sabato 12 ottobre 2013

PROCESSO: litispendenza e connessione di cause nel processo amministrativo (Cons. St., Sez. IV, sentenza 7 gennaio 2013 n. 22)


PROCESSO: 
litispendenza e connessione di cause, 
nel processo amministrativo 
(Cons. St., Sez. IV, 
sentenza 7 gennaio 2013 n. 22)


Da notare che l'Avvocatura dello Stato, in questo giudizio (e soltanto in questo spero), scambia l'istituto della litispendenza con quello della continenza di cause, ossia l'art. 39  co. 1 c.p.c. con il medesimo co. 2 (e l'art. 274 c.p.c.)!
"Errare humanum est".
FF


Massima

1.  La litispendenza nel processo amministrativo è l'effetto di una fattispecie complessa, i cui coelementi possono ritenersi costituiti dalla notifica e dal deposito; la sola notifica quindi, non seguita dal tempestivo deposito del ricorso, è del tutto inidonea a provocare la litispendenza Tale istituto, come noto, è sollevabile attraverso lo strumento del regolamento di competenza.
2. Nella fattispecie concreta, considerato che il petitum della causa oggetto della odierna delibazione era maggiore di quello proposto nella causa dichiarata estinta, la difesa della P.A. avrebbe dovuto eventualmente richiamare l’istituto della “continenza di cause”.
Più in particolare: mentre la litispendenza presuppone la contemporanea pendenza innanzi a giudici diversi di due - o più - cause identiche nelle persone, nella "causa petendi" e nel "petitum", invece la continenza di cause ricorre allorché due - o più - cause pur identiche nelle persone e nella "causa petendi", differiscano, però, solo nel "petitum " delle domande proposte, nel senso che l'una è contenuta nell'altra, per una maggiore estensione del "petitum" di quest'ultima.
3. L'erronea indicazione dell’istituto applicabile non impedisca al Collegio di prendere in esame la dedotta doglianza, sia perché l’istituto della continenza di cause è parimenti applicabile al rito processuale amministrativo.
L'identità di ricorsi nei confronti dello stesso provvedimento che si riscontra quando vi sia assoluta corrispondenza fra gli elementi che valgono ad identificare la relativa azione - soggetti, "causa petendi" e "petitum" - è difatti oggetto della specifica disposizione sulla continenza di cause dell'art. 39 co. 2 c.p.c., la cui disciplina è propria anche nel processo amministrativo. In tale norma il possibile conflitto di giudicati viene evitato con il criterio della prevenzione.
4. Va precisato che il Giudice amministrativo, a differenza di quello civile, possiede un generale potere, largamente discrezionale, di disporre la riunione di ricorsi per ragione di connessione; ne consegue che, ove si tratti di cause connesse in senso oggettivo o soggettivo, è al Giudice amministrativo di secondo grado che compete il potere di riunire appelli contro più sentenze in funzione dell'economicità e della speditezza dei giudizi, nonché al fine di prevenire la possibilità di contrasto tra giudicati.
La stessa ampia discrezionalità, d'altronde, è ravvisabile nella concessione dell'errore scusabile come istituto idoneo a superare le decadenze derivanti dal principio d'inoppugnabilità del provvedimento amministrativo.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9446 del 2011, proposto da:
Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge; 
contro
Sergio Maggi, rappresentato e difeso dagli avv. Ernesto Sticchi Damiani, Francesco Scacchi, con domicilio eletto presso Ernesto Sticchi Damiani in Roma, V. Bocca di Leone 78(St. Bdl); 

sul ricorso numero di registro generale 3486 del 2012, proposto da:
Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge; 
contro
Sergio Maggi, rappresentato e difeso dall'avv. Ernesto Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso Studio Legale Bdl in Roma, via Bocca di Leone, 78; 
per la riforma
quanto al ricorso n. 9446 del 2011:
della sentenza del T.a.r. del Lazio –Sede di Roma - Sezione III n. 06295/2011, resa tra le parti, concernente riconoscimento compensi attività svolta presso l'amministrazione nel periodo ottobre 1995 - dicembre 1999 con maggiorazione degli accessori di legge
quanto al ricorso n. 3486 del 2012:
della sentenza del T.a.r. del Lazio – Sede di Roma- Sezione II n. 08234/2011, resa tra le parti, concernente corresponsione di emolumenti spettanti per lo svolgimento dell'incarico di componente del servizio controllo interno
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del dott. Sergio Maggi;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2012 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Ernesto Sticchi Damiani e l'Avvocato dello Stato Antonio Grumetto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Ricorso n. 9446/2011 avverso sentenza n. 6295/2011;
Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato chiesto dall’odierno appellato dottor Sergio Maggi, l’accertamento del proprio diritto a percepire i compensi spettantigli quale corrispettivo dell’attività svolta – dall’ottobre del ’95 al dicembre del ’99 – in favore dell’allora esistente Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica e per la conseguente condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze (in cui la predetta Amministrazione era, nel frattempo, confluita) ad erogargli, maggiorate degli accessori di legge, le relative somme di denaro.
Il primo giudice, con la gravata decisione n. 6295/2011 ha in via preliminare disatteso l’eccezione di litispendenza sollevata dalla difesa erariale alla stregua della considerazione per cui il procedimento che si era venuto ad incardinare per effetto dell’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo emesso – il 31.3.2008 – in favore del Maggi (che, nel periodo considerato, aveva diretto – prima come Presidente e poi come Coordinatore – il “Servizio di controllo interno” del Ministero del Bilancio) poteva ritenersi concluso (con la pronuncia della sentenza n.622/2009; e, comunque, del decreto presidenziale n.3971/2011: col quale, a seguito dei “rimpalli” di giurisdizione che hanno caratterizzato l’annosa vicenda, si era preso atto della rinuncia all’opposizione da parte della p.a. e si era – quindi – dichiarata l’estinzione di detto procedimento).
Del pari il Tribunale amministrativo ha respinto le eccezioni di irricevibilità e di prescrizione sollevate dalla difesa erariale, osservando che “il Maggi aveva sempre inteso agire a tutela di un suo diritto soggettivo (e non, già, di un interesse legittimo); il ricorso di primo grado non poteva assolutamente considerarsi proposto “in riassunzione” di un precedente giudizio (perché questo era stato completamente definito e, per altro verso, come chiarito dalle stesse SS.UU. della Cassazione, il compenso richiesto dall’interessato aveva natura indennitaria (e, ad esso, si doveva applicare – pertanto – l’ordinaria prescrizione decennale e non già quella breve prevista, con riferimento ai singoli ratei, per i crediti retributivi)”.
Il primo giudice ha quindi esaminato il merito della pretesa avanzata dall’odierno appellato, e l’ha ritenuta fondata sotto il profilo dell’an debeatur.
Ciò perché, “pur dovendosi convenire con la considerazione che l’attribuzione di un incarico quale quello ricoperto (a suo tempo) dal Maggi sarebbe dovuta avvenire ‘senza oneri per lo Stato’, era altresì vero che il disposto di cui all’art.3 quater del d.L. 12 maggio 1995 n.163 implicava esclusivamente la necessità - per il conferente – di reperire al suo interno (e, cioè, senza alcuna variazione - o spesa aggiuntiva - per il bilancio pubblico) le risorse necessarie per potersi giovare di determinate prestazioni.”.
Nel caso di specie, ad avviso del Tribunale amministrativo, ci si trovava certamente al cospetto di una erogazione delle energie lavorative di un soggetto a favore di un altro (che ne aveva tratto un significativo giovamento) e ciò appariva sufficiente a render applicabile, in favore di chi detta attività aveva svolto (essendone stato espressamente richiesto) il disposto dell’art.2042 c.c..
Richiamato l’art.34, IV comma, del d.lg. n.104/2010, il primo giudice ha pertanto invitato l’Amministrazione intimata a proporre (al Maggi (entro il termine di 30 giorni: decorrente dalla notificazione della sentenza) il pagamento di una somma di denaro che risulti congrua rispetto alle circostanze, tenendo conto (oltre che dell’elevatissima professionalità del Maggi) del fatto
“a) che il (successivamente intervenuto) D.M. 23.11.2006 ha ufficialmente stabilito che l’incarico “de quo” deve esser compensato (al lordo) con 45.000 euro annui;
b) che il decreto ingiuntivo n.1 del 2008 (revocato solo per motivi “formali”: e non “sostanziali”) aveva già quantificato il credito del Maggi (al netto degli accessori) in euro 64.187,98;
c) che la Corte dei conti (cfr. sez. contr., n.48, del 29.4.91) ha sottolineato (si cita testualmente) che “alla controprestazione………indennitaria………percepita dal funzionario onorario si deve riconoscere quella stessa funzione di sostentamento…………, prevalente rispetto alla funzione di rimborso-spese, che caratterizza la retribuzione del lavoratore dipendente”.
Avverso la sentenza in epigrafe l’Amministrazione rimasta soccombente in primo grado ha proposto un articolato appello evidenziando che la motivazione della impugnata decisione era apodittica ed errata.
E’ stata pertanto riproposta la eccezione – disattesa in primo grado- di litispendenza rispetto al ricorso n. 10903/2007 (definito con la sentenza del Tar del Lazio n. 622/2009, cassata dalla Corte di Cassazione) riassunto il 7 luglio 2010 dall’appellato e dichiarato estinto con decreto 3971/2011 depositato il 1 luglio 2011 ed opposto il 26 agosto 2011.
Parimenti si è sostenuta la irricevibilità del gravame in quanto tardivo: posto che la posizione tutelata era di interesse legittimo, l’appellato avrebbe dovuto tempestivamente gravare la nota n. 36867 del 20 aprile del 2005 con la quale era stata respinta la richiesta di compensi da quest’ultimo proposta.
Nel merito si è ribadita la infondatezza del mezzo di primo grado e l’eccezione di prescrizione quinquennale dei ratei maturati dal 1995 al 1999 ed inoltre è stata contestata la quantificazione del compenso spettante all’appellato in quanto fondata sul dM 23 novembre 2006: quest’ultima disposizione era inapplicabile al caso di specie, limitandosi a disporre per il futuro e non potendo spiegare effetti nella odierna controversia
L’appellato dottor Maggi ha depositato una articolata memoria ripercorrendo i fatti di causa ed evidenziando che non sussisteva alcuna causa di inammissibilità del gravame in quanto la controversia apparteneva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
L’eccezione di prescrizione opposta dall’amministrazione appellante era parimenti errata, non trattandosi di “rapporto di lavoro fondato sulla garanzia di stabilità”.
Anche in ordine alla quantificazione della pretesa vantata dall’appellato la sentenza di primo grado era esatta ed immune da mende.
Alla pubblica udienza del 20 dicembre 2011 il processo è stato cancellato dal ruolo.
Esso è stato fissato per la pubblica udienza del 3 aprile 2012 ed è stato rinviato alla odierna pubblica udienza del 18 dicembre 2012.
Alla odierna pubblica udienza del 18 dicembre 2012 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

Ric. n. 3846/2012 avverso sentenza n. 8234/2011.
Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato chiesto dall’odierno appellato dottor Sergio Maggi, l’accertamento del proprio diritto a percepire i compensi spettantigli quale corrispettivo dell’attività svolta nel periodo dal 16 novembre 2001 al 16 ottobre 2003 ricoprendo le funzioni di componente del Collegio di Direzione del Servizio di Controllo interno del Ministero dell’economia e delle finanze, (ciò sulla scorta di apposito decreto ministeriale in data 16 novembre 2001).
Questi aveva premesso di avere richiesto, in data 30 giugno 2004, la corresponsione del compenso per lo svolgimento dell’incarico predetto, e che con nota del 20 aprile 2005 l’Amministrazione aveva respinto la rivendicazione retributiva legata all’espletamento del ricordato incarico sostanzialmente in ragione dell’assenza di provvedimenti che espressamente prevedessero l’erogazione di compensi ai componenti dell’organo di controllo.
Detti compensi erano quantificati in euro 83.076,09 oltre interessi e rivalutazione.
Il primo giudice ha in via preliminare disatteso la eccezione di irricevibilità sollevata dalla difesa erariale, per omessa tempestiva impugnazione innanzi al giudice amministrativo della citata nota del 20 aprile 2005 osservando che la pretesa dedotta aveva consistenza di pretesa patrimoniale ed ha affermato la fondatezza del ricorso, richiamando le conclusioni di cui alla sentenza del TAR Lazio, III Sezione, 13 luglio 2011 n. 6295 resa in favore dell’odierno appellato in una causa sostanzialmente identica
Richiamato l’art. 34, IV comma, del d.lg. n.104/2010, il primo giudice ha pertanto invitato l’Amministrazione intimata a proporre (al Maggi (entro il termine di 30 giorni: decorrente dalla notificazione della sentenza) il pagamento di una somma di denaro congrua rispetto alle circostanze tenendo conto (oltre che dell’elevatissima professionalità del Maggi) del fatto che il (successivamente intervenuto) D.M. 23.11.2006 aveva ufficialmente stabilito che l’incarico “de quo” deve esser compensato (al lordo) con 45.000 euro annui;.
Avverso la sentenza in epigrafe l’Amministrazione rimasta soccombente in primo grado ha proposto un articolato appello evidenziando che la motivazione della impugnata decisione era apodittica ed errata.
E’ stata pertanto riproposta la eccezione – disattesa in primo grado- di irricevibilità del gravame in quanto tardivo: posto che la posizione tutelata era di interesse legittimo, l’appellato avrebbe dovuto tempestivamente gravare la nota n. 36867 del 20 aprile del 2005 con la quale era stata respinta la richiesta di compensi da quest’ultimo proposta.
Nel merito si è ribadita la infondatezza del ricorso di primo grado, fondato sulle non condivisibili argomentazioni contenute nel parere del Consiglio di Stato n. 1498/2002 del 4 giugno 2003 ed inoltre è stata contestata la quantificazione del compenso spettante all’appellato in quanto fondata sul dM 23 novembre 2006: quest’ultima disposizione era inapplicabile al caso di specie, limitandosi a disporre per il futuro e non potendo spiegare effetti nella odierna controversia ed in ogni caso tale decreto non prevedeva alcun trattamento economico in favore dei componenti del collegio del servizio per il controllo interno, ma soltanto per il Presidente del detto Collegio (come, del resto, nessun compenso era stato previsto dall’art. 7 del dPR n. 227/2003).
In ultimo, aveva errato il primo giudice laddove accogliendo la domanda dell’appellato si era rifatto ai criteri di cui all’art. 34 comma IV del cpa (disposizione applicabile unicamente laddove si controvertesse in ordine a diritti soggettivi di contenuto pecuniario e, quindi, inapplicabile alla fattispecie in cui la posizione dedotta avesse la consistenza di interesse legittimo).
Il dottor Maggi ha depositato una articolata memoria ripercorrendo i fatti di causa ed evidenziando che non sussisteva alcuna causa di inammissibilità del gravame in quanto la controversia apparteneva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Anche in ordine alla quantificazione della pretesa vantata dall’appellato la sentenza di primo grado era esatta ed immune da mende.
Alla odierna pubblica udienza del 18 dicembre 2012 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.La connessione soggettiva ed oggettiva (rectius: la identità) tra le questioni fattuali e giuridiche prospettate, impone la riunione e la trattazione congiunta dei relativi appelli ex art. 70 del cps (si veda già in passato, sul punto, ex multis, Consiglio Stato , sez. IV, 17 giugno 2003, n. 3415, laddove si è condivisibilmente affermato, addirittura, che “possono essere riuniti e definiti con un'unica decisione anche gli appelli rivolti avverso sentenze diverse, ove comportanti la soluzione di identiche questioni sollevate nei riguardi dei medesimi provvedimenti impugnati in primo grado.”).
2.Gli appelli sono infondati e vanno respinti nei termini di cui alla motivazione che segue e con le parziali correzioni delle motivazioni impugnate, nei termini che di seguito verranno evidenziati.
2.1. Posto che i riuniti appelli – identici quanto alle questioni sostanziali da esaminare - si differenziano tra loro in quanto il ricorso n. 9446/2011, avversante la sentenza n. 6295/2011, contiene alcune censure (segnatamente quella di inammissibilità del mezzo di primo grado per litispendenza e quella di prescrizione) non proposte nell’ambito del ricorso rubricato al n. 3846/2012, il Collegio esaminerà in prima battuta le problematiche facenti riferimento al gravame n. 9446/2011, per poi esaminare congiuntamente le dedotte censure di merito comuni ad entrambi i ricorsi
3.Ciò premesso, in punto di ordine delle questioni da affrontare, la prima “eccezione” da sottoporre a scrutinio è quella articolata in forma di doglianza da parte dell’appellante amministrazione e riposante nell’omesso accoglimento in primo grado dell’eccezione di litispendenza.
3.1. Va in proposito premesso che, ad avviso del Collegio - e come meglio verrà di seguito chiarito - la indicazione da parte della difesa erariale dell’istituto applicabile (litispendenza) è erronea.
Va rimarcato che già da tempo risalente è stata affermata dalla giurisprudenza amministrativa la operatività del detto istituto nel sistema processuale amministrativo (ex multis:“la litispendenza nel processo amministrativo è l'effetto di una fattispecie complessa, i cui coelementi possono ritenersi costituiti dalla notifica e dal deposito; la sola notifica quindi, non seguita dal tempestivo deposito del ricorso, è del tutto inidonea a provocare la litispendenza .” Consiglio Stato, sez. IV, 21 dicembre 2001 , n. 6333 – ma si veda anche la massima che segue, che, in quanto, antecedente alla entrata in vigore del cpa, indicava il regolamento di competenza quale mezzo per sollecitare la pronuncia sulla detta eccezione: “l'istituto della litispendenza di cui all'art. 39 c.p.c. è applicabile anche al processo amministrativo ed è sollevabile attraverso lo strumento del regolamento di competenza.”- Consiglio Stato, sez. IV, 02 dicembre 1999 , n. 1783).
Considerato che il petitum della causa oggetto della odierna delibazione (ric n. 11660/2010 RG TAR deciso con la sentenza n. 6295/2011 resa all’udienza dell’1 luglio 2011 e depositata il 13 luglio 2011) era maggiore di quello proposto nella causa “dichiarata estinta”( ricorso n. 10903/2007 RGTAR, definito con la sentenza n. 622/2009 del Tar gravata in cassazione, da questa cassata, ed il cui giudizio fu “riassunto” dal Maggi con istanza del 7 luglio 2010), l’ Avvocatura dello Stato avrebbe dovuto eventualmente richiamare l’istituto della “continenza di cause” (ex multis: “mentre la litispendenza presuppone la contemporanea pendenza innanzi a giudici diversi di due - o più - cause identiche nelle persone, nella "causa petendi" e nel " petitum ", invece la continenza di cause ricorre allorché due - o più - cause pur identiche nelle persone e nella "causa petendi", differiscano, però, solo nel " petitum " delle domande proposte, nel senso che l'una è contenuta nell'altra, per una maggiore estensione del " petitum " di quest'ultima.”- Cassazione civile sez. lav. 20 dicembre 1985-) e non già quello della litispendenza.
Ritiene tuttavia il Collegio che la erronea indicazione dell’istituto applicabile non impedisca al Collegio di prendere in esame la dedotta doglianza, sia perché l’istituto della continenza di cause è parimenti applicabile al rito processuale amministrativo( “l'identità di ricorsi nei confronti dello stesso provvedimento che si riscontra quando vi sia assoluta corrispondenza fra gli elementi che valgono ad identificare la relativa azione - soggetti, "causa petendi" e "petitum" - è oggetto della specifica disposizione sulla continenza di cause dell'art. 39 comma 2 c.p.c., la cui disciplina è propria anche nel processo amministrativo. In tale norma il possibile conflitto di giudicati viene evitato con il criterio della prevenzione, se la causa proposta per seconda appartiene per materia e per valore alla competenza dello stesso giudice innanzi al quale è pendente la prima, o con la sentenza dichiarativa della continenza che rimette la causa innanzi al giudice competente per materia o per valore.” Consiglio Stato sez. V 12 aprile 2005n. 1636), ma anche in considerazione della identità delle disposizioni normative applicabili e nella incontestabile considerazione che pertiene al giudice adito il compito di attribuire al petitum proposto dalle parti la esatta qualificazione giuridica.
3.2.Ciò premesso, ritiene il Collegio che la detta eccezione sia infondata e correttamente il primo giudice non l’abbia accolta, seppure la motivazione della reiezione debba essere corretta.
3.2.1. Le ragioni di infondatezza della detta eccezione non riposano – ad avviso del Collegio - soltanto nella constatazione che la dedotta circostanza della asserita “ non rinunciabilità al ricorso” da parte del Maggi, (che seppure attore richiedente decreto ingiuntivo era “opposto” nel giudizio di opposizione incoato dall’Amministrazione) a tutto concedere integra questione di merito scrutinabile soltanto laddove sia possibile esaminare il merito delle questioni proposte.
3.2.2. E’ invece rilevante rimarcare che - avuto riguardo alla cronologia degli adempimenti processuali sottesi ai ricorsi proposti dall’odierno appellato - non era certamente ravvisabile la contemporanea pendenza di due gravami (aventi stesso oggetto seppur in uno venisse rivendicato un petitum di importo maggiore) innanzi a giudici “diversi”, che giustificava l’applicazione del disposto di cui all’art. 39 cpc, applicabile al processo amministrativo, come si è dianzi dimostrato. .
3.2.3. Ciò non per la ragione, indicata dal primo giudice, che uno dei due giudizi era già estinto.
Si rammenta in proposito che il ricorso n. 11660/2010 TAR venne deciso con la sentenza n. 6295/2011 (oggetto della odierna impugnazione) resa all’udienza dell’1 luglio 2011 e depositata il 13 luglio 2011.
L’appellato aveva in precedenza proposto il ricorso n. 10903/2007 che venne definito dal Tar con la sentenza n. 622/2009.
Contrariamente a quanto rilevato dal Tar nella sentenza oggi gravata, è certamente errato affermare che la predetta decisione n. 622/2009 avesse concluso il detto processo: essa infatti fu gravata per Cassazione, e la Suprema Corte cassò la detta decisione declinatoria della giurisdizione, affermando la giurisdizione del giudice amministrativo sulla predetta causa, che venne riassunta dall’odierno appellato.
E’ pur vero che in data 1 luglio 2011 venne depositato il decreto di estinzione n. 3971/2011 reso nell’ambito del predetto ricorso n. 10903/2007 .
Ed è altresì rispondente al vero che la sentenza gravata oggetto della odierna impugnazione venne assunta in decisione proprio all’udienza dell’1 luglio 2011 (e successivamente depositata il 13 luglio 2011).
3.2.4. Neppure, però, può fondatamente affermarsi che, alla data dell’1 luglio 2011, allorché venne depositato il decreto di estinzione n. 3971/2011 reso nell’ambito del ricorso proposto n. 10903/2007 il detto processo potesse dirsi “estinto” .
La vicenda risulta normata dall’art. 85 comma 3 del codice del processo amministrativo (“Forma e rito per l'estinzione e per l'improcedibilita'”:“1. L'estinzione e l'improcedibilita' di cui all'articolo 35 possono essere pronunciate con decreto dal presidente o da un magistrato da lui delegato.
2. Il decreto e' depositato in segreteria, che ne da' comunicazione alle parti costituite.
3. Nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione ciascuna delle parti costituite puo' proporre opposizione al collegio, con atto notificato a tutte le altre parti.
4. Il giudizio di opposizione si svolge ai sensi dell'articolo 87, comma 3, ed e' deciso con ordinanza che, in caso di accoglimento dell'opposizione, fissa l'udienza di merito.
5. In caso di rigetto, le spese sono poste a carico dell'opponente e vengono liquidate dal collegio nella stessa ordinanza, esclusa la possibilita' di compensazione anche parziale.
6. L'ordinanza e' depositata in segreteria, che ne da' comunicazione alle parti costituite.
7. Avverso l'ordinanza che decide sull'opposizione puo' essere proposto appello.
8. Il giudizio di appello procede secondo le regole ordinarie e l'udienza di discussione e' fissata d'ufficio con priorita'.
9. L'estinzione e l'improcedibilita' sono dichiarate con sentenza, se si verificano, o vengono accertate, all'udienza di discussione.”).
Il comma terzo della citata disposizione, quindi, prevede che “Nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione ciascuna delle parti costituite puo' proporre opposizione al collegio, con atto notificato a tutte le altre parti.”.
Ne deve discendere quindi che il decreto di estinzione, non estingue ipso iure, al momento del deposito dello stesso, il processo, in quanto l’estinzione consegue unicamente all’infruttuoso decorrere del termine per proporre opposizione (ove venga infatti proposta opposizione si instaura una successiva fase contenziosa camerale, che si conclude con una ordinanza a propria volta impugnabile).
E’ noto che, per consolidata quanto condivisa giurisprudenza “si deve ritenere che la dichiarazione di perenzione costituisca un mero provvedimento estintivo del giudizio, che incide, quindi, soltanto sul rapporto processuale tra le parti contrapposte, ma non ha la forza e il valore di cosa giudicata sostanziale tale da rendere definitive, fra i partecipanti al giudizio, le posizioni controverse. Ne consegue che, in caso di accoglimento dell'opposizione al decreto con il quale la è stata dichiarata la perenzione, la controversia è suscettibile di riprendere il suo corso, con la reiscrizione in ruolo.” (Cons. Stato Sez. V Sent., 24-08-2007, n. 4486 , ma, per un analogo principio, si veda: “Nell'ipotesi di estinzione del processo tributario instaurato con l' impugnazione dell'avviso di accertamento, l'iscrizione a ruolo dell'imposta - che per il disposto dell'art. 14 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602 presuppone la definitività dell'accertamento, conseguente nel caso alla definizione del processo tributario - deve essere preceduta dalla regolare comunicazione dell'ordinanza di estinzione , atteso che il processo tributario non può ritenersi definito -e quindi l'accertamento impugnato definitivo- se la pronuncia di estinzione non è comunicata al contribuente - ai fini dell'eventuale reclamo ex art. 309 c.p.c.-, solo da tale momento decorrendo - o riprendendo a decorrere - i termini di prescrizione e di decadenza.- Cass. civ. Sez. I, 30-03-1993, n. 3843-).
Si è detto del pari in passato che “ in tema di perenzione ultradecennale, l'omissione della notifica dell'avviso previsto dall'art. 9, 2° comma, L. 21 luglio 2000 n. 205 comporta una lesione del contraddittorio; pertanto, deve essere accolta l' opposizione al decreto che dichiara la perenzione ultradecennale del ricorso in mancanza di suddetta notifica.”- Cons. Stato Sez. IV, 15-05-2002, n. 2589-; “la perenzione di cui all'art. 9, II comma della L. n. 205/2000 opera, indipendentemente dall'inerzia delle parti, con riferimento al solo dato obiettivo del decorso di dieci anni dalla data di deposito dei ricorsi. Con la conseguenza, che in tale ultimo caso la permanenza dell'interesse alla prosecuzione del giudizio è dimostrata da una nuova domanda di fissazione che è onere delle parti ricorrenti presentare entro sei mesi dalla data di notifica dell'apposito avviso comunicato dalla segreteria”-CdS, IV, 21.1.2003 n. 213-;
“l'inutile decorso del termine comporta ipso iure, ai sensi dell'art. 45 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, l' estinzione del processo e può essere rilevata anche d'ufficio dal giudice” -TAR Lazio, I, 19.12.2005 n. 14085”;
“l'accoglimento dell'opposizione avverso il decreto con cui è stata dichiarata la perenzione del ricorso in appello comporta la reiscrizione del ricorso nel ruolo ordinario.” -Cons. Stato Sez. V Sent., 22-10-2007, n. 5504-).
3.2.5. Non v’è dubbio, ad avviso del Collegio, che i processi cui ha fatto riferimento l’Avvocatura erano entrambi “pendenti” al momento in cui la causa decisa con la sentenza oggetto della odierna impugnazione venne introitata per la decisione.
3.2.6.Senonchè, ciò non comporta l’accoglimento della doglianza in quanto è certamente errato il punto di partenza dal quale muove l’eccezione dell’appellante amministrazione.
Come è noto, infatti – e come si è prima anticipato- presupposto indefettibile per l’applicazione degli istituti disciplinati dall’art. 39 cpc (il cui fine è quello di prevenire il possibile insorgere di contrasti di giudicati) è che le cause identiche o legate da rapporto di continenza pendano innanzi “diversi giudici” (intesi nel senso di diversi Uffici giudiziari, ovviamente, e non già diverse persone persone fisiche appartenenti allo stesso Ufficio giudiziario).
Si è condivisibilmente rilevato in proposito, infatti, che “la litispendenza, ai sensi ed agli effetti dell'art. 39 cod. proc. civ., si riferisce alla proposizione della stessa causa davanti a giudici diversi nell'ambito della giurisdizione ordinaria, e, pertanto, non può valere ad introdurre deroghe ai criteri di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo, ancorché aditi con la medesima domanda. (Principio affermato dalla S.C. in riferimento alla contemporanea pendenza di un giudizio di ottemperanza e di un'azione di esecuzione ordinaria per la riscossione di somme cui l'Amministrazione finanziaria era stata condannata a titolo di rimborso di ICI indebitamente corrisposta).”(Cass. civ. Sez. V Sent., 30-07-2007, n. 16834);
“l'identità di due cause pendenti davanti allo stesso giudice non può determinare il rapporto di litispendenza governato dall'articolo 39, comma primo, cod. proc. civ., che presuppone la contemporanea pendenza della "stessa causa" dinnanzi a " giudici diversi", ma solo una situazione riconducibile alla fattispecie dell'articolo 274 cod. proc. civ., che, nel caso di identità di cause pendenti dinnanzi allo stesso giudice, consente e prescrive la loro riunione. Peraltro, l'ordinanza del giudice di merito che, nella ipotesi considerata dall'articolo 274 cod. proc. civ., provvede sulla istanza di riunione, deve considerarsi atto processuale di carattere meramente preparatorio, privo di contenuto decisorio sulla competenza, siccome non implicante soluzione di questioni relative ad una "translatio iudicii" -sulla base di tale principio la S.C. ha confermato la sentenza d'appello, che aveva ritenuto inammissibile l'appello avverso l'ordinanza proposto congiuntamente alla sentenza definitiva del merito-; (Cass. civ. Sez. III, 16-05-2006, n. 11357);
“in materia di procedimento civile, i rapporti tra giudice istruttore in funzione di giudice unico e collegio attengono alla distribuzione di funzioni all'interno del medesimo ufficio giudiziario, e non pongono pertanto una questione di competenza, né l'eventuale diversità del rito processuale applicabile ai due procedimenti (l'uno da trattare secondo il rito vigente prima del 30 aprile 1995, e l'altro assoggettato al nuovo rito) può rendere ipotizzabile un caso di litispendenza, mancando la condizione essenziale della pendenza della lite davanti a giudici diversi. “(Cass. civ. Sez. III, 28-11-2003, n. 18241);
“ai sensi dell'art. 39, comma secondo, cod. proc. civ., sussiste il rapporto di continenza quando due cause, pendenti contemporaneamente davanti a giudici diversi, hanno ad oggetto una questione comune, quale quella diretta a stabilire chi dei contraenti, nell'ambito dell'unico rapporto controverso, sia creditore dell'altro, essendo una domanda volta ad ottenere l'accertamento dell'inadempimento della controparte e la conseguente condanna al risarcimento dei danni, e l'altra volta all'esecuzione del medesimo contratto.” (Cass. civ. VI - 2, 25-07-2012, n. 13161).
Nel caso di specie, come è agevole riscontrare dalla cronologia processuale dei due distinti processi prima indicata, entrambe le controversie pendevano innanzi lo stesso Ufficio giudiziario (Tar del Lazio), di guisa che – mutuando i detti insegnamenti della Corte di Cassazione - giammai si sarebbe potuta fondatamente ipotizzare la emissione di una sentenza dichiarativa della litispendenza o della continenza di cause ma, semmai, si poneva soltanto l’evenienza di adottare una pronuncia di riunione delle dette cause (la cui mancata adozione - oltre a non essere stata prospettata quale vizio della gravata decisione - non può costituire vizio della medesima decisione assunta: ex multis: “il Giudice amministrativo possiede un generale potere, largamente discrezionale , di disporre la riunione di ricorsi per ragione di connessione; ne consegue che, ove si tratti di cause connesse in senso oggettivo o soggettivo, è al Giudice amministrativo di secondo grado che compete il potere di riunire appelli contro più sentenze in funzione dell'economicità e della speditezza dei giudizi, nonché al fine di prevenire la possibilità di contrasto tra giudicati.”-Cons. Stato Sez. V Sent., 23-11-2007, n. 6004-; nel giudizio amministrativo l'art. 70 CPA -d.lgs. n. 104/2010- conferisce al Giudice Amministrativo il generale potere discrezionale di disporre la riunione di ricorsi connessi con la conseguenza che, ove si tratti di cause connesse in senso oggettivo o soggettivo, è al Giudice Amministrativo di secondo grado che compete il potere di riunire appelli contro più sentenze in funzione dell'economicità e della speditezza dei giudizi, nonché al fine di prevenire la possibilità di contrasto tra giudicati.”-Cons. Stato Sez. IV, 23-07-2012, n. 4204).
Si rimarca che anche da parte della giurisprudenza di legittimità è stato affermato il condivisibile principio che laddove le cause pendano innanzi allo stesso Ufficio giudiziario non si pone alcun problema di litispendenza o continenza, ma, semmai, l’opportunità eventuale –e latamente discrezionale- di riunire le cause (“a seguito dell'entrata in vigore del d.lg. 19 febbraio 1998 n. 51, che ha soppresso l'ufficio del pretore, trasferendo le relative competenze al tribunale, è venuto meno uno dei presupposti sul quale si basa l'istituto della continenza di cause e cioè la contemporanea pendenza davanti a giudici diversi della causa contenente e di quella contenuta, facendo venir meno in radice il problema della "traslatio iudicii", ponendo quello della eventuale riunione degli stessi giudizi rimesso alla valutazione del giudice di merito unitamente a quello relativo alla pregiudizialità di un giudizio rispetto all'altro; questione che torna in discussione davanti al giudice unico di primo grado.”-Cass. civ. Sez. II, 25-03-2000, n. 3628-) il che milita per la reiezione della censura, seppure, appunto, con motivazione diversa da quella contenuta nella gravata sentenza.
4.In ossequio all’ordine di trattazione prima indicato e pur consapevole della circostanza che, in ordine logico, l’esame della censura dovrebbe seguire quella (comune ad entrambi i ricorsi riuniti) di tardività delle impugnazioni di primo grado (per omessa tempestiva proposizione di gravame avverso la nota n. 36867 del 20 aprile del 2005 con la quale era stata respinta la richiesta di liquidazione dei compensi avanzata dall’odierno appellato) ritiene il Collegio di esaminare adesso la eccezione di prescrizione dei ratei dal 1995 al 1999 proposta dall’Amministrazione nell’ambito del ricorso n. 9446/2011 avversante la sentenza n. 6295/2011.
4.1. Essa va senz’altro disattesa per più ordini di ragioni.
Va premesso che la richiesta di compenso avanzata dall’appellato il 30 giugno 2004 era ben idonea ad interrompere la prescrizione ed a costituire in mora l’Amministrazione (risolvendosi la medesima nella affermazione del proprio preteso diritto a ricevere la “retribuzione”, il cui effetto interruttivo non necessita dell’utilizzo di particolari e/o sacramentali forme: ex multis Cass. civ. Sez. II, 04-05-2006, n. 10270 “l'atto di costituzione in mora di cui all'art. 1219 cod. civ., idoneo ad integrare atto interruttivo della prescrizione ai sensi dell'art. 2943, ultimo comma, cod. civ., non è soggetto a rigore di forme, all'infuori della scrittura, e quindi non richiede l'uso di formule solenni nè l'osservanza di particolari adempimenti, essendo sufficiente che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto. L'accertamento compiuto al riguardo dal giudice del merito costituisce indagine di fatto ed è, perciò, incensurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici. –Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto atto idoneo alla costituzione in mora dell'acquirente di alcune merci l'emissione e la trasmissione della fattura, anche se non accompagnata da una espressa richiesta di pagamento ,e lo aveva pertanto condannato al pagamento del residuo prezzo oltre agli interessi legali dalla data della scadenza indicata nella fattura stessa-.”).
In ogni caso, al di là di quanto affermato dall’appellato in detta nota e nei successivi scritti difensivi, nessuna disposizione ex ante prevedeva che il “compenso” dovesse essere erogato mensilmente e/o a scadenze fisse di guisa che fosse applicabile al detto rapporto la disciplina della prescrizione “breve”;
Prova di quanto finora esposto si rinviene nella circostanza che l’Amministrazione ancora contesta la pretesa dell’appellato nell’an e nega che siano desumibili indizi a comprova della fondatezza della pretesa nel –successivo- dM 23.11.2006: sarebbe ben paradossale che dal quomodo della erogazione della retribuzione – mensile- contenuto nel d.m. in ultimo citato, venissero tratti elementi per fare discendere “retroattivamente” la prescrizione quinquennale dei ratei (si veda peraltro sul punto Cons. Stato Sez. VI Sent., 17-01-2008, n. 90 che, con riferimento da una pretesa economica avente sicuramente natura indennitaria, quale la c.d. indennità De Maria, ha affermato in passato che “il carattere periodico del pagamento del compenso indennitario in ratei inferiori all'annualità non sottragga, quindi, la pretesa creditoria all'applicazione del termine breve di prescrizione previsto dall'art. 2948 c.c.”).
Conclusivamente sul punto: l’assenza di qualsivoglia disposizione che prevedesse il pagamento periodico e/o mercè ratei mensili, coniugato con la natura “indennitaria” del compenso richiesto esclude la fondatezza della eccezione/doglianza proposta dalla difesa erariale (si rammenta che la sentenza della Suprema Corte di cassazione,8835/2010 è tranciante nell’affermare ricorrere una fattispecie di “servizio onorario” e che è jus receptum che tale tipologia di attività prestata in favor dell’Amministrazione sia ristorabile tramite una indennità, priva dei caratteri della retribuzione ed a quest’ultima inaccostabile).
5. Passando adesso all’esame delle censure comuni ad entrambi i ricorsi, deve adesso essere presa in esame la eccezione di tardività della impugnazione per omessa tempestiva proposizione di gravame avverso la nota n. 36867 del 20 aprile del 2005 con la quale era stata respinta la richiesta di liquidazione dei compensi avanzata dall’odierno appellato.
5.1.Ad avviso dell’appellato la censura non coglierebbe nel segno in quanto si verterebbe nel campo della giurisdizione amministrativa esclusiva, laddove non rileverebbe la consistenza della posizione soggettiva presa in esame: interrogarsi sulla consistenza della posizione soggettiva azionata sarebbe pertanto irrilevante.
5.1.1. Le eccezioni e difese proposte dall’appellato non persuadono. Da un canto, infatti, la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 8835/2010, vincolante per il presente processo, ha riportato la controversia nell’ambito della giurisdizione amministrativa di legittimità (pagg. 6 e 7 della sentenza richiamata).
Per altro verso, neppure laddove – il che alla luce della citata decisione della Cassazione è recisamente escluso - si vertesse in tema di giurisdizione esclusiva potrebbe affermarsi la irrilevanza dell’accertamento in ordine alla consistenza della posizione soggettiva azionata, essendo jus receptum che anche in sede di giurisdizione esclusiva del g.a. ciascuna azione conserva la propria identità anche in punto di termini e condizioni per la sua proponibilità, tra i quali ovviamente rientra l’eventuale rispetto del termine decadenziale di proposizione del ricorso per le pretese aventi consistenza di interesse legittimo (ex multis: le controversie inerenti alla contestazione degli oneri di urbanizzazione, solo qualora non vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi di determinazione degli oneri presupposti di quello impugnato, attengono a posizioni di diritto soggettivo azionabili innanzi al G.A. in sede di giurisdizione esclusiva nel termine di prescrizione. Pertanto, quando si intenda contestare l'applicazione del contributo per vizi derivanti da atti autoritativi generali, presupposti di quello impugnato, in relazione ai quali la posizione dell'interessato è qualificabile di interesse legittimo , perché il motivo dedotto è l'illegittimità dell'assoggettamento, anche nel quantum, all'onere di urbanizzazione di una concessione edilizia, il ricorso deve essere proposto entro il termine di decadenza” ;-Cons. Stato Sez. V, 28-05-2012, n. 3122).
5.1.2. Ne consegue che, posto che, proprio a cagione delle affermazioni contenute nella detta sentenza della Cassazione, è pacifico che l’appellato vantava un mero interesse legittimo alla erogazione dei richiesti compensi, è doveroso confrontarsi nel merito con la doglianza proposta dall’Amministrazione secondo la quale, a cagione della omessa tempestiva proposizione di gravame avverso la nota n. 36867 del 20 aprile del 2005 con la quale era stata respinta la richiesta di liquidazione dei compensi avanzata dall’odierno appellato i mezzi di primo grado dovevano essere dichiarati irricevibili perché tardivi.
5.1.3. Non ritiene il Collegio però che la censura proposta dalla difesa erariale colga nel segno, essendo appena il caso di evidenziare che dalla pur sintetica motivazione del primo giudice sul punto emerge la circostanza che, a tutto concedere, l’appellato avrebbe avuto diritto alla rimessione in termini per errore scusabile.
Il petitum avanzato dall’appellato infatti è sempre stato quello di ottenere una “retribuzione”, seppur classificabile quale “indennità” stante la circostanza che lo stesso poteva essere qualificato quale funzionario onorario.
L’intera impostazione ricorso proposto dall’odierno appellato – ed anche del carteggio procedimentale intercorso con l’Amministrazione – rende evidente che l’appellato (come esattamente colto dal primo giudice) avesse chiesto le somme convinto di agire per ottenere la ordinaria “retribuzione” allo stesso spettante e ritenendo la propria pretesa sussumibile nel paradigma del diritto soggettivo.
Appare palese pertanto che l’affermazione del Tar secondo cui il Maggi aveva agito a tutela di un proprio diritto soggettivo (poi “smentita” nella sua correttezza dalla Corte di Cassazione con la più volte richiamata decisione) implichi che allo stesso potesse essere concesso l’errore scusabile nella omessa proposizione di tempestivo gravame avverso la detta nota reiettiva dell’Amministrazione (è ben noto infatti che, laddove effettivamente la posizione attiva vantata dal Maggi stesso fosse stata di diritto soggettivo ci si sarebbe trovati al cospetto di un atto paritetico del quale non era necessaria l’impugnazione in quanto non preclusiva della successiva intrapresa dell’azione volta ad ottenere il pagamento in sede giurisdizionale).
5.1.4. Sotto altro profilo (che comunque riveste carattere troncante) neppure ritiene il Collegio che la detta nota spiegasse l’assoluto effetto preclusivo attribuitogli dall’Amministrazione e che pertanto, in concreto, essa necessitasse senz’altro di immediata impugnazione: ivi infatti si rappresentava al richiedente dottor Maggi che non “erano stati rinvenuti atti e provvedimenti che autorizzavano l’erogazione del richiesto compenso ai componenti dell’organo di controllo” e che, “in assenza di determinazione in merito del Signor Ministro la richiesta non poteva trovare accoglimento”.
La detta nota, quindi, ad avviso del Collegio, non aveva contenuto univocamente negativo, laddove lasciava preconizzare che una eventuale futura determinazione dell’Organo Politico in senso accoglitivo avrebbe potuto condurre alla erogazione del compenso, senza peraltro affermare alcunché in ordine ad una già manifestata manifestazione di volontà negativa da parte di detto Organo.
Id est: se – come emerge dal contenuto della nota predetta - in assenza di atti autorizzativi sino a quel momento resi l’unico atto che avrebbe legittimato l’erogazione risiedeva nella determinazione favorevole del Ministro, la circostanza che tale determinazione favorevole non fosse stata ancora resa non costituiva univoca reiezione dell’istanza, ma semmai atto soprassessorio: soltanto laddove ivi fosse stato dato atto (il che non è) del già manifestato intento reiettivo (già) espresso dal Ministro il contenuto negativo della stessa sarebbe stato (non soltanto percepibile ma anche) univocamente espresso.
5.1.5. Ricapitolando quindi: i ricorsi di primo grado non possono essere considerati tardivi per omessa impugnazione della citata nota del 20 aprile 2005 in quanto la stessa non possedeva univoca valenza negatoria in via definitiva del preteso diritto al compenso lasciando ipotizzare che una eventuale determinazione del Ministro potesse sbloccare in senso favorevole all’appellato la questione della spettanza del compenso.
In ogni caso, l’appellato sarebbe senz’altro meritevole del beneficio dell’errore scusabile con riguardo alla omessa tempestiva impugnazione della predetta nota, sia avuto riguardo al contenuto non univoco della stessa, e sia perché (anche a volere considerare detta nota atto definitivamente preclusivo) all’evidenza riteneva la propria pretesa avente la consistenza del diritto soggettivo, non “degradabile” a cagione di un atto negativo di natura paritetica in quanto incidente sulla (asserita) “retribuzione” dovuta ed apparendo detto errore rientrante nel paradigma della scusabilità.
Né dicasi che il Collegio, in grado d’appello, non possa provvedere alla concessione dell’errore scusabile con riguardo alla questione della tempestività dei ricorsi di primo grado, ovvero debba necessariamente annullare la sentenza che non si sia pronunciata sul punto rimettendo la causa al primo giudice.
In disparte la circostanza che ciò è già avvenuto innanzi al Tar (laddove il primo giudice, nel fare esplicito riferimento all’intento soggettivo dell’originario ricorrente, all’evidenza ha ritenuto che il detto opinamento soggettivo fosse scusabile impedendo così la declaratoria di tardività dei mezzi di primo grado) in ogni caso la concessione del detto beneficio è ben possibile in appello senza che occorra disporre la retrogradazione del processo, trattandosi di errore di procedura (ma meglio sarebbe affermare di correzione della motivazione che non ha espressamente affermato il ricorrere del principio espresso nell’art. 37 del cpa ) che non ha inciso sulla regolare strutturazione del contraddittorio ovvero sul diritto di difesa delle parti (arg. ex art. 105 comma 1 cpa: si veda sul punto: “nel giudizio amministrativo il principio del divieto del ius novorum in appello non riguarda eccezioni e questioni che siano rilevabili d'ufficio, com'è l' errore scusabile-“Cons. Stato Sez. III, 06-12-2011, n. 6413 , ma anche Consiglio Stato, sez. VI, 01 settembre 2009, n. 5121-;).
6. Quanto alle doglianze postulanti la infondatezza nel merito della pretesa articolata dal Maggi, il Collegio ritiene che la inaccoglibilità delle stesse discenda dalle condivisibili affermazioni contenute nell’articolato parere della Seconda Sezione del Consiglio di Stato n. 1498/2002 che questo Collegio condivide e fa proprie e che devono intendersi integralmente trascritte in questa sede .
L’amministrazione appellante fonda la propria tesi sul disposto di cui all’art.3 quater del D.L. n.163/95, ma sostanzialmente non confuta l’affermazione – già esternata dal primo giudice e che il Collegio non può che riproporre in questa sede – secondo cui la dizione “senza oneri per lo Stato” implicava esclusivamente la necessità - per il conferente – di reperire al suo interno (e, cioè, senza alcuna variazione - o spesa aggiuntiva - per il bilancio pubblico) le risorse necessarie per potersi giovare di determinate prestazioni, ma non certo che l’attività lavorativa prestata dai soggetti chiamati a svolgere i detti compiti fosse svolta a titolo gratuito. Le affermazioni contenute nel citato parere della Seconda Sezione del Consiglio di Stato danno perfettamente contezza della giustiziabilità della pretesa vantata dall’appellato, muovendo dalla esegesi alla stregua del precetto costituzionale di cui all’art. 36 della Carta fondamentale e tali affermazioni sono state correttamente coniugate dal primo giudice facendo riferimento alle disposizioni di cui agli artt. 2041 e 2042 del codice civile.
Soltanto per completezza, peraltro, sarà consentito al Collegio rilevare che neppure sotto quest’ultimo profilo possono residuare dubbi in ordine alla fondatezza della pretesa sostanziale vantata dall’appellato: anche a volere pedissequamente mutuare i contenuti delle motivazioni esposte nella nota decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione n. 13-02-1991, n. 1521, non può fare a meno il Collegio di rilevare che le altissime funzioni attribuite all’appellato (si rammenta che lo stesso, nel periodo considerato 1995/1999, aveva diretto – prima come Presidente e poi come Coordinatore – il “Servizio di controllo interno” del Ministero del Bilancio mentre nel periodo 16 novembre 2001 – 16 ottobre 2003, svolse le funzioni di componente del Collegio di Direzione del Servizio di Controllo interno del Ministero dell’economia e delle finanze) e la circostanza che l’incarico allo stesso venne rinnovato con successive deliberazioni, danno contezza dell’avvenuto discrezionale apprezzamento da parte dell’amministrazione dell’attività da questi espletata in favore della medesima e dimostrano il sussistere dell’elemento dell’utiliter coeptum (che, per il vero, non è stato neppure contestato nei riuniti appelli).
Tutti gli ulteriori argomenti di doglianza articolati dall’appellante difesa erariale (pagg. 8-10 dell’appello proposto avverso la sentenza n. 8234/2011) costituiscono non nuova reiterazione di argomenti già vagliati: è indubbio infatti che non vi fosse una disposizione univocamente affermativa del diritto al compenso (il che avrebbe probabilmente impedito l’insorgere del contenzioso).
Non è dubbio, però, ad avviso del Collegio, che la circostanza che il d.p.r 451/2000, nel prevedere il compenso per il Presidente, non escludesse – alla stregua di quanto si è fin qui esposto - quello spettante ai componenti, non può indurre, neanche per tale segmento decisorio, all’accoglimento del gravame.
7. Quanto all’ultima delle censure contenute nei riuniti appelli (ci si riferisce a quella con la quale ci si duole che, nella circostanza il Tar abbia applicato il disposto normativo di cui all’art. 34 comma 4 del cpa), essa muove da due presupposti – non soltanto indimostrati ma, anche - erronei.
La disposizione in oggetto così recita: “In caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall’accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero l’adempimento degli obblighi ineseguiti.”.
L’amplissima previsione della disposizione, “nel caso di condanna pecuniaria”, rende arbitraria la tesi appellatoria secondo cui detta norma sarebbe applicabile unicamente alle fattispecie di condanna pecuniaria da lesione di diritto soggettivo.
E’ semmai vero il contrario: sebbene non possa negarsi che questo sia o possa essere il campo d’applicazione più frequente, una tesi quale quella affermata dall’appellante mutila la utilità della citata norma ogniqualvolta ricorra la ipotesi di interessi legittimi non restaurabili in via specifica (si pensi alla illegittima denegata autorizzazione soggetta a termine laddove il termine sia scaduto, ad esempio) e si pone in frontale contrasto con la ratio applicativa della medesima (oltre che con il tenore letterale).
7.1. Secondariamente, escluso che qualsivoglia parte processuale avesse fatto opposizione all’adozione da parte del primo giudice di tale criterio di liquidazione, costituisce illazione l’affermazione per cui essa non sarebbe stata applicabile in carenza di preventiva richiesta di parte, apparendo invece la citata disposizione il precipitato dei poteri esercitabili dal giudice ex officio (non a caso non è ivi prevista alcuna necessaria richiesta di parte) come tale condizionabile negativamente unicamente dalla preventiva manifestazione di volontà contraria di una parte processuale (che, nel caso di specie, è incontestato abbia mai avuto luogo).
Anche detta censura conclusivamente, va disattesa.
8. Alla stregua delle superiori considerazioni, e con le precisazioni e correzioni motivazionali sinora esposte, i riuniti appelli devono essere respinti e le gravate sentenze integralmente confermate.
9. La natura della controversia e la particolarità e novità delle questioni esaminate legittimano la integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio sostenute.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sui riuniti appelli, come in epigrafe proposti, li respinge nei termini di cui alla motivazione che precede, confermando le impugnate decisioni con le correzioni motivazionali indicate.
Spese processuali compensate
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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