giovedì 27 novembre 2014

ESAME AVVOCATO: il Consiglio di Stato blocca l'orientamento "evolutivo" dei T.A.R. (Cons. St., Sez. IV, sentenza 19 novembre 2014, n. 5320).


ESAME AVVOCATO: 
il Consiglio di Stato blocca 
l'orientamento "evolutivo" dei T.A.R. 
(Cons. St., Sez. IV, 
sentenza 19 novembre 2014, n. 5320)



Il Consiglio di Stato non riconosce la decisa (ma non decisiva) svolta dei T.A.R. Lazio-Roma, Calabria-Catanzaro, Abruzzo-L'Aquila, etc. sull'applicabilità diretta dell'art. 46 della nuova professionale (n. 247/12) agli esami di abilitazione forense.
Tutte le ordinanze cautelari T.A.R. vengono, difatti, sospese (spesso con decreto monocratico ex art. 56 c.p.a. del presidente della IV Sezione del Consiglio di Stato) in appello, perché tutte sono basate sull'accoglimento del motivo di diritto sul predetto art. 46.
Ecco, a pensar male si fa peccato (sempre), ma non si sbaglia (spesso)...


Massima

1. Deve ribadirsi la sufficienza del punteggio numerico - già affermata dalla Corte Costituzionale nella nota decisione n. 175/2011 - in sede di motivazione dei giudizi sugli scritti dell'esame d'abilitazione forense.
2. La disposizione di cui all'art. 46 della l. n. 247/2012, difatti, per espressa previsione del successivo art. 49 non trova applicazione alla procedura concorsuale in esame e, pertanto, non possono trarsi dalla prima argomenti ermeneutici riferibili alle (diverse) disposizioni normative vigenti e ratione temporis applicabili in quanto una detta opzione interpretativa si porrebbe in contrasto con la espressa perimetrazione applicativa temporale scolpita dal Legislatore nel predetto art. 49.
3. Tale ultima disposizione è rubricata non casualmente “Disciplina transitoria per l'esame” e stabilisce che per i primi due anni dalla data di entrata in vigore della l. n. 246/2012 l'esame di abilitazione all'esercizio della professione di avvocato si effettua, sia per quanto riguarda le prove scritte e le prove orali, sia per quanto riguarda le modalità di esame, secondo le norme previgenti.


Ordinanza per esteso

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 8974 del 2014, proposto da:

Ministero della Giustizia, Commissione Per Gli Esami di Avvocato - Sessione 2013 - Presso La Corte di Appello di Firenze, Commissione Per Gli Esami di Avvocato - Sessione 2013 - Presso La Corte di Appello di Catanzaroin persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono ope legis domiciliati,;

contro
L.F., rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Giuffrida, con domicilio eletto presso Adriano Tortora in Roma, Via Cicerone N. 49; 
per la riforma
dell' ordinanza cautelare del T.A.R. della CALABRIA –Sede di CATANZARO - SEZIONE II n. 00428/2014, resa tra le parti, concernente mancata ammissione alle prove orali abilitazione professione avvocato - mcp

Visto l'art. 62 cod. proc. amm;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Luca Fortunato;
Vista la impugnata ordinanza cautelare del Tribunale amministrativo regionale di accoglimento della domanda cautelare presentata dalla parte ricorrente in primo grado;
Viste le memorie difensive;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 novembre 2014 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’ Avvocato dello Stato Giorgio Palatiello e l’Avvocato Roberto Giuffrida;

Rilevato che l’appello cautelare appare assistito dal fumus boni iuris, in quanto la tesi della sufficienza del punteggio numerico- già affermata dalla Corte Costituzionale nella nota decisione 08-06-2011, n. 175- è stata a più riprese e senza eccezioni ribadita dalla giurisprudenza della Sezione (ex aliis Sez. IV n. 175/2014);
rilevato altresì che la disposizione di cui alla legge 31-12-2012 n. 247, art. 46, per espressa previsione del successivo art. 49 (“Disciplina transitoria per l'esame” per i primi due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge l'esame di abilitazione all'esercizio della professione di avvocato si effettua, sia per quanto riguarda le prove scritte e le prove orali, sia per quanto riguarda le modalità di esame, secondo le norme previgenti.”) non trova applicazione alla procedura concorsuale in esame e, pertanto, non possono trarsi dalla prima argomenti ermeneutici riferibili alle (diverse) disposizioni normative vigenti e ratione temporis applicabili ( in quanto una detta opzione interpretativa si porrebbe in contrasto con la espressa perimetrazione applicativa temporale scolpita dal Legislatore nel predetto art. 49).
rilevato in ultimo, che, ai sensi degli artt. 13 -16 del cpa, in sede di vaglio sul merito, dovrà essere approfonditamente delibata la questione relativa alla competenza territoriale del Tar adito ( che parrebbe essere stata positivamente ritenuta, in via implicita, in relazione ad una mera nota di trasmissione degli esiti della correzione e dell’elenco degli ammessi, mentre tutti gli atti gravati sono stati resi nella circoscrizione di altro Tar territoriale- Firenze-);

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
Accoglie l'appello (Ricorso numero: 8974/2014) e, per l'effetto, in riforma dell'ordinanza impugnata, respinge l'istanza cautelare proposta in primo grado.
Condanna parte appellata, al pagamento delle spese processuali della presente fase cautelare in favore di parte appellante, nella misura che appare equo quantificare nella misura di Euro cinquecento (€ 500//00) oltre oneri accessori, se dovuti.
La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 novembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE






DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/11/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


PROCESSO & ACCESSO: l'inammissibilità dell'appello avverso l'ordinanza istruttoria T.A.R. che decide sull'accesso (Cons. St., Sez. IV, ordinanza 26 novembre 2014, n. 5850).


PROCESSO & ACCESSO: 
l'inammissibilità dell'appello 
avverso l'ordinanza istruttoria T.A.R. 
che decide sull'accesso
 (Cons. St., Sez. IV, 
ordinanza 26 novembre 2014, n. 5850)



Massima

1. E' inammissibile l'appello avverso l'ordinanza istruttoria di cui all’art. 116 c.p.a., con la quale in pendenza di ricorso è decisa in camera di consiglio l’impugnativa proposta per l’accesso a documenti amministrativi, atteso che è strettamente inerente ai poteri istruttori del giudice e non è, quindi, autonomamente appellabile, ferma restando la possibilità di contestarne il contenuto in sede di impugnazione di merito.
2. Le doglianze di parte istante in punto di asserita carenza o inadeguatezza delle acquisizioni istruttorie di prime cure devono essere fatte valere, pertanto, in sede di eventuale impugnazione della decisione del merito del giudizio.


Ordinanza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

ORDINANZA
sul ricorso in appello nr. 5054 del 2014, proposto da S.G. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, e dai signori Vincenzo F., Maria Vittoria M.B., Abramo R. e Paolo S., rappresentati e difesi dall’avv. Federico Tedeschini, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, largo Messico, 7,
contro
- ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall’avv. Luigi D’Ottavi, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
- la SOVRINTENDENZA CAPITOLINA AI BENI CULTURALI, in persona del Sovrintendente pro tempore,non costituita;
- la REGIONE LAZIO, in persona del Presidente pro tempore, non costituita;
- la PROVINCIA DI ROMA, in persona del Presidente pro tempore, non costituita;
- l’UFFICIO DEL GENIO CIVILE DI ROMA, in persona del legale rappresentante pro tempore, e il MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
nei confronti di
- RINA ESTATE ITALIA S.r.l. e LA RINASCENTE S.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’avv. Stefano Gattamelata, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via di Monte Fiore, 22;
- PRELIOS SGR S.p.a. e CMB SOCIETÀ COOPERATIVA MURATORI E BRACCIANTI DI CARPI, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite;
- signori Benedetta LUBRANO, Enrico LUBRANO, Filippo LUBRANO e, Grazia LUBRANO MANNIRONI, rappresentati e difesi dagli avv.ti Benedetta Lubrano, Filippo Lubrano ed Enrico Lubrano, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Flaminia, 79; 
per la riforma
dell’ordinanza del T.A.R. del Lazio, Sezione Seconda bis, nr. 3668 depositata il 3 aprile 2014, non notificata.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale, delle Amministrazioni statali in epigrafe indicate, di Rina Estate Italia S.r.l. e La Rinascente S.p.a. (controinteressate in primo grado) e dei signori Benedetta Lubrano, Enrico Lubrano, Filippo Lubrano e Grazia Lubrano Mannironi (intervenienti ad adiuvandum in primo grado);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, alla camera di consiglio del giorno 25 novembre 2014, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi l’avv. Paola Conticiani, su delega dell’avv. Tedeschini, per gli appellanti, l’avv. D’Ottavi per Roma Capitale, l’avv. dello Stato Andrea Fedeli per le Amministrazioni statali, l’avv. Gattamelata per le società intimate e l’avv. Benedetta Lubrano per gli intervenienti;

Ritenuto che risulta fondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dalle parti intimate, stante la natura non decisoria dell’ordinanza istruttoria di cui all’art. 116 cod. proc. amm. con la quale in pendenza di ricorso è decisa in camera di consiglio l’impugnativa proposta per l’accesso a documenti amministrativi, che è atto strettamente inerente ai poteri istruttori del giudice e non è quindi autonomamente appellabile, ferma restando – come è ovvio – la possibilità di contestarne il contenuto in sede di impugnazione di merito (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 luglio 2013, nr. 3759; id., sez. V, 9 dicembre 2008, nr. 6162; id., sez. VI, 22 gennaio 2002, nr. 403);
Ritenuto, pertanto, che le doglianze di parte istante in punto di asserita carenza o inadeguatezza delle acquisizioni istruttorie di prime cure potranno essere fatte valere in sede di eventuale impugnazione della decisione del merito del giudizio (la quale, incidentalmente, risulta medio tempore sopravvenuta);

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) dichiara inammissibile l’appello in epigrafe.
Condanna gli appellanti e gli intervenienti, in solido, al pagamento, pro quota in favore delle parti appellate, di spese e onorari della presente fase del giudizio, che liquida equitativamente in complessivi € 6000,00 oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE




DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/11/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

lunedì 24 novembre 2014

PROVVEDIMENTO: l'annullamento in autotutela: presupposti e breve ricostruzione dell'istituto (Cons. St., Sez. VI, sentenza 17 novembre 2014, n. 5609).


PROVVEDIMENTO:
 l'annullamento in autotutela: 
presupposti e breve ricostruzione dell'istituto 
(Cons. St., Sez. VI, 
sentenza 17 novembre 2014, n. 5609)



Massima 

1. Nonostante l'annullamento in autotutela sia un atto connotato da ampia discrezionalità, va osservato che per costante giurisprudenza, l'annullamento d'ufficio di un provvedimento amministrativo presuppone una congrua motivazione sull'interesse pubblico, attuale e concreto, a sostegno dell'esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con una adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell'interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento delle posizione che, su di esso, si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall'Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2468; C.G.A., s. g. 15 settembre 2014, n. 540).
2. Sul piano sostanziale l’annullamento in autotutela non deriva pertanto in via automatica dall'accertata originaria illegittimità dell'atto, essendo altresì necessaria la sussistenza di un interesse pubblico attuale al ripristino della legalità, che risulti prevalente sugli interessi dei privati che militano in senso opposto, senza peraltro che l’amministrazione possa affidare la motivazione dell’atto di ritiro a clausole di stile riguardo alla prevalenza dell’interesse pubblico (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19 marzo 2013, n. 1605; Consiglio di Stato, sez. III, 30 luglio 2013, n. 4026).

3. Tale intervento in autotutela deve inoltre intervenire in un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. III, 8 settembre 2009, n. 4533). L’espressione normativa “termine ragionevole” non va intesa soltanto come la frazione temporale in sé per sé considerata decorrente tra la data del provvedimento ampliativo della sfera giuridica del destinatario ed il suo ritiro in autotutela, né è a tal fine dirimente considerare il termine di durata complessivo dell’operatività provvedimento, dovendo invece tenersi conto degli effetti che medio tempore quel provvedimento ha prodotto.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5545 del 2013, proposto da: 
Smea Impianti s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato Vito Aurelio Pappalepore, con domicilio eletto presso Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, 104; 
contro
Gestore dei Servizi Energetici-Gse s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Cesare San Mauro e Andrea Di Porto, con domicilio eletto presso quest’ultimo difensore in Roma, via Giovanni Battista Martini n. 13; 
nei confronti di
Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Agenzia delle Dogane Direzione Centrale Accertamenti e Controlli; Agenzia delle Dogane - Direzione Regionale di Bari, Agenzia delle Dogane - Direzione Interregionale Puglia Molise e Basilicata, in persona dei rispettivi rappresentanti, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III TER n. 5445/2013, resa tra le parti, concernente revoca ammissione alle tariffe incentivanti relative all'impianto fotovoltaico denominato "Asi Modugno "

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Gestore dei Servizi Energetici-Gse Spa, dell’ Agenzia delle Dogane, del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2014 il Consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le l’avvocato Pappalepore, l’avvocato San Mauro e l’avvocato dello Stato Tidore;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1.- La società Smea Impianti s.r.l. impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio 30 marzo 2013 n. 5445 che ha respinto il ricorso di primo grado dalla stessa promosso avverso il provvedimento del Gestore dei servizi energetici n. P2012015539 dell'11 settembre 2009, con il quale è stato annullato, in autotutela, il provvedimento di ammissione alla tariffa incentivante relativo all'impianto fotovoltaico realizzato in Modugno ( Bari) e di cui risulta titolare la odierna società appellante.
L'appellante censura la sentenza impugnata, che ha ritenuto legittimo l’esercizio, nella specie, del potere di autotutela dell'amministrazione, sul rilievo della effettiva sussistenza di un vizio originario a base della determinazione di ammissione della società odierna appellante ai benefici del d.m. 6 agosto 2010 relativo al terzo conto energia e, in ogni caso, l’insussistenza di un onere motivazionale particolarmente stringente, a fronte del macroscopico interesse pubblico sotteso al recupero di somme indebitamente corrisposte.
La società appellante deduce, per converso, che la violazione riscontrata nel provvedimento in primo grado impugnato (id est, di aver riscontrato la tardiva entrata in esercizio dell’impianto, successiva al 31 maggio 2011, data ultima per poter beneficiare degli incentivi suddetti), risulterebbe di tipo meramente formale, non incidendo in concreto sul termine ultimo di avvio dell'attività produttiva, avviata alle ore 20 del 31 maggio 2011.
Contesta, inoltre, l’appellante sia la violazione dello specifico onere di motivazione del provvedimento di ritiro dell’ammissione ai benefici economici, adottato a circa otto mesi dalla stipula e dalla esecuzione della convenzione inter partes , sia l’indubitabile rilevanza del legittimo affidamento della odierna società appellante, vieppiù rafforzata dalla suddetta convenzione, stipulata con il Gestore dei servizi energetici fin dal 14 novembre 2011.
Insiste pertanto l’appellante per l’accoglimento dell’appello e per il consequenziale annullamento dell’atto di autotutela in primo grado impugnato, in riforma della gravata sentenza.
Si sono costituiti in giudizio sia il GSE che l'Agenzia delle dogane per resistere all'appello e per chiederne la reiezione.
Le parti hanno depositato memorie illustrative in vista della udienza pubblica di discussione.
All'udienza pubblica del 28 ottobre 2014 la causa è stata trattenuta per la sentenza.
2.- L'appello è fondato nei sensi di cui appresso.
3.- La vicenda che ne occupa riguarda l'impugnazione da parte dell'odierna società appellante del provvedimento del GSE n. P2012015539 dell'11 settembre 2009, con il quale, in autotutela, veniva annullato l’originario provvedimento di ammissione della ricorrente alla tariffa incentivante prevista dal d.m. 6 agosto 2010 (c.d. terzo conto energia) in relazione all'impianto fotovoltaico di potenza pari a 998,20 KW realizzato dalla società Smea in Modugno ( Bari) e veniva sostanzialmente posta nel nulla la relativa convenzione stipulata ( tra la società ed il Gestore) il 14 novembre 2011 per la durata di vent’anni. A base dell’annullamento, il GSE ha rilevato la tardiva entrata in esercizio dell’impianto ( successiva alla data del 31 maggio 2011 prevista dal citato d.m. quale termine ultimo per fruire dei benefici economici del c.d. terzo conto energia) in quanto la società Smea non avrebbe tempestivamente assolto gli oneri di comunicazione dell’avvio dell’impianto al competente ufficio doganale ( comunicazione effettivamente occorsa soltanto il successivo 1° giugno 2011).
4.- Le censure dell’appellante si appuntano, anzitutto, sull'erronea interpretazione dell'art. 53 bis del decreto legislativo 26 ottobre 1995 n. 504, nella parte in cui tale disposizione prevede solo il requisito della “contestualità” tra la messa in esercizio e la comunicazione di inizio dell’attività di produzione energetica, evenienza a suo dire nella specie effettivamente realizzata a mezzo della tempestiva comunicazione, il mattino susseguente all’avvio dell’impianto, all’ufficio doganale di Bari. Sottolinea, inoltre, la società appellante che la richiamata disposizione normativa intendeva riferire il rispetto del limite temporale alla messa in esercizio dell’impianto, prevedendo quale incombente ulteriore unicamente la comunicazione della data di inizio dell’attività, restando irrilevante la data in cui tale comunicazione fosse in concreto presentata.
Con distinti motivi l'appellante deduce l'erroneità della sentenza nella parte in cui non avrebbe condiviso le doglianze incentrate sul difetto di motivazione del provvedimento di autotutela, anche in ragione del legittimo affidamento indotto dalla stessa amministrazione con la stipula della convenzione del 14 novembre 2011 e della conseguente violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 7 agosto 1990.
5.- Rileva anzitutto il Collegio che meritano condivisione, nel caso in esame, i motivi di censura incentrati sulla violazione del principio di legittimo affidamento.
Il Tar, facendo propri gli argomenti dedotti dal GSE, ha rigettato le corrispondenti censure di primo grado, ravvisando una sorta di interesse pubblico in re ipsanel fatto stesso del recupero da parte dell'amministrazione delle somme indebitamente erogate a titolo di incentivi, a fronte del ben più fievole interesse privato al trattenimento di quanto già incamerato a quel titolo.
Ritiene il Collegio che tale statuizione non possa essere condivisa e vada riformata in accoglimento della corrispondente censura d’appello.
Pur nella consapevolezza che l'annullamento in autotutela sia un atto connotato da ampia discrezionalità, va osservato che per costante giurisprudenza, l'annullamento d'ufficio di un provvedimento amministrativo presuppone una congrua motivazione sull'interesse pubblico, attuale e concreto, a sostegno dell'esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con una adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell'interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento delle posizione che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall'Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2468; C.G.A., s. g. 15 settembre 2014, n. 540).
In sostanza, l’annullamento in autotutela non deriva in via automatica dall'accertata originaria illegittimità dell'atto, essendo altresì necessaria la sussistenza di un interesse pubblico attuale al ripristino della legalità che risulti prevalente sugli interessi dei privati che militano in senso opposto, senza peraltro che l’amministrazione possa affidare la motivazione del’atto di ritiro a clausole di stile riguardo alla prevalenza dell’interesse pubblico (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19 marzo 2013, n. 1605; Consiglio di Stato, sez. III, 30 luglio 2013, n. 4026).
Nel caso in esame, non solo si tratta di valutare l'interesse contrapposto della società appellante, particolarmente significativo perché radicato su una convenzione già in esecuzione da otto mesi ma anche l'interesse della collettività a beneficiare di un tipo di energia la cui produzione è incentivata in ragione del perseguimento di obiettivi di pubblica rilevanza. Infatti, gli impianti fotovoltaici sono considerati dalla normativa nazionale (cfr. in particolare il decreto legislativo n. 387 del 2003) come opere d'interesse pubblico e la stessa la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili corrisponde a finalità di interesse pubblico (quali la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra nonchè la ricerca, promozione, sviluppo e la maggior utilizzazione possibile di fonti energetiche alternative a quelle fossili sulla base di tecniche avanzate compatibili con il rispetto dell'ambiente) corrispondenti a precisi impegni assunti dal nostro Paese in ambito europeo ( direttiva n. 2009/28/C del 5 giugno 2009) ed internazionale (cfr. legge 1° giugno 2002 n.120, recante "Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto [ ndr del 11 dicembre 1997] alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici [ stipulata a New York il 9 maggio 1992, ratificata dalla CEE con decisione n. 94/69/CE del 15 dicembre 1993 ed entrata in vigore il 21 marzo 1994]”.
Alla luce di tale ultimo rilievo, la tariffa incentivante non si atteggia a incentivo a fondo perduto dell'amministrazione, essendo la stessa società privata realizzatrice dell’impianto di produzione energetica da fonte rinnovabile autrice di un’attività di interesse pubblico.
Da tanto il Collegio ritiene di poter desumere che, nel caso in esame, l'amministrazione avrebbe dovuto più attentamente valutare, in uno all’interesse pubblico sotteso al recupero delle somme erogate in più a titolo di incentivo in relazione al c.d. terzo conto energia, i possibili contrapposti interessi ( pubblici e privati) e comunque formulare una compiuta motivazione del provvedimento di annullamento in autotutela intervenuto dopo un significativo arco temporale dall’avvio dell’impianto e dalla stipula della convenzione.
L’amministrazione avrebbe dovuto quantomeno esternare, sulla base della ratio sottesa alla comunicazione dell’avvio dell’impianto all’ufficio doganale, perché il controllo da parte di tali uffici sull’applicazione dell’accisa sull’energia prodotta ( tale essendo la finalità di detta comunicazione) si sarebbe rivelato di difficile o impossibile attuazione in rapporto alla comunicazione dell’avvio dell’impianto avvenuta a poche ore di distanza dalla sua messa in esercizio ( a sua volta occorsa a ridosso della scadenza del termine previsto). Solo una motivazione consistente su tale profilo avrebbe potuto giustificare, in estremo subordine, l’esercizio tardivo dello ius poenitendi, che – come già detto – ha comportato la materiale sterilizzazione della esecuzione ( in essere già da otto mesi) del rapporto convenzionale inter partes.
Né sotto questo profilo può essere condiviso quanto ricordato dal Giudice di primo grado, e cioè che “al momento dell'adozione del gravato provvedimento l'incentivazione era nella sua fase iniziale (primo anno dei venti di durata complessiva del beneficio)” e che pertanto sarebbe per tal ragione del “tutto incongruo invocare la maturazione di una situazione di affidamento meritevole di tutela”.
Infatti, bisogna ricordare come le regole dettate al riguardo dall'art. 21 nonies della legge sul procedimento amministrativo (n. 241 del 1990), richiedano la sussistenza di ragioni di interesse pubblico specifico all'annullamento, nel senso che lo stesso deve intervenire in un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. III, 8 settembre 2009, n. 4533). Al fine di fornire adeguata interpretazione all’espressione normativa del “termine ragionevole”, non va riguardata soltanto la frazione temporale in sé per sé considerata decorrente tra la data del provvedimento ampliativo della sfera giuridica del destinatario ed il suo ritiro in autotutela, né è dirimente considerare il termine di durata complessivo dell’operatività provvedimento, quanto piuttosto gli effetti che medio tempore quel provvedimento ha prodotto.
Pertanto, nel caso di specie, non deve essere preso tanto in considerazione il tempo intercorso tra la data di inizio degli incentivi e la data del provvedimento di annullamento degli stessi in rapporto agli anni futuri di erogazione del contributo pubblico; piuttosto rileva in modo significativo che durante detto periodo sia stata stipulata una convenzione tra l’amministrazione e la società appellante e che, alla stregua di un atto di natura essenzialmente paritetica, detta convenzione abbia generato nel soggetto privato un legittimo affidamento alla esecuzione secondo buona fede delle prestazioni reciprocamente assunte dalle parti ed al rispetto del loro specifico contenuto.
D’altra parte, la Sezione ha già avuto modo in passato di sottolineare come “il principio comunitario di tutela dell'affidamento recepito dalla normativa nazionale con la previsione della necessità di una congrua motivazione in ordine alla ricorrenza di esigenze idonee a giustificare la compressione di posizioni consolidate per effetto del tempo, impone la valutazione di un interesse pubblico tale da giustificare l'incisione di posizioni ormai consolidate” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 20 febbraio 2008; Consiglio di Stato, sez. VI, 18 agosto 2009, n. 4958).
6.- Inoltre, il rispetto del principio di ragionevolezza impone che, in presenza di posizioni ormai consolidate (com'è quella facente capo alla odierna società appellante), si debba suggerire, a fronte di vizi meramente formali (o addirittura di irregolarità procedimentali), un puntuale apprezzamento del ragionevole affidamento suscitato nell'amministrato sulla regolarità della sua posizione (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 2 ottobre 2007, n. 5074; Consiglio di Stato, sez. VI, 18 agosto 2009, n. 4958).
7.- Alla luce delle considerazioni che precedono il provvedimento impugnato risulta, dunque, illegittimo, sia sotto il profilo della carenza di motivazione, sia per violazione del legittimo affidamento.
8.- Ne deriva l'accoglimento dell’appello, con il conseguente assorbimento dei restanti motivi.
9.- Per completezza, e pur nell’assorbenza di quanto già detto a proposito dell’illegittimo esercizio del potere di autotutela decisoria, il Collegio osserva che la vicenda sottesa al primo motivo di appello riguarda al più un caso di irregolarità procedimentale ascrivibile alla società odierna appellante in relazione agli adempimenti previsti in occasione della messa in esercizio degli impianti fotovoltaici secondo la disciplina normativa applicabile ratione temporis; tale irreogalità, anche ove sussistente, non ha un’incidenza diretta sulla ratio della disposizione normativa che impone l’onere della comunicazione agli uffici doganali ( nel senso che rende inutile l’assolvimento di quell’onere).
E’ pur vero, infatti, che ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. c) 4, del d.m. 6 agosto 2010 per “data di entrata in esercizio” doveva essere ritenuta quella in cui anche gli obblighi previsti dalla normativa fiscale fossero stati assolti ( in particolare, l'Allegato 3 al terzo Conto Energia prevedeva che fosse fornita copia della comunicazione fatta all'agenzia delle dogane - ufficio tecnico di finanza- sulle caratteristiche dell'impianto).
Tuttavia, la società appellante, che come già detto ha ultimato le incombenze di allacciamento alla rete elettrica soltanto alle ore 20.00 del 31 maggio 2011, in un orario in cui era effettivamente impossibile qualsiasi consegna a mano o per il tramite degli uffici postali della prescritta comunicazione ( peraltro, per effetto delle previsioni contenute nell’art.6, comma 6, del d.l. 29 novembre 2008 n.185- convertito nella legge n. 2 del 2009 – per le società già in essere alla data della sua entrata in vigore, quale appunto Smea impianti srl, la necessità di dotarsi di posta elettronica certificata per le comunicazioni agli uffici amministrativi è adempimento richiesto soltanto a far data dal 29 novembre 2011), ha ottemperato il prima possibile ( e cioè il mattino del giorno successivo) a quanto previsto dalla normativa al fine di rendere partecipi anche agli uffici doganali dell’avvio dell’impianto di produzione energetica.
Sotto tal profilo anche il primo motivo, ove ne fosse stato necessario il compiuto esame, avrebbe meritato un’attenta valutazione, tenuto conto della particolarità della fattispecie concreta ( caratterizzata dal fatto che l’ impianto è stato avviato alle ore 20 dell’ultimo giorno utile per poter beneficiare degli incentivi relativi al terzo conto energia).
10.-In definitiva, l’appello va accolto nei sensi di cui in motivazione e, in riforma della gravata sentenza ed in accoglimento del ricorso in primo grado, va disposto l'annullamento dell'atto impugnato in primo grado.
11.- Le spese dei due gradi di giudizio seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello (RG n. 5545/13), come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e per l'effetto, in riforma della impugnata sentenza ed in accoglimento del ricorso di primo grado, annulla l'atto ivi impugnato.
Condanna le parti appellate costituite, in solido tra loro, al pagamento in favore della società appellante delle spese e degli onorari del doppio grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 14.000,00 ( quattordicimila/00) oltre accessori di legge, che pone a carico del GSE nella misura di euro 7.000,00 (settemila/00) oltre accessori ed a carico delle altre amministrazioni appellate ( patrocinate unitariamente dal foro erariale) nella misura di euro 7.000,00 (settemila/00) oltre accessori.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore
Roberta Vigotti, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/11/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


domenica 23 novembre 2014

SOCIETA' PUBBLICHE: il riparto di giurisdizione (quasi definitivo) tra Giudice ordinario e Giudice contabile sulle società pubbliche - il caso ANAS S.p.A. (Cass. Civ., Sez. Un., sentenza 9 luglio 2014, n. 15594).


     SOCIETA' PUBBLICHE: 
il riparto di giurisdizione 
(quasi definitivo) 
tra Giudice ordinario 
e Giudice contabile 
sulle società pubbliche -
il caso ANAS S.p.A.
(Cass. Civ., Sez. Un.,
 sentenza 9 luglio 2014, n. 15594)

     Massima

1. 
In ipotesi di danno arrecato al patrimonio sociale, avuto riguardo alla natura di ente privato della società ed all'autonomia giuridica e patrimoniale di essa rispetto al socio pubblico, la giurisdizione è stata attribuita al giudice ordinario, non essendo configurabile né un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti.
    2. La giurisdizione di quest'ultima è stata viceversa affermata sia quando l'azione di responsabilità miri al risarcimento di un danno che - come nel caso del danno all'immagine - sia stato arrecato al socio pubblico direttamente, e non quindi quale mero riflesso della perdita di valore della partecipazione sociale conseguente al danno arrecato alla società, sia quando essa trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio o li abbia comunque esercitati in modo tale da pregiudicare il valore della partecipazione (si veda, per tutte, Sez. Un. n. 26806/2009).
    3. All'interno di siffatto quadro generale sono state, nondimeno, individuate situazioni particolari connesse alla natura speciale dello statuto legale di talune società partecipate da enti pubblici.   
     Così, in relazione alla Rai Radio televisione italiana s.p.a., si è affermato che spetta alla Corte dei conti la giurisdizione sulle azioni di risarcimento del danno cagionato da componenti del consiglio d'amministrazione e da dipendenti perché, nonostante la veste di società per azioni, essa ha natura sostanziale di ente pubblico, con uno statuto assoggettato a regole legali in forza delle quali è designata direttamente dalla legge quale concessionaria dell'essenziale servizio pubblico radiotelevisivo, sottoposta a penetranti poteri di vigilanza da parte di un'apposita commissione parlamentare, destinataria di un canone d'abbonamento avente natura di imposta, compresa tra gli enti sottoposti al controllo della Corte dei conti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, nonché tenuta all'osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell'affidamento degli appalti (cfr. Sez. un n. 27092/2009). E ad analoga conclusione, sempre per ragioni attinenti al suo speciale statuto legale, si è pervenuti anche quanto all'Enav s.p.a. (Sez. un. 5032/2010).
    4. Per completezza di argomento si deve ricordare che, accanto a queste ipotesi singolari, connotate dalla peculiarità dello statuto legale della specifica società, la giurisdizione della Corte dei conti è stata ravvisata da ultimo anche con riguardo alle azioni di responsabilità proposte nei confronti di organi o dipendenti di un più vasto sottoinsieme di società a partecipazione pubblica: le cosiddette società in house, per tali dovendosi intendere quelle dal cui quadro statutario, vigente all'epoca della condotta ritenuta dannosa, emerga che siano state costituite da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, che esplichino la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e che siano assoggettate a forme di controllo della gestione analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici (si veda, tra le altre, Sez. un. 26283/2013).  
S   Si è reputato che una siffatta società, quanto meno ai fini del riparto della giurisdizione, non si ponga davvero in rapporto di alterità con la pubblica amministrazione partecipante, bensì come una sua longa manus, come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa, di talché il danno arrecato al patrimonio sociale si configura in tal caso come danno direttamente riferibile all'ente pubblico, i cui organi può dirsi facciano capo all'amministrazione medesima.
    5. Premesso, allora, che l'attuale statuto sociale dell'Anas non presenta caratteristiche tali da farla ricomprendere nel novero delle società in house, quali sopra richiamate, si tratta in definitiva di comprendere se la trasformazione dell'Anas in società per azioni disposta dalla legge ne abbia davvero comportato il mutamento della natura giuridica - da ente pubblico economico a società di diritto privato - o se invece non ne abbia intaccato gli essenziali connotati pubblicistici, essendosi tradotta nella mera adozione di una formula organizzativa, corrispondente a quella della società azionaria, senza per questo incidere sulla reale natura del soggetto.
   In questo secondo senso si è già ripetutamente espressa (sia pure ad altri fini) la giurisprudenza del Consiglio di Stato, affermando senz'altro che la trasformazione dell'Anas, disposta dal D.L. n. 138 del 2002, art. 7 convertito nella L. n. 178 del 2002, ha avuto incidenza concreta soltanto sulla fase gestionale del soggetto, permanendo sia la natura pubblica del nuovo organismo sia i poteri pubblicistici propri dell'ente proprietario delle autostrade e strade statali ad esso affidate (vedi, ad esempio, Cons. Stato 24 febbraio 2011, n. 1230, e 24 maggio 2013, n. 2829).   6. Tali conclusioni appaiono condivisibili, sia pure con l'ovvia avvertenza che non occorre in questa sede definire in termini generali la natura giuridica dell'Anas s.p.a., bensì soltanto valutare se quest'ultima presenti caratteristiche specifiche tali da far ritenere che il suo patrimonio abbia conservato i connotati pubblicistici che sono l'indispensabile presupposto della giurisdizione contabile e che, correlativamente, coloro i quali per essa agiscono incidendo su quel patrimonio rientrino nel novero dei soggetti ai quali detta giurisdizione si estende.
   6.1 Depone in questo senso, anzitutto, la genesi stessa dell'Anas s.p.a., direttamente derivante da un atto normativo e non, come è naturale in società di diritto privato, da un atto negoziale, ancorché posto in essere dalla pubblica amministrazione in forza della capacità di agire iure privatorum che ad essa compete. Sotto questo profilo appare quindi lecito adoperare, a tal proposito, la definizione di "società legale": società che, perciò stesso, si pone su un piano diverso dal fenomeno negoziale previsto e disciplinato dal codice civile, ancorché possa mutuarne, per espressa previsione di legge, una o più caratteristiche.
   6.2 Non meno indicativa - ed evidentemente correlata al suaccennato carattere legale della società - è la circostanza che il suo statuto e le eventuali successive modificazioni di esso debbano essere approvati con decreto ministeriale, e che sempre con decreto ministeriale sia determinato il capitale sociale, al quale i residui passivi spettanti all'Anas sono conferiti mediante un atto amministrativo del competente ministero (art. 7, cit., commi 4 e 5).
    6.3 Ma il permanere dei connotati pubblicistici dell'Anas è testimoniato anche da ulteriori significative disposizioni.
    Viene qui in evidenza il comma 6 dell'articolo citato, che espressamente attribuisce al Ministero dell'economia e delle finanze le azioni sociali e stabilisce che i relativi diritti debbano essere esercitati di concerto col Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per ciò stesso non solo escludendo radicalmente ex lege la possibilità della coesistenza di un azionariato privato, ma improntando l'esercizio dei diritti sociali ad un paradigma - quello del concerto interministeriale - palesemente ispirato al modello dell'agire amministrativo, ben più che negoziale. E viene in evidenza altresì la disposizione (art. cit., comma 1-quinquies) che attribuisce all'Anas medesima le entrate derivanti dall'utilizzazione dei beni demaniali, relativamente ai quali essa esercita i diritti ed i poteri dell'ente proprietario in virtù della concessione attribuitale dalla legge; etc.
   7. L'insieme e l'intrinseca reciproca connessione delle suaccennate peculiarità legali, trattandosi di verificare la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti in tema di azioni di responsabilità esercitabili nei confronti degli organi e dei dipendenti dell'Anas ed avuto riguardo alle finalità di pubblica tutela per le quali il legislatore ha istituito quella speciale giurisdizione, che renderebbero del tutto ingiustificato un regime giuridico diverso da quello applicabile alla responsabilità di organi e dipendenti di un vero e proprio ente pubblico economico, vale a persuadere che, per ragioni specificamente inerenti al regime legale suo proprio (al pari della Rai s.p.a. e dell'Enav s.p.a., analogamente connotate da uno specifico regime legale loro proprio), l'Anas medesima non può essere assimilata ad unasocietà azionaria di diritto privato, avendo essa conservato connotati essenziali di un ente pubblico, a fronte dei quali risulta non decisiva l'adozione del modello organizzativo corrispondente a quello di una società azionaria per gli aspetti non altrimenti disciplinati in chiave pubblicistica.
    8.  Donde la necessità di riconoscere la giurisdizione della Corte di conti nel giudizio di responsabilità instaurato dalla Procura della Repubblica presso detta corte nei confronti degli organi e dei funzionari dell'ente, come è il caso nella specie del sig. G., non solo per i danni direttamente cagionati all'immagine del Ministero dell'economia e delle finanze, quale socio unico dell'Anas s.p.a., ma anche per quelli inferti al patrimonio dell'Anas medesima.
     

Sentenza per esteso

SUPREMA CORTE CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
EPIGRAFE 
[...]
Sentenza
[...]
FATTO
Il sig. G.G., responsabile della sezione impianti tecnologici della sede milanese dell'Anas, dopo aver subito una condanna penale per turbativa d'asta, corruzione e truffa in pregiudizio della medesima Anas, fu citato in giudizio dinanzi alla Sezione regionale della Corte dei conti per la Lombardia, che lo condannò, parzialmente in solido con altri corresponsabili, a risarcire sia i danni patrimoniali cagionati all'Anas con i suoi illegittimi comportamenti in occasione della concessione in appalto di lavori ad imprese private (nella misura di Euro 91.108,29), sia quelli cagionati all'immagine del Ministero dell'economia e delle finanze, quale socio unico della stessa Anas (nella misura di Euro 25.000).
L'appello proposto dal sig. G. fu rigettato dalla Sezione centrale della Corte dei conti con sentenza depositata il 14 dicembre 2012.
In particolare, per l'aspetto che qui interessa, la Corte dei conti disattese l'eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata dalla difesa dell'appellante, affermando che l'Anas, pur nella veste formale di società azionaria assunta a partire dal 2002, ha sostanzialmente conservato i connotati di un ente di diritto pubblico, sia perchè destinata a svolgere funzioni di natura pubblica con modalità di tipo pubblicistico, sia perchè interamente partecipata e finanziata dallo Stato, soggetta alle regole della contabilità pubblica ed autorizzata ad avvalersi in giudizio della difesa erariale.
Avverso tale sentenza il sig. G. ha proposto ricorso alle Sezioni unite di questa corte, insistendo invece nel sostenere che l'Anas è una società di diritto privato e che, di conseguenza, la Corte dei conti è priva di giurisdizione quando si tratti di far valere la responsabilità di amministratori o dipendenti per danni cagionati al patrimonio di detta società.
Il Procuratore generale presso la Corte dei conti ha resistito con controricorso.

DIRITTO
·   Numerosissimi sono stati negli ultimi anni i casi in cui le Sezioni unite di questa corte hanno dovuto pronunciarsi sul tema della giurisdizione contabile nelle azioni di responsabilità per danni cagionati da organi o da dipendenti di società partecipate dallo Stato o da altri enti pubblici.
I termini entro cui quella giurisdizione è stata riconosciuta - ed al di là dei quali è stata invece esclusa - sono ben noti: non occorre perciò qui ripercorrere ad una ad una le singole argomentazioni poste a sostegno dell'orientamento giurisprudenziale adottato in proposito dalle Sezioni unite, nè corredarle con la citazione di un lungo elenco di precedenti.
Basterà in estrema sintesi ricordare che, in ipotesi di danno arrecato al patrimonio sociale, avuto riguardo alla natura di ente privato della società ed all'autonomia giuridica e patrimoniale di essa rispetto al socio pubblico, la giurisdizione è stata attribuita al giudice ordinario, non essendo configurabile nè un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente pubblico titolare della partecipazione, nè un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti. La giurisdizione di quest'ultima è stata viceversa affermata sia quando l'azione di responsabilità miri al risarcimento di un danno che - come nel caso del danno all'immagine - sia stato arrecato al socio pubblico direttamente, e non quindi quale mero riflesso della perdita di valore della partecipazione sociale conseguente al danno arrecato alla società, sia quando essa trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio o li abbia comunque esercitati in modo tale da pregiudicare il valore della partecipazione (si veda, per tutte, Sez. un. n. 26806/2009).
All'interno di siffatto quadro generale sono state, nondimeno, individuate situazioni particolari connesse alla natura speciale dello statuto legale di talune società partecipate da enti pubblici.
Così, in relazione alla Rai Radio televisione italiana s.p.a., si è affermato che spetta alla Corte dei conti la giurisdizione sulle azioni di risarcimento del danno cagionato da componenti del consiglio d'amministrazione e da dipendenti perchè, nonostante la veste di società per azioni, essa ha natura sostanziale di ente pubblico, con uno statuto assoggettato a regole legali in forza delle quali è designata direttamente dalla legge quale concessionaria dell'essenziale servizio pubblico radiotelevisivo, sottoposta a penetranti poteri di vigilanza da parte di un'apposita commissione parlamentare, destinataria di un canone d'abbonamento avente natura di imposta, compresa tra gli enti sottoposti al controllo della Corte dei conti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, nonchè tenuta all'osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell'affidamento degli appalti (cfr. Sez. un n. 27092/2009). E ad analoga conclusione, sempre per ragioni attinenti al suo speciale statuto legale, si è pervenuti anche quanto all'Enav s.p.a. (Sez. un. 5032/2010).
Per completezza di argomento si deve ricordare che, accanto a queste ipotesi singolari, connotate dalla peculiarità dello statuto legale della specifica società, la giurisdizione della Corte dei conti è stata ravvisata da ultimo anche con riguardo alle azioni di responsabilità proposte nei confronti di organi o dipendenti di un più vasto sottoinsieme di società a partecipazione pubblica: le cosiddette società in house, per tali dovendosi intendere quelle dal cui quadro statutario, vigente all'epoca della condotta ritenuta dannosa, emerga che siano state costituite da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, che esplichino la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e che siano assoggettate a forme di controllo della gestione analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici (si veda, tra le altre, Sez. un. 26283/2013). Si è reputato che una siffatta società, quanto meno ai fini del riparto della giurisdizione, non si ponga davvero in rapporto di alterità con la pubblica amministrazione partecipante, bensì come una sua longa manus, come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa, di talchè il danno arrecato al patrimonio sociale si configura in tal caso come danno direttamente riferibile all'ente pubblico, i cui organi può dirsi facciano capo all'amministrazione medesima.
Nè le considerazioni svolte nella sentenza qui impugnata, nè quelle sviluppate nelle contrapposte difese delle parti contengono elementi nuovi, rispetto a quelli già a suo tempo valutati da questa corte, onde non si manifestano ragioni valide per discostarsi dalle coordinate tracciate in materia dalla giurisprudenza cui si è fatto cenno.
Rispetto a quelle coordinate occorre però verificare come si presenta la specifica situazione dell'Anas s.p.a. Non senza incidentalmente aver ricordato che, con riguardo all'Anas medesima, le Sezioni unite di questa corte hanno ravvisato in passato la giurisdizione della Corte dei conti in giudizi di responsabilità amministrativa promossi nei confronti di amministratori e dipendenti per fatti commessi in epoca compresa tra il 1998 ed il 2001, quando l'Anas aveva veste di ente pubblico economico, prima che il D.L. n. 138 del 2002, art. 7, comma 1 (convertito con modificazioni con L. n. 178 del 2002) ne disponesse la trasformazione in società per azioni (Sez. un. n. 8492/2011).
Premesso, allora, che l'attuale statuto sociale dell'Anas non presenta caratteristiche tali da farla ricomprendere nel novero delle società in house, quali sopra richiamate, si tratta in definitiva di comprendere se la trasformazione dell'Anas in società per azioni disposta dalla legge ne abbia davvero comportato il mutamento della natura giuridica - da ente pubblico economico a società di diritto privato - o se invece non ne abbia intaccato gli essenziali connotati pubblicistici, essendosi tradotta nella mera adozione di una formula organizzativa, corrispondente a quella della società azionaria, senza per questo incidere sulla reale natura del soggetto.
In questo secondo senso si è già ripetutamente espressa (sia pure ad altri fini) la giurisprudenza del Consiglio di Stato, affermando senz'altro che la trasformazione dell'Anas, disposta dal D.L. n. 138 del 2002, art. 7 convertito nella L. n. 178 del 2002, ha avuto incidenza concreta soltanto sulla fase gestionale del soggetto, permanendo sia la natura pubblica del nuovo organismo sia i poteri pubblicistici propri dell'ente proprietario delle autostrade e strade statali ad esso affidate (vedi, ad esempio, Cons Stato 24 febbraio 2011, n. 1230, e 24 maggio 2013, n. 2829).
Tali conclusioni appaiono condivisibili, sia pure con l'ovvia avvertenza che non occorre in questa sede definire in termini generali la natura giuridica dell'Anas s.p.a., bensì soltanto valutare se quest'ultima presenti caratteristiche specifiche tali da far ritenere che il suo patrimonio abbia conservato i connotati pubblicistici che sono l'indispensabile presupposto della giurisdizione contabile e che, correlativamente, coloro i quali per essa agiscono incidendo su quel patrimonio rientrino nel novero dei soggetti ai quali detta giurisdizione si estende.
Depone in questo senso, anzitutto, la genesi stessa dell'Anas s.p.a., direttamente derivante da un atto normativo e non, come è naturale in società di diritto privato, da un atto negoziale, ancorchè posto in essere dalla pubblica amministrazione in forza della capacità di agire iure privatorum che ad essa compete. Sotto questo profilo appare quindi lecito adoperare, a tal proposito, la definizione di "societàlegale": società che, perciò stesso, si pone su un piano diverso dal fenomeno negoziale previsto e disciplinato dal codice civile, ancorchè possa mutuarne, per espressa previsione di legge, una o più caratteristiche.
Non meno indicativa - ed evidentemente correlata al suaccennato carattere legale della società - è la circostanza che il suo statuto e le eventuali successive modificazioni di esso debbano essere approvati con decreto ministeriale, e che sempre con decreto ministeriale sia determinato il capitale sociale, al quale i residui passivi spettanti all'Anas sono conferiti mediante un atto amministrativo del competente ministero (art. 7, cit., commi 4 e 5).
Ma il permanere dei connotati pubblicistici dell'Anas è testimoniato anche da ulteriori significative disposizioni.
Viene qui in evidenza il comma 6 dell'articolo citato, che espressamente attribuisce al Ministero dell'economia e delle finanze le azioni sociali e stabilisce che i relativi diritti debbano essere esercitati di concerto col Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per ciò stesso non solo escludendo radicalmente ex lege la possibilità della coesistenza di un azionariato privato, ma improntando l'esercizio dei diritti sociali ad un paradigma - quello del concerto interministeriale - palesemente ispirato al modello dell'agire amministrativo, ben più che negoziale. E viene in evidenza altresì la disposizione (art. cit., comma 1-quinquies) che attribuisce all'Anas medesima le entrate derivanti dall'utilizzazione dei beni demaniali, relativamente ai quali essa esercita i diritti ed i poteri dell'ente proprietario in virtù della concessione attribuitale dalla legge; quella che le conferisce una serie di funzioni di natura pubblica inerenti alle strade statali (i compiti di cui al D.Lgs. 26 febbraio 1994, n. 143, art. 2, comma 1, lett. da a) a g), nonchè l), alle quali è connesso anche l'esercizio di potestà autoritativa (ivi compreso l'accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale ed il potere di approvare i progetti dei lavori di costruzione e di emanare gli atti dei procedimenti espropriativi); quella che espressamente sottopone l'Anas s.p.a. al controllo della Corte dei conti con le modalità previste dalla L. 21 marzo 1958, n. 259, art. 12 e l'autorizza ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato (art. 7, cit, comma 11); e quella per cui il rapporto di lavoro del personale dipendente in essere al momento della trasformazione resta disciplinato dalle disposizioni proprie dei rapporti di lavoro instaurati con enti pubblici economici (art. cit., comma 9).
Se ciascuna di siffatte peculiarità legali dovesse venir considerata isolatamente, potrebbe non necessariamente - si badi - essere sufficiente a smentire la natura privata di un ente che dalla stessa legge è qualificato come società per azioni ed il cui statuto, per il resto, appare effettivamente modellato secondo lo schema usuale ad una tale forma societaria. Nè s'intende certo contestare che detta qualifica disocietà azionaria sia sempre e comunque irrilevante nella molteplice varietà dei rapporti che all'Anas possono far capo, ai fini dell'individuazione della disciplina giuridica di volta in volta applicabile a tali rapporti. Ma l'insieme e l'intrinseca reciproca connessione delle suaccennate peculiarità legali, trattandosi di verificare la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti in tema di azioni di responsabilità esercitabili nei confronti degli organi e dei dipendenti dell'Anas ed avuto riguardo alle finalità di pubblica tutela per le quali il legislatore ha istituito quella speciale giurisdizione, che renderebbero del tutto ingiustificato un regime giuridico diverso da quello applicabile alla responsabilità di organi e dipendenti di un vero e proprio ente pubblico economico, vale a persuadere che, per ragioni specificamente inerenti al regime legale suo proprio (al pari della Rai s.p.a. e dell'Enav s.p.a., analogamente connotate da uno specifico regime legale loro proprio), l'Anas medesima non può essere assimilata ad unasocietà azionaria di diritto privato, avendo essa conservato connotati essenziali di un ente pubblico, a fronte dei quali risulta non decisiva l'adozione del modello organizzativo corrispondente a quello di una società azionaria per gli aspetti non altrimenti disciplinati in chiave pubblicistica.
Donde la necessità di riconoscere la giurisdizione della Corte di conti nel giudizio di responsabilità instaurato dalla Procura della Repubblica presso detta corte nei confronti degli organi e dei funzionari dell'ente, come è il caso nella specie del sig. G., non solo per i danni direttamente cagionati all'immagine del Ministero dell'economia e delle finanze, quale socio unico dell'Anas s.p.a., ma anche per quelli inferti al patrimonio dell'Anas medesima.

P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 1 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2014