RESPONSABILITA' DELLA P.A.:
un ampio "excursus"
sulla responsabilità precontrattuale della P.A.
(Cons. St., Sez. VI,
sentenza 25 luglio 2013 n. 4236).
Con riguardo alla foto, più corretto sarebbe stato trovarne una con la scritta "Amministrativamente scorretto"...
Massima
1. La fase di formazione dei contratti pubblici, come è noto, è caratterizzata dalla contestuale presenza di un procedimento amministrativo e di un procedimento negoziale.
Il procedimento amministrativo è disciplinato da regole di diritto pubblico finalizzate ad assicurare il perseguimento, anche quando la p.a. agisce mediante moduli convenzionali, dell’interesse pubblico.
Il procedimento negoziale è disciplinato da regole di diritto privato, finalizzate alla formazione della volontà contrattuale, che contemplano normalmente un invito ad offrire della p.a. cui segue la proposta della controparte e l’accettazione finale della stessa p.a.
Si è, infatti, in presenza di una formazione necessariamente progressiva del contratto, non derogabile dalle parti, che si sviluppa secondo lo schema dell’offerta al pubblico. Non è, dunque, possibile scindere il momento di sviluppo del procedimento negoziale limitando l’applicazione delle regole di responsabilità precontrattuale alla fase in cui il “contatto sociale” viene individualizzato con l’atto di aggiudicazione.
Del resto, anche nel diritto civile il modello formativo dell’offerta al pubblico presuppone normalmente il “contatto” con una pluralità di “partecipanti” al procedimento negoziale. Diversamente argomentando l’interprete sarebbe costretto a scindere un comportamento che si presenta unitario e che conseguentemente non può che essere valutato nella sua complessità. Ciò implica, avuto riguardo alla fattispecie in esame, che la valutazione giudiziale può avere ad oggetto anche la condotta della p.a. che precede la scelta del contraente. E’ opportuno, però, puntualizzare che la valutazione del momento procedimentale in cui si è realizzata la violazione può rilevare sul piano dell’accertamento dell’entità del pregiudizio patrimoniale.
2. Dimostrata la astratta configurabilità della responsabilità precontrattuale, occorre adesso stabilire quale fattispecie di responsabilità viene in rilievo nel caso in esame.
Le norme di riferimento sono rappresentate, come è noto, dagli articoli 1337 e 1338 cod. civ.
2.1 La prima, imponendo alle parti di comportarsi secondo buona fede, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, disciplina la “responsabilità precontrattuale da mancata conclusione del contratto”.
2.2 La seconda, ritenendo contrario alle regole della correttezza il comportamento della parte, che conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne informa l’altra parte, disciplina la “responsabilità precontrattuale da contratto invalido”.
La Corte di Cassazione ritiene sussistente una terza fattispecie, inquadrabile anch’essa nell’ambito della norma di carattere generale di cui al citato art. 1337, rappresentata dalla “responsabilità precontrattuale da contratto valido”, che ricorre quando uno dei contraenti non assolve ad oneri informativi diversi da quelli aventi ad oggetto le “cause di invalidità” del contratto.
In relazione a tutte le fattispecie riportate assume rilevanza, inserendosi la responsabilità precontrattuale nel più ampio genus della responsabilità civile ex art. 2043 cod. civ., anche la colpa.
3. È necessario a questo punto valutare, al fine di stabilire se ricorre la indicata fattispecie di responsabilità precontrattuale, il comportamento della P.A. e della società.
In relazione al primo aspetto, da quanto esposto risulta che il motivo che ha indotto la P.A. a revocare gli atti della procedura di gara è stata la stipula dell’intesa del 28 maggio 2009: le ragioni di interesse pubblico sottese all’intesa fanno sì che si è in presenza di giusta causa di recesso.
Si tratta allora di stabilire se quella determinata causa, intervenuta prima della conclusione del procedimento, avrebbe dovuto essere, in conformità alle regole della buona fede, comunicata alla società ovvero, anche prima dell’intesa, avrebbe dovuto essere, in conformità alle regole della diligenza, prevista ai fini sempre della sua comunicazione.
Come risulta dalla successione cronologica degli eventi sopra riportati la P.A. era a conoscenza sin da novembre del 2008 della possibilità che il progetto potesse subire una rivisitazione al fine di consentire la realizzazione di un nuovo progetto che comprendesse la realizzazione, nella medesima sede, anche della predetta Esposizione. La regola di condotta della buona fede imponeva all’amministrazione di comunicare ai partecipanti la possibile esistenza di ostacoli alla conclusione del procedimento di aggiudicazione.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6627 del 2010,
proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione generale
per i beni librari, gli Istituti culturali e il Diritto d’autore, in persona
del Ministro pro tempore, il Ministero per lo Sviluppo
Economico, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato,
domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Società Ingegnere Antonio Pompa s.r.l., in persona del
legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Felice Laudadio e
Ferdinando Scotto, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Alessandro
III, 6;
Fondazione Valore Italia, in persona del legale rappresentante.
Fondazione Valore Italia, in persona del legale rappresentante.
per la riforma
della sentenza 2 aprile 2010, n. 5621, del Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, Roma, Sezione II-quater.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l'atto di costituzione in giudizio della Società
Ingegnere Antonio Pompa s.r.l.;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio
2012 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato Laudadio e
l’avvocato dello Stato Di Matteo.
FATTO
1.– L’Eur s.p.a.(d’ora innanzi l’Eur) – proprietaria
dell’immobile denominato «Palazzo della Civiltà italiana», sito in Roma – ha
stipulato in data 10 maggio 2001 una convenzione, integrata in data 1° dicembre
2005, volta a consentire al Ministero per i Beni e le attività Culturali (d’ora
innanzi Ministero o Mibac) di destinare parte del predetto Palazzo alla
Discoteca di Stato e Museo dell’Audiovisivo.
Il Mibac – impegnatosi a realizzare le opere
programmate il cui costo sarebbe stato compensato con i canoni dovuti per
l’utilizzo dell’area – ha indetto una gara, il cui bando è stato pubblicato il
7 novembre 2007, per l’affidamento dei lavori di adeguamento strutturale,
funzionale, impiantistico e di allestimento dei locali relativi alla suddetta
Discoteca di Stato e Museo dell’Audiovisivo.
Con lettera del 3 marzo 2008 sono stati invitati a
partecipare alla procedura di evidenza pubblica i soggetti che hanno presentato
le offerte, il cui termine di presentazione, a seguito di una dilazione
procedurale, è stato fissato al 10 settembre 2008.
Il 16 ottobre 2008, il responsabile unico del
procedimento ha proceduto alla nomina della commissione tecnica di valutazione
preposta all’esame delle offerte.
Il 20 novembre 2008 è stato stipulato tra Eur e la
Fondazione Valore Italia un accordo preliminare avente ad oggetto la locazione
di porzioni del Palazzo, non destinata al Mibac, per costituire la sede della
Esposizione permanente del Made in Italy e del design italiano.
Il Ministero per lo Sviluppo Economico (d’ora innanzi
Mis), con nota del 27 novembre 2008, n. 24947, ha comunicato al Mibac
l’intenzione di realizzare, tramite la Fondazione Valore Italia, presso il
Palazzo della Civiltà Italiana, la predetta Esposizione. Si manifestava,
pertanto, l’intenzione di procedere ad una operazione comune anche al fine di
ottimizzare le risorse pubbliche.
Il Mibac, con nota del 1° dicembre 2008, n. 23593, ha
aderito alla proposta ricevuta.
A seguito della redazione di un nuovo progetto
preliminare di razionalizzazione dell’uso degli spazi, il 28 maggio 2009, i due
Ministeri e il Presidente di Eur hanno stipulato un protocollo di intesa avente
quale obiettivo prioritario la realizzazione della piena utilizzabilità del
Palazzo della Civiltà Italiana attraverso una gestione comune e ottimizzata da
parte del Museo dell’Audivisivo e della Fondazione Valore Italia.
Il Mibac ha proceduto, il 9 giugno 2009, in ragione
delle indicate sopravvenienze, alla revoca della gara, dandone comunicazione ai
partecipanti il 30 giugno 2009.
1.1.– La società «Ingegnere Antonio Pompa s.r.l.»
(d’ora innanzi solo società o società appellata), in qualità di impresa
mandante della costituenda A.T.I. invitata alla procedura di evidenza, ha
impugnato, con ricorso n. 8440 del 2009, innanzi al Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, Roma, la revoca dell’aggiudicazione, gli atti ad essa
presupposti, e il protocollo di intesa, con contestuale richiesta di
risarcimento del danno a titolo di responsabilità precontrattuale.
Il Tribunale adito, con sentenza 2 aprile 2010, n.
5621, ha rigettato la domanda di annullamento dell’atto di revoca ed ha accolto
la domanda di risarcimento del danno precontrattuale condannando, in via
equitativa, l’amministrazione al pagamento della somma di euro 60.000,00.
In particolare, il Tar ha ritenuto sussistente la
responsabilità precontrattuale per le seguenti ragioni:
- «colpevole coeva adozione di scelte oggettivamente
contraddittorie da parte del Ministero appaltante, che si sostanziano in intese
operative, in spregio sia dei più elementari oneri di programmazione annuale e
pluriennale dell’amministrazione, che delle esigenze di una coerenza e
continuità dell’azione amministrativa»;
- «ingiustificati ritardi di conduzione del procedimento
stesso: al bando del 2007 era seguita una stasi durata fino al 3.6.2008, data
della comunicazione della ripresa dei termini per la presentazione delle
offerte»;
– «la revoca è stata adottata e comunicata ben molto
oltre il termine dei 180 giorni che (…) era previsto al punto g)
della lettera di invito quale termine per la scadenza della cauzione
provvisoria e quindi per la stipula del contratto»;
- «evidente mancanza del necessario ed indispensabile
flusso di comunicazione tra le strutture di immediata collaborazione ed i
vertici dell’amministrazione che avevano in gestione il procedimento, che ha
determinato uno sfasamento tra azioni dirette alla gestione dello stesso bene»;
- «mancata comunicazione agli interessati della
possibilità, in via di maturazione, di una diversa realizzazione di interessi
pubblici in parte interferenti con l’oggetto della gara, anche solo al fine di
consentire loro di riadeguare le proprie strategie aziendali al possibile esito
infruttuoso del procedimento».
2.– Con atto di appello, n. 235656 del 2010, il Mibac,
unitamente agli altri soggetti indicati in epigrafe, ha impugnato la sentenza
di primo grado per i seguenti motivi.
Innanzitutto, non sarebbe configurabile responsabilità
precontrattuale nel caso in cui la revoca della procedura di gara sia avvenuta
«in una fase ben antecedente alla aggiudicazione».
Inoltre, l’amministrazione, essendosi avvalsa della
facoltà, prevista dal bando di gara, di non aggiudicare l’appalto per ragioni
di pubblico interesse, non avrebbe, per definizione, tenuto un comportamento
contrario alla regola della buona fede.
Si sottolinea, inoltre, – dopo aver ripercorso le
principali tappe della vicenda in esame – che l’atto di revoca è stato
comunicato il 30 giugno 2009 e quindi pochi giorni dopo la stipula del
protocollo di intesa avvenuta il 28 maggio 2009. In particolare, si rileva che
«prima di tale data l’amministrazione non poteva comunicare alcuna decisione
agli interessati, né disporre una sospensione della gara in quanto la decisione
di non proseguire il procedimento di gara» è coincisa con la stipula del
predetto protocollo di intesa.
Infine, si sottolinea che la revoca «deriva non da una
vicenda posta in essere unilateralmente dal Ministero dei beni culturali, bensì
da un atto complesso (il protocollo di intesa) a cui parteciparono con ruoli
determinanti anche altri soggetti (il Ministero dello sviluppo economico, la
Fondazione Valore Italia, l’Ente Eur)».
Si aggiunge che «era o doveva essere noto alle imprese
partecipanti che il Palazzo della Civiltà non ricadeva entro poteri esclusivi
di gestione del Ministero per i beni culturali». Infatti, «il Palazzo
appartiene all’ente Eur ed ha la vocazione storica a fungere da luogo di
esposizione della tecnologia italiana». Era, pertanto, «prevedibile che l’Ente
preordinasse l’intervento anche di altri soggetti nell’utilizzazione del
Palazzo, e che ciò potesse avere ripercussioni sulle possibilità e modalità
dell’utilizzazione soltanto parziale preordinata dal Ministero per i beni
culturali».
Sotto altro aspetto, si rileva che la sentenza è
errata anche nella parte in cui determina, in via equitativa, il danno per le
spese sostenute. Infatti, la spese di partecipazione non possono neanche
costituire «una ragione di danno», in quanto «nessuna impresa partecipante ad
una gara revocata può avere diritto al ristoro delle spese sostenute per
procurarsi i progetti da presentare nella procedura selettiva». Si aggiunge che
«anche in ipotesi di gara non revocata, è evidente che soltanto un’impresa
otterrebbe l’aggiudicazione, mentre tutte le altre dovrebbero sopportare il
costo dei progetti inutilmente offerti».
2.1.– Si è costituita in giudizio la società
resistente deducendo l’infondatezza delle censure proposte e contestando, in
via incidentale, l’entità del risarcimento riconosciuto in primo grado.
Segnatamente, secondo la prospettazione della società, la sentenza impugnata
avrebbe erroneamente liquidato in via forfettaria l’importo di euro 60.000,00
in luogo del maggiore importo di euro 87.356,24, pari ai costi effettivamente
sostenuti nel corso della procedura.
DIRITTO
1.– La questione all’esame di questo Collegio attiene
alla configurabilità della responsabilità precontrattuale del Ministero per
avere revocato gli atti della procedura di gara per l’affidamento dei lavori di
adeguamento strutturale, funzionale, impiantistico e di allestimento dei locali
relativi alla Discoteca di Stato e Museo dell’Audiovisivo.
2.– In via preliminare, occorre stabilire se, come
ritenuto dagli appellanti, la responsabilità precontrattuale non sia
configurabile nel caso in cui la revoca sia intervenuta prima
dell’aggiudicazione.
La fase di formazione dei contratti pubblici, come è
noto, è caratterizzata dalla contestuale presenza di un procedimento
amministrativo e di un procedimento negoziale.
Il procedimento amministrativo è disciplinato da
regole di diritto pubblico finalizzate ad assicurare il perseguimento, anche
quando la p.a. agisce mediante moduli convenzionali, dell’interesse pubblico.
Il procedimento negoziale è disciplinato da regole di
diritto privato, finalizzate alla formazione della volontà contrattuale, che
contemplano normalmente un invito ad offrire della p.a. cui segue la proposta
della controparte e l’accettazione finale della stessa p.a.
La presenza di un modello formativo della predetta
volontà contrattuale predeterminato nei suoi profili procedimentali mediante la
scansione degli atti sopra indicati, che vede normalmente la presenza di più
soggetti potenzialmente interessati al contratto, non rappresenta un ostacolo
all’applicazione delle regole della responsabilità precontrattuale. Si è,
infatti, in presenza di una formazione necessariamente progressiva del
contratto, non derogabile dalle parti, che si sviluppa secondo lo schema dell’offerta
al pubblico. Non è, dunque, possibile scindere il momento di sviluppo del
procedimento negoziale limitando l’applicazione delle regole di responsabilità
precontrattuale alla fase in cui il “contatto sociale” viene individualizzato
con l’atto di aggiudicazione. Del resto, anche nel diritto civile il modello
formativo dell’offerta al pubblico presuppone normalmente il “contatto” con una
pluralità di “partecipanti” al procedimento negoziale. Diversamente
argomentando l’interprete sarebbe costretto a scindere un comportamento che si
presenta unitario e che conseguentemente non può che essere valutato nella sua
complessità. Ciò implica, avuto riguardo alla fattispecie in esame, che la
valutazione giudiziale può avere ad oggetto anche la condotta della p.a. che
precede la scelta del contraente. E’ opportuno, però, puntualizzare che la
valutazione del momento procedimentale in cui si è realizzata la violazione può
rilevare sul piano dell’accertamento dell’entità del pregiudizio patrimoniale.
3.– Dimostrata la astratta configurabilità della
responsabilità precontrattuale, occorre adesso stabilire quale fattispecie di
responsabilità viene in rilievo nel caso in esame.
Le norme di riferimento sono rappresentate, come è
noto, dagli articoli 1337 e 1338 cod. civ.
La prima, imponendo alle parti di comportarsi secondo
buona fede, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del
contratto, disciplina la “responsabilità precontrattuale da mancata conclusione
del contratto”.
La seconda, ritenendo contrario alle regole della
correttezza il comportamento della parte, che conoscendo o dovendo conoscere
l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne informa l’altra
parte, disciplina la “responsabilità precontrattuale da contratto invalido”.
La Corte di Cassazione ritiene sussistente una terza
fattispecie, inquadrabile anch’essa nell’ambito della norma di carattere
generale di cui al citato art. 1337, rappresentata dalla “responsabilità
precontrattuale da contratto valido”, che ricorre quando uno dei contraenti non
assolve ad oneri informativi diversi da quelli aventi ad oggetto le “cause di
invalidità” del contratto (si veda, tra le altre, Cass., sez. un., 19 dicembre
2007, n. 26725).
In relazione a tutte le fattispecie riportate assume
rilevanza, inserendosi la responsabilità precontrattuale nel più ampio genus della
responsabilità civile ex art. 2043 cod. civ., anche la colpa.
La vicenda in esame è inquadrabile nello schema per
primo esposto: l’odierna società appellata si lamenta del fatto che il Ministero
abbia interrotto le trattative finalizzate alla stipula del contratto di
appalto in violazione delle regole di buona fede e diligenza.
4.– A questo punto è necessario valutare quali sono
gli elementi che devono sussistere perché possa dirsi integrata la predetta
fattispecie di cui all’art. 1337 cod. civ.
Le regole di condotta, applicate al caso in esame,
impongono di ancorare il giudizio finale di responsabilità alla sussistenza dei
seguenti elementi: a) mancanza di una giusta causa di recesso ovvero presenza
di una giusta causa di recesso con violazione dell’obbligo, imposto dalla buona
fede, di comunicare la stessa, con immediatezza, alle parti coinvolte nel
procedimento ovvero con violazione dell’obbligo, imposto dalla diligenza, di
acquisire le informazioni necessarie per valutare la possibile sopravvenienza
di tale giusta causa; b) affidamento senza colpa ingenerato nella controparte
dal comportamento del soggetto recedente.
4.1.– Occorre ora verificare se il Ministero abbia
violato le predette regole di condotta nel momento in cui ha deciso di non
perfezionare la fattispecie consensuale.
A questo fine è necessario riportare i principali
passaggi della vicenda amministrativa in esame:
- in data 10 maggio 2001 e 1° dicembre 2005 l’Eur,
proprietaria dell’immobile Palazzo della Civiltà italiana, ha stipulato una
convenzione volta a consentire al Mibac di destinare parte del Palazzo alla
Discoteca di Stato e Museo dell’Audiovisivo;
- il 7 novembre 2007 è stato pubblicato il bando di
gara;
- il 3 marzo 2008 sono state inviate le lettere di
invito, con termine di presentazione delle offerte e dei progetti fissati al 12
maggio 2008;
- il 21 aprile 2008 l’amministrazione, al fine di
elaborare alcune prescrizioni tecniche, ha sospeso la procedura che è stata poi
ripresa il 3 giugno 2008, con fissazione del termine per la presentazione delle
offerte e dei progetti al 10 settembre 2008;
- il 20 novembre 2008 è stato stipulato tra l’Eur e la
Fondazione Valore Italia un accordo preliminare avente ad oggetto la locazione
di porzioni del Palazzo, non destinata al Mibac, che doveva costituire la sede
dell’Esposizione permanente del Made in Italy e del design italiano;
- il 27 novembre 2008 il Mse ha comunicato al Mibac di
avere il compito di realizzare, in collaborazione con l’Eur, la predetta
Esposizione permanente ravvisando, pertanto, l’opportunità di elaborare
«insieme un’ipotesi di lavoro in un’ottica di gestione comune degli spazi del
Palazzo, sia dal punto di vista culturale che economico-amministrativo»;
- con nota dell’11 dicembre 2008 il Mbac ha comunicato
al Mse di condividere l’idea di un progetto comune;
- in data 28 maggio 2009 è stato stipulato tra il Mse,
il Mibac e l’Eur un protocollo d’intesa per realizzare i progetti sopra
indicati;
- in data 9 giugno 2009 è stato adottato l’atto di
revoca comunicato alla parte appellata il successivo giorno 30.
È necessario a questo punto valutare, al fine di
stabilire se ricorre la indicata fattispecie di responsabilità precontrattuale,
il comportamento del Mibac e della società.
In relazione al primo aspetto, da quanto esposto
risulta che il motivo che ha indotto il Mbac a revocare gli atti della
procedura di gara è stata la stipula dell’intesa del 28 maggio 2009: le ragioni
di interesse pubblico sottese all’intesa fanno sì che si è in presenza di
giusta causa di recesso.
Si tratta allora di stabilire se quella determinata
causa, intervenuta prima della conclusione del procedimento, avrebbe dovuto
essere, in conformità alle regole della buona fede, comunicata alla società ovvero,
anche prima dell’intesa, avrebbe dovuto essere, in conformità alle regole della
diligenza, prevista ai fini sempre della sua comunicazione.
Come risulta dalla successione cronologica degli
eventi sopra riportati il Mbac era a conoscenza sin da novembre del 2008 della
possibilità che il progetto potesse subire una rivisitazione al fine di
consentire la realizzazione di un nuovo progetto che comprendesse la
realizzazione, nella medesima sede, anche della predetta Esposizione. La regola
di condotta della buona fede imponeva all’amministrazione di comunicare ai
partecipanti la possibile esistenza di ostacoli alla conclusione del
procedimento di aggiudicazione (in questo senso, con riguardo alla medesima
procedura di gara, si è già espresso Cons. Stato, Sez. VI, 5 settembre 2011, n.
50002).
Invero, anche prima di tale data e, in particolare,
prima della presentazione delle offerte, il Ministero avrebbe dovuto acquisire
informazioni più certe dal proprietario dell’area in ordine alle possibili sue
future destinazioni. Se, infatti, l’Eur ha stipulato un accordo preliminare il
20 novembre 2008 con la Fondazione Valore Italia la decisione circa possibili
successive varianti nell’impiego del Palazzo era stata già assunta in data
antecedente. In altri termini, essendo l’attuazione del contratto di appalto
condizionata alla disponibilità di un bene di proprietà di un terzo rispetto
alla stazione appaltante, il dovere di diligenza imponeva a quest’ultima di
assumere le informazioni necessarie a consentire un efficace controllo delle
sopravvenienze.
La circostanza, poi, che nel bando l’amministrazione
avesse previsto la possibilità di non aggiudicare la gara per motivi di
interesse pubblico non è idonea, per la sua generalità, ad incidere sui doveri
concreti di buona fede e diligenza che devono costantemente connotare
l’attività delle parti del procedimento.
In relazione al comportamento della società appellata,
è certo che la stessa avesse maturato un affidamento meritevole di tutela al
perfezionamento dell’atto consensuale, che si è iniziato a formare sin dal
momento della pubblicazione dell’avviso da parte del Ministero.
Né a conclusioni diverse si deve pervenire assumendo,
come hanno fatto gli appellanti, che fosse dovere dei singoli operatori
economici partecipanti alla procedura di gara assumere le informazioni sopra
indicate. Tale obbligo, come detto, incombeva in capo al Ministero in quanto
venivano in rilievo elementi conoscitivi che erano nella sua sfera di
disponibilità. Non può, pertanto, ritenersi che la parte appellata abbia
maturato un affidamento colpevole.
In definitiva, sarebbe stato dovere del Mbac informare
la società delle notizie in suo possesso ovvero acquisire altre notizie
necessarie per gestire in modo diligente la fase di formazione del contratto di
appalto.
5.– Per quanto attiene, infine, alla determinazione
del danno si assume che la somma che il Tar ha riconosciuto, in via equitativa,
come spettante all’impresa, pari ad euro 60.000,00, a titolo di spese
processuali, non sarebbe dovuta in quanto quest’ultime non costituirebbero una
voce risarcibile.
Tale motivo non è fondato.
Le spese sostenute in vista della conclusione del
contratto non possono essere oggetto di domanda risarcitoria soltanto se la
parte chiede il risarcimento del cosiddetto interesse positivo e cioè
l’interesse all’esecuzione del rapporto negoziale. Nel caso della
responsabilità precontrattuale oggetto del risarcimento è, invece, il
cosiddetto interesse negativo e cioè l’interesse a non essere coinvolto in
trattative inutili. Ne consegue che le spese sostenute nell’ambito di tali
trattative costituiscono una voce di danno, sub specie di
danno emergente (si veda Cons. Stato, sez. VI, 18 marzo 2011, n. 1681).
5.1.– Sempre con riguardo alla somma risarcitoria
liquidata la società ha proposto appello incidentale finalizzato ad ottenere la
somma richiesta, per le spese effettivamente sostenute, pari ad euro 87.356,24.
Il motivo di appello non è fondato.
La riduzione effettuata dal Tar si sottrae alla
censura prospettata in quanto si è correttamente tenuto conto del fatto che la
lesione della libertà negoziale è avvenuta in un momento antecedente la scelta
del contraente quando, pertanto, era ancora incerto chi sarebbe stato
l’aggiudicatario. La fase procedimentale in cui è stata posta in essere la
condotta giustifica, pertanto, il riconoscimento, in via equitativa, di una
somma inferiore rispetto a quella oggetto della domanda.
6.– La soccombenza reciproca giustifica la
compensazione tra le parti delle spese del secondo grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale,
Sezione Sesta definitivamente pronunciando:
a) rigetta l’appello principale proposto con il
ricorso indicato in epigrafe;
b) rigetta l’appello incidentale proposto con il
ricorso indicato in epigrafe;
c) dichiara integralmente compensate tra le parti le
spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 22 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/07/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
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