SERVIZIO PUBBLICO LOCALE:
la gestione di un impianto balneare
non è servizio pubblico locale
ai sensi dell'art. 112 T.U.E.L.
(Cons. St., Sez. VI,
sentenza 22 novembre 2013 n. 5532).
Massima
1. La previsione dell’apprestamento di opere da parte del concessionario di un’area demaniale marittima non è sufficiente a far individuare, come parte “a cui favore” si instaura il rapporto, il Comune che indice il bando per il rilascio della concessione. Le opere in questione, e la relativa convenzione, hanno infatti per oggetto comunque e anzitutto il bene demaniale ed è la concessione d’uso del bene che determina il contenuto proprio del rapporto giuridico ed individua lo Stato, proprietario del bene, come parte di tale rapporto; ne deriva che la convenzione, che pure impegni il concessionario nei confronti del Comune, è accessiva al rapporto concessorio e non viceversa; se non si desse luogo alla concessione del bene non vi sarebbe infatti alcuna ragione per convenire l’eventuale, connessa esecuzione di interventi sul bene stesso.
In riferimento a quanto sopra si richiama la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, per la quale le competenze regionali in ordine al demanio marittimo non possono incidere sulle facoltà che spettano allo Stato in quanto proprietario, le quali precedono logicamente la ripartizione delle competenze (per tutte: sentenza n. 370 del 2008), venendo con ciò ribadita la essenziale e prioritaria rilevanza della proprietà demaniale dei beni.
Ciò è confermato dalla disciplina del procedimento di concessione posta con la L.R. n. 33/02 (Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo), per la quale ai Comuni è trasferita la “funzione amministrativa per il rilascio, il rinnovo e ogni modificazione inerente alle concessioni demaniali marittime” (art. 46), nell’ambito della programmazione regionale di utilizzazione dei beni del demanio marittimo specificata dai Comuni con i piani di utilizzo degli arenili (articolo 47), provvedendo i Comuni all’accertamento dei canoni e all’accertamento e riscossione dell’imposta regionale sulle concessioni statali (art. 49).
Su questa base risulta corretta l’affermazione del primo giudice per cui non può ritenersi che il bene demaniale divenga parte del patrimonio giuridico dei comuni per effetto della subdelega delle citate funzioni amministrative, che, come emerge chiaramente dal delineato quadro normativo, sono esercitate, pur con procedure articolate, per la concessione di un bene che resta demaniale, non potendo incidere sulla titolarità del bene la delega di funzioni amministrative per il suo uso.
2. Riguardo alla nozione di servizio pubblico, e quindi di servizio pubblico locale, questo Consiglio ha chiarito che:
a) è necessario muovere dal dato di diritto positivo dell’art. 112 del d.lgs, n. 267/2000 che ha definito i servizi pubblici locali come quelli aventi “per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”, con espressione che, in sostanza, rinvia l’individuazione degli scopi sociali e di sviluppo di cui si tratta a scelte di carattere politico (Cons. Stato, sez. V, 13 dicembre 2006, n. 7369);
b) pervenendosi in tale quadro a precisare le coordinate di riferimento della nozione di servizio pubblico, nel senso che essa si “…si fonda su due elementi:
1) la preordinazione dell'attività a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti;
2) la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l'espletamento dell'attività a regole di continuità, regolarità, capacità tecnico- professionale e qualità” (sez. V, 14 febbraio 2013, n. 911)".
Il servizio pubblico locale perciò, in quanto volto al perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della comunità, è finalizzato al soddisfacimento diretto di esigenze collettive della stessa con effetto generalizzato sul suo assetto socio-economico; riguarda di conseguenza un’utenza indifferenziata, anche se sia fruibile individualmente, ed è sottoposto a obblighi di esercizio imposti dall’ente pubblico perché gli scopi suddetti siano garantiti, inclusa la determinazione del corrispettivo in forma di tariffe.
3. Queste connotazioni non si rinvengono integralmente nel caso di specie riguardo alla gestione degli stabilimenti balneari, mancando in particolare, data l’incidenza settoriale e limitata del servizio, la rilevanza di un effetto generalizzato sull’assetto della comunità a soddisfacimento di una sua esigenza collettiva, con obblighi connessi, e mancando in correlazione l’elemento del pagamento di una tariffa in senso proprio, quale misura determinata dall’ente locale in corrispettivo di un servizio, che, in quanto imposta come obbligo al gestore, è indice della natura pubblica del servizio pur se erogato da un soggetto privato.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3719 del 2009,
proposto dal Comune di Eraclea, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso dagli avvocati Marcello M. Fracanzani, Eugenio Picozza,
con domicilio eletto presso Eugenio Picozza in Roma, via San Basilio, 61;
contro
Cogest s.c.a.r.l., in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati
Gabriele Pafundi, Francesco Acerboni, con domicilio eletto presso Gabriele
Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14;
nei confronti di
Regione Veneto;
Commissione giudicatrice della gara per le concessioni demaniali marittime;
Eraclea Patrimonio e Servizi s.r.l. in proprio e quale capogruppo r.t.i.;
Sindacato Italiano Balneari;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE I
n. 230/2009, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre
2013 il consigliere Maurizio Meschino e uditi per le parti l’avvocato Luigi
Manzi per delega dell’avvocato Fracanzani e l’avvocato Pafundi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
1. Il Comune di Eraclea ha indetto il bando, prot. n.
28561 dell’11 dicembre 2007, “per l’assentimento di una concessione
demaniale marittima finalizzata all’insediamento di stabilimenti balneari
nell’arenile di Eraclea mare (Settore SA1 porzione Eraclea – Settore SA2 aree
Ce. 15, Cn. 9, Cnv/11- Settore SA3 aree Ce.21 e Cnv/18 – e relative aree per
servizi di spiaggia del P.P.I.A. del Comune di Eraclea)”.
All’esito della gara è risultato vincitore il costituendo
Raggruppamento temporaneo di imprese fra la s.r.l. Eraclea Patrimonio e Servizi
(d’ora in poi “EPS”) quale mandataria, il cui capitale sociale è interamente
posseduto dal Comune di Eraclea, e la s.a.s. La Bottega dei Sogni, di Rovere
Nadia & C., Spolaor Enzo e Bassetti Luciano, questi ultimi in qualità di
soggetti mandanti.
2. La C.O.G.E.S.T. s.c.a.r.l risultata seconda
all’esito della gara, con il ricorso n. 763 del 2008 proposto al Tribunale
amministrativo regionale per il Veneto, ha chiesto:
a) con il ricorso introduttivo:
- l’annullamento del provvedimento del Comune di
Eraclea prot. n. 8820 del 4 aprile 2008, di cui al bando prot. 28651dell’11
dicembre 2007, con il quale è stata comunicata alla ricorrente l’aggiudicazione
provvisoria della gara al Raggruppamento di imprese tra la s.r.l. Eraclea
Patrimonio e Servizi e la Bottega dei sogni di Rovere Nadia & C., Spolaor
Enzo e ATI Bassetto Luciano; dei verbali di gara in data 13 febbraio, 26
febbraio e 26 marzo 2008; nonché del verbale di gara e/o del provvedimento di
aggiudicazione provvisoria, del provvedimento di aggiudicazione definitiva e
del provvedimento di rilascio della concessione; del bando del Comune di
Eraclea in data 11 dicembre 2007, prot. n. 28561; nonché di ogni altro atto
connesso, presupposto o conseguente;
-il risarcimento del danno;
b) con i motivi aggiunti: l’annullamento dei verbali
di procedura selettiva, rispettivamente in data 26 febbraio 2008 (I seduta), in
data 13 marzo 2008 (II seduta) e in data 26 marzo 2008 (III seduta).
La EPS ha proposto, con il controricorso, ricorso
incidentale.
Sono intervenuti, ad opponendum, la
Regione Veneto e, ad adiuvandum, il Sindacato Italiano Balneari
(S.I.B.).
3. Il Ta.r. per il Veneto, sezione prima, con la
sentenza n. 230 del 2009, ha accolto il ricorso “nei sensi indicati in
motivazione, anche con riguardo al risarcimento del danno”. Ha compensato tra
le parti le spese del giudizio.
4. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento
della sentenza di primo grado.
5. All’udienza del 15 ottobre 2013 la causa è stata
trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Nella sentenza di primo grado:
- si richiama anzitutto l’art. 13 del decreto-legge 4
luglio 2006, n. 223 (“Disposizioni urgenti per il rilancio economico e
sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica,
nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale.”;
convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248), per il quale, a tutela della
concorrenza, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o
partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali “per la
produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione
della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, nonché, nei
casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni
amministrative di loro competenza, devono operare esclusivamente con gli enti
costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a
favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con
gara, e non possono partecipare ad altre società o enti”, venendo anche
disposto che le dette società sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono
violare le prescrizioni ora citate (commi 1 e 2);
- è quindi accolto l’assorbente motivo di ricorso per
cui la partecipazione della EPS alla gara sarebbe in contrasto con la norma
citata poiché, in sintesi:
-a) il capitale della EPS è posseduto interamente dal
Comune di Eraclea, potendo la sua attività rivolgersi soltanto a favore del
Comune, in quanto: l’oggetto sociale esclusivo della società consiste, secondo
il suo statuto, nella gestione del patrimonio immobiliare del Comune di
Eraclea, nella gestione degli immobili ed infrastrutture, degli impianti e
dotazioni patrimoniali dell’Ente e nell’erogazione di servizi pubblici locali
sia di rilevanza economica che non economica; il bando di cui si tratta ha per
oggetto l’assentimento di concessione demaniale marittima e l’esercizio delle
funzioni amministrative devolute ai Comuni per il rilascio, il rinnovo e ogni
modificazione inerente tali concessioni (art. 46 della legge regionale n. 33
del 2002);
- b) ne consegue che, essendo il bene oggetto della
gara per la concessione di proprietà demaniale e non comunale, l’attività della
EPS quale concessionaria si rivolgerebbe nei confronti dello Stato e non del
Comune che possiede l’intero pacchetto azionario della Società con il fine
della gestione del proprio patrimonio immobiliare; né il detto bene può dirsi
acquisito a tale patrimonio per il motivo che il Comune introiterebbe gran
parte del canone, poiché, in base alla normativa, la misura devoluta è il
sessanta per cento della percentuale, del 5%, spettante alla Regione sul canone
versato allo Stato (art. 49 della legge regionale citata);
- c) non si può neppure sostenere che con la gestione
delle strutture balneari il concessionario venga a svolgere un servizio
pubblico, trattandosi di un servizio di certo di interesse pubblico poiché
indirizzato alla collettività (non solo comunale), ma non esclusivamente
rivolto a fini di interesse generale essendo comunque presente l’elemento
imprenditoriale;
- d) né sussiste l’asserito potere di ingerenza del
Comune nella fissazione dei prezzi del servizio, come avviene per le tariffe, dovendo
soltanto essere comunicati al Comune per la vidimazione (art. 59 della legge
regionale citata) i prezzi stabiliti dal gestore a fini di profitto.
Nella sentenza è poi dichiarato inammissibile il
ricorso incidentale della EPS, poiché recante censure avverso giudizi
tecnico-discrezionali della Commissione giudicatrice che non risultano illogici
o irrazionali, e, quanto al risarcimento del danno, si afferma che è ottenuto
in forma specifica dovendosi aggiudicare la gara alla ricorrente.
2. Nell’appello, e successiva memoria, si deduce
anzitutto che la sentenza sarebbe viziata per ultrapetizione nel rito poiché,
avendo il ricorrente qualificato la fattispecie come sottratta al regime
dell’art. 23-bis della legge n. 1034 del 1971, si è poi proceduto
al deposito del dispositivo della sentenza ai sensi della norma citata.
Nel merito si deduce che:
- a) nella specie la EPS deve essere individuata quale
controparte contrattuale non dello Stato ma del Comune; questo ha infatti messo
a gara la realizzazione di opere di riqualificazione dell’arenile per oltre un
milione di euro, previste dal piano particolareggiato, quale obbligo ulteriore
e prevalente rispetto al pagamento del canone, nel quadro di una
concessione-contratto che risulta, quindi, a favore del Comune;
- b) ciò è peraltro coerente con il quadro delle
funzioni svolte dal Comune nella gestione del demanio litorale che non sono di
mera delega di quelle statali ma, in sostanza, di successione nella loro
titolarità, considerato che il Comune di Eraclea, ai sensi della legge
regionale n. 32 del 2000, disciplina l’uso del demanio in via esclusiva, valuta
l’interesse pubblico alla concessione, ne regola l’assegnazione e la può
revocare, vigila sull’esecuzione delle opere, fissa l’eventuale corrispettivo
in eccedenza al canone demaniale e percepisce il 60% dell’imposta regionale,
emergendo da ciò chiaramente che la ratio del decentramento
funzionale è quella di rendere i beni utilizzabili per le esigenze strumentali
dell’ente locale;
- c) il concessionario svolge un servizio pubblico di
rilevanza economica, poiché utilizzato da un numero indeterminato di utenti e
così qualificato anche dalla normativa (d.m. 31 dicembre 1983), non rilevando
in contrario la sua conduzione in forma imprenditoriale comune alla gestione
affidata a privati di altri servizi pubblici;
-d) il servizio svolto favorisce lo sviluppo della
comunità locale, andando a beneficio del Comune le opere realizzate, a fronte
della irrilevanza comparativa del canone che incassa lo Stato, la cui posizione
nella specie è assimilabile a quella del “nudo proprietario”.
3. Nella memoria depositata dalla C.O.G.E.S.T. il 24
settembre 2013 si eccepisce l’improcedibilità dell’appello per sopravvenuta
carenza di interesse, essendo stata nel frattempo esclusa la C.O.G.E.S.T e
indette nuove gare per l’assegnazione delle medesime concessioni nonché
dichiarata nulla, con sentenza del T.a.r. per il Veneto passata in giudicato,
la variante al Piano particolareggiato degli arenili di Eraclea e di Jesolo di
cui al bando per il quale è controversia.
4. Si esaminano ora le questioni preliminari sollevate
dall’appellante, con cui si asserisce il vizio di ultrapetizione della sentenza
di primo grado, e dalla parte appellata riguardo alla sopravvenuta carenza di
interesse all’appello.
Le deduzioni devono essere entrambe respinte,
dovendosi osservare che:
- a) il vizio di ultrapetizione sussiste quando, in
violazione dell’art. 112 c.p.c., pacificamente applicabile al processo
amministrativo, la pronuncia giudiziale trascende i limiti oggettivi della
controversia, quali risultano dalle contrapposte domande ed eccezioni delle
parti, ciò che nella specie non è rilevabile né eccepito; né tale vizio si
individua, come asserito, “in rito” non risultando, né essendo stata provata,
alcuna lesione in primo grado dei diritti di difesa dell’odierno appellante per
effetto della pubblicazione del dispositivo di sentenza ai sensi dell’art. 23-bis della
legge n. 1034 del 1971;
- b) la valutazione dell'interesse alla prosecuzione
dell'azione spetta anzitutto al ricorrente che nulla ha dichiarato a questo
fine nel presente giudizio, potendo essere rilevata anche d’ufficio se siano
acquisiti al giudizio atti e documenti obbiettivamente rilevanti in tal senso,
ciò che nella specie non risulta.
5. Nel merito l’appello è infondato per le ragioni di
seguito esposte.
5.1. La previsione dell’apprestamento di opere da
parte del concessionario di un’area demaniale marittima non è sufficiente a far
individuare, come parte “a cui favore” si instaura il rapporto, il Comune che
indice il bando per il rilascio della concessione. Le opere in questione, e la
relativa convenzione, hanno infatti per oggetto comunque e anzitutto il bene
demaniale ed è la concessione d’uso del bene che determina il contenuto proprio
del rapporto giuridico ed individua lo Stato, proprietario del bene, come parte
di tale rapporto; ne deriva che la convenzione, che pure impegni il
concessionario nei confronti del Comune, è accessiva al rapporto concessorio e
non viceversa; se non si desse luogo alla concessione del bene non vi sarebbe
infatti alcuna ragione per convenire l’eventuale, connessa esecuzione di
interventi sul bene stesso.
In riferimento a quanto sopra si richiama la costante
giurisprudenza della Corte Costituzionale, per la quale le competenze regionali
in ordine al demanio marittimo non possono incidere sulle facoltà che spettano
allo Stato in quanto proprietario, le quali precedono logicamente la
ripartizione delle competenze (per tutte: sentenza n. 370 del 2008), venendo
con ciò ribadita la essenziale e prioritaria rilevanza della proprietà
demaniale dei beni.
5.2. Ciò è confermato dalla disciplina del
procedimento di concessione posta con la legge regionale 4 novembre 2002, n. 33
(Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo), per la quale
ai Comuni è trasferita la “funzione amministrativa per il rilascio, il
rinnovo e ogni modificazione inerente alle concessioni demaniali marittime”
(art. 46), nell’ambito della programmazione regionale di utilizzazione dei beni
del demanio marittimo specificata dai Comuni con i piani di utilizzo degli
arenili (articolo 47), provvedendo i Comuni all’accertamento dei canoni e
all’accertamento e riscossione dell’imposta regionale sulle concessioni statali
(art. 49).
Su questa base risulta corretta l’affermazione del
primo giudice per cui non può ritenersi che il bene demaniale divenga parte del
patrimonio giuridico dei comuni per effetto della subdelega delle citate
funzioni amministrative, che, come emerge chiaramente dal delineato quadro
normativo, sono esercitate, pur con procedure articolate, per la concessione di
un bene che resta demaniale, non potendo incidere sulla titolarità del bene la
delega di funzioni amministrative per il suo uso.
5.3. Si esamina ora la deduzione sull’asserito
svolgimento nella specie da parte della EPS di un servizio pubblico locale.
Riguardo alla nozione di servizio pubblico, e quindi
di servizio pubblico locale, questo Consiglio ha chiarito che:
-a) è necessario muovere dal dato di diritto positivo
dell’art. 112 del d.lgs, n. 267 del 2000 (Testo unico delle norme sugli enti
locali, in seguito “Testo unico”) che ha definito i servizi pubblici locali
come quelli aventi “per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a
realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle
comunità locali”, con espressione che, in sostanza, rinvia l’individuazione
degli scopi sociali e di sviluppo di cui si tratta a scelte di carattere
politico (Cons. Stato, sez. V, 13 dicembre 2006, n. 7369);
b) pervenendosi in tale quadro a precisare le
coordinate di riferimento della nozione di servizio pubblico, nel senso che
essa si “…si fonda su due elementi: 1) la preordinazione dell'attività a
soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di
utenti; 2) la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali
quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l'espletamento dell'attività
a regole di continuità, regolarità, capacità tecnico- professionale e qualità”
(sez. V, 14 febbraio 2013, n. 911), essendo stato specificato che “…partendo
dalla nozione comunemente accolta da dottrina e giurisprudenza del servizio
pubblico locale (in contrapposizione a quella di appalto di servizi), va
osservato che essa accorda tale natura a quelle attività che sono destinate a
rendere un'utilità immediatamente percepibile ai singoli o all'utenza
complessivamente considerata, che ne sopporta i costi direttamente, mediante
pagamento di apposita tariffa, all'interno di un rapporto trilaterale, con
assunzione del rischio di impresa a carico del gestore” (sez. V, 1 aprile
2011, n. 2012).
Il servizio pubblico locale perciò, in quanto volto al
perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della comunità, è finalizzato al
soddisfacimento diretto di esigenze collettive della stessa con effetto
generalizzato sul suo assetto socio-economico; riguarda di conseguenza
un’utenza indifferenziata, anche se sia fruibile individualmente, ed è
sottoposto a obblighi di esercizio imposti dall’ente pubblico perché gli scopi
suddetti siano garantiti, inclusa la determinazione del corrispettivo in forma
di tariffe.
Queste connotazioni non si rinvengono integralmente
nel caso di specie riguardo alla gestione degli stabilimenti balneari, mancando
in particolare, data l’incidenza settoriale e limitata del servizio, la
rilevanza di un effetto generalizzato sull’assetto della comunità a
soddisfacimento di una sua esigenza collettiva, con obblighi connessi, e
mancando in correlazione l’elemento del pagamento di una tariffa in senso
proprio, quale misura determinata dall’ente locale in corrispettivo di un
servizio, che, in quanto imposta come obbligo al gestore, è indice della natura
pubblica del servizio pur se erogato da un soggetto privato.
Per quest’ultimo aspetto, come correttamente rilevato
dal primo giudice, nella specie “I titolari e i gestori degli stabilimenti
balneari comunicano, al Comune competente, i prezzi minimi e massimi, comprensivi
di IVA, che intendono applicare” ed il Comune provvede “alla vidimazione
e alla verifica delle comunicazioni pervenute..” (art. 59 della legge
regionale n. 33 del 2002), non risultando alcun suo potere di determinazione
tariffaria.
Né appare sufficiente l’inclusione degli “stabilimenti
balneari” tra “i servizi pubblici locali a domanda individuale” di cui
al D.M. 31 dicembre 1983 (Individuazione delle categorie dei servizi
pubblici locali a domanda individuale), peraltro relativo ad attività “gestite
direttamente dall’ente” (come indicato in premessa), dovendo essere
collocato il detto decreto, pur se di ausilio interpretativo, nel quadro della
normativa primaria sopravvenuta, a cominciare dal citato art. 112 del Testo
unico, la cui ampia previsione normativa ha richiesto la specifica elaborazione
giurisprudenziale più sopra riportata.
6. Per le ragioni esposte l’appello è infondato e deve
essere perciò respinto.
La particolare articolazione dei profili di diritto
della controversia giustifica la compensazione tra le parti delle spese del
giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Sesta) respinge l’appello in epigrafe, n. 3719 del 2009.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del
giorno 15 ottobre 2013, con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore
Roberta Vigotti, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/11/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)