PROVVEDIMENTO:
i pareri, in quanto atti endoprocedimentali,
non sono impugnabili
(Cons. St. Sez. IV, sentenza 10 giugno 2013 n. 3184)
Massima
1. I pareri sono da ritenersi atti endoprocedimentali, mentre la valenza lesiva deve attribuirsi soltanto al provvedimento, inteso come atto che costituisce, modifica o estingue posizioni soggettive.
Nel caso di impugnativa di titolo edilizio a favore di altri, la valenza lesiva deve essere attribuita soltanto alla concessione, non sussistendo l’onere (ma solo eventualmente la facoltà) di abbracciare nell’impugnativa (che peraltro implicitamente li comprende quali atti presupposti) i pareri di tenore positivo.
I pareri sono atti non provvedimentali, come tali valutativi e strumentali alla emanazione di un determinato provvedimento.
Gli atti non provvedimentali non sono direttamente impugnabili, perché come tali insuscettibili di produrre effetti lesivi nelle situazioni giuridiche facenti capo a terzi. Fanno eccezione, caso che non rientra nella specie, gli atti endoprocedimentali allorquando assumono carattere di immediata lesività, come nel caso di pareri vincolanti negativi, che non lasciano all’interessato alcun dubbio sul contenuto e sull’esito della decisione finale (Cons. Stato, IV, 28 marzo 2012, n.1829; Consiglio Stato, sez. V, 2 aprile 2001, n. 1902).
2. Vale il principio secondo cui in presenza di una variante di concessione edilizia originaria e recante modifiche di non rilevante consistenza, è inammissibile il ricorso avverso la concessione in variante in mancanza di tempestiva impugnativa della originaria concessione, se la incisione (la lesione) è avvenuta con il primo provvedimento; è altresì evidentemente condivisibile il principio secondo cui l’impugnativa della concessione in variante non può certo comportare una rimessione in termini in caso di decadenza per l’impugnativa avverso l’atto originario.
Nella specie, tuttavia, la vicenda si pone in modo diverso, in quanto dalla relazione tecnica risulta evidente che la concessione in variante apporta un pregiudizio in sé autonomo e diverso rispetto a quanto assentito dalla concessione originaria, perché è essa variante (sul punto è chiara la sentenza appellata) e non già il precedente titolo abilitativo, a consentire la costruzione di un edificio di tre piani fuori terra, in luogo di un edificio di soli due piani fuori terra e cioè comporta la realizzazione di un fabbricato edilizio di maggiore entità sia sotto il profilo volumetrico che di superficie coperta.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4175 del 2006,
proposto da:
Ferrante Luigi, rappresentato e difeso dagli avv. Gian Luigi D'Amore, Leopoldo
Di Bonito, con domicilio eletto presso Leopoldo Di Bonito in Roma, via Arenula
21;
Comune di Piedimonte Matese, rappresentato e difeso
dall'avv. Gennaro Terracciano, con domicilio eletto presso Gennaro Terracciano
in Roma, largo Arenula N.34; De Biasi Luigi, rappresentato e difeso dall'avv.
Luigi Adinolfi, con domicilio eletto presso Paolo Di Martino in Roma, via
dell'Orso, 74; Napoletano Immacolata, Emiliana Erede De Biasi Luigi De Biasi,
Remigio Erede De Biasi Luigi De Biasi, Mirella Erede De Biasi Luigi De Biasi,
Giovanna Erede De Biasi Luigi De Biasi, Massimo Erede De Biasi Luigi De Biasi,
Monica Erede De Biasi Luigi Pangalli, Jessica Erede De Biasi Luigi Pangalli;
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE
IV n. 02467/2006, resa tra le parti, concernente concessione edilizia per
realizzazione fabbricato commerciale e residenziale
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile
2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Di Bonito e
Adinolfi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale
Amministrativo Regionale per la Campania, sezione di Napoli, i signori De Biasi
Luigi e Napoletano Immacolata, agivano per l’annullamento di varie concessioni
edilizie rilasciate ai coniugi Ferrante Vincenzo e Ferrante Rosa e cioè: la
n.162/AU/931 del 19.1.1999 per la realizzazione in via Matese di un fabbricato
ad uso commerciale e residenziale; la n.1991/AU/10943 del 9.6.2003 in favore
del solo Ferrante Luigi, avente ad oggetto la variante in corso d’opera della precedente;
la n.74/AU/912 del 16.1.2002, a favore di entrambi i coniugi, per la
realizzazione, nella stessa via, di fabbricato ad uso commerciale e
residenziale.
I ricorrenti, comproprietari di fabbricato con annesso
giardino sito in via Elci n.54, confinante da un lato con via Matese e
dall’altro lato con traversa interna di via Matese, deducevano i vizi di
violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili: 1) in
particolare sostenendo la falsa rappresentazione dello stato dei luoghi contenuta
nei progetti, in quanto, al fine di costruire sul confine della traversa
interna, la stessa veniva riportata come strada privata invece che comunale; 2)
sostenevano la violazione dell’altezza, perché l’altezza media dei fabbricati
limitrofi è di mt.7,50 come riportato nei grafici allegati alla prima richiesta
di concessione e non 10,37 come risulta dai grafici della domanda di variante;
3) inoltre, la variante non poteva essere concessa essendo la prima concessione
scaduta in data 19 gennaio 2002, trattandosi di modifiche strutturali,
inammissibili in corso d’opera; 4) sostenevano la difformità delle opere
realizzate rispetto a quanto assentito.
In data 27 ottobre 2003 e 3 dicembre 2003 si
costituivano in giudizio Ferrante Luigi e il Comune intimato, chiedendo la
declaratoria di inammissibilità del ricorso e comunque il rigetto per
infondatezza.
In data 24 settembre 2003 a seguito di presentazione
di esposti presentati dai ricorrenti, il Sindaco emanava una direttiva per
accertare la correttezza del calcolo della altezza dei fabbricati di contorno
nonché in generale della correttezza dei procedimenti assentiti a favore dei
coniugi Ferrante; il Responsabile del procedimento dapprima sospendeva i lavori
e successivamente revocava tale sospensione, archiviando la direttiva del
Sindaco; tale atto (del 20 ottobre 2003) del responsabile del procedimento
veniva impugnato con motivi aggiunti, nei quali si rappresentava che la
concessione n.74/AU/912 non aveva nulla a che vedere con quella
n.1991/AU/10943, sicchè se ne lamentava la confusione rispetto agli
accertamenti chiesti dal Sindaco; si contestava anche che l’altezza dei
fabbricati andava accertata rispetto alle norme urbanistiche e non con un
giudizio estetico di “sintonia” con l’ambiente circostante, come tale non
pertinente; sostenevano che, a prescindere dalla natura privata o pubblica
della strada, trattandosi di zona sismica, il fabbricato doveva rispettare le
distanze di cinque metri dalla strada; riguardo alla decadenza della
concessione del 1999, deducevano che il responsabile si era limitato ad
affermare la tempestività della richiesta di variante, senza ulteriori
approfondimenti; evidenziavano la illegittima esclusione del sottotetto
abitabile dal calcolo volumetrico.
In data 13 gennaio 2004 i ricorrenti depositavano
altra sospensione adottata dal Sindaco ed una relazione del CTU nominato nella
causa civile dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere; con ordinanza
cautelare n.2577 del 14 gennaio 2004 veniva rigettata la chiesta sospensione
degli atti impugnati.
Il giudice di primo grado formulava richiesta
istruttoria per chiarimenti e documenti al Comune.
Con sentenza, qui appellata, il primo giudice
provvedeva infine, dichiarando il ricorso in parte inammissibile e in parte
fondato. Il ricorso veniva dichiarato inammissibile nella parte in cui
impugnava concessioni sostituite o annullate, non tempestivamente impugnate o
impugnate senza adeguata notifica ad ogni controinteressato; la sentenza invece
rigettava l’eccezione di inammissibilità con riguardo alla concessione in
variante (richiamata come 1991/UU/10943) del 9 giugno 2003, che veniva
annullata perché ritenute fondate le censure con cui si deduceva che si
trattava di fabbricato diverso (tre piani fuori terra invece di due piani fuori
terra) con assorbimento delle altre censure; il ricorso per motivi aggiunti,
rigettate le relative eccezioni di inammissibilità, veniva accolto perché
fondato in ordine alla censura di violazione delle altezze, in quanto
l’amministrazione avrebbe dovuto tener conto solo dell’altezza media dei cinque
edifici situati al contorno del fabbricato di proprietà (del controinteressato),
come già avvenuto in occasione del rilascio della concessione originaria.
Con atto di appello impugna la sentenza di primo grado
il signor Ferrante Luigi, affidandosi ai seguenti motivi: 1) erroneità della
sentenza per inammissibilità del ricorso di primo grado, per mancanza della
impugnativa del parere della commissione edilizia comunale, del parere
favorevole del Ministero Beni e attività culturali e per mancata notifica alle
autorità ministeriali; 2) erroneità della sentenza per mancata declaratoria di
inammissibilità del ricorso avverso la variante, essendo stato dichiarato
inammissibile il ricorso avverso la concessione originaria; 3) erroneità della
sentenza appellata per inammissibilità del ricorso originario, per l’errato
rigetto delle eccezioni di difetto di prova circa legittimazione e interesse ad
agire in giudizio dei ricorrenti originari (punto 4 della sentenza); 4)
erroneità della sentenza (punto 5) laddove ha ritenuto che la direttiva
sindacale del 24.09.2003 comportava il riesame del calcolo delle altezze e nel
considerare la revoca della sospensione dei lavori del 20.10.2003 come atto
confermativo in senso proprio; 5) l’erroneità della sentenza appellata nei
punti 6,7,8 e 9, nella parte in cui ha accolto le censure per violazione dei limiti
di altezza; 6) erroneità della sentenza nei punti 11,12, e 13 laddove recepisce
il parere espresso nel giudizio civile redatto dall’ing. Carbonelli in ordine
ala questione delle altezze del fabbricato.
Si è costituito il Comune di Piedimonte Matese, che ha
proposto appello incidentale, deducendo i seguenti motivi: 1) erroneità della
sentenza per inammissibilità del ricorso di primo grado, per mancanza della
impugnativa del parere della commissione edilizia comunale, del parere
favorevole del Ministero Beni e attività culturali e per mancata notifica alle
autorità ministeriali; 2) erroneità della sentenza inammissibilità del ricorso
avverso la variante, essendo stato dichiarato inammissibile il ricorso avverso
la concessione originaria; 3) erroneità della sentenza appellata per
inammissibilità del ricorso originario, per l’errato rigetto delle eccezioni di
difetto di prova circa legittimazione e interesse ad agire in giudizio dei
ricorrenti originari (punto 4 della sentenza); 4) erroneità della sentenza (punto
5) laddove ha ritenuto che la direttiva sindacale del 24.09.2003 comportava il
riesame del calcolo delle altezze e nel considerare la revoca della sospensione
dei lavori del 20.10.2003 come atto confermativo in senso proprio; 5)
l’erroneità della sentenza appellata nei punti 6,7,8 e 9, nella parte in cui ha
accolto le censure per violazione dei limiti di altezza; 6) erroneità della
sentenza nei punti 11,12, e 13 laddove recepisce il parere espresso nel
giudizio civile redatto dall’ing. Carbonelli, tra l’altro non utilizzabile, in
ordine alla questione delle altezze del fabbricato.
Si è costituito l’appellato De Biasi Luigi, il quale
richiama i motivi già proposti (in particolare riporta i motivi aggiunti)
chiedendo il rigetto dell’appello e riproponendo i motivi assorbiti in prime
cure.
L’avv. Adinolfi in prossimità dell’udienza del 22
gennaio 2013 ha depositato certificato di morte del signor De Biasi Luigi,
deceduto in data 13 dicembre 2010, datato 8 gennaio 2013, del Comune di
Piedimonte Matese.
Alla udienza pubblica del 22 gennaio 2013 la causa è
stata rinviata su richiesta di parte.
La parte appellante ha depositato in data 18 aprile
2013 atto di rinotifica dell’appello, agli eredi della parte deceduta De Biasi
Luigi, De Biasi Mirella e Pangalli Monica.
La difesa degli appellati ha depositato altresì
certificato di morte di Napoletano Immacolata, deceduta in data 2 settembre
2004 e quindi prima della instaurazione dell’appello; ha depositato anche
massima di sentenza della Corte di Cassazione n.26279 del 2009 dalla quale si
evince che l’appello deve essere notificato agli eredi se la parte è già
deceduta, indipendentemente dal momento in cui è avvenuto il decesso e dalla
eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole; per cui si dedurrebbe la
inammissibilità, deve ritenersi, dell’appello svolto direttamente nei confronti
della parte già deceduta.
Alla udienza del 23 aprile 2013 la causa è stata
trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.Innanzitutto il Collegio osserva che l’evento
interruttivo del giudizio si avvera nei riguardi della parte costituita a mezzo
di procuratore se questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti;
in mancanza, il processo prosegue.
Il semplice deposito del certificato di morte della
parte costituita avvenuto da parte del procuratore dell’appellante senza altra
dichiarazione non è stato ritenuto idoneo a determinare l’evento interruttivo
(così Cons. Stato, VI, 10 aprile 2003, n.196).
In relazione all’evento del decesso della parte De
Biasi Luigi parte appellante ha provveduto a rinotificare l’appello, evitando
quindi la interruzione del giudizio.
In relazione al decesso della signora Napoletano
Immacolata, che si sarebbe verificato in tempo anteriore rispetto alla
proposizione dell’appello, l’appello, secondo la tesi che deve attribuirsi alla
parte appellata dalle difese depositate, sarebbe inammissibile.
Il Collegio osserva che può prescindersi dall’esame
della ammissibilità o meno dell’appello ed eventualmente dell’appello
incidentale proposto dal Comune, in quanto entrambi sono infondati nel merito e
quindi da rigettare.
2. Con il primo motivo l’appello principale e l’appello
incidentale deducono l’ erroneità della sentenza per inammissibilità del
ricorso di primo grado, per mancanza della impugnativa del parere della
commissione edilizia comunale, del parere favorevole del Ministero Beni e
attività culturali e per mancata notifica alle autorità ministeriali.
In sostanza, viene asserito che il ricorso originario
avrebbe dovuto farsi carico della impugnativa anche dei pareri positivi (della
commissione edilizia integrata e dell’autorità ministeriale), che avrebbero una
autonoma valenza provvedimentale, e quindi in mancanza il primo giudice avrebbe
dovuto concludere per l’inammissibilità del ricorso.
E’ noto che i pareri sono da ritenersi atti
endoprocedimentali, mentre la valenza lesiva deve attribuirsi soltanto al
provvedimento, inteso come atto che costituisce, modifica o estingue posizioni
soggettive.
Nel caso di impugnativa di titolo edilizio a favore di
altri, la valenza lesiva deve essere attribuita soltanto alla concessione, non
sussistendo l’onere (ma solo eventualmente la facoltà) di abbracciare
nell’impugnativa (che peraltro implicitamente li comprende quali atti
presupposti) i pareri di tenore positivo.
I pareri sono atti non provvedimentali, come tali
valutativi e strumentali alla emanazione di un determinato provvedimento.
Gli atti non provvedimentali non sono direttamente
impugnabili, perché come tali insuscettibili di produrre effetti lesivi nelle
situazioni giuridiche facenti capo a terzi. Fanno eccezione, caso che non
rientra nella specie, gli atti endoprocedimentali allorquando assumono
carattere di immediata lesività, come nel caso di pareri vincolanti negativi,
che non lasciano all’interessato alcun dubbio sul contenuto e sull’esito della
decisione finale (Cons. Stato, IV, 28 marzo 2012, n.1829; Consiglio Stato, sez.
V, 2 aprile 2001, n. 1902). Nella specie, come visto, non si è in presenza di
tale ipotesi.
3.Con il secondo motivo gli appelli deducono l’
erroneità della statuizione di ammissibilità del ricorso avverso la variante,
essendo stato dichiarato inammissibile il ricorso avverso la concessione
originaria.
Gli appelli cioè rinvengono una contraddittorietà
nella sentenza, in quanto da un lato ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso proposto avverso la concessione originaria, mentre dall’altro lato non
ne ha tratto le dovute conclusioni quanto alla conseguente inammissibilità
della impugnativa avverso la variante.
Secondo la prospettazione di entrambi gli appelli, il
ricorso è mosso avverso l’intervento edilizio nel suo complesso, sicchè non è
ammissibile l’impugnativa avverso la sola variante, essendosi dichiarata
inammissibile l’impugnativa avverso la concessione originaria.
Come ha correttamente osservato il primo giudice, è
evidente che vale il principio secondo cui in presenza di una variante di
concessione edilizia originaria e recante modifiche di non rilevante
consistenza, è inammissibile il ricorso avverso la concessione in variante in
mancanza di tempestiva impugnativa della originaria concessione, se la
incisione (la lesione) è avvenuta con il primo provvedimento; è altresì
evidentemente condivisibile il principio secondo cui l’impugnativa della
concessione in variante non può certo comportare una rimessione in termini in
caso di decadenza per l’impugnativa avverso l’atto originario.
Nella specie, tuttavia, la vicenda si pone in modo
diverso, in quanto dalla relazione tecnica risulta evidente che la concessione
in variante apporta un pregiudizio in sé autonomo e diverso rispetto a quanto
assentito dalla concessione originaria, perché è essa variante (sul punto è
chiara la sentenza appellata) e non già il precedente titolo abilitativo, a
consentire la costruzione di un edificio di tre piani fuori terra, in luogo di
un edificio di soli due piani fuori terra e cioè comporta la realizzazione di
un fabbricato edilizio di maggiore entità sia sotto il profilo volumetrico che
di superficie coperta.
A prescindere quindi dall’interesse a contestare da
subito in modo ammissibile anche i titoli precedenti, non vi è dubbio che la
variante assuma una autonoma valenza lesiva, non potendosi ritenere che
l’interesse a ricorrere sussista soltanto per la contestazione in sé
dell’intervento – in tal caso sì sarebbe stata condivisibile la prospettazione
degli appellanti - in quanto investe anche le modalità, ritenute illegittime
(per esempio, per distanze o altezza, certamente mutate con la variante).
4.Con il terzo motivo gli appelli deducono l’erroneità
della sentenza appellata per inammissibilità del ricorso originario, per
l’errato rigetto delle eccezioni di difetto di prova circa legittimazione e
interesse ad agire in giudizio dei ricorrenti originari (punto 4 della
sentenza) e per genericità dei motivi.
Alla luce del consolidato orientamento in tema di
condizioni dell’azione dei vicini, non si vede come possano essere degne di
positiva valutazione le sopra riportate motivazioni di appello: i ricorrenti
originari sono comproprietari di fabbricato con annesso giardino che confina
per un lato con via Matese e per un altro con una traversa interna di via
Matese, mentre il fabbricato oggetto della concessione in variante sorge
proprio al confine con la suddetta traversa interna di via Matese.
E’ evidente l’interesse dei ricorrenti originari a
contrastare la costruzione di un fabbricato di tre piani fuori terra,
sostenendo essi che gli strumenti urbanistici consentano soltanto la
costruzione di un fabbricato di due piani.
Al di là della considerazione che è evidente nella
specie il danno temuto dai ricorrenti rispetto al fabbricato di loro proprietà,
la giurisprudenza di questo Consesso, in ordine alla impugnativa di titoli
edilizi, ha da tempo affermato che il possesso del titolo di legittimazione alla
proposizione del ricorso per l'annullamento di una concessione edilizia, che
discende dalla c.d. vicinitas , cioè da una situazione di stabile collegamento
giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato –
confinante che contesta la violazione di distanze e altezze - può addirittura
esimere da qualsiasi indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori
assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il
soggetto che propone l'impugnazione (da ultimo, Consiglio di Stato sez. IV, 29
agosto 2012, n. 4643).
Anche il rilievo secondo cui il primo giudice ha
ritenuto generiche alcune censure e in particolare quelle con cui i ricorrenti
lamentavano una certa difformità tra quanto assentito e quanto in realtà
realizzato, in realtà nulla aggiungono alla ammissibilità e fondatezza delle
altre numerose e puntuali censure, sulle quali il primo giudice si è
pronunciato (si ripete, per violazione di altezze o di distanze), attesa la
autonomia ed autosufficienza di queste ultime censure.
5.Con altro motivo gli appelli lamentano l’ erroneità
della sentenza (punto 5) laddove ha ritenuto che la direttiva sindacale del
24.09.2003 comportava il riesame del calcolo delle altezze e nel considerare la
revoca della sospensione dei lavori del 20.10.2003 come atto confermativo in
senso proprio.
Con tale motivo, in sostanza, gli appelli ritengono di
censurare la sentenza, perché erroneamente aveva ritenuto che la direttiva
sindacale del 24 settembre 2003 avrebbe comportato il riesame del calcolo delle
altezze dei fabbricati circostanti ed erroneamente avrebbe considerato il
provvedimento di revoca della sospensione dei lavori come atto confermativo in
senso proprio. Secondo il motivo, la pratica non ha seguito tutte le fasi del
procedimento di primo grado (pareri e determinazioni finali), sicchè sarebbe
inammissibile il ricorso originario (per motivi aggiunti).
Anche tale motivo è infondato, essendo evidente come
in realtà il provvedimento successivo abbia comportato non il riesame
complessivo della concessione originaria, ma soltanto del calcolo delle
altezze, su impulso della direttiva sindacale intervenuta medio tempore proprio
ad approfondire (rectius, reiterare) l’istruttoria sotto tale profilo; tanto
ciò è vero, che, al contrario (a pagina 13 della appellata sentenza), il primo
giudice ha invece ritenuto inammissibile il motivo aggiunto incentrato sulla
violazione delle distanze in zona sismica, proprio perché esso riguardava il
progetto originario.
Se vi è stata, sia pure sotto un determinato profilo
(calcolo delle altezze), nuova istruttoria, non può non ritenersi sussistente
una conferma in senso proprio.
Allo scopo di stabilire se un atto amministrativo è
meramente confermativo, e perciò non impugnabile, o di conferma in senso
proprio e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini, occorre
verificare se l'atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova
istruttoria e una nuova ponderazione di interessi.
In particolare, non può considerarsi meramente confermativo
rispetto a un atto precedente l'atto la cui adozione sia stata preceduta da un
riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento,
giacché solo l'esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, come nella
specie, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo
esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie
considerata, può dare luogo a un atto propriamente confermativo in grado, come
tale, di dare vita a un provvedimento diverso dal precedente e quindi
suscettibile di autonoma impugnazione.
Ricorre, invece, l'atto meramente confermativo (di
c.d. conferma impropria) quando l'Amministrazione, a fronte di un'istanza di
riesame, si limita a dichiarare l'esistenza di un suo precedente provvedimento
senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione.
Al fine di stabilire se un atto sia meramente
confermativo (e perciò non impugnabile) o di conferma in senso proprio, occorre
verificare se sia stato adottato (o non) senza nuova istruttoria e nuova
ponderazione di interessi (Consiglio di Stato sez. V, 3 ottobre 2012, n. 5196;
Consiglio di Stato sez. VI, 31 marzo 2011, n. 1983).
6.Con altro motivo di appello gli appelli deducono
l’erroneità della sentenza appellata nei punti 6,7,8 e 9, nella parte in cui ha
accolto le censure per violazione dei limiti di altezza.
Nell’appello si sostiene che l’art. 18 del P.T.P.,
laddove prevede che “l’altezza dei nuovi volumi non potrà eccedere rispetto a
quella degli edifici al contorno” con conseguente necessità di tener conto
della media degli edifici del contorno edificato, sia un limite elastico, che
consente una valutazione discrezionale, sussistendo l’altro limite, di tipo
invalicabile perché espresso in termini numerici, di dodici metri.
Gli appellanti (per esempio l’appello principale a
pagina 20) sostengono che, mentre il secondo limite di dodici metri è
chiaramente invalicabile, il primo limite degli edifici di contorno
consentirebbe una valutazione squisitamente discrezionale.
Il Collegio osserva che, sulla base della norma
urbanistica come sopra riportata tale lettura è insostenibile, secondo una
normale interpretazione letterale del testo.
Oggetto della valutazione, rectius, della misurazione,
è chiaramente “l’altezza” e non già altro parametro di giudizio.
Come risulta dalla perizia del consulente tecnico di
ufficio nominato dinanzi al tribunale di Santa Maria Capua Vetere (ing.
Carbonelli) l’altezza media degli edifici al contorno è pari a metri 7,87,
mentre l’altezza media del fabbricato in costruzione misura metri 9,63 e quindi
chiaramente eccedente.
Inoltre, tale eccedenza, anche rispetto alla
misurazione effettuata in occasione del rilascio della concessione originaria,
è stata ammessa dalla medesima amministrazione comunale nel giudizio di primo
grado, come riporta la sentenza appellata, anche tenendo conto della
circostanza che nel corso dei tre anni il contesto edilizio circostante, da
prendersi a parametro per l’altezza di contorno, può essere in parte
leggermente mutato.
Né, evidentemente, può leggersi il doppio limite nel
senso che soltanto il limite di dodici metri sarebbe insuperabile.
Esiste quindi un doppio limite di altezza: quello
delle altezze degli edifici di contorno e quello dei dodici metri assoluti.
Non può neanche essere sostenuto che non sia
evincibile che per il calcolo degli edifici di contorno debba ragionevolmente
farsi riferimento alla “media” delle altezze degli edifici esistenti, avendo
preso in considerazione i cinque fabbricati più prossimi e non essendo
contestato, né invero contestabile, tale metodo di giudizio.
E’ evidente che se la norma urbanistica impone di
tener conto degli edifici limitrofi al fine di calcolare le altezze, perché
essa non sia svuotata di contenuto non può estendersi la considerazione ad
edifici più lontani, senza alcuna delimitazione.
Questo Consesso ha già avuto modo di affermare al
riguardo che, laddove lo strumento urbanistico comunale prescriva che, in una
certa zona di piano, l'altezza massima degli edifici di nuova costruzione non
possa superare la media dell'altezza di quelli preesistenti circostanti, tale
media non può che limitarsi ai soli edifici limitrofi a quello costruendo, a
rischio altrimenti di svuotare la norma urbanistica di qualunque significato,
mentre essa è appunto preordinata ad evitare che fabbricati contigui o vicini presentino
altezze marcatamente differenti, considerato, peraltro, che l'assetto edilizio
mira a rendere omogenei gli assetti costruttivi rientranti in zone di limitata
estensione (così Consiglio Stato sez. V, 21 ottobre 1995, n. 1448).
7.Con altro motivo gli appelli lamentano l’erroneità
della sentenza nei punti 11,12, e 13 laddove recepisce il parere espresso nel
giudizio civile redatto dall’ing. Carbonelli, tra l’altro non utilizzabile
perché redatta in causa nella quale il Comune non era stato parte del giudizio
(e in cui il giudice ordinario affermava che della controversia sulla
concessione doveva occuparsi il giudice amministrativo), in ordine alla
questione delle altezze del fabbricato.
La doglianza è infondata.
Il primo giudice ha dato chiaramente ad intendere che
la consulenza tecnica di ufficio esperita nel giudizio civile veniva acquisita
e di essa si teneva conto, in applicazione del principio del libero
convincimento del giudice.
Tra l’altro, il metodo di calcolo utilizzato dal
giudice non riguarda altro in sostanza che l’altezza misurata e il metodo
utilizzato relativo agli “edifici di contorno” e alla media da rilevare, per i
quali valgono le considerazioni sopra riportate.
8.Il rigetto dell’appello principale e dell’appello
incidentale esime dalla esigenza di esaminare le censure assorbite in primo
grado.
9.Per le considerazioni sopra svolte, gli appelli,
principale e incidentale, vanno respinti, con conseguente conferma della
appellata sentenza.
In considerazione della particolarità della vicenda
controversa, sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la
compensazione delle spese di giudizio del presente grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così
provvede:
respinge sia l’appello principale che quello
incidentale, con conseguente conferma della appellata sentenza.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla
autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 23 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Fabio Taormina, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)