AMBIENTE, ENTI LOCALI & PROCESSO:
sono legittimati a ricorrere
avverso i provvedimenti di approvazione
degli impianti R.S.U. (rifiuti solidi urbani)
i Comuni i cui territori risultino interessati
a livello ambientale
(Cons. St., Sez. V,
sentenza 5 marzo 2014 n.1058).
Massima
1. Non vi è ragione per discostarsi dal prevalente indirizzo giurisprudenziale che riconosce la legittimazione dei comuni, nei cui territori sono destinati ad essere collocati impianti di trattamento di rifiuti solidi urbani, ad impugnare i provvedimenti di approvazione dei relativi progetti, sia in quanto incidenti sulle destinazioni di zona e sulle caratteristiche del territorio, sia quali enti esponenziali della collettività che risiedono nell’ambiente comunale, perché, per un verso, la tutela dell’ambiente assume il ruolo unificante e finalizzante di distinte tutele giuridiche predisposte a favore di diversi beni della vita che nell’ambiente si collocano e, per altro verso, l’ambiente è un bene pubblico non suscettibile di appropriazione individuale, indivisibile, non attribuibile, unitario e multiforme.
2. Né la legittimazione può essere subordinata alla prova puntuale della concreta pericolosità dell’impianto, essendo sufficiente una (ragionevole) prospettazione di temute ripercussioni sul territorio comunale collocato nelle immediate vicinanze dell’impianto da realizzare.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso iscritto in appello al numero di registro
generale 698 del 2013, proposto da:
BTE S.R.L., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Gemma G. Simolo e Graziano Pungi', con domicilio eletto presso Graziano Pungì in Roma, via Ottaviano, n. 9;
BTE S.R.L., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Gemma G. Simolo e Graziano Pungi', con domicilio eletto presso Graziano Pungì in Roma, via Ottaviano, n. 9;
contro
COMUNE DI CESANO MADERNO, COMUNE DI BOVISIO MASCIAGO E
COMUNE DI LIMBIATE, in persona dei rispettivi sindaci in carica, rappresentati
e difesi dagli avv. Roberto Nania e Claudio Colombo, con domicilio eletto
presso Roberto Nania in Roma, via Carlo Poma, n. 2;
PROVINCIA DI MILANO, REGIONE LOMBARDIA E LIPU ONLUS, ciascuno in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, non costituiti in giudizio;
PROVINCIA DI MONZA E BRIANZA, in persona del Presidente della Giunta provinciale in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Luciano Fiori, Elisabetta Baviera e Piero D'Amelio, con domicilio eletto presso Piero D'Amelio in Roma, via della Vite, n. 7;
PROVINCIA DI MILANO, REGIONE LOMBARDIA E LIPU ONLUS, ciascuno in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, non costituiti in giudizio;
PROVINCIA DI MONZA E BRIANZA, in persona del Presidente della Giunta provinciale in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Luciano Fiori, Elisabetta Baviera e Piero D'Amelio, con domicilio eletto presso Piero D'Amelio in Roma, via della Vite, n. 7;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO, Sez. IV,
n. 2644 del 5 novembre 2012, resa tra le parti, concernente pronuncia positiva
di compatibilita' ambientale per ampliamento di un impianto di depurazione di
acque reflue industriali;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei comuni
di Cesano Maderno, di Boviscio Masciago e di Limbiate, nonché della Provincia
di Monza e Brianza;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre
2013 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati G. Pungì, R.
Nania e G.C. Sciacca su delega di P. D'Amelio;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto
segue.
FATTO
1. La Regione Lombardia, giusta decreto del dirigente
della Struttura per le valutazioni di impatto ambientale n. 1778 del 23 ottobre
2006, esprimeva, ai sensi dell’art. 7 del d.P.R. 12 aprile 1996, “pronuncia
positiva circa la compatibilità ambientale del progetto di ampliamento di un
impianto di depurazione di acque reflue industriali, mediante realizzazione
della sezione chimico fisica per il trattamento di rifiuti pericolosi e non
pericolosi (operazioni D9 e D15 di cui all’allegato B alla parte IV del d. lgs.
152/2006) in Comune di Cesano Maderno, via Groane, nella configurazione
progettuale che emerge dagli elaborati depositati dal Committente B.T.E.
s.r.l….”, con le prescrizioni puntualmente indicate, da recepirsi nei
successivi provvedimenti abilitativi.
La Provincia di Milano ed i Comuni di Cesano Maderno,
Limbiate e Bovisio Masciago impugnavano tale decreto innanzi al Tribunale
amministrativo regionale, chiedendone l’annullamento per “Violazione e falsa
applicazione del D. L.vo 3 aprile 2006, n. 152, della L.R. 12 dicembre 2003, n.
26, del D. L.vo 22 gennaio 2004, n. 42, del vigente Programma Regionale di
Gestione dei Rifiuti – Eccesso di potere per carenza di motivazione,
travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, contraddittorietà” (primo motivo);
“Violazione e falsa applicazione del D. L. vo 3 aprile 2006 n. 152, del
P.T.C.P. Provinciale, del P.T.C. del Parco delle Groane, del P.R.G. del Comune
di Cesano Maderno – Eccesso di potere per carenza di motivazione, difetto di
istruttoria, contraddittorietà” (secondo motivo); “Violazione e falsa
applicazione degli artt. 4 ss. del D. L.vo 3 aprile 2006 n. 152, del D.P.R. 8
settembre 1997 n. 357, dell’art. 6 comma 2 della direttiva comunitaria
92/43/CEE del 21/5/1992 – Eccesso di potere per carenza di motivazione e di
istruttoria” (terzo motivo); “Violazione e falsa applicazione degli artt. 4 ss.
del D. L.vo 3 aprile 2006 n. 152, dell’art. 216 del R.D. 27 luglio 1934 n.
1265, dell’art. 17 della L.R. 16 agosto 1993 n. 26, del D.P.C.M. 14 novembre
1997, richiamato dall’art. 2 della L.R. 10 agosto 2001 n. 13 – Eccesso di
potere per difetto di motivazione e di istruttoria, travisamento dei fatti”
(quarto motivo); “Violazione e falsa applicazione degli articoli 26 e 29 del D.
L.vo 3 aprile 2006 n. 152” (quinto motivo).
In sintesi, a loro avviso. il predetto decreto era
viziato da un errato apprezzamento del progetto proposto e dello stato dei
luoghi, da una superficiale istruttoria e da una lacunosa ponderazione degli
interessi in gioco, stante la sostanziale autonomia del manufatto da realizzare
rispetto all’impianto esistente; inoltre esso era stato adottato senza tener
conto, nè della disciplina del Parco delle Groane e di quella urbanistica del
Comune di Cesano Maderno (che, per favorire la tutela ambientale di quelle aree
di notevole rilievo paesaggistico, consentivano esclusivamente impianti di
depurazione pertinenziali a stabilimenti industriali esistenti), né della
vicinanza dell’impianto al sito di importanza comunitaria, denominato Boschi
della Groane, e della limitrofa oasi naturalistica in gestione alla L.I.P.U.;
era stata anche pretermessa la necessaria partecipazione al procedimento degli
interessati, con riguardo alle integrazioni progettuali intervenute dopo la
chiusura della conferenza dei servizi.
3. Con rituali motivi aggiunti i Comuni di Cesano
Maderno, Bovisio Masciago e Limbiate lamentavano poi “Violazione e falsa
applicazione del D.P.R. 12 aprile 1996, della L.R. 3 settembre 1999 n. 20,
della direttiva 85/337/CE, degli artt. 4 ss. del D. L.vo 3 aprile 2006, n. 152
– Eccesso di potere per carenza di motivazione e di istruttoria,
contraddittorietà, travisamento dei fatti” e “Violazione e falsa applicazione
del D.P.R. 12 aprile 1996, della L.R. 3 settembre 1999 n. 20, della direttiva
85/337/CE degli artt. 4 ss. del D. L.vo 3 aprile 2006 n. 152 – Eccesso di
potere per travisamento dei fatti, carenza dei presupposti”, sostenendo che il
provvedimento impugnato non aveva tenuto conto del parere negativo alla
realizzazione del progetto espresso in data 18 aprile 2006 dalla Direzione
Generale Reti e Servizi di pubblica utilità della stessa Regione Lombardia e
che la società B.T.E. s.r.l. non risultava neppure proprietaria dell’impianto,
così che essa difettava di legittimazione ad avviare il procedimento di
valutazione di impatto ambientale.
4. L’adito tribunale, sez. IV, con la sentenza n. 2644
del 5 novembre 2012, nella resistenza della Regione Lombardia e con
l’intervento ad adiuvandum della L.I.P.U., dichiarata
l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse quanto alla
Provincia di Milano, cui era succeduta la Provincia di Monza e Brianza
(regolarmente costituitasi in giudizio), e riconosciuta la legittimazione ad
agire dei comuni ricorrenti (che non solo avevano espresso parere negativo
all’intervento, ma apparivano anche direttamente pregiudicati dal progetto
realizzando, il Comune di Cesano Maderno per essere l’impianto ricadente nel
proprio territorio e gli altri comuni per essere confinanti con il primo), ha
annullato il provvedimento impugnato, ritenendo fondati i motivi di censura
sollevati.
3. La B.T.E. s.r.l. ha chiesto la riforma di tale
sentenza, denunciando “1) Errore nel giudicare: inammissibilità del ricorso dei
Comuni di Cesano Maderno, Limbiate e Bovisio Masciago per difetto di
legittimazione ad agire”; “2) Errore nel giudicare: violazione del principio di
specialità e di sovraordinazione gerarchica del P.T.C. del Parco delle Groane
sul PRG comunale di Cesano Maderno”; “3) Errore nel giudicare: violazione
dell’art. 38, c. 5, lett. D), del PTC del Parco delle Groane”; “4) Errore nel
giudicare: sul presunto difetto di motivazione e di istruttoria del
provvedimento di V.I.A.”; “5) Errore nel giudicare e difetto di motivazione
circa la presunta omessa considerazione del parere della Direzione regionale
Reti e Servizi di pubblica utilità”; “6) Superamento dei limiti del sindacato
giurisdizionale. Errata tecnica di sindacato sull’azione amministrativa”; “7)
Errore nel giudicare sulla presunta assenza di legittimazione della B.T.E.
s.r.l. ad avviare il procedimento di V.I.A.”, alla cui stregua ha sostenuto la
assoluta correttezza del provvedimento impugnato e la totale infondatezza dei
motivi di censura sollevati in primo grado, inopinatamente accolti dai primi
giudici con motivazione lacunosa, superficiale e non condivisibile, basata
sull’errato apprezzamento dei fatti e su di una approssimativa valutazione del
materiale probatorio versato in atti.
4. Hanno resistito al gravame i Comuni di Cesano
Maderno, Limbiate e Bivisio Mascago e la Provincia di Monza e Brianza, che ne
hanno chiesto il rigetto, illustrando le proprie tesi difensive con apposite
memorie.
All’udienza in camera di consiglio del 12 marzo 2013,
fissata per la decisione sull’istanza cautelare di sospensione dell’efficacia
della sentenza impugnata, sull’accordo delle parti la causa è stata rinviata
all’udienza pubblica del 15 ottobre 2013 per la trattazione del merito.
4. A supporto delle proprie tesi difensive
l’appellante ha depositato una relazione, redatta da un tecnico di propria
fiducia, datata 18 giugno 2013, con cui ha illustrato le peculiarità
dell’impianto esistente e del relativo progetto di ampliamento; successimente
con una memoria ha insistito nelle proprie conclusioni, evidenziando tra
l’altro la ammissibilità e la tempestività della prodotta relazione.
Le amministrazioni comunali ricorrenti con apposita
memoria hanno insistito a loro volta per il rigetto dell’appello, eccependo
l’inammissibilità della nuova produzione documentale ai sensi dell’art. 104, comma
2, c.p.a.
5. All’udienza pubblica del 15 ottobre 2013, dopo la
rituale discussione, la causa è stata introitata in decisione.
DIRITTO
6. L’appello è infondato.
6.1. In linea prelominare si osserva quanto segue.
6.1.1. Deve innanzitutto confermarsi l’estraneità alla
controversia de qua della Provincia di Milano, originaria ricorrente, giacché
alla stessa è succeduta la Provincia di Monza e Brianza, regolarmente
costituita nel giudizio di primo grado ed alla quale risulta anche notificato
l’appello in esame.
6.1.2. Quanto alla relazione tecnica prodotta
dall’appellante nel corso del giudizio di appello, detta produzione, come
eccepito dalle amministrazioni locali appellate, è inammissibile, ai sensi
dell’art. 104, comma 2, c.p.a.
E’ pacifico infatti che le perizie (tecniche) di parte
costituiscono mezzi di prova (Cons. Stato, sez.IV, 12 luglio 2012, n. 4120; 22
febbraio 2013, n, 1097) e come tali rientrano nel divieto di ammissione in
appello di nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio li ritenga indispensabili
ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver
potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non
imputabile (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 21 maggio 2013, n.
2759; sez. IV, 1° luglio 2013, n. 3537; 22 febbraio 2013,n. 1097; 12 luglio
2012, n. 4120; sez. V, 17 luglio 2013, n. 3892; 19 gennaio 2013, n. 297; 28
dicembre 2012, n. 6690; 5 luglio 2012, n. 3935),evenienze queste che non si
rinvengono nel caso di specie.
D’altra parte non può sottacersi, come pure rilevato
in giurisprudenza, che il requisito della indispensabilità della nuova prova,
in presenza del quale ne è ammessa eccezionalmente la presentazione per la
prima volta in appello, non deve essere inteso come rilevanza dei fatti dedotti
ai fini del decidere (ciò essendo in realtà condizione di ammissibilità di ogni
mezzo istruttorio), ma postula la verificata impossibilità di acquisire la
conoscenza di quei fatti con altri mezzi che la parte avesse l’onere di fornire
nelle forme e nei tempi stabiliti dalla legge processuale, sicchè il potere
istruttorio attribuito al giudice d’appello, pur ampiamente discrezionale, non
può essere esercitato per sanare preclusioni e decadenze già verificatesi nel
giudizio di primo grado, atteso che la prova richiesta, in tal caso, non può
neppure considerarsi prova nuova, per essere invece prova dalla quale la parte
è decaduta (Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2012, n. 2757).
Nel caso in esame, anche a voler prescindere dal fatto
che la prova delle caratteristiche dell’impianto, al fine di dimostrare il suo
carattere di novità rispetto a quello esistente, andava prodotta ed esibita in
primo grado, non trattandosi di una questione sorta per effetto della decisione
impugnata, non c’è dubbio che la perizia prodotta dall’appellante introduce
elementi di novità rispetto al thema probandum di primo grado
e come tale è inammissibile.
6.2. Passando all’esame del merito, la Sezione osserva
che non è meritevole di favorevole accoglimento il primo motivo di gravame, con
il quale, lamentando “Errore nel giudicare: inammissibilità del ricorso dei
Comuni di Cesano Maderno, Limbiate e Bovisio Masciago per difetto di
legittimazione ad agire”, la Regione Lombardia ha sostenuto che quelle
amministrazioni non avevano provato il concreto ed effettivo pregiudizio che
sarebbe loro derivato dalla realizzazione dell’impianto in argomento e quindi
la loro stessa legittimazione a ricorrere, non essendo a tal fine sufficiente
la sola circostanza che l’impianto ricadesse nel loro territorio (circostanza
che peraltro neppure ricorreva quanto ai Comuni di Limbiate e di Bovisio
Msciago), tanto più che esse non erano titolari di competenze primarie per la
cura degli interessi pubblici rilevanti nel procedimento di valutazione di
impatto ambientale (spettanti invero al Parco delle Groane), mentre le censure
sollevate dal Comune di Cesano Maderno non erano neppure direttamente inerenti
agli interessi sottesi alla valutazione di impatto ambientale, ma solo alla
compatibilità urbanistica dell’impianto da realizzare.
6.2.1. In realtà, anche a voler tacere del fatto che
l’eventuale accoglimento di tale censura non inciderebbe sulla (non contestata)
legittimazione della Provincia di Monza e Brianza (subentrata alla Provincia di
Milano, originaria ricorrente), così che potrebbe addivenirsi ad una pronuncia
di totale inammissibilità del ricorso di primo grado (e di conseguente
definitiva legittimità del provvedimento impugnato in primo grado, cui aspira
la società appellante), non vi è ragione per discostarsi dal prevalente ( e
condivisibile) indirizzo giurisprudenziale che riconosce la legittimazione dei
comuni, nei cui territori sono destinati ad essere collocati impianti di trattamento
di rifiuti solidi urbani, ad impugnare i provvedimenti di approvazione dei
relativi progetti, sia in quanto incidenti sulle destinazioni di zona e sulle
caratteristiche del territorio (Cons. Stato, sez. V, 28 novembre 2008, n.
5910), sia quali enti esponenziali della collettività che risiedono
nell’ambiente comunale, perché, per un verso, la tutela dell’ambiente assume il
ruolo unificante e finalizzante di distinte tutele giuridiche predisposte a
favore di diversi beni della vita che nell’ambiente si collocano e, per altro
verso, l’ambiente è un bene pubblico non suscettibile di appropriazione
individuale, indivisibile, non attribuibile, unitario e multiforme (Cons.
Stato, sez. V, 30 giugno 2011, n. 3921).
Né la legittimazione può essere subordinata alla prova
puntuale della concreta pericolosità dell’impianto, essendo sufficiente una
(ragionevole) prospettazione di temute ripercussioni sul territorio comunale
collocato nelle immediate vicinanze dell’impianto da realizzare (Cons. Stato,
sez. V, 16 settembre 2001, n. 5193; sez. VI, 5 dicembre 2001, n. 6657).
Tali principi (ribaditi anche recentemente, Cons.
Stato ., sez. V, 10 luglio 2012, n. 4068; sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4926))
ben si attagliano al caso in esame, in cui viene in rilievo un progetto di
ampliamento di un impianto di depurazione di acque reflue industriali già
esistente (mediante la realizzazione della sezione fisico – chimica per il
trattamento di rifiuti pericolosi e non pericolosi), come tale astrattamente
idoneo ad incidere, secondo l’id quod plerumque accidit, sul
contesto ambientale in cui si colloca e a pregiudicare (potenzialmente) il
territorio.
6.2.2. D’altra parte deve evidenziarsi in punto di
fatto che non solo l’impianto in questione insiste nel territorio del Comune di
Cesano Maderno e che la viabilità di accesso allo stesso si snoda anche sul
territorio del Comune di Limbiante, per quanto tutte le predette
amministrazioni comunali hanno partecipato (esprimendo il proprio parere) alla
Conferenza dei servizi consultivi tenutasi il 15 dicembre 2011 su iniziativa
della Provincia di Monza e Brianza, relativa proprio all’istanza della società
appellante per l’esame del progetto in questione.
Ciò senza contare, sotto altro concorrente profilo,
che i comuni ricorrenti in primo grado (almeno per quanto riguarda le aree
interessate alla contestata positiva pronuncia circa la compatibilità
ambientale del progetto di ampliamento dell’impianto di depurazione di acque
reflue industriale proposto da BTE s.r.l.) rientrano tutti nel Parco delle
Groane, ex art.8 della legge regionale 16 luglio 2007, n. 16, così che non può
negarsi il loro autonomo interesse ad agire per la tutela ed il rispetto,
proprio quanto ai propri territori, delle finalità di recupero ed il
potenziamento naturalistico – ambientale, che hanno giustificato la stessa
istituzione del Parco.
6.3. Possono essere esaminati congiuntamente il
secondo ed il terzo motivo di gravame, con cui la Regione Lombardia, ha dedotto
“Errore nel giudicare: violazione del principio di specialità e di
sovraordinazione gerarchica del P.T.C. del Parco delle Groane sul PRG comunale
di Cesano Maderno” e “) Errore nel giudicare: violazione dell’art. 38, c. 5,
lett. D), del PTC del Parco delle Groane”.
Secondo la tesi dell’appellante, i primi giudici si
sarebbero immotivatamente adagiati sulle suggestive, ma infondate,
prospettazioni delle amministrazioni locali ricorrenti circa il contrasto del
progetto di ampliamento dell’impianto di depurazione (già esistente) con la
disciplina paesaggistica, ambientale ed urbanistica dell’area, dando
ingiustificata rilevanza alle ragioni che ne avevano consentito la originaria
realizzazione (quali la sua natura pertinenziale rispetto al vicino impianto
industriale e la correlativa funzione di depurazione delle acque di scarico);
inoltre, ad avviso dell’appellante, l’omessa considerazione dei successivi atti
pianificatori (e della relativa disciplina) del Comune di Cesano Maderno e del
Parco delle Groane e della prevalenza della disciplina del piano del parco
rispetto allo strumento urbanistico comunale (ex art. 10 legge regionale 16
luglio 2007, n. 16), avrebbe determinato l’erronea individuazione della norma
applicabile al caso di specie, giacché quest’ultima non sarebbe costituita
dall’art. 31, par. 10, comma 5, delle N.T.A. del piano regolatore generale del
Comune di Cesano Maderno (secondo cui è vietata la realizzazione di impianti di
smaltimento [stoccaggio provvisorio, definitivo e trattamento] rifiuti nelle
aree rientranti nell’ambito 9 [Parco regionale delle Groane e Salvaguardia
Ambientale], previsione che troverebbe conferma nell’altrettanto generale
previsione dell’art. 16, lett. g), del P.T.C. (recante il divieto in tutto il
territorio del parco di realizzazione ed esercizio di nuovi impianti di
gestione di rifiuti urbani e/o speciali), quanto piuttosto dall’art. 38, comma
5, lett. d), del PTC, secondo cui “5. La zona per servizi di interesse comunale
è destinata ad accogliere servizi di interesse locale e comunale compresi
quelli costituenti standard urbanistico. Sono ammessi, nel rispetto della l.r.
1/01 e delle altre disposizioni vigenti in materia:…d) servizi ed impianti
annessi all’industria, compresi gli impianti di depurazione, e gli standard di
legge;…”.
La corretta individuazione della disciplina
applicabile, avrebbe poi escluso anche qualsiasi rilevanza circa la esatta
qualificazione del progetto in esame, se mero ampliamento dell’impianto
esistente ovvero nuovo impianto (questione sulla quale avrebbero inutilmente
indugiato i primi giudici, optando erroneamente per la seconda soluzione); ciò
senza contare, per un verso, che effettivamente nel caso di specie si sarebbe
in presenza solo di un mero ampliamento di un impianto esistente con lo
sfruttamento della potenzialità esistente (riferita a circa 46.000 abitanti
equivalenti) rispetto all’attuale sotto-utilizzazione (circa 5.500 abitanti
equivalenti) e, per altro verso, che lo stesso vincolo di pertinenzialità, su
cui i primi giudici avrebbe fondato la propria erronea convinzione, non avrebbe
trovato alcun riscontro nella documentazione in atti e sarebbe da considerare
superato dalla nuova disciplina applicabile (art. 38, comma 5, lett. d), delle
N.T.A. del parco).
Le predette censure non possono essere accolte.
6.3.1. Innanzitutto, non è contestato e non è
revocabile in dubbio che l’impianto di depurazione, del cui progetto di
ampliamento si discute, avesse effettivamente carattere pertinenziale rispetto
alle utenze industriali originariamente servite (SNIA Viscosa), quale impianto
di trattamento delle acque di scarico e deposito dei fanghi) e che per tale
finalità ne fu consentita la realizzazione.
Ciò trova conferma: a) nella richiesta avanzata in
data 19 settembre 1978 dalla S.p.A. Snia Viscosa al Comune di Cesano Maderno
per ottenere il permesso di esecuzione dei lavori edili per realizzare il
progetto “Impianto trattamento acque scarico e deposito fanghi” e nell’allegato
progetto nel quale si legge, in particolare, che “Le opere sopra indicate
serviranno per l’impianto di trattamento degli scarichi liquidi dello
stabilimento che funzionerà con un sistema biologico a fanghi attivi, secondo
il seguente schema. Dopo la neutralizzazione chimica delle acque reflue già
esistente, i liquami verranno ossigenati per l’insufflaggio di aria al fine di
consentire l’azione depuratrice dei batteri. La fase successiva consisterà
nella decantazione delle acque depurate in bacini di chiari flocculazione. Da
queste vasche uscirà l’acqua bonificata, mentre dal fondo si estrarranno i
fanghi che, previo addensamento, verranno stabilizzati mediante l’ossigenazione
in un altro bacino a lungo tempo di permanenza. La disidratazione dei fanghi
avverrà in letti di essiccamento tramite la evaporazione naturale ed il
drenaggio dei letti stessi con riciclo del liquido percolato a fasi precedenti.
Quando il grado di secco dei fanghi biologici sarà giunto ad un valore tale da
permetterne la movimentazione, si trasferirà il fango al piazzale di deposito
adibito a discarica”; b) nella successiva nota in data 20 aprile 1979, con cui
la Snia Viscosa S.p.A. invitava il Sindaco del Comune di Cesano Maderno a
rivedere il provvedimento di diniego (del prot. 21104/6924 del 26 marzo 1979)
della realizzazione dell’impianto (diniego fondato sulla circostanza che
quest’ultimo si trovasse all’interno della delimitazione del Parco di interesse
regionale delle Groane), sostenendo : b1) in generale che l’intervento fosse
coerente con gli scopi del parco (volti tra l’altro a promuovere e coordinare
interventi di rimboschimento, piantumazione, salvaguardia ambientale, ecologica
e di risanamento igienico); b2) in particolare che le opere per le quali era
stata richiesta l’autorizzazione erano “…finalizzate ad un ulteriore
miglioramento delle acque del torrente Garbogera…” e che, quanto alla discarica
attrezzata dei fanghi, essa “…sarebbe stata costituita, anche per esigenze
funzionali, da una serie di settori di limitati dimensioni che verrebbero
realizzati progressivamente. Ad esaurimento ciascun settore verrebbe ricoperto
con terra di coltivo e piantumato…”; b3) infine che l’ubicazione dell’impianto
era stata determinata dall’esigenza tecnica di situare le costruende opere
immediatamente a valle del primo stadio di trattamento, già esistente ed in
esercizio; 3) nel parere favorevole (in relazione alle esigenze di tutela
ambientale del parco), espresso dall’Assessorato regionale all’ecologia e ai
beni ambientali, con nota prot. 1351/LR/ma del 23 novembre 1979, sul
presupposto, tra l’altro, che, per quanto concerneva le vasche 3, 6, 7, 8 e 9,
l’intervento ricadeva all’interno del parco, ma doveva considerarsi consentito
in quanto “adeguamento igienico” di edifici esistenti.
6.3.2. Sotto altro concorrente profilo, l’intervento
oggetto del decreto impugnato è stato correttamente considerato quale impianto
nuovo e non come mero ampliamento di quello esistente, essendo del tutto
diverso da quest’ultimo, sia sotto il profilo quantitativo che sotto quello
qualitativo.
La differenza quantitativa è ammessa, tra l’altro, dalla
stessa società appellante, secondo cui l’intervento proposto è finalizzato ad
aumentare la capacità di esercizio dell’impianto da 5.500 abitanti equivalenti
a circa 46.000 abitanti.
La differenza qualitativa emerge poi dallo stesso
decreto impugnato che, dopo aver descritto lo stato attuale dell’impianto,
evidenzia proprio le “variazioni” (quanto a caratteristiche generali,
dimensionamento del progetto, tipologia dei rifiuti) oggetto dell’intervento
previsto da BTE s.r.l., segnalando che essa “…intende sfruttarne la capacità
residua per il trattamento di rifiuti speciali liquidi in conto terzi,
inserendo nell’impianto una sezione chimico fisica (“unità operativa II”, nel
seguito indicata con “u.o.2”), preliminare al trattamento biologico (“u.o.1”)”;
che “…i rifiuti che si intende ricevere e trattare sono costituiti da acque di
lavaggio e pulizia, soluzioni di sgrassaggio, acque madre, sali e loro
soluzioni, acidi, solventi e loro soluzioni, derivanti da diversi processi
produttivi, oltre a percolati di discarica, fanghi da fosse settiche o da
pulizia di fognature…” e riportando infine anche la specifica (nuova)
organizzazione dell’impianto ed il processo di trattamento.
Risultano pertanto essere mere opinioni personali,
prive di qualsiasi riscontro probatorio, le deduzioni dell’appellante circa la
asserita sostanziale continuità e identità tra i due impianti, quello esistente
e quello risultante dall’ampliamento progettato, non potendo in tal senso
essere sufficiente né il fatto che la struttura edilizia non subisca
modificazioni esterne (così che dal punto vista meramente edilizio le opere da
realizzare sarebbe da considerare come ristrutturazione) e tanto meno la
dedotta necessità dell’intervento per rendere conveniente il mantenimento in
servizio dell’impianto stesso (quest’ultima essendo una valutazione meramente
soggettiva, concernente l’attività imprenditoriale dell’appellante, che come
tale non rientra nell’ambito del sindacato di legittimità sul provvedimento
impugnato).
6.3.3. I delineati elementi di fatto rendono priva di
fondamento la tesi dell’erronea individuazione da parte dei primi giudici della
normativa applicabile al caso di specie che, secondo l’appellante, non sarebbe
da rintracciare nell’art. 31, par. 10, comma 5, delle NTA dello strumento
urbanistico generale del Comune di Cesano Maderno, quanto piuttosto nell’art.
38, comma 5, lett. d), del PTC del Parco regionale della Groane.
Infatti, fermo restando che il secondo comma dell’art.
38 delle N.T.A. del piano regolatore del Comune di Cesano Maderno
effettivamente stabilisce che “Per le aree comprese entro il perimetro del
Parco delle Groane, le disposizioni del PTC del Parco e dei relativi piani di
settore prevalgono sulle disposizioni del PRG”, l’invocato art. 38, comma 5,
lett. d), del Piano territoriale di coordinamento del Parco non può trovare
applicazione, consentendo essa la realizzazione di “d) servizi ed impianti
annessi all’industria, compresi gli impianti di depurazione e gli standard di
legge”, laddove nel caso di specie l’impianto di cui si chiede la realizzazione
non è più annesso all’industria ed in particolare all’attività della Snia
Viscosa che ne richiese la realizzazione.
Correttamente quindi i primi giudici, per l’obiettivo
venir meno del vincolo di pertinenzialità e per la diversità, quantitativa e
qualitativa, dell’impianto progettato rispetto a quello originario, hanno
considerato il primo quale nuovo impianto di smaltimento rifiuti, la cui
realizzazione è vietata sia dall’art. 16, lett. g), del Piano territoriale di
coordinamento del Parco che dall’art. 31, par. 10, comma 5, delle N.T.A. del
piano regolatore del Comune di Cesano Maderno.
6.4. La sostanziale identità delle censure proposte
con il quarto, il quinto ed il sesto motivo di gravame, rubricati
rispettivamente “4) Errore nel giudicare: sul presunto difetto di motivazione e
di istruttoria del provvedimento di V.I.A.”; “5) Errore nel giudicare e difetto
di motivazione circa la presunta omessa considerazione del parere della
Direzione regionale Reti e Servizi di pubblica utilità”; e “6) Superamento dei
limiti del sindacato giurisdizionale. Errata tecnica di sindacato sull’azione
amministrativa”, ne consente la trattazione congiunta: anch’esse sono
infondate.
6.4.1. Come si è avuto modo di rilevare in precedenza
il progetto proposto dalla appellante B.T.E. s.r.l. non può essere considerato
un mero ampliamento dell’impianto precedente, costituendo invece un vero e
proprio nuovo impianto (di trattamento di rifiuti).
E’ proprio tale circostanza a determinare, già da
sola, la correttezza della sentenza impugnata e l’infondatezza del quarto
motivo di gravame, in quanto proprio in ragione della “novità” dell’impianto da
realizzare dovevano essere puntualmente apprezzate ed esaminate le possibili
implicazioni che esso avrebbe avuto sull’ambiente circostante, non potendo
dubitarsi della valenza paesaggistica dell’area e dell’esistenza del sito di
interesse comunitario Boschi delle Groane, della presenza del torrente
Garbogera e dell’oasi naturalistica della L.I.P.U..
Della effettiva considerazione e ponderazione di tali
significativi elementi non vi è traccia nel provvedimento impugnato, benché in
esso si dia atto che gli stessi erano emersi nel corso della Conferenza dei
servizi del 10 marzo 2006 ed avevano giustificato il parere negativo sul
progetto espresso proprio dagli enti ricorrenti in primo grado, così che può
ragionevolmente ritenersi che essi siano stati quanto meno sottovalutati
dall’amministrazione regionale in quanto il progetto in esame era stato
considerato quale mero ampliamento dell’impianto esistente, collocato in
un’area industriale consolidata e degradata, valutazione anche questa che
denota un’approssimativa istruttoria..
Ciò rende del tutto irrilevante, ai fini della pretesa
correttezza del provvedimento impugnato, la circostanza che in esso, come
sottolineato dall’appellante, si sia tenuto conto dello studio di impatto
ambientale e si sia fatto riferimento al quadro ambientale in generale ed in
particolare all’atmosfera e agli odori, all’ambiente idrico, al suolo e al
sottosuolo, al rumore, alla salute, alla vegetazione, flora e fauna,
ecosistemi, al paesaggio e alla salute pubblica, atteso che, per un verso, il
giudizio su tali elementi è stato comunque condizionato dal non corretto
apprezzamento del progetto (nuovo impianto e non ampliamento di quello
esistente) e, per altro verso, che la stessa amministrazione regionale ha
rinviato la ulteriore verifica di tali aspetti al procedimento per il rilascio
dell’autorizzazione integrale ambientale (che peraltro è stata negata dalla
Provincia di Monza e Brianza con provvedimento n. 3190/2012 dell’8 novembre
2012, proprio in considerazione, tra l’altro, della vicinanza di un SIC, del
pregiudizio che potrebbe derivare al torrente Garbogera, della presenza su di
un’area limitrofa all’impianto di un’oasi naturalistica e agli impatti negativi
di eventuali emissioni maleodoranti).
6.4.2. Altrettanto correttamente poi i primi giudici
hanno rilevato il difetto di istruttoria del provvedimento impugnato per la
omessa considerazione del parere, sostanzialmente negativo, emesso dalla
Direzione generale Reti e Servizi di Pubblica Utilità della stessa Regione
Lombardia con la nota in data 18 aprile 2006.
Lo stesso appellante ammette in realtà tale carenza
istruttoria, deducendone tuttavia la sua irrilevanza sul presupposte che le
lacune indicate in quella relazione sarebbero state superate dall’approfondita
attività istruttoria successivamente svolta.
Sennonchè, anche a voler ammettere che, in omaggio ai
principi di snellimento, semplificazione e di efficienza dell’azione
amministrativa, l’articolata e complessa attività istruttoria effettivamente
svolta in un procedimento amministrativo in una materia delicata e sensibile,
quale quella di cui si discute, possa determinare automaticamente
l’assorbimento di un originario parere negativo di un altro ufficio della
stessa amministrazione procedente, deve osservarsi innanzitutto che gli
altrettanti fondamentali principi di buona andamento ed imparzialità ed il
corollario della trasparenza dell’azione amministrativa, impongono che di tale
assorbimento o superamento sia dato effettivamente conto, rendendolo manifesto
con idonea motivazione, non potendo invece ammettersi che esso sia meramente
implicito (come sarebbe avvenuto nel caso di specie, secondo la ricostruzione
dell’appellante); peraltro nel caso di specie tale preteso assorbimento neppure
può effettivamente ritenersi verificato, giacché le ragioni del parere negativo
del 18 aprile 2006 della Direzione generale Reti e Servizi di Pubblica Utilità
risiedevano, tra l’altro, proprio nel “quadro di riferimento ambientale” ed in
particolare nel fatto che il progetto presentato non sembrava “…garantire un
appropriato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso…”, a causa
della “…inadeguatezza della relazione tecnica e della promiscuità con cui si
intendono depositare e trattare i rifiuti, non valutando le possibile ricadute
sull’ambiente…”, potendo pertanto sul punto richiamarsi le considerazioni
svolte al precedente punto 6.4.1.
6.4.3. Quanto infine al presunto straripamento dei
poteri in cui sarebbero incorsi i primi giudici, è sufficiente osservare che,
diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, questi non hanno affatto
sostituito con la sentenza la determinazione amministrativa contenuta nel
decreto impugnato, essendosi invece doverosamente limitati, nel rispetto del
corretto esercizio del potere di sindacato sulla legittimità dell’azione
amministrativa e senza invadere l’area delle scelte discrezionali e di merito
proprie dell’amministrazione, a rilevare l’illegittimo esercizio della funzione
amministrativa esercitata.
Dalla motivazione della sentenza impugnata del resto
emerge, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’annullamento del
provvedimento è stato determinato dalla riscontrata sussistenza di uno dei vizi
tradizionali dell’atto amministrativo (eccesso di potere nella figura
sintomatica del difetto di istruttoria e di travisamento dei fatti), senza che
ciò faccia venir meno il potere/dovere dell’amministrazione di provvedere
nuovamente, ma correttamente nel rispetto dei fondamentali principi
costituzionali di legalità ed imparzialità, predicati dall’articolo 97 della
Costituzione, sulla base di una corretta, adeguata ed approfondita istruttoria
in cui siano puntualmente verificati, appurati ed apprezzati tutti i fatti
rilevanti della fattispecie, in quanto espressione di interessi, pubblici e
privati; in tale prospettiva l’esame di alcuni di quei fatti (nei limiti e nei
sensi in cui sono stati prospettati dalle parti ricorrenti in primo grado) e la
dichiarata fondatezza delle censure articolare rileva soltanto ai fini
dell’effetto conformativo proprio del giudicato amministrativo, senza inibire
direttamente il potere amministrativo astrattamente esercitabile.
E’ inoltre del tutto ultroneo e comunque irrilevante
il richiamo dell’appellante alla amplissima discrezionalità di cui è titolare
l’amministrazione per sostenere la legittimità del provvedimento impugnato in
primo grado, atteso che il limite intrinseco della discrezionalità è dato
proprio dalla ragionevolezza e coerenza delle scelte concretamente operate, in
quanto fondate su di un’adeguata ed approfondita istruttoria che abbia
consentito la corretta emersione di tutti gli elementi di fatto e la
conseguente valutazione complessiva degli interessi in gioco (cosa che non è
avvenita nel caso di specie).
6.5. Quanto al settimo motivo“7) Errore nel giudicare
sulla presunta assenza di legittimazione della B.T.E. s.r.l. ad avviare il
procedimento di V.I.A.”, la Sezione rileva che effettivamente le conclusioni
cui sono pervenuti i primi giudici non sono condivisibili; tuttavia la
fondatezza del motivo in esame non è sufficiente ai fini del pieno accoglimento
dell’appello (e del conseguente rigetto del ricorso di primo grado).
Infatti, indipendentemente da ogni questione sulla
tempestività dell’eccezione formulata con i motivi aggiunti dalle ricorrenti in
primo grado, deve convenirsi sul fatto che, per un verso, nessuna norma prevede
espressamente per la valida presentazione della domanda di compatibilità
ambientale di un progetto la dimostrazione della proprietà del relativo
impianto (l’art. 5 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, definisce alla lett. r)
il proponente, quale soggetto pubblico o privato che elabora il piano, programma
o progetto soggetto alle disposizioni del presente decreto, ed alla lettera r –
bis), introdotta dall’art. 2 del D. Lgs. 28 giugno 2010, n. 128, quale gestore,
qualsiasi persona fisica o giuridica che detiene o gestisce l’impianto oppure
dispone di un potere economico determinate sull’esercizio tecnico dell’impianto
stesso) e, per altro verso, che non è neppure stato contestato che
effettivamente al momento della presentazione del progetto la società B.T.E.
s.r.l. avesse in corso di acquisizione la proprietà dell’impianto di
depurazione in questione (in virtù di un contratto preliminare di compravendita
sottoposta a condizione sospensiva, la cui efficacia era stata più volte
consensualmente prorogata).
Il fatto poi che la cessione sia stata effettivamente
formalizzata solo nel 2010 e che il decreto impugnato indichi la B.T.E. s.r.l.
come proprietaria dell’impianto non costituisce di per sé elemento idoneo a
dubitare della legittimazione della predetta società a presentare il progetto
oggetto del decreto impugnato (ogni relativa controversia sul punto riguardando
esclusivamente i rapporti tra il venditore e l’acquirente).
Tuttavia ciò, come già si è rilevato, è del tutto
influente sul contenuto del predetto decreto impugnato e sulla sua riscontrata
illegittimità.
7. In conclusione l’appello deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come
in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione
Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da B.T.E. s.r.l.
avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia,
sez. IV, n. 2644 del 5 novembre 2012, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento in favore delle
parti costituite (Provincia di Monza e Brianza, Comune di Cesano Maderno,
Comune di Limbiate, Comune di Bovisio Masciago) delle spese del presente grado
di giudizio, che si liquidano in complessivi €. 6.000,00 (seimila), €. 1.500,00
(millecinquecento) per ognuna di esse.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 15 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore
Manfredo Atzeni, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/03/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)