lunedì 7 ottobre 2013

RESPONSABILITA' DELLA P.A.: un ampio "excursus" sulla responsabilità precontrattuale della P.A. (Cons. St., Sez. VI, sentenza 25 luglio 2013 n. 4236).


RESPONSABILITA' DELLA P.A.: 
un ampio "excursus
sulla responsabilità precontrattuale della P.A.
 (Cons. St., Sez. VI, 
sentenza 25 luglio 2013 n. 4236).


Con riguardo alla foto, più corretto sarebbe stato trovarne una con la scritta "Amministrativamente scorretto"... 


Massima

1.  La fase di formazione dei contratti pubblici, come è noto, è caratterizzata dalla contestuale presenza di un procedimento amministrativo e di un procedimento negoziale.
Il procedimento amministrativo è disciplinato da regole di diritto pubblico finalizzate ad assicurare il perseguimento, anche quando la p.a. agisce mediante moduli convenzionali, dell’interesse pubblico.
Il procedimento negoziale è disciplinato da regole di diritto privato, finalizzate alla formazione della volontà contrattuale, che contemplano normalmente un invito ad offrire della p.a. cui segue la proposta della controparte e l’accettazione finale della stessa p.a.
Si è, infatti, in presenza di una formazione necessariamente progressiva del contratto, non derogabile dalle parti, che si sviluppa secondo lo schema dell’offerta al pubblico. Non è, dunque, possibile scindere il momento di sviluppo del procedimento negoziale limitando l’applicazione delle regole di responsabilità precontrattuale alla fase in cui il “contatto sociale” viene individualizzato con l’atto di aggiudicazione. 
Del resto, anche nel diritto civile il modello formativo dell’offerta al pubblico presuppone normalmente il “contatto” con una pluralità di “partecipanti” al procedimento negoziale. Diversamente argomentando l’interprete sarebbe costretto a scindere un comportamento che si presenta unitario e che conseguentemente non può che essere valutato nella sua complessità. Ciò implica, avuto riguardo alla fattispecie in esame, che la valutazione giudiziale può avere ad oggetto anche la condotta della p.a. che precede la scelta del contraente. E’ opportuno, però, puntualizzare che la valutazione del momento procedimentale in cui si è realizzata la violazione può rilevare sul piano dell’accertamento dell’entità del pregiudizio patrimoniale.
2.  Dimostrata la astratta configurabilità della responsabilità precontrattuale, occorre adesso stabilire quale fattispecie di responsabilità viene in rilievo nel caso in esame.
Le norme di riferimento sono rappresentate, come è noto, dagli articoli 1337 e 1338 cod. civ.
2.1 La prima, imponendo alle parti di comportarsi secondo buona fede, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, disciplina la “responsabilità precontrattuale da mancata conclusione del contratto”.
2.2  La seconda, ritenendo contrario alle regole della correttezza il comportamento della parte, che conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne informa l’altra parte, disciplina la “responsabilità precontrattuale da contratto invalido”.
La Corte di Cassazione ritiene sussistente una terza fattispecie, inquadrabile anch’essa nell’ambito della norma di carattere generale di cui al citato art. 1337, rappresentata dalla “responsabilità precontrattuale da contratto valido”, che ricorre quando uno dei contraenti non assolve ad oneri informativi diversi da quelli aventi ad oggetto le “cause di invalidità” del contratto.
In relazione a tutte le fattispecie riportate assume rilevanza, inserendosi la responsabilità precontrattuale nel più ampio genus della responsabilità civile ex art. 2043 cod. civ., anche la colpa.
3.  È necessario a questo punto valutare, al fine di stabilire se ricorre la indicata fattispecie di responsabilità precontrattuale, il comportamento della P.A. e della società.
In relazione al primo aspetto, da quanto esposto risulta che il motivo che ha indotto la P.A. a revocare gli atti della procedura di gara è stata la stipula dell’intesa del 28 maggio 2009: le ragioni di interesse pubblico sottese all’intesa fanno sì che si è in presenza di giusta causa di recesso.
Si tratta allora di stabilire se quella determinata causa, intervenuta prima della conclusione del procedimento, avrebbe dovuto essere, in conformità alle regole della buona fede, comunicata alla società ovvero, anche prima dell’intesa, avrebbe dovuto essere, in conformità alle regole della diligenza, prevista ai fini sempre della sua comunicazione.
Come risulta dalla successione cronologica degli eventi sopra riportati la P.A. era a conoscenza sin da novembre del 2008 della possibilità che il progetto potesse subire una rivisitazione al fine di consentire la realizzazione di un nuovo progetto che comprendesse la realizzazione, nella medesima sede, anche della predetta Esposizione. La regola di condotta della buona fede imponeva all’amministrazione di comunicare ai partecipanti la possibile esistenza di ostacoli alla conclusione del procedimento di aggiudicazione.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6627 del 2010, proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione generale per i beni librari, gli Istituti culturali e il Diritto d’autore, in persona del Ministro pro tempore, il Ministero per lo Sviluppo Economico, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
contro
Società Ingegnere Antonio Pompa s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Felice Laudadio e Ferdinando Scotto, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Alessandro III, 6;
Fondazione Valore Italia, in persona del legale rappresentante. 
per la riforma
della sentenza 2 aprile 2010, n. 5621, del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, Sezione II-quater.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l'atto di costituzione in giudizio della Società Ingegnere Antonio Pompa s.r.l.;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2012 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato Laudadio e l’avvocato dello Stato Di Matteo.

FATTO
1.– L’Eur s.p.a.(d’ora innanzi l’Eur) – proprietaria dell’immobile denominato «Palazzo della Civiltà italiana», sito in Roma – ha stipulato in data 10 maggio 2001 una convenzione, integrata in data 1° dicembre 2005, volta a consentire al Ministero per i Beni e le attività Culturali (d’ora innanzi Ministero o Mibac) di destinare parte del predetto Palazzo alla Discoteca di Stato e Museo dell’Audiovisivo.
Il Mibac – impegnatosi a realizzare le opere programmate il cui costo sarebbe stato compensato con i canoni dovuti per l’utilizzo dell’area – ha indetto una gara, il cui bando è stato pubblicato il 7 novembre 2007, per l’affidamento dei lavori di adeguamento strutturale, funzionale, impiantistico e di allestimento dei locali relativi alla suddetta Discoteca di Stato e Museo dell’Audiovisivo.
Con lettera del 3 marzo 2008 sono stati invitati a partecipare alla procedura di evidenza pubblica i soggetti che hanno presentato le offerte, il cui termine di presentazione, a seguito di una dilazione procedurale, è stato fissato al 10 settembre 2008.
Il 16 ottobre 2008, il responsabile unico del procedimento ha proceduto alla nomina della commissione tecnica di valutazione preposta all’esame delle offerte.
Il 20 novembre 2008 è stato stipulato tra Eur e la Fondazione Valore Italia un accordo preliminare avente ad oggetto la locazione di porzioni del Palazzo, non destinata al Mibac, per costituire la sede della Esposizione permanente del Made in Italy e del design italiano.
Il Ministero per lo Sviluppo Economico (d’ora innanzi Mis), con nota del 27 novembre 2008, n. 24947, ha comunicato al Mibac l’intenzione di realizzare, tramite la Fondazione Valore Italia, presso il Palazzo della Civiltà Italiana, la predetta Esposizione. Si manifestava, pertanto, l’intenzione di procedere ad una operazione comune anche al fine di ottimizzare le risorse pubbliche.
Il Mibac, con nota del 1° dicembre 2008, n. 23593, ha aderito alla proposta ricevuta.
A seguito della redazione di un nuovo progetto preliminare di razionalizzazione dell’uso degli spazi, il 28 maggio 2009, i due Ministeri e il Presidente di Eur hanno stipulato un protocollo di intesa avente quale obiettivo prioritario la realizzazione della piena utilizzabilità del Palazzo della Civiltà Italiana attraverso una gestione comune e ottimizzata da parte del Museo dell’Audivisivo e della Fondazione Valore Italia.
Il Mibac ha proceduto, il 9 giugno 2009, in ragione delle indicate sopravvenienze, alla revoca della gara, dandone comunicazione ai partecipanti il 30 giugno 2009.
1.1.– La società «Ingegnere Antonio Pompa s.r.l.» (d’ora innanzi solo società o società appellata), in qualità di impresa mandante della costituenda A.T.I. invitata alla procedura di evidenza, ha impugnato, con ricorso n. 8440 del 2009, innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, la revoca dell’aggiudicazione, gli atti ad essa presupposti, e il protocollo di intesa, con contestuale richiesta di risarcimento del danno a titolo di responsabilità precontrattuale.
Il Tribunale adito, con sentenza 2 aprile 2010, n. 5621, ha rigettato la domanda di annullamento dell’atto di revoca ed ha accolto la domanda di risarcimento del danno precontrattuale condannando, in via equitativa, l’amministrazione al pagamento della somma di euro 60.000,00.
In particolare, il Tar ha ritenuto sussistente la responsabilità precontrattuale per le seguenti ragioni:
- «colpevole coeva adozione di scelte oggettivamente contraddittorie da parte del Ministero appaltante, che si sostanziano in intese operative, in spregio sia dei più elementari oneri di programmazione annuale e pluriennale dell’amministrazione, che delle esigenze di una coerenza e continuità dell’azione amministrativa»;
- «ingiustificati ritardi di conduzione del procedimento stesso: al bando del 2007 era seguita una stasi durata fino al 3.6.2008, data della comunicazione della ripresa dei termini per la presentazione delle offerte»;
– «la revoca è stata adottata e comunicata ben molto oltre il termine dei 180 giorni che (…) era previsto al punto g) della lettera di invito quale termine per la scadenza della cauzione provvisoria e quindi per la stipula del contratto»;
- «evidente mancanza del necessario ed indispensabile flusso di comunicazione tra le strutture di immediata collaborazione ed i vertici dell’amministrazione che avevano in gestione il procedimento, che ha determinato uno sfasamento tra azioni dirette alla gestione dello stesso bene»;
- «mancata comunicazione agli interessati della possibilità, in via di maturazione, di una diversa realizzazione di interessi pubblici in parte interferenti con l’oggetto della gara, anche solo al fine di consentire loro di riadeguare le proprie strategie aziendali al possibile esito infruttuoso del procedimento».
2.– Con atto di appello, n. 235656 del 2010, il Mibac, unitamente agli altri soggetti indicati in epigrafe, ha impugnato la sentenza di primo grado per i seguenti motivi.
Innanzitutto, non sarebbe configurabile responsabilità precontrattuale nel caso in cui la revoca della procedura di gara sia avvenuta «in una fase ben antecedente alla aggiudicazione».
Inoltre, l’amministrazione, essendosi avvalsa della facoltà, prevista dal bando di gara, di non aggiudicare l’appalto per ragioni di pubblico interesse, non avrebbe, per definizione, tenuto un comportamento contrario alla regola della buona fede.
Si sottolinea, inoltre, – dopo aver ripercorso le principali tappe della vicenda in esame – che l’atto di revoca è stato comunicato il 30 giugno 2009 e quindi pochi giorni dopo la stipula del protocollo di intesa avvenuta il 28 maggio 2009. In particolare, si rileva che «prima di tale data l’amministrazione non poteva comunicare alcuna decisione agli interessati, né disporre una sospensione della gara in quanto la decisione di non proseguire il procedimento di gara» è coincisa con la stipula del predetto protocollo di intesa.
Infine, si sottolinea che la revoca «deriva non da una vicenda posta in essere unilateralmente dal Ministero dei beni culturali, bensì da un atto complesso (il protocollo di intesa) a cui parteciparono con ruoli determinanti anche altri soggetti (il Ministero dello sviluppo economico, la Fondazione Valore Italia, l’Ente Eur)».
Si aggiunge che «era o doveva essere noto alle imprese partecipanti che il Palazzo della Civiltà non ricadeva entro poteri esclusivi di gestione del Ministero per i beni culturali». Infatti, «il Palazzo appartiene all’ente Eur ed ha la vocazione storica a fungere da luogo di esposizione della tecnologia italiana». Era, pertanto, «prevedibile che l’Ente preordinasse l’intervento anche di altri soggetti nell’utilizzazione del Palazzo, e che ciò potesse avere ripercussioni sulle possibilità e modalità dell’utilizzazione soltanto parziale preordinata dal Ministero per i beni culturali».
Sotto altro aspetto, si rileva che la sentenza è errata anche nella parte in cui determina, in via equitativa, il danno per le spese sostenute. Infatti, la spese di partecipazione non possono neanche costituire «una ragione di danno», in quanto «nessuna impresa partecipante ad una gara revocata può avere diritto al ristoro delle spese sostenute per procurarsi i progetti da presentare nella procedura selettiva». Si aggiunge che «anche in ipotesi di gara non revocata, è evidente che soltanto un’impresa otterrebbe l’aggiudicazione, mentre tutte le altre dovrebbero sopportare il costo dei progetti inutilmente offerti».
2.1.– Si è costituita in giudizio la società resistente deducendo l’infondatezza delle censure proposte e contestando, in via incidentale, l’entità del risarcimento riconosciuto in primo grado. Segnatamente, secondo la prospettazione della società, la sentenza impugnata avrebbe erroneamente liquidato in via forfettaria l’importo di euro 60.000,00 in luogo del maggiore importo di euro 87.356,24, pari ai costi effettivamente sostenuti nel corso della procedura.

DIRITTO 
1.– La questione all’esame di questo Collegio attiene alla configurabilità della responsabilità precontrattuale del Ministero per avere revocato gli atti della procedura di gara per l’affidamento dei lavori di adeguamento strutturale, funzionale, impiantistico e di allestimento dei locali relativi alla Discoteca di Stato e Museo dell’Audiovisivo.
2.– In via preliminare, occorre stabilire se, come ritenuto dagli appellanti, la responsabilità precontrattuale non sia configurabile nel caso in cui la revoca sia intervenuta prima dell’aggiudicazione.
La fase di formazione dei contratti pubblici, come è noto, è caratterizzata dalla contestuale presenza di un procedimento amministrativo e di un procedimento negoziale.
Il procedimento amministrativo è disciplinato da regole di diritto pubblico finalizzate ad assicurare il perseguimento, anche quando la p.a. agisce mediante moduli convenzionali, dell’interesse pubblico.
Il procedimento negoziale è disciplinato da regole di diritto privato, finalizzate alla formazione della volontà contrattuale, che contemplano normalmente un invito ad offrire della p.a. cui segue la proposta della controparte e l’accettazione finale della stessa p.a.
La presenza di un modello formativo della predetta volontà contrattuale predeterminato nei suoi profili procedimentali mediante la scansione degli atti sopra indicati, che vede normalmente la presenza di più soggetti potenzialmente interessati al contratto, non rappresenta un ostacolo all’applicazione delle regole della responsabilità precontrattuale. Si è, infatti, in presenza di una formazione necessariamente progressiva del contratto, non derogabile dalle parti, che si sviluppa secondo lo schema dell’offerta al pubblico. Non è, dunque, possibile scindere il momento di sviluppo del procedimento negoziale limitando l’applicazione delle regole di responsabilità precontrattuale alla fase in cui il “contatto sociale” viene individualizzato con l’atto di aggiudicazione. Del resto, anche nel diritto civile il modello formativo dell’offerta al pubblico presuppone normalmente il “contatto” con una pluralità di “partecipanti” al procedimento negoziale. Diversamente argomentando l’interprete sarebbe costretto a scindere un comportamento che si presenta unitario e che conseguentemente non può che essere valutato nella sua complessità. Ciò implica, avuto riguardo alla fattispecie in esame, che la valutazione giudiziale può avere ad oggetto anche la condotta della p.a. che precede la scelta del contraente. E’ opportuno, però, puntualizzare che la valutazione del momento procedimentale in cui si è realizzata la violazione può rilevare sul piano dell’accertamento dell’entità del pregiudizio patrimoniale.
3.– Dimostrata la astratta configurabilità della responsabilità precontrattuale, occorre adesso stabilire quale fattispecie di responsabilità viene in rilievo nel caso in esame.
Le norme di riferimento sono rappresentate, come è noto, dagli articoli 1337 e 1338 cod. civ.
La prima, imponendo alle parti di comportarsi secondo buona fede, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, disciplina la “responsabilità precontrattuale da mancata conclusione del contratto”.
La seconda, ritenendo contrario alle regole della correttezza il comportamento della parte, che conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne informa l’altra parte, disciplina la “responsabilità precontrattuale da contratto invalido”.
La Corte di Cassazione ritiene sussistente una terza fattispecie, inquadrabile anch’essa nell’ambito della norma di carattere generale di cui al citato art. 1337, rappresentata dalla “responsabilità precontrattuale da contratto valido”, che ricorre quando uno dei contraenti non assolve ad oneri informativi diversi da quelli aventi ad oggetto le “cause di invalidità” del contratto (si veda, tra le altre, Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26725).
In relazione a tutte le fattispecie riportate assume rilevanza, inserendosi la responsabilità precontrattuale nel più ampio genus della responsabilità civile ex art. 2043 cod. civ., anche la colpa.
La vicenda in esame è inquadrabile nello schema per primo esposto: l’odierna società appellata si lamenta del fatto che il Ministero abbia interrotto le trattative finalizzate alla stipula del contratto di appalto in violazione delle regole di buona fede e diligenza.
4.– A questo punto è necessario valutare quali sono gli elementi che devono sussistere perché possa dirsi integrata la predetta fattispecie di cui all’art. 1337 cod. civ.
Le regole di condotta, applicate al caso in esame, impongono di ancorare il giudizio finale di responsabilità alla sussistenza dei seguenti elementi: a) mancanza di una giusta causa di recesso ovvero presenza di una giusta causa di recesso con violazione dell’obbligo, imposto dalla buona fede, di comunicare la stessa, con immediatezza, alle parti coinvolte nel procedimento ovvero con violazione dell’obbligo, imposto dalla diligenza, di acquisire le informazioni necessarie per valutare la possibile sopravvenienza di tale giusta causa; b) affidamento senza colpa ingenerato nella controparte dal comportamento del soggetto recedente.
4.1.– Occorre ora verificare se il Ministero abbia violato le predette regole di condotta nel momento in cui ha deciso di non perfezionare la fattispecie consensuale.
A questo fine è necessario riportare i principali passaggi della vicenda amministrativa in esame:
- in data 10 maggio 2001 e 1° dicembre 2005 l’Eur, proprietaria dell’immobile Palazzo della Civiltà italiana, ha stipulato una convenzione volta a consentire al Mibac di destinare parte del Palazzo alla Discoteca di Stato e Museo dell’Audiovisivo;
- il 7 novembre 2007 è stato pubblicato il bando di gara;
- il 3 marzo 2008 sono state inviate le lettere di invito, con termine di presentazione delle offerte e dei progetti fissati al 12 maggio 2008;
- il 21 aprile 2008 l’amministrazione, al fine di elaborare alcune prescrizioni tecniche, ha sospeso la procedura che è stata poi ripresa il 3 giugno 2008, con fissazione del termine per la presentazione delle offerte e dei progetti al 10 settembre 2008;
- il 20 novembre 2008 è stato stipulato tra l’Eur e la Fondazione Valore Italia un accordo preliminare avente ad oggetto la locazione di porzioni del Palazzo, non destinata al Mibac, che doveva costituire la sede dell’Esposizione permanente del Made in Italy e del design italiano;
- il 27 novembre 2008 il Mse ha comunicato al Mibac di avere il compito di realizzare, in collaborazione con l’Eur, la predetta Esposizione permanente ravvisando, pertanto, l’opportunità di elaborare «insieme un’ipotesi di lavoro in un’ottica di gestione comune degli spazi del Palazzo, sia dal punto di vista culturale che economico-amministrativo»;
- con nota dell’11 dicembre 2008 il Mbac ha comunicato al Mse di condividere l’idea di un progetto comune;
- in data 28 maggio 2009 è stato stipulato tra il Mse, il Mibac e l’Eur un protocollo d’intesa per realizzare i progetti sopra indicati;
- in data 9 giugno 2009 è stato adottato l’atto di revoca comunicato alla parte appellata il successivo giorno 30.
È necessario a questo punto valutare, al fine di stabilire se ricorre la indicata fattispecie di responsabilità precontrattuale, il comportamento del Mibac e della società.
In relazione al primo aspetto, da quanto esposto risulta che il motivo che ha indotto il Mbac a revocare gli atti della procedura di gara è stata la stipula dell’intesa del 28 maggio 2009: le ragioni di interesse pubblico sottese all’intesa fanno sì che si è in presenza di giusta causa di recesso.
Si tratta allora di stabilire se quella determinata causa, intervenuta prima della conclusione del procedimento, avrebbe dovuto essere, in conformità alle regole della buona fede, comunicata alla società ovvero, anche prima dell’intesa, avrebbe dovuto essere, in conformità alle regole della diligenza, prevista ai fini sempre della sua comunicazione.
Come risulta dalla successione cronologica degli eventi sopra riportati il Mbac era a conoscenza sin da novembre del 2008 della possibilità che il progetto potesse subire una rivisitazione al fine di consentire la realizzazione di un nuovo progetto che comprendesse la realizzazione, nella medesima sede, anche della predetta Esposizione. La regola di condotta della buona fede imponeva all’amministrazione di comunicare ai partecipanti la possibile esistenza di ostacoli alla conclusione del procedimento di aggiudicazione (in questo senso, con riguardo alla medesima procedura di gara, si è già espresso Cons. Stato, Sez. VI, 5 settembre 2011, n. 50002).
Invero, anche prima di tale data e, in particolare, prima della presentazione delle offerte, il Ministero avrebbe dovuto acquisire informazioni più certe dal proprietario dell’area in ordine alle possibili sue future destinazioni. Se, infatti, l’Eur ha stipulato un accordo preliminare il 20 novembre 2008 con la Fondazione Valore Italia la decisione circa possibili successive varianti nell’impiego del Palazzo era stata già assunta in data antecedente. In altri termini, essendo l’attuazione del contratto di appalto condizionata alla disponibilità di un bene di proprietà di un terzo rispetto alla stazione appaltante, il dovere di diligenza imponeva a quest’ultima di assumere le informazioni necessarie a consentire un efficace controllo delle sopravvenienze.
La circostanza, poi, che nel bando l’amministrazione avesse previsto la possibilità di non aggiudicare la gara per motivi di interesse pubblico non è idonea, per la sua generalità, ad incidere sui doveri concreti di buona fede e diligenza che devono costantemente connotare l’attività delle parti del procedimento.
In relazione al comportamento della società appellata, è certo che la stessa avesse maturato un affidamento meritevole di tutela al perfezionamento dell’atto consensuale, che si è iniziato a formare sin dal momento della pubblicazione dell’avviso da parte del Ministero.
Né a conclusioni diverse si deve pervenire assumendo, come hanno fatto gli appellanti, che fosse dovere dei singoli operatori economici partecipanti alla procedura di gara assumere le informazioni sopra indicate. Tale obbligo, come detto, incombeva in capo al Ministero in quanto venivano in rilievo elementi conoscitivi che erano nella sua sfera di disponibilità. Non può, pertanto, ritenersi che la parte appellata abbia maturato un affidamento colpevole.
In definitiva, sarebbe stato dovere del Mbac informare la società delle notizie in suo possesso ovvero acquisire altre notizie necessarie per gestire in modo diligente la fase di formazione del contratto di appalto.
5.– Per quanto attiene, infine, alla determinazione del danno si assume che la somma che il Tar ha riconosciuto, in via equitativa, come spettante all’impresa, pari ad euro 60.000,00, a titolo di spese processuali, non sarebbe dovuta in quanto quest’ultime non costituirebbero una voce risarcibile.
Tale motivo non è fondato.
Le spese sostenute in vista della conclusione del contratto non possono essere oggetto di domanda risarcitoria soltanto se la parte chiede il risarcimento del cosiddetto interesse positivo e cioè l’interesse all’esecuzione del rapporto negoziale. Nel caso della responsabilità precontrattuale oggetto del risarcimento è, invece, il cosiddetto interesse negativo e cioè l’interesse a non essere coinvolto in trattative inutili. Ne consegue che le spese sostenute nell’ambito di tali trattative costituiscono una voce di danno, sub specie di danno emergente (si veda Cons. Stato, sez. VI, 18 marzo 2011, n. 1681).
5.1.– Sempre con riguardo alla somma risarcitoria liquidata la società ha proposto appello incidentale finalizzato ad ottenere la somma richiesta, per le spese effettivamente sostenute, pari ad euro 87.356,24.
Il motivo di appello non è fondato.
La riduzione effettuata dal Tar si sottrae alla censura prospettata in quanto si è correttamente tenuto conto del fatto che la lesione della libertà negoziale è avvenuta in un momento antecedente la scelta del contraente quando, pertanto, era ancora incerto chi sarebbe stato l’aggiudicatario. La fase procedimentale in cui è stata posta in essere la condotta giustifica, pertanto, il riconoscimento, in via equitativa, di una somma inferiore rispetto a quella oggetto della domanda.
6.– La soccombenza reciproca giustifica la compensazione tra le parti delle spese del secondo grado del giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta definitivamente pronunciando:
a) rigetta l’appello principale proposto con il ricorso indicato in epigrafe;
b) rigetta l’appello incidentale proposto con il ricorso indicato in epigrafe;
c) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/07/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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