PATRIMONIO DELLA P.A.:
gli usi civici
(Cons. St., Sez. IV,
sentenza 26 marzo 2013 n. 1698).
Massima
Gli usi
civici sono diritti reali millenari di natura collettiva, volti ad assicurare
un'utilità o comunque un beneficio ai singoli appartenenti a una collettività,
con la conseguenza che le collettività - sia nel loro insieme che in testa a
ciascuno dei suoi componenti "uti singulus" - vantano nei confronti
dei relativi beni un diritto collettivo di natura reale che si esercita in
forma "duale" con il comune il quale, ente esponenziale dei diritti
della collettività, ordinariamente l'amministra in suo nome, mentre per
iniziative di carattere straordinario è sottoposto alla diretta e indefettibile
vigilanza della regione.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3588 del 2012,
proposto da:
Gdf Suez Rinnovabili Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Eugenio Picozza, Annalisa Di Giovanni, con domicilio eletto presso Eugenio Picozza in Roma, via di San Basilio N.61; Gdf Suez Produzione Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Annalisa Di Giovanni, Eugenio Picozza, con domicilio eletto presso Eugenio Picozza in Roma, via di San Basilio N.61;
Gdf Suez Rinnovabili Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Eugenio Picozza, Annalisa Di Giovanni, con domicilio eletto presso Eugenio Picozza in Roma, via di San Basilio N.61; Gdf Suez Produzione Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Annalisa Di Giovanni, Eugenio Picozza, con domicilio eletto presso Eugenio Picozza in Roma, via di San Basilio N.61;
contro
Regione Campania, rappresentato e difeso per legge
dall'Maria Laura Consolazio, domiciliata in Roma, via Poli, 29; Giunta
Regionale della Campania;
nei confronti di
Comune di Contursi Terme;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - SEZ. STACCATA DI
SALERNO: SEZIONE I n. 00174/2012, resa tra le parti, concernente autorizzazione
alla costruzione e all'esercizio di un impianto da fonte eolica-diniego
mutamento destinazione terre di uso civico - ris.danni
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione
Campania;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 dicembre
2012 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Annalisa Di
Giovanni ed Eugenio Picozza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
Si deve premettere che, con Decreto del Dirigente
della competente struttura della Regione Campania n. 130 del 6.6.2008, la
AceaElectrabel -- dante causa delle odierne appellanti – aveva ottenuto
l’autorizzazione, ai sensi dell’art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003, alla
costruzione e all’esercizio di un impianto, da realizzare in Contursi Terme, in
località Piano del Cornale, costituito da n. 23 aerogeneratori eolici da 850
kW, della potenza di 19.55 MW. Di questi, n. 5 aerogeneratori avrebbero dovuto
essere posizionati su una particella gravata dal vincolo di “uso civico”, per
cui l’autorizzazione regionale era stata subordinata “alla positiva conclusione
della procedura attivata dalla competente struttura per il cambio di
destinazione d’uso dell’area stessa”.
Il successivo 2.8.2010, la Giunta Regionale della
Campania aveva tuttavia deliberato di non accogliere la richiesta di
eliminazione del vincolo ad uso civico fatta dal Comune di Contursi Terme, per
il mancato preventivo espletamento di una procedura di evidenza pubblica per
l’assegnazione dell’area.
Con il presente gravame le società GDF Suez
Rinnovabili s.p.a e GDF Suez Produzione s.p.a impugnano la sentenza del Tar
Salerno con cui è stato respinto:
-- il ricorso introduttivo diretto avverso il diniego
della Giunta Regionale con i relativi atti presupposti;
-- i motivi aggiunti dedotti avverso ulteriori atti
della Regione rispettivamente soprassessori e reiettivi della richiesta di
accesso agli atti del procedimento de quo.
L’appello delle GDF Suez è affidato a due articolate
rubriche di censura sostanzialmente concernenti:
__ 1. la violazione dei limiti esterni della giudizio
di legittimità e l’erronea applicazione dei principi generali in materia di
qualificazione dei beni di uso civico e dei beni pubblici demaniali;
__2. l’integrale e pedissequa riproposizione di motivi
di primo grado;
__ 4. il travisamento ed erroneità dei presupposti e
violazione dell’articolo 41 del R.D. n. 333/1928 in relazione alla non
necessità del nullaosta paesaggistico in relazione al D. Lgs. n. 42/2004.
L’appellante conclude chiedendo inoltre:
-- il risarcimento del danno emergente; del lucro
cessante per il 2011 ed il 2012, oltre agli ulteriori danni per la perdita
degli incentivi e “da ritardo” da quantificarsi in corso di causa per
l’ingiustizia del danno e la colpa dell’amministrazione regionale;
-- il deferimento, in via subordinata, dalla questione
all’Adunanza Plenaria ai sensi dell’articolo 99, secondo e quarto comma del
c.p.a., in relazione alla particolare importanza della questione di massima
sottesa al primo mezzo di gravame, al fine di dirimere i contrasti
giurisprudenziali tra gli organi della giustizia amministrativa di primo grado
e quelli insorti tra la giurisprudenza del giudice amministrativo, del giudice
ordinario e degli stessi commissari degli usi civici.
Tale richiesta è stata reiterata con un’ulteriore
istanza versata il 15 maggio 2012.
Si è costituita in giudizio la Regione Campania, che
con memoria ha contestato le affermazioni di controparte.
Con il deposito di alcuni atti e con la memoria per la
discussione le appellanti hanno sottolineato le proprie argomentazioni.
Chiamata all'udienza pubblica, il patrocinatore delle
parti appellanti ha particolarmente insistito sull’istanza risarcitoria.
La causa è stata ritenuta in decisione.
DIRITTO
Deve preliminarmente darsi atto che, non avendo avuto
alcun seguito nella sede competente la richiesta delle appellanti di
deferimento all’Adunanza Plenaria ai sensi dell’art. 99, commi due e quattro
del c.p.a. di cui al d.lgs. 2/07/2010, n. 104, la Sezione sulla rinnovata
istanza non ritiene che vi siano i presupposti per rimettere d’ufficio il punto
di diritto coinvolto dal ricorso all'esame dell'Adunanza Plenaria, ai sensi del
primo comma della detta norma.
Infatti non risultano i pretesi – ma non
specificamente indicati -- contrasti da dirimere né tra gli organi della
giustizia amministrativa di primo grado e neppure tra la giurisprudenza del
giudice amministrativo, del giudice ordinario e degli stessi commissari degli
usi civici.
___ 1.§. Con il motivo (sub II) di gravame le
appellanti lamentano in primo luogo l’illegittimità dei punti della decisione
del Tar che riguardano il regime dell’uso civico ed in particolare il preteso
obbligo di gara pubblica come condizione preliminare al mutamento di
destinazione (capi 2/9);
in secondo luogo ripropongono integralmente i primi
due motivi del ricorso di promo grado.
___ 1.§.1. Con il primo capo di doglianza si contesta
il potere della Regione di imporre l’obbligo della gara e la propria competenza
a gestirla in prima persona. La Regione non avrebbe avuto il potere di innovare
la disciplina fondamentale, e di principio, del regime degli usi civici, con
una sorta di forzato apparentamento degli usi civici alla disciplina dei beni
pubblici in senso soggettivo, cioè dei beni di proprietà pubblica.
___ 1.§.1.1. A differenza dei beni demaniali, il
vincolo di indisponibilità, inalienabilità e destinazione funzionale degli usi
civici che fanno capo alle proprietà collettive non precluderebbe
l’autorizzazione al mutamento di destinazione, in quanto quest’ultima comunque
non sarebbe permanente ma, una volta cessato l’uso, i beni ritornerebbero nella
titolarità dell’universitas civium.
Il comune, e non la regione, avrebbe l’amministrazione
dei beni in nome e per conto della collettività. Nel rispetto della riserva di
legge di cui all’articolo 97 della Costituzione, la decisione sulla finalità
del bene demaniale avrebbe dovuto essere assunta sulla base del rapporto di
rappresentanza politica, come avviene nel caso dei Comuni quando si crea o si
rimuove lo stesso vincolo di destinazione.
Di qui l’erroneità della sentenza a pagina 9/10 quando
afferma che “l’utilizzazione collettiva propria degli usi civici, rende
questi ultimi assimilabili ai beni pubblici in relazione al loro sostanziale
assolvimento di interessi di carattere pubblicistico tra i quali la
conservazione delle risorse ambientali in favore della collettività nazionale”.
Il Tar non avrebbe tenuto conto che la funzione principale dell’uso civico
sarebbe quella di garantire risorse alla collettività che ne è proprietaria e
finalità aggiuntive a quelle della tutela dell’ambiente.
La rilevanza del regime della proprietà farebbe premio
anche sulle funzioni esercitabili. Il concetto reale di beneficio, per
l’universitas civium, sarebbe soggetto all’interpretazione costituzionalmente
orientata. Pertanto l’articolo 41 del R.D. n. 332/1928 che riserva ai comuni,
ovvero alle società agrarie, il potere di impulso di richiedere oggi alle
regioni, l’attribuzione di poteri decisionali trova il suo fondamento secondo
la legge n. 1776/1927 sul solo fatto che il comune o l’associazione agraria è il
rappresentante istituzionale del bene civico.
Mentre, ai sensi dell’articolo 12 della predetta legge
n. 1776, e dell’articolo 41 del Regio Decreto n.332/1928, dell’articolo 10
della Legge Regionale Campania n. 11/1981, la regione avrebbe solo un potere di
controllo circa l’idoneità della richiesta alienazione a comportare un
mutamento di destinazione d’uso.
Pertanto la sentenza sarebbe perplessa perché avrebbe
acriticamente adottato un presupposto erroneo, affermando la necessità di
indire una procedura di evidenza pubblica tra non meglio precisati progetti di
utilizzazione quasi volendo riecheggiare proposte in materia di finanza di
pro-getto ovvero attribuzione contratto di disponibilità.
Dall’altro canto, il primo giudice non avrebbe
specificato se la procedura di evidenza pubblica avrebbe dovuto essere gestita
dal comune o dalla regione, ed avrebbe lasciato intendere che avrebbe dovuto
essere la regione ad occuparsene, operando ancora una volta un’indebita
commistione tra i principi relativi al regime giuridico che disciplinano i beni
di uso civico a quelli demaniali in violazione dei principi della legge del
regolamento di contabilità.
Nel caso di richiesta di “mutamento di destinazione
d’uso” del bene soggetto ad un uso civico la finalità dell’autorizzazione
regionale non sarebbe quella di lucrare il miglior compenso monetario, ma di
accertare se il nuovo uso sia compatibile con l’originaria destinazione.
Pertanto in tali casi, la Regione sarebbe costretta a
concedere l’autorizzazione al mutamento di destinazione come atto dovuto. La
soluzione adottata al Tar costituirebbe una grossolana inversione delle
competenze tra regione e comune, titolare del rapporto di esponenzialità.
___ 1.§.1.2. L’assunto non ha pregio.
Come è noto, gli "usi civici" sono diritti
reali millenari di natura collettiva, volti ad assicurare un’utilità o comunque
un beneficio ai singoli appartenenti ad una collettività .
Essi sono disciplinati, in linea generale, dalla legge
16 giugno 1927, n. 1766 (mantenuta in vigore dall’allegato 1 del comma 1
dell’art. 1, D.Lgs. 1° dicembre 2009, n. 179, limitatamente agli articoli da 1
a 34 e da 36 a 43) e del relativo regolamento di cui al r.d. n. 332/1928.
Il legislatore, nel disciplinare la destinazione delle
terre sulle quali gravano usi civici all’art. 12, II° co. della L. n.1766 cit,
ha sancito, in via di principio, l’inalienabilità e l’impossibilità di
mutamento di destinazione, dei terreni convenientemente utilizzabili come bosco
o come pascolo permanente e -- solo in via di eccezione-- salva la possibilità
di richiedere l’autorizzazione (oggi di competenza della Regione in luogo del
Ministero) a derogare dai predetti limiti.
Tale deroga all'utilizzazione del terreno, comportando
necessariamente limitazioni dei diritti d’uso civico per le collettività cui
appartengono, anche oggi ha carattere tipicamente eccezionale e non può né deve
risolversi nella perdita dei benefici, anche solo di carattere ambientale per
la generalità degli abitanti, unicamente a vantaggio di privati (cfr. Consiglio
Stato sez. IV 25 settembre 2007 n. 4962; Consiglio Stato sez. VI 6 marzo 2003
n. 1247).
In tale direzione, se i beni di uso civico sono di
norma inalienabili, incommerciabili ed insuscettibili di usucapione,
esattamente il TAR ha fatto proprio l’univoco orientamento della Corte di
Cassazione, per cui essi sono sostanzialmente riconducibili al regime giuridico
della demanialità (cfr. di recente Cass. Civ. III, 28 Settembre 2011 n.19792;
Cass. Civ. III, 28 Settembre 2011 n.19792; Cass. Civ., sez III, n. 1940/2004;
idem Sez. V, n. 11993/2003).
In tale scia, le terre appartenenti ai diritti civici
risultano, di norma, incompatibili con l'attività edificatoria (arg. Consiglio
Stato sez. IV 19 dicembre 2003 n. 8365) per l’evidente ragione che
“privatizzano” a tempo indeterminato un bene, i cui diritti spettano invece ad
una collettività, sottraendo spesso definitivamente alla pubblica utilità i
benefici provenienti dalla terra, dai boschi e dalle acque.
La pur condivisibile finalità dell’incremento delle
fonti di energia rinnovabili non può portare il Collegio ad accettare la
qualificazione come “provvisorie” di strutture di carattere oggettivamente
permanente, quali sono quelle che conseguono all’apposizione al suolo di cinque
tralicci d’acciaio (la cui altezza minima in genere è di oltre 60 mt.), oltre
alle relative opere accessorie (linee di adduzione, cabine, strade di accesso
ecc. ).
Contrariamente a quanto mostrano di ritenere le
società appellanti, in sostanza le collettività – sia nel loro insieme che in
testa a ciascuno dei suoi componenti uti singulus – vantano nei confronti dei
relativi beni un diritto collettivo di natura reale che si esercita in forma
“duale” con il Comune il quale, ente esponenziale dei diritti della
collettività, ordinariamente li amministra in suo nome, mentre per iniziative
di carattere straordinario è sottoposto alla diretta ed indefettibile vigilanza
della Regione.
In tali casi la eccezionalità della deroga rispetto
all’ordinario regime di intangibilità di tali diritti si impone proprio perché
il “mutamento di destinazione”, nella realtà delle cose, implica il venir meno
della possibilità stessa di usufruire dei frutti dei terreni di uso civico.
Del tutto inconsistente è quindi la tesi delle società
appellanti per cui l’amministrazione comunale sarebbe la titolare unica dei
diritti di disposizione, perché se così fosse i diritti civici scolorirebbero
addirittura alla stregua dei meri beni del “patrimonio disponibile”.
Quando il mutamento di destinazione “in deroga” delle
terre sottoposte ad uso civico si risolve in un’attribuzione a terzi di diritti
spettanti alla collettività, l’iter per il rilascio della relativa
autorizzazione deve quindi essere necessariamente ricondotto all’ambito proprio
dei procedimenti di concessione dei beni demaniali, in quanto ha l’identico
effetto di privare i componenti della collettività (che ne sono i veri
titolari) del beneficio, per trasferirlo a soggetti privati che richiedono
l'utilizzazione imprenditoriale del terreno a fini di lucro personale per un consistente
lasso di tempo.
Infatti, se i diritti appartengono alla collettività e
questi sono solo amministrati dal Comune sotto il controllo della Regione, è
evidente che le relative dinamiche procedimentali di gestione non solo debbano
corrispondere al predetto assetto istituzionale, ma soprattutto debbano
comunque avvenire nel rispetto dei cardini della pubblicità, imparzialità,
trasparenza e non discriminazione in quanto, analogamente alle concessioni di
beni demaniali, anche qui il procedimento finisce per costituire un utilizzo
privato di beni della collettività che, nel favorire le possibilità di lucro di
un determinato imprenditore in danno degli altri, altera le naturali dinamiche
del mercato (arg. ex Corte Conti 13 maggio 2005 n. 5).
La natura comunque “pubblica” dei diritti di uso
civico comporta,in linea generale, l’applicazione dei principi di derivazione
comunitaria, di concorrenza, parità di trattamento, trasparenza, non
discriminazione, e proporzionalità, di cui all'articolo 1 della legge n. 241
del 1990 e s.m.i, i quali non solo si applicano direttamente nel nostro
ordinamento, ma debbono informare il comportamento della P.A., anche quando,
come nel caso di concessioni di diritti su beni pubblici, non vi è una
specifica norma che preveda la procedura dell'evidenza pubblica (cfr. Consiglio
di Stato Sezione V, 19 giugno 2009, n. 4035).
In coerenza di tale ultima considerazione e della
ricordata natura collettiva “duale” dei diritti reali, l’ interpretazione
costituzionalmente orientata ai cardini di cui all’art. 97 Cost. impone che le
procedure concernenti le richieste di autorizzazione al mutamento di
destinazione debbano anche rispettare le regole di cui alla legge 7 agosto
1990, n. 241, e s.m.i. ed in particolare i principi generali:
-- del contraddittorio, di informazione e di
partecipazione pubblica: pertanto, prima di procedere a qualunque iniziativa in
materia di deroga ex art. 12 della L. n. 1766/1927, le amministrazioni comunali
-- la cui rappresentanza è pur sempre in nome della loro collettività -- devono
dare massima notorietà a mezzo di pubblici avvisi anche sul proprio sito
internet, dell’esistenza dell’iniziativa ed delle relative condizioni generali,
al fine di consentire la partecipazione e richieste di chiarimenti, l’emersione
del dissenso, il vaglio delle eventuali obiezioni dei soggetti appartenenti
alla comunità che sono i reali titolari dei diritti civici;
-- di trasparenza, pubblicità ed imparzialità: la
procedura ad evidenza pubblica non può che seguire il canone generale di cui
all’art. 12 della L. n. 241/1990 che è espressione concreta dei cardini
costituzionali di cui all’art. 97 della Costituzione a presidio dei principi
dell’imparzialità e della trasparenza (cfr. Consiglio Stato sez. V 10 maggio
2005 n. 2345). La predetta norma (oltre ai casi “… di sovvenzioni e sussidi,
ecc., ..” ) disciplina, senza distinzioni di sorta, tutte le concessioni
concernenti “…l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a
persone ed enti pubblici e privati” tra i quali rientrano indubitabilmente
anche le fattispecie di cui all’art. 12 della L. n. 1766/1927. Pertanto,
l’autorizzazione alla cessione ovvero al mutamento di destinazione di un bene
civico deve essere senz’altro “…subordinata alla predeterminazione ed alla
pubblicazione da parte delle Amministrazioni procedenti dei criteri e delle
modalità cui le Amministrazioni devono attenersi”( come recita il cit. art.
12).
E ciò a prescindere dal fatto che il procedimento de
quo sia stato iniziato, o meno, ad istanza di parte. Infatti anche nell’ipotesi
in cui il procedimento inizi non già per volontà dell'amministrazione bensì
sulla base di una specifica richiesta di uno dei soggetti interessati
all'utilizzo del bene, le concessioni di beni civici non sfuggono ai principi
che impongono comunque l'espletamento di un confronto concorrenziale per
l’individuazione di tutti i soggetti potenzialmente interessati e per il
conseguimento del massimo utile per l’universitas civium.
In definitiva, in materia di usi civici l’applicazione
dell’art. 12 della L. n.1766 non può in nessun caso prescindere dal previo
esperimento della pubblicità e dalla predeterminazione dei criteri di assegnazione
che devono essere resi previamente noti a garanzia della trasparenza e
dell’imparzialità dell'azione amministrativa e dalla successiva puntuale
verifica dell’applicazione degli stessi nel provvedimento comunale di richiesta
alla Regione di assenso al mutamento di destinazione.
Sotto altro profilo poi, contrariamente a quanto
affermano le società appellanti, quando, come nel caso in esame, la richiesta
di mutamento di destinazione comporti una rilevante e permanente alterazione
dello stato dei luoghi non è escluso che -- a maggior garanzia dell’eventuale
ripristino dei luoghi e del rispetto delle regole per la definizione dei
rapporti giuridici successivi alla scadenza del periodo tra affidatari e
collettività -- il beneficiario dell’autorizzazione per lo sfruttamento “in
deroga” ex art. 12 della L. n.1766 di terreni gravati da usi civici possa
essere individuato attraverso l’esperimento di una procedura di "project
financing", ex art. 153, del d.lgs. 12/04/2006, n. 163 e s.m.i.( “ Codice
dei contratti”).
In conseguenza delle affermazioni che precedono,
dunque pertanto, il Comune nel caso in esame:
-- in primo luogo, avrebbe dovuto dare pubblica
notizia (es. con pubbliche affissioni, albo pretorio. siti informatici, ecc.
ecc. ), dell’esistenza di una richiesta di deroga al diritto civico delle
società;
-- in secondo luogo, era tenuto a procedere alla
pubblicazione dell’avviso diretto ad altri possibili operatori professionali
del settore contenenti i requisiti ed elementi di ammissione (ovvero una
sintesi delle proposte di utilizzo e delle utilità promesse), i criteri di
valutazione delle eventuali richieste alternative, nonché le modalità
procedimentali per la valutazione delle diverse ipotesi.
La sentenza poi non pone affatto in dubbio, come
sostengono le appellanti, che l’onere della procedura ad evidenza pubblica, in
una delle due forme ora ricordate, non debba fare capo al Comune che amministra
gli usi civici: per il TAR infatti “… l’istanza di autorizzazione al
mutamento di destinazione d’uso” fatta dal Comune alla Regione “.. non può
prescindere dal previo espletamento di una gara pubblica…” da indirsi con
tutta evidenza da parte dello stesso Comune.
Il provvedimento -- contenente sia l’individuazione
del beneficiario che la proposta di deroga --- dell’Amministrazione Comunale è
tuttavia sottoposto ad una fase integrativa dell’efficacia, costituita dal
controllo dell’Autorità Regionale, di cui all’art. 41 del regolamento attuativo
di cui al r.d. n. 332/1928 relativamente all’ “an”, al “quid” ed al “quomodo”.
In tale scia interpretativa, ancora una volta,
“costituzionalmente orientata” deve dunque affermarsi che:
___ *) quanto all’ “an”: che la valutazione di
conformità alla norma deve verificare la sussistenza dei presupposti legali per
l’ammissibilità della richiesta in quanto nella Regione Campania, la L.R.
17-3-1981 n. 11 “Norme in materia di usi civici” all’art. 10, consente
l'alienazione “solo per i terreni che hanno perso l'originaria destinazione
agro - silvo - pastorale quali, ad esempio, i suoli edificatori utilizzati per
insediamenti residenziali o produttivi” ed ilmutamento di destinazione solonell'ipotesi
prevista dall'ultimo comma dell'articolo 2” vale a dire solo per i
casi nei quali sia intervenuto il decreto del Presidente della Giunta di
concessione della legittimazione a terzi. Tali disposizioni devono essere
interpretate alla luce dell’insegnamento della Corte Costituzionale per cui la
disciplina statale in materia tende a garantire l'interesse della collettività
generale alla conservazione degli usi civici e alla salvaguardia dell'ambiente,
con la preventiva valutazione in concreto ad opera della Regione anche della
compatibilità paesaggistica dei progetti delle opere che si intendano eseguire
(cfr. Corte costituzionale 27 luglio 2006 n. 310).
Pertanto l’autorizzazione al mutamento d’uso deve
essere riconducibile ad una delle fattispecie individuate nell’art. 10 della
L.R. n. 11/1981 e deve essere conforme agli indirizzi, di assetto paesaggistico
e territoriale, fissati nel “Piano territoriale regionale” di cui alla L.R.
13-10-2008 n. 13 (ma sul punto vedi amplius infra);
___ * ) quanto al “quid”: - in primo luogo la
Regione deve assicurare che la diversa destinazione “…rappresenti un reale
beneficio per la generalità degli abitanti, quali l’istituzione di campi
sperimentali, vivai e simili” ex art. 41 del regolamento attuativo di cui
al r.d. n. 332/1928, non solo nell’immediato ma anche per il futuro.
La valutazione dell’utilità effettiva non deve essere
ancorata a profili di carattere solamente economico, ma la “convenienza” deve
abbracciare anche tutte le altre possibili variabili coinvolte nelle
determinazioni effettuate in sede di controllo regionale (cfr. Cassazione
civile sez. II 30 gennaio 2001 n. 1307) e deve tenere conto dei costi e della
garanzie del futuro ripristino dei luoghi una volta venuta, per qualunque
ragione meno, la società beneficiaria.
L'autorità regionale, nel suo ruolo di vigilanza sulle
richieste di mutamento di destinazione dei terreni di uso civico, deve peraltro
far luogo ad una valutazione complessiva diretta a dimostrare in concreto che
la nuova diversa destinazione rappresenti davvero un beneficio presente e
futuro per la generalità degli abitanti. L’analisi comparativa dovrà dimostrare
la maggiore utilità della nuova destinazione delle terre ad uso civico in contrapposizione
con gli interessi civici, economici ed ambientali che depongono per il
mantenimento dello status quo;
___ * ) quanto al “quomodo” :il controllo deve
attenere in particolare :
-- alla verifica della legittimità stessa del
procedimento svolto dal Comune ai sensi di cui all’art.12 L. n. n.241/1990
ovvero con la procedura di cui all’art. 153, del d.lgs. 12/04/2006, n. 163 e
s.m.i.;
-- alla veridicità e congruità, sul piano logico e
fattuale, degli elementi allegati dall’Amministrazione comunale a dimostrazione
dell’utilità effettiva, e dei relativi riscontri e giustificazioni nell’ambito
del “business plan” proposto dall’azienda richiedente;
-- alla ricorrenza di una precisa data di scadenza
dell’autorizzazione al mutamento di destinazione, in quanto un provvedimento
senza un termine equivarrebbe ad una cessione a titolo definitivo;
-- alla concretezza delle guarentigie e delle garanzie
concernenti rispettivamente gli oneri del beneficiario di restituzione e/o le
modalità di ripristino dei siti espressamente previste dall’art. 41 del r.d. n.
332/1928 ed al rispetto degli obblighi assunti dal beneficiario.
Infine il decreto autorizzativo, di cui all’art. 41
del r.d. n. 332/1928, deve contemplare anche le nuove finalità, qualora non
fosse più possibile la restituzione dei fondi alla primigenia destinazione,
successivamente alla cessazione della deroga.
In conclusione sul punto, del tutto erroneamente le
appellanti affermano che la Regione sarebbe stata incompetente ad individuare
le procedure per assegnare le terre gravate di uso civico ed avrebbe tracimato
dal proprio ruolo.
AL contrario la Regione ha invece correttamente fatto
luogo all’esercizio dei suoi poteri di vigilanza e controllo, ed in tali ambiti
ha rifiutato del tutto legittimamente l’autorizzazione per la rilevata mancanza
di una procedura ad evidenza pubblica.
In conclusione il motivo è complessivamente infondato
e deve essere respinto.
___ 1.§.2. Con un secondo capo della medesima rubrica,
le appellanti ripropongono, a maggior chiarimento del precedente assunto, i
seguenti motivi introdotti in primo grado a sostegno dell’illegittimità dei
provvedimenti impugnati:
___ 1.§.2. 1. Incompetenza, eccesso di potere,
sviamento, violazione e falsa applicazione dell’art. 2 L. 1766/1927 e 41 R.D.
332/1928. Violazione e falsa applicazione Legge reg. 17.3.1981, n. 11 art. 10:
la Regione non avrebbe avuto i poteri di negare l’autorizzazione al mutamento
di destinazione d’uso sul presupposto che il comune non aveva espletato la
procedura ad evidenza pubblica per la concessione delle terre d’uso civico
interessate dalla realizzazione dell’impianto;
___ 1.§.2.2. Eccesso di potere per contraddittorietà,
illogicità: il diniego della Regione Campania si paleserebbe del tutto
contraddittorio con il precedente riconosciuto ufficiale dell’ammissibilità del
mutamento di destinazione d’uso di terre gravate da uso civico per la
realizzazione, gestione d’impianti eolici di produzione di energia elettrica
alimentati da fonti rinnovabili;
___ 1.§.2.3. Travisamento dei presupposti di fatto e
diritto, erroneità, eccesso di potere, violazione e falsa applicazione
dell’art. 2 L. 1766/1927 e 41 r.d. 332/1928 e dell’art. 10 della L. reg.
17.3.1981, n. 11,: non sarebbe stato possibile applicare il concetto di
concessioni di beni pubblici ai terreni gravati da usi civici dal momento che
il comune non ne è proprietario; viceversa la proprietà è collettiva;
___ 1.§.2. 4. Violazione per mancata applicazione
dell’art. 10-bis L. n. 241 del 1990; eccesso di potere.
___ 1.§.2. 5. Tutti i motivi sono inammissibili.
Ai sensi dell'art. 101, c.p.a. l' appello -- atto
preordinato non alla semplice revisione della pronuncia del primo giudice, ma
alla ripetizione del processo -- infatti deve contenere la contestazione delle
argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado, e non limitarsi alla mera
riproposizione delle argomentazioni già svolte nel ricorso di primo grado.
Nell'attuale sistema di giustizia amministrativa, il
giudizio di appello non è un “iudicium novum”, per cui la cognizione del
giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall'appellante attraverso
l’enunciazione di specifici motivi diretti ad incrinare il fondamento
logico-giuridico della sentenza (cfr. infra multa: Consiglio Stato sez. IV 09
ottobre 2010 n. 7384; idem sez. IV 27 Dicembre 2011 n.6863; idem sez. IV 13
Luglio 2011 n.4240; idem sez. V 30 novembre 2012 n. 6116; idem sez. III 13
settembre 2012 n. 4877; idem sez. V 06 settembre 2012 n. 4717; idem sez. VI 15
maggio 2012 n. 2772).
Di qui l’inammissibilità dei motivi di cui sopra
perché non sono diretti a censurare la sentenza, ma si limitano a riproporre le
medesime doglianze del ricorso introduttivo.
___ 1.§.3. La prima rubrica deve dunque essere
integralmente respinta perché inammissibile oltre che infondata.
___2.§ Con una seconda censura si contesta il capo
della decisione con cui si sostiene la legittimità del provvedimento impugnato
con riferimento ad una preclusione contenuta nel Testo Unico dei Beni Culturali
e paesaggistici di cui al decreto legislativo n.42/2004 e smi in base al quale
il Tar avrebbe affermato che “laddove non sia intervenuto un apposito piano
paesaggistico regionale a disciplinare la materia, graduando quindi le fasce di
tutela gli interventi possibili, non è attuabile alcun intervento modificativo
delle aree elencate – tra le quali rientrano anche le zone gravate da usi
civici --- a meno che non vi sia la preventiva autorizzazione imposta
dall’articolo 146 del D. Lgs. n. 42/2004”.
___2.§ 1. Per le società appellanti l’affermazione:
-- costituirebbe una violazione dell’articolo 112 del
c.p.c. e della corrispondente norma del c.p.a. perché nel provvedimento
impugnato non si farebbe alcun riferimento a motivi ostativi di carattere
ambientale o paesaggistico;
-- nel caso in esame vi sarebbe un clamoroso errore di
fatto perché nel provvedimento n. 130 del 6.6. 2008, contenente la
“autorizzazione unica integrata”, si affermerebbe che “… la particella.. è
gravato al vincolo di uso civico del pascolo del legname e che pertanto, ad
avvenuta dichiarazione di pubblica utilità con apposito atto emesso dalla
competente amministrazione regionale, è definito il cambio di destinazione
d’uso delle aree interessate”;
-- ai sensi dell’articolo 12 del D. Lgs. n. 387/2003
si conclude con un’autorizzazione unica l’endo-procedimento di valutazione
ambientale, e nella specie tale procedimento si sarebbe concluso positivamente
con l’emissione del decreto VIA n. 379 del 6 luglio 2004 e del decreto
direttoriale n. 78 del 27 marzo 2008, esaustivi di qualsiasi valutazione in
ordine a tutela ambientale dell’opera interessata.
Inoltre si sarebbero pronunciate positivamente la
Sovrintendenza dei Beni Archeologici di Salerno e Avellino con nota n. 13.143
del 18/9/2003, nonché la Sovrintendenza dei Beni Archeologici per il paesaggio
di Salerno ed inoltre aveva espresso parere favorevole alla realizzazione
dell’impianto anche la Direzione Regionale della Campania del Ministero dei
Beni Culturali.
Il giudice di primo grado in conseguenza :
-- avrebbe esaminato un motivo non esistente nel primo
provvedimento il quale farebbe esclusivo riferimento al diniego di mutamento di
destinazione d’uso per mancato espletamento della procedura di evidenza
pubblica, mentre nel secondo provvedimento impugnato in primo grado con i
motivi aggiunti erroneamente si è fatto riferimento alla presunta mancata
autorizzazione ai sensi dell’articolo 146 del codice n. 42/2004.
-- con evidente straripamento di potere ed erroneità
per errore sui presupposti non avrebbe correttamente considera il decreto
direttoriale della regione Campania 130 del 6 giugno 2008.
___ 2.§.2. Il Tar, al punto 11, si sarebbe pronunciato
su poteri non ancora esercitati laddove nell’analisi del decreto direttoriale
130/2008 impugnato, estrapola solo il n. 5 (a pagina 7) senza situarlo nel
contesto la complessa ricognizione dei presupposti. Quindi l’affermazione della
sentenza -- argomento non presente nell’originario provvedimento di diniego di
mutamento di destinazione d’uso impugnato in primo grado -- sarebbe del tutto
estranea al thema decidendum.
Di qui la radicale erroneità della motivazione
affidato alla valutazione di profili paesaggistici ed ambientali, che erano
completamente estranei alle ragioni inizialmente esposte con il provvedimento
in quanto l’autorizzazione a costruire sarebbe solo condizionata dalla positiva
conclusione della procedura di cambio di destinazione nell’area.
___ 2.§.3 Nel caso il vincolo d’uso civico di cui
all’articolo 142, comma primo lettera h) del d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42
dipende esclusivamente dall’ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica di
cui all’articolo 146 del medesimo codice dei Beni Culturali, che sarebbe stata
perfettamente rilasciata. L’ottenimento del cambio di destinazione avrebbe
dunque precluso qualsiasi indagine in proposito, fatti salvi eventuali vincoli
a tutela del paesaggio diversi dall’uso civico. In conclusione, in accoglimento
del presente motivo, la Sezione dovrebbe dichiarare l’obbligo della Regione
Campania di consentire il mutamento di destinazione d’uso di quell’articolo 41
del R.D. n. 332/1928 senza alcuna necessità di autorizzazioni paesaggistica.
L’assunto complessivo è inconferente oltreché
infondato.
Sul piano processuale non vi è stata alcuna violazione
del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato in quanto,come
già sottolineato in precedenza, tutti i profili concernenti la verifica del
rispetto degli indirizzi di assetto paesaggistico e territoriale, fissati nel
“Piano territoriale regionale” di cui alla L.R. Campania 13 ottobre 2008 n. 13,
devono essere ricondotti nell’alveo dei ricordati poteri di controllo di cui
all’art. 12 della L. n.1766 cit. .
Nella specie, il profilo qui in esame costituisce un
mero obiter dictum, peraltro condivisibile rispetto alle motivazioni
fondamentali su cui il Primo Giudice ha fondato il rigetto del ricorso. Il TAR,
nel completare sul piano giuridico l’integrale ricostruzione della fattispecie
e delle ragioni che giustificavano il rigetto del ricorso di primo grado, si è
limitato semplicemente ad annotare in linea di principio, che sarebbe stato
necessario verificare se fosse “…intervenuto un apposito piano paesaggistico
regionale diretto a disciplinare la materia, graduando quindi le fasce di
tutela e gli interventi possibili”, sottolineando che, in difetto , in
base ad una comunque cogente norma di legge regionale non sarebbe stato “…possibile
alcun intervento modificativo sulle aree elencate – tra le quali rientrano
anche le zone gravate da usi civici, a meno che non vi sia la preventiva
autorizzazione imposta dall’art. 146 d. lgs. 42 del 2004”.
L'art. 142, lett. h) d.lgs. n. 42 del 2004, nel
sottoporre alla disciplina di cui alla parte III, titolo I, dello stesso
d.lgs., prevede infatti una forma di salvaguardia aggiuntiva, e non
sostitutiva, rispetto a quella prevista per il rilascio dell’autorizzazione,
che deve assicurare il rispetto delle prescrizioni di assetto paesaggistico e
territoriale, fissate nel “Piano territoriale regionale” di cui alla L.R.
13-10-2008 n. 13.
Il diretto riferimento ai terreni gravati da usi
civici di cui all’art. 146 del T.u. n. 43/2004 costituisce infatti il
riconoscimento del legislatore di una loro ulteriore e rilevante funzione nella
società contemporanea, conseguente proprio alla natura di bene collettivo, per
cui alle tradizionali funzioni degli usi civici, si è nel frattempo aggiunta
una loro fondamentale utilità ai fini della conservazione di bene “ambiente”,
che ancorché costituzionalmente protetto, è in rapido e progressivo degrado.
Pertanto, se in linea teorica è condivisibile il
rilievo relativo alla natura speciale della disciplina di attuazione della
direttiva comunitaria 2001/77/CE del 27 settembre 2001 di cui all’art. 12
d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, il procedimento autorizzatorio degli impianti
destinati alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è fondato
sulla c.d. autorizzazione unica regionale ma per ciò che riguarda la
valutazione dell'impatto paesaggistico, si distingue rispetto a quella
ordinaria prevista dagli artt. 159 e 146 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (cfr.
Consiglio di Stato, sez. VI 23 maggio 2012 n. 3039).
Per questo il Decreto direttoriale n. 130/2008, per
acquistare definitiva efficacia, necessitava dell’autorizzazione al mutamento
di destinazione d’uso civico. In altre parole l'autorizzazione unica regionale
rilasciata era “expressis verbis” condizionata, dal medesimo art. 12 d.lgs. n.
387 del 2003 al "… rispetto delle normative vigenti in materia di
tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio
storico-artistico".
Deve quindi respingersi la richiesta di declaratoria
in via di principio della non-necessità di considerazione del profilo
paesaggistico ai fini del rilascio dell’autorizzazione in deroga.
Il motivo va dunque respinto ed anche sul punto la
decisione impugnata dunque deve essere confermata.
___ 3.§. Con la quarta rubrica le appellanti reiterano
la richiesta di risarcimento del danno lamentando in sintesi:
-- le mera natura di petizione di principio della
motivazione di rigetto della sentenza;
-- la posizione giuridicamente qualificata dal D.D. n.
130 delle società che avevano diffidato la Regione Campania a ritirare in
autotutela il provvedimento di diniego;
-- la colpa dell’amministrazione per avere anche
successivamente intenzionalmente insistito a difendere una tesi illegittima,
Di qui la richiesta di un risarcimento pari ad danno
emergente per € 5.779.600,00; ad un lucro cessante pari a € 1.289.000 per il
2011 e € 1.289.000,00 del 2012; oltre agli ulteriori danni per la perdita degli
incentivi da quantificarsi in corso di causa
La pretesa va respinta.
Salvo il caso della revoca per ragioni interesse
pubblico o di opportunità, di cui all’articolo 21-quinquies l’ordinamento non
prevede infatti l’indennizzo da atto lecito dannoso.
L'art. 30 c.p.a. II co. che, nel disciplinare
espressamente la risarcibilità degli « interessi legittimi » richiama infatti
puntualmente:
-- l’ “illegittimo esercizio dell’attività
amministrativa” (ovvero il mancato esercizio di quella obbligatoria), per cui
in conseguenza è necessario il previo accertamento della colpa
dell'Amministrazione, riconducibile alla natura antigiuridica della condotta;
-- il diretto immediato nesso di causalità tra il
provvedimento ed il nocumento patrimoniale;
-- il « danno ingiusto », e quindi l’accertamento
dell’illegittimità dell’attività provvedimentale.
Il codice di procedura amministrativa opera in
sostanza un implicito, ma chiaro rinvio, all'art. 2043 c.c. ed ai classici
elementi costitutivi della responsabilità da fatto illecito vale a dire
colpevolezza; nesso di causalità, e danno risarcibile, per cui in presenza di
un'azione amministrativa spiegata dall'Amministrazione, che sia dichiarata
legittima dal giudice, la pretesa risarcitoria non può trovare accoglimento
(arg. ex Consiglio di Stato sez. IV 31 maggio 2012 n. 3262; Consiglio Stato
sez. VI 18 agosto 2009 n. 4958,ecc. ).
In conseguenza del rigetto dei motivi che precedono, e
quindi della legittimità degli atti impugnati è dunque evidente che nel caso
non sussistono né i profili di ingiustizia del danno e né della colpa
dell’amministrazione regionale.
___ 4.§. In conclusione la sentenza impugnata merita
integrale conferma, nei sensi di cui sopra, e in conseguenza l’appello deve
essere respinto.
Le spese, secondo le regole generali di cui all’art.
26 e segg. del c.p.a. seguono la soccombenza e sono liquidate come da
dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quarta) definitivamente pronunciando:
___1. respinge l'appello, come in epigrafe proposto.
___2 Condanna le società appellanti in solido al
pagamento delle spese del presente giudizio che vengono liquidate in € 3,000,00
in favore della Regione Campania.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 11 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Diego Sabatino, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/03/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)