CONCORSI PUBBLICI &
PROCESSO:
la sentenza sul c.d. "concorsone"
del Comune di Roma fornisce
alcuni spunti giuridici interessanti
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II,
sentenza 5 novembre 2014, n. 11106)
Massima
1. E' giurisprudenza assolutamente pacifica quella secondo cui l’interesse a ricorrere sussiste non solo quando l’annullamento dell’atto amministrativo lesivo è di per sé idoneo a realizzare l’interesse diretto e immediato del singolo, ma anche quando il detto annullamento si limiti a rimettere in discussione il rapporto controverso, obbligando l’amministrazione “a riesaminare la situazione tenendo conto delle statuizioni scaturenti dall’accoglimento delle censure ritenute fondate” (Cons. St., sez. VI, sentenza n. 6181 del 16.10.2006).
L’utilità che il ricorrente può perseguire mediante l’azione di impugnazione può perciò esaurirsi anche nella sola tutela dell'interesse strumentale alla rinnovazione della procedura, con la restituzione della chance di conseguire il bene della vita cui aspira.
Nelle selezioni di tipo concorsuale, tale interesse sussiste ogniqualvolta non possa, ex ante, escludersi una rinnovazione della selezione con esito favorevole all’istante.
2. Il criterio dell'anonimato nelle prove scritte delle procedure di concorso, “costituisce il diretto portato del principio costituzionale di uguaglianza nonché specialmente di quelli del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione, la quale deve operare le proprie valutazioni senza lasciare alcuno spazio a rischi di condizionamenti esterni e dunque garantendo la par condicio tra i candidati. Tale criterio, costituendo appunto applicazione di precetti costituzionali, assume una valenza generale ed incondizionata, mirando esso in sostanza ad assicurare la piena trasparenza di ogni pubblica procedura selettiva e costituendone uno dei cardini portanti.
L'esigenza dell'anonimato si traduce infatti a livello normativo in regole che [...] tipizzano rigidamente il comportamento dell'Amministrazione imponendo [...] una serie minuziosa di cautele e accorgimenti prudenziali, inesplicabili se non sul presupposto dell'intento del Legislatore di qualificare la garanzia e l'effettività dell'anonimato quale elemento costitutivo dell' interesse pubblico primario al cui perseguimento tali procedure selettive risultano finalizzate.
Allorché l'Amministrazione si scosta in modo percepibile dall'osservanza di tali vincolanti regole comportamentali si determina quindi una illegittimità di per se rilevante e insanabile, venendo in rilievo una condotta già ex ante implicitamente considerata come offensiva in quanto appunto connotata dall'attitudine a porre in pericolo o anche soltanto minacciare il bene protetto dalle regole stesse.
In conclusione, mutuando la antica terminologia penalistica, può affermarsi che la violazione dell'anonimato da parte della Commissione nei pubblici concorsi comporta una illegittimità da pericolo c.d. astratto e cioè un vizio derivante da una violazione della presupposta norma d'azione irrimediabilmente sanzionato dall'ordinamento in via presuntiva, senza necessità di accertare l'effettiva lesione dell'imparzialità in sede di correzione” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 26 del 20.11.2013).
La pratica dell’anonimato per le prove scritte d’esame dei concorsi pubblici “realizza in termini pratici principi e regole di dignità costituzionale. Dal che la sua indefettibilità in concreto” (Cons. St., sez. VI, sentenza n. 347/2013, cit.).
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione
Seconda)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 1260 del 2014, integrato da motivi
aggiunti, proposto da:
Emanuela Brugiotti, Patrizia Di Giovanni, Di Faostino Alessia, Raffaella
Musselli, Lucia Tamagnini, Armando Morgia, Gian Maria Tavassi, rappresentati e
difesi dagli avv.ti Filippo Lattanzi, e Claudia Ciccolo, ed elettivamente
domiciliati presso il loro studio in Roma, via G.P. Da Palestrina, 47;
contro
Roma
Capitale, rappresentata e difesa dall’avv. Carlo Sportelli, con il quale
domicilia in Roma, via Tempio di Giove, 21, presso l’Avvocatura capitolina;
nei
confronti di
Coppola
Valeria e De Rosa Roberta, rappresentate e difese dall'avv. Carlo Ghia, ed
elettivamente domiciliate presso lo studio del difensore, in Roma, via delle
Quattro Fontane, 10;
Antonella Meconi, rappresentata e difesa da sé medesima, con domicilio eletto
presso l’avv. Giancarlo Corazza in Roma, via Ghetaldi, 33;
Giorgio Magliocca, rappresentato e difeso dall'avv. Egidio Lamberti, con
domicilio eletto presso l’avv. Massimiliano Marsili in Roma, viale Parioli, 44;
Ragno Federica, Simoni Igor, Letizia Raffaele, Santoro Arianna, Muratore Maria,
Lollobrigida Roberta, Sebastiani Sabina, Perri Rosyta, Audaci Serena,
Giovinazzo Sabrina, Di Stasi Sibilla, Riso Elena, Lo Porto Antonella, Nicoletti
Daniela, Carabetta Teresa, Trecroci Fabiana, Romeo Rosa Angela, Del Conte
Fabio, Piccolo Roberta, Greco Michela, Taglieri Alessandra, Ciampa Alessandra,
Foci Valentina, Guerrieri Barbara, Giacomelli Dino, Moretti Vivian, De Vincenzi
Francesca, Lepore Gianfranco, De Angelis Francesca Maria, Della Corte Ilaria,
Nardi Dario, Chiacchiarini Aurelio, Randone Francesco, Micci Pamela, Guglielmi
Maria Grazia, Rinaldi Valentina Carmela, De Vitis Anna, Matranga Giuseppina,
Ercoli Claudia, La Prova Marco, Magnifico Angelo, Toro Laura, Piscitelli
Alessia, Genoese Federica, Zotti Maria Teresa, Aquilino Federico, Verzì
Patriazia, Riccio Giulia, rappresentati e difesi dagli avv.ti Fernando Gallone
e Iole Urso, ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Roma, via
Luigi Calamatta, 16;
Albero Galanti e Filomena Graziano, rappresentati e difesi dall'avv. Paolo Caruso,
ed elettivamente domiciliati presso lo studio del difensore, in Roma, via
Federico Confalonieri, 5;
Anna D'Angelo, rappresentata e difesa dagli avv.ti Beatrice Locoratolo e
Tommaso Di Nitto, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma,
via Antonio Gramsci, 24;
Stefania Vardé, nonché tutti gli altri soggetti di cui all’atto di integrazione
del contraddittorio per pubblici proclami, come da documentazione in atti.
sul
ricorso numero di registro generale 1261 del 2014, proposto da:
Chiara Petrucci, rappresentata e difesa dagli avv. ti Filippo Lattanzi e
Claudia Ciccolo, ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma,
via G.P. Da Palestrina, 47;
contro
Roma
Capitale, rappresentata e difesa dall’avv. Carlo Sportelli, con il quale
domicilia in Roma, via Tempio di Giove, 21, presso l’Avvocatura capitolina;
nei
confronti di
Coppola Valeria e De Rosa Roberta, rappresentate e difese dall'avv. Carlo Ghia,
ed elettivamente domiciliate presso lo studio del difensore, in Roma, via delle
Quattro Fontane, 10;
Antonella Meconi, rappresentata e difesa da sé medesima, con domicilio eletto
presso l’avv. Giancarlo Corazza in Roma, via Ghetaldi, 33;
Giorgio Magliocca, rappresentato e difeso dall'avv. Egidio Lamberti, con
domicilio eletto presso l’avv. Massimiliano Marsili in Roma, viale Parioli, 44;
Albero Galanti e Filomena Graziano, rappresentati e difesi dall'avv. Paolo
Caruso, ed elettivamente domiciliati presso lo studio del difensore, in Roma,
via Federico Confalonieri, 5;
Anna D'Angelo, rappresentata e difesa dagli avv.ti Beatrice Locoratolo e
Tommaso Di Nitto, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in
Roma, via Antonio Gramsci, 24;
Stefania Vardé, nonché tutti gli altri soggetti di cui all’atto di integrazione
del contraddittorio per pubblici proclami, come da documentazione in atti.
per
l'annullamento
quanto
al ricorso n. 1260 del 2014:
-
dell'elenco numerico delle votazioni assegnate all'esito della valutazione
della seconda prova scritta della procedura selettiva pubblica, per titoli ed
esami, per il conferimento di n. 110 posti nel profilo professionale
Funzionario Amministrativo categoria D (posizione economica D1) – Famiglia
economico - amministrativa, pubblicato all'Albo Pretorio on-line di Roma Capitale
in data 25.11.2013 laddove non comprende tra gli ammessi alla prova orale i
ricorrenti;
-
dell'elenco nominativo delle votazioni assegnate all'esito della valutazione
della medesima seconda prova scritta, pubblicata all'Albo Pretorio on-line di
Roma Capitale in data 25.11.2013, laddove non comprende, tra gli ammessi alla
prova orale, i ricorrenti;
-
del calendario delle prove orali;
-
nonché, in quanto occorrer possa, di ogni altro atto consequenziale, successivo
o presupposto, ancorché non conosciuto, con riserva di proporre motivi aggiunti
e/o integrativi;
-
nonché dei seguenti atti, impugnati con motivi aggiunti:
-
determinazione dirigenziale di Roma Capitale – Dipartimento Risorse Umane –
U.O. Reperimento del Personale – Trattamento Giuridico – Ufficio Concorsi, n.
956/2014, pubblicata all’Albo Pretorio on – line di Roma Capitale il 22 maggio
2014, di approvazione della graduatoria finale della procedura selettiva
pubblica, per titoli ed esami, per il conferimento di n. 110 posti nel profilo
professionale di funzionario amministrativo, categoria D, posizione economica
D1 – Famiglia Economico Amministrativa e Servizi di Supporto, nonché
relativamente alla medesima procedura selettiva indetta da Roma Capitale,
dell’elenco valutazione dei titoli, degli elenchi delle votazioni assegnate
all’esito delle prove orali;
-
di ogni ulteriore atto conseguenziale, successivo o presupposto;
quanto
al ricorso n. 1261 del 2014:
-
dell'elenco numerico delle votazioni assegnate all'esito della valutazione
della seconda prova scritta della procedura selettiva pubblica, per titoli ed
esami, per il conferimento di n. 110 posti nel profilo professionale
Funzionario Amministrativo categoria D, pubblicato all'Albo Pretorio on-line di
Roma Capitale in data 25.11.2013 laddove non comprende tra gli ammessi alla
prova orale la ricorrente;
-
dell'elenco nominativo delle votazioni assegnate all'esito della valutazione
della medesima seconda prova scritta, pubblicata all'Albo Pretorio on-line di
Roma Capitale in data 25.11.2013, laddove non comprende, tra gli ammessi alla
prova orale, la ricorrente;
-
del calendario delle prove orali;
-
di ogni altro atto consequenziale, successivo o presupposto, ancorché non
conosciuto, con riserva di proporre motivi aggiunti e/o integrativi.
-
nonché dei seguenti atti, impugnati con motivi aggiunti:
-
determinazione dirigenziale di Roma Capitale – Dipartimento Risorse Umane –
U.O. Reperimento del Personale – Trattamento Giuridico – Ufficio Concorsi, n.
956/2014, pubblicata all’Albo Pretorio on – line di Roma Capitale il 22 maggio
2014, di approvazione della graduatoria finale della procedura selettiva
pubblica, per titoli ed esami, per il conferimento di n. 110 posti nel profilo
professionale di funzionario amministrativo, categoria D, posizione economica
D1 – Famiglia Economico Amministrativa e Servizi di Supporto, nonché
relativamente alla medesima procedura selettiva indetta da Roma Capitale,
dell’elenco valutazione dei titoli, degli elenchi delle votazioni assegnate
all’esito delle prove orali;
-
di ogni ulteriore atto conseguenziale, successivo o presupposto;
Visti
i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti
gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e dei controinteressati;
Viste
le memorie difensive;
Visti
tutti gli atti delle cause;
Relatore
alla pubblica udienza del giorno 8 ottobre 2014 il Cons. Silvia Martino;
Uditi
gli avv.ti delle parti, come da verbale;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
1.
I ricorrenti hanno partecipato alla procedura selettiva pubblica, indetta da
Roma Capitale, per il conferimento di n. 110 posti nel profilo professionale di
Funzionario Amministrativo, Categoria D (posizione economica D1) – famiglia
economico – amministrativa e servizi di supporto.
La
procedura fa parte delle 22, tutte avviate nel 2010, mediante le quali, nel
complesso, il Comune di Roma ha messo a concorso 1995 posti di vari profili
professionali.
Il
bando di cui si verte, prevedeva, tra l’altro:
-
l’espletamento di una prova preselettiva a risposta multipla, nell’ipotesi in
cui fossero pervenute più di mille domande di partecipazione, vertente sulle
materie riguardanti le prove scritte;
-
una prima prova scritta, consistente nella sottoposizione ai candidati di
cinque domande, con quattro ipotesi di soluzione, tra le quali scegliere la
risposta corretta e svolgere un commento sintetico, nelle materie di diritto
costituzionale, Statuti e principali regolamenti del Comune di Roma,
ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche:
-
una seconda prova scritta consistente nella redazione di un elaborato
riguardante le materie di diritto amministrativo, ordinamento della autonomie
locali, legislazione in materia di contratti della pubblica amministrazione,
normativa in materia dei dati personali;
-
una prova orale sulle materie oggetto delle prove scritte, con l’aggiunta di
elementi di diritto penale, lingua straniera, procedure informatiche.
Per
essere ammessi alla prova orale i concorrenti avrebbero dovuto riportare una
votazione di almeno 7/10 in ciascuna prova scritta.
Superata
la preselezione, e il primo scritto, gli odierni ricorrenti non rientravano tra
i candidati che, avendo riportato una votazione pari o superiore a sette,
venivano ammessi agli orali.
I
ricorrenti ritengono però che gli esiti della seconda prova scritta non possano
ritenersi legittimi e meritevoli di conferma a causa di una grave violazione
del principio dell’anonimato posta in essere dall’amministrazione capitolina
nelle fasi di svolgimento e correzione dei compiti.
In
particolare, il giorno 12.12.2012, venivano consegnate ai candidati due buste
di differente grandezza e un cartoncino. Veniva loro spiegato che, ultimato lo
svolgimento della prova, essi, senza apporvi sottoscrizione o contrassegno,
avrebbero dovuto inserire il foglio o i fogli del compito nella busta più
grande, scrivere il proprio nome e cognome, la data e il luogo di nascita nel
cartoncino e chiuderlo nella busta piccola. Quest’ultima doveva essere inserita
nella busta grande da consegnare al Presidente che avrebbe apposto,
trasversalmente sulla busta, la propria firma.
Tali
adempimenti erano volti a garantire l’anonimato degli autori degli elaborati
dal momento della consegna dei compiti ai commissari sino alla fine delle
operazioni di correzione e valutazione.
Per
tale ragione, le buste utilizzate (ed, in particolare, quelle piccole
contenenti il cartoncino con i dati anagrafici) avrebbero dovuto essere
confezionate in modo tale da impedire la leggibilità del loro contenuto da
parte dei commissari al momento della consegna degli elaborati, dell’apertura
della busta grande e dell’estrazione della piccola, per l’inizio delle
operazioni di correzione e per tutto il tempo di tali operazioni.
Il
giorno della seconda prova scritta i ricorrenti si avvedevano che ai candidati
venivano distribuite buste piccole diverse tra loro, tra cui alcune totalmente
bianche tali da consentire, in trasparenza, la lettura dei dati identificativi
trascritti sull’apposito cartoncino.
Che
il materiale distribuito ai candidati il giorno della seconda prova scritta non
fosse regolare, è poi testimoniato dalle vicende che hanno immediatamente
preceduto, da parte di Roma Capitale, la pubblicazione degli esiti della prova,
rese note dai maggiori organi di stampa.
Nello
specifico, verso la metà del mese di novembre 2013, il Sindaco e il Vicesindaco
di Roma annunciavano, in conferenza stampa, di avere demandato all’Avvocatura
capitolina e al dirigente del personale, la verifica delle buste distribuite ai
candidati il giorno dell’esame, essendo emersa la possibilità che una parte di
esse, in quanto prive della pellicola interna colorata, fossero risultate
trasparenti e, dunque, inidonee a garantire l’anonimato dei partecipanti alla
prova scritta.
In
data 18 novembre 2013 il Vicesindaco teneva una seconda conferenza stampa, alla
presenza del responsabile dell’Avvocatura capitolina, affermando che le
verifiche eseguite a campione sulle prove scritte già terminate avevano
confermato i dubbi circa la regolarità delle modalità con cui erano state
condotte le procedure concorsuali.
Il
Vicesindaco dichiarava che la busta contenente i dati anagrafici, in una serie
di casi, aveva l’interno bianco, e non viola come prescritto, con la
conseguenza che, in tale ipotesi, i dati anagrafici erano leggibili senza
neanche che fosse necessario esporre la busta alla luce.
Il
Vicesindaco sottolineava inoltre che, dalle ispezioni, era emerso che, laddove
il candidato avesse scritto i propri dati in grassetto, gli stessi potevano
essere decifrati anche attraverso le buste viola, se poste alla luce.
Pertanto,
ritenendo integrata una grave violazione della regola dell’anonimato, a causa
delle trasparenza delle buste piccole, si decideva di trasmettere le carte
comprovanti le ritenute irregolarità alla Procura della Repubblica.
I
ricorrenti, a questo punto, hanno deciso di impugnare gli esiti della prova.
In
particolare, deducono:
1)
VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DELL’ANONIMATO, DEGLI ARTT. 1 E 14 DEL D.P.R. N.
487/1994, DEGLI ARTT. 14 E 15 DELLA DELIBERA DELLA GIUNTA COMUNALE N. 424/2009,
NONCHÉ DEGLI ARTT. 97, 3 E 51 DELLA COSTITUZIONE.
Il
d.P.R. in epigrafe, nella parte di interesse, delinea gli accorgimenti idonei
ad assicurare che il “riconoscimento” del candidato, avvenga solo a conclusione
dell’esame e del giudizio di tutti gli elaborati dei concorrenti.
Nel
caso di specie, è invece accaduto che l’amministrazione abbia utilizzato buste
(in particolare, quelle piccole, destinate a contenere il cartoncino con le
generalità dei candidati), non idonee allo scopo di garantire la non immediata
riconoscibilità degli autori degli scritti.
Adoperando,
nel contesto della prova scritta, buste trasparenti, l’amministrazione
resistente ha violato il principio dell’anonimato che trova il suo fondamento
nelle norme costituzionali poste a presidio dell’imparzialità e del buon
andamento della pubblica amministrazione.
In
merito al fondamento costituzionale della regola dell’anonimato (avente
carattere assoluto e generale), si è da ultimo espressa l’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato, nelle sentenze 26, 27 e 28 del 20.11.2013, nelle quali si è
affermato il principio della non necessità, ai fini del giudizio di
illegittimità degli esiti del concorso, per violazione di tale regola,
dell’accertamento del concreto verificarsi della lesione della par
condicio tra i candidati.
La
violazione dell’anonimato nei pubblici concorsi comporta una illegittimità,
c.d., da pericolo astratto, e cioè un vizio derivante da una violazione della
presupposta norma di azione, irrimediabilmente sanzionato dall’ordinamento in
via presuntiva, senza necessità di accertare l’effettiva lesione
dell’imparzialità in sede di correzione.
Nel
caso in esame, ad analoghe conclusioni induce la lettura degli artt. 14 e 15
del Regolamento comunale, i quali ricalcano, peraltro, le disposizioni
contenute nel d.P.R. n. 487 del 1994.
Il
regolamento prescrive, in particolare, che l’apertura delle buste grandi,
l’estrazione dei compiti e delle buste piccole, avvenga alla presenza della
commissione esaminatrice, la quale però non deve avere la possibilità di
individuare le generalità dei candidati.
Nel
caso di specie, pertanto, l’uso di buste di consistenza insufficiente a coprire
quanto riportato nei cartoncini, integra una condotta violativa delle regole
sopra evidenziate.
In
tali ipotesi (cfr., Cons. St., sentenza n. 3747 dell’11.7.2013) non hanno poi
alcun rilievo né le modalità con cui l’amministrazione si sia procurata le
buste né la circostanza che, in sede di svolgimento delle prove, nessuno ne
abbia specificamente contestato la consistenza.
Nemmeno
è necessaria la prova dell’effettiva lettura dei nominativi, ovvero
l’accertamento di un comportamento fraudolento da parte della Commissione, in
quanto il principio dell’anonimato gode di una tutela “anticipata”.
Si
sono costituiti, per resistere, l’amministrazione capitolina ed alcuni dei
candidati ammessi alle prove orali.
Con
ordinanza n. 2598/2014 dell’8 marzo 2014, previa riunione dei ricorsi in
epigrafe, il Collegio ha:
-
respinto l’istanza cautelare, in considerazione del fatto che le prove orali
erano, ormai, in corso di svolgimento;
-
ordinato l’integrazione del contraddittorio, mediante pubblici proclami, nei
confronti di tutti i soggetti inseriti nella graduatoria degli ammessi agli
orali, autorizzando, a tal fine, i pubblici proclami;
-
disposto l’esecuzione di una verificazione a cura del Prefetto di Roma, o di un
funzionario dallo stesso delegato, volta ad appurare “la consistenza delle
buste utilizzate per la trascrizione dei dati anagrafici dei candidati e
l’eventuale possibilità di percepirne i nominativi all’atto della correzione
della seconda prova scritta”.
I
ricorrenti, per parte loro, hanno provveduto all’integrazione del
contradditorio, secondo le modalità indicate nella suddetta ordinanza, mentre
il Prefetto di Roma ha designato,
per
l’espletamento della verificazione, il Viceprefetto, d.ssa Daniela Caruso, che
ha depositato la relazione conclusiva, con i relativi allegati, in data 14
maggio 2014.
Nel
frattempo, il Comune di Roma ha portato a termine le prove orali ed approvato
la graduatoria definitiva, con atto del 22 maggio 2014, avverso il quale i
ricorrenti hanno proposti motivi aggiunti, notificati, ai controinteressati già
costituiti, nel domicilio eletto e, per il resto, attraverso pubblici proclami.
Le
parti hanno depositato memorie conclusionali e di replica, in vista della
pubblica udienza dell’8 ottobre 2014, alla quale il ricorso è stato trattenuto
per la decisione.
DIRITTO
1.
La controversia in esame origina dalla selezione indetta da Roma Capitale per
il conferimento di n. 110 posti nel profilo professionale di Funzionario
amministrativo, categoria D, posizione economica D1, famiglia economico –
amministrativa e servizi di supporto.
Alcuni
candidati, classificatisi in posizione non utile per essere ammessi alla prova
orale, hanno impugnato i risultati della seconda prova scritta e la graduatoria
finale, deducendo la violazione della regola dell'anonimato.
1.1.
In via preliminare, deve essere respinta l’eccezione pregiudiziale avanzata
dalle parti resistenti, secondo cui i ricorrenti sarebbero privi di
legittimazione e/o di interesse a ricorrere.
L’eccezione
viene argomentata, da un lato, per il fatto che, contestualmente ai vizi
procedimentali relativi alla correzione delle prove scritte, essi non hanno
svolto anche censure di carattere sostanziale avverso il punteggio loro
attribuito dalla Commissione esaminatrice, ovvero avverso il giudizio di
inidoneità.
Per
l’altro, si afferma che la sussistenza di un interesse strumentale non sarebbe ex
se sufficiente a fondare la legittimazione e/o l’interesse a
ricorrere.
All’uopo,
viene richiamata l’evoluzione della giurisprudenza amministrativa in materia di
impugnativa dell’esito di una gara ad evidenza pubblica da parte del
concorrente escluso.
2.1.
Rileva il Collegio che, a differenza di quanto preteso dalle parti resistenti,
è giurisprudenza assolutamente pacifica quella secondo cui l’interesse a
ricorrere sussiste non solo quando l’annullamento dell’atto amministrativo
lesivo è di per sé idoneo a realizzare l’interesse diretto e immediato del
singolo, ma anche quando il detto annullamento si limiti a rimettere in
discussione il rapporto controverso, obbligando l’amministrazione “a
riesaminare la situazione tenendo conto delle statuizioni scaturenti
dall’accoglimento delle censure ritenute fondate” (Cons. St., sez. VI, sentenza
n. 6181 del 16.10.2006).
L’utilità
che il ricorrente può perseguire mediante l’azione di impugnazione può perciò
esaurirsi anche nella sola tutela dell'interesse strumentale alla rinnovazione
della procedura, con la restituzione della chance di
conseguire il bene della vita cui aspira.
Nelle
selezioni di tipo concorsuale, tale interesse sussiste ogniqualvolta non possa, ex
ante, escludersi una rinnovazione della selezione con esito favorevole
all’istante.
Nella
fattispecie, i ricorrenti non avevano alcun bisogno di contestare, nel merito,
le valutazioni della Commissione esaminatrice poiché essi hanno denunciato un
vizio di natura radicale, relativo alle modalità di svolgimento delle
operazioni di correzione della seconda prova scritta.
Il
riscontro di un simile vizio non consente di ritenerne acquisito al
procedimento l’esito e comporta, ab imis, la rinnovazione delle
operazioni medesime.
In
siffatta prospettiva, l’interesse alla rinnovazione del procedimento “non può
essere inteso nel senso che esso postuli la dimostrazione del nesso causale tra
l'illegittimità denunciata e il provvedimento sfavorevole per la parte
ricorrente”, bensì soltanto nel senso “che tale nesso non può essere escluso”
(TAR Catanzaro, sez. I^, sentenza n. 538 del 6.6.2012; cfr. anche Cons. St.,
sez. V^, sentenza n. 6507 dell’8.9.2010).
Non
giova, poi, alle parti resistenti, richiamare la giurisprudenza relativa alla
tutela dell’interesse strumentale nelle pubbliche gare. Anche in tale ambito,
infatti, non si è mai negato che l’interesse alla riedizione della gara abbia
pari dignità rispetto all’interesse finale al conseguimento dell’appalto, ma si
è soltanto messo in luce (soprattutto ai fini dell’ordine di trattazione delle
censure, in presenza di un ricorso incidentale c.d. “escludente), che la
legittimazione al ricorso spetta solo a chi abbia partecipato legittimamente
alla gara, giacché solo tale qualità “si connette all’attribuzione di una
posizione sostanziale differenziata e meritevole di tutela” (Cons. St., sez.
III^, sentenza n. 1498 del 28.3.2014).
Orbene,
nel caso oggi in rilievo, non è stato nemmeno allegato che i ricorrenti non
avessero i requisiti di ammissione ed è, anzi, del tutto pacifico che essi
abbiano legittimamente partecipato al concorso. Tanto basta a fondarne la piena
legittimazione, nonché il chiaro interesse ad impugnare i risultati di una
selezione che ritengono affetta da gravi vizi procedimentali.
2.
Ciò posto, nel merito, giova premettere i capisaldi dell’ormai consolidata
giurisprudenza del giudice amministrativo, in materia.
2.1.
Il criterio dell'anonimato nelle prove scritte delle procedure di concorso,
“costituisce il diretto portato del principio costituzionale di uguaglianza
nonché specialmente di quelli del buon andamento e dell'imparzialità della
pubblica amministrazione, la quale deve operare le proprie valutazioni senza
lasciare alcuno spazio a rischi di condizionamenti esterni e dunque garantendo
la par condicio tra i candidati. Tale criterio, costituendo appunto
applicazione di precetti costituzionali, assume una valenza generale ed
incondizionata, mirando esso in sostanza ad assicurare la piena trasparenza di
ogni pubblica procedura selettiva e costituendone uno dei cardini portanti.
L'esigenza
dell'anonimato si traduce infatti a livello normativo in regole che [...]
tipizzano rigidamente il comportamento dell'Amministrazione imponendo [...] una
serie minuziosa di cautele e accorgimenti prudenziali, inesplicabili se non sul
presupposto dell'intento del Legislatore di qualificare la garanzia e
l'effettività dell'anonimato quale elemento costitutivo dell' interesse
pubblico primario al cui perseguimento tali procedure selettive risultano
finalizzate.
Allorché
l'Amministrazione si scosta in modo percepibile dall'osservanza di tali
vincolanti regole comportamentali si determina quindi una illegittimità di per
se rilevante e insanabile, venendo in rilievo una condotta già ex ante
implicitamente considerata come offensiva in quanto appunto connotata
dall'attitudine a porre in pericolo o anche soltanto minacciare il bene
protetto dalle regole stesse.
In
conclusione, mutuando la antica terminologia penalistica, può affermarsi che la
violazione dell'anonimato da parte della Commissione nei pubblici concorsi
comporta una illegittimità da pericolo c.d. astratto (cfr. in termini VI sez.
n. 3747/2013 citata) e cioè un vizio derivante da una violazione della
presupposta norma d'azione irrimediabilmente sanzionato dall'ordinamento in via
presuntiva, senza necessità di accertare l'effettiva lesione dell'imparzialità
in sede di correzione” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 26
del 20.11.2013).
La
pratica dell’anonimato per le prove scritte d’esame dei concorsi pubblici
“realizza in termini pratici principi e regole di dignità costituzionale. Dal
che la sua indefettibilità in concreto” (Cons. St., sez. VI, sentenza n.
347/2013, cit.).
Nello
specifico, l’art. 14 del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 - mediante regole
applicabili anche agli enti locali (cfr. l’art. 18 – bis del cit. d.P.R.) -
disciplina gli adempimenti dei concorrenti e della commissione al termine della
prova.
In
particolare, la commissione è tenuta a:
-
consegnare al candidato in ciascuno dei giorni di esame due buste di eguale colore:
una grande munita di linguetta staccabile ed una piccola contenente un
cartoncino bianco (comma 1);
-
il presidente della commissione o del comitato di vigilanza, o chi ne fa le
veci, appone trasversalmente sulla busta, in modo che vi resti compreso il
lembo della chiusura e la restante parte della busta stessa, la propria firma e
l'indicazione della data della consegna (comma 2, ultimo inciso);
-
al termine di ogni giorno di esame è assegnato alla busta contenente
l’elaborato di ciascun concorrente lo stesso numero da apporsi sulla linguetta
staccabile, in modo da poter riunire, esclusivamente attraverso la numerazione,
le buste appartenenti allo stesso candidato (comma 3);
-
successivamente alla conclusione dell’ultima prova di esame e comunque non oltre
le ventiquattro ore si procede alla riunione delle buste aventi lo stesso
numero in un unica busta, dopo aver staccata la relativa linguetta numerata;
tale operazione è effettuata dalla commissione esaminatrice o dal comitato di
vigilanza con l’intervento di almeno due componenti della commissione stessa
nel luogo, nel giorno e nell’ora di cui è data comunicazione orale ai candidati
presenti in aula all'ultima prova di esame, con l'avvertimento che alcuni di
essi, in numero non superiore alle dieci unità, potranno assistere alle
anzidette operazioni (comma 4);
- i
pieghi sono aperti alla presenza della commissione esaminatrice quando essa
deve procedere all'esame dei lavori relativi a ciascuna prova di esame (comma
5);
-
il riconoscimento deve essere fatto a conclusione dell’esame e del giudizio di
tutti gli elaborati dei concorrenti (comma 6).
Il
candidato è tenuto:
-
dopo aver svolto il tema, senza apporvi sottoscrizione, né altro contrassegno,
a mettere il foglio o i fogli nella busta grande; a scrivere il proprio nome e
cognome, la data e il luogo di nascita nel cartoncino, chiudendolo nella busta
piccola; a porre, quindi, anche la busta piccola nella grande che richiude e a
consegnare il tutto al presidente della commissione o del comitato di vigilanza
o a chi ne fa le veci (comma 2, primo inciso).
Non
dissimile, risulta il contenuto del “Regolamento di disciplina in materia di
accesso agli impieghi presso Roma Capitale per il personale non dirigente”
(cfr., in particolare, gli articoli 14 e 15).
Sul
piano strutturale l’ordinamento prevede dunque “norme cogenti che, in rapporto
ai suddetti principi costituzionali, configurano regole di condotte tipizzate,
riconducibili all’amministrazione e ai candidati, che indefettibilmente vanno
osservate nelle procedure concorsuali. La violazione di tali norme comporta
un’illegittimità da pericolo astratto e presunto: solo con una siffatta
rigorosa precauzione generale, infatti, è ragionevolmente garantita
l’effettività dell’anonimato nei casi singoli. Con queste cautele, elevate a
inderogabili norma di condotta, la soglia dell’illegittimità rilevante viene
anticipata all’accertamento della sussistenza di una condotta concreta non
riconducibile a quella tipizzata. L’ordinamento non chiede dunque che il
giudice accerti di volta in volta che la violazione delle regole di condotta
abbia portato a conoscere effettivamente il nome del candidato. Se fosse
richiesto un tale, concreto, accertamento, lo stesso - oltre ad essere di
evidente disfunzionale onerosità - si risolverebbe, con inversione dell’onere
della prova, in una sorta di probatio diabolica che
contrasterebbe con l’esigenza organizzativa e giuridica di assicurare
senz’altro e per tutti il rispetto delle indicate regole, di rilevanza
costituzionale, sul pubblico concorso” (Cons. St., sentenza n. 3747/2013,
cit.).
3.
Nel caso di specie, al fine di apprezzare la consistenza delle censure dedotte
in ordine alla violazione del principio di anonimato, il Collegio ha ritenuto
necessario affidare alla Prefettura di Roma una verificazione, intesa ad
accertare“la consistenza delle buste utilizzate per la trascrizione dei dati
anagrafici dei candidati e l’eventuale possibilità di percepirne i nominativi
all’atto della correzione della seconda prova scritta [...]”.
Non
appare inutile evidenziare, come, in realtà, un simile accertamento fosse stato
compiuto in precedenza anche dall’amministrazione capitolina (cfr. gli articoli
di stampa, in atti), senza tuttavia trarne le dovute conseguenze.
Prima
di esaminare le risultanze della verificazione, occorre dare conto di alcuni
rilievi, di carattere processuale e /o sostanziale, svolti da taluna tra le
parti resistenti.
In
primo luogo, sarebbe stato violato il principio del contraddittorio, in quanto
la notificazione per pubblici proclami si è perfezionata soltanto dopo l’inizio
delle operazioni di verificazione.
In
secondo luogo, si sostiene che le operazioni di verificazione avrebbero dovuto
essere affidate ad un perito chimico o, comunque, ad un esperto avente
competenze tecniche e/o scientifiche.
3.1.
Il Collegio rileva che il codice del processo amministrativo - mentre,
relativamente alla CTU, richiama la scansione contenuta nel codice di procedura
civile – in ordine alla verificazione, a differenza di quanto prevedevano, un
tempo, l’art. 44 del t.u. n. 1054 del 1924 e l’art. 26 del r.d. n. 642 del
1907, non contiene alcun riferimento alla necessità di avvisare le parti ovvero
di autorizzarle ad assistere alle relative operazioni.
Di
talché, si rinvengono in giurisprudenza pronunce secondo cui, nel processo
amministrativo, non è oggi richiesto, diversamente dalla consulenza tecnica
d’ufficio, che anche la verificazione sia improntata al rispetto del principio
del contradditorio (TAR Umbria, sez. I^, sentenza n. 258 del 15.5.2014), ovvero
secondo cui “l’istituto della verificazione, nella disciplina ora dettata
dall'art. 66 c. proc. amm., comporta l'intervento in funzione consultiva del
giudice di un organismo qualificato, per la soluzioni di questioni che
implichino l'apporto di competenze tecniche o il riscontro di circostanze in
fatto, che si pongono come essenziali ai fini della definizione della
controversia; poiché questo apporto collaborativo avviene in funzione pari
ordinata nella fase di cognizione della causa, non è previsto un momento di
contraddittorio nel corso della fase istruttoria, che in prosieguo si attesta
sugli sviluppi della verificazione” (Cons. St., sez. III^, sentenza n. 1571 del
18.2.2013).
Ciò
posto, precisa il Collegio che l’integrazione del contraddittorio nei confronti
dei candidati ammessi agli orali, disposta con l’ordinanza collegiale n.
2598/2014, è stata ispirata da ragioni di opportunità (cfr., sul punto, l’art.
28, comma 3, del c.p.a.), derivanti dal clamore mediatico assunto dalla
vicenda, nonché dal fatto che, essendo ormai in corso le prove orali, era
presumibile, come poi in effetti avvenuto, che l’amministrazione capitolina
avrebbe di lì a poco proceduto ad approvare anche la graduatoria finale di
merito.
E’
tuttavia bene ricordare che la posizione di controinteresse, sul piano
strettamente processuale (cfr.. fra le tante, Cons. St., sez, VI, 12.6.2013, n.
3261), si consolida soltanto con l’approvazione della graduatoria definitiva,
cosa che, nel caso di specie, è avvenuta il 22 maggio 2014 (e cioè 8 giorni
dopo il deposito della relazione da parte del verificatore).
Ad
ogni buon conto, va detto che, sebbene non abbiano avuto modo di presenziare
alle operazioni di verificazione, tutti i controinteressati costituitisi in
giudizio dopo il completamento delle operazioni di verificazione, attraverso la
lettura della relazione e degli allegati verbali (facenti fede fino a querela
di falso), hanno avuto modo di offrire le proprie controdeduzioni, sia in
ordine al modus procedendi seguito dal verificatore, sia in
ordine ai risultati.
Infine,
la scelta di affidare la verificazione al Prefetto è coerente con la natura
della presente controversia, la quale non concerne, in sé, il materiale con cui
sono state realizzate le buste bensì la percepibilità, senza l’ausilio di mezzi
tecnici, dei dati anagrafici dei candidati..
3.2.
Il funzionario designato dal Prefetto di Roma, Viceprefetto d.ssa Daniela
Caruso, ha rassegnato le conclusioni che possono così sintetizzarsi.
In
primo luogo, “tutte le buste ‘piccole’ contenenti i dati anagrafici degli 854
candidati presenti alla seconda prova scritta della procedura selettiva per
titoli ed esami indetta da Roma Capitale [...] sono risultate identiche per
forma e colore e non recano foderature e/o accorgimenti particolari finalizzati
ad impedire la leggibilità dei dati anagrafici contenuti negli appositi
foglietti posti al loro interno”.
(pag.
4 della Relazione finale; cfr. anche la pag. 2).
Il
verificatore ha proceduto a verificare la leggibilità dei dati sia alla luce
diretta (naturale e artificiale), che a fonti di luce indiretta.
Per
quanto riguarda la luce diretta, questi esami specifici (di cui al verbale in
data 7 aprile), hanno consentito “immediatamente e in tutti i casi la lettura
dei dati contenuti al’interno ed impressi sul foglietto apposito
indipendentemente dalle variabili di tratto, grafia o pressione impressa dai
candidati” (relazione, pag. 2).
Tale
esame, condotto per le prime 10 buste, è stato di evidenza tale che il
verificatore ha ritenuto non necessario ripeterlo per le restanti 844 buste.
A
partire dalla seconda seduta di verificazione, ha poi proseguito nell’esame a
luce indiretta.
Tale
operazione ha consentito di ascrivere le buste “a quattro categorie di giudizio
determinate da quattro differenti gradi di visibilità dei dati:
-
Giudizio n. 1 – leggibilità del nome e/o anche del cognome per intero;
-
Giudizio n. 2 – leggibilità di gruppi di lettere del nome e/o del cognome;
-
Giudizio n. 3 – leggibilità di segni o singole lettere;
-
Giudizio n. 4 – nessuna leggibilità di segni riconducibili a lettere o numeri.”
In
merito al modo in cui ha ritenuto di accertare l’eventuale possibilità di
percepire i nominativi dei candidati, il verificatore ha richiamato quanto
riportato nel verbale in data 7 aprile a pag. 3 (“Ad un primo esame, tenendo in
mano la busta così da esercitare una pressione naturale, compatibile con
l’intento di tenerla in mano, si intravedono righe orizzontali, numeri e
lettere. Un’attenta, intenzionale, visione potrebbe consentire la lettura del
nome e cognome e degli altri dati”).
Ha
quindi chiarito che “la verificazione delle buste, effettuata in ogni seduta
nelle stesse condizioni spazio – temporali, è avvenuta sempre ponendo il
foglietto recante i dati anagrafici in aderenza al lato lungo della busta
contro la facciata priva del lembo di chiusura al fine di garantire identiche
condizioni di leggibilità anche sotto questo aspetto” (relazione, pag. 4).
Il
numero di giudizi n. 1 e n. 2, attribuiti all’esito dell’esame alla luce
indiretta, è pari a circa la metà delle buste esaminate. Il numero di giudizi
“n. 1” è pari a circa un terzo delle buste.
4.
Le parti resistenti hanno sminuito le risultanze della verificazione, in
particolare sottolineando:
1)
che le buste piccole non erano nella disponibilità della commissione
esaminatrice. All’uopo, richiamano quanto disposto dall’art. 15 del Regolamento
capitolino sull’accesso agli impieghi, secondo cui “3. I plichi sono aperti
esclusivamente alla presenza della Commissione esaminatrice,
all’inizio
della procedura relativa alla valutazione della prova e previa verifica
dell’integrità dei medesimi plichi. 4. Alla presenza della commissione
esaminatrice, all’inizio della procedura relativa alla valutazione della prova,
il Segretario, appone su ciascuna busta grande, man mano
che
si procede all’apertura delle stesse, un numero progressivo che viene ripetuto
sull’elaborato e sulla busta piccola ivi acclusa. Tale numero è riprodotto su
apposito elenco, destinato alla registrazione del risultato delle votazioni
riportate dai singoli elaborati [...]”;
2)
non vi è comunque prova di un comportamento fraudolento della Commissione né,
parimenti, vi è prova che la violazione della regola dell’anonimato sia
avvenuta in concreto;
3)
a tutto voler concedere, tenuto conto delle condizioni ambientali in cui si
sono svolte le operazioni di correzione, le irregolarità riscontrate non
sarebbero di rilevanza tale da giustificare, secondo principi di
proporzionalità e ragionevolezza, l’annullamento degli esiti della prova.
4.1.
Il Collegio osserva, in primo luogo, che proprio la lettura dell’art. 15 del
Regolamento capitolino sull’accesso agli impieghi del personale non dirigente
consente tranquillamente di affermare che le buste erano nella, quantomeno
potenziale, disponibilità della commissione.
Se
infatti l’apertura delle buste grandi, unitamente all’estrazione e numerazione
delle buste piccole, deve necessariamente avvenire “alla presenza” dei
commissari, non si può escludere che le buste piccole possano essere maneggiate
e/o visionate anche da questi ultimi.
Va
ancora soggiunto che, come condivisibilmente osservato dai ricorrenti, le
regole che impongono di usare accorgimenti tali da garantire il rispetto del
principio dell’anonimato sono poste anche perché i candidati non possono essere
presenti e quindi non possono avere contezza diretta di quanto avviene in sede
di correzione. L’unico modo di tutelare i partecipanti al concorso da
violazioni dell’anonimato, concretantesi in riconoscimenti, doloso o colposi, è
imporre all’amministrazione di utilizzare buste dotate di consistenza tale da
impedire la lettura in trasparenza dei nomi, dal momento della consegna sino
alla fine delle operazioni di correzione e valutazione.
Quanto
poi alla carenza di prova circa l’effettiva lettura dei nominativi, si è già
richiamato il principio, affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato, secondo cui “Nelle prove scritte dei pubblici concorsi o delle pubbliche
selezioni di stampo comparativo una violazione non irrilevante della regola
dell'anonimato da parte della Commissione determina de iure la radicale
invalidità della graduatoria finale, senza necessità di accertare in concreto
l'effettiva lesione dell'imparzialità in sede di correzione” (così la decisione
n. 26/2013).
Anche
in questo caso, come in quelli esaminati dalla giurisprudenza citata, si deve
poi rilevare come non sia necessaria nemmeno la prova di un comportamento
fraudolento, o, comunque, intenzionale, da parte della commissione, essendo
invero sufficiente che le buste consentano, in qualunque possibile condizione
ambientale, di percepire i dati anagrafici dei candidati.
Infine,
gli esiti della verificazione consentono di escludere, nella fattispecie, che
si sia in presenza di una violazione “modesta” o “veniale” del principio
dell’anonimato.
Il
verificatore ha infatti accertato che le buste piccole consentono la lettura
dei dati anagrafici, con immediatezza, nel 100% dei casi, alla luce diretta,
ed, in un elevato numero di casi, alla luce indiretta.
5.
La fondatezza del ricorso impone al Collegio di fornire indicazioni
all’amministrazione in ordine alla modalità attraverso cui dovrà essere
rinnovata l’attività amministrativa.
Al
riguardo, sia i ricorrenti che alcune delle parti resistenti, hanno chiesto
l’applicazione delle stesse modalità indicate nella cit. sentenza n. 3747/2013.
Tale
pronuncia si ispira al principio secondo cui l’attuazione della sentenza deve
avvenire in modo da preservare, nel rispetto del principio di economicità, la
validità degli atti della procedura che non sono stati inficiati
dall’illegittimità riscontrata.
Poiché,
anche nella fattispecie, non sono stati dedotti vizi relativi allo svolgimento
della prova, né vi sono elementi tali da far ritenere che gli elaborati non
siano stati correttamente custoditi, il Collegio reputa che non sia necessario
procedere alla ripetizione della prova.
Dispone
pertanto che il Segretario Generale di Roma Capitale affidi ad un dirigente
dell’amministrazione, estraneo alla presente vicenda contenziosa, il compito di
procedere alla sostituzione delle buste con altre che assicurino l’assoluto
rispetto del principio dell’anonimato, nonché all’effettuazione delle altre
operazioni materiali che si rendano necessarie.
Il
dirigente incaricato darà adeguata pubblicità delle attività poste in essere
indicando luogo, giorno e ora in cui si effettueranno tali operazioni,
consentendo, se richiesto, ad un numero non superiore a dieci candidati, di
assistervi.
Il
Segretario Generale, inoltre, dovrà provvedere a nominare una nuova
commissione, avente i prescritti requisiti, affinché proceda ad una nuova
valutazione degli elaborati di tutti i candidati che hanno partecipato alla
seconda prova scritta.
6.
E’ necessario a questo punto provvedere alla liquidazione del compenso del
verificatore. Infatti - sebbene il codice del processo amministrativo, all’art.
66, preveda che tali competenze siano liquidate con decreto del Presidente –
non vi è motivo di escludere che a tanto possa provvedersi anche con la
sentenza che definisce il giudizio, tenuto conto che è proprio con tale
pronuncia che deve regolarsi il relativo onere.
Secondo
l’art. 66, comma 4, del c.p.a., “si applicano le tariffe stabilite dalla
disposizioni in materia di spese di giustizia”.
Ai
sensi dell’art. 275 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico
delle disposizioni in materia di giustizia) sino all’emanazione del regolamento
previsto dall’articolo 50 del medesimo testo unico, la misura degli onorari è
disciplinata dalle tabelle allegate al D.P.R. 27 luglio 1988, n. 352, come
rideterminate dal D.M. 30 maggio 2002, e dall’articolo 4 della legge 8 luglio
1980, n. 319.
In
tale testo normativo, non è tuttavia rinvenibile la descrizione di un’attività
simile a quella nella fattispecie svolta dal Viceprefetto Caruso. La
liquidazione del compenso, pertanto, non può che avvenire in via equitativa e
forfettaria, tenendo conto dell’effettiva attività che l’ausiliare del giudice
ha dichiarato e documentato di aver svolto.
In
tale prospettiva, appare congruo il compenso di euro 4,000,00 (quattromila/00)
così come richiesto dalla d.ssa Caruso.
7.
In definitiva, per quanto argomentato, il ricorso deve essere accolto.
La
natura della controversia, che impone la rinnovazione della procedura
concorsuale, nel rispetto delle regole indicate, giustifica la compensazione
tra le parti delle spese di giudizio e degli onorari di difesa.
Le
spese della verificazione sono poste a carico di Roma Capitale.
P.Q.M.
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, definitivamente
pronunciando sui ricorsi riuniti, di cui in premessa, li accoglie e, per
l’effetto, annulla gli atti impugnati.
Compensa
tra le parti le spese di giudizio e gli onorari di difesa.
Liquida,
in favore del verificatore, d.ssa Daniela Caruso, la somma di euro 4.000,00
(quattromila/00), ponendone l’onere a carico di Roma Capitale.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2014 con
l'intervento dei magistrati:
Salvatore
Mezzacapo, Presidente
Maria
Cristina Quiligotti, Consigliere
Silvia
Martino, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
Il
05/11/2014
IL
SEGRETARIO
(Art.
89, co. 3, cod. proc. amm.)