giovedì 27 marzo 2014

AMBIENTE, ENTI LOCALI & PROCESSO: sono legittimati a ricorrere avverso i provvedimenti di approvazione degli impianti R.S.U. (rifiuti solidi urbani) i Comuni i cui territori risultino interessati a livello ambientale (Cons. St., Sez. V, sentenza 5 marzo 2014 n.1058).


AMBIENTE, ENTI LOCALI & PROCESSO: 
sono legittimati a ricorrere 
avverso i provvedimenti di approvazione 
degli impianti R.S.U. (rifiuti solidi urbani)
 i Comuni i cui territori risultino interessati 
a livello ambientale 
(Cons. St., Sez. V, 
sentenza 5 marzo 2014 n.1058).  


Massima

1.  Non vi è ragione per discostarsi dal prevalente indirizzo giurisprudenziale che riconosce la legittimazione dei comuni, nei cui territori sono destinati ad essere collocati impianti di trattamento di rifiuti solidi urbani, ad impugnare i provvedimenti di approvazione dei relativi progetti, sia in quanto incidenti sulle destinazioni di zona e sulle caratteristiche del territorio, sia quali enti esponenziali della collettività che risiedono nell’ambiente comunale, perché, per un verso, la tutela dell’ambiente assume il ruolo unificante e finalizzante di distinte tutele giuridiche predisposte a favore di diversi beni della vita che nell’ambiente si collocano e, per altro verso, l’ambiente è un bene pubblico non suscettibile di appropriazione individuale, indivisibile, non attribuibile, unitario e multiforme.
2.  Né la legittimazione può essere subordinata alla prova puntuale della concreta pericolosità dell’impianto, essendo sufficiente una (ragionevole) prospettazione di temute ripercussioni sul territorio comunale collocato nelle immediate vicinanze dell’impianto da realizzare.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 698 del 2013, proposto da:
BTE S.R.L., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Gemma G. Simolo e Graziano Pungi', con domicilio eletto presso Graziano Pungì in Roma, via Ottaviano, n. 9; 
contro
COMUNE DI CESANO MADERNO, COMUNE DI BOVISIO MASCIAGO E COMUNE DI LIMBIATE, in persona dei rispettivi sindaci in carica, rappresentati e difesi dagli avv. Roberto Nania e Claudio Colombo, con domicilio eletto presso Roberto Nania in Roma, via Carlo Poma, n. 2;
PROVINCIA DI MILANO, REGIONE LOMBARDIA E LIPU ONLUS, ciascuno in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, non costituiti in giudizio;
PROVINCIA DI MONZA E BRIANZA, in persona del Presidente della Giunta provinciale in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Luciano Fiori, Elisabetta Baviera e Piero D'Amelio, con domicilio eletto presso Piero D'Amelio in Roma, via della Vite, n. 7; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO, Sez. IV, n. 2644 del 5 novembre 2012, resa tra le parti, concernente pronuncia positiva di compatibilita' ambientale per ampliamento di un impianto di depurazione di acque reflue industriali;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei comuni di Cesano Maderno, di Boviscio Masciago e di Limbiate, nonché della Provincia di Monza e Brianza;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2013 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati G. Pungì, R. Nania e G.C. Sciacca su delega di P. D'Amelio;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO
1. La Regione Lombardia, giusta decreto del dirigente della Struttura per le valutazioni di impatto ambientale n. 1778 del 23 ottobre 2006, esprimeva, ai sensi dell’art. 7 del d.P.R. 12 aprile 1996, “pronuncia positiva circa la compatibilità ambientale del progetto di ampliamento di un impianto di depurazione di acque reflue industriali, mediante realizzazione della sezione chimico fisica per il trattamento di rifiuti pericolosi e non pericolosi (operazioni D9 e D15 di cui all’allegato B alla parte IV del d. lgs. 152/2006) in Comune di Cesano Maderno, via Groane, nella configurazione progettuale che emerge dagli elaborati depositati dal Committente B.T.E. s.r.l….”, con le prescrizioni puntualmente indicate, da recepirsi nei successivi provvedimenti abilitativi.
La Provincia di Milano ed i Comuni di Cesano Maderno, Limbiate e Bovisio Masciago impugnavano tale decreto innanzi al Tribunale amministrativo regionale, chiedendone l’annullamento per “Violazione e falsa applicazione del D. L.vo 3 aprile 2006, n. 152, della L.R. 12 dicembre 2003, n. 26, del D. L.vo 22 gennaio 2004, n. 42, del vigente Programma Regionale di Gestione dei Rifiuti – Eccesso di potere per carenza di motivazione, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, contraddittorietà” (primo motivo); “Violazione e falsa applicazione del D. L. vo 3 aprile 2006 n. 152, del P.T.C.P. Provinciale, del P.T.C. del Parco delle Groane, del P.R.G. del Comune di Cesano Maderno – Eccesso di potere per carenza di motivazione, difetto di istruttoria, contraddittorietà” (secondo motivo); “Violazione e falsa applicazione degli artt. 4 ss. del D. L.vo 3 aprile 2006 n. 152, del D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357, dell’art. 6 comma 2 della direttiva comunitaria 92/43/CEE del 21/5/1992 – Eccesso di potere per carenza di motivazione e di istruttoria” (terzo motivo); “Violazione e falsa applicazione degli artt. 4 ss. del D. L.vo 3 aprile 2006 n. 152, dell’art. 216 del R.D. 27 luglio 1934 n. 1265, dell’art. 17 della L.R. 16 agosto 1993 n. 26, del D.P.C.M. 14 novembre 1997, richiamato dall’art. 2 della L.R. 10 agosto 2001 n. 13 – Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, travisamento dei fatti” (quarto motivo); “Violazione e falsa applicazione degli articoli 26 e 29 del D. L.vo 3 aprile 2006 n. 152” (quinto motivo).
In sintesi, a loro avviso. il predetto decreto era viziato da un errato apprezzamento del progetto proposto e dello stato dei luoghi, da una superficiale istruttoria e da una lacunosa ponderazione degli interessi in gioco, stante la sostanziale autonomia del manufatto da realizzare rispetto all’impianto esistente; inoltre esso era stato adottato senza tener conto, nè della disciplina del Parco delle Groane e di quella urbanistica del Comune di Cesano Maderno (che, per favorire la tutela ambientale di quelle aree di notevole rilievo paesaggistico, consentivano esclusivamente impianti di depurazione pertinenziali a stabilimenti industriali esistenti), né della vicinanza dell’impianto al sito di importanza comunitaria, denominato Boschi della Groane, e della limitrofa oasi naturalistica in gestione alla L.I.P.U.; era stata anche pretermessa la necessaria partecipazione al procedimento degli interessati, con riguardo alle integrazioni progettuali intervenute dopo la chiusura della conferenza dei servizi.
3. Con rituali motivi aggiunti i Comuni di Cesano Maderno, Bovisio Masciago e Limbiate lamentavano poi “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 12 aprile 1996, della L.R. 3 settembre 1999 n. 20, della direttiva 85/337/CE, degli artt. 4 ss. del D. L.vo 3 aprile 2006, n. 152 – Eccesso di potere per carenza di motivazione e di istruttoria, contraddittorietà, travisamento dei fatti” e “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 12 aprile 1996, della L.R. 3 settembre 1999 n. 20, della direttiva 85/337/CE degli artt. 4 ss. del D. L.vo 3 aprile 2006 n. 152 – Eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza dei presupposti”, sostenendo che il provvedimento impugnato non aveva tenuto conto del parere negativo alla realizzazione del progetto espresso in data 18 aprile 2006 dalla Direzione Generale Reti e Servizi di pubblica utilità della stessa Regione Lombardia e che la società B.T.E. s.r.l. non risultava neppure proprietaria dell’impianto, così che essa difettava di legittimazione ad avviare il procedimento di valutazione di impatto ambientale.
4. L’adito tribunale, sez. IV, con la sentenza n. 2644 del 5 novembre 2012, nella resistenza della Regione Lombardia e con l’intervento ad adiuvandum della L.I.P.U., dichiarata l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse quanto alla Provincia di Milano, cui era succeduta la Provincia di Monza e Brianza (regolarmente costituitasi in giudizio), e riconosciuta la legittimazione ad agire dei comuni ricorrenti (che non solo avevano espresso parere negativo all’intervento, ma apparivano anche direttamente pregiudicati dal progetto realizzando, il Comune di Cesano Maderno per essere l’impianto ricadente nel proprio territorio e gli altri comuni per essere confinanti con il primo), ha annullato il provvedimento impugnato, ritenendo fondati i motivi di censura sollevati.
3. La B.T.E. s.r.l. ha chiesto la riforma di tale sentenza, denunciando “1) Errore nel giudicare: inammissibilità del ricorso dei Comuni di Cesano Maderno, Limbiate e Bovisio Masciago per difetto di legittimazione ad agire”; “2) Errore nel giudicare: violazione del principio di specialità e di sovraordinazione gerarchica del P.T.C. del Parco delle Groane sul PRG comunale di Cesano Maderno”; “3) Errore nel giudicare: violazione dell’art. 38, c. 5, lett. D), del PTC del Parco delle Groane”; “4) Errore nel giudicare: sul presunto difetto di motivazione e di istruttoria del provvedimento di V.I.A.”; “5) Errore nel giudicare e difetto di motivazione circa la presunta omessa considerazione del parere della Direzione regionale Reti e Servizi di pubblica utilità”; “6) Superamento dei limiti del sindacato giurisdizionale. Errata tecnica di sindacato sull’azione amministrativa”; “7) Errore nel giudicare sulla presunta assenza di legittimazione della B.T.E. s.r.l. ad avviare il procedimento di V.I.A.”, alla cui stregua ha sostenuto la assoluta correttezza del provvedimento impugnato e la totale infondatezza dei motivi di censura sollevati in primo grado, inopinatamente accolti dai primi giudici con motivazione lacunosa, superficiale e non condivisibile, basata sull’errato apprezzamento dei fatti e su di una approssimativa valutazione del materiale probatorio versato in atti.
4. Hanno resistito al gravame i Comuni di Cesano Maderno, Limbiate e Bivisio Mascago e la Provincia di Monza e Brianza, che ne hanno chiesto il rigetto, illustrando le proprie tesi difensive con apposite memorie.
All’udienza in camera di consiglio del 12 marzo 2013, fissata per la decisione sull’istanza cautelare di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata, sull’accordo delle parti la causa è stata rinviata all’udienza pubblica del 15 ottobre 2013 per la trattazione del merito.
4. A supporto delle proprie tesi difensive l’appellante ha depositato una relazione, redatta da un tecnico di propria fiducia, datata 18 giugno 2013, con cui ha illustrato le peculiarità dell’impianto esistente e del relativo progetto di ampliamento; successimente con una memoria ha insistito nelle proprie conclusioni, evidenziando tra l’altro la ammissibilità e la tempestività della prodotta relazione.
Le amministrazioni comunali ricorrenti con apposita memoria hanno insistito a loro volta per il rigetto dell’appello, eccependo l’inammissibilità della nuova produzione documentale ai sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a.
5. All’udienza pubblica del 15 ottobre 2013, dopo la rituale discussione, la causa è stata introitata in decisione.

DIRITTO
6. L’appello è infondato.
6.1. In linea prelominare si osserva quanto segue.
6.1.1. Deve innanzitutto confermarsi l’estraneità alla controversia de qua della Provincia di Milano, originaria ricorrente, giacché alla stessa è succeduta la Provincia di Monza e Brianza, regolarmente costituita nel giudizio di primo grado ed alla quale risulta anche notificato l’appello in esame.
6.1.2. Quanto alla relazione tecnica prodotta dall’appellante nel corso del giudizio di appello, detta produzione, come eccepito dalle amministrazioni locali appellate, è inammissibile, ai sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a.
E’ pacifico infatti che le perizie (tecniche) di parte costituiscono mezzi di prova (Cons. Stato, sez.IV, 12 luglio 2012, n. 4120; 22 febbraio 2013, n, 1097) e come tali rientrano nel divieto di ammissione in appello di nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 21 maggio 2013, n. 2759; sez. IV, 1° luglio 2013, n. 3537; 22 febbraio 2013,n. 1097; 12 luglio 2012, n. 4120; sez. V, 17 luglio 2013, n. 3892; 19 gennaio 2013, n. 297; 28 dicembre 2012, n. 6690; 5 luglio 2012, n. 3935),evenienze queste che non si rinvengono nel caso di specie.
D’altra parte non può sottacersi, come pure rilevato in giurisprudenza, che il requisito della indispensabilità della nuova prova, in presenza del quale ne è ammessa eccezionalmente la presentazione per la prima volta in appello, non deve essere inteso come rilevanza dei fatti dedotti ai fini del decidere (ciò essendo in realtà condizione di ammissibilità di ogni mezzo istruttorio), ma postula la verificata impossibilità di acquisire la conoscenza di quei fatti con altri mezzi che la parte avesse l’onere di fornire nelle forme e nei tempi stabiliti dalla legge processuale, sicchè il potere istruttorio attribuito al giudice d’appello, pur ampiamente discrezionale, non può essere esercitato per sanare preclusioni e decadenze già verificatesi nel giudizio di primo grado, atteso che la prova richiesta, in tal caso, non può neppure considerarsi prova nuova, per essere invece prova dalla quale la parte è decaduta (Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2012, n. 2757).
Nel caso in esame, anche a voler prescindere dal fatto che la prova delle caratteristiche dell’impianto, al fine di dimostrare il suo carattere di novità rispetto a quello esistente, andava prodotta ed esibita in primo grado, non trattandosi di una questione sorta per effetto della decisione impugnata, non c’è dubbio che la perizia prodotta dall’appellante introduce elementi di novità rispetto al thema probandum di primo grado e come tale è inammissibile.
6.2. Passando all’esame del merito, la Sezione osserva che non è meritevole di favorevole accoglimento il primo motivo di gravame, con il quale, lamentando “Errore nel giudicare: inammissibilità del ricorso dei Comuni di Cesano Maderno, Limbiate e Bovisio Masciago per difetto di legittimazione ad agire”, la Regione Lombardia ha sostenuto che quelle amministrazioni non avevano provato il concreto ed effettivo pregiudizio che sarebbe loro derivato dalla realizzazione dell’impianto in argomento e quindi la loro stessa legittimazione a ricorrere, non essendo a tal fine sufficiente la sola circostanza che l’impianto ricadesse nel loro territorio (circostanza che peraltro neppure ricorreva quanto ai Comuni di Limbiate e di Bovisio Msciago), tanto più che esse non erano titolari di competenze primarie per la cura degli interessi pubblici rilevanti nel procedimento di valutazione di impatto ambientale (spettanti invero al Parco delle Groane), mentre le censure sollevate dal Comune di Cesano Maderno non erano neppure direttamente inerenti agli interessi sottesi alla valutazione di impatto ambientale, ma solo alla compatibilità urbanistica dell’impianto da realizzare.
6.2.1. In realtà, anche a voler tacere del fatto che l’eventuale accoglimento di tale censura non inciderebbe sulla (non contestata) legittimazione della Provincia di Monza e Brianza (subentrata alla Provincia di Milano, originaria ricorrente), così che potrebbe addivenirsi ad una pronuncia di totale inammissibilità del ricorso di primo grado (e di conseguente definitiva legittimità del provvedimento impugnato in primo grado, cui aspira la società appellante), non vi è ragione per discostarsi dal prevalente ( e condivisibile) indirizzo giurisprudenziale che riconosce la legittimazione dei comuni, nei cui territori sono destinati ad essere collocati impianti di trattamento di rifiuti solidi urbani, ad impugnare i provvedimenti di approvazione dei relativi progetti, sia in quanto incidenti sulle destinazioni di zona e sulle caratteristiche del territorio (Cons. Stato, sez. V, 28 novembre 2008, n. 5910), sia quali enti esponenziali della collettività che risiedono nell’ambiente comunale, perché, per un verso, la tutela dell’ambiente assume il ruolo unificante e finalizzante di distinte tutele giuridiche predisposte a favore di diversi beni della vita che nell’ambiente si collocano e, per altro verso, l’ambiente è un bene pubblico non suscettibile di appropriazione individuale, indivisibile, non attribuibile, unitario e multiforme (Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 2011, n. 3921).
Né la legittimazione può essere subordinata alla prova puntuale della concreta pericolosità dell’impianto, essendo sufficiente una (ragionevole) prospettazione di temute ripercussioni sul territorio comunale collocato nelle immediate vicinanze dell’impianto da realizzare (Cons. Stato, sez. V, 16 settembre 2001, n. 5193; sez. VI, 5 dicembre 2001, n. 6657).
Tali principi (ribaditi anche recentemente, Cons. Stato ., sez. V, 10 luglio 2012, n. 4068; sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4926)) ben si attagliano al caso in esame, in cui viene in rilievo un progetto di ampliamento di un impianto di depurazione di acque reflue industriali già esistente (mediante la realizzazione della sezione fisico – chimica per il trattamento di rifiuti pericolosi e non pericolosi), come tale astrattamente idoneo ad incidere, secondo l’id quod plerumque accidit, sul contesto ambientale in cui si colloca e a pregiudicare (potenzialmente) il territorio.
6.2.2. D’altra parte deve evidenziarsi in punto di fatto che non solo l’impianto in questione insiste nel territorio del Comune di Cesano Maderno e che la viabilità di accesso allo stesso si snoda anche sul territorio del Comune di Limbiante, per quanto tutte le predette amministrazioni comunali hanno partecipato (esprimendo il proprio parere) alla Conferenza dei servizi consultivi tenutasi il 15 dicembre 2011 su iniziativa della Provincia di Monza e Brianza, relativa proprio all’istanza della società appellante per l’esame del progetto in questione.
Ciò senza contare, sotto altro concorrente profilo, che i comuni ricorrenti in primo grado (almeno per quanto riguarda le aree interessate alla contestata positiva pronuncia circa la compatibilità ambientale del progetto di ampliamento dell’impianto di depurazione di acque reflue industriale proposto da BTE s.r.l.) rientrano tutti nel Parco delle Groane, ex art.8 della legge regionale 16 luglio 2007, n. 16, così che non può negarsi il loro autonomo interesse ad agire per la tutela ed il rispetto, proprio quanto ai propri territori, delle finalità di recupero ed il potenziamento naturalistico – ambientale, che hanno giustificato la stessa istituzione del Parco.
6.3. Possono essere esaminati congiuntamente il secondo ed il terzo motivo di gravame, con cui la Regione Lombardia, ha dedotto “Errore nel giudicare: violazione del principio di specialità e di sovraordinazione gerarchica del P.T.C. del Parco delle Groane sul PRG comunale di Cesano Maderno” e “) Errore nel giudicare: violazione dell’art. 38, c. 5, lett. D), del PTC del Parco delle Groane”.
Secondo la tesi dell’appellante, i primi giudici si sarebbero immotivatamente adagiati sulle suggestive, ma infondate, prospettazioni delle amministrazioni locali ricorrenti circa il contrasto del progetto di ampliamento dell’impianto di depurazione (già esistente) con la disciplina paesaggistica, ambientale ed urbanistica dell’area, dando ingiustificata rilevanza alle ragioni che ne avevano consentito la originaria realizzazione (quali la sua natura pertinenziale rispetto al vicino impianto industriale e la correlativa funzione di depurazione delle acque di scarico); inoltre, ad avviso dell’appellante, l’omessa considerazione dei successivi atti pianificatori (e della relativa disciplina) del Comune di Cesano Maderno e del Parco delle Groane e della prevalenza della disciplina del piano del parco rispetto allo strumento urbanistico comunale (ex art. 10 legge regionale 16 luglio 2007, n. 16), avrebbe determinato l’erronea individuazione della norma applicabile al caso di specie, giacché quest’ultima non sarebbe costituita dall’art. 31, par. 10, comma 5, delle N.T.A. del piano regolatore generale del Comune di Cesano Maderno (secondo cui è vietata la realizzazione di impianti di smaltimento [stoccaggio provvisorio, definitivo e trattamento] rifiuti nelle aree rientranti nell’ambito 9 [Parco regionale delle Groane e Salvaguardia Ambientale], previsione che troverebbe conferma nell’altrettanto generale previsione dell’art. 16, lett. g), del P.T.C. (recante il divieto in tutto il territorio del parco di realizzazione ed esercizio di nuovi impianti di gestione di rifiuti urbani e/o speciali), quanto piuttosto dall’art. 38, comma 5, lett. d), del PTC, secondo cui “5. La zona per servizi di interesse comunale è destinata ad accogliere servizi di interesse locale e comunale compresi quelli costituenti standard urbanistico. Sono ammessi, nel rispetto della l.r. 1/01 e delle altre disposizioni vigenti in materia:…d) servizi ed impianti annessi all’industria, compresi gli impianti di depurazione, e gli standard di legge;…”.
La corretta individuazione della disciplina applicabile, avrebbe poi escluso anche qualsiasi rilevanza circa la esatta qualificazione del progetto in esame, se mero ampliamento dell’impianto esistente ovvero nuovo impianto (questione sulla quale avrebbero inutilmente indugiato i primi giudici, optando erroneamente per la seconda soluzione); ciò senza contare, per un verso, che effettivamente nel caso di specie si sarebbe in presenza solo di un mero ampliamento di un impianto esistente con lo sfruttamento della potenzialità esistente (riferita a circa 46.000 abitanti equivalenti) rispetto all’attuale sotto-utilizzazione (circa 5.500 abitanti equivalenti) e, per altro verso, che lo stesso vincolo di pertinenzialità, su cui i primi giudici avrebbe fondato la propria erronea convinzione, non avrebbe trovato alcun riscontro nella documentazione in atti e sarebbe da considerare superato dalla nuova disciplina applicabile (art. 38, comma 5, lett. d), delle N.T.A. del parco).
Le predette censure non possono essere accolte.
6.3.1. Innanzitutto, non è contestato e non è revocabile in dubbio che l’impianto di depurazione, del cui progetto di ampliamento si discute, avesse effettivamente carattere pertinenziale rispetto alle utenze industriali originariamente servite (SNIA Viscosa), quale impianto di trattamento delle acque di scarico e deposito dei fanghi) e che per tale finalità ne fu consentita la realizzazione.
Ciò trova conferma: a) nella richiesta avanzata in data 19 settembre 1978 dalla S.p.A. Snia Viscosa al Comune di Cesano Maderno per ottenere il permesso di esecuzione dei lavori edili per realizzare il progetto “Impianto trattamento acque scarico e deposito fanghi” e nell’allegato progetto nel quale si legge, in particolare, che “Le opere sopra indicate serviranno per l’impianto di trattamento degli scarichi liquidi dello stabilimento che funzionerà con un sistema biologico a fanghi attivi, secondo il seguente schema. Dopo la neutralizzazione chimica delle acque reflue già esistente, i liquami verranno ossigenati per l’insufflaggio di aria al fine di consentire l’azione depuratrice dei batteri. La fase successiva consisterà nella decantazione delle acque depurate in bacini di chiari flocculazione. Da queste vasche uscirà l’acqua bonificata, mentre dal fondo si estrarranno i fanghi che, previo addensamento, verranno stabilizzati mediante l’ossigenazione in un altro bacino a lungo tempo di permanenza. La disidratazione dei fanghi avverrà in letti di essiccamento tramite la evaporazione naturale ed il drenaggio dei letti stessi con riciclo del liquido percolato a fasi precedenti. Quando il grado di secco dei fanghi biologici sarà giunto ad un valore tale da permetterne la movimentazione, si trasferirà il fango al piazzale di deposito adibito a discarica”; b) nella successiva nota in data 20 aprile 1979, con cui la Snia Viscosa S.p.A. invitava il Sindaco del Comune di Cesano Maderno a rivedere il provvedimento di diniego (del prot. 21104/6924 del 26 marzo 1979) della realizzazione dell’impianto (diniego fondato sulla circostanza che quest’ultimo si trovasse all’interno della delimitazione del Parco di interesse regionale delle Groane), sostenendo : b1) in generale che l’intervento fosse coerente con gli scopi del parco (volti tra l’altro a promuovere e coordinare interventi di rimboschimento, piantumazione, salvaguardia ambientale, ecologica e di risanamento igienico); b2) in particolare che le opere per le quali era stata richiesta l’autorizzazione erano “…finalizzate ad un ulteriore miglioramento delle acque del torrente Garbogera…” e che, quanto alla discarica attrezzata dei fanghi, essa “…sarebbe stata costituita, anche per esigenze funzionali, da una serie di settori di limitati dimensioni che verrebbero realizzati progressivamente. Ad esaurimento ciascun settore verrebbe ricoperto con terra di coltivo e piantumato…”; b3) infine che l’ubicazione dell’impianto era stata determinata dall’esigenza tecnica di situare le costruende opere immediatamente a valle del primo stadio di trattamento, già esistente ed in esercizio; 3) nel parere favorevole (in relazione alle esigenze di tutela ambientale del parco), espresso dall’Assessorato regionale all’ecologia e ai beni ambientali, con nota prot. 1351/LR/ma del 23 novembre 1979, sul presupposto, tra l’altro, che, per quanto concerneva le vasche 3, 6, 7, 8 e 9, l’intervento ricadeva all’interno del parco, ma doveva considerarsi consentito in quanto “adeguamento igienico” di edifici esistenti.
6.3.2. Sotto altro concorrente profilo, l’intervento oggetto del decreto impugnato è stato correttamente considerato quale impianto nuovo e non come mero ampliamento di quello esistente, essendo del tutto diverso da quest’ultimo, sia sotto il profilo quantitativo che sotto quello qualitativo.
La differenza quantitativa è ammessa, tra l’altro, dalla stessa società appellante, secondo cui l’intervento proposto è finalizzato ad aumentare la capacità di esercizio dell’impianto da 5.500 abitanti equivalenti a circa 46.000 abitanti.
La differenza qualitativa emerge poi dallo stesso decreto impugnato che, dopo aver descritto lo stato attuale dell’impianto, evidenzia proprio le “variazioni” (quanto a caratteristiche generali, dimensionamento del progetto, tipologia dei rifiuti) oggetto dell’intervento previsto da BTE s.r.l., segnalando che essa “…intende sfruttarne la capacità residua per il trattamento di rifiuti speciali liquidi in conto terzi, inserendo nell’impianto una sezione chimico fisica (“unità operativa II”, nel seguito indicata con “u.o.2”), preliminare al trattamento biologico (“u.o.1”)”; che “…i rifiuti che si intende ricevere e trattare sono costituiti da acque di lavaggio e pulizia, soluzioni di sgrassaggio, acque madre, sali e loro soluzioni, acidi, solventi e loro soluzioni, derivanti da diversi processi produttivi, oltre a percolati di discarica, fanghi da fosse settiche o da pulizia di fognature…” e riportando infine anche la specifica (nuova) organizzazione dell’impianto ed il processo di trattamento.
Risultano pertanto essere mere opinioni personali, prive di qualsiasi riscontro probatorio, le deduzioni dell’appellante circa la asserita sostanziale continuità e identità tra i due impianti, quello esistente e quello risultante dall’ampliamento progettato, non potendo in tal senso essere sufficiente né il fatto che la struttura edilizia non subisca modificazioni esterne (così che dal punto vista meramente edilizio le opere da realizzare sarebbe da considerare come ristrutturazione) e tanto meno la dedotta necessità dell’intervento per rendere conveniente il mantenimento in servizio dell’impianto stesso (quest’ultima essendo una valutazione meramente soggettiva, concernente l’attività imprenditoriale dell’appellante, che come tale non rientra nell’ambito del sindacato di legittimità sul provvedimento impugnato).
6.3.3. I delineati elementi di fatto rendono priva di fondamento la tesi dell’erronea individuazione da parte dei primi giudici della normativa applicabile al caso di specie che, secondo l’appellante, non sarebbe da rintracciare nell’art. 31, par. 10, comma 5, delle NTA dello strumento urbanistico generale del Comune di Cesano Maderno, quanto piuttosto nell’art. 38, comma 5, lett. d), del PTC del Parco regionale della Groane.
Infatti, fermo restando che il secondo comma dell’art. 38 delle N.T.A. del piano regolatore del Comune di Cesano Maderno effettivamente stabilisce che “Per le aree comprese entro il perimetro del Parco delle Groane, le disposizioni del PTC del Parco e dei relativi piani di settore prevalgono sulle disposizioni del PRG”, l’invocato art. 38, comma 5, lett. d), del Piano territoriale di coordinamento del Parco non può trovare applicazione, consentendo essa la realizzazione di “d) servizi ed impianti annessi all’industria, compresi gli impianti di depurazione e gli standard di legge”, laddove nel caso di specie l’impianto di cui si chiede la realizzazione non è più annesso all’industria ed in particolare all’attività della Snia Viscosa che ne richiese la realizzazione.
Correttamente quindi i primi giudici, per l’obiettivo venir meno del vincolo di pertinenzialità e per la diversità, quantitativa e qualitativa, dell’impianto progettato rispetto a quello originario, hanno considerato il primo quale nuovo impianto di smaltimento rifiuti, la cui realizzazione è vietata sia dall’art. 16, lett. g), del Piano territoriale di coordinamento del Parco che dall’art. 31, par. 10, comma 5, delle N.T.A. del piano regolatore del Comune di Cesano Maderno.
6.4. La sostanziale identità delle censure proposte con il quarto, il quinto ed il sesto motivo di gravame, rubricati rispettivamente “4) Errore nel giudicare: sul presunto difetto di motivazione e di istruttoria del provvedimento di V.I.A.”; “5) Errore nel giudicare e difetto di motivazione circa la presunta omessa considerazione del parere della Direzione regionale Reti e Servizi di pubblica utilità”; e “6) Superamento dei limiti del sindacato giurisdizionale. Errata tecnica di sindacato sull’azione amministrativa”, ne consente la trattazione congiunta: anch’esse sono infondate.
6.4.1. Come si è avuto modo di rilevare in precedenza il progetto proposto dalla appellante B.T.E. s.r.l. non può essere considerato un mero ampliamento dell’impianto precedente, costituendo invece un vero e proprio nuovo impianto (di trattamento di rifiuti).
E’ proprio tale circostanza a determinare, già da sola, la correttezza della sentenza impugnata e l’infondatezza del quarto motivo di gravame, in quanto proprio in ragione della “novità” dell’impianto da realizzare dovevano essere puntualmente apprezzate ed esaminate le possibili implicazioni che esso avrebbe avuto sull’ambiente circostante, non potendo dubitarsi della valenza paesaggistica dell’area e dell’esistenza del sito di interesse comunitario Boschi delle Groane, della presenza del torrente Garbogera e dell’oasi naturalistica della L.I.P.U..
Della effettiva considerazione e ponderazione di tali significativi elementi non vi è traccia nel provvedimento impugnato, benché in esso si dia atto che gli stessi erano emersi nel corso della Conferenza dei servizi del 10 marzo 2006 ed avevano giustificato il parere negativo sul progetto espresso proprio dagli enti ricorrenti in primo grado, così che può ragionevolmente ritenersi che essi siano stati quanto meno sottovalutati dall’amministrazione regionale in quanto il progetto in esame era stato considerato quale mero ampliamento dell’impianto esistente, collocato in un’area industriale consolidata e degradata, valutazione anche questa che denota un’approssimativa istruttoria..
Ciò rende del tutto irrilevante, ai fini della pretesa correttezza del provvedimento impugnato, la circostanza che in esso, come sottolineato dall’appellante, si sia tenuto conto dello studio di impatto ambientale e si sia fatto riferimento al quadro ambientale in generale ed in particolare all’atmosfera e agli odori, all’ambiente idrico, al suolo e al sottosuolo, al rumore, alla salute, alla vegetazione, flora e fauna, ecosistemi, al paesaggio e alla salute pubblica, atteso che, per un verso, il giudizio su tali elementi è stato comunque condizionato dal non corretto apprezzamento del progetto (nuovo impianto e non ampliamento di quello esistente) e, per altro verso, che la stessa amministrazione regionale ha rinviato la ulteriore verifica di tali aspetti al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione integrale ambientale (che peraltro è stata negata dalla Provincia di Monza e Brianza con provvedimento n. 3190/2012 dell’8 novembre 2012, proprio in considerazione, tra l’altro, della vicinanza di un SIC, del pregiudizio che potrebbe derivare al torrente Garbogera, della presenza su di un’area limitrofa all’impianto di un’oasi naturalistica e agli impatti negativi di eventuali emissioni maleodoranti).
6.4.2. Altrettanto correttamente poi i primi giudici hanno rilevato il difetto di istruttoria del provvedimento impugnato per la omessa considerazione del parere, sostanzialmente negativo, emesso dalla Direzione generale Reti e Servizi di Pubblica Utilità della stessa Regione Lombardia con la nota in data 18 aprile 2006.
Lo stesso appellante ammette in realtà tale carenza istruttoria, deducendone tuttavia la sua irrilevanza sul presupposte che le lacune indicate in quella relazione sarebbero state superate dall’approfondita attività istruttoria successivamente svolta.
Sennonchè, anche a voler ammettere che, in omaggio ai principi di snellimento, semplificazione e di efficienza dell’azione amministrativa, l’articolata e complessa attività istruttoria effettivamente svolta in un procedimento amministrativo in una materia delicata e sensibile, quale quella di cui si discute, possa determinare automaticamente l’assorbimento di un originario parere negativo di un altro ufficio della stessa amministrazione procedente, deve osservarsi innanzitutto che gli altrettanti fondamentali principi di buona andamento ed imparzialità ed il corollario della trasparenza dell’azione amministrativa, impongono che di tale assorbimento o superamento sia dato effettivamente conto, rendendolo manifesto con idonea motivazione, non potendo invece ammettersi che esso sia meramente implicito (come sarebbe avvenuto nel caso di specie, secondo la ricostruzione dell’appellante); peraltro nel caso di specie tale preteso assorbimento neppure può effettivamente ritenersi verificato, giacché le ragioni del parere negativo del 18 aprile 2006 della Direzione generale Reti e Servizi di Pubblica Utilità risiedevano, tra l’altro, proprio nel “quadro di riferimento ambientale” ed in particolare nel fatto che il progetto presentato non sembrava “…garantire un appropriato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso…”, a causa della “…inadeguatezza della relazione tecnica e della promiscuità con cui si intendono depositare e trattare i rifiuti, non valutando le possibile ricadute sull’ambiente…”, potendo pertanto sul punto richiamarsi le considerazioni svolte al precedente punto 6.4.1.
6.4.3. Quanto infine al presunto straripamento dei poteri in cui sarebbero incorsi i primi giudici, è sufficiente osservare che, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, questi non hanno affatto sostituito con la sentenza la determinazione amministrativa contenuta nel decreto impugnato, essendosi invece doverosamente limitati, nel rispetto del corretto esercizio del potere di sindacato sulla legittimità dell’azione amministrativa e senza invadere l’area delle scelte discrezionali e di merito proprie dell’amministrazione, a rilevare l’illegittimo esercizio della funzione amministrativa esercitata.
Dalla motivazione della sentenza impugnata del resto emerge, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’annullamento del provvedimento è stato determinato dalla riscontrata sussistenza di uno dei vizi tradizionali dell’atto amministrativo (eccesso di potere nella figura sintomatica del difetto di istruttoria e di travisamento dei fatti), senza che ciò faccia venir meno il potere/dovere dell’amministrazione di provvedere nuovamente, ma correttamente nel rispetto dei fondamentali principi costituzionali di legalità ed imparzialità, predicati dall’articolo 97 della Costituzione, sulla base di una corretta, adeguata ed approfondita istruttoria in cui siano puntualmente verificati, appurati ed apprezzati tutti i fatti rilevanti della fattispecie, in quanto espressione di interessi, pubblici e privati; in tale prospettiva l’esame di alcuni di quei fatti (nei limiti e nei sensi in cui sono stati prospettati dalle parti ricorrenti in primo grado) e la dichiarata fondatezza delle censure articolare rileva soltanto ai fini dell’effetto conformativo proprio del giudicato amministrativo, senza inibire direttamente il potere amministrativo astrattamente esercitabile.
E’ inoltre del tutto ultroneo e comunque irrilevante il richiamo dell’appellante alla amplissima discrezionalità di cui è titolare l’amministrazione per sostenere la legittimità del provvedimento impugnato in primo grado, atteso che il limite intrinseco della discrezionalità è dato proprio dalla ragionevolezza e coerenza delle scelte concretamente operate, in quanto fondate su di un’adeguata ed approfondita istruttoria che abbia consentito la corretta emersione di tutti gli elementi di fatto e la conseguente valutazione complessiva degli interessi in gioco (cosa che non è avvenita nel caso di specie).
6.5. Quanto al settimo motivo“7) Errore nel giudicare sulla presunta assenza di legittimazione della B.T.E. s.r.l. ad avviare il procedimento di V.I.A.”, la Sezione rileva che effettivamente le conclusioni cui sono pervenuti i primi giudici non sono condivisibili; tuttavia la fondatezza del motivo in esame non è sufficiente ai fini del pieno accoglimento dell’appello (e del conseguente rigetto del ricorso di primo grado).
Infatti, indipendentemente da ogni questione sulla tempestività dell’eccezione formulata con i motivi aggiunti dalle ricorrenti in primo grado, deve convenirsi sul fatto che, per un verso, nessuna norma prevede espressamente per la valida presentazione della domanda di compatibilità ambientale di un progetto la dimostrazione della proprietà del relativo impianto (l’art. 5 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, definisce alla lett. r) il proponente, quale soggetto pubblico o privato che elabora il piano, programma o progetto soggetto alle disposizioni del presente decreto, ed alla lettera r – bis), introdotta dall’art. 2 del D. Lgs. 28 giugno 2010, n. 128, quale gestore, qualsiasi persona fisica o giuridica che detiene o gestisce l’impianto oppure dispone di un potere economico determinate sull’esercizio tecnico dell’impianto stesso) e, per altro verso, che non è neppure stato contestato che effettivamente al momento della presentazione del progetto la società B.T.E. s.r.l. avesse in corso di acquisizione la proprietà dell’impianto di depurazione in questione (in virtù di un contratto preliminare di compravendita sottoposta a condizione sospensiva, la cui efficacia era stata più volte consensualmente prorogata).
Il fatto poi che la cessione sia stata effettivamente formalizzata solo nel 2010 e che il decreto impugnato indichi la B.T.E. s.r.l. come proprietaria dell’impianto non costituisce di per sé elemento idoneo a dubitare della legittimazione della predetta società a presentare il progetto oggetto del decreto impugnato (ogni relativa controversia sul punto riguardando esclusivamente i rapporti tra il venditore e l’acquirente).
Tuttavia ciò, come già si è rilevato, è del tutto influente sul contenuto del predetto decreto impugnato e sulla sua riscontrata illegittimità.
7. In conclusione l’appello deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da B.T.E. s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. IV, n. 2644 del 5 novembre 2012, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento in favore delle parti costituite (Provincia di Monza e Brianza, Comune di Cesano Maderno, Comune di Limbiate, Comune di Bovisio Masciago) delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in complessivi €. 6.000,00 (seimila), €. 1.500,00 (millecinquecento) per ognuna di esse.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore
Manfredo Atzeni, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/03/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


APPALTI & SOCIETA' PUBBLICHE: la fungibilità degli schemi negoziali dell'appalto e della società ed i relativi limiti (Cons. St., Sez. V, sentenza 23 dicembre 2013 n. 6191).


APPALTI & SOCIETA' PUBBLICHE: 
la fungibilità degli schemi negoziali 
dell'appalto e della società ed i relativi limiti 
(Cons. St., Sez. V,
 sentenza 23 dicembre 2013 n. 6191).


Massima

Negli appalti pubblici l'affidamento in house può ritenersi compatibile con gli imperativi comunitari di apertura alla concorrenza se il socio privato è selezionato con procedura ad evidenza pubblica; se, nell'ottica di una piena fungibilità tra gli schemi negoziali dell'appalto e della società, detto socio è affidatario di compiti di carattere operativo, posti a base della gara, e non già mero apportatore di capitale; se, infine, la società ha un oggetto sociale definito, consistente nello svolgimento del servizio e non già aperto genericamente a molteplici servizi o attività di interesse pubblico, nonché a tempo determinato, con obbligo di rinnovo della gara alla scadenza.

Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10213 del 2011, proposto da:
Anav - Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori, in persona del presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Carlo Colapinto, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Panama 74, int. 8; 
contro
Comune di Bari, in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Biancalaura Capruzzi e Rosa Cioffi, con domicilio eletto presso Roberto Ciociola in Roma, via Bertoloni 37; 
nei confronti di
Amtab s.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Licia Campione, con domicilio eletto presso Giandomenico Riggio in Roma, via degli Scipioni, 132;
Regione Puglia; 

sul ricorso numero di registro generale 10215 del 2011, proposto da:
Anav - Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori, in proprio e in rappresentanza delle imprese associate, in persona del presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Carlo Colapinto, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Panama 74, int. 8; 
contro
Comune di Bari, in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Biancalaura Capruzzi e Rosa Cioffi, con domicilio eletto presso Roberto Ciociola in Roma, viale delle Milizie 2; 
nei confronti di
Amtab s.p.a., in persona del presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Gennaro Notarnicola, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 5;
Regione Puglia; 
per la riforma
quanto al ricorso n. 10213 del 2011:
della sentenza del T.a.r. Puglia – Bari, Sezione I, n. 01334/2011, resa tra le parti, concernente affidamento servizio trasporto pubblico locale;
quanto al ricorso n. 10215 del 2011:
della sentenza del T.a.r. Puglia – Bari, Sezione I, n. 01336/2011, resa tra le parti, concernente avvio di procedure competitive ad evidenza pubblica per la selezione del socio privato con partecipazione del 40%;

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Bari ed Amtab s.p.a;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2013 il Cons. Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Paccione, per delega di Colapinto, Cioffi, Riggio, e Molfetta, per delega di Notarnicola;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. La ANAV - Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori proponeva, in rappresentanza dell’interesse collettivo delle imprese esercenti l’attività di trasporto, ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso la delibera della giunta del Comune di Bari n. 262 del 9 aprile 2009.
Con tale atto l’organo comunale esecutivo aveva disposto di verificare la sussistenza dei presupposti per affidare in via diretta alla propria società in house Amtab s.p.a. il servizio di trasporto pubblico comunale, mediante la procedura prevista dall’art. 23-bis, commi 3 e 4, l. n. 133/2008 (di conversione, con modifiche, del d.l. n. 112/2008 "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria"), contestualmente disponendo che la predetta propria partecipata proseguisse il servizio nelle more di tale verifica.
La delibera impugnata era stata adottata dopo che questa Sezione, con sentenza 3 febbraio 2009, n. 591, aveva annullato l’affidamento diretto precedentemente disposto dall’amministrazione (con delibera consiliare n. 238 del 18 dicembre 2003) in favore della dante causa Amtab servizio s.p.a..
2. In seguito ad opposizione del Comune, l’impugnativa veniva trasposta davanti al TAR Puglia – sede di Bari.
Con sentenza n. 1334 del 15 settembre 2011, il TAR dichiarava l’impugnativa in parte inammissibile, reputando la delibera giuntale mero atto di inizio di un procedimento, e dunque non immediatamente lesivo, ed improcedibile nella parte relativa alla proroga dell’affidamento in favore della società in house, alla luce della sopravvenuta – ed a suo dire non impugnata - delibera consiliare n. 2 del 7 gennaio 2010.
3. Con quest’ultimo provvedimento, infatti, il Comune di Bari disponeva una proroga analoga, questa volta motivata dall’avvio di una procedura di evidenza pubblica per la selezione del socio privato con quota di partecipazione del 40% del capitale sociale di Amtab s.p.a. (società in house a partecipazione pubblica totalitaria), in attuazione di quanto previsto del citato art. 23-bis, comma 2, come modificato dall’art. 15 del d.l. n. 135/2009 ("Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee").
4. Nondimeno, anche contro questa delibera la Anav aveva proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, poi trasposto davanti al medesimo TAR Barese.
4.1 Con sentenza in pari data, n. 1336, quest’ultimo dichiarava peraltro inammissibile tale impugnativa.
Tale statuizione si fondava sulla regola dell’esclusività dell’impugnativa giurisdizionale degli atti delle procedure di affidamento dei pubblici servizi, introdotta dall’art. 8, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 53/2010 (“Attuazione della direttiva 2007/66/CE che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE per quanto riguarda il miglioramento dell'efficacia delle procedure di ricorso in materia d'aggiudicazione degli appalti pubblici”). Il giudice di primo grado riteneva infatti applicabile alla presente impugnativa, in quanto entrata in vigore (dopo l’ordinario termine di vacatio dalla sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale) il 27 aprile 2010, prima quindi della proposizione del ricorso straordinario, notificato dall’Anav alle parti resistenti il 6 maggio 2010.
5. Quest’ultima ha appellato entrambe le sentenze.
Si sono costituiti in resistenza in entrambe le impugnazioni il Comune di Bari e la Amtab.
6. All’udienza pubblica del 30 aprile 2013 la difesa della medesima appellante ha lamentato che entrambe le pronunce di primo grado si fonderebbero su eccezioni preliminari mai dedotte dalle controparti e che pertanto sarebbero state emesse in violazione dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm..
6.1 Con ordinanza resa all’esito di tale udienza (n. 2383 del 2 maggio 2013) la Sezione, riuniti gli appelli per connessione ai sensi dell’art. 70 del codice del processo, ha assegnato alle parti termine per il deposito di memorie in ordine al motivo di nullità dedotto da parte appellante.
6.2 Effettuato l’incombente, all’udienza del 3 dicembre 2013 gli appelli sono stati trattenuti in decisione.

DIRITTO
1. Preliminarmente va confermata la riunione degli appelli già disposta con la citata ordinanza interlocutoria n. 2383/2013.
Sono infatti palesi le ragioni di connessione, tanto soggettiva, trattandosi di giudizi relativi alle stesse parti, quanto oggettiva, perché relativi alla medesima vicenda relativa all’affidamento del servizio pubblico di trasporto locale nel Comune di Bari in seguito al giudicato di cui alla sentenza di questa Sezione 3 febbraio 2009, n. 591.
2. Va quindi esaminata la questione relativa alla supposta nullità delle due sentenze di primo grado qui appellate, che la difesa della ANAV ha dedotto all’udienza di discussione del 30 aprile 2013.
2.1 In virtù di tale circostanza, e del fatto che tale questione non è stata sollevata in nessuno dei due appelli qui in decisione, tale censura deve essere dichiarata inammissibile.
Come esattamente osservano infatti le parti appellate, l’emissione di una sentenza c.d. della terza via, per violazione dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm., si sostanzia in un vizio di nullità della stessa. Conseguentemente, a tale vizio è applicabile il principio di conversione delle cause di nullità della sentenza in motivi d’appello, sancito dall’art. 161 cod. proc. civ. e pacificamente applicabile, in virtù del rinvio “esterno” contenuto nell’art. 39 del codice di cui al d.lgs. n. 104/2010, al processo amministrativo.
Sarebbe pertanto stato onere della ANAV dedurre tale motivo nei propri appelli. Non avendolo fatto, la stessa è irrimediabilmente decaduta da tale facoltà.
3. Devono a questo punto essere esaminate le eccezioni preliminari riproposte dalla appellata Amtab.
Nessuna di queste è fondata.
3.1 Non è innanzitutto vero che l’interesse fatto valere da Anav in questo giudizio è quello della Co.tr.a.p., impresa di trasporto unica partecipante alla procedura concorsuale ad evidenza pubblica indetta con deliberazione di giunta municipale n. 621/2003, dandosi dunque luogo ad una non prevista sostituzione processuale ex art. 81 cod. proc. civ..
Come già rilevato dal TAR, l’interesse sostanziale fatto valere dall’odierna appellante è in realtà quello di categoria, vale a dire di tutte le imprese di trasporto, e nel caso di specie diretto ad assicurare la massima concorrenzialità nell’affidamento del servizio di trasporto locale per la città di Bari. In quest’ottica, l’odierna appellante si è limitata a prospettare, quale alternativa ai modelli gestionali del servizio di trasporto prescelti dall’amministrazione, la possibilità di riavviare la procedura di affidamento ora detta. Ciò che viene in rilievo nel presente giudizio è dunque dell’ “interesse istituzionalizzato”, come affermato dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (sentenza 4 giugno 2010, n. 11), dell’apertura al mercato di detto servizio, di cui è certamente portatrice l’associazione di categoria odierna appellante.
3.2 Quanto al fatto che gli atti qui impugnati sono stati censurati per violazione o elusione del giudicato nelle forme del giudizio ordinario di legittimità, anziché mediante ricorso per ottemperanza, è vero che l’Adunanza plenaria ha di recente stabilito (sentenza 15 gennaio 2013, n. 2) che quest’ultima è la sede naturale per la deduzione di detto vizio, ma è del pari vero che l’adozione del rito ordinario lungi dal vulnerare i diritti di difesa delle controparti, consente a quest’ultime di esplicare le facoltà difensive in maggior grado rispetto al rito camerale cui è assoggettato il ricorso per l’ottemperanza, tanto è vero che il codice del processo amministrativo sanziona con la nullità la violazione delle norme sulla pubblicità dell’udienza e non già l’inverso (art. 87, comma 1).
3.2.1 In ogni caso, ciò non determinerebbe l’inammissibilità del ricorso, ma del solo motivo in questione.
3.3 Infondata è anche l’eccezione di irricevibilità proposta da Amtab per tardiva impugnazione delle delibere giuntali prodromiche a quella poi impugnata (n. 609 del 3 luglio 2008 e n. 963 del 7 ottobre 2008), atteso che l’interesse ad agire, come prospettato dalla Anav, può dirsi sorto solo con la delibera della giunta del Comune di Bari n. 262 del 9 aprile 2009, ritualmente impugnata, con la quale l’amministrazione ha deciso di sperimentare la possibilità di ricorrere all’affidamento in house del servizio di trasporto pubblico ai sensi del sopravvenuto art. 23-bis d.l. n. 112/2008 (conv. con modificazioni dalla l. n. 133/2008). La delibera n. 609 consiste in una semplice presa d’atto dell’annullamento giurisdizionale, pronunciato da questo Consiglio di Stato (dispositivo n. 301 del 9 aprile 2008), dell’affidamento con le medesime modalità precedentemente disposto (delibera consiliare n. 238 del 18 dicembre 2003), in pendenza del deposito della motivazione. Non si vede poi quale lesività dell’interesse collettivo di cui l’Anav è ente esponenziale rivesta la delibera n. 963, visto che con quest’ultima la giunta ha incaricato la competente ripartizione della semplice predisposizione degli “atti tecnici necessari all’attivazione della procedura di evidenza pubblica per l’affidamento dei servizi riguardanti il Trasporto Pubblico Locale”, e dunque del mero avvio di una procedura in ipotesi satisfattiva di detto interesse collettivo.
3.4 Per le medesime considerazioni deve essere respinta anche l’eccezione di inammissibilità per difetto di interesse, a causa dell’omessa impugnazione delle delibere di giunta municipale n. 463 del 7 giugno 2004 e del consiglio comunale n. 75 del 5 agosto 2008, con le quali sono state disposte, rispettivamente, la revoca della precedente deliberazione n. 621 del 17 luglio 2003, di avvio degli adempimenti preliminari per l’espletamento della gara pubblica per l’affidamento del servizio, e l’approvazione del nuovo statuto societario dell’Amtab.
Anche queste delibere, infatti, sono state completamente superate da quella impugnata in questa sede.
4. Può dunque passarsi al merito delle censure ritualmente formulate nei due appelli riuniti, a cominciare da quello relativo alla sentenza n. 1334/2011.
4.1 In tale gravame, l’ANAV censura, per contraddittorietà, il primo capo della sentenza, evidenziando che lo stesso TAR ha da un lato esattamente colto l’interesse collettivo azionato in giudizio, avente carattere oppositivo a “la sottrazione del servizio di trasporto pubblico urbano al confronto concorrenziale tra le imprese del settore” (così in sentenza), non valorizzando, dall’altro lato, il fatto che la delibera giuntale impugnata consiste in un nuovo affidamento in house.
4.2 La medesima associazione critica inoltre la successiva statuizione di improcedibilità resa con riguardo alla proroga del servizio in favore della Amtab, evidenziando in contrario di avere impugnato davanti allo stesso giudice la sopravvenuta delibera consiliare n. 2/2010, con ricorso iscritto al n. di r.g. 1193/2010“discusso davanti allo stesso Collegio (stesso Estensore) alla medesima udienza del 22 giugno 2011” (così nell’appello).
4.3 Sul punto, il Comune di Bari osserva che:
- la statuizione di inammissibilità si fonda sul rilievo che la delibera giuntale impugnata consiste nell’avvio di una indagine amministrativa volta a verificare la possibilità, in base alla legislazione vigente, di proseguire nel modello di gestione in house del servizio, dopo che il consiglio comunale, con delibera n. 75 del 5 agosto 2008, aveva modificato lo statuto della Amtab, precludendo la possibilità che al capitale di questa possano partecipare soggetti privati, in tal modo dando esatta esecuzione al dictum giurisdizionale di annullamento dell’affidamento diretto disposto dal medesimo organo consiliare con la citata delibera n. 238/2003;
- parimenti corretta è la statuizione di improcedibilità, visto che l’impugnativa proposta dalla ANAV avverso la sopravvenuta delibera n. 2/2010 è stata dichiarata inammissibile dal TAR con sentenza n. 1336/2011 e che, inoltre, la proroga del servizio in favore della Amtab è stata reputata rispettosa del giudicato di cui alla decisione n. 591/2009 dallo stesso Consiglio di Stato, adito in ottemperanza dall’odierna appellante (sentenza 29 marzo 2011, n. 1916).
4.4 Anche la Amtab, dal canto suo, sottolinea che la predetta sopravvenienza provvedimentale avrebbe determinato l’improcedibilità dell’impugnativa.
4.5 Ad avviso del Collegio il rilievo dell’inammissibilità svolto dal TAR è conforme a diritto e corretto nelle ragioni addotte a relativo sostegno, ulteriormente ribadite dall’amministrazione resistente. Del pari è corretta la statuizione di improcedibilità per la parte relativa alla proroga del servizio, ma in questo caso la motivazione va corretta nei termini che seguono.
4.5.1 Deve ancora una volta ribadirsi, con riguardo al primo profilo, che l’interesse ad agire azionato dalla Anav è l’interesse a che il Comune di Bari ricorra al mercato per affidare il servizio di trasporto pubblico locale nel proprio territorio.
Ciò detto, in quanto tendente semplicemente a sperimentare la strada dell’affidamento diretto, nei ristretti limiti consentiti dall’allora vigente art. 23-bis l. n. 133/2008 - soggiunge il Collegio -, l’asserito contrasto con l’effetto conformativo discendente dal giudicato di cui alla decisione di questa Sezione n. 591/2009 è rimasto ad uno stadio iniziale, senza tradursi in determinazioni amministrative definitive. Infatti, la giunta si è limitata ad incaricare i competenti uffici di “porre in essere le attività tese ad acquisire la sussistenza delle condizioni previste dal comma 3 dell’art. 23bis Legge 133/2008, nonché l’ulteriore attività procedimentale stabilita dal successivo comma 4, ai fini dell’affidamento ex novo ad AMTAB Spa del servizio di TPL”, senza assumere alcuna decisione finale.
Ed a riprova di quanto ora detto, è il caso di evidenziare che l’amministrazione ha in seguito mutato radicalmente posizione, optando poi, con la delibera giuntale n. 2/2010, in conseguenza delle modifiche apportate al predetto art. 23-bis dal d.l. n. 135/2009, per il diverso modulo della società mista.
4.5.2 Come sopra accennato, non è invece condivisibile il rilievo dell’improcedibilità in relazione alla decisione di prorogare il servizio alla Amtab, a causa dell’omessa impugnativa di quest’ultima sopravvenienza provvedimentale. Come infatti deduce l’appellante, lo stesso TAR, nella medesima composizione, ha deciso (con sentenza n. 1336/2011) alla stessa udienza in cui è stato trattenuto in decisione il ricorso avverso la delibera giuntale n. 262/2009 la separata impugnativa proposta dalla Anav avverso la delibera giuntale n. 2/2010.
4.6 La sopravvenuta carenza di interesse deve invece essere ravvisata per il fatto che la prima delibera giuntale in ordine cronologico è stata superata dalla successiva in ordine cronologico, attraverso la quale l’amministrazione, in conseguenza delle sopra dette sopravvenienze normative, ha autonomamente rivalutato funditus la questione dell’affidamento del servizio di trasporto pubblico comunale, orientandosi verso il diverso ed incompatibile modulo gestorio della società mista previa selezione a mezzo di procedura ad evidenza pubblica del socio privato. Per questa specifica e diversa ragione ha dunque deciso di prorogare l’affidamento del servizio in favore della Amtab.
5. L’appello avverso la sentenza n. 1334/2011 deve dunque essere respinto, salva la correzione motivazionale ora detta.
6. Deve quindi passarsi all’appello nei confronti della sentenza n. 1336/2011.
6.1 Il mezzo è innanzitutto fondato nella parte diretta a censurare la statuizione di inammissibilità emessa dal TAR.
E’ vero infatti che l’atto normativo di recepimento della c.d. direttiva ricorsi 2007/66/CE, vale a dire il d.lgs. n. 53/2010, è entrato in vigore anteriormente alla proposizione del ricorso straordinario della ANAV poi trasposto in sede giurisdizionale.
E’ tuttavia altrettanto vero quanto l’appellante afferma e cioè che l’applicazione del divieto di utilizzare il suddetto rimedio giustiziale nella materia degli appalti, con essa introdotto, non può essere applicato retroattivamente, nei confronti cioè di atti emanati prima di detta entrata in vigore.
6.2 In contrario, non ha pregio richiamare il parere dell’Adunanza generale di questo Consiglio di Stato in data 3 agosto 2011 (affare n. 7/2011).
In quel caso, il massimo organo consultivo ha fatto applicazione del principio della perpetuatio iurisdictionis sancito dall’art. 5 cod. proc. civ., ora invocato dall’amministrazione appellata, escludendo che ad un ricorso straordinario in materia devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, proposto in epoca antecedente alla data di entrata in vigore del codice del processo amministrativo, fosse applicabile il divieto introdotto da quest’ultimo di utilizzare tale rimedio al di fuori della giurisdizione amministrativa (art. 7, comma 8 cod. proc. amm.).
L’Adunanza generale ha dunque risolto una questione concernente la proponibilità del ricorso straordinario insorta dopo che questo era stato proposto, facendo applicazione della regola costantemente affermata volta a risolvere conflitti di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo sulla base del generale disposto contenuto nel citato art. 5 cod. proc. civ. per tale evenienza.
6.3 Diversa è invece la questione di proponibilità del ricorso straordinario che viene in rilievo nella presente fattispecie. Qui, infatti, la modifica è intervenuta durante la pendenza del termine per avvalersene.
Questa precisazione è dirimente, consentendo di fare applicazione dei rilievi che la stessa Adunanza generale ha svolto con riguardo al caso da essa deciso in quel parere, nella parte in cui ha rimarcato che l’applicazione del divieto di cui al citato art. 7, comma 8, del codice del processo amministrativo sarebbe avvenuta, in quel caso, in via retroattiva. L’Adunanza generale ha in sostanza enucleato la ratio della regola della perpetuatio iurisdictionis, consistente cioè nell’impedire l’applicazione retroattiva di una norma di legge allorché essa incida sfavorevolmente sul diritto di azione (elaborata ben prima dell’affermazione della translatio iudicii), assicurando in tal modo la salvezza degli effetti delle situazioni giuridiche già perfezionatesi nel vigore di una legge, ma la cui proiezione effettuale si protragga sino all’introduzione di una nuova legge modificativa della precedente.
6.3.1 Questa ora accennata è la chiave di volta per risolvere la questione che qui si esamina, in senso opposto a quanto statuito dal giudice di primo grado.
La situazione di pendenza del termine, avente autonomia dal punto di vista strutturale rispetto all’atto di esercizio del potere di azione ad esso assoggettato, si era infatti realizzata prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 53/2010, con l’emanazione della delibera consiliare poi impugnata dalla ANAV.
A quell’epoca, quest’ultima avrebbe quindi potuto pacificamente ricorrere al Presidente della Repubblica. Prima che i 120 giorni previsti spirassero, è tuttavia entrato in vigore il provvedimento normativo da ultimo menzionato.
Qui si coglie in particolare l’effetto retroattivo del divieto di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 53/2010, che sulla base della soluzione fatta propria dal TAR si determinerebbe, pervenendosi a statuire improponibilità del ricorso straordinario sin dall’epoca dell’emanazione dell’atto. Ed allora, è evidente che negare l’esperibilità del rimedio giustiziale a causa della sopravvenienza normativa nella pendenza del termine per proporlo conduce a negarne la proponibilità
Il tutto, come osserva l’appellante, inoltre, in chiaro contrasto non solo con la ratio ricavabile dall’art. 5 cod. proc. civ., ma anche con l’art. 24 Cost., visto che esso opererebbe quando il termine di 60 giorni per l’impugnativa giurisdizionale era già spirato, in pendenza del quale, nondimeno, detta parte poteva confidare sulla regola dell’alternatività con il ricorso straordinario.
7. Devono a questo punto essere esaminate le censure avverso il provvedimento impugnato in primo grado.
Cominciando da quelle di carattere sostanziale, con il primo motivo si sostiene che attraverso la delibera impugnata il Comune di Bari avrebbe eluso il giudicato di annullamento dell’affidamento diretto del servizio alla Amtab, attraverso un nuovo affidamento dello stesso alla medesima società.
7.1 Detta doglianza non tiene tuttavia conto che con la sentenza n. 591/2009 questa Sezione ha censurato non già l’affidamento diretto in sé, ma ha rilevato l’insussistenza del presupposto del controllo analogo necessario a dare luogo ad un legittimo affidamento in house, a causa della possibilità che nel capitale dell’affidataria diretta potessero entrare soggetti privati.
A conforto di tale rilievo va sottolineato che questa Sezione, nella sentenza 29 marzo 2011, n. 1316, resa in sede di giudizio di ottemperanza nei confronti del suddetto giudicato, ha dichiarato inammissibile il ricorso della medesima Anav alla luce delle determinazioni assunte dall’amministrazione resistente in seguito all’annullamento dell’affidamento disposto con delibera consiliare n. 238 del 18 dicembre 2003.
Conviene riportare il seguente passaggio: “Successivamente al giudicato l’ente, pur non potendo interrompere bruscamente il servizio già affidato alla società suddetta (trattandosi di un servizio di mobilità cittadina che, naturalmente, deve avere per necessità un continuum di attività): a) ha modificato le clausole statutarie onde impedire la vendita a terzi delle azioni; b) si è comunque premurato di porre in essere una procedura di evidenza pubblica per la individuazione di un socio privato (a cui attribuire il 40 per cento delle azioni) nell’ambito di una società mista a cui assegnare il trasporto pubblico locale nella città di Bari; c) ha emanato ulteriori delibere in ossequio alla normativa sopravvenuta in materia di società miste (art. 23 bis, d.l. n. 112 del 2008, l. n. 166 del 2009 che lo ha novellato)”.
La modifica dello statuto richiamata al punto a) è quella adottata con delibera consiliare n. 75 del 5 agosto 2008, con la quale il Comune di Bari, nelle more del deposito della sentenza n. 591/2009 dopo la pubblicazione del dispositivo (n. 301 del 9 aprile 2008), ha modificato lo statuto della Amtab, al fine di adeguarlo ai principi comunitari e nazionali in materia di società in house.
7.1.1 Qui è ancora il caso di soggiungere che non può indurre ad accogliere il motivo la circostanza, valorizzata dall’appellante, che l’amministrazione abbia manifestato (con la delibera consiliare n. 1/2010, sulla base della proposta n. 2009/041/00005, di cui si dà atto nella delibera impugnata) l’intendimento di mantenere la partecipazione totalitaria detenuta nella predetta affidataria.
Sul punto il Comune di Bari ha buon gioco a replicare che tale decisione è stata adottata in esecuzione dell’obbligo imposto agli enti locali dall’art. 3, commi 27 e 28, della legge finanziaria per il 2008 (n. 244/2007), ma essa non costituisce ostacolo alla trasformazione della Amtab in società mista.
7.2 Segue poi l’esame del quarto motivo, nel quale si deduce la violazione dell’obbligo di affidare il servizio mediante gara, quale discendente, per il trasporto pubblico locale, dal combinato disposto degli artt. 23-bis l. n. 133/2008 (in allora vigente), 113, comma 1-bis, t.u.e.l. e 18 d.lgs. n. 422/1997 (“Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59”).
7.2.1 Anche questo motivo è infondato.
Come osserva l’appellata amministrazione, è proprio l’armonizzazione della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica introdotta dall’art. 23-biscitato ad avere condotto al recepimento, nel settore del trasporto pubblico locale, del modello di gestione della società mista.
Infatti, successivamente all’abrogazione per incompatibilità, ad opera del ridetto art. 23-bis, del comma 5, lett. b), dell’art. 113, t.u.e.l., che tale modello prevedeva, il regolamento attuativo della prima disposizione di cui d.p.r. n. 168/2010 è intervenuto specificamente sulla normativa di settore per il trasporto pubblico. Ciò attraverso l’espunzione dall’art. 18, comma 3-bis, d.lgs. n. 422/1997 dell’avverbio “esclusivamente”, che figurava in apertura del richiamo al precedente comma 2, relativo alle procedure concorsuali previste per l’affidamento del servizio di trasporto pubblico locale al termine del periodo transitorio caratterizzato dalla presenza di gestori in concessione. Da tale espunzione è quindi conseguita, in seguito alla generalizzazione del modello gestorio della società mista per tutti i servizi pubblici locali compresi nel campo di applicazione dell’art. 23-bis, per effetto delle modifiche introdotte con il d.l. n. 135/2009, la riespansione di questo anche al servizio di trasporto pubblico locale. E ciò sia perché tale modello non è espressamente eccettuato da tale norma generale, sia perché non derogato dalla normativa di settore ad esso relativa.
7.3 Il quinto motivo è inficiato da una premessa errata ed è pertanto infondato anch’esso.
Con esso, l’ANAV suppone che il ricorso alla società mista dia luogo ad un affidamento in house.
Nella sua perentorietà l’assunto è tuttavia contraddetto dai rilievi svolti dalla sezione II di questo Consiglio di Stato nel parere in data 18 aprile 2007 (affare n. 456/2007) e quindi dall’Adunanza plenaria, nella decisione 3 marzo 2008, n. 1.
In tali precedenti sono stati tracciati i limiti di compatibilità di tale modello con gli imperativi comunitari di apertura della concorrenza, essendosi ivi asserito che questi ultimi sono soddisfatti: allorché il socio privato sia selezionato con procedura ad evidenza pubblica; che, inoltre, nell’ottica di una piena fungibilità tra gli schemi negoziali dell’appalto e della società, tale socio sia affidatario di compiti di carattere operativo, posti a base della gara, e non già mero apportatore di capitale; che, infine, la società abbia dunque un oggetto sociale definito, consistente nello svolgimento del servizio e non già aperto genericamente a molteplici servizi o attività di interesse pubblico, nonché a tempo determinato, con obbligo di rinnovo della gara alla scadenza.
La censura è del tutto silente in ordine a tali specifici profili, rivelandosi dunque generica.
7.4 L’Anav stigmatizza poi il contrasto tra la delibera consiliare impugnata e quella adottata dalla giunta municipale in data 7 ottobre 2008, n. 963, con la quale si era incaricata la competente direzione di predisporre gli atti necessari all’indizione di una procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento del servizio.
In contrario può tuttavia osservarsi che tale delibera è stata emanata dopo la pubblicazione del dispositivo di annullamento sopra detto e nelle more del deposito della sentenza di questa Sezione, poi numerata 591/2009, allorché non era quindi chiaro il vincolo conformativo discendente da tale statuizione giurisdizionale. In seguito al deposito di quest’ultima ed al sopravvenuto art. 23-bis l. n. 133/2008 la stessa giunta ha adottato la delibera n. 262 del 9 aprile 2009, superata poi da quella adottata dal consiglio oggetto del presente giudizio, con la quale si è determinata nel senso di verificare la possibilità di affidare nuovamente in house il servizio.
Non vi è dunque contraddittorietà tra provvedimenti, ma una rivalutazione dei presupposti di legittimità del proprio operato una volta conosciuti i vincoli conformativi discendenti dal giudicato o dallo ius superveniens.
7.5 Può dunque passarsi ad esaminare le censure di ordine procedimentale.
Palesemente destituito di fondamento è il terzo motivo d’appello, con il quale l’ANAV si duole di non essere stata convocata alla conferenza di servizi tenuta dall’amministrazione resistente in data 23 marzo 2009, richiamata nella delibera impugnata.
Come ancora una volta controdedotto dal Comune di Bari, quella ora menzionata non è riconducibile in realtà al modello prefigurato dall’art. 14 e seguenti della legge generale sul procedimento amministrativo n. 241/1990, ma solo una riunione tra i rappresentanti dell’amministrazione, il segretario generale ed i responsabili dei servizi aventi competenza sull’affare.
7.6 Residua quindi il motivo con il quale viene lamentata l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge da ultimo citata.
Sul punto, non può innanzitutto convenirsi con la tesi dell’amministrazione, secondo cui nel caso di specie l’obbligo partecipativo in questione non era necessario, perché la stessa controparte aveva provveduto a notificarle, in data 7 maggio 2009, la sentenza n. 591/2009.
In primo luogo, l’assunto è erroneo perché suppone non dovuta la comunicazione di avvio del procedimento allorché questo scaturisca dall’iniziativa della parte privata, in contrasto invece con quanto si ricava dall’art. 8 l. n. 241/1990, il quale, nel disciplinare il contenuto di tale comunicazione, contiene una specificazione proprio con riguardo alla tipologia di procedimenti in questione (comma 2, lett. c-ter).
In secondo luogo perché la suddetta notifica non è idonea a mutare in procedimento ad iniziativa di parte quello che l’amministrazione deve doverosamente intraprendere d’ufficio per ottemperare al giudicato, in virtù di un obbligo su di essa gravante, ora sancito dall’art. 112, comma 1, cod. proc. amm., ma anche per il passato immanente al sistema di tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione ed incontestabilmente desunto, quindi, dall’ordinamento giuridico.
7.6.1 Questa notazione importa, specularmente, che nei confronti della parte privata vittoriosa nel giudizio da cui è scaturita la sentenza da ottemperare, sussiste indubbiamente una posizione giuridica differenziata e qualificata in seguito all’esito vittorioso in ordine all’impugnazione degli atti di gara (in termini si è espressa questa Sezione, nella sentenza 18 aprile 2012, n. 2261).
Tale titolo la avrebbe certamente legittimata a interloquire nel procedimento poi culminato con la delibera qui impugnata, al fine di prospettare all’amministrazione eventuali alternative di fatto.
7.6.2 Peraltro, essendosi accertato in questa sede processuale che il modello della società mista resiste alle censure dedotte dalla Anav, deve ritenersi perfezionata la sanatoria processuale di cui all’art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, l. n. 241/1990.
Giova infatti sottolineare sul punto che se queste censure non sono state ritenute fondate, non si vede quale utilità deriverebbe all’odierna appellante dall’accoglimento del motivo in esame, visto che il Comune di Bari potrebbe eseguire il giudicato semplicemente riadottando il modello della società mista per le considerazioni svolte nella presente pronuncia.
8. In conclusione, anche l’appello avverso la sentenza n. 1336/2011 deve essere respinto, con le precisazioni finora viste.
Nella complessità delle questioni trattate il Collegio ravvisa giusti motivi ex art. 92 cod. proc. civ. per compensare integralmente le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, li respinge entrambi, confermando le sentenze appellate con le correzioni di cui alla motivazione.
Compensa le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Manfredo Atzeni, Consigliere
Sabato Malinconico, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/12/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)