martedì 11 novembre 2014

EDILIZIA: la pertinenza "ammministrativistica" e la sua diversità da quella "civilistica" (T.A.R. LAzio, Roma, Sez. II-bis, sentenza 10 novembre 2014, n. 11278).


EDILIZIA: 
la pertinenza "ammministrativistica" 
e la sua diversità da quella "civilistica"
 (T.A.R. LAzio, Roma, Sez. II-bis, 
sentenza 10 novembre 2014, n. 11278)



Massima

1. Costituisce ius receptum il principio secondo cui il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire.
2. Nel caso di specie, al ricorrente è stata contestata la realizzazione di una tettoia di profondità pari ad un metro che si sviluppa per una lunghezza di metri 4. La descritta consistenza del manufatto è all’evidenza privo di “una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione” determina che l’opera possa essere compresa fra gli “interventi di manutenzione straordinaria, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso” di cui all’art. 31, lett. b) della L. n. 457/1978 per i quali, a norma del successivo art. 48, co. 1, “la concessione prevista dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10, è sostituita da una autorizzazione del sindaco ad eseguire i lavori”.
3. Come, infatti, già chiarito in giurisprudenza “la linea di demarcazione avuta di mira dal legislatore dell'epoca nella individuazione del discrimen tra manutenzione straordinaria e vera e propria ristrutturazione edilizia” è rappresentata dalla rilevazione di “modifiche tali da alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari”: caratteri non rinvenibili nella realizzazione contestata con il provvedimento oggetto del presente giudizio.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9860 del 1999, proposto da:
Di Maio Andrea, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Gilberto Correani e Daniele De Angelis, con domicilio eletto presso il secondo, in Roma, circonvallazione Trionfale n. 145; 
contro
Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. Cristina Montanaro presso il quale elegge domicilio, in Roma, via Tempio di Giove n. 21; 
per l'annullamento
della Relazione tecnica n. 6783 del 15 febbraio 1999;
della nota del Comando della Polizia Municipale n. n. 4663 del 19 febbraio 1999;
dell’ordine di sospensione dei lavori n. 419 del 4 marzo 1999;
dell’ordine di demolizione n. 649 del 9 aprile 1999;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 ottobre 2014 il dott. Marco Poppi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Con determinazione dirigenziale n. 649 del 9 aprile 1999, l’Amministrazione comunale di Roma ha ordinato al ricorrente la demolizione di opere realizzate sul terrazzo della propria abitazione consistenti in una tettoia con struttura portante in legno e copertura in coppi di materiale plastico e in un manufatto in muratura posto in essere ad ampliamento del fabbricato preesistente.
Il ricorrente ha impugnato il citato provvedimento deducendo una pluralità di profili di illegittimità.
L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio confutando le avverse doglianze e chiedendo la reiezione del ricorso.
All’esito della pubblica udienza del 14 ottobre 2014, la causa veniva decisa.
Il ricorrente, con un primo ordine di doglianze, contesta che la tettoia in questione si presti ad essere qualificata come nuova costruzione, soggetta in quanto tale al previo rilascio di una concessione edilizia, atteso che detto manufatto consisterebbe in una semplice pensilina posta a protezione degli infissi dell’abitazione che, in quanto opera priva di autonomia rispetto alla costruzione principale, rappresenterebbe una mera pertinenza.
La doglianza è fondata.
E’ noto al collegio l’orientamento giurisprudenziale in base al quale “il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire (TAR Campania, Napoli, Sez. II, 15 maggio 2014, n. 2710)
Deve, tuttavia, rilevarsi che, nel caso di specie, al ricorrente viene contestata la realizzazione di una tettoia di profondità pari ad un metro che si sviluppa per una lunghezza di metri 4.
La descritta consistenza del manufatto, all’evidenza privo di “una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione” determina che l’opera possa essere compresa fra gli “interventi di manutenzione straordinaria, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso” di cui all’art. 31, lett. b) della L. n. 457/1978 per i quali, a norma del successivo art. 48, comma 1, “la concessione prevista dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10, è sostituita da una autorizzazione del sindaco ad eseguire i lavori”.
Come, infatti, già chiarito in giurisprudenza “la linea di demarcazione avuta di mira dal legislatore dell'epoca nella individuazione del discrimen tra manutenzione straordinaria e vera e propria ristrutturazione edilizia” è rappresentata dalla rilevazione di “modifiche tali da alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari” (TAR puglia, Lecce, Sez. I, 8 marzo 2006, n. 1426): caratteri non rinvenibili nella realizzazione contestata con il provvedimento oggetto del presente giudizio.
Con un secondo ordine di doglianze, formulato con riferimento alla rilevata abusività del manufatto in muratura, il ricorrente deduce il difetto di istruttoria e di motivazione evidenziando, sotto un primo profilo, che il contestato ampliamento del locale adibito a servizi igienici dell’appartamento al piano, senza creazione di un ulteriore vano, integrerebbe un intervento di restauro e risanamento conservativo soggetto a DIA che, anche quanto realizzato in assenza di titolo, non consentirebbe l’adozione della misura ripristinatoria ma della sola sanzione pecuniaria ex art. 10 della L. n. 47/1985.
In subordine deduce che la remissione in pristino rappresenterebbe, in ogni caso, una misura sproporzionata in ragione del tempo trascorso e della non scorporabilità dell’opera dalla restante parte dell’immobile.
L’Amministrazione, infine, non avrebbe accertato la pregressa consistenza del fabbricato (né avrebbe consentito al ricorrente l’accesso ai relativi atti), non avrebbe individuato il periodo cui risalirebbero i lavori contestati, né avrebbe considerato che la demolizione del bagno farebbe venir meno i requisiti igienico sanitari dell’abitazione.
Il motivo è fondato.
A tacere del fatto che l’Amministrazione non ha in alcun modo comprovato o documentato la difformità rilevata né in parte motiva del provvedimento (redatto in forma estremamente sintetica) né in corso di giudizio mediante produzioni documentali, deve rilevarsi che il manufatto in ipotesi realizzato dal ricorrente consisterebbe in un ampliamento del servizio igienico esistente rientrante, ai sensi dell’art. 31, lett. c) della L. n. 457/1978 fra gli interventi in relazione ai quali è richiesta la presentazione della D.I.A.. (“c) interventi di restauro e di risanamento conservativo, quelli rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio”)
Chiarito nei suesposti termini il regime autorizzatorio cui doveva soggiacere l’intervento in questione, non poteva precedersi all’applicazione della misura demolitoria trovando applicazione l’art. 10, comma 1, della L. n. 47/1985, a norma del quale “l'esecuzione di opere in assenza dell'autorizzazione prevista dalla normativa vigente o in difformità da essa comporta la sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione delle opere stesse”.
Con un terzo e ultimo ordine di doglianze, il ricorrente, una volta accertato che l’abuso contestatogli non determina il ripristino dello stato dei luoghi ma potrebbe comportare la sola applicazione di una sanzione pecuniaria, deduce che questa dovrebbe essere comminata all’effettivo responsabile dell’abuso individuabile in un precedente proprietario dell’unità abitativa.
Sull’Amministrazione, pertanto, graverebbe l’obbligo di accertare l’epoca dell’abuso e il soggetto che dall’intervento ne avrebbe tratto un effettivo beneficio.
La doglianza, in quanto diretta a neutralizzare gli effetti di un futuro ed eventuale provvedimento sanzionatorio, è inammissibile poiché non sorretta da alcun concreto ed attuale interesse.
Per quanto precede il ricorso deve essere accolto limitatamente alla domanda di annullamento dell’ordine di demolizione.
La specificità delle questioni oggetto del giudizio determina la compensazione delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente
Elena Stanizzi, Consigliere
Marco Poppi, Primo Referendario, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/11/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


domenica 9 novembre 2014

CONCORSI PUBBLICI & PROCESSO: la sentenza sul c.d. "concorsone" del Comune di Roma fornisce alcuni spunti giuridici interessanti (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, sentenza 5 novembre 2014, n. 11106).



CONCORSI PUBBLICI &
PROCESSO: 
la sentenza sul c.d. "concorsone" 
del Comune di Roma fornisce 
alcuni spunti giuridici interessanti 
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 
sentenza 5 novembre 2014, n. 11106)


Massima

1. E' giurisprudenza assolutamente pacifica quella secondo cui l’interesse a ricorrere sussiste non solo quando l’annullamento dell’atto amministrativo lesivo è di per sé idoneo a realizzare l’interesse diretto e immediato del singolo, ma anche quando il detto annullamento si limiti a rimettere in discussione il rapporto controverso, obbligando l’amministrazione “a riesaminare la situazione tenendo conto delle statuizioni scaturenti dall’accoglimento delle censure ritenute fondate” (Cons. St., sez. VI, sentenza n. 6181 del 16.10.2006).
L’utilità che il ricorrente può perseguire mediante l’azione di impugnazione può perciò esaurirsi anche nella sola tutela dell'interesse strumentale alla rinnovazione della procedura, con la restituzione della chance di conseguire il bene della vita cui aspira.
Nelle selezioni di tipo concorsuale, tale interesse sussiste ogniqualvolta non possa, ex ante, escludersi una rinnovazione della selezione con esito favorevole all’istante.
2. Il criterio dell'anonimato nelle prove scritte delle procedure di concorso, “costituisce il diretto portato del principio costituzionale di uguaglianza nonché specialmente di quelli del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione, la quale deve operare le proprie valutazioni senza lasciare alcuno spazio a rischi di condizionamenti esterni e dunque garantendo la par condicio tra i candidati. Tale criterio, costituendo appunto applicazione di precetti costituzionali, assume una valenza generale ed incondizionata, mirando esso in sostanza ad assicurare la piena trasparenza di ogni pubblica procedura selettiva e costituendone uno dei cardini portanti.
L'esigenza dell'anonimato si traduce infatti a livello normativo in regole che [...] tipizzano rigidamente il comportamento dell'Amministrazione imponendo [...] una serie minuziosa di cautele e accorgimenti prudenziali, inesplicabili se non sul presupposto dell'intento del Legislatore di qualificare la garanzia e l'effettività dell'anonimato quale elemento costitutivo dell' interesse pubblico primario al cui perseguimento tali procedure selettive risultano finalizzate.
Allorché l'Amministrazione si scosta in modo percepibile dall'osservanza di tali vincolanti regole comportamentali si determina quindi una illegittimità di per se rilevante e insanabile, venendo in rilievo una condotta già ex ante implicitamente considerata come offensiva in quanto appunto connotata dall'attitudine a porre in pericolo o anche soltanto minacciare il bene protetto dalle regole stesse.
In conclusione, mutuando la antica terminologia penalistica, può affermarsi che la violazione dell'anonimato da parte della Commissione nei pubblici concorsi comporta una illegittimità da pericolo c.d. astratto e cioè un vizio derivante da una violazione della presupposta norma d'azione irrimediabilmente sanzionato dall'ordinamento in via presuntiva, senza necessità di accertare l'effettiva lesione dell'imparzialità in sede di correzione” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 26 del 20.11.2013).
La pratica dell’anonimato per le prove scritte d’esame dei concorsi pubblici “realizza in termini pratici principi e regole di dignità costituzionale. Dal che la sua indefettibilità in concreto” (Cons. St., sez. VI, sentenza n. 347/2013, cit.).


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1260 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Emanuela Brugiotti, Patrizia Di Giovanni, Di Faostino Alessia, Raffaella Musselli, Lucia Tamagnini, Armando Morgia, Gian Maria Tavassi, rappresentati e difesi dagli avv.ti Filippo Lattanzi, e Claudia Ciccolo, ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Roma, via G.P. Da Palestrina, 47;
contro
Roma Capitale, rappresentata e difesa dall’avv. Carlo Sportelli, con il quale domicilia in Roma, via Tempio di Giove, 21, presso l’Avvocatura capitolina; 
nei confronti di
Coppola Valeria e De Rosa Roberta, rappresentate e difese dall'avv. Carlo Ghia, ed elettivamente domiciliate presso lo studio del difensore, in Roma, via delle Quattro Fontane, 10;
Antonella Meconi, rappresentata e difesa da sé medesima, con domicilio eletto presso l’avv. Giancarlo Corazza in Roma, via Ghetaldi, 33;
Giorgio Magliocca, rappresentato e difeso dall'avv. Egidio Lamberti, con domicilio eletto presso l’avv. Massimiliano Marsili in Roma, viale Parioli, 44;
Ragno Federica, Simoni Igor, Letizia Raffaele, Santoro Arianna, Muratore Maria, Lollobrigida Roberta, Sebastiani Sabina, Perri Rosyta, Audaci Serena, Giovinazzo Sabrina, Di Stasi Sibilla, Riso Elena, Lo Porto Antonella, Nicoletti Daniela, Carabetta Teresa, Trecroci Fabiana, Romeo Rosa Angela, Del Conte Fabio, Piccolo Roberta, Greco Michela, Taglieri Alessandra, Ciampa Alessandra, Foci Valentina, Guerrieri Barbara, Giacomelli Dino, Moretti Vivian, De Vincenzi Francesca, Lepore Gianfranco, De Angelis Francesca Maria, Della Corte Ilaria, Nardi Dario, Chiacchiarini Aurelio, Randone Francesco, Micci Pamela, Guglielmi Maria Grazia, Rinaldi Valentina Carmela, De Vitis Anna, Matranga Giuseppina, Ercoli Claudia, La Prova Marco, Magnifico Angelo, Toro Laura, Piscitelli Alessia, Genoese Federica, Zotti Maria Teresa, Aquilino Federico, Verzì Patriazia, Riccio Giulia, rappresentati e difesi dagli avv.ti Fernando Gallone e Iole Urso, ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Roma, via Luigi Calamatta, 16;
Albero Galanti e Filomena Graziano, rappresentati e difesi dall'avv. Paolo Caruso, ed elettivamente domiciliati presso lo studio del difensore, in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
Anna D'Angelo, rappresentata e difesa dagli avv.ti Beatrice Locoratolo e Tommaso Di Nitto, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Antonio Gramsci, 24;
Stefania Vardé, nonché tutti gli altri soggetti di cui all’atto di integrazione del contraddittorio per pubblici proclami, come da documentazione in atti. 

sul ricorso numero di registro generale 1261 del 2014, proposto da:
Chiara Petrucci, rappresentata e difesa dagli avv. ti Filippo Lattanzi e Claudia Ciccolo, ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, via G.P. Da Palestrina, 47; 
contro
Roma Capitale, rappresentata e difesa dall’avv. Carlo Sportelli, con il quale domicilia in Roma, via Tempio di Giove, 21, presso l’Avvocatura capitolina;
nei confronti di
Coppola Valeria e De Rosa Roberta, rappresentate e difese dall'avv. Carlo Ghia, ed elettivamente domiciliate presso lo studio del difensore, in Roma, via delle Quattro Fontane, 10;
Antonella Meconi, rappresentata e difesa da sé medesima, con domicilio eletto presso l’avv. Giancarlo Corazza in Roma, via Ghetaldi, 33;
Giorgio Magliocca, rappresentato e difeso dall'avv. Egidio Lamberti, con domicilio eletto presso l’avv. Massimiliano Marsili in Roma, viale Parioli, 44;
Albero Galanti e Filomena Graziano, rappresentati e difesi dall'avv. Paolo Caruso, ed elettivamente domiciliati presso lo studio del difensore, in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
Anna D'Angelo, rappresentata e difesa dagli avv.ti Beatrice Locoratolo e Tommaso Di Nitto, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Antonio Gramsci, 24;
Stefania Vardé, nonché tutti gli altri soggetti di cui all’atto di integrazione del contraddittorio per pubblici proclami, come da documentazione in atti.
per l'annullamento
quanto al ricorso n. 1260 del 2014:
- dell'elenco numerico delle votazioni assegnate all'esito della valutazione della seconda prova scritta della procedura selettiva pubblica, per titoli ed esami, per il conferimento di n. 110 posti nel profilo professionale Funzionario Amministrativo categoria D (posizione economica D1) – Famiglia economico - amministrativa, pubblicato all'Albo Pretorio on-line di Roma Capitale in data 25.11.2013 laddove non comprende tra gli ammessi alla prova orale i ricorrenti;
- dell'elenco nominativo delle votazioni assegnate all'esito della valutazione della medesima seconda prova scritta, pubblicata all'Albo Pretorio on-line di Roma Capitale in data 25.11.2013, laddove non comprende, tra gli ammessi alla prova orale, i ricorrenti;
- del calendario delle prove orali;
- nonché, in quanto occorrer possa, di ogni altro atto consequenziale, successivo o presupposto, ancorché non conosciuto, con riserva di proporre motivi aggiunti e/o integrativi;
- nonché dei seguenti atti, impugnati con motivi aggiunti:
- determinazione dirigenziale di Roma Capitale – Dipartimento Risorse Umane – U.O. Reperimento del Personale – Trattamento Giuridico – Ufficio Concorsi, n. 956/2014, pubblicata all’Albo Pretorio on – line di Roma Capitale il 22 maggio 2014, di approvazione della graduatoria finale della procedura selettiva pubblica, per titoli ed esami, per il conferimento di n. 110 posti nel profilo professionale di funzionario amministrativo, categoria D, posizione economica D1 – Famiglia Economico Amministrativa e Servizi di Supporto, nonché relativamente alla medesima procedura selettiva indetta da Roma Capitale, dell’elenco valutazione dei titoli, degli elenchi delle votazioni assegnate all’esito delle prove orali;
- di ogni ulteriore atto conseguenziale, successivo o presupposto;
quanto al ricorso n. 1261 del 2014:
- dell'elenco numerico delle votazioni assegnate all'esito della valutazione della seconda prova scritta della procedura selettiva pubblica, per titoli ed esami, per il conferimento di n. 110 posti nel profilo professionale Funzionario Amministrativo categoria D, pubblicato all'Albo Pretorio on-line di Roma Capitale in data 25.11.2013 laddove non comprende tra gli ammessi alla prova orale la ricorrente;
- dell'elenco nominativo delle votazioni assegnate all'esito della valutazione della medesima seconda prova scritta, pubblicata all'Albo Pretorio on-line di Roma Capitale in data 25.11.2013, laddove non comprende, tra gli ammessi alla prova orale, la ricorrente;
- del calendario delle prove orali;
- di ogni altro atto consequenziale, successivo o presupposto, ancorché non conosciuto, con riserva di proporre motivi aggiunti e/o integrativi.
- nonché dei seguenti atti, impugnati con motivi aggiunti:
- determinazione dirigenziale di Roma Capitale – Dipartimento Risorse Umane – U.O. Reperimento del Personale – Trattamento Giuridico – Ufficio Concorsi, n. 956/2014, pubblicata all’Albo Pretorio on – line di Roma Capitale il 22 maggio 2014, di approvazione della graduatoria finale della procedura selettiva pubblica, per titoli ed esami, per il conferimento di n. 110 posti nel profilo professionale di funzionario amministrativo, categoria D, posizione economica D1 – Famiglia Economico Amministrativa e Servizi di Supporto, nonché relativamente alla medesima procedura selettiva indetta da Roma Capitale, dell’elenco valutazione dei titoli, degli elenchi delle votazioni assegnate all’esito delle prove orali;
- di ogni ulteriore atto conseguenziale, successivo o presupposto;

Visti i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e dei controinteressati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti delle cause;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 8 ottobre 2014 il Cons. Silvia Martino;
Uditi gli avv.ti delle parti, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO
1. I ricorrenti hanno partecipato alla procedura selettiva pubblica, indetta da Roma Capitale, per il conferimento di n. 110 posti nel profilo professionale di Funzionario Amministrativo, Categoria D (posizione economica D1) – famiglia economico – amministrativa e servizi di supporto.
La procedura fa parte delle 22, tutte avviate nel 2010, mediante le quali, nel complesso, il Comune di Roma ha messo a concorso 1995 posti di vari profili professionali.
Il bando di cui si verte, prevedeva, tra l’altro:
- l’espletamento di una prova preselettiva a risposta multipla, nell’ipotesi in cui fossero pervenute più di mille domande di partecipazione, vertente sulle materie riguardanti le prove scritte;
- una prima prova scritta, consistente nella sottoposizione ai candidati di cinque domande, con quattro ipotesi di soluzione, tra le quali scegliere la risposta corretta e svolgere un commento sintetico, nelle materie di diritto costituzionale, Statuti e principali regolamenti del Comune di Roma, ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche:
- una seconda prova scritta consistente nella redazione di un elaborato riguardante le materie di diritto amministrativo, ordinamento della autonomie locali, legislazione in materia di contratti della pubblica amministrazione, normativa in materia dei dati personali;
- una prova orale sulle materie oggetto delle prove scritte, con l’aggiunta di elementi di diritto penale, lingua straniera, procedure informatiche.
Per essere ammessi alla prova orale i concorrenti avrebbero dovuto riportare una votazione di almeno 7/10 in ciascuna prova scritta.
Superata la preselezione, e il primo scritto, gli odierni ricorrenti non rientravano tra i candidati che, avendo riportato una votazione pari o superiore a sette, venivano ammessi agli orali.
I ricorrenti ritengono però che gli esiti della seconda prova scritta non possano ritenersi legittimi e meritevoli di conferma a causa di una grave violazione del principio dell’anonimato posta in essere dall’amministrazione capitolina nelle fasi di svolgimento e correzione dei compiti.
In particolare, il giorno 12.12.2012, venivano consegnate ai candidati due buste di differente grandezza e un cartoncino. Veniva loro spiegato che, ultimato lo svolgimento della prova, essi, senza apporvi sottoscrizione o contrassegno, avrebbero dovuto inserire il foglio o i fogli del compito nella busta più grande, scrivere il proprio nome e cognome, la data e il luogo di nascita nel cartoncino e chiuderlo nella busta piccola. Quest’ultima doveva essere inserita nella busta grande da consegnare al Presidente che avrebbe apposto, trasversalmente sulla busta, la propria firma.
Tali adempimenti erano volti a garantire l’anonimato degli autori degli elaborati dal momento della consegna dei compiti ai commissari sino alla fine delle operazioni di correzione e valutazione.
Per tale ragione, le buste utilizzate (ed, in particolare, quelle piccole contenenti il cartoncino con i dati anagrafici) avrebbero dovuto essere confezionate in modo tale da impedire la leggibilità del loro contenuto da parte dei commissari al momento della consegna degli elaborati, dell’apertura della busta grande e dell’estrazione della piccola, per l’inizio delle operazioni di correzione e per tutto il tempo di tali operazioni.
Il giorno della seconda prova scritta i ricorrenti si avvedevano che ai candidati venivano distribuite buste piccole diverse tra loro, tra cui alcune totalmente bianche tali da consentire, in trasparenza, la lettura dei dati identificativi trascritti sull’apposito cartoncino.
Che il materiale distribuito ai candidati il giorno della seconda prova scritta non fosse regolare, è poi testimoniato dalle vicende che hanno immediatamente preceduto, da parte di Roma Capitale, la pubblicazione degli esiti della prova, rese note dai maggiori organi di stampa.
Nello specifico, verso la metà del mese di novembre 2013, il Sindaco e il Vicesindaco di Roma annunciavano, in conferenza stampa, di avere demandato all’Avvocatura capitolina e al dirigente del personale, la verifica delle buste distribuite ai candidati il giorno dell’esame, essendo emersa la possibilità che una parte di esse, in quanto prive della pellicola interna colorata, fossero risultate trasparenti e, dunque, inidonee a garantire l’anonimato dei partecipanti alla prova scritta.
In data 18 novembre 2013 il Vicesindaco teneva una seconda conferenza stampa, alla presenza del responsabile dell’Avvocatura capitolina, affermando che le verifiche eseguite a campione sulle prove scritte già terminate avevano confermato i dubbi circa la regolarità delle modalità con cui erano state condotte le procedure concorsuali.
Il Vicesindaco dichiarava che la busta contenente i dati anagrafici, in una serie di casi, aveva l’interno bianco, e non viola come prescritto, con la conseguenza che, in tale ipotesi, i dati anagrafici erano leggibili senza neanche che fosse necessario esporre la busta alla luce.
Il Vicesindaco sottolineava inoltre che, dalle ispezioni, era emerso che, laddove il candidato avesse scritto i propri dati in grassetto, gli stessi potevano essere decifrati anche attraverso le buste viola, se poste alla luce.
Pertanto, ritenendo integrata una grave violazione della regola dell’anonimato, a causa delle trasparenza delle buste piccole, si decideva di trasmettere le carte comprovanti le ritenute irregolarità alla Procura della Repubblica.
I ricorrenti, a questo punto, hanno deciso di impugnare gli esiti della prova.
In particolare, deducono:
1) VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DELL’ANONIMATO, DEGLI ARTT. 1 E 14 DEL D.P.R. N. 487/1994, DEGLI ARTT. 14 E 15 DELLA DELIBERA DELLA GIUNTA COMUNALE N. 424/2009, NONCHÉ DEGLI ARTT. 97, 3 E 51 DELLA COSTITUZIONE.
Il d.P.R. in epigrafe, nella parte di interesse, delinea gli accorgimenti idonei ad assicurare che il “riconoscimento” del candidato, avvenga solo a conclusione dell’esame e del giudizio di tutti gli elaborati dei concorrenti.
Nel caso di specie, è invece accaduto che l’amministrazione abbia utilizzato buste (in particolare, quelle piccole, destinate a contenere il cartoncino con le generalità dei candidati), non idonee allo scopo di garantire la non immediata riconoscibilità degli autori degli scritti.
Adoperando, nel contesto della prova scritta, buste trasparenti, l’amministrazione resistente ha violato il principio dell’anonimato che trova il suo fondamento nelle norme costituzionali poste a presidio dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione.
In merito al fondamento costituzionale della regola dell’anonimato (avente carattere assoluto e generale), si è da ultimo espressa l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nelle sentenze 26, 27 e 28 del 20.11.2013, nelle quali si è affermato il principio della non necessità, ai fini del giudizio di illegittimità degli esiti del concorso, per violazione di tale regola, dell’accertamento del concreto verificarsi della lesione della par condicio tra i candidati.
La violazione dell’anonimato nei pubblici concorsi comporta una illegittimità, c.d., da pericolo astratto, e cioè un vizio derivante da una violazione della presupposta norma di azione, irrimediabilmente sanzionato dall’ordinamento in via presuntiva, senza necessità di accertare l’effettiva lesione dell’imparzialità in sede di correzione.
Nel caso in esame, ad analoghe conclusioni induce la lettura degli artt. 14 e 15 del Regolamento comunale, i quali ricalcano, peraltro, le disposizioni contenute nel d.P.R. n. 487 del 1994.
Il regolamento prescrive, in particolare, che l’apertura delle buste grandi, l’estrazione dei compiti e delle buste piccole, avvenga alla presenza della commissione esaminatrice, la quale però non deve avere la possibilità di individuare le generalità dei candidati.
Nel caso di specie, pertanto, l’uso di buste di consistenza insufficiente a coprire quanto riportato nei cartoncini, integra una condotta violativa delle regole sopra evidenziate.
In tali ipotesi (cfr., Cons. St., sentenza n. 3747 dell’11.7.2013) non hanno poi alcun rilievo né le modalità con cui l’amministrazione si sia procurata le buste né la circostanza che, in sede di svolgimento delle prove, nessuno ne abbia specificamente contestato la consistenza.
Nemmeno è necessaria la prova dell’effettiva lettura dei nominativi, ovvero l’accertamento di un comportamento fraudolento da parte della Commissione, in quanto il principio dell’anonimato gode di una tutela “anticipata”.
Si sono costituiti, per resistere, l’amministrazione capitolina ed alcuni dei candidati ammessi alle prove orali.
Con ordinanza n. 2598/2014 dell’8 marzo 2014, previa riunione dei ricorsi in epigrafe, il Collegio ha:
- respinto l’istanza cautelare, in considerazione del fatto che le prove orali erano, ormai, in corso di svolgimento;
- ordinato l’integrazione del contraddittorio, mediante pubblici proclami, nei confronti di tutti i soggetti inseriti nella graduatoria degli ammessi agli orali, autorizzando, a tal fine, i pubblici proclami;
- disposto l’esecuzione di una verificazione a cura del Prefetto di Roma, o di un funzionario dallo stesso delegato, volta ad appurare “la consistenza delle buste utilizzate per la trascrizione dei dati anagrafici dei candidati e l’eventuale possibilità di percepirne i nominativi all’atto della correzione della seconda prova scritta”.
I ricorrenti, per parte loro, hanno provveduto all’integrazione del contradditorio, secondo le modalità indicate nella suddetta ordinanza, mentre il Prefetto di Roma ha designato,
per l’espletamento della verificazione, il Viceprefetto, d.ssa Daniela Caruso, che ha depositato la relazione conclusiva, con i relativi allegati, in data 14 maggio 2014.
Nel frattempo, il Comune di Roma ha portato a termine le prove orali ed approvato la graduatoria definitiva, con atto del 22 maggio 2014, avverso il quale i ricorrenti hanno proposti motivi aggiunti, notificati, ai controinteressati già costituiti, nel domicilio eletto e, per il resto, attraverso pubblici proclami.
Le parti hanno depositato memorie conclusionali e di replica, in vista della pubblica udienza dell’8 ottobre 2014, alla quale il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO
1. La controversia in esame origina dalla selezione indetta da Roma Capitale per il conferimento di n. 110 posti nel profilo professionale di Funzionario amministrativo, categoria D, posizione economica D1, famiglia economico – amministrativa e servizi di supporto.
Alcuni candidati, classificatisi in posizione non utile per essere ammessi alla prova orale, hanno impugnato i risultati della seconda prova scritta e la graduatoria finale, deducendo la violazione della regola dell'anonimato.
1.1. In via preliminare, deve essere respinta l’eccezione pregiudiziale avanzata dalle parti resistenti, secondo cui i ricorrenti sarebbero privi di legittimazione e/o di interesse a ricorrere.
L’eccezione viene argomentata, da un lato, per il fatto che, contestualmente ai vizi procedimentali relativi alla correzione delle prove scritte, essi non hanno svolto anche censure di carattere sostanziale avverso il punteggio loro attribuito dalla Commissione esaminatrice, ovvero avverso il giudizio di inidoneità.
Per l’altro, si afferma che la sussistenza di un interesse strumentale non sarebbe ex se sufficiente a fondare la legittimazione e/o l’interesse a ricorrere.
All’uopo, viene richiamata l’evoluzione della giurisprudenza amministrativa in materia di impugnativa dell’esito di una gara ad evidenza pubblica da parte del concorrente escluso.
2.1. Rileva il Collegio che, a differenza di quanto preteso dalle parti resistenti, è giurisprudenza assolutamente pacifica quella secondo cui l’interesse a ricorrere sussiste non solo quando l’annullamento dell’atto amministrativo lesivo è di per sé idoneo a realizzare l’interesse diretto e immediato del singolo, ma anche quando il detto annullamento si limiti a rimettere in discussione il rapporto controverso, obbligando l’amministrazione “a riesaminare la situazione tenendo conto delle statuizioni scaturenti dall’accoglimento delle censure ritenute fondate” (Cons. St., sez. VI, sentenza n. 6181 del 16.10.2006).
L’utilità che il ricorrente può perseguire mediante l’azione di impugnazione può perciò esaurirsi anche nella sola tutela dell'interesse strumentale alla rinnovazione della procedura, con la restituzione della chance di conseguire il bene della vita cui aspira.
Nelle selezioni di tipo concorsuale, tale interesse sussiste ogniqualvolta non possa, ex ante, escludersi una rinnovazione della selezione con esito favorevole all’istante.
Nella fattispecie, i ricorrenti non avevano alcun bisogno di contestare, nel merito, le valutazioni della Commissione esaminatrice poiché essi hanno denunciato un vizio di natura radicale, relativo alle modalità di svolgimento delle operazioni di correzione della seconda prova scritta.
Il riscontro di un simile vizio non consente di ritenerne acquisito al procedimento l’esito e comporta, ab imis, la rinnovazione delle operazioni medesime.
In siffatta prospettiva, l’interesse alla rinnovazione del procedimento “non può essere inteso nel senso che esso postuli la dimostrazione del nesso causale tra l'illegittimità denunciata e il provvedimento sfavorevole per la parte ricorrente”, bensì soltanto nel senso “che tale nesso non può essere escluso” (TAR Catanzaro, sez. I^, sentenza n. 538 del 6.6.2012; cfr. anche Cons. St., sez. V^, sentenza n. 6507 dell’8.9.2010).
Non giova, poi, alle parti resistenti, richiamare la giurisprudenza relativa alla tutela dell’interesse strumentale nelle pubbliche gare. Anche in tale ambito, infatti, non si è mai negato che l’interesse alla riedizione della gara abbia pari dignità rispetto all’interesse finale al conseguimento dell’appalto, ma si è soltanto messo in luce (soprattutto ai fini dell’ordine di trattazione delle censure, in presenza di un ricorso incidentale c.d. “escludente), che la legittimazione al ricorso spetta solo a chi abbia partecipato legittimamente alla gara, giacché solo tale qualità “si connette all’attribuzione di una posizione sostanziale differenziata e meritevole di tutela” (Cons. St., sez. III^, sentenza n. 1498 del 28.3.2014).
Orbene, nel caso oggi in rilievo, non è stato nemmeno allegato che i ricorrenti non avessero i requisiti di ammissione ed è, anzi, del tutto pacifico che essi abbiano legittimamente partecipato al concorso. Tanto basta a fondarne la piena legittimazione, nonché il chiaro interesse ad impugnare i risultati di una selezione che ritengono affetta da gravi vizi procedimentali.
2. Ciò posto, nel merito, giova premettere i capisaldi dell’ormai consolidata giurisprudenza del giudice amministrativo, in materia.
2.1. Il criterio dell'anonimato nelle prove scritte delle procedure di concorso, “costituisce il diretto portato del principio costituzionale di uguaglianza nonché specialmente di quelli del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione, la quale deve operare le proprie valutazioni senza lasciare alcuno spazio a rischi di condizionamenti esterni e dunque garantendo la par condicio tra i candidati. Tale criterio, costituendo appunto applicazione di precetti costituzionali, assume una valenza generale ed incondizionata, mirando esso in sostanza ad assicurare la piena trasparenza di ogni pubblica procedura selettiva e costituendone uno dei cardini portanti.
L'esigenza dell'anonimato si traduce infatti a livello normativo in regole che [...] tipizzano rigidamente il comportamento dell'Amministrazione imponendo [...] una serie minuziosa di cautele e accorgimenti prudenziali, inesplicabili se non sul presupposto dell'intento del Legislatore di qualificare la garanzia e l'effettività dell'anonimato quale elemento costitutivo dell' interesse pubblico primario al cui perseguimento tali procedure selettive risultano finalizzate.
Allorché l'Amministrazione si scosta in modo percepibile dall'osservanza di tali vincolanti regole comportamentali si determina quindi una illegittimità di per se rilevante e insanabile, venendo in rilievo una condotta già ex ante implicitamente considerata come offensiva in quanto appunto connotata dall'attitudine a porre in pericolo o anche soltanto minacciare il bene protetto dalle regole stesse.
In conclusione, mutuando la antica terminologia penalistica, può affermarsi che la violazione dell'anonimato da parte della Commissione nei pubblici concorsi comporta una illegittimità da pericolo c.d. astratto (cfr. in termini VI sez. n. 3747/2013 citata) e cioè un vizio derivante da una violazione della presupposta norma d'azione irrimediabilmente sanzionato dall'ordinamento in via presuntiva, senza necessità di accertare l'effettiva lesione dell'imparzialità in sede di correzione” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 26 del 20.11.2013).
La pratica dell’anonimato per le prove scritte d’esame dei concorsi pubblici “realizza in termini pratici principi e regole di dignità costituzionale. Dal che la sua indefettibilità in concreto” (Cons. St., sez. VI, sentenza n. 347/2013, cit.).
Nello specifico, l’art. 14 del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 - mediante regole applicabili anche agli enti locali (cfr. l’art. 18 – bis del cit. d.P.R.) - disciplina gli adempimenti dei concorrenti e della commissione al termine della prova.
In particolare, la commissione è tenuta a:
- consegnare al candidato in ciascuno dei giorni di esame due buste di eguale colore: una grande munita di linguetta staccabile ed una piccola contenente un cartoncino bianco (comma 1);
- il presidente della commissione o del comitato di vigilanza, o chi ne fa le veci, appone trasversalmente sulla busta, in modo che vi resti compreso il lembo della chiusura e la restante parte della busta stessa, la propria firma e l'indicazione della data della consegna (comma 2, ultimo inciso);
- al termine di ogni giorno di esame è assegnato alla busta contenente l’elaborato di ciascun concorrente lo stesso numero da apporsi sulla linguetta staccabile, in modo da poter riunire, esclusivamente attraverso la numerazione, le buste appartenenti allo stesso candidato (comma 3);
- successivamente alla conclusione dell’ultima prova di esame e comunque non oltre le ventiquattro ore si procede alla riunione delle buste aventi lo stesso numero in un unica busta, dopo aver staccata la relativa linguetta numerata; tale operazione è effettuata dalla commissione esaminatrice o dal comitato di vigilanza con l’intervento di almeno due componenti della commissione stessa nel luogo, nel giorno e nell’ora di cui è data comunicazione orale ai candidati presenti in aula all'ultima prova di esame, con l'avvertimento che alcuni di essi, in numero non superiore alle dieci unità, potranno assistere alle anzidette operazioni (comma 4);
- i pieghi sono aperti alla presenza della commissione esaminatrice quando essa deve procedere all'esame dei lavori relativi a ciascuna prova di esame (comma 5);
- il riconoscimento deve essere fatto a conclusione dell’esame e del giudizio di tutti gli elaborati dei concorrenti (comma 6).
Il candidato è tenuto:
- dopo aver svolto il tema, senza apporvi sottoscrizione, né altro contrassegno, a mettere il foglio o i fogli nella busta grande; a scrivere il proprio nome e cognome, la data e il luogo di nascita nel cartoncino, chiudendolo nella busta piccola; a porre, quindi, anche la busta piccola nella grande che richiude e a consegnare il tutto al presidente della commissione o del comitato di vigilanza o a chi ne fa le veci (comma 2, primo inciso).
Non dissimile, risulta il contenuto del “Regolamento di disciplina in materia di accesso agli impieghi presso Roma Capitale per il personale non dirigente” (cfr., in particolare, gli articoli 14 e 15).
Sul piano strutturale l’ordinamento prevede dunque “norme cogenti che, in rapporto ai suddetti principi costituzionali, configurano regole di condotte tipizzate, riconducibili all’amministrazione e ai candidati, che indefettibilmente vanno osservate nelle procedure concorsuali. La violazione di tali norme comporta un’illegittimità da pericolo astratto e presunto: solo con una siffatta rigorosa precauzione generale, infatti, è ragionevolmente garantita l’effettività dell’anonimato nei casi singoli. Con queste cautele, elevate a inderogabili norma di condotta, la soglia dell’illegittimità rilevante viene anticipata all’accertamento della sussistenza di una condotta concreta non riconducibile a quella tipizzata. L’ordinamento non chiede dunque che il giudice accerti di volta in volta che la violazione delle regole di condotta abbia portato a conoscere effettivamente il nome del candidato. Se fosse richiesto un tale, concreto, accertamento, lo stesso - oltre ad essere di evidente disfunzionale onerosità - si risolverebbe, con inversione dell’onere della prova, in una sorta di probatio diabolica che contrasterebbe con l’esigenza organizzativa e giuridica di assicurare senz’altro e per tutti il rispetto delle indicate regole, di rilevanza costituzionale, sul pubblico concorso” (Cons. St., sentenza n. 3747/2013, cit.).
3. Nel caso di specie, al fine di apprezzare la consistenza delle censure dedotte in ordine alla violazione del principio di anonimato, il Collegio ha ritenuto necessario affidare alla Prefettura di Roma una verificazione, intesa ad accertare“la consistenza delle buste utilizzate per la trascrizione dei dati anagrafici dei candidati e l’eventuale possibilità di percepirne i nominativi all’atto della correzione della seconda prova scritta [...]”.
Non appare inutile evidenziare, come, in realtà, un simile accertamento fosse stato compiuto in precedenza anche dall’amministrazione capitolina (cfr. gli articoli di stampa, in atti), senza tuttavia trarne le dovute conseguenze.
Prima di esaminare le risultanze della verificazione, occorre dare conto di alcuni rilievi, di carattere processuale e /o sostanziale, svolti da taluna tra le parti resistenti.
In primo luogo, sarebbe stato violato il principio del contraddittorio, in quanto la notificazione per pubblici proclami si è perfezionata soltanto dopo l’inizio delle operazioni di verificazione.
In secondo luogo, si sostiene che le operazioni di verificazione avrebbero dovuto essere affidate ad un perito chimico o, comunque, ad un esperto avente competenze tecniche e/o scientifiche.
3.1. Il Collegio rileva che il codice del processo amministrativo - mentre, relativamente alla CTU, richiama la scansione contenuta nel codice di procedura civile – in ordine alla verificazione, a differenza di quanto prevedevano, un tempo, l’art. 44 del t.u. n. 1054 del 1924 e l’art. 26 del r.d. n. 642 del 1907, non contiene alcun riferimento alla necessità di avvisare le parti ovvero di autorizzarle ad assistere alle relative operazioni.
Di talché, si rinvengono in giurisprudenza pronunce secondo cui, nel processo amministrativo, non è oggi richiesto, diversamente dalla consulenza tecnica d’ufficio, che anche la verificazione sia improntata al rispetto del principio del contradditorio (TAR Umbria, sez. I^, sentenza n. 258 del 15.5.2014), ovvero secondo cui “l’istituto della verificazione, nella disciplina ora dettata dall'art. 66 c. proc. amm., comporta l'intervento in funzione consultiva del giudice di un organismo qualificato, per la soluzioni di questioni che implichino l'apporto di competenze tecniche o il riscontro di circostanze in fatto, che si pongono come essenziali ai fini della definizione della controversia; poiché questo apporto collaborativo avviene in funzione pari ordinata nella fase di cognizione della causa, non è previsto un momento di contraddittorio nel corso della fase istruttoria, che in prosieguo si attesta sugli sviluppi della verificazione” (Cons. St., sez. III^, sentenza n. 1571 del 18.2.2013).
Ciò posto, precisa il Collegio che l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei candidati ammessi agli orali, disposta con l’ordinanza collegiale n. 2598/2014, è stata ispirata da ragioni di opportunità (cfr., sul punto, l’art. 28, comma 3, del c.p.a.), derivanti dal clamore mediatico assunto dalla vicenda, nonché dal fatto che, essendo ormai in corso le prove orali, era presumibile, come poi in effetti avvenuto, che l’amministrazione capitolina avrebbe di lì a poco proceduto ad approvare anche la graduatoria finale di merito.
E’ tuttavia bene ricordare che la posizione di controinteresse, sul piano strettamente processuale (cfr.. fra le tante, Cons. St., sez, VI, 12.6.2013, n. 3261), si consolida soltanto con l’approvazione della graduatoria definitiva, cosa che, nel caso di specie, è avvenuta il 22 maggio 2014 (e cioè 8 giorni dopo il deposito della relazione da parte del verificatore).
Ad ogni buon conto, va detto che, sebbene non abbiano avuto modo di presenziare alle operazioni di verificazione, tutti i controinteressati costituitisi in giudizio dopo il completamento delle operazioni di verificazione, attraverso la lettura della relazione e degli allegati verbali (facenti fede fino a querela di falso), hanno avuto modo di offrire le proprie controdeduzioni, sia in ordine al modus procedendi seguito dal verificatore, sia in ordine ai risultati.
Infine, la scelta di affidare la verificazione al Prefetto è coerente con la natura della presente controversia, la quale non concerne, in sé, il materiale con cui sono state realizzate le buste bensì la percepibilità, senza l’ausilio di mezzi tecnici, dei dati anagrafici dei candidati..
3.2. Il funzionario designato dal Prefetto di Roma, Viceprefetto d.ssa Daniela Caruso, ha rassegnato le conclusioni che possono così sintetizzarsi.
In primo luogo, “tutte le buste ‘piccole’ contenenti i dati anagrafici degli 854 candidati presenti alla seconda prova scritta della procedura selettiva per titoli ed esami indetta da Roma Capitale [...] sono risultate identiche per forma e colore e non recano foderature e/o accorgimenti particolari finalizzati ad impedire la leggibilità dei dati anagrafici contenuti negli appositi foglietti posti al loro interno”.
(pag. 4 della Relazione finale; cfr. anche la pag. 2).
Il verificatore ha proceduto a verificare la leggibilità dei dati sia alla luce diretta (naturale e artificiale), che a fonti di luce indiretta.
Per quanto riguarda la luce diretta, questi esami specifici (di cui al verbale in data 7 aprile), hanno consentito “immediatamente e in tutti i casi la lettura dei dati contenuti al’interno ed impressi sul foglietto apposito indipendentemente dalle variabili di tratto, grafia o pressione impressa dai candidati” (relazione, pag. 2).
Tale esame, condotto per le prime 10 buste, è stato di evidenza tale che il verificatore ha ritenuto non necessario ripeterlo per le restanti 844 buste.
A partire dalla seconda seduta di verificazione, ha poi proseguito nell’esame a luce indiretta.
Tale operazione ha consentito di ascrivere le buste “a quattro categorie di giudizio determinate da quattro differenti gradi di visibilità dei dati:
- Giudizio n. 1 – leggibilità del nome e/o anche del cognome per intero;
- Giudizio n. 2 – leggibilità di gruppi di lettere del nome e/o del cognome;
- Giudizio n. 3 – leggibilità di segni o singole lettere;
- Giudizio n. 4 – nessuna leggibilità di segni riconducibili a lettere o numeri.”
In merito al modo in cui ha ritenuto di accertare l’eventuale possibilità di percepire i nominativi dei candidati, il verificatore ha richiamato quanto riportato nel verbale in data 7 aprile a pag. 3 (“Ad un primo esame, tenendo in mano la busta così da esercitare una pressione naturale, compatibile con l’intento di tenerla in mano, si intravedono righe orizzontali, numeri e lettere. Un’attenta, intenzionale, visione potrebbe consentire la lettura del nome e cognome e degli altri dati”).
Ha quindi chiarito che “la verificazione delle buste, effettuata in ogni seduta nelle stesse condizioni spazio – temporali, è avvenuta sempre ponendo il foglietto recante i dati anagrafici in aderenza al lato lungo della busta contro la facciata priva del lembo di chiusura al fine di garantire identiche condizioni di leggibilità anche sotto questo aspetto” (relazione, pag. 4).
Il numero di giudizi n. 1 e n. 2, attribuiti all’esito dell’esame alla luce indiretta, è pari a circa la metà delle buste esaminate. Il numero di giudizi “n. 1” è pari a circa un terzo delle buste.
4. Le parti resistenti hanno sminuito le risultanze della verificazione, in particolare sottolineando:
1) che le buste piccole non erano nella disponibilità della commissione esaminatrice. All’uopo, richiamano quanto disposto dall’art. 15 del Regolamento capitolino sull’accesso agli impieghi, secondo cui “3. I plichi sono aperti esclusivamente alla presenza della Commissione esaminatrice,
all’inizio della procedura relativa alla valutazione della prova e previa verifica dell’integrità dei medesimi plichi. 4. Alla presenza della commissione esaminatrice, all’inizio della procedura relativa alla valutazione della prova, il Segretario, appone su ciascuna busta grande, man mano
che si procede all’apertura delle stesse, un numero progressivo che viene ripetuto sull’elaborato e sulla busta piccola ivi acclusa. Tale numero è riprodotto su apposito elenco, destinato alla registrazione del risultato delle votazioni riportate dai singoli elaborati [...]”;
2) non vi è comunque prova di un comportamento fraudolento della Commissione né, parimenti, vi è prova che la violazione della regola dell’anonimato sia avvenuta in concreto;
3) a tutto voler concedere, tenuto conto delle condizioni ambientali in cui si sono svolte le operazioni di correzione, le irregolarità riscontrate non sarebbero di rilevanza tale da giustificare, secondo principi di proporzionalità e ragionevolezza, l’annullamento degli esiti della prova.
4.1. Il Collegio osserva, in primo luogo, che proprio la lettura dell’art. 15 del Regolamento capitolino sull’accesso agli impieghi del personale non dirigente consente tranquillamente di affermare che le buste erano nella, quantomeno potenziale, disponibilità della commissione.
Se infatti l’apertura delle buste grandi, unitamente all’estrazione e numerazione delle buste piccole, deve necessariamente avvenire “alla presenza” dei commissari, non si può escludere che le buste piccole possano essere maneggiate e/o visionate anche da questi ultimi.
Va ancora soggiunto che, come condivisibilmente osservato dai ricorrenti, le regole che impongono di usare accorgimenti tali da garantire il rispetto del principio dell’anonimato sono poste anche perché i candidati non possono essere presenti e quindi non possono avere contezza diretta di quanto avviene in sede di correzione. L’unico modo di tutelare i partecipanti al concorso da violazioni dell’anonimato, concretantesi in riconoscimenti, doloso o colposi, è imporre all’amministrazione di utilizzare buste dotate di consistenza tale da impedire la lettura in trasparenza dei nomi, dal momento della consegna sino alla fine delle operazioni di correzione e valutazione.
Quanto poi alla carenza di prova circa l’effettiva lettura dei nominativi, si è già richiamato il principio, affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, secondo cui “Nelle prove scritte dei pubblici concorsi o delle pubbliche selezioni di stampo comparativo una violazione non irrilevante della regola dell'anonimato da parte della Commissione determina de iure la radicale invalidità della graduatoria finale, senza necessità di accertare in concreto l'effettiva lesione dell'imparzialità in sede di correzione” (così la decisione n. 26/2013).
Anche in questo caso, come in quelli esaminati dalla giurisprudenza citata, si deve poi rilevare come non sia necessaria nemmeno la prova di un comportamento fraudolento, o, comunque, intenzionale, da parte della commissione, essendo invero sufficiente che le buste consentano, in qualunque possibile condizione ambientale, di percepire i dati anagrafici dei candidati.
Infine, gli esiti della verificazione consentono di escludere, nella fattispecie, che si sia in presenza di una violazione “modesta” o “veniale” del principio dell’anonimato.
Il verificatore ha infatti accertato che le buste piccole consentono la lettura dei dati anagrafici, con immediatezza, nel 100% dei casi, alla luce diretta, ed, in un elevato numero di casi, alla luce indiretta.
5. La fondatezza del ricorso impone al Collegio di fornire indicazioni all’amministrazione in ordine alla modalità attraverso cui dovrà essere rinnovata l’attività amministrativa.
Al riguardo, sia i ricorrenti che alcune delle parti resistenti, hanno chiesto l’applicazione delle stesse modalità indicate nella cit. sentenza n. 3747/2013.
Tale pronuncia si ispira al principio secondo cui l’attuazione della sentenza deve avvenire in modo da preservare, nel rispetto del principio di economicità, la validità degli atti della procedura che non sono stati inficiati dall’illegittimità riscontrata.
Poiché, anche nella fattispecie, non sono stati dedotti vizi relativi allo svolgimento della prova, né vi sono elementi tali da far ritenere che gli elaborati non siano stati correttamente custoditi, il Collegio reputa che non sia necessario procedere alla ripetizione della prova.
Dispone pertanto che il Segretario Generale di Roma Capitale affidi ad un dirigente dell’amministrazione, estraneo alla presente vicenda contenziosa, il compito di procedere alla sostituzione delle buste con altre che assicurino l’assoluto rispetto del principio dell’anonimato, nonché all’effettuazione delle altre operazioni materiali che si rendano necessarie.
Il dirigente incaricato darà adeguata pubblicità delle attività poste in essere indicando luogo, giorno e ora in cui si effettueranno tali operazioni, consentendo, se richiesto, ad un numero non superiore a dieci candidati, di assistervi.
Il Segretario Generale, inoltre, dovrà provvedere a nominare una nuova commissione, avente i prescritti requisiti, affinché proceda ad una nuova valutazione degli elaborati di tutti i candidati che hanno partecipato alla seconda prova scritta.
6. E’ necessario a questo punto provvedere alla liquidazione del compenso del verificatore. Infatti - sebbene il codice del processo amministrativo, all’art. 66, preveda che tali competenze siano liquidate con decreto del Presidente – non vi è motivo di escludere che a tanto possa provvedersi anche con la sentenza che definisce il giudizio, tenuto conto che è proprio con tale pronuncia che deve regolarsi il relativo onere.
Secondo l’art. 66, comma 4, del c.p.a., “si applicano le tariffe stabilite dalla disposizioni in materia di spese di giustizia”.
Ai sensi dell’art. 275 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni in materia di giustizia) sino all’emanazione del regolamento previsto dall’articolo 50 del medesimo testo unico, la misura degli onorari è disciplinata dalle tabelle allegate al D.P.R. 27 luglio 1988, n. 352, come rideterminate dal D.M. 30 maggio 2002, e dall’articolo 4 della legge 8 luglio 1980, n. 319.
In tale testo normativo, non è tuttavia rinvenibile la descrizione di un’attività simile a quella nella fattispecie svolta dal Viceprefetto Caruso. La liquidazione del compenso, pertanto, non può che avvenire in via equitativa e forfettaria, tenendo conto dell’effettiva attività che l’ausiliare del giudice ha dichiarato e documentato di aver svolto.
In tale prospettiva, appare congruo il compenso di euro 4,000,00 (quattromila/00) così come richiesto dalla d.ssa Caruso.
7. In definitiva, per quanto argomentato, il ricorso deve essere accolto.
La natura della controversia, che impone la rinnovazione della procedura concorsuale, nel rispetto delle regole indicate, giustifica la compensazione tra le parti delle spese di giudizio e degli onorari di difesa.
Le spese della verificazione sono poste a carico di Roma Capitale.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti, di cui in premessa, li accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.
Compensa tra le parti le spese di giudizio e gli onorari di difesa.
Liquida, in favore del verificatore, d.ssa Daniela Caruso, la somma di euro 4.000,00 (quattromila/00), ponendone l’onere a carico di Roma Capitale.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente
Maria Cristina Quiligotti, Consigliere
Silvia Martino, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/11/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)