APPALTI:
un Organismo di Diritto pubblico
può esercitare il potere d'autotutela
(Cons. St., Sez. VI,
sentenza 3 giugno 2014 n. 2843).
Massima
1. Come noto, l'art. 1, co. 136, della L. n. 311/2004 (legge finanziaria 2005), nel prevedere ha previsto un annullamento d'ufficio "sui generis",: così dispone: “al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l'annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l'esecuzione degli stessi sia ancora in corso”.
2. Il mancato inserimento di una Fondazione, che opera come Organismo di Diritto Pubblico, nell’elenco delle amministrazioni formato dall’ISTAT ovvero inserite nel conto economico consolidato ex art. 1, co. 3, della L. n. 196/2009, non può condurre a ritenere inapplicabile alla stessa dell’art. 1 comma 136 citato, volto a conseguire risparmi o minori oneri finanziari a carico degli enti pubblici.
3. L’inserimento nel conto consolidato elaborato dall’Istat ai sensi dell’art. 1 co. 5 della L. n. 311/2004 e dell’art. 1 co. 3 della legge n. 196/2009, e nel relativo elenco soccorre soltanto qualora non sia evidente che l’organismo esaminato è una pubblica amministrazione: l’elenco stesso non ha, in altre parole, natura e valore costitutivi della natura pubblica dell’organismo stesso, a ciò venendo in considerazione altri profili, in particolare quelli che si basano sulla definizione di “unità istituzionale pubblica”, di derivazione comunitaria.
4. Tale definizione fa leva sul concetto di “controllo” e di “finanziamento” da parte di pubbliche amministrazioni, elementi che costituiscono l'essenza del c.d. "organismo di diritto pubblico" di cui all'art. 3 co. 26 del D.Lgs. n. 163/2006: 1) personalità giuridica, 2) sottoposizione al potere pubblico quanto a controlli o nomine dei 3) attività finalizzata alla soddisfazione di esigenze di interesse generale di assistenza a soggetti disagiati.
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Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale
4857 del 2013, proposto da:
Fms Facility Management Services Italia s.p.a., ora Fabbro s.p.a. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Maurizio Boifava e Andrea Manzi, presso quest’ultimo elettivamente domiciliata in Roma, via Federico Confalonieri 5;
Fms Facility Management Services Italia s.p.a., ora Fabbro s.p.a. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Maurizio Boifava e Andrea Manzi, presso quest’ultimo elettivamente domiciliata in Roma, via Federico Confalonieri 5;
contro
Fondazione Cà d'Industria o.n.l.u.s. in
persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli
avvocati Paolo Mantegazza, Gianni Mantegazza, Fabio Merusi, presso quest’ultimo
elettivamente domiciliata in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA -
MILANO: SEZIONE III n. 861/2013, resa tra le parti, concernente annullamento
dell’affidamento del servizio di ristorazione presso le sedi della fondazione.
Visti il ricorso in appello e i relativi
allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio
della fondazione intimta;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno
6 maggio 2014 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati
Giacometti per delega dell’avvocato Boifava, Manzi e Merusi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La società appellante chiede la riforma
della sentenza, in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale amministrativo
della Lombardia ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento in
data 30 aprile 2012 della fondazione resistente, recante annullamento
dell’affidamento del servizio decennale di ristorazione, affidamento
conseguente all’aggiudicazione deliberata, all’esito della relativa gara, con
deliberazione del consiglio d’amministrazione del 26 febbraio 2010.
I) Il provvedimento impugnato in primo
grado, intervenuto dopo l’esperimento di inutile trattative, ha annullato
l’aggiudicazione e dichiarato l’inefficacia del contratto sottoscritto il 17
marzo 2010, in ragione dei vizi di legittimità riscontrati nel procedimento,
che hanno comportato la violazione della par condicio tra i concorrenti e
l’aggravio di spese non giustificate alla luce delle condizioni contrattuali
evidenziate nella lettera di invito “posto il notevole divario esistente tra
i pasti effettivamente consumati…e il numero dei pasti minimi garantiti che
vengono addebitati alla Fondazione”.
Tale divario concerne la quantità minima
delle giornate alimentari annue, che nella lettera invito erano indicate in
circa 180.000, e che l’offerta tecnica della società risultata aggiudicataria
ha tradotto in “numero minimo garantito dalla Fondazione”, trasformando quello
che era un obbligo di prestazione da inserire nell’offerta nella garanzia di
avere, da parte della stazione appaltante, un corrispettivo calcolato su detto
quantitativo, indipendente dall’effettiva erogazione.
Per effetto di tale callida
interpretazione, la società ha così trasformato il contenuto della prestazione
contrattuale richiesta dalla stazione appaltante come parte essenziale
dell’offerta, nel corrispettivo minimo garantito a carico dell’Amministrazione
e a favore dell’aggiudicatario. In tali termini si è poi concretizzato il
contratto stipulato, che prevede il corrispettivo sulla base del numero dei
pasti determinata per 182.000 giornate alimentari annue, e specifica che “tali
valori sono da considerarsi minimo garantito che verrà fatturato mensilmente
dal gestore al cliente anche se non richiesto”.
E’ evidente che, a fronte della rilevata
incongruenza dell’offerta presentata dal concorrente poi risultato
aggiudicatario e del conseguente contratto rispetto alle condizioni della
lettera di invito, pienamente giustificato è l’annullamento disposto con il
provvedimento impugnato in primo grado.
II) Il ricorso presentato dalla società
appellante davanti al Tribunale amministrativo della Lombardia ha riguardato,
in particolare, la qualificazione della Fondazione come organismo di diritto
pubblico, con conseguente illegittimità dell’applicazione dell’art. 1, comma
136, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), richiamato
dal provvedimento impugnato, il quale così dispone: “al fine di conseguire
risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre
essere disposto l'annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi
illegittimi, anche se l'esecuzione degli stessi sia ancora in corso”.
Tale censura, volta a rivendicare la
natura totalmente privata della Fondazione e riproposta in appello, è
infondata.
In disparte la considerazione che la
natura pubblicistica della Fondazione è quella che legittima il ricorso alla
giurisdizione amministrativa, adita dal ricorrente, al quale non è poi
consentito metterla in discussione ( per tutte, Consiglio di Stato, sezione VI,
8 marzo 2012, n. 1308), le considerazioni che hanno condotto il primo giudice a
riconoscere nella Fondazione resistente la natura di organismo di diritto
pubblico sono del tutto condivisibili, e resistono alle censure svolte in
secondo grado (vale ricordare che con sentenza della sezione IV, 13 marzo 2014,
n. 2064 del 2014, prodotta in giudizio, anche la Corte d’appello di Milano ha
riconosciuto la natura di organismo di diritto pubblico della Fondazione,
condividendo il giudizio dato dal Tribunale amministrativo).
In particolare, è infondata la pretesa che
deduce dal mancato inserimento della Fondazione nell’elenco delle
amministrazioni formato dall’ISTAT ovvero inserite nel conto economico
consolidato ex art. 1, comma 3, della legge n. 196 del 2009 l’inapplicabilità
alla stessa dell’art. 1 comma 136 citato, volto a conseguire risparmi o minori
oneri finanziari a carico degli enti pubblici.
Come evidenziato da questo Consiglio di
Stato (sezione VI, 28 novembre 2012, n. 6014), infatti, l’inserimento nel conto
consolidato elaborato dall’Istat ai sensi dell’art. 1 comma 5 della legge 30
dicembre 2004, n. 311 e dell’art. 1 comma 3 della legge 31 dicembre 2009, n.
196 e nel relativo elenco soccorre qualora non sia evidente che l’organismo
esaminato è una pubblica amministrazione: l’elenco stesso non ha, in altre
parole, natura e valore costitutivi della natura pubblica dell’organismo
stesso, a ciò venendo in considerazione altri profili, in particolare quelli
che si basano sulla definizione di “unità istituzionale pubblica”, di
derivazione comunitaria.
Tale definizione fa leva sul concetto di
“controllo” e di “finanziamento” da parte di pubbliche amministrazioni,
elementi che, rapportati alle caratteristiche della Fondazione esaminata,
conducono, come ha ritenuto il Tar, a riconoscerne la natura di organismo di
diritto pubblico (sottoposizione al controlli pubblicistici in forza dell’art.
7 dello statuto; nomina del consiglio di amministrazione da parte del Comune di
Como, della Regione Lombardia e della Provincia di Como; finanziamento da parte
del Comune di Como; attività finalizzata alla soddisfazione di esigenze di
interesse generale di assistenza a soggetti disagiati).
Deve quindi concludersi, sul punto, sulla
natura di “amministrazione pubblica” della Fondazione, ai fini
dell’applicabilità alla stessa dell’art. 1 comma 136 della legge n. 311 del
2004.
In ogni caso (ed è considerazione
conclusiva), la norma appena richiamata costituisce, nell’economia complessiva
della motivazione del provvedimento impugnato, parametro residuale di
legittimità, il principale consistendo nella disposizione di cui all’art. 21 nonies della
legge 7 agosto 1990, n. 241, a norma del quale il provvedimento amministrativo
illegittimo può essere annullato d’ufficio per ragioni di interesse pubblico.
Questa norma (applicabile, in forza dell’art. 1 comma 1 ter della
medesima legge n. 241, anche a tutti i soggetti privati preposti all'esercizio
di attività amministrative), consente all’Amministrazione (tra l’altro) di
liberarsi di adempimenti contrattuali frutto di procedure e di provvedimenti
dei quali abbia riscontrato l’illegittimità, come è avvenuto nella fattispecie
in esame, nella quale l’offerta non trovava corrispondenza nella proposta ed
era stata formalizzata in senso del tutto ingiustificato e sfavorevole per
l’interesse pubblico perseguito con il procedimento.
III) Dei motivi che avrebbero portato al
provvedimento di annullamento impugnato in primo grado, puntualmente, come si è
detto, motivato anche sull’interesse pubblico ad evitare esborsi non dovuti, la
Fondazione, dopo trattative che non hanno dato esito e che pertanto non hanno
influenza sulla valutazione della determinazione finale, ha dato puntuale
avviso alla società interessata con nota del 16 aprile 2012. Infondato è,
perciò, il motivo di appello che si incentra sulla pretesa violazione degli oneri
partecipativi previsti dalla legge n. 241 del 1990, non valendo, in contrario,
l’omessa menzione nella comunicazione di avvio del procedimento dell’art. 1
comma 136, data l’esaustività dell’esposizione dei fatti contestati.
IV) Lamenta ancora l’appellante l’omessa
considerazione, da parte della Fondazione prima, e del Tribunale amministrativo
poi, del pregiudizio patrimoniale del quale l’art. 1 comma 136 citato vuole sia
tenuta indenne la parte privata.
Anche questa censura è priva di
fondamento: la già evidenziata ragione dell’annullamento dell’aggiudicazione e
del conseguente contratto, consistente nella distorta interpretazione e
applicazione del criterio del minimo garantito, ha comportato, a favore
dell’appellante, la percezione di importi non dovuti, erogati dalla Fondazione
quali corrispettivo di prestazioni non rese, non richieste ed estranee alla lex
specialis della gara. Né, come ha sottolineato la sentenza impugnata,
alcuna dimostrazione ha offerto la ricorrente dei danni asseritamente sofferti
per effetto del provvedimento impugnato.
V) L’appellante, infine, pretende di
riproporre, mediante un mero rinvio al ricorso di primo grado, le censure
svolte avverso l’applicazione dell’art. 21 nonies della legge
n. 241 del 1990.
Come è giurisprudenza consolidata di
questo Consiglio di Stato, che il Collegio condivide, nel giudizio
amministrativo di appello la mera riproposizione dei motivi proposti davanti al
Tar, senza alcuna censura relativamente alle statuizioni della sentenza
impugnata, ma mediante un mero rinvio, comporta l'inammissibilità dell'atto di
appello (Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2014, n. 494).
In ogni caso, pienamente condivisibile,
anche sul punto, è quanto ha rilevato la sentenza impugnata, nel senso che
tutte le censure svolte dalla ricorrente sono strettamente connesse sul piano
logico e giuridico, e sono del tutto infondate, per le ragioni sopra esposte.
VI) In conclusione, l’appello è infondato
in ogni sua parte, e deve essere respinto.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza,
e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello in
epigrafe indicato, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza
impugnata.
Condanna la società appellante a rifondere
alla Fondazione resistente le spese del giudizio, nella misura di 7.000
(settemila) euro, oltre IVA e CPA per il secondo grado.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 6 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Vito Carella, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/06/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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