PROCESSO:
litispendenza e connessione di cause,
nel processo amministrativo
(Cons. St., Sez. IV,
sentenza 7 gennaio 2013 n. 22)
Da notare che l'Avvocatura dello Stato, in questo giudizio (e soltanto in questo spero), scambia l'istituto della litispendenza con quello della continenza di cause, ossia l'art. 39 co. 1 c.p.c. con il medesimo co. 2 (e l'art. 274 c.p.c.)!
"Errare humanum est".
FF
Massima
1. La litispendenza nel processo amministrativo è l'effetto di una fattispecie complessa, i cui coelementi possono ritenersi costituiti dalla notifica e dal deposito; la sola notifica quindi, non seguita dal tempestivo deposito del ricorso, è del tutto inidonea a provocare la litispendenza Tale istituto, come noto, è sollevabile attraverso lo strumento del regolamento di competenza.
2. Nella fattispecie concreta, considerato che il petitum della causa oggetto della odierna delibazione era maggiore di quello proposto nella causa dichiarata estinta, la difesa della P.A. avrebbe dovuto eventualmente richiamare l’istituto della “continenza di cause”.
Più in particolare: mentre la litispendenza presuppone la contemporanea pendenza innanzi a giudici diversi di due - o più - cause identiche nelle persone, nella "causa petendi" e nel "petitum", invece la continenza di cause ricorre allorché due - o più - cause pur identiche nelle persone e nella "causa petendi", differiscano, però, solo nel "petitum " delle domande proposte, nel senso che l'una è contenuta nell'altra, per una maggiore estensione del "petitum" di quest'ultima.
Più in particolare: mentre la litispendenza presuppone la contemporanea pendenza innanzi a giudici diversi di due - o più - cause identiche nelle persone, nella "causa petendi" e nel "petitum", invece la continenza di cause ricorre allorché due - o più - cause pur identiche nelle persone e nella "causa petendi", differiscano, però, solo nel "petitum " delle domande proposte, nel senso che l'una è contenuta nell'altra, per una maggiore estensione del "petitum" di quest'ultima.
3. L'erronea indicazione dell’istituto applicabile non impedisca al Collegio di prendere in esame la dedotta doglianza, sia perché l’istituto della continenza di cause è parimenti applicabile al rito processuale amministrativo.
L'identità di ricorsi nei confronti dello stesso provvedimento che si riscontra quando vi sia assoluta corrispondenza fra gli elementi che valgono ad identificare la relativa azione - soggetti, "causa petendi" e "petitum" - è difatti oggetto della specifica disposizione sulla continenza di cause dell'art. 39 co. 2 c.p.c., la cui disciplina è propria anche nel processo amministrativo. In tale norma il possibile conflitto di giudicati viene evitato con il criterio della prevenzione.
4. Va precisato che il Giudice amministrativo, a differenza di quello civile, possiede un generale potere, largamente discrezionale, di disporre la riunione di ricorsi per ragione di connessione; ne consegue che, ove si tratti di cause connesse in senso oggettivo o soggettivo, è al Giudice amministrativo di secondo grado che compete il potere di riunire appelli contro più sentenze in funzione dell'economicità e della speditezza dei giudizi, nonché al fine di prevenire la possibilità di contrasto tra giudicati.
La stessa ampia discrezionalità, d'altronde, è ravvisabile nella concessione dell'errore scusabile come istituto idoneo a superare le decadenze derivanti dal principio d'inoppugnabilità del provvedimento amministrativo.
L'identità di ricorsi nei confronti dello stesso provvedimento che si riscontra quando vi sia assoluta corrispondenza fra gli elementi che valgono ad identificare la relativa azione - soggetti, "causa petendi" e "petitum" - è difatti oggetto della specifica disposizione sulla continenza di cause dell'art. 39 co. 2 c.p.c., la cui disciplina è propria anche nel processo amministrativo. In tale norma il possibile conflitto di giudicati viene evitato con il criterio della prevenzione.
4. Va precisato che il Giudice amministrativo, a differenza di quello civile, possiede un generale potere, largamente discrezionale, di disporre la riunione di ricorsi per ragione di connessione; ne consegue che, ove si tratti di cause connesse in senso oggettivo o soggettivo, è al Giudice amministrativo di secondo grado che compete il potere di riunire appelli contro più sentenze in funzione dell'economicità e della speditezza dei giudizi, nonché al fine di prevenire la possibilità di contrasto tra giudicati.
La stessa ampia discrezionalità, d'altronde, è ravvisabile nella concessione dell'errore scusabile come istituto idoneo a superare le decadenze derivanti dal principio d'inoppugnabilità del provvedimento amministrativo.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9446 del 2011,
proposto da:
Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
contro
Sergio Maggi, rappresentato e difeso dagli avv.
Ernesto Sticchi Damiani, Francesco Scacchi, con domicilio eletto presso Ernesto
Sticchi Damiani in Roma, V. Bocca di Leone 78(St. Bdl);
sul ricorso numero di registro generale 3486 del 2012,
proposto da:
Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
contro
Sergio Maggi, rappresentato e difeso dall'avv. Ernesto
Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso Studio Legale Bdl in Roma, via
Bocca di Leone, 78;
per la riforma
quanto al ricorso n. 9446 del 2011:
della sentenza del T.a.r. del Lazio –Sede di Roma -
Sezione III n. 06295/2011, resa tra le parti, concernente riconoscimento
compensi attività svolta presso l'amministrazione nel periodo ottobre 1995 -
dicembre 1999 con maggiorazione degli accessori di legge
quanto al ricorso n. 3486 del 2012:
della sentenza del T.a.r. del Lazio – Sede di Roma-
Sezione II n. 08234/2011, resa tra le parti, concernente corresponsione di
emolumenti spettanti per lo svolgimento dell'incarico di componente del
servizio controllo interno
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del dott.
Sergio Maggi;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre
2012 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Ernesto
Sticchi Damiani e l'Avvocato dello Stato Antonio Grumetto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
Ricorso n. 9446/2011 avverso sentenza n. 6295/2011;
Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo
grado era stato chiesto dall’odierno appellato dottor Sergio Maggi,
l’accertamento del proprio diritto a percepire i compensi spettantigli quale
corrispettivo dell’attività svolta – dall’ottobre del ’95 al dicembre del ’99 –
in favore dell’allora esistente Ministero del Bilancio e della Programmazione
Economica e per la conseguente condanna del Ministero dell’Economia e delle
Finanze (in cui la predetta Amministrazione era, nel frattempo, confluita) ad
erogargli, maggiorate degli accessori di legge, le relative somme di denaro.
Il primo giudice, con la gravata decisione n.
6295/2011 ha in via preliminare disatteso l’eccezione di litispendenza
sollevata dalla difesa erariale alla stregua della considerazione per cui il
procedimento che si era venuto ad incardinare per effetto dell’opposizione
proposta avverso il decreto ingiuntivo emesso – il 31.3.2008 – in favore del
Maggi (che, nel periodo considerato, aveva diretto – prima come Presidente e
poi come Coordinatore – il “Servizio di controllo interno” del Ministero del
Bilancio) poteva ritenersi concluso (con la pronuncia della sentenza
n.622/2009; e, comunque, del decreto presidenziale n.3971/2011: col quale, a
seguito dei “rimpalli” di giurisdizione che hanno caratterizzato l’annosa
vicenda, si era preso atto della rinuncia all’opposizione da parte della p.a. e
si era – quindi – dichiarata l’estinzione di detto procedimento).
Del pari il Tribunale amministrativo ha respinto le
eccezioni di irricevibilità e di prescrizione sollevate dalla difesa erariale,
osservando che “il Maggi aveva sempre inteso agire a tutela di un suo diritto
soggettivo (e non, già, di un interesse legittimo); il ricorso di primo grado
non poteva assolutamente considerarsi proposto “in riassunzione” di un
precedente giudizio (perché questo era stato completamente definito e, per
altro verso, come chiarito dalle stesse SS.UU. della Cassazione, il compenso
richiesto dall’interessato aveva natura indennitaria (e, ad esso, si doveva
applicare – pertanto – l’ordinaria prescrizione decennale e non già quella
breve prevista, con riferimento ai singoli ratei, per i crediti retributivi)”.
Il primo giudice ha quindi esaminato il merito della
pretesa avanzata dall’odierno appellato, e l’ha ritenuta fondata sotto il
profilo dell’an debeatur.
Ciò perché, “pur dovendosi convenire con la
considerazione che l’attribuzione di un incarico quale quello ricoperto (a suo
tempo) dal Maggi sarebbe dovuta avvenire ‘senza oneri per lo Stato’, era
altresì vero che il disposto di cui all’art.3 quater del d.L. 12 maggio 1995
n.163 implicava esclusivamente la necessità - per il conferente – di reperire
al suo interno (e, cioè, senza alcuna variazione - o spesa aggiuntiva - per il
bilancio pubblico) le risorse necessarie per potersi giovare di determinate
prestazioni.”.
Nel caso di specie, ad avviso del Tribunale
amministrativo, ci si trovava certamente al cospetto di una erogazione delle
energie lavorative di un soggetto a favore di un altro (che ne aveva tratto un
significativo giovamento) e ciò appariva sufficiente a render applicabile, in
favore di chi detta attività aveva svolto (essendone stato espressamente
richiesto) il disposto dell’art.2042 c.c..
Richiamato l’art.34, IV comma, del d.lg. n.104/2010,
il primo giudice ha pertanto invitato l’Amministrazione intimata a proporre (al
Maggi (entro il termine di 30 giorni: decorrente dalla notificazione della
sentenza) il pagamento di una somma di denaro che risulti congrua rispetto alle
circostanze, tenendo conto (oltre che dell’elevatissima professionalità del
Maggi) del fatto
“a) che il (successivamente intervenuto) D.M.
23.11.2006 ha ufficialmente stabilito che l’incarico “de quo” deve esser
compensato (al lordo) con 45.000 euro annui;
b) che il decreto ingiuntivo n.1 del 2008 (revocato
solo per motivi “formali”: e non “sostanziali”) aveva già quantificato il
credito del Maggi (al netto degli accessori) in euro 64.187,98;
c) che la Corte dei conti (cfr. sez. contr., n.48, del
29.4.91) ha sottolineato (si cita testualmente) che “alla
controprestazione………indennitaria………percepita dal funzionario onorario si deve
riconoscere quella stessa funzione di sostentamento…………, prevalente rispetto
alla funzione di rimborso-spese, che caratterizza la retribuzione del
lavoratore dipendente”.
Avverso la sentenza in epigrafe l’Amministrazione
rimasta soccombente in primo grado ha proposto un articolato appello
evidenziando che la motivazione della impugnata decisione era apodittica ed
errata.
E’ stata pertanto riproposta la eccezione – disattesa
in primo grado- di litispendenza rispetto al ricorso n. 10903/2007 (definito
con la sentenza del Tar del Lazio n. 622/2009, cassata dalla Corte di
Cassazione) riassunto il 7 luglio 2010 dall’appellato e dichiarato estinto con
decreto 3971/2011 depositato il 1 luglio 2011 ed opposto il 26 agosto 2011.
Parimenti si è sostenuta la irricevibilità del gravame
in quanto tardivo: posto che la posizione tutelata era di interesse legittimo,
l’appellato avrebbe dovuto tempestivamente gravare la nota n. 36867 del 20
aprile del 2005 con la quale era stata respinta la richiesta di compensi da
quest’ultimo proposta.
Nel merito si è ribadita la infondatezza del mezzo di
primo grado e l’eccezione di prescrizione quinquennale dei ratei maturati dal
1995 al 1999 ed inoltre è stata contestata la quantificazione del compenso
spettante all’appellato in quanto fondata sul dM 23 novembre 2006: quest’ultima
disposizione era inapplicabile al caso di specie, limitandosi a disporre per il
futuro e non potendo spiegare effetti nella odierna controversia
L’appellato dottor Maggi ha depositato una articolata
memoria ripercorrendo i fatti di causa ed evidenziando che non sussisteva
alcuna causa di inammissibilità del gravame in quanto la controversia
apparteneva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
L’eccezione di prescrizione opposta
dall’amministrazione appellante era parimenti errata, non trattandosi di
“rapporto di lavoro fondato sulla garanzia di stabilità”.
Anche in ordine alla quantificazione della pretesa
vantata dall’appellato la sentenza di primo grado era esatta ed immune da
mende.
Alla pubblica udienza del 20 dicembre 2011 il processo
è stato cancellato dal ruolo.
Esso è stato fissato per la pubblica udienza del 3
aprile 2012 ed è stato rinviato alla odierna pubblica udienza del 18 dicembre
2012.
Alla odierna pubblica udienza del 18 dicembre 2012 la
causa è stata posta in decisione dal Collegio.
Ric. n. 3846/2012 avverso sentenza n. 8234/2011.
Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo
grado era stato chiesto dall’odierno appellato dottor Sergio Maggi,
l’accertamento del proprio diritto a percepire i compensi spettantigli quale
corrispettivo dell’attività svolta nel periodo dal 16 novembre 2001 al 16
ottobre 2003 ricoprendo le funzioni di componente del Collegio di Direzione del
Servizio di Controllo interno del Ministero dell’economia e delle finanze, (ciò
sulla scorta di apposito decreto ministeriale in data 16 novembre 2001).
Questi aveva premesso di avere richiesto, in data 30
giugno 2004, la corresponsione del compenso per lo svolgimento dell’incarico
predetto, e che con nota del 20 aprile 2005 l’Amministrazione aveva respinto la
rivendicazione retributiva legata all’espletamento del ricordato incarico
sostanzialmente in ragione dell’assenza di provvedimenti che espressamente
prevedessero l’erogazione di compensi ai componenti dell’organo di controllo.
Detti compensi erano quantificati in euro 83.076,09
oltre interessi e rivalutazione.
Il primo giudice ha in via preliminare disatteso la
eccezione di irricevibilità sollevata dalla difesa erariale, per omessa
tempestiva impugnazione innanzi al giudice amministrativo della citata nota del
20 aprile 2005 osservando che la pretesa dedotta aveva consistenza di pretesa
patrimoniale ed ha affermato la fondatezza del ricorso, richiamando le
conclusioni di cui alla sentenza del TAR Lazio, III Sezione, 13 luglio 2011 n.
6295 resa in favore dell’odierno appellato in una causa sostanzialmente identica
Richiamato l’art. 34, IV comma, del d.lg. n.104/2010,
il primo giudice ha pertanto invitato l’Amministrazione intimata a proporre (al
Maggi (entro il termine di 30 giorni: decorrente dalla notificazione della
sentenza) il pagamento di una somma di denaro congrua rispetto alle circostanze
tenendo conto (oltre che dell’elevatissima professionalità del Maggi) del fatto
che il (successivamente intervenuto) D.M. 23.11.2006 aveva ufficialmente
stabilito che l’incarico “de quo” deve esser compensato (al lordo) con 45.000
euro annui;.
Avverso la sentenza in epigrafe l’Amministrazione
rimasta soccombente in primo grado ha proposto un articolato appello
evidenziando che la motivazione della impugnata decisione era apodittica ed
errata.
E’ stata pertanto riproposta la eccezione – disattesa
in primo grado- di irricevibilità del gravame in quanto tardivo: posto che la
posizione tutelata era di interesse legittimo, l’appellato avrebbe dovuto
tempestivamente gravare la nota n. 36867 del 20 aprile del 2005 con la quale era
stata respinta la richiesta di compensi da quest’ultimo proposta.
Nel merito si è ribadita la infondatezza del ricorso
di primo grado, fondato sulle non condivisibili argomentazioni contenute nel
parere del Consiglio di Stato n. 1498/2002 del 4 giugno 2003 ed inoltre è stata
contestata la quantificazione del compenso spettante all’appellato in quanto
fondata sul dM 23 novembre 2006: quest’ultima disposizione era inapplicabile al
caso di specie, limitandosi a disporre per il futuro e non potendo spiegare effetti
nella odierna controversia ed in ogni caso tale decreto non prevedeva alcun
trattamento economico in favore dei componenti del collegio del servizio per il
controllo interno, ma soltanto per il Presidente del detto Collegio (come, del
resto, nessun compenso era stato previsto dall’art. 7 del dPR n. 227/2003).
In ultimo, aveva errato il primo giudice laddove
accogliendo la domanda dell’appellato si era rifatto ai criteri di cui all’art.
34 comma IV del cpa (disposizione applicabile unicamente laddove si
controvertesse in ordine a diritti soggettivi di contenuto pecuniario e,
quindi, inapplicabile alla fattispecie in cui la posizione dedotta avesse la
consistenza di interesse legittimo).
Il dottor Maggi ha depositato una articolata memoria
ripercorrendo i fatti di causa ed evidenziando che non sussisteva alcuna causa
di inammissibilità del gravame in quanto la controversia apparteneva alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Anche in ordine alla quantificazione della pretesa
vantata dall’appellato la sentenza di primo grado era esatta ed immune da
mende.
Alla odierna pubblica udienza del 18 dicembre 2012 la
causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.La connessione soggettiva ed oggettiva (rectius: la
identità) tra le questioni fattuali e giuridiche prospettate, impone la
riunione e la trattazione congiunta dei relativi appelli ex art. 70 del cps (si
veda già in passato, sul punto, ex multis, Consiglio Stato , sez. IV, 17 giugno
2003, n. 3415, laddove si è condivisibilmente affermato, addirittura, che
“possono essere riuniti e definiti con un'unica decisione anche gli appelli
rivolti avverso sentenze diverse, ove comportanti la soluzione di identiche
questioni sollevate nei riguardi dei medesimi provvedimenti impugnati in primo grado.”).
2.Gli appelli sono infondati e vanno respinti nei
termini di cui alla motivazione che segue e con le parziali correzioni delle
motivazioni impugnate, nei termini che di seguito verranno evidenziati.
2.1. Posto che i riuniti appelli – identici quanto
alle questioni sostanziali da esaminare - si differenziano tra loro in quanto
il ricorso n. 9446/2011, avversante la sentenza n. 6295/2011, contiene alcune
censure (segnatamente quella di inammissibilità del mezzo di primo grado per
litispendenza e quella di prescrizione) non proposte nell’ambito del ricorso
rubricato al n. 3846/2012, il Collegio esaminerà in prima battuta le
problematiche facenti riferimento al gravame n. 9446/2011, per poi esaminare
congiuntamente le dedotte censure di merito comuni ad entrambi i ricorsi
3.Ciò premesso, in punto di ordine delle questioni da
affrontare, la prima “eccezione” da sottoporre a scrutinio è quella articolata
in forma di doglianza da parte dell’appellante amministrazione e riposante
nell’omesso accoglimento in primo grado dell’eccezione di litispendenza.
3.1. Va in proposito premesso che, ad avviso del
Collegio - e come meglio verrà di seguito chiarito - la indicazione da parte
della difesa erariale dell’istituto applicabile (litispendenza) è erronea.
Va rimarcato che già da tempo risalente è stata
affermata dalla giurisprudenza amministrativa la operatività del detto istituto
nel sistema processuale amministrativo (ex multis:“la litispendenza nel
processo amministrativo è l'effetto di una fattispecie complessa, i cui
coelementi possono ritenersi costituiti dalla notifica e dal deposito; la sola
notifica quindi, non seguita dal tempestivo deposito del ricorso, è del tutto
inidonea a provocare la litispendenza .” Consiglio Stato, sez. IV, 21 dicembre
2001 , n. 6333 – ma si veda anche la massima che segue, che, in quanto,
antecedente alla entrata in vigore del cpa, indicava il regolamento di
competenza quale mezzo per sollecitare la pronuncia sulla detta eccezione:
“l'istituto della litispendenza di cui all'art. 39 c.p.c. è applicabile anche
al processo amministrativo ed è sollevabile attraverso lo strumento del
regolamento di competenza.”- Consiglio Stato, sez. IV, 02 dicembre 1999 , n.
1783).
Considerato che il petitum della causa oggetto della
odierna delibazione (ric n. 11660/2010 RG TAR deciso con la sentenza n.
6295/2011 resa all’udienza dell’1 luglio 2011 e depositata il 13 luglio 2011)
era maggiore di quello proposto nella causa “dichiarata estinta”( ricorso n.
10903/2007 RGTAR, definito con la sentenza n. 622/2009 del Tar gravata in
cassazione, da questa cassata, ed il cui giudizio fu “riassunto” dal Maggi con
istanza del 7 luglio 2010), l’ Avvocatura dello Stato avrebbe dovuto
eventualmente richiamare l’istituto della “continenza di cause” (ex multis:
“mentre la litispendenza presuppone la contemporanea pendenza innanzi a giudici
diversi di due - o più - cause identiche nelle persone, nella "causa
petendi" e nel " petitum ", invece la continenza di cause
ricorre allorché due - o più - cause pur identiche nelle persone e nella
"causa petendi", differiscano, però, solo nel " petitum "
delle domande proposte, nel senso che l'una è contenuta nell'altra, per una
maggiore estensione del " petitum " di quest'ultima.”- Cassazione
civile sez. lav. 20 dicembre 1985-) e non già quello della litispendenza.
Ritiene tuttavia il Collegio che la erronea
indicazione dell’istituto applicabile non impedisca al Collegio di prendere in
esame la dedotta doglianza, sia perché l’istituto della continenza di cause è
parimenti applicabile al rito processuale amministrativo( “l'identità di
ricorsi nei confronti dello stesso provvedimento che si riscontra quando vi sia
assoluta corrispondenza fra gli elementi che valgono ad identificare la
relativa azione - soggetti, "causa petendi" e "petitum" - è
oggetto della specifica disposizione sulla continenza di cause dell'art. 39
comma 2 c.p.c., la cui disciplina è propria anche nel processo amministrativo.
In tale norma il possibile conflitto di giudicati viene evitato con il criterio
della prevenzione, se la causa proposta per seconda appartiene per materia e
per valore alla competenza dello stesso giudice innanzi al quale è pendente la
prima, o con la sentenza dichiarativa della continenza che rimette la causa
innanzi al giudice competente per materia o per valore.” Consiglio Stato sez. V
12 aprile 2005n. 1636), ma anche in considerazione della identità delle
disposizioni normative applicabili e nella incontestabile considerazione che
pertiene al giudice adito il compito di attribuire al petitum proposto dalle
parti la esatta qualificazione giuridica.
3.2.Ciò premesso, ritiene il Collegio che la detta
eccezione sia infondata e correttamente il primo giudice non l’abbia accolta,
seppure la motivazione della reiezione debba essere corretta.
3.2.1. Le ragioni di infondatezza della detta
eccezione non riposano – ad avviso del Collegio - soltanto nella constatazione
che la dedotta circostanza della asserita “ non rinunciabilità al ricorso” da
parte del Maggi, (che seppure attore richiedente decreto ingiuntivo era
“opposto” nel giudizio di opposizione incoato dall’Amministrazione) a tutto
concedere integra questione di merito scrutinabile soltanto laddove sia
possibile esaminare il merito delle questioni proposte.
3.2.2. E’ invece rilevante rimarcare che - avuto
riguardo alla cronologia degli adempimenti processuali sottesi ai ricorsi
proposti dall’odierno appellato - non era certamente ravvisabile la
contemporanea pendenza di due gravami (aventi stesso oggetto seppur in uno
venisse rivendicato un petitum di importo maggiore) innanzi a giudici
“diversi”, che giustificava l’applicazione del disposto di cui all’art. 39 cpc,
applicabile al processo amministrativo, come si è dianzi dimostrato. .
3.2.3. Ciò non per la ragione, indicata dal primo
giudice, che uno dei due giudizi era già estinto.
Si rammenta in proposito che il ricorso n. 11660/2010
TAR venne deciso con la sentenza n. 6295/2011 (oggetto della odierna
impugnazione) resa all’udienza dell’1 luglio 2011 e depositata il 13 luglio
2011.
L’appellato aveva in precedenza proposto il ricorso n.
10903/2007 che venne definito dal Tar con la sentenza n. 622/2009.
Contrariamente a quanto rilevato dal Tar nella
sentenza oggi gravata, è certamente errato affermare che la predetta decisione
n. 622/2009 avesse concluso il detto processo: essa infatti fu gravata per
Cassazione, e la Suprema Corte cassò la detta decisione declinatoria della
giurisdizione, affermando la giurisdizione del giudice amministrativo sulla
predetta causa, che venne riassunta dall’odierno appellato.
E’ pur vero che in data 1 luglio 2011 venne depositato
il decreto di estinzione n. 3971/2011 reso nell’ambito del predetto ricorso n.
10903/2007 .
Ed è altresì rispondente al vero che la sentenza
gravata oggetto della odierna impugnazione venne assunta in decisione proprio
all’udienza dell’1 luglio 2011 (e successivamente depositata il 13 luglio
2011).
3.2.4. Neppure, però, può fondatamente affermarsi che,
alla data dell’1 luglio 2011, allorché venne depositato il decreto di
estinzione n. 3971/2011 reso nell’ambito del ricorso proposto n. 10903/2007 il
detto processo potesse dirsi “estinto” .
La vicenda risulta normata dall’art. 85 comma 3 del
codice del processo amministrativo (“Forma e rito per l'estinzione e per
l'improcedibilita'”:“1. L'estinzione e l'improcedibilita' di cui all'articolo
35 possono essere pronunciate con decreto dal presidente o da un magistrato da
lui delegato.
2. Il decreto e' depositato in segreteria, che ne da'
comunicazione alle parti costituite.
3. Nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione
ciascuna delle parti costituite puo' proporre opposizione al collegio, con atto
notificato a tutte le altre parti.
4. Il giudizio di opposizione si svolge ai sensi
dell'articolo 87, comma 3, ed e' deciso con ordinanza che, in caso di
accoglimento dell'opposizione, fissa l'udienza di merito.
5. In caso di rigetto, le spese sono poste a carico
dell'opponente e vengono liquidate dal collegio nella stessa ordinanza, esclusa
la possibilita' di compensazione anche parziale.
6. L'ordinanza e' depositata in segreteria, che ne da'
comunicazione alle parti costituite.
7. Avverso l'ordinanza che decide sull'opposizione
puo' essere proposto appello.
8. Il giudizio di appello procede secondo le regole
ordinarie e l'udienza di discussione e' fissata d'ufficio con priorita'.
9. L'estinzione e l'improcedibilita' sono dichiarate
con sentenza, se si verificano, o vengono accertate, all'udienza di discussione.”).
Il comma terzo della citata disposizione, quindi,
prevede che “Nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione ciascuna delle
parti costituite puo' proporre opposizione al collegio, con atto notificato a
tutte le altre parti.”.
Ne deve discendere quindi che il decreto di
estinzione, non estingue ipso iure, al momento del deposito dello stesso, il
processo, in quanto l’estinzione consegue unicamente all’infruttuoso decorrere
del termine per proporre opposizione (ove venga infatti proposta opposizione si
instaura una successiva fase contenziosa camerale, che si conclude con una
ordinanza a propria volta impugnabile).
E’ noto che, per consolidata quanto condivisa
giurisprudenza “si deve ritenere che la dichiarazione di perenzione costituisca
un mero provvedimento estintivo del giudizio, che incide, quindi, soltanto sul
rapporto processuale tra le parti contrapposte, ma non ha la forza e il valore
di cosa giudicata sostanziale tale da rendere definitive, fra i partecipanti al
giudizio, le posizioni controverse. Ne consegue che, in caso di accoglimento
dell'opposizione al decreto con il quale la è stata dichiarata la perenzione,
la controversia è suscettibile di riprendere il suo corso, con la reiscrizione
in ruolo.” (Cons. Stato Sez. V Sent., 24-08-2007, n. 4486 , ma, per un analogo
principio, si veda: “Nell'ipotesi di estinzione del processo tributario
instaurato con l' impugnazione dell'avviso di accertamento, l'iscrizione a
ruolo dell'imposta - che per il disposto dell'art. 14 d.p.r. 29 settembre 1973
n. 602 presuppone la definitività dell'accertamento, conseguente nel caso alla
definizione del processo tributario - deve essere preceduta dalla regolare
comunicazione dell'ordinanza di estinzione , atteso che il processo tributario
non può ritenersi definito -e quindi l'accertamento impugnato definitivo- se la
pronuncia di estinzione non è comunicata al contribuente - ai fini
dell'eventuale reclamo ex art. 309 c.p.c.-, solo da tale momento decorrendo - o
riprendendo a decorrere - i termini di prescrizione e di decadenza.- Cass. civ.
Sez. I, 30-03-1993, n. 3843-).
Si è detto del pari in passato che “ in tema di
perenzione ultradecennale, l'omissione della notifica dell'avviso previsto
dall'art. 9, 2° comma, L. 21 luglio 2000 n. 205 comporta una lesione del
contraddittorio; pertanto, deve essere accolta l' opposizione al decreto che
dichiara la perenzione ultradecennale del ricorso in mancanza di suddetta
notifica.”- Cons. Stato Sez. IV, 15-05-2002, n. 2589-; “la perenzione di cui
all'art. 9, II comma della L. n. 205/2000 opera, indipendentemente dall'inerzia
delle parti, con riferimento al solo dato obiettivo del decorso di dieci anni
dalla data di deposito dei ricorsi. Con la conseguenza, che in tale ultimo caso
la permanenza dell'interesse alla prosecuzione del giudizio è dimostrata da una
nuova domanda di fissazione che è onere delle parti ricorrenti presentare entro
sei mesi dalla data di notifica dell'apposito avviso comunicato dalla
segreteria”-CdS, IV, 21.1.2003 n. 213-;
“l'inutile decorso del termine comporta ipso iure, ai
sensi dell'art. 45 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, l' estinzione del processo
e può essere rilevata anche d'ufficio dal giudice” -TAR Lazio, I, 19.12.2005 n.
14085”;
“l'accoglimento dell'opposizione avverso il decreto
con cui è stata dichiarata la perenzione del ricorso in appello comporta la
reiscrizione del ricorso nel ruolo ordinario.” -Cons. Stato Sez. V Sent.,
22-10-2007, n. 5504-).
3.2.5. Non v’è dubbio, ad avviso del Collegio, che i
processi cui ha fatto riferimento l’Avvocatura erano entrambi “pendenti” al
momento in cui la causa decisa con la sentenza oggetto della odierna
impugnazione venne introitata per la decisione.
3.2.6.Senonchè, ciò non comporta l’accoglimento della
doglianza in quanto è certamente errato il punto di partenza dal quale muove
l’eccezione dell’appellante amministrazione.
Come è noto, infatti – e come si è prima anticipato-
presupposto indefettibile per l’applicazione degli istituti disciplinati
dall’art. 39 cpc (il cui fine è quello di prevenire il possibile insorgere di
contrasti di giudicati) è che le cause identiche o legate da rapporto di
continenza pendano innanzi “diversi giudici” (intesi nel senso di diversi
Uffici giudiziari, ovviamente, e non già diverse persone persone fisiche
appartenenti allo stesso Ufficio giudiziario).
Si è condivisibilmente rilevato in proposito, infatti,
che “la litispendenza, ai sensi ed agli effetti dell'art. 39 cod. proc. civ.,
si riferisce alla proposizione della stessa causa davanti a giudici diversi
nell'ambito della giurisdizione ordinaria, e, pertanto, non può valere ad
introdurre deroghe ai criteri di riparto della giurisdizione fra giudice
ordinario e giudice amministrativo, ancorché aditi con la medesima domanda.
(Principio affermato dalla S.C. in riferimento alla contemporanea pendenza di
un giudizio di ottemperanza e di un'azione di esecuzione ordinaria per la
riscossione di somme cui l'Amministrazione finanziaria era stata condannata a
titolo di rimborso di ICI indebitamente corrisposta).”(Cass. civ. Sez. V Sent.,
30-07-2007, n. 16834);
“l'identità di due cause pendenti davanti allo stesso
giudice non può determinare il rapporto di litispendenza governato
dall'articolo 39, comma primo, cod. proc. civ., che presuppone la contemporanea
pendenza della "stessa causa" dinnanzi a " giudici
diversi", ma solo una situazione riconducibile alla fattispecie
dell'articolo 274 cod. proc. civ., che, nel caso di identità di cause pendenti
dinnanzi allo stesso giudice, consente e prescrive la loro riunione. Peraltro, l'ordinanza
del giudice di merito che, nella ipotesi considerata dall'articolo 274 cod.
proc. civ., provvede sulla istanza di riunione, deve considerarsi atto
processuale di carattere meramente preparatorio, privo di contenuto decisorio
sulla competenza, siccome non implicante soluzione di questioni relative ad una
"translatio iudicii" -sulla base di tale principio la S.C. ha
confermato la sentenza d'appello, che aveva ritenuto inammissibile l'appello
avverso l'ordinanza proposto congiuntamente alla sentenza definitiva del
merito-; (Cass. civ. Sez. III, 16-05-2006, n. 11357);
“in materia di procedimento civile, i rapporti tra
giudice istruttore in funzione di giudice unico e collegio attengono alla
distribuzione di funzioni all'interno del medesimo ufficio giudiziario, e non
pongono pertanto una questione di competenza, né l'eventuale diversità del rito
processuale applicabile ai due procedimenti (l'uno da trattare secondo il rito
vigente prima del 30 aprile 1995, e l'altro assoggettato al nuovo rito) può
rendere ipotizzabile un caso di litispendenza, mancando la condizione
essenziale della pendenza della lite davanti a giudici diversi. “(Cass. civ.
Sez. III, 28-11-2003, n. 18241);
“ai sensi dell'art. 39, comma secondo, cod. proc.
civ., sussiste il rapporto di continenza quando due cause, pendenti
contemporaneamente davanti a giudici diversi, hanno ad oggetto una questione
comune, quale quella diretta a stabilire chi dei contraenti, nell'ambito
dell'unico rapporto controverso, sia creditore dell'altro, essendo una domanda volta
ad ottenere l'accertamento dell'inadempimento della controparte e la
conseguente condanna al risarcimento dei danni, e l'altra volta all'esecuzione
del medesimo contratto.” (Cass. civ. VI - 2, 25-07-2012, n. 13161).
Nel caso di specie, come è agevole riscontrare dalla
cronologia processuale dei due distinti processi prima indicata, entrambe le
controversie pendevano innanzi lo stesso Ufficio giudiziario (Tar del Lazio),
di guisa che – mutuando i detti insegnamenti della Corte di Cassazione -
giammai si sarebbe potuta fondatamente ipotizzare la emissione di una sentenza
dichiarativa della litispendenza o della continenza di cause ma, semmai, si
poneva soltanto l’evenienza di adottare una pronuncia di riunione delle dette
cause (la cui mancata adozione - oltre a non essere stata prospettata quale
vizio della gravata decisione - non può costituire vizio della medesima
decisione assunta: ex multis: “il Giudice amministrativo possiede un generale
potere, largamente discrezionale , di disporre la riunione di ricorsi per
ragione di connessione; ne consegue che, ove si tratti di cause connesse in
senso oggettivo o soggettivo, è al Giudice amministrativo di secondo grado che
compete il potere di riunire appelli contro più sentenze in funzione
dell'economicità e della speditezza dei giudizi, nonché al fine di prevenire la
possibilità di contrasto tra giudicati.”-Cons. Stato Sez. V Sent., 23-11-2007,
n. 6004-; nel giudizio amministrativo l'art. 70 CPA -d.lgs. n. 104/2010-
conferisce al Giudice Amministrativo il generale potere discrezionale di
disporre la riunione di ricorsi connessi con la conseguenza che, ove si tratti
di cause connesse in senso oggettivo o soggettivo, è al Giudice Amministrativo
di secondo grado che compete il potere di riunire appelli contro più sentenze
in funzione dell'economicità e della speditezza dei giudizi, nonché al fine di
prevenire la possibilità di contrasto tra giudicati.”-Cons. Stato Sez. IV,
23-07-2012, n. 4204).
Si rimarca che anche da parte della giurisprudenza di
legittimità è stato affermato il condivisibile principio che laddove le cause
pendano innanzi allo stesso Ufficio giudiziario non si pone alcun problema di
litispendenza o continenza, ma, semmai, l’opportunità eventuale –e latamente
discrezionale- di riunire le cause (“a seguito dell'entrata in vigore del d.lg.
19 febbraio 1998 n. 51, che ha soppresso l'ufficio del pretore, trasferendo le
relative competenze al tribunale, è venuto meno uno dei presupposti sul quale
si basa l'istituto della continenza di cause e cioè la contemporanea pendenza
davanti a giudici diversi della causa contenente e di quella contenuta, facendo
venir meno in radice il problema della "traslatio iudicii", ponendo
quello della eventuale riunione degli stessi giudizi rimesso alla valutazione
del giudice di merito unitamente a quello relativo alla pregiudizialità di un
giudizio rispetto all'altro; questione che torna in discussione davanti al
giudice unico di primo grado.”-Cass. civ. Sez. II, 25-03-2000, n. 3628-) il che
milita per la reiezione della censura, seppure, appunto, con motivazione
diversa da quella contenuta nella gravata sentenza.
4.In ossequio all’ordine di trattazione prima indicato
e pur consapevole della circostanza che, in ordine logico, l’esame della
censura dovrebbe seguire quella (comune ad entrambi i ricorsi riuniti) di
tardività delle impugnazioni di primo grado (per omessa tempestiva proposizione
di gravame avverso la nota n. 36867 del 20 aprile del 2005 con la quale era
stata respinta la richiesta di liquidazione dei compensi avanzata dall’odierno
appellato) ritiene il Collegio di esaminare adesso la eccezione di prescrizione
dei ratei dal 1995 al 1999 proposta dall’Amministrazione nell’ambito del
ricorso n. 9446/2011 avversante la sentenza n. 6295/2011.
4.1. Essa va senz’altro disattesa per più ordini di
ragioni.
Va premesso che la richiesta di compenso avanzata
dall’appellato il 30 giugno 2004 era ben idonea ad interrompere la prescrizione
ed a costituire in mora l’Amministrazione (risolvendosi la medesima nella
affermazione del proprio preteso diritto a ricevere la “retribuzione”, il cui
effetto interruttivo non necessita dell’utilizzo di particolari e/o
sacramentali forme: ex multis Cass. civ. Sez. II, 04-05-2006, n. 10270 “l'atto
di costituzione in mora di cui all'art. 1219 cod. civ., idoneo ad integrare
atto interruttivo della prescrizione ai sensi dell'art. 2943, ultimo comma,
cod. civ., non è soggetto a rigore di forme, all'infuori della scrittura, e
quindi non richiede l'uso di formule solenni nè l'osservanza di particolari
adempimenti, essendo sufficiente che il creditore manifesti chiaramente, con un
qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la
volontà di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto. L'accertamento
compiuto al riguardo dal giudice del merito costituisce indagine di fatto ed è,
perciò, incensurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici. –Nella
specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto atto
idoneo alla costituzione in mora dell'acquirente di alcune merci l'emissione e la
trasmissione della fattura, anche se non accompagnata da una espressa richiesta
di pagamento ,e lo aveva pertanto condannato al pagamento del residuo prezzo
oltre agli interessi legali dalla data della scadenza indicata nella fattura
stessa-.”).
In ogni caso, al di là di quanto affermato
dall’appellato in detta nota e nei successivi scritti difensivi, nessuna
disposizione ex ante prevedeva che il “compenso” dovesse essere erogato
mensilmente e/o a scadenze fisse di guisa che fosse applicabile al detto rapporto
la disciplina della prescrizione “breve”;
Prova di quanto finora esposto si rinviene nella
circostanza che l’Amministrazione ancora contesta la pretesa dell’appellato
nell’an e nega che siano desumibili indizi a comprova della fondatezza della
pretesa nel –successivo- dM 23.11.2006: sarebbe ben paradossale che dal quomodo
della erogazione della retribuzione – mensile- contenuto nel d.m. in ultimo
citato, venissero tratti elementi per fare discendere “retroattivamente” la
prescrizione quinquennale dei ratei (si veda peraltro sul punto Cons. Stato
Sez. VI Sent., 17-01-2008, n. 90 che, con riferimento da una pretesa economica
avente sicuramente natura indennitaria, quale la c.d. indennità De Maria, ha
affermato in passato che “il carattere periodico del pagamento del compenso
indennitario in ratei inferiori all'annualità non sottragga, quindi, la pretesa
creditoria all'applicazione del termine breve di prescrizione previsto
dall'art. 2948 c.c.”).
Conclusivamente sul punto: l’assenza di qualsivoglia
disposizione che prevedesse il pagamento periodico e/o mercè ratei mensili,
coniugato con la natura “indennitaria” del compenso richiesto esclude la
fondatezza della eccezione/doglianza proposta dalla difesa erariale (si
rammenta che la sentenza della Suprema Corte di cassazione,8835/2010 è
tranciante nell’affermare ricorrere una fattispecie di “servizio onorario” e
che è jus receptum che tale tipologia di attività prestata in favor
dell’Amministrazione sia ristorabile tramite una indennità, priva dei caratteri
della retribuzione ed a quest’ultima inaccostabile).
5. Passando adesso all’esame delle censure comuni ad
entrambi i ricorsi, deve adesso essere presa in esame la eccezione di tardività
della impugnazione per omessa tempestiva proposizione di gravame avverso la
nota n. 36867 del 20 aprile del 2005 con la quale era stata respinta la
richiesta di liquidazione dei compensi avanzata dall’odierno appellato.
5.1.Ad avviso dell’appellato la censura non
coglierebbe nel segno in quanto si verterebbe nel campo della giurisdizione
amministrativa esclusiva, laddove non rileverebbe la consistenza della
posizione soggettiva presa in esame: interrogarsi sulla consistenza della
posizione soggettiva azionata sarebbe pertanto irrilevante.
5.1.1. Le eccezioni e difese proposte dall’appellato
non persuadono. Da un canto, infatti, la sentenza della Suprema Corte di
Cassazione n. 8835/2010, vincolante per il presente processo, ha riportato la
controversia nell’ambito della giurisdizione amministrativa di legittimità
(pagg. 6 e 7 della sentenza richiamata).
Per altro verso, neppure laddove – il che alla luce
della citata decisione della Cassazione è recisamente escluso - si vertesse in
tema di giurisdizione esclusiva potrebbe affermarsi la irrilevanza
dell’accertamento in ordine alla consistenza della posizione soggettiva
azionata, essendo jus receptum che anche in sede di giurisdizione esclusiva del
g.a. ciascuna azione conserva la propria identità anche in punto di termini e
condizioni per la sua proponibilità, tra i quali ovviamente rientra l’eventuale
rispetto del termine decadenziale di proposizione del ricorso per le pretese
aventi consistenza di interesse legittimo (ex multis: le controversie inerenti
alla contestazione degli oneri di urbanizzazione, solo qualora non vengano dedotte
censure derivanti da atti generali autoritativi di determinazione degli oneri
presupposti di quello impugnato, attengono a posizioni di diritto soggettivo
azionabili innanzi al G.A. in sede di giurisdizione esclusiva nel termine di
prescrizione. Pertanto, quando si intenda contestare l'applicazione del
contributo per vizi derivanti da atti autoritativi generali, presupposti di
quello impugnato, in relazione ai quali la posizione dell'interessato è
qualificabile di interesse legittimo , perché il motivo dedotto è
l'illegittimità dell'assoggettamento, anche nel quantum, all'onere di
urbanizzazione di una concessione edilizia, il ricorso deve essere proposto
entro il termine di decadenza” ;-Cons. Stato Sez. V, 28-05-2012, n. 3122).
5.1.2. Ne consegue che, posto che, proprio a cagione
delle affermazioni contenute nella detta sentenza della Cassazione, è pacifico
che l’appellato vantava un mero interesse legittimo alla erogazione dei
richiesti compensi, è doveroso confrontarsi nel merito con la doglianza proposta
dall’Amministrazione secondo la quale, a cagione della omessa tempestiva
proposizione di gravame avverso la nota n. 36867 del 20 aprile del 2005 con la
quale era stata respinta la richiesta di liquidazione dei compensi avanzata
dall’odierno appellato i mezzi di primo grado dovevano essere dichiarati
irricevibili perché tardivi.
5.1.3. Non ritiene il Collegio però che la censura
proposta dalla difesa erariale colga nel segno, essendo appena il caso di
evidenziare che dalla pur sintetica motivazione del primo giudice sul punto
emerge la circostanza che, a tutto concedere, l’appellato avrebbe avuto diritto
alla rimessione in termini per errore scusabile.
Il petitum avanzato dall’appellato infatti è sempre
stato quello di ottenere una “retribuzione”, seppur classificabile quale
“indennità” stante la circostanza che lo stesso poteva essere qualificato quale
funzionario onorario.
L’intera impostazione ricorso proposto dall’odierno
appellato – ed anche del carteggio procedimentale intercorso con
l’Amministrazione – rende evidente che l’appellato (come esattamente colto dal
primo giudice) avesse chiesto le somme convinto di agire per ottenere la
ordinaria “retribuzione” allo stesso spettante e ritenendo la propria pretesa
sussumibile nel paradigma del diritto soggettivo.
Appare palese pertanto che l’affermazione del Tar
secondo cui il Maggi aveva agito a tutela di un proprio diritto soggettivo (poi
“smentita” nella sua correttezza dalla Corte di Cassazione con la più volte
richiamata decisione) implichi che allo stesso potesse essere concesso l’errore
scusabile nella omessa proposizione di tempestivo gravame avverso la detta nota
reiettiva dell’Amministrazione (è ben noto infatti che, laddove effettivamente
la posizione attiva vantata dal Maggi stesso fosse stata di diritto soggettivo
ci si sarebbe trovati al cospetto di un atto paritetico del quale non era
necessaria l’impugnazione in quanto non preclusiva della successiva intrapresa
dell’azione volta ad ottenere il pagamento in sede giurisdizionale).
5.1.4. Sotto altro profilo (che comunque riveste
carattere troncante) neppure ritiene il Collegio che la detta nota spiegasse
l’assoluto effetto preclusivo attribuitogli dall’Amministrazione e che
pertanto, in concreto, essa necessitasse senz’altro di immediata impugnazione:
ivi infatti si rappresentava al richiedente dottor Maggi che non “erano stati
rinvenuti atti e provvedimenti che autorizzavano l’erogazione del richiesto
compenso ai componenti dell’organo di controllo” e che, “in assenza di
determinazione in merito del Signor Ministro la richiesta non poteva trovare
accoglimento”.
La detta nota, quindi, ad avviso del Collegio, non
aveva contenuto univocamente negativo, laddove lasciava preconizzare che una
eventuale futura determinazione dell’Organo Politico in senso accoglitivo
avrebbe potuto condurre alla erogazione del compenso, senza peraltro affermare
alcunché in ordine ad una già manifestata manifestazione di volontà negativa da
parte di detto Organo.
Id est: se – come emerge dal contenuto della nota
predetta - in assenza di atti autorizzativi sino a quel momento resi l’unico
atto che avrebbe legittimato l’erogazione risiedeva nella determinazione
favorevole del Ministro, la circostanza che tale determinazione favorevole non
fosse stata ancora resa non costituiva univoca reiezione dell’istanza, ma
semmai atto soprassessorio: soltanto laddove ivi fosse stato dato atto (il che
non è) del già manifestato intento reiettivo (già) espresso dal Ministro il
contenuto negativo della stessa sarebbe stato (non soltanto percepibile ma
anche) univocamente espresso.
5.1.5. Ricapitolando quindi: i ricorsi di primo grado
non possono essere considerati tardivi per omessa impugnazione della citata
nota del 20 aprile 2005 in quanto la stessa non possedeva univoca valenza
negatoria in via definitiva del preteso diritto al compenso lasciando
ipotizzare che una eventuale determinazione del Ministro potesse sbloccare in
senso favorevole all’appellato la questione della spettanza del compenso.
In ogni caso, l’appellato sarebbe senz’altro meritevole
del beneficio dell’errore scusabile con riguardo alla omessa tempestiva
impugnazione della predetta nota, sia avuto riguardo al contenuto non univoco
della stessa, e sia perché (anche a volere considerare detta nota atto
definitivamente preclusivo) all’evidenza riteneva la propria pretesa avente la
consistenza del diritto soggettivo, non “degradabile” a cagione di un atto
negativo di natura paritetica in quanto incidente sulla (asserita)
“retribuzione” dovuta ed apparendo detto errore rientrante nel paradigma della
scusabilità.
Né dicasi che il Collegio, in grado d’appello, non
possa provvedere alla concessione dell’errore scusabile con riguardo alla
questione della tempestività dei ricorsi di primo grado, ovvero debba
necessariamente annullare la sentenza che non si sia pronunciata sul punto
rimettendo la causa al primo giudice.
In disparte la circostanza che ciò è già avvenuto
innanzi al Tar (laddove il primo giudice, nel fare esplicito riferimento
all’intento soggettivo dell’originario ricorrente, all’evidenza ha ritenuto che
il detto opinamento soggettivo fosse scusabile impedendo così la declaratoria
di tardività dei mezzi di primo grado) in ogni caso la concessione del detto
beneficio è ben possibile in appello senza che occorra disporre la retrogradazione
del processo, trattandosi di errore di procedura (ma meglio sarebbe affermare
di correzione della motivazione che non ha espressamente affermato il ricorrere
del principio espresso nell’art. 37 del cpa ) che non ha inciso sulla regolare
strutturazione del contraddittorio ovvero sul diritto di difesa delle parti
(arg. ex art. 105 comma 1 cpa: si veda sul punto: “nel giudizio amministrativo
il principio del divieto del ius novorum in appello non riguarda eccezioni e
questioni che siano rilevabili d'ufficio, com'è l' errore scusabile-“Cons.
Stato Sez. III, 06-12-2011, n. 6413 , ma anche Consiglio Stato, sez. VI, 01
settembre 2009, n. 5121-;).
6. Quanto alle doglianze postulanti la infondatezza
nel merito della pretesa articolata dal Maggi, il Collegio ritiene che la
inaccoglibilità delle stesse discenda dalle condivisibili affermazioni
contenute nell’articolato parere della Seconda Sezione del Consiglio di Stato
n. 1498/2002 che questo Collegio condivide e fa proprie e che devono intendersi
integralmente trascritte in questa sede .
L’amministrazione appellante fonda la propria tesi sul
disposto di cui all’art.3 quater del D.L. n.163/95, ma sostanzialmente non
confuta l’affermazione – già esternata dal primo giudice e che il Collegio non
può che riproporre in questa sede – secondo cui la dizione “senza oneri per lo
Stato” implicava esclusivamente la necessità - per il conferente – di reperire
al suo interno (e, cioè, senza alcuna variazione - o spesa aggiuntiva - per il
bilancio pubblico) le risorse necessarie per potersi giovare di determinate
prestazioni, ma non certo che l’attività lavorativa prestata dai soggetti
chiamati a svolgere i detti compiti fosse svolta a titolo gratuito. Le
affermazioni contenute nel citato parere della Seconda Sezione del Consiglio di
Stato danno perfettamente contezza della giustiziabilità della pretesa vantata
dall’appellato, muovendo dalla esegesi alla stregua del precetto costituzionale
di cui all’art. 36 della Carta fondamentale e tali affermazioni sono state
correttamente coniugate dal primo giudice facendo riferimento alle disposizioni
di cui agli artt. 2041 e 2042 del codice civile.
Soltanto per completezza, peraltro, sarà consentito al
Collegio rilevare che neppure sotto quest’ultimo profilo possono residuare
dubbi in ordine alla fondatezza della pretesa sostanziale vantata
dall’appellato: anche a volere pedissequamente mutuare i contenuti delle
motivazioni esposte nella nota decisione delle Sezioni Unite della Suprema
Corte di Cassazione n. 13-02-1991, n. 1521, non può fare a meno il Collegio di
rilevare che le altissime funzioni attribuite all’appellato (si rammenta che lo
stesso, nel periodo considerato 1995/1999, aveva diretto – prima come
Presidente e poi come Coordinatore – il “Servizio di controllo interno” del
Ministero del Bilancio mentre nel periodo 16 novembre 2001 – 16 ottobre 2003,
svolse le funzioni di componente del Collegio di Direzione del Servizio di
Controllo interno del Ministero dell’economia e delle finanze) e la circostanza
che l’incarico allo stesso venne rinnovato con successive deliberazioni, danno
contezza dell’avvenuto discrezionale apprezzamento da parte
dell’amministrazione dell’attività da questi espletata in favore della medesima
e dimostrano il sussistere dell’elemento dell’utiliter coeptum (che, per il
vero, non è stato neppure contestato nei riuniti appelli).
Tutti gli ulteriori argomenti di doglianza articolati
dall’appellante difesa erariale (pagg. 8-10 dell’appello proposto avverso la
sentenza n. 8234/2011) costituiscono non nuova reiterazione di argomenti già
vagliati: è indubbio infatti che non vi fosse una disposizione univocamente
affermativa del diritto al compenso (il che avrebbe probabilmente impedito
l’insorgere del contenzioso).
Non è dubbio, però, ad avviso del Collegio, che la
circostanza che il d.p.r 451/2000, nel prevedere il compenso per il Presidente,
non escludesse – alla stregua di quanto si è fin qui esposto - quello spettante
ai componenti, non può indurre, neanche per tale segmento decisorio,
all’accoglimento del gravame.
7. Quanto all’ultima delle censure contenute nei
riuniti appelli (ci si riferisce a quella con la quale ci si duole che, nella
circostanza il Tar abbia applicato il disposto normativo di cui all’art. 34
comma 4 del cpa), essa muove da due presupposti – non soltanto indimostrati ma,
anche - erronei.
La disposizione in oggetto così recita: “In caso di
condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti,
stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del
creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non
giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti
dall’accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV,
possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero
l’adempimento degli obblighi ineseguiti.”.
L’amplissima previsione della disposizione, “nel caso
di condanna pecuniaria”, rende arbitraria la tesi appellatoria secondo cui
detta norma sarebbe applicabile unicamente alle fattispecie di condanna
pecuniaria da lesione di diritto soggettivo.
E’ semmai vero il contrario: sebbene non possa negarsi
che questo sia o possa essere il campo d’applicazione più frequente, una tesi
quale quella affermata dall’appellante mutila la utilità della citata norma
ogniqualvolta ricorra la ipotesi di interessi legittimi non restaurabili in via
specifica (si pensi alla illegittima denegata autorizzazione soggetta a termine
laddove il termine sia scaduto, ad esempio) e si pone in frontale contrasto con
la ratio applicativa della medesima (oltre che con il tenore letterale).
7.1. Secondariamente, escluso che qualsivoglia parte
processuale avesse fatto opposizione all’adozione da parte del primo giudice di
tale criterio di liquidazione, costituisce illazione l’affermazione per cui
essa non sarebbe stata applicabile in carenza di preventiva richiesta di parte,
apparendo invece la citata disposizione il precipitato dei poteri esercitabili
dal giudice ex officio (non a caso non è ivi prevista alcuna necessaria
richiesta di parte) come tale condizionabile negativamente unicamente dalla
preventiva manifestazione di volontà contraria di una parte processuale (che,
nel caso di specie, è incontestato abbia mai avuto luogo).
Anche detta censura conclusivamente, va disattesa.
8. Alla stregua delle superiori considerazioni, e con le
precisazioni e correzioni motivazionali sinora esposte, i riuniti appelli
devono essere respinti e le gravate sentenze integralmente confermate.
9. La natura della controversia e la particolarità e
novità delle questioni esaminate legittimano la integrale compensazione tra le
parti delle spese del giudizio sostenute.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quarta), definitivamente pronunciando sui riuniti appelli, come in epigrafe
proposti, li respinge nei termini di cui alla motivazione che precede,
confermando le impugnate decisioni con le correzioni motivazionali indicate.
Spese processuali compensate
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 18 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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