venerdì 13 giugno 2014

APPALTI: un Organismo di Diritto pubblico può esercitare il potere d'autotutela (Cons. St., Sez. VI, sentenza 3 giugno 2014 n. 2843).


APPALTI: 
un Organismo di Diritto pubblico 
può esercitare il potere d'autotutela 
(Cons. St., Sez. VI, 
sentenza 3 giugno 2014 n. 2843).



Massima

1. Come noto, l'art. 1, co. 136, della L. n. 311/2004 (legge finanziaria 2005), nel prevedere ha previsto un annullamento d'ufficio "sui generis",: così dispone: “al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l'annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l'esecuzione degli stessi sia ancora in corso”.
2. Il mancato inserimento di una Fondazione, che opera come Organismo di Diritto Pubblico, nell’elenco delle amministrazioni formato dall’ISTAT ovvero inserite nel conto economico consolidato ex art. 1, co. 3, della L. n. 196/2009, non può condurre a ritenere inapplicabile alla stessa dell’art. 1 comma 136 citato, volto a conseguire risparmi o minori oneri finanziari a carico degli enti pubblici.
3. L’inserimento nel conto consolidato elaborato dall’Istat ai sensi dell’art. 1 co. 5 della L. n. 311/2004 e dell’art. 1 co. 3 della legge n. 196/2009, e nel relativo elenco soccorre soltanto qualora non sia evidente che l’organismo esaminato è una pubblica amministrazione: l’elenco stesso non ha, in altre parole, natura e valore costitutivi della natura pubblica dell’organismo stesso, a ciò venendo in considerazione altri profili, in particolare quelli che si basano sulla definizione di “unità istituzionale pubblica”, di derivazione comunitaria.
4. Tale definizione fa leva sul concetto di “controllo” e di “finanziamento” da parte di pubbliche amministrazioni, elementi che costituiscono  l'essenza del c.d. "organismo di diritto pubblico" di cui all'art. 3 co. 26 del D.Lgs. n. 163/2006: 1) personalità giuridica, 2) sottoposizione al potere pubblico quanto a controlli o nomine dei  3) attività finalizzata alla soddisfazione di esigenze di interesse generale di assistenza a soggetti disagiati.

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Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4857 del 2013, proposto da:
Fms Facility Management Services Italia s.p.a., ora Fabbro s.p.a. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Maurizio Boifava e Andrea Manzi, presso quest’ultimo elettivamente domiciliata in Roma, via Federico Confalonieri 5; 
contro
Fondazione Cà d'Industria o.n.l.u.s. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Mantegazza, Gianni Mantegazza, Fabio Merusi, presso quest’ultimo elettivamente domiciliata in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE III n. 861/2013, resa tra le parti, concernente annullamento dell’affidamento del servizio di ristorazione presso le sedi della fondazione.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della fondazione intimta;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 maggio 2014 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati Giacometti per delega dell’avvocato Boifava, Manzi e Merusi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
La società appellante chiede la riforma della sentenza, in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale amministrativo della Lombardia ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento in data 30 aprile 2012 della fondazione resistente, recante annullamento dell’affidamento del servizio decennale di ristorazione, affidamento conseguente all’aggiudicazione deliberata, all’esito della relativa gara, con deliberazione del consiglio d’amministrazione del 26 febbraio 2010.
I) Il provvedimento impugnato in primo grado, intervenuto dopo l’esperimento di inutile trattative, ha annullato l’aggiudicazione e dichiarato l’inefficacia del contratto sottoscritto il 17 marzo 2010, in ragione dei vizi di legittimità riscontrati nel procedimento, che hanno comportato la violazione della par condicio tra i concorrenti e l’aggravio di spese non giustificate alla luce delle condizioni contrattuali evidenziate nella lettera di invito “posto il notevole divario esistente tra i pasti effettivamente consumati…e il numero dei pasti minimi garantiti che vengono addebitati alla Fondazione”.
Tale divario concerne la quantità minima delle giornate alimentari annue, che nella lettera invito erano indicate in circa 180.000, e che l’offerta tecnica della società risultata aggiudicataria ha tradotto in “numero minimo garantito dalla Fondazione”, trasformando quello che era un obbligo di prestazione da inserire nell’offerta nella garanzia di avere, da parte della stazione appaltante, un corrispettivo calcolato su detto quantitativo, indipendente dall’effettiva erogazione.
Per effetto di tale callida interpretazione, la società ha così trasformato il contenuto della prestazione contrattuale richiesta dalla stazione appaltante come parte essenziale dell’offerta, nel corrispettivo minimo garantito a carico dell’Amministrazione e a favore dell’aggiudicatario. In tali termini si è poi concretizzato il contratto stipulato, che prevede il corrispettivo sulla base del numero dei pasti determinata per 182.000 giornate alimentari annue, e specifica che “tali valori sono da considerarsi minimo garantito che verrà fatturato mensilmente dal gestore al cliente anche se non richiesto”.
E’ evidente che, a fronte della rilevata incongruenza dell’offerta presentata dal concorrente poi risultato aggiudicatario e del conseguente contratto rispetto alle condizioni della lettera di invito, pienamente giustificato è l’annullamento disposto con il provvedimento impugnato in primo grado.
II) Il ricorso presentato dalla società appellante davanti al Tribunale amministrativo della Lombardia ha riguardato, in particolare, la qualificazione della Fondazione come organismo di diritto pubblico, con conseguente illegittimità dell’applicazione dell’art. 1, comma 136, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), richiamato dal provvedimento impugnato, il quale così dispone: “al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l'annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l'esecuzione degli stessi sia ancora in corso”.
Tale censura, volta a rivendicare la natura totalmente privata della Fondazione e riproposta in appello, è infondata.
In disparte la considerazione che la natura pubblicistica della Fondazione è quella che legittima il ricorso alla giurisdizione amministrativa, adita dal ricorrente, al quale non è poi consentito metterla in discussione ( per tutte, Consiglio di Stato, sezione VI, 8 marzo 2012, n. 1308), le considerazioni che hanno condotto il primo giudice a riconoscere nella Fondazione resistente la natura di organismo di diritto pubblico sono del tutto condivisibili, e resistono alle censure svolte in secondo grado (vale ricordare che con sentenza della sezione IV, 13 marzo 2014, n. 2064 del 2014, prodotta in giudizio, anche la Corte d’appello di Milano ha riconosciuto la natura di organismo di diritto pubblico della Fondazione, condividendo il giudizio dato dal Tribunale amministrativo).
In particolare, è infondata la pretesa che deduce dal mancato inserimento della Fondazione nell’elenco delle amministrazioni formato dall’ISTAT ovvero inserite nel conto economico consolidato ex art. 1, comma 3, della legge n. 196 del 2009 l’inapplicabilità alla stessa dell’art. 1 comma 136 citato, volto a conseguire risparmi o minori oneri finanziari a carico degli enti pubblici.
Come evidenziato da questo Consiglio di Stato (sezione VI, 28 novembre 2012, n. 6014), infatti, l’inserimento nel conto consolidato elaborato dall’Istat ai sensi dell’art. 1 comma 5 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e dell’art. 1 comma 3 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 e nel relativo elenco soccorre qualora non sia evidente che l’organismo esaminato è una pubblica amministrazione: l’elenco stesso non ha, in altre parole, natura e valore costitutivi della natura pubblica dell’organismo stesso, a ciò venendo in considerazione altri profili, in particolare quelli che si basano sulla definizione di “unità istituzionale pubblica”, di derivazione comunitaria.
Tale definizione fa leva sul concetto di “controllo” e di “finanziamento” da parte di pubbliche amministrazioni, elementi che, rapportati alle caratteristiche della Fondazione esaminata, conducono, come ha ritenuto il Tar, a riconoscerne la natura di organismo di diritto pubblico (sottoposizione al controlli pubblicistici in forza dell’art. 7 dello statuto; nomina del consiglio di amministrazione da parte del Comune di Como, della Regione Lombardia e della Provincia di Como; finanziamento da parte del Comune di Como; attività finalizzata alla soddisfazione di esigenze di interesse generale di assistenza a soggetti disagiati).
Deve quindi concludersi, sul punto, sulla natura di “amministrazione pubblica” della Fondazione, ai fini dell’applicabilità alla stessa dell’art. 1 comma 136 della legge n. 311 del 2004.
In ogni caso (ed è considerazione conclusiva), la norma appena richiamata costituisce, nell’economia complessiva della motivazione del provvedimento impugnato, parametro residuale di legittimità, il principale consistendo nella disposizione di cui all’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, a norma del quale il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d’ufficio per ragioni di interesse pubblico. Questa norma (applicabile, in forza dell’art. 1 comma 1 ter della medesima legge n. 241, anche a tutti i soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative), consente all’Amministrazione (tra l’altro) di liberarsi di adempimenti contrattuali frutto di procedure e di provvedimenti dei quali abbia riscontrato l’illegittimità, come è avvenuto nella fattispecie in esame, nella quale l’offerta non trovava corrispondenza nella proposta ed era stata formalizzata in senso del tutto ingiustificato e sfavorevole per l’interesse pubblico perseguito con il procedimento.
III) Dei motivi che avrebbero portato al provvedimento di annullamento impugnato in primo grado, puntualmente, come si è detto, motivato anche sull’interesse pubblico ad evitare esborsi non dovuti, la Fondazione, dopo trattative che non hanno dato esito e che pertanto non hanno influenza sulla valutazione della determinazione finale, ha dato puntuale avviso alla società interessata con nota del 16 aprile 2012. Infondato è, perciò, il motivo di appello che si incentra sulla pretesa violazione degli oneri partecipativi previsti dalla legge n. 241 del 1990, non valendo, in contrario, l’omessa menzione nella comunicazione di avvio del procedimento dell’art. 1 comma 136, data l’esaustività dell’esposizione dei fatti contestati.
IV) Lamenta ancora l’appellante l’omessa considerazione, da parte della Fondazione prima, e del Tribunale amministrativo poi, del pregiudizio patrimoniale del quale l’art. 1 comma 136 citato vuole sia tenuta indenne la parte privata.
Anche questa censura è priva di fondamento: la già evidenziata ragione dell’annullamento dell’aggiudicazione e del conseguente contratto, consistente nella distorta interpretazione e applicazione del criterio del minimo garantito, ha comportato, a favore dell’appellante, la percezione di importi non dovuti, erogati dalla Fondazione quali corrispettivo di prestazioni non rese, non richieste ed estranee alla lex specialis della gara. Né, come ha sottolineato la sentenza impugnata, alcuna dimostrazione ha offerto la ricorrente dei danni asseritamente sofferti per effetto del provvedimento impugnato.
V) L’appellante, infine, pretende di riproporre, mediante un mero rinvio al ricorso di primo grado, le censure svolte avverso l’applicazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990.
Come è giurisprudenza consolidata di questo Consiglio di Stato, che il Collegio condivide, nel giudizio amministrativo di appello la mera riproposizione dei motivi proposti davanti al Tar, senza alcuna censura relativamente alle statuizioni della sentenza impugnata, ma mediante un mero rinvio, comporta l'inammissibilità dell'atto di appello (Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2014, n. 494).
In ogni caso, pienamente condivisibile, anche sul punto, è quanto ha rilevato la sentenza impugnata, nel senso che tutte le censure svolte dalla ricorrente sono strettamente connesse sul piano logico e giuridico, e sono del tutto infondate, per le ragioni sopra esposte.
VI) In conclusione, l’appello è infondato in ogni sua parte, e deve essere respinto.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe indicato, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna la società appellante a rifondere alla Fondazione resistente le spese del giudizio, nella misura di 7.000 (settemila) euro, oltre IVA e CPA per il secondo grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Vito Carella, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/06/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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