PROVVEDIMENTO:
l'annullamento in autotutela:
presupposti e breve ricostruzione dell'istituto
(Cons. St., Sez. VI,
sentenza 17 novembre 2014, n. 5609)
Massima
1. Nonostante l'annullamento in
autotutela sia un atto connotato da ampia discrezionalità, va osservato che per
costante giurisprudenza, l'annullamento d'ufficio di un provvedimento
amministrativo presuppone una congrua motivazione sull'interesse pubblico, attuale
e concreto, a sostegno dell'esercizio discrezionale dei poteri di autotutela,
con una adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell'interesse
dei destinatari dell'atto al mantenimento delle posizione che, su di esso, si
sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento
seguito dall'Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 14 maggio 2014,
n. 2468; C.G.A., s. g. 15 settembre 2014, n. 540).
2. Sul piano sostanziale
l’annullamento in autotutela non deriva pertanto in via automatica
dall'accertata originaria illegittimità dell'atto, essendo altresì necessaria
la sussistenza di un interesse pubblico attuale al ripristino della legalità,
che risulti prevalente sugli interessi dei privati che militano in senso opposto,
senza peraltro che l’amministrazione possa affidare la motivazione dell’atto di
ritiro a clausole di stile riguardo alla prevalenza dell’interesse pubblico
(cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19 marzo 2013, n. 1605; Consiglio di Stato,
sez. III, 30 luglio 2013, n. 4026).
3. Tale intervento in autotutela deve
inoltre intervenire in un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi
dei destinatari e dei controinteressati (cfr. ex multis Consiglio
di Stato, sez. III, 8 settembre 2009, n. 4533). L’espressione normativa
“termine ragionevole” non va intesa soltanto come la frazione temporale in sé
per sé considerata decorrente tra la data del provvedimento ampliativo della
sfera giuridica del destinatario ed il suo ritiro in autotutela, né è a tal fine
dirimente considerare il termine di durata complessivo dell’operatività
provvedimento, dovendo invece tenersi conto degli effetti che medio
tempore quel provvedimento ha prodotto.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di
Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5545 del
2013, proposto da:
Smea Impianti s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e
difesa dall'avvocato Vito Aurelio Pappalepore, con domicilio eletto presso
Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, 104;
contro
Gestore dei Servizi Energetici-Gse s.p.a., in
persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Cesare
San Mauro e Andrea Di Porto, con domicilio eletto presso quest’ultimo difensore
in Roma, via Giovanni Battista Martini n. 13;
nei confronti di
Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Agenzia delle Dogane
Direzione Centrale Accertamenti e Controlli; Agenzia delle Dogane - Direzione
Regionale di Bari, Agenzia delle Dogane - Direzione Interregionale Puglia
Molise e Basilicata, in persona dei rispettivi rappresentanti, rappresentati e
difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono
domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE
III TER n. 5445/2013, resa tra le parti, concernente revoca ammissione alle
tariffe incentivanti relative all'impianto fotovoltaico denominato "Asi
Modugno "
Visti il ricorso in appello e i relativi
allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del
Gestore dei Servizi Energetici-Gse Spa, dell’ Agenzia delle Dogane, del
Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero dell'Ambiente e della Tutela
del Territorio e del Mare;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28
ottobre 2014 il Consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le
l’avvocato Pappalepore, l’avvocato San Mauro e l’avvocato dello Stato Tidore;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO e DIRITTO
1.- La società Smea Impianti s.r.l. impugna la
sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio 30 marzo 2013 n. 5445
che ha respinto il ricorso di primo grado dalla stessa promosso avverso il
provvedimento del Gestore dei servizi energetici n. P2012015539 dell'11
settembre 2009, con il quale è stato annullato, in autotutela, il provvedimento
di ammissione alla tariffa incentivante relativo all'impianto fotovoltaico
realizzato in Modugno ( Bari) e di cui risulta titolare la odierna società
appellante.
L'appellante censura la sentenza impugnata, che
ha ritenuto legittimo l’esercizio, nella specie, del potere di autotutela
dell'amministrazione, sul rilievo della effettiva sussistenza di un vizio
originario a base della determinazione di ammissione della società odierna
appellante ai benefici del d.m. 6 agosto 2010 relativo al terzo conto energia
e, in ogni caso, l’insussistenza di un onere motivazionale particolarmente
stringente, a fronte del macroscopico interesse pubblico sotteso al recupero di
somme indebitamente corrisposte.
La società appellante deduce, per converso, che
la violazione riscontrata nel provvedimento in primo grado impugnato (id est,
di aver riscontrato la tardiva entrata in esercizio dell’impianto, successiva
al 31 maggio 2011, data ultima per poter beneficiare degli incentivi suddetti),
risulterebbe di tipo meramente formale, non incidendo in concreto sul termine
ultimo di avvio dell'attività produttiva, avviata alle ore 20 del 31 maggio
2011.
Contesta, inoltre, l’appellante sia la violazione
dello specifico onere di motivazione del provvedimento di ritiro
dell’ammissione ai benefici economici, adottato a circa otto mesi dalla stipula
e dalla esecuzione della convenzione inter
partes , sia l’indubitabile
rilevanza del legittimo affidamento della odierna società appellante, vieppiù
rafforzata dalla suddetta convenzione, stipulata con il Gestore dei servizi
energetici fin dal 14 novembre 2011.
Insiste pertanto l’appellante per l’accoglimento
dell’appello e per il consequenziale annullamento dell’atto di autotutela in
primo grado impugnato, in riforma della gravata sentenza.
Si sono costituiti in giudizio sia il GSE che
l'Agenzia delle dogane per resistere all'appello e per chiederne la reiezione.
Le parti hanno depositato memorie illustrative in
vista della udienza pubblica di discussione.
All'udienza pubblica del 28 ottobre 2014 la causa
è stata trattenuta per la sentenza.
2.- L'appello è fondato nei sensi di cui
appresso.
3.- La vicenda che ne occupa riguarda
l'impugnazione da parte dell'odierna società appellante del provvedimento del
GSE n. P2012015539 dell'11 settembre 2009, con il quale, in autotutela, veniva
annullato l’originario provvedimento di ammissione della ricorrente alla
tariffa incentivante prevista dal d.m. 6 agosto 2010 (c.d. terzo conto energia)
in relazione all'impianto fotovoltaico di potenza pari a 998,20 KW realizzato
dalla società Smea in Modugno ( Bari) e veniva sostanzialmente posta nel nulla
la relativa convenzione stipulata ( tra la società ed il Gestore) il 14 novembre
2011 per la durata di vent’anni. A base dell’annullamento, il GSE ha rilevato
la tardiva entrata in esercizio dell’impianto ( successiva alla data del 31
maggio 2011 prevista dal citato d.m. quale termine ultimo per fruire dei
benefici economici del c.d. terzo conto energia) in quanto la società Smea non
avrebbe tempestivamente assolto gli oneri di comunicazione dell’avvio
dell’impianto al competente ufficio doganale ( comunicazione effettivamente
occorsa soltanto il successivo 1° giugno 2011).
4.- Le censure dell’appellante si appuntano,
anzitutto, sull'erronea interpretazione dell'art. 53 bis del decreto
legislativo 26 ottobre 1995 n. 504, nella parte in cui tale disposizione
prevede solo il requisito della “contestualità” tra la messa in esercizio e la
comunicazione di inizio dell’attività di produzione energetica, evenienza a suo
dire nella specie effettivamente realizzata a mezzo della tempestiva
comunicazione, il mattino susseguente all’avvio dell’impianto, all’ufficio
doganale di Bari. Sottolinea, inoltre, la società appellante che la richiamata
disposizione normativa intendeva riferire il rispetto del limite temporale alla
messa in esercizio dell’impianto, prevedendo quale incombente ulteriore
unicamente la comunicazione della data di inizio dell’attività, restando
irrilevante la data in cui tale comunicazione fosse in concreto presentata.
Con distinti motivi l'appellante deduce
l'erroneità della sentenza nella parte in cui non avrebbe condiviso le
doglianze incentrate sul difetto di motivazione del provvedimento di
autotutela, anche in ragione del legittimo affidamento indotto dalla stessa
amministrazione con la stipula della convenzione del 14 novembre 2011 e della
conseguente violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 7 agosto 1990.
5.- Rileva anzitutto il Collegio che meritano
condivisione, nel caso in esame, i motivi di censura incentrati sulla
violazione del principio di legittimo affidamento.
Il Tar, facendo propri gli argomenti dedotti dal
GSE, ha rigettato le corrispondenti censure di primo grado, ravvisando una
sorta di interesse pubblico in
re ipsanel fatto stesso del recupero da parte dell'amministrazione delle
somme indebitamente erogate a titolo di incentivi, a fronte del ben più fievole
interesse privato al trattenimento di quanto già incamerato a quel titolo.
Ritiene il Collegio che tale statuizione non
possa essere condivisa e vada riformata in accoglimento della corrispondente
censura d’appello.
Pur nella consapevolezza che l'annullamento in
autotutela sia un atto connotato da ampia discrezionalità, va osservato che per
costante giurisprudenza, l'annullamento d'ufficio di un provvedimento
amministrativo presuppone una congrua motivazione sull'interesse pubblico,
attuale e concreto, a sostegno dell'esercizio discrezionale dei poteri di
autotutela, con una adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto
dell'interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento delle posizione che su
di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal
comportamento seguito dall'Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV,
14 maggio 2014, n. 2468; C.G.A., s. g. 15 settembre 2014, n. 540).
In sostanza, l’annullamento in autotutela non
deriva in via automatica dall'accertata originaria illegittimità dell'atto, essendo
altresì necessaria la sussistenza di un interesse pubblico attuale al
ripristino della legalità che risulti prevalente sugli interessi dei privati
che militano in senso opposto, senza peraltro che l’amministrazione possa
affidare la motivazione del’atto di ritiro a clausole di stile riguardo alla
prevalenza dell’interesse pubblico (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19 marzo
2013, n. 1605; Consiglio di Stato, sez. III, 30 luglio 2013, n. 4026).
Nel caso in esame, non solo si tratta di valutare
l'interesse contrapposto della società appellante, particolarmente
significativo perché radicato su una convenzione già in esecuzione da otto mesi
ma anche l'interesse della collettività a beneficiare di un tipo di energia la
cui produzione è incentivata in ragione del perseguimento di obiettivi di
pubblica rilevanza. Infatti, gli impianti fotovoltaici sono considerati dalla
normativa nazionale (cfr. in particolare il decreto legislativo n. 387 del
2003) come opere d'interesse pubblico e la stessa la produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili corrisponde a finalità di interesse pubblico
(quali la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra nonchè la ricerca,
promozione, sviluppo e la maggior utilizzazione possibile di fonti energetiche
alternative a quelle fossili sulla base di tecniche avanzate compatibili con il
rispetto dell'ambiente) corrispondenti a precisi impegni assunti dal nostro
Paese in ambito europeo ( direttiva n. 2009/28/C del 5 giugno 2009) ed
internazionale (cfr. legge 1° giugno 2002 n.120, recante "Ratifica ed
esecuzione del Protocollo di Kyoto [ ndr del 11 dicembre 1997] alla Convenzione
quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici [ stipulata a New York il
9 maggio 1992, ratificata dalla CEE con decisione n. 94/69/CE del 15 dicembre
1993 ed entrata in vigore il 21 marzo 1994]”.
Alla luce di tale ultimo rilievo, la tariffa
incentivante non si atteggia a incentivo a fondo perduto dell'amministrazione,
essendo la stessa società privata realizzatrice dell’impianto di produzione energetica
da fonte rinnovabile autrice di un’attività di interesse pubblico.
Da tanto il Collegio ritiene di poter desumere
che, nel caso in esame, l'amministrazione avrebbe dovuto più attentamente
valutare, in uno all’interesse pubblico sotteso al recupero delle somme erogate
in più a titolo di incentivo in relazione al c.d. terzo conto energia, i
possibili contrapposti interessi ( pubblici e privati) e comunque formulare una
compiuta motivazione del provvedimento di annullamento in autotutela intervenuto
dopo un significativo arco temporale dall’avvio dell’impianto e dalla stipula
della convenzione.
L’amministrazione avrebbe dovuto quantomeno
esternare, sulla base della ratio sottesa alla comunicazione dell’avvio
dell’impianto all’ufficio doganale, perché il controllo da parte di tali uffici
sull’applicazione dell’accisa sull’energia prodotta ( tale essendo la finalità
di detta comunicazione) si sarebbe rivelato di difficile o impossibile
attuazione in rapporto alla comunicazione dell’avvio dell’impianto avvenuta a
poche ore di distanza dalla sua messa in esercizio ( a sua volta occorsa a
ridosso della scadenza del termine previsto). Solo una motivazione consistente
su tale profilo avrebbe potuto giustificare, in estremo subordine, l’esercizio
tardivo dello ius poenitendi,
che – come già detto – ha comportato la materiale sterilizzazione della
esecuzione ( in essere già da otto mesi) del rapporto convenzionale inter partes.
Né sotto questo profilo può essere condiviso
quanto ricordato dal Giudice di primo grado, e cioè che “al momento
dell'adozione del gravato provvedimento l'incentivazione era nella sua fase
iniziale (primo anno dei venti di durata complessiva del beneficio)” e che
pertanto sarebbe per tal ragione del “tutto incongruo invocare la
maturazione di una situazione di affidamento meritevole di tutela”.
Infatti, bisogna ricordare come le regole dettate
al riguardo dall'art. 21 nonies della legge sul procedimento amministrativo
(n. 241 del 1990), richiedano la sussistenza di ragioni di interesse pubblico
specifico all'annullamento, nel senso che lo stesso deve intervenire in un
termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati (cfr. ex
multis Consiglio di Stato,
sez. III, 8 settembre 2009, n. 4533). Al fine di fornire adeguata
interpretazione all’espressione normativa del “termine ragionevole”, non va
riguardata soltanto la frazione temporale in sé per sé considerata decorrente
tra la data del provvedimento ampliativo della sfera giuridica del destinatario
ed il suo ritiro in autotutela, né è dirimente considerare il termine di durata
complessivo dell’operatività provvedimento, quanto piuttosto gli effetti che medio tempore quel provvedimento ha prodotto.
Pertanto, nel caso di specie, non deve essere
preso tanto in considerazione il tempo intercorso tra la data di inizio degli
incentivi e la data del provvedimento di annullamento degli stessi in rapporto
agli anni futuri di erogazione del contributo pubblico; piuttosto rileva in
modo significativo che durante detto periodo sia stata stipulata una
convenzione tra l’amministrazione e la società appellante e che, alla stregua
di un atto di natura essenzialmente paritetica, detta convenzione abbia
generato nel soggetto privato un legittimo affidamento alla esecuzione secondo
buona fede delle prestazioni reciprocamente assunte dalle parti ed al rispetto
del loro specifico contenuto.
D’altra parte, la Sezione ha già avuto modo in
passato di sottolineare come “il principio comunitario di tutela
dell'affidamento recepito dalla normativa nazionale con la previsione della
necessità di una congrua motivazione in ordine alla ricorrenza di esigenze
idonee a giustificare la compressione di posizioni consolidate per effetto del
tempo, impone la valutazione di un interesse pubblico tale da giustificare
l'incisione di posizioni ormai consolidate” (cfr. Consiglio di Stato, sez.
VI, 20 febbraio 2008; Consiglio di Stato, sez. VI, 18 agosto 2009, n. 4958).
6.- Inoltre, il rispetto del principio di
ragionevolezza impone che, in presenza di posizioni ormai consolidate (com'è
quella facente capo alla odierna società appellante), si debba suggerire, a fronte di vizi meramente formali (o
addirittura di irregolarità procedimentali), un puntuale apprezzamento del
ragionevole affidamento suscitato nell'amministrato sulla regolarità della sua
posizione (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 2 ottobre 2007, n. 5074; Consiglio
di Stato, sez. VI, 18 agosto 2009, n. 4958).
7.- Alla luce delle considerazioni che precedono
il provvedimento impugnato risulta, dunque, illegittimo, sia sotto il profilo
della carenza di motivazione, sia per violazione del legittimo affidamento.
8.- Ne deriva l'accoglimento dell’appello, con il
conseguente assorbimento dei restanti motivi.
9.- Per completezza, e pur nell’assorbenza di
quanto già detto a proposito dell’illegittimo esercizio del potere di
autotutela decisoria, il Collegio osserva che la vicenda sottesa al primo
motivo di appello riguarda al più un caso di irregolarità procedimentale
ascrivibile alla società odierna appellante in relazione agli adempimenti
previsti in occasione della messa in esercizio degli impianti fotovoltaici
secondo la disciplina normativa applicabile ratione
temporis; tale irreogalità, anche ove sussistente, non ha un’incidenza
diretta sulla ratio della disposizione normativa che
impone l’onere della comunicazione agli uffici doganali ( nel senso che rende
inutile l’assolvimento di quell’onere).
E’ pur vero, infatti, che ai sensi dell'art. 2,
comma 1, lett. c) 4, del d.m. 6 agosto 2010 per “data di entrata in esercizio”
doveva essere ritenuta quella in cui anche gli obblighi previsti dalla
normativa fiscale fossero stati assolti ( in particolare, l'Allegato 3 al terzo
Conto Energia prevedeva che fosse fornita copia della comunicazione fatta
all'agenzia delle dogane - ufficio tecnico di finanza- sulle caratteristiche
dell'impianto).
Tuttavia, la società appellante, che come già
detto ha ultimato le incombenze di allacciamento alla rete elettrica soltanto
alle ore 20.00 del 31 maggio 2011, in un orario in cui era effettivamente
impossibile qualsiasi consegna a mano o per il tramite degli uffici postali
della prescritta comunicazione ( peraltro, per effetto delle previsioni contenute
nell’art.6, comma 6, del d.l. 29 novembre 2008 n.185- convertito nella legge n.
2 del 2009 – per le società già in essere alla data della sua entrata in
vigore, quale appunto Smea impianti srl, la necessità di dotarsi di posta
elettronica certificata per le comunicazioni agli uffici amministrativi è
adempimento richiesto soltanto a far data dal 29 novembre 2011), ha ottemperato
il prima possibile ( e cioè il mattino del giorno successivo) a quanto previsto
dalla normativa al fine di rendere partecipi anche agli uffici doganali
dell’avvio dell’impianto di produzione energetica.
Sotto tal profilo anche il primo motivo, ove ne
fosse stato necessario il compiuto esame, avrebbe meritato un’attenta
valutazione, tenuto conto della particolarità della fattispecie concreta (
caratterizzata dal fatto che l’ impianto è stato avviato alle ore 20
dell’ultimo giorno utile per poter beneficiare degli incentivi relativi al
terzo conto energia).
10.-In definitiva, l’appello va accolto nei sensi
di cui in motivazione e, in riforma della gravata sentenza ed in accoglimento
del ricorso in primo grado, va disposto l'annullamento dell'atto impugnato in
primo grado.
11.- Le spese dei due gradi di giudizio seguono
la regola della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello (RG n. 5545/13),
come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e per
l'effetto, in riforma della impugnata sentenza ed in accoglimento del ricorso
di primo grado, annulla l'atto ivi impugnato.
Condanna le parti appellate costituite, in solido
tra loro, al pagamento in favore della società appellante delle spese e degli
onorari del doppio grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 14.000,00
( quattordicimila/00) oltre accessori di legge, che pone a carico del GSE nella
misura di euro 7.000,00 (settemila/00) oltre accessori ed a carico delle altre
amministrazioni appellate ( patrocinate unitariamente dal foro erariale) nella
misura di euro 7.000,00 (settemila/00) oltre accessori.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 28 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere,
Estensore
Roberta Vigotti, Consigliere
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/11/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)