nel caso di specie, peraltro, e in
disparte la considerazione che il giudice preventivamente adito è quello
amministrativo (sicché e semmai l'eccezione andava formulata dinanzi al giudice
civile successivamente adito), è evidente che il giudizio amministrativo ha
oggetto ben diverso e distinto, costituito dall'impugnativa dei provvedimenti,
giuntale e dirigenziale, di acquisizione ex art. 43 del d.P.R. n. 327/2001,
rientrante incontestabilmente nella sfera giurisdizionale amministrativa, come
del pari è indubitabile che nella medesima rientri la cognizione degli effetti
restitutori e/o risarcitori connessi all'annullamento del decreto di
acquisizione sanante.
Peraltro, nel caso di specie, anche a
volersi rapportare alla situazione qua ante l'emanazione dell'annullato decreto
ex art. 43 d.P.R. n. 327/2001, è evidente che resterebbe ferma la giurisdizione
amministrativa non si è in presenza di un mero comportamento, sebbene di una
condotta dell’amministrazione direttamente collegata all’esercizio del potere
pubblico concernente l’apprensione del bene ai fini della realizzazione opere
pubbliche, nei sensi precisati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 191
dell’11 maggio 2006.
La Consulta ha chiarito, a proposito, che
“deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a
"comportamenti" (di impossessamento del bene altrui) collegati
all’esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere
dichiarata costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione
esclusiva di "comportamenti" posti in essere in carenza di potere
ovvero in via di mero fatto”.
Il confine tra le due giurisdizioni è così
tracciato in modo chiaro e netto: laddove il comportamento sia riconducibile,
anche “mediatamente”, all’esercizio del potere pubblico, compete al G.A. di
conoscere le controversie relative al comportamento e ai suoi effetti, con la
stessa ampiezza di poteri giurisdizionali propri della tutela risarcitoria,
ossia, come chiarito ancora dalla Corte Costituzionale “sia per equivalente sia
in forma specifica”.
E’ tale anche il caso in cui l’occupazione
sia seguita ad una dichiarazione di pubblica utilità, e dunque ad un iniziale
esercizio di potere pubblicistico, anche se il procedimento non si sia concluso
con un decreto di esproprio o si sia concluso con un decreto di esproprio
tardivo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 31 maggio 2012, n. 3269; vedi anche nello
stesso senso, 6 novembre 2008, n. 5498).
4.2.2) Con il terzo motivo dell'appello
principale sono stati censurati i criteri di liquidazione del danno,
sostenendosi che:
- il valore doveva essere rapportato a
quello agricolo, e non al valore edificabile in zona d’insediamenti produttivi
(a seguito della scadenza del P.I.P.), che doveva assumersi quindi un valore
unitario ben inferiore a € 24 per metro quadro;
- l’incidenza del suolo sarebbe pari al
massimo al 10%, e non già al 15%;
- doveva considerarsi il costo di
realizzazione (€ 510,00) e non il valore venale (€ 600,00);
- in chiave sintetico-comparativa siano
erano stati considerati immobili non omogenei, e non anche gli elementi
parametrici offerti dal Comune.
Gli appellati, a loro volta, eccepito che
il valore venale non poteva che essere rapportato alla destinazione urbanistica
delle aree, non incisa dalla scadenza dell'efficacia espropriativa dello
strumento urbanistico esecutivo, con l'appello incidentale hanno a loro volta
contestato i criteri di liquidazione del danno.
Evidenti ragioni di economia espositiva
consigliano, dunque, di trattare in modo unitario le suddette censure.
4.2.2.1) Orbene, quanto al tema della base
parametrica del risarcimento, deve rammentarsi che il valore agricolo, e in
specie il c.d. valore agricolo medio, di cui al combinato disposto dell'art. 5
bis comma 4 del d.l. n. 333/1992, convertito con modificazioni nella legge n.
359/1992 e dell'art. 16 commi 5 e 6 della legge 22 ottobre 1971 n. 865 (ossia
delle norme di cui al titolo II della predetta legge cui il primo rinviava)
sono ormai definitivamente espunti dall'ordinamento per effetto della
declaratoria d'incostituzionalità di cui alla sentenza della Corte
Costituzionale n. 181 del 10 giugno 2011.
La Consulta ha, infatti, considerato
l'illegittimità costituzionale delle suddette disposizioni per contrasto con
l'art. 117, comma 1, cost., in relazione all'art. 1 del primo protocollo
addizionale della convenzione europea dei diritti dell'uomo,
nell'interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, nonché con l'art. 42,
comma 3, cost., perché il c.d. v.a.m. (valore agricolo medio)
"...prescinde dall'area oggetto del procedimento espropriativo ed ignora
ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene. Restano così
trascurate le caratteristiche di posizione del suolo, il valore intrinseco del
terreno (che non si limita alle colture in esso praticate, ma consegue anche
alla presenza di elementi come l'acqua, l'energia elettrica, l'esposizione), la
maggiore o minore perizia nella conduzione del fondo e quant'altro può incidere
sul valore venale di esso. Il criterio, dunque, ha un carattere inevitabilmente
astratto, che elude il ragionevole legame con il valore di mercato del bene
ablato, prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente,
del resto, con il serio ristoro richiesto dalla consolidata giurisprudenza
costituzionale. Fermo restando che il legislatore non ha il dovere di
commisurare integralmente l'indennità di espropriazione al valore di mercato e
che non sempre é garantita dalla Cedu una riparazione integrale, l'esigenza di
effettuare una valutazione di congruità dell'indennizzo espropriativo,
determinato applicando eventuali meccanismi di correzione sul valore di
mercato, impone che quest'ultimo sia assunto quale termine di riferimento dal
legislatore, in guisa da garantire il giusto equilibrio tra l'interesse
generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli
individui".
Ne consegue che, sempre in tema
d'indennità di esproprio, l'inapplicabilità del v.a.m., ovviamente nei rapporti
non esauriti, implica il necessario riferimento "... al valore venale
pieno, potendo l'interessato anche dimostrare che il fondo è suscettibile di
uno sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere
il livello dell'edificatorietà e che, quindi, ha una valutazione di mercato che
rispecchia possibilità di utilizzazione intermedie tra l'agricola e
l'edificatoria" (Cass. Civ., Sez. I, 17 ottobre 2011, n. 21386).
Orbene, è evidente che, se ai fini
dell'indennità d'esproprio, che deve rappresentare comunque un serio
ristoro, non può aversi riguardo al valore agricolo medio, a
fortiori non può tenersi conto del medesimo a fini risarcitori,
dovendosi invece far riferimento al valore venale in comune commercio,
considerate tutte le caratteristiche del suolo, ivi compresa la sua ubicazione
più o meno interna o esterna a centri abitati, la presenza di opere
urbanizzative e di altre infrastrutture, senza, naturalmente, poterne
considerare potenzialità edificatorie inesistenti e/o precluse dalla sua
destinazione urbanistica.
Nel caso di specie, poi, come esattamente
osservato dagli appellati, la scadenza dei vincoli espropriativi connessi allo
strumento urbanistico esecutivo, non travolge anche la destinazione
urbanistica, non essendo stato dimostrato dall'Amministrazione comunale che i
suoli già ricompresi nel piano di insediamenti produttivi scaduto, e in parte
attuato, siano stati oggetto di previsioni urbanistiche nuove e diverse, di
riserva ad attività agricole e/o o di tutela del verde agricolo, tali dunque da
escluderne l'utilizzazione edilizia.
4.2.2.2) Peraltro, prima di esaminare le
altre censure relative alla commisurazione del risarcimento del danno, deve
escludersi la fondatezza del primo motivo dell'appello incidentale, con il
quale si contesta la statuizione del giudice amministrativo campano in ordine
alla cessione dei suoli "a titolo gratuito".
In effetti, la sentenza, sia pure
esprimendosi in modo relativamente improprio, ha subordinato
la c.d. cessione a titolo gratuito al pagamento delle somme liquidate a titolo
di risarcimento del danno, con ciò intendendo soltanto evidenziare che, se e
qualora siano soddisfatte le ragioni creditorie dei proprietari, e non avendo i
medesimi ritenuto di richiedere la restituzione dei suoli, e quindi avendo
manifestato la volontà di conseguire soltanto il risarcimento per equivalente,
occorrerebbe perfezionale il trasferimento del compendio immobiliare alla mano
pubblica.
In tale prospettiva è evidente che il
privato rimane affatto libero di rifiutare il risarcimento del danno per
equivalente, come, del pari, l'Amministrazione pubblica potrebbe esercitare il
potere discrezionale di procedere all'acquisizione ex art. 42 bis del d.P.R. n.
327/2001, provvedendo alla liquidazione dell'indennizzo ivi previsto.
4.2.3) Tanto l'appellante principale,
quanto gli appellanti incidentali, hanno contestato i criteri di liquidazione,
e i secondi anzitutto il momento temporale cui ragguagliare la determinazione
del valore di mercato del compendio immobiliare, sostenendo, con la seconda
parte del primo motivo e con il terzo motivo, che tale momento debba
determinarsi con riferimento all'attualità, ossia alla data di stipula
dell'atto di cessione da stipulare, salvo il risarcimento del danno per il
periodo dell'intera occupazione e sino alla data della trasformazione del suolo
(ossia dal 1994 al 1998), nella misura degli interessi moratori sul valore di
mercato del bene per ciascun anno di occupazione, secondo quanto invece
invocato con il secondo motivo.
Entrambe le parti poi contestano il valore
unitario di mercato a metro quadro, come determinato dal consulente tecnico
d'ufficio del primo giudice in € 24,00 al mq. (muovendo da un valore unitario
medio di € 600,00), laddove per il Comune la base di computo assunta non
dovrebbe superare il costo di realizzazione (€ 510,00), e quindi attestarsi su
€ 14,12 al mq., mentre per i privati il parametro base non dovrebbe essere
inferiore a € 700,00-800,00, e quindi dovrebbe ascendere almeno ad € 35-40; la
discordanza dipende anche e sopratutto dall'incidenza assegnata al valore del
suolo in relazione alle opere urbanizzative realizzate dal Comune, che secondo
l'appellante principale sarebbe pari al 10% al massimo (motivo sub 3, seconda
parte dell'appello principale), quindi inferiore a quella considerata dal
c.t.u., pari al 15%, e secondo gli appellanti incidentali, invece, sarebbe
superiore e pari al 20% (motivo sub 4 dell'appello incidentale).
Gli appellanti incidentali lamentano
ulteriormente:
.- che il c.t.u. abbia assunto il saggio
degli interessi legali, in luogo di quello degli interessi moratori, e non
abbia computato il maggior danno da svalutazione ai sensi dell'art. 1224 comma
2 cod. civ.;
.- non abbia considerato che le somme da
liquidare dovevano essere al netto e non al lordo della ritenuta d'acconto
(motivo sub 3 dell'appello incidentale, seconda parte);
.- ancora che non siano stati considerati
ai fini della liquidazione il valore delle opere urbanizzative e il valore dei
soprassuoli (indicato nella misura di € 18.965,60) e l'indennità di
asservimento della porzione di suoli (particelle 92 e 93) interessati da
tubature interrate (motivo sub 4 dell'appello incidentale, seconda parte).
Contestano,infine, la liquidazione di
onorari di difesa, perché non ragguagliata alla tariffa forense (motivo sub 5
dell'appello incidentale).
4.2.3.1) Orbene, prima di esaminare le
suddette censure, mette conto riportare le pertinenti argomentazioni svolte dal
giudice amministrativo campano in ordine ai criteri di liquidazione,
riassumibili nei seguenti snodi:
- "...una volta caduta, per effetto
della dichiarazione di illegittimità costituzionale, la norma di cui
all’articolo 43 del t.u. espropriazioni (che fondava il tramonto dell’istituto
dell’occupazione acquisitiva) e nelle more della eventuale introduzione di una
nuova disciplina normativa regolatrice della fattispecie della utilizzazione di
un bene occupato sine titulo per fini di pubblica utilità, ritiene il
Tribunale, che il criterio cui fare riferimento per la determinazione del
valore venale del bene sia quello della data in cui è avvenuta la irreversibile
trasformazione del fondo... atteso che a tale data:
- è riconducibile il momento in cui
l’amministrazione comprime in senso sostanziale e definitivo le facoltà del
privato connesse al diritto di proprietà;
- il bene perde definitivamente i
caratteri originari che connotavano l’oggetto del diritto dominicale; - viene
concretamente attuato l’interesse pubblico sotteso all’attività di apprensione
del bene;
- eventuali modifiche successive del
regime giuridico dei suoli (anche incidenti sul valore dello stesso) appaiono
collegate esclusivamente all’interesse pubblico connesso all’opera realizzata e
del tutto sganciate (e, dunque, non derivanti) dal suolo quale bene originario
appartenente al privato";
- " Il valore venale del bene,
determinato alla data di irreversibile trasformazione del fondo, deve essere
attualizzato, applicandosi pertanto al relativo importo la rivalutazione
monetaria secondo indici ISTAT";
- "...è altresì necessario ristorare
il privato per la mancata utilizzazione del bene per tutto il periodo della
occupazione fino alla corresponsione dell’importo corrispondente al valore
venale del bene attualizzato ed al formale atto di cessione dello
stesso...(onde)... seguendo il criterio utilizzato dalla citata giurisprudenza
della CEDU, può essere ristorato attraverso il pagamento degli interessi, che
devono corrispondere all’interesse legale semplice applicato al capitale
progressivamente rivalutato";
- richiamate quindi le risultanze della
c.t.u. è stato condiviso il "... prezzo unitario medio dell’intera area
PIP di Camporeale, che è stato ottenuto riducendo il valore unitario dei lotti
industriali non computando le aree previste per strade, parcheggi ed aree
pubbliche...", come determinato considerata "...l’incidenza dei lotti
sulla superficie totale dell’area PIP pari al 60,89%..". E quindi "...
il valore unitario medio territoriale dell’area PIP è pari al 60,89% del valore
unitario del lotto industriale", e il valore di stima determinato in € 24
al metro quadro, che, ancorché determinato con riferimento al 2010, e non al
momento della trasformazione dei suoli "... epoca di ultimazione dei
lavori di realizzazione delle infrastrutture..", è stato nondimeno
considerato applicabile perché "... il valore di euro 24/mq. al 2010 non è
altro che l’importo rivalutato al 2010 del valore venale unitario al 1997 (
euro 18,55 al 31-12-1996 ed euro 18,85 al 31-12-1997)";
- da tali elementi, è stata determinata
quindi la somma complessiva dovuta "...di euro 1.000.344, quale valore
venale delle aree al 31-3-2010, dovendo peraltro la stessa essere ulteriormente
incrementata della rivalutazione monetaria secondo indici ISTAT fino al momento
dell’effettivo pagamento, costituente concreto soddisfo";
- quanto invece al risarcimento del danno
conseguente all'occupazione e alla perdita del godimento del bene, il giudice
amministrativo campano ha distinto:
-- per la porzione del compendio sul quale
è intervenuto decreto d'occupazione, non impugnato e quindi "valido ed
efficace titolo provvedimentale", e per la durata stabilita del decreto,
la doverosa corresponsione dell'indennità di occupazione, e invece il
risarcimento "...dalla data di scadenza del decreto di occupazione di
urgenza (epoca in cui ha inizio l’utilizzazione illecita) fino all’effettivo
pagamento...";
-- per la porzione dei suoli per i quali
non è intervenuto il decreto d'occupazione, ma comunque oggetto di apprensione
materiale, il risarcimento "...dalla data di occupazione materiale (l’immissione
in possesso avvenuta il 12-4-1994) fino all’effettivo pagamento...";
- precisandosi da ultimo che dal complesso
delle somme dovute debbono essere "...detratte le somme eventualmente già
corrisposte al ricorrente o ad altro avente titolo.." (ossia i figli cui
il de cuius aveva ceduto il credito).
4.2.3.2) Orbene, il Collegio ritiene che
le modalità di liquidazione e i criteri ad esse sottesi, come dianzi
richiamati, siano immuni dalle censure come dianzi riepilogate.
Quanto al momento temporale di riferimento,
e alle modalità di computo degli interessi, non hanno consistenza le censure
degli appellanti incidentali, posto che il valore unitario di mercato a metro
quadro è stato attualizzato, come visto, al momento della
consulenza tecnica d'ufficio, e quindi ad epoca ben successiva a quella della
data di trasformazione del compendio immobiliare, risalente alla data di
realizzazione delle opere urbanizzative, e il valore differenziale sino al
momento del pagamento delle somme è poi coperto dalla riconosciuta
rivalutazione monetaria secondo indici ISTAT.
Quanto invece al danno conseguente
all'occupazione e alla perdita del godimento del bene, esattamente il giudice
amministrativo campano ha distinto tra le porzioni del compendio oggetto di
decreto di occupazione (non impugnato, e del quale quindi non può contestarsi
la legittimità) e le altre di cui vi è stata mera apprensione materiale non
assistita da titolo, riconoscendo per le prime e sino alla scadenza del termine
d'efficacia della occupazione la spettanza dell'indennità di occupazione, e
quindi il risarcimento per il periodo successivo e sino alla data di effettivo
pagamento, e per le altre invece il risarcimento dalla data della materiale
apprensione e sino alla data del pagamento, richiamando il consolidato criterio
di commisurazione rapportato agli interessi al saggio legale, in mancanza di
ogni indicazione e prova di diversa e maggiore redditività dei suoli.
In presenza poi di contrastanti
indicazioni delle parti in ordine al valore di mercato dei suoli, rapportate
all'allegazione di diverso valore unitario dei lotti industriali, è del tutto
razionale il richiamo ai valori "mediani" individuati dal consulente
tecnico d'ufficio, giustamente depurati dall'incidenza del valore
aggiunto costituito dalle opere urbanizzative realizzate
dall'Amministrazione comunale.
E' peraltro evidente che la somma dovuta a
titolo risarcitorio, nelle componenti individuate dal giudice amministrativo
campano, costituisce liquidazione di ogni frazione differenziale specifica, e
quindi sia il c.d. valore dei soprassuoli sia l'asservimento di specifiche
particelle interessate da scavi e tubature interrate.
Non compete al giudice amministrativo,
invece, l'accertamento sulle modalità di computo degli oneri fiscali e in
specie sulla ritenuta d'acconto, ossia se il relativo importo debba essere
aggiunto alle somme da liquidare, ovvero se debba essere detratto dalle
medesime, pur non potendosi dubitare che non soltanto le somme versate a titolo
d'indennità di espropriazione bensì, in generale, tutte quelle pagate a titolo
risarcitorio in relazione a vicende ablative costituiscano plusvalenza assoggettabile
a tassazione (cfr. per tutte Cass., Sez. Trib., 23 novembre 2011, n. 24689).
4.2.4) Da ultimo deve disattendersi il
residuo quinto motivo dell'appello incidentale, avendo il T.A.R. liquidato le
spese del giudizio di primo grado in via implicitamente equitativa (cfr. Cons.
Stato, Sez. V, 6 giugno 2012, n. 3339, Sez. IV, 26 luglio 2011, n. 4465).
5.) In conclusione, il Collegio,
dichiarato inammissibile l'appello autonomo successivo n.r. 7534/2011, deve
rigettare l'appello principale n.r. 4853/2011 e l'appello incidentale proposto
nel medesimo, con la conferma delle sentenze impugnate.
6.) La reciproca soccombenza giustifica
l'integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio d'appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quarta) così provvede, previa riunione, sugli appelli
in epigrafe n.r. 4853/2011 e n.r. 7534/2011:
1) dichiara inammissibile l'appello
autonomo successivo n.r. 7534/2011;
2) rigetta l'appello principale n.r.
4853/2011 e l'appello incidentale proposto nel medesimo, e per l'effetto
conferma le sentenze del T.A.R. per la Campania, Sezione staccata di Salerno,
Sezione II, n. 4287 dell’11 agosto 2009 e n. 502 del 21 marzo 2011;
3) dichiara compensate per intero tra le
parti le spese e onorari del giudizio d'appello.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 26 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Andrea Migliozzi, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere,
Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/12/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)