sabato 8 dicembre 2012

Cons. Stato, Ad. Plen. , 29 novembre 2012, n. 36



Verifica dell'anomalia legittima se compiuta dal r.u.p.
nelle gare bandite con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa




L'Ad. Plen. torna sugli appalti.
Lo fa sempre più frequentemente invero, a dimostrazione dell'importanza della materia in sede di contenzioso amministrativo (e di struttura economica del nostro Paese).
Su 36 pronunce del 2012 (ancora in corso!), ben 9 riguardano questioni controverse del Codice degli Appalti pubblici (le numero 1, 8, 10, 21, 26, 27, 30, 31 e 36).
In tema: Cons. Stato. Sez. VI, ord. 12 ottobre 2012 n. 5270.
Di seguito la massima ed il testo per esteso.

MASSIMA
1. Nelle gara d'appalto da aggiudicare col criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa è legittima la verifica di anomalia dell'offerta eseguita, anziché dalla commissione aggiudicatrice, direttamente dal responsabile unico del procedimento avvalendosi degli uffici e organismi tecnici della stazione appaltante. Infatti, anche nel regime anteriore all'entrata in vigore dell'art. 121, D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, è attribuita al responsabile del procedimento facoltà di scegliere, a seconda delle specifiche esigenze di approfondimento richieste dalla verifica, se procedere personalmente ovvero affidare le relative valutazioni alla commissione aggiudicatrice. 
2. Il subprocedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta non può intendersi viziato nella sua legittimità nell'ipotesi in cui il Responsabile Unico del Procedimento si sia limitato a chiedere le giustificazioni per le sole voci sospette di anomalia, e non anche per le altre. Ed invero, è pacifico che il concorrente, al fine di illustrare la propria offerta e dimostrarne la congruità, è ammesso a fornire spiegazioni e giustificazioni su qualsiasi elemento dell'offerta, e quindi anche su voci non direttamente additate dalla stazione appaltante siccome incongrue. Tanto si ricava anche dallo stesso dato testuale ex art. 87, comma 1, del Codice degli Appalti laddove si precisa che le giustificazioni possono riguardare non solo le "voci di prezzo che concorrono a formare l'importo complessivo posto a base di gara" ma anche, in caso di aggiudicazione col criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, gli "altri elementi di valutazione dell'offerta".


SENTENZA PER ESTESO

FATTO
1.Il Consorzio Stabile Finedil Soc. cons. a r.l. ha partecipato, quale capogruppo di costituendo raggruppamento temporaneo di imprese con Uez Michele S.r.l., alla procedura aperta, da aggiudicare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, indetta dall’Azienda sanitaria della Provincia autonoma di Bolzano – Comprensorio sanitario di Bressanone con bando del 25 agosto 2009 per l’affidamento dei lavori di ristrutturazione e ampliamento dell’ospedale di Bressanone (blocco A, lotto 3°).Dopo l’esaurimento delle attività della commissione di gara, all’esito delle quali l’offerta del Consorzio Stabile Finedil è risultata prima in graduatoria con il punteggio complessivo di 91,00 punti, la stazione appaltante ha constatato il superamento della soglia di anomalia stabilita nella misura dell’11,48 % (in effetti, l’offerta economica del primo graduato conteneva un ribasso del 16,90 %), e pertanto ha disposto procedersi a verifica di anomalia, all’uopo incaricando il Responsabile unico del procedimento. All’esito dell’esame delle giustificazioni pervenute e dell’audizione del concorrente, il R.U.P. ha però confermato il giudizio di anomalia dell’offerta, con rilievi recepiti dal direttore del Comprensorio, il quale con determinazione nr. 40 del 12 febbraio 2010 ha disposto l’esclusione del Consorzio dalla gara e l’affidamento dell’appalto in favore del secondo classificato r.t.i. Seeste Bau S.p.a. e F.lli Baraldi S.p.a.
2. Avverso tali ultime determinazioni il Consorzio Stabile Finedil ha proposto ricorso giurisdizionale alla sezione di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino Alto Adige, lamentando da un lato l’incompetenza del R.U.P. all’effettuazione della verifica di anomalia dell’offerta (attività ritenuta spettante alla commissione di gara), e sotto altro profilo l’erroneità e insufficienza nel merito delle determinazioni che hanno indotto a giudicare non congrua l’offerta risultata prima classificata. Con la sentenza in epigrafe, l’adito Trga ha respinto il ricorso, ritenendo infondati entrambi i motivi di impugnazione. L’appello proposto dal Consorzio originario istante avverso detta sentenza risulta affidato ai seguenti motivi:
I) erroneità ed ingiustizia della sentenza appellata nella parte in cui ha ritenuto che la modifica dell’art. 88, comma 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, nr. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) intervenuta per effetto del d.l. 1 luglio 2009, nr. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2009, nr. 102, ha riconosciuto al Responsabile unico del procedimento la competenza relativa al procedimento di verifica dell’anomalia (non avendo il primo giudice considerato la differenza tra gare da aggiudicare col criterio del prezzo più basso e gare da aggiudicare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, nelle quali ogni attività valutativa spetterebbe sempre e in ogni caso alla commissione aggiudicatrice);
II) erroneità ed ingiustizia della sentenza appellata nella parte in cui ha ritenuto corretta la valutazione parziale, immotivata, contraddittoria e travisata nei fatti compiuta dalla stazione appaltante; violazione ed erronea applicazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, nr. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), e dell’art. 7 della legge provinciale 22 ottobre 1993, nr. 17 (Disciplina del procedimento amministrativo e del diritto di accesso ai documenti amministrativi); violazione dell’art. 52 della legge provinciale 17 giugno 1998, nr. 6 (Norme per l’appalto e l’esecuzione di lavori pubblici), e dell’art. 88 del d.lgs. nr. 163 del 2006 (in relazione alla reiezione delle doglianze relative alle modalità con cui nella specie è stata condotta la verifica dell’anomalia ed all’insufficienza del conclusivo giudizio di non congruità dell’offerta).
3. Si è costituita l’Azienda sanitaria della Provincia autonoma di Bolzano, opponendosi con diffuse argomentazioni all’accoglimento dell’appello e concludendo per la conferma della sentenza impugnata.
4. Alla camera di consiglio del 26 ottobre 2010, fissata dinanzi alla sezione sesta di questo Consiglio di Stato per l’esame della domanda incidentale di sospensiva formulata in una all’appello, questo è stato differito sull’accordo delle parti, per essere abbinato alla trattazione del merito.
5. All’esito dell’udienza di merito del 10 luglio 2012, la sezione sesta ha emesso ordinanza (nr. 5270 del 2012) con la quale, dopo aver respinto le eccezioni preliminari di inammissibilità del gravame sollevate dall’Amministrazione, ha rimesso all’adunanza plenaria la questione dell’individuazione del soggetto competente a eseguire la verifica di anomalia.
6. Le parti hanno affidato a memorie l’ulteriore svolgimento delle rispettive tesi, anche sul punto rimesso al vaglio della plenaria.7. All’udienza del 19 novembre 2012, la causa è stata trattenuta per la decisione da parte di questa adunanza plenaria.
DIRITTO
1. Come anticipato nella narrativa in fatto, la questione sottoposta all’attenzione dell’adunanza plenaria attiene all’individuazione del soggetto competente, nell’ambito di una gara di appalto, a procedere alla verifica di congruità delle offerte sospette di anomalia.
1.1. Nel caso di specie, parte appellante assume l’illegittimità della verifica compiuta dal Responsabile unico del procedimento (il quale era stato a tanto delegato dal dirigente di settore competente a esprimere la volontà della stazione appaltante), in quanto, trattandosi di gara d’appalto da aggiudicare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le valutazioni sulla congruità dell’offerta avrebbero dovuto necessariamente essere svolte dalla commissione aggiudicatrice.
1.2. Nell’ordinanza di rimessione, senza prendere espressa posizione sul punto controverso, la sezione sesta ha evidenziato la possibile esistenza su di esso di un contrasto di giurisprudenza. Infatti, la tesi dell’odierno appellante sembrerebbe trovare conforto nel noto e copioso indirizzo che, con riguardo alle gare da aggiudicare col criterio dell’offerta più vantaggiosa, individua in capo alla commissione aggiudicatrice costituita ai sensi dell’art. 84 del decreto legislativo 12 aprile 2006, nr. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), la competenza esclusiva a ogni attività avente carattere valutativo. Da tale arresto discende, nelle decisioni che hanno esaminato specificamente la questione della competenza all’effettuazione della verifica, l’affermazione dell’illegittimità di una verifica che non coinvolga la commissione in modo concreto e sostanziale, venendo essa o esclusa del tutto ovvero chiamata semplicemente a prendere atto delle conclusioni raggiunte dalla stazione appaltante o dal R.U.P. (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 settembre 2012, nr. 4772; Cons. Stato, sez. III, 15 luglio 2011, nr. 4332; Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 2010, nr. 4584).L’opposto avviso si rinviene in pronunce (cfr., ad esempio, Cons. Stato, sez. III, 16 marzo 2012, nr. 1467) relative a vicende più recenti, successive alle modifiche apportate all’art. 88 del citato d.lgs. nr. 163 del 2006 dal d.l. 1 luglio 2009, nr. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2009, nr. 102, e soprattutto all’entrata in vigore del d.P.R. 5 ottobre 2010, nr. 207 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”), il cui art. 121 – come meglio appresso si chiarirà – ha inciso in modo decisivo sulla questione de qua.
2. Ciò premesso, questa adunanza plenaria ritiene che la risoluzione della questione di diritto sottoposta dalla sezione sesta non possa prescindere da una preliminare ricostruzione del quadro normativo di riferimento, anche sotto il profilo della sua evoluzione degli ultimi anni.
2.1. Nella sua versione originaria, il comma 3 del già citato art. 88 del Codice così recitava: “...La stazione appaltante, se del caso mediante una commissione costituita secondo i criteri fissati dal regolamento di cui all’articolo 5, esamina gli elementi costitutivi dell’offerta tenendo conto delle giustificazioni fornite, e può chieder per iscritto ulteriori chiarimenti, se resi necessari o utili a seguito di tale esame, assegnando un termine non inferiore a cinque giorni lavorativi”.
2.1.1. A seguito dell’intervento operato dal legislatore col d.l. nr. 78 del 2009, è stato introdotto nella norma il nuovo comma 1-bis, secondo cui: “...La stazione appaltante, ove lo ritenga opportuno, può istituire una commissione secondo i criteri stabiliti dal regolamento per esaminare le giustificazioni prodotte; ove non le ritenga sufficienti ad escludere l’incongruità dell’offerta, richiede per iscritto all’offerente le precisazioni ritenute pertinenti”.Correlativamente, il comma 3 è stato così modificato: “...La stazione appaltante, ovvero la commissione di cui al comma 1­bis, ove istituita, esamina gli elementi costitutivi dell’offerta tenendo conto delle precisazioni fornite”.
2.2. Più di recente, la disciplina è stata arricchita dal pure citato art. 121 del d.P.R. nr. 207 del 2010.
3. Dal tenore letterale della norma regolamentare risulta evidente che il legislatore ha inteso attribuire al R.U.P. facoltà di scelta in ordine allo svolgimento della verifica di anomalia, potendo egli alternativamente:- per le gare da aggiudicare col criterio del prezzo più basso, provvedere personalmente, avvalendosi degli uffici e organismi tecnici della stazione appaltante, ovvero delegare la commissione di gara, ove costituita, o ancora istituire la speciale commissione di cui al comma 1-bis dell’art. 88;- per le gare da aggiudicare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, provvedere personalmente ovvero delegare la commissione aggiudicatrice (sempre esistente in questo tipo di procedure ai sensi dell’art. 84 del Codice).
4. Nel caso di specie, la previsione regolamentare non è applicabile ratione temporis, trattandosi di gara il cui bando è stato pubblicato anteriormente all’entrata in vigore del d.P.R. nr. 207 del 2010; è invece applicabile l’art. 88 del Codice nella versione novellata nel 2009, essendo il medesimo bando successivo al menzionato intervento riformatore. La tesi dell’odierno appellante è che, prima e indipendentemente dalle specificazioni introdotte in sede regolamentare, il comma 1-bis dell’art. 88 sia applicabile unicamente alle gare da aggiudicare con il criterio del prezzo più basso, e non anche a quelle da aggiudicare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa: per queste ultime, sarebbe prevalente il già richiamato principio che individua nella commissione aggiudicatrice l’organo competente in via esclusiva per qualsiasi attività valutativa (e, quindi, anche per quelle connesse alla verifica di congruità delle offerte).
5. L’adunanza plenaria ritiene di non condividere tale impostazione.
5.1. Innanzi tutto, non può non convenirsi con il rilievo dell’Amministrazione appellata secondo cui nella formulazione testuale della disposizione di cui al comma 1-bis non è dato rinvenire traccia espressa di un’ipotetica circoscrizione della previsione alle sole gare da aggiudicare col criterio del prezzo più basso, o comunque di una loro differenziazione di regime per quanto qui interessa rispetto alle gare da aggiudicare col prezzo dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
5.1.1. È solo nella norma regolamentare, per vero, che viene introdotta una disciplina diversificata per le due tipologie di procedure, essendo limitato il possibile ricorso alla speciale commissione di cui al comma 1-bis, in alternativa alle altre opzioni rimesse al R.U.P., alle sole gare da aggiudicare col criterio del prezzo più basso; mentre per quelle da aggiudicare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa il legislatore, evidentemente per ragioni di economicità dell’azione amministrativa, ha ritenuto che, laddove il R.U.P. non ritenga di procedere direttamente alla verifica, debba sempre essere incaricata la commissione di cui all’art. 84.
5.1.2. Tuttavia, non può ritenersi che il Regolamento abbia in parte qua carattere innovativo, non essendo ragionevole ipotizzare – come sembrerebbe volere l’odierna appellante - che la norma primaria ex art. 88 contemplasse un minor margine di discrezionalità in capo al R.U.P., non consentendogli di procedere direttamente alla verifica di anomalia dell’offerta nelle gare di cui all’art. 83 del Codice, e che solo la norma secondaria ne abbia ampliato i poteri, conferendogli ex novo la facoltà di procedere anche in tali casi a verifica diretta. A fronte di tale ricostruzione, la quale ipotizza un originario trattamento differenziato fra le due tipologie di gare (che, però, la norma primaria non contempla espressamente), per poi attribuire alla sopravvenuta norma regolamentare un carattere innovativo e ampliativo rispetto alla stessa previsione legislativa, è ben più ragionevole ritenere che la facoltà di scelta tra le due opzioni (procedere direttamente alla verifica di anomalia o delegare la commissione) spettasse ab initio al R.U.P. per tutte le tipologie di gare, e che l’art. 121 del d.P.R. nr. 207 del 2010 abbia inteso soltanto specificare le diverse modalità con cui tale scelta può esplicarsi nelle due diverse categorie di procedure.
5.2. Al di là degli argomenti testuali e sistematici fin qui esaminati, la soluzione interpretativa che qui si ritiene di preferire appare, da un lato, maggiormente coerente col ruolo del R.U.P. quale vero e proprio “motore” della procedura selettiva, e, per altro verso, non necessariamente in contraddizione con il tradizionale insegnamento che, con riferimento alle gare da aggiudicare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individua in capo alla commissione una sorta di “monopolio” delle valutazioni tecniche.
5.2.1. Innanzi tutto, non è fuori luogo rilevare che, a norma del comma 5 dell’art. 10 del Codice, lo stesso R.U.P. deve necessariamente possedere competenze adeguate in relazione ai compiti cui è deputato, fra i quali vi è indubbiamente anche il controllo dell’attività della commissione aggiudicatrice (e in determinati casi, come per i lavori e i servizi attinenti all’ingegneria e all’architettura, deve essere egli stesso un tecnico).Inoltre, alla stregua dello stesso art. 10, è al R.U.P. che è affidata la gestione integrale della procedura di gara, svolgendo egli il fondamentale ruolo di fornire alla stazione appaltante ogni elemento informativo idoneo a una corretta e consapevole formazione della volontà contrattuale dell’Amministrazione committente; pertanto, nelle gare da aggiudicare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, non v’è dubbio che spetti al R.U.P. in ogni caso il ruolo di “filtro” tra le valutazioni tecniche della commissione di cui all’art. 84 del Codice e le scelte della stazione appaltante.
5.2.2. Per converso, la commissione aggiudicatrice è come noto un organo straordinario, cui ai sensi dell’art. 84 sono devolute le valutazioni sulle offerte sul presupposto che, in considerazione del peso preponderante che in questo tipo di gare è attribuito alle offerte tecniche, si ravvisa la necessità che le predette valutazioni siano compiute da soggetti in possesso di più specifiche cognizioni e competenze in relazione all’oggetto dell’appalto. Non è però contestabile che la discrezionalità valutativa della commissione si esplichi in modo massimo nella fase di valutazione dell’offerta tecnica, laddove di regola l’attribuzione dei punteggi alle offerte economiche avviene sulla base di meccanismi matematici di tipo sostanzialmente automatico, con ovvio ridimensionamento dell’apporto ritraibile dalle competenze di cui è in possesso la commissione.
5.3. Ciò che più rileva in questa sede, allorché si apre la fase di verifica delle offerte anormalmente basse, la commissione aggiudicatrice ha ormai esaurito il proprio compito, essendosi in tale momento già proceduto alla valutazione delle offerte tecniche ed economiche, all’assegnazione dei relativi punteggi ed alla formazione della graduatoria provvisoria tra le offerte; una possibile riconvocazione della commissione, di regola, è ipotizzabile solo laddove in sede di controllo sulle attività compiute emergano errori o lacune tali da imporre una rinnovazione delle valutazioni (oltre che nell’ipotesi di regressione della procedura a seguito di annullamento giurisdizionale, come previsto dal comma 12 dell’art. 84).Pertanto, è del tutto fisiologico che sia il R.U.P., che in tale fase interviene ad esercitare la propria funzione di verifica e supervisione sull’operato della commissione, il titolare delle scelte, e se del caso delle valutazioni, in ordine alle offerte sospette di anomalia.
5.4. Ai rilievi che precedono può aggiungersi anche che, come evidenziato dall’Amministrazione odierna appellata, ben diverse sono le valutazioni da compiersi nell’ambito del subprocedimento di verifica di anomalia, rispetto a quelle compiute dalla commissione aggiudicatrice in sede di esame delle offerte. Infatti, mentre alla stregua dell’art. 84 del Codice la commissione è chiamata – come già evidenziato – soprattutto a esprimere un giudizio sulla qualità dell’offerta, concentrando pertanto la propria attenzione soprattutto sugli elementi tecnici di essa, il giudizio di anomalia si concentra invece sull’offerta economica, e segnatamente su una o più voci di prezzo considerate non in linea con i valori di mercato o comunque con i prezzi ragionevolmente sostenibili; inoltre, mentre la valutazione delle offerte tecniche dei concorrenti è compiuta dalla commissione su base comparativa, dovendo i punteggi essere attribuiti attraverso la ponderazione di ciascun elemento dell’offerta come previsto dall’art. 83 del Codice, al contrario il giudizio di congruità o non congruità di un’offerta economica è formulato in assoluto, avendo riguardo all’affidabilità dei prezzi praticati ex se considerati.
5.4.1. Naturalmente, è ben possibile che la verifica delle offerte a rischio di anomalia chiami in causa anche l’apprezzamento di elementi dell’offerta tecnica, e quindi richieda anch’essa il possesso di determinate cognizioni e competenze: ciò si ricava dalla disciplina dell’art. 87, d.lgs. nr. 163 del 2006, laddove è previsto che le giustificazioni fornite dal concorrente possano riguardare anche “le soluzioni tecniche adottate” (comma 2, lettera b).Per questo, il legislatore ha rimesso al R.U.P. ogni valutazione innanzi tutto in ordine al soggetto cui affidare la verifica, non escludendo che, a seconda dei casi, possa ritenere sufficienti e adeguate le competenze degli uffici e organismi della stazione appaltante, o invece concludere nel senso della necessità di un nuovo coinvolgimento della commissione aggiudicatrice anche per la fase de qua.
5.5. In definitiva, l’opzione interpretativa qui accolta risulta maggiormente in linea con la logica complessiva del sistema normativo in subiecta materia: è il giudizio sulla complessiva attendibilità dell’offerta economica meno agganciato a valutazioni di  natura tecnico-scientifica e più direttamente connesso con scelte rimesse alla stazione appaltante, quale espressione di autonomia negoziale in ordine alla convenienza dell’offerta ed alla serietà e affidabilità del concorrente che dell’Amministrazione è destinato a divenire l’interlocutore contrattuale. Quanto sopra induce l’adunanza plenaria ad escludere che, nel caso che occupa, l’aver proceduto direttamente il R.U.P. alla verifica di anomalia possa costituire ex se un vizio di legittimità della procedura, e quindi a respingere il primo motivo di impugnazione.
6. Una volta risolta la questione di diritto che ha determinato la rimessione alla plenaria, può passarsi all’esame del secondo motivo di appello, col quale vengono riproposte le critiche già articolate in primo grado sui risultati della verifica eseguita sull’offerta economica del Consorzio odierno istante, e quindi sulla sua esclusione dalla procedura per supposta anomalia dell’offerta.
In estrema sintesi, si assume da parte appellante:- che erroneamente il R.U.P. si sarebbe limitato a richiedere le giustificazioni per le sole voci di prezzo sospette di anomalia, e non anche per quelle ritenute congrue;- che, laddove in tal senso si fosse proceduto, sarebbe stato possibile apprezzare come l’offerta nel suo complesso risultava del tutto congrua e affidabile, essendo le voci sospette pienamente compensate dalle economie e utilità che connotavano altre voci di prezzo.
6.1. Il motivo è infondato.
6.2. Al riguardo, giova innanzi tutto richiamare il consolidato indirizzo che circoscrive il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni compiute in sede di verifica di anomalia delle offerte ai soli casi di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza, in considerazione della discrezionalità che connota dette valutazioni, come tali riservate alla stazione appaltante cui compete il più ampio margine di apprezzamento (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 12 settembre 2011, nr. 5098; id., 16 marzo 2011, nr. 1636; id., 20 maggio 2008, nr. 2348; Cons. Stato, sez. IV, 12 giugno 2007, nr. 3097).Tanto premesso, nel caso che occupa sono palesemente insussistenti quei profili di travisamento ed erroneità, ictu oculi rilevabili, che alla stregua del richiamato orientamento legittimerebbero una valutazione critica dell’organo giurisdizionale.
6.2.1. In primo luogo, pur senza disconoscere l’altrettanto pacifico indirizzo giurisprudenziale secondo cui la valutazione di congruità deve essere globale e sintetica, e non concentrarsi esclusivamente e in modo “parcellizzato” sulle singole voci di prezzo, dal momento che l’obiettivo dell’indagine è accertare l’affidabilità dell’offerta nel suo complesso, e non delle sue singole componenti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2010, nr. 2070; Cons. Stato, sez. VI, 2 aprile 2010, nr. 1893; Cons. Stato, sez. V, 18 marzo 2010, nr. 1589; id., 12 giugno 2009, nr. 3762), non può condividersi l’assunto di parte appellante secondo cui nella specie il subprocedimento di verifica sarebbe viziato nella sua legittimità per il solo fatto che il R.U.P. si limitò a chiedere le giustificazioni per le sole voci sospette di anomalia, e non anche per le altre. Ed invero, è pacifico che il concorrente, al fine di illustrare la propria offerta e dimostrarne la congruità, è ammesso a fornire spiegazioni e giustificazioni su qualsiasi elemento dell’offerta, e quindi anche su voci non direttamente additate dalla stazione appaltante siccome incongrue: tanto si ricava, oltre che da quanto appena rilevato in ordine al carattere globale e sintetico del giudizio, dallo stesso dato testuale ex art. 87, comma 1, del Codice, laddove si precisa che le giustificazioni possono riguardare non solo le “voci di prezzo che concorrono a formare l’importo complessivo posto a base di gara” ma anche, in caso di aggiudicazione col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, gli “altri elementi di valutazione dell’offerta”. All’evidenza, ciò non vuol dire affatto che il concorrente in sede di verifica debba intendersi rigidamente limitato dalle specifiche voci indicate dalla stazione appaltante nella richiesta di giustificazioni, e non possa sponte fornire elementi informativi anche in ordine a qualsiasi altra voce o elemento costitutivo dell’offerta. Pertanto, se un concorrente non è in grado di dimostrare l’equilibrio complessivo della propria offerta attraverso il richiamo di voci ed elementi diversi da quelli individuati nella richiesta di giustificazioni, in via di principio ciò non può essere mai ascritto a responsabilità della stazione appaltante per erronea o inadeguata formulazione della richiesta di giustificazioni.
6.3. Alla stessa stregua della subcensura a carattere “formale” appena esaminata, sono del pari infondate le ulteriori doglianze articolate nel merito del giudizio di anomalia formulato dal R.U.P., il quale si appalesa immune da evidenti vizi logici. Al riguardo, le argomentazioni sviluppate nell’appello non aggiungono molto ai rilievi già sviluppati in prime cure, e complessivamente non riescono a inficiare le opposte conclusioni cui è pervenuto il Trga.6.3.1. Innanzi tutto, non risulta contestato in fatto che le voci di prezzo sospette di anomalia, ed in ordine alle quali il R.U.P. ha ritenuto insufficienti le giustificazioni fornite dall’offerente, avessero un peso decisivo nell’equilibrio complessivo dell’offerta economica (ciò vale, specificamente, per le opere definite come “Principali”, in ordine alle quali si registrava il maggior ribasso): ciò che, anche a voler ipoteticamente seguire l’impostazione dell’appellante, rende ben poco verosimile che le incongruenze rilevate in dette voci potessero trovare una integrale compensazione nelle voci residue, la cui incidenza sull’offerta era del tutto marginale.6.3.2. Del pari assente è una specifica critica alle argomentazioni spese dal primo giudice a sostegno della piena coerenza ed esaustività della modalità seguita dal R.U.P. per l’effettuazione della verifica, attraverso il confronto tra le voci di prezzo risultanti dall’offerta e quelle corrispondenti riportate sui prezziari provinciali di Trento e Bolzano.Sul punto, l’appellante si limita a ribadire la censura di erroneità del confronto così operato, in quanto i prezzi risultanti dai predetti listini – al contrario di quelli offerti dal Consorzio istante – comprendevano anche le percentuali di ricarico per utile e spese generali, ma omette ogni osservazione su quanto rilevato dal Trga, secondo cui, anche a voler ripetere il confronto tra le voci di prezzo de quibus aumentando quelle offerte dal Consorzio del 2 % per utile e del 5 % per spese generali, la differenza tra i valori resterebbe “smisurata”, non facendo quindi affatto venir meno i profili di anomalia rilevati dalla stazione appaltante.
7. L’infondatezza delle censure attoree, per le ragioni appena esposte, comporta la reiezione dell’istanza risarcitoria riproposta in coda all’appello.
8. In conclusione, s’impone una decisione di reiezione dell’appello con la conseguente conferma della sentenza impugnata.
9. Con riguardo poi alla questione sottoposta all’adunanza plenaria, viene enunciato il seguente principio di diritto:“Nelle gara d’appalto da aggiudicare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è legittima la verifica di anomalia dell’offerta eseguita, anziché dalla commissione aggiudicatrice, direttamente dal responsabile unico del procedimento avvalendosi degli uffici e organismi tecnici della stazione appaltante. Infatti, anche nel regime anteriore all’entrata in vigore dell’art. 121 del d.P.R. 5 ottobre 2010, nr. 207, è attribuita al responsabile del procedimento facoltà di scegliere, a seconda delle specifiche esigenze di approfondimento richieste dalla verifica, se procedere personalmente ovvero affidare le relative valutazioni alla commissione aggiudicatrice”.
10. In considerazione della novità delle questioni esaminate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (adunanza plenaria), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
[…].



venerdì 7 dicembre 2012

PROCESSO: prescrizione e P.A.: verso una giurisdizione di diritto oggettivo?




PROCESSO:
prescrizione e P.A.; 
verso una giurisdizione di diritto oggettivo?


Con la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III,  21 novembre 2012, n. 5914 il Collegio rileva che la prescrizione ha delle regole che la P.A. non conosce.
La controversia riguarda il riconoscimento delle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori, ed è originata dall'impugnazione del provvedimento negativo di controllo del Co.Re.Co. rispetto a quello, positivo (avendo riconosciuto alla ricorrente il trattamento economico di Responsabile apicale del Servizio per la tutela sanitaria materna per un decennio) di un Comitato di gestione delle (già) U.S.L..
La (prima) domanda è: la prescrizione può divenire un istituto sostanziale strumentale, in sede processuale, alla tutela dell'erario in deroga al processo di parti, basato sul principio dispositivo? E più in generale, è ammissibile controvertere di prescrizione in sede di giurisdizione generale di legittimità? 
Sembra proprio di sì.
Questo è difatti l'apparato motivazionale della sentenza in merito: 
"Non sembra pertinente la sottolineatura, nella sentenza di primo grado, del fatto che l’eccezione di prescrizione debba essere sollevata dalla parte (la Regione non si era costituita in primo grado) e non possa essere sollevata d’ufficio in giudizio, in quanto il decorso del tempo ed il connesso effetto prescrizionale vengono in rilievo non come eccezione, bensì quale contenuto di uno dei rilievi di legittimità opposti, nei confronti del disposto riconoscimento (pieno) del diritto, nel procedimento di controllo".
"Ciò, senza contare che la regola della non rinunciabilità della prescrizione da parte dell'Amministrazione, anche se non vale a qualificare quella sulla prescrizione come eccezione rilevabile d'ufficio, comporta una limitazione al divieto dello ius novorum in appello dal momento che l'Amministrazione, quando deduce per la prima volta in appello l'eccezione di prescrizione, esercita il suo potere-dovere di corretta gestione delle ricorse finanziarie pubbliche, rimediando alle carenze o all'inerzia nello svolgimento delle difese di primo grado (cfr. Cons. St. VI, 16 giugno 2006, n. 3544; 11 marzo 2004, n. 1240; 7 agosto 2002 n. 414)".
Ancora: "Non è poi condivisibile nemmeno che l’eccezione di prescrizione, anche se di massima doverosa per l’Amministrazione, sia ‹‹rimessa ad una serie di valutazioni, tra loro connesse (in primo luogo sul quando, ma anche sull’an, sul quomodo, sul quantum), di per sé non sindacabili in sede di controllo di legittimità di un singolo atto amministrativo››(così la motivazione della sentenza appellata, sul punto).
Infatti, la possibilità di rinuncia (espressa o tacita) alla prescrizione contemplata dall'articolo 2937 c.c. per crediti pecuniari aventi fonte in un rapporto di pubblico impiego è preclusa per la P.A. dall'articolo 3 del R.D.L. 295/1939, a norma del quale, ove risulti effettuato il pagamento di una somma prescritta, l'amministrazione per conseguire il rimborso può trattenere il pagamento delle rate successive; ne consegue che una volta maturato il termine di prescrizione l'amministrazione ha l'obbligo di eccepirla senza che sussista alcuna discrezionalità di avvalersi o meno della stessa e che, a maggior ragione, non possono derivare dall'intervenuto pagamento effetti abdicativi più ampi, come il diritto agli interessi ed alla svalutazione monetaria (cfr. Cons. Stato, A.P., 27 novembre 1996, n. 11).
Dunque, se eccepire l’intervenuta prescrizione costituiva per l’Amministrazione comportamento doveroso [...] di fronte ad un provvedimento che (non riteneva espressamente di non avvalersi della prescrizione (ndr: ?) - nel qual caso si sarebbe forse potuto discutere della legittimità di una simile scelta e della relativa motivazione - ma semplicemente) trascurava di considerare tale profilo (omettendo, quindi di limitare la durata del riconoscimento a fini economici), il rilievo dell’organo di controllo che ha sottolineato detta omissione non sconfina nel merito amministrativo, ma rientra a pieno titolo nell’ambito della legittimità".
In definitiva: la ultra-liberalizzazione/privatizzazione della recentissima politica economica, non starà paradossalmente portando ad una "oggettivizzazione del processo amministrativo", in controtendenza con gli ultimi quattro lustri di tendenziale passaggio dal giudizio sull'atto a quello sul rapporto (come insegnano, ex multis, il potere di legittimazione dell'Antitrust ai sensi dell'art. 21-bis della l. n. 287/90, o i poteri riconosciuti al G.A. nel rito degli appalti, in particolare con le sanzioni alternative?).
In altre parole (la seconda domanda) non sembra profilarsi come sempre più vasta ed evidente una giurisdizione di diritto oggettivo rispetto alla "neonata" di diritto soggettivo?

domenica 2 dicembre 2012

ELEZIONI: c'è stato un giudice a Berlino sul "caso Polverini" (Cons. St., Sez. V, sent. 27 novembre 2012 n. 6002).




ELEZIONI: 
c'è stato un giudice a Berlino sul "caso Polverini" 
(Cons. St., Sez. V, sent. 27 novembre 2012 n. 6002)


Con un po' di ritardo, facciamo il punto sulla vicenda giudiziaria sulle elezioni nella Regione Lazio.
Concentriamoci soltanto sugli aspetti giuridici.
Il T.A.R. Lazio con sent. n. 9280 del 12.11.12 aveva ordinato alla Regione Lazio (ergo alla Presidente dimissionaria Polverini) di fissare entro 5 giorni la data delle elezioni, che comunque dovevano svolgersi entro il 2012.
La Polverini aveva allora proposto ricorso al Consiglio Stato con istanza cautelare ex art. 56 c.p.a., che veniva accolta con decreto presidenziale n. 4505 del 16.11.2012, a due giorni dalla scadenza del termine T.A.R.. 
Si attendeva quindi l'udienza camerale del 27.11.12 per la conferma o meno del primo provvedimento cautelare, con il palpabile presentimento che il decreto sarebbe stato confermato dal collegio con ordinanza. Dal 16.11.2012 al 27.11.2012 d’altronde passano poco più di dieci giorni…
I difensori invece hanno deciso (rectius acconsentito) che la causa venisse trattenuta in decisione, ai sensi dell'art. 60 c.p.a., in sede di udienza camerale ed il Consiglio, Sez. V, con la sentenza (serale) n. 6002/2012 ha deciso: l’appello è respinto ed il ricorso al T.A.R. di una associazione a tutela dei cittadini accolto!
Confermato il termine di 5 giorni, il tempo oramai sta per scadere…
Il Consiglio ha così comandato difatti: "Ne consegue, in assenza di specifica censura, la conferma della sentenza di prime cure nella parte in cui si è accertato l’obbligo del Presidente dimissionario della Regione Lazio di provvedere all’immediata indizione delle elezioni in modo da assicurarne lo svolgimento entro il più breve termine tecnicamente compatibile con gli adempimenti procedimentali previsti dalla normativa vigente in materia di operazioni elettorali, con la nomina di un commissario ad acta, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 34, comma 1, lett.e), del codice del processo amministrativo".
Interessante anche la precisazione sulla natura non "politica" dell'indizione delle elezioni regionali da parte  del Presidente, eccezione che se accolta avrebbe reso il ricorso di primo grado inammissibile per difetto di legittimazione (vd. art. 7 co. 1 c.p.a. sulla non impugnabilità degli atti "politici"). "[...] (cfr., in materia, anche Consiglio di Stato, sez. VI, 19 maggio 2000, n. 2413, che ha ritenuto sindacabili in linea di principio gli atti del procedimento referendario, segnatamente con riferimento ai profili lesivi della libertà e della segretezza delle scelte degli elettori)".
Interessantissimo anche quanto stabilito in merito alla piena ammissibilità di un'azione atipica d'accertamento nel processo amministrativo, pur mancando un'esplicita previsione codicistica in tal senso (anzi essendo stata espunta dalla prima versione).  
Leggiamo: "[...]L’ammissibilità dell’invocata tutela schiettamente dichiarativa trova conferma nel condivisibile insegnamento dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (cfr. decisioni 23 marzo 2011, n 3 e 29 luglio 2011, n. 15).
Secondo tale orientamento interpretativo l’assenza di una previsione legislativa espressa non osta all’esperibilità di un’azione di mero accertamento quante volte detta tecnica di tutela sia l’unica idonea a garantire una protezione adeguata ed immediata dell’interesse legittimo (cfr. da ultimo sez. V, 31 gennaio 2012, n. 472).
In adesione a detto indirizzo si deve ribadire che, nell’ambito di un quadro normativo sensibile all’esigenza di una piena protezione dell’interesse legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, la mancata previsione, nel testo finale del codice del processo amministrativo, dell’azione generale di accertamento non preclude la praticabilità di una tecnica di tutela che rinviene il suo fondamento nelle norme immediatamente precettive dettate dalla Carta fondamentale al fine di garantire la piena e completa tutela giurisdizionale (artt. 24, 103, 111 e 113).
Anche per gli interessi legittimi, infatti, come pacificamente ritenuto nel processo civile per i diritti soggettivi, la garanzia costituzionale impone di riconoscere l'esperibilità dell'azione di accertamento autonomo, con particolare riguardo a tutti i casi in cui siffatta azione risulti indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente [...]".
Di seguito il teso per esteso...
C'è stato un giudice anche a Roma dai...


Sentenza per esteso


INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8083 del 2012, proposto da:
Regione Lazio, in pesona del Presidente pro tempre della Giunta Regionale, rappresentato e difeso dall'avv. Federico Tedeschini, con domicilio eletto presso Federico Tedeschini in Roma, largo Messico, 7; 
contro
Movimento Difesa del Cittadino, in persona del legale rappresentante pro tempore, e Antonio Longo, rappresentati e difesi dall'avv. Gianluigi Pellegrino, con domicilio eletto presso Gianluigi Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento, n. 11; 
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II BIS n. 09280/2012, resa tra le parti, concernente la mancata indizione delle elezioni regionali a seguito delle dimissioni del presidente – mcp;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Movimento Difesa del Cittadino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2012 il Cons. Francesco Caringella e uditi per le parti gli avvocati Tedeschini e Pellegrino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1 - Con la sentenza gravata il Giudice di prime cure ha accolto il ricorso proposto dall’associazione “Movimento difesa del cittadino” e dal suo presidente Antonio Longo, anche in proprio quale elettore del Consiglio regionale del Lazio, al fine di provvedere senza indugio all’ indizione delle elezioni in guisa da garantirne la celebrazione nel termine di novanta giorni dallo scioglimento del Consiglio regionale e, comunque, nella prima data utile successiva a tale termine.
La Regione propone il ricorso in appello in epigrafe specificato con il quale contesta gli argomenti posti a fondamento del decisum.
Resistono l’associazione e l’elettore originariamente ricorrenti.
Le parti hanno affidato al deposito di apposite memorie l’ulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive.
Con decreto monocratico n. 4505 del 16 novembre 2012 è stata sospesa provvisoriamente l’efficacia della sentenza appellata.
Alla camera di consiglio del 27 novembre 2012, fissata con il suddetto decreto monocratico per la trattazione dell’incidente cautelare, la causa, previo avviso ai difensori presenti, è stata trattenuta per la decisione ai sensi dell’art. 60 del codice del processo amministrativo.
2. L’appello è infondato.
2.1. Non coglie nel segno, innanzitutto, il primo motivo di appello con cui la Regione Lazio contesta la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo facendo leva sulla caratterizzazione politica delle determinazione regionali aventi ad oggetto l’indizione delle elezioni.
A confutazione della prospettiva interpretativa sviluppata dalla parte appellante si pone l’assorbente considerazione che la vigente normativa, sulla quale ci si soffermerà in seguito, connette allo scioglimento del Consiglio regionale l’obbligo di indire le elezioni ponendo una puntuale disciplina dei relativi adempimenti e, segnatamente, enucleando i confini temporali che scandiscono il dipanarsi della procedura (art. 5 della legge regionale 13 gennaio 2005, n. 2).
Sotto i profili dedotti in giudizio, viene quindi in rilievo un procedimento amministrativo caratterizzato dall’esercizio di potestà pubbliche vincolate sulla scorta di precetti legislativi puntuali relativi all’an e al quando dell’atto di indizione della procedura elettorale, in guisa da escludere il suum dell’atto politico di cui all’art. 7, comma 1, del codice del processo amministrativo, dato dalla sussistenza di una libertà nel fine che impedisce, in ragione dell’assenza del necessario parametro giuridico, l’estrinsecazione del sindacato giurisdizionale (cfr., da ultimo, sulla nozione di atto emanato nell'esercizio del potere politico, anziché nell'esercizio di attività meramente amministrativa", Cons. Stato sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2588).
Si deve, al riguardo, rimarcare che, ad avviso della giurisprudenza costituzionale, la presenza di un vincolo giuridico comporta l’attrazione delle determinazioni in materia assunte da organi politici nell’alveo dell’azione amministrativa sottoposta, alla stregua dei principi costituzionali, al controllo di legalità da parte dell’autorità giurisdizionale all’uopo preposta. Particolarmente significativa si appalesa la sentenza della Corte Costituzionale 5 aprile 2012, n. 81, resa su conflitto di attribuzioni sollevato dalla Regione Campania avverso la sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n. 4502 del 27 luglio 2011, confermativa della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione I, n. 1985 del 7 aprile 2011, con cui era stato annullato il decreto del Presidente della Giunta regionale di nomina di un assessore, per violazione dell' art. 46, comma 3, dello Statuto della Regione Campania.
Nella specie i giudici costituzionali hanno osservato che “gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall'ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo”, con la conseguenza che “quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi, in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto”. Ne consegue che, laddove l'ambito di estensione del pur ampio potere discrezionale che connota un'azione di governo sia circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l'esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell'atto, sindacabile nelle sedi appropriate.
Facendo applicazione di tali coordinate al caso di specie, si deve concludere che la previsione di canoni di legalità che scandiscono l’indizione del procedimento elettorale introduce un requisito di legittimità idoneo a limitare l’esercizio del potere di indizione delle elezioni da parte dell’organo regionale, imponendo la soggezione a controllo giurisdizionale delle relative determinazioni e condotte amministrative.
In armonia con siffatta impostazione concettuale si pone la pronuncia resa da questa Sezione (Ord. 19 aprile 2011, n. 1736), con la quale, in materia di referendum abrogativo, si è respinta l’eccezione svolta dalla difesa erariale in merito alla natura politica della scelta delle date di celebrazione della consultazione referendaria, osservando che vengono in rilievo atti applicativi dei precetti legislativi posti, proprio con riguardo alla cornice temporale di svolgimento della consultazione, dall’ art. 34 della legge 25 maggio 1970, n. 312, id est atti di alta amministrazione soggetti alla giurisdizione amministrativa in quanto non sussumibili nel novero degli atti e provvedimenti adottati emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico ai sensi del comma 1 dell’art. 7 del codice del processo amministrativo (cfr., in materia, anche Consiglio di Stato, sez. VI, 19 maggio 2000, n. 2413, che ha ritenuto sindacabili in linea di principio gli atti del procedimento referendario, segnatamente con riferimento ai profili lesivi della libertà e della segretezza delle scelte degli elettori).
In definitiva, le determinazioni adottate e le condotte tenute dall’amministrazione in asserita violazione dei precetti legislativi che regolano in modo specifico l’indizione delle elezioni regionali afferiscono alla sfera dell’esercizio della potestà amministrativa naturaliter sottoposta al sindacato giurisdizionale amministrativo.
2.2. Non merita accoglimento neanche il secondo motivo d’appello con il quale si deduce l’inammissibilità dell’azione pubblicistica di adempimento mettendo in evidenza la mancata formulazione, da parte dei ricorrenti in prime cure, di una richiesta indirizzata alla Regione Lazio per l’adozione dell’atto di indizione delle elezioni e il mancato perfezionamento di un rifiuto ad opera del Presidente della Regione.
La Sezione osserva che il ricorso di prime cure conteneva un’azione dichiarativa dell’illegittimità dell’inerzia dell’Amministrazione intimata rispetto al comportamento ad essa imposto dalla vigente normativa, con la connessa domanda di condanna ad un facere doveroso per il quale era prospettato l’esaurimento dei residui margini di discrezionalità legislativamente attribuiti ai fini dell’individuazione della data di celebrazione delle elezioni.
2.2.1 L’ammissibilità dell’invocata tutela schiettamente dichiarativa trova conferma nel condivisibile insegnamento dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (cfr. decisioni 23 marzo 2011, n 3 e 29 luglio 2011, n. 15).
Secondo tale orientamento interpretativo l’assenza di una previsione legislativa espressa non osta all’esperibilità di un’azione di mero accertamento quante volte detta tecnica di tutela sia l’unica idonea a garantire una protezione adeguata ed immediata dell’interesse legittimo (cfr. da ultimo sez. V, 31 gennaio 2012, n. 472).
In adesione a detto indirizzo si deve ribadire che, nell’ambito di un quadro normativo sensibile all’esigenza di una piena protezione dell’interesse legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, la mancata previsione, nel testo finale del codice del processo amministrativo, dell’azione generale di accertamento non preclude la praticabilità di una tecnica di tutela che rinviene il suo fondamento nelle norme immediatamente precettive dettate dalla Carta fondamentale al fine di garantire la piena e completa tutela giurisdizionale (artt. 24, 103, 111 e 113).
Anche per gli interessi legittimi, infatti, come pacificamente ritenuto nel processo civile per i diritti soggettivi, la garanzia costituzionale impone di riconoscere l'esperibilità dell'azione di accertamento autonomo, con particolare riguardo a tutti i casi in cui siffatta azione risulti indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente.
A tale risultato non può del resto opporsi il principio di tipicità delle azioni, in quanto corollario indefettibile dell'effettività della tutela è proprio il principio della atipicità delle forme di tutela.
In questo quadro la mancata previsione di una norma esplicita sull’azione generale di accertamento non è sintomatica della volontà legislativa di sancire una preclusione di dubbia costituzionalità ma è spiegabile, anche alla luce degli elementi ricavabili dai lavori preparatori, con la considerazione che le azioni tipizzate, idonee a conseguire statuizioni dichiarative, di condanna e costitutive, consentono di norma una tutela idonea ed adeguata che non ha bisogno di pronunce meramente dichiarative in cui la funzione di accertamento non si appalesa strumentale all’adozione di altra pronuncia di cognizione ma si presenta allo stato puro. Ne deriva, di contro, che, ove, come nel caso di specie, dette azioni tipizzate non soddisfino in modo efficiente il bisogno di tutela, l’azione di accertamento atipica, ove sorretta da un interesse ad agire concreto ed attuale ex art. 100 c.p.c., risulta praticabile in forza delle coordinate costituzionali e comunitarie richiamate dallo stesso art 1 del codice oltre che dai criteri di delega di cui all’art. 44 della legge n. 69/2009.
In definitiva, il principio dell'interesse a ricorrere di cui all'art. 100 c.p.c., operante nel processo amministrativo in virtù del rinvio esterno recato dall'art. 39 del codice del processo amministrativo, funziona non soltanto come presupposto processuale dell'azione di annullamento e di condanna ma, ai sensi dell'articolo 24 Cost, come fattore di legittimazione generale ad agire, che abilita il soggetto all'azione di mero accertamento.
Giova soggiungere che nella specie l’interesse a ricorrere era in concreto corroborato dalla nota 12 ottobre 2012, n. 520, con la quale il Presidente della Regione aveva manifestato l’adesione ad un’interpretazione della tempistica fissata dalla legislazione regionale incompatibile con la pretesa sostanziale azionabile in giudizio. Nel rispetto del limite di cui all’articolo 34, comma 2, del codice del processo, la pronuncia ha inoltre accertato la violazione dell’obbligo di indizione del procedimento elettorale, ossia il mancato esercizio qualificato del potere amministrativo sottoposto alla giurisdizione amministrativa ai sensi dell’articolo 7, comma 1, del medesimo codice.
2.2.2.Discorso non dissimile può essere svolto con riguardo alla connessa azione di condanna pubblicistica.
La rammentata pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 23 marzo 2011 n.3, con affermazione ribadita dalla successiva sentenza n. 15/2011, ha definitivamente sancito la generale esperibilità dell’azione di condanna quale strumento di tutela attivabile dal ricorrente innanzi al G.A. al fine di ottenere il riconoscimento del bene della vita che gli compete.
Secondo la condivisibile parabola motivazionale svolta dalle pronunce in esame, l’ammissibilità, in via generale, di un’azione di condanna pubblicistica (c.d. azione di esatto adempimento) tesa ad una pronuncia che, per le attività vincolate, costringa la P.A. ad adottare il provvedimento satisfattorio, è ricavabile dall’applicazione dei principi costituzionali e comunitari in materia di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, dall’interpretazione della portata espansiva delle specifiche ipotesi previste dall’art. 31 comma 3 del codice, in materia di silenzio, dall’art. 124 in materia di contratti pubblici, oltre che dall’art. 4 del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198, in materia di azione collettiva di classe, e, soprattutto, dalla dizione ampia dell’art. 30, comma 1 del codice, che non tipizza i contenuti delle pronunce di condanna, e, quel che più conta, non limita dette statuizioni ai soli casi privatistici del risarcimento del danno e della lesione di diritti soggettivi nelle materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
L'ammissibilità, anche in assenza di una disciplina legale, dell'azione di esatto adempimento trova poi conforto nella circostanza che l'art. 2908 c.c. e l'art. 113, ultimo comma, Cost, prevedono una riserva di legge solo per le sentenze costitutive mentre risulta pacifica la caratterizzazione geneticamente atipica delle tutele dichiarative e di condanna.
Le ricordate opzioni ermeneutiche sono state da ultimo cristallizzate, sul versante positivo, dalle modifiche di recente apportate con il decreto legislativo 14 settembre 2012, n. 160 al disposto dell’ art. 34, comma 1, lettera c, del codice del processo amministrativo, mediante l’aggiunta di un ultimo periodo alla stregua del quale “l’azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto è esercitata, nei limiti di cui all’art. 31, comma 3, contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di diniego o all’azione avverso il silenzio”.
Viene in tal guisa codificata la domanda di condanna ad un facere specifico avente ad oggetto l’emanazione del provvedimento doveroso omesso. Infatti, la disposizione, nella misura in cui detta i limiti processuali e sostanziali dell’azione di condanna pubblicistica, presuppone e, quindi, riconosce la sperimentabilità di siffatta tecnica di protezione dell’interesse legittimo pretensivo anche al di fuori del caso, già codificato dall’art. 31, della maturazione di un silenzio-rifiuto.
Nella specie sono rispettati i limiti, di portata sostanziale e processuale, posti dal codice del processo alla praticabilità di tale tecnica di protezione.
Quanto al limite sostanziale, rappresentato dalla permanenza di margini di discrezionalità amministrativa o tecnica o dalla necessità di attività istruttorie riservate alla p.a. (vedi l’art. 31, comma 3, in tema di rito del silenzio, a cui si fa rinvio l’art. 34, comma 2, anche con riguardo al caso del diniego esplicito), è sufficiente ribadire che nella specie viene dedotta la consumazione del potere discrezionale spettante all’amministrazione in ragione della violazione dei precetti puntuali che perimetrano, sul piano cronologico, la celebrazione della tornata elettorale. La contestuale proposizione, in sede di ricorso originario, dell’azione di condanna e dell’azione di accertamento atipica, assicura altresì il rispetto del limite processuale, rappresentato dalla necessità che detta azione di condanna, non esperibile in via autonoma, si accompagni ad altra azione di cui rappresenti il completamento nell’ambito dello stesso processo.
Va soggiunto che non osta alla praticabilità del rimedio in esame la dedotta assenza di una richiesta, da parte dei ricorrenti originari, di indizione delle elezioni e la formazione del correlativo silenzio amministrativo secondo la procedura di cui al combinato disposto dell’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e degli artt. 31 e 117 del codice del processo amministrativo, in quanto viene nella specie in rilievo l’omessa adozione di un atto nei tempi imposti dalla legge, ex se idonea a ledere l’interesse dei ricorrenti e a legittimare alla proposizione del generale rimedio volto ad ottenere una pronuncia che imponga all’ amministrazione l’esercizio doveroso del potere.
2.2.3. La portata atipica delle azioni di accertamento e di condanna fuga ogni dubbio in merito alla relativa proponibilità anche in materia elettorale.
Si deve, infatti, ritenere che l’elettore, legittimato, ex art. 130 del codice del processo amministrativo, a dedurre l’ illegittimità degli atti del procedimento elettorale, sia a fortiori facultizzato - secondo un’ interpretazione costituzionalmente orientata sensibile ai principi di pienezza, effettività e tempestività della tutela giurisdizionale – a contrastare le condotte che illegittimamente impediscono o ritardano lo stesso avvio del procedimento elettorale.
2.3. Non meritano, infine, positiva valutazione le censure di merito con le quali la Regione Lazio, deduce che:
a) l’obbligo di indire le elezioni nei novanta giorni dallo scioglimento del Consiglio regionale, così come disciplinato dall’art. 5 della l.r. n. 2 del 2005, si applica, testualmente, nei “casi di scioglimento del Consiglio regionale previsti dall’art. 19, comma 4 dello Statuto”, ossia nella sola fattispecie di dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti del Consiglio;
b)secondo l’avviso espresso da precedenti sentenze dello stesso Tar Lazio, convalidato dal raffronto con altre leggi regionali, l’indizione delle elezioni è fase distinta da quella delle elezioni, con la conseguenza che la citata legge regionale n. 2 del 2005, impone la sola indizione, stricto sensu intesa, delle elezioni nel termine di novanta giorni dallo scioglimento;
c) la perdurante mancata indizione trova, in ogni caso, giustificazione nella triplice esigenza di dare attuazione con legge regionale alla riduzione di seggi del Consiglio prevista dalla normativa statale, di attendere l’entrata in vigore del d.l. 5 novembre 2012, n. 188 di riordino e riduzione delle Province e di rispettare l’obbligo posto dall’art. 7 del d.l. 6 luglio 2011, n.98, conv. dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, in materia di concentrazione in un’unica data delle elezioni del Parlamento e degli organi di governo regionali e locali (c.d.“ election day”).
2.3.1. Il Collegio conviene con il Primo Giudice circa l’applicabilità dell’art. 5 della l.r. del Lazio n. 2/2005 alla fattispecie in esame.
Detta disposizione fa riferimento, in via generale, all’ art. 19, comma 4 dello Statuto della Regione Lazio, norma che, a sua volta, facendo rinvio anche agli articoli 43 e 44, annovera tutti i casi di scioglimento anticipato, ivi incluso quello delle dimissioni volontarie del Presidente.
A sostegno dell’assunto si pone, in una con il dato letterale, che richiama sia il contenuto autonomo che la portata relazionale della norma, il rilievo sistematico che una diversa lettura, volta a differenziare il rinnovo degli organi regionali con la fissazione di una tempistica certa solo per alcune ipotesi di scioglimento del Consiglio, produrrebbe un’ingiustificata diversità di disciplina a dispetto dell’identica esigenza, ricorrente in tutti i casi di dissoluzione, di assicurare il celere ripristino della piena legittimazione democratica e dell’ordinaria funzionalità dell’ente regionale.
2.3.2. Tanto detto sull’applicabilità dell’articolo 5 della legge regionale n. 2/2005 al caso in esame, la Sezione non reputa meritevole di condivisione l’assunto sostenuto da parte appellante secondo cui l’espressione “indizione delle nuove elezioni del Consiglio e del Presidente della Regione entro tre mesi”, contenuta in tale normativa, andrebbe intesa nel senso che le elezioni possano essere semplicemente convocate entro tale lasso di tempo senza che sia necessario il loro svolgimento nell’ambito di siffatto spatium temporis.
Sul piano strettamente letterale, la tesi dell’appellante non è l’unica possibile alla stregua del dato positivo. La norma in esame stabilisce, infatti, che “nei casi di scioglimento del Consiglio regionale, previsti dall’art. 19, comma 4, dello Statuto, si procede all’indizione delle nuove elezioni del Consiglio e del Presidente della Regione entro tre mesi”.Come correttamente rimarcato dal Tribunale di primo grado in forza di una prospettiva ricostruttiva volta expressis verbis a superare l’interpretazione sostenuta in precedenza dallo stesso organo giudicante, la collocazione del complemento di specificazione temporale “entro tre mesi”, in posizione successiva e contigua, senza soluzione di continuità, alle parole “nuove elezioni”, anziché alla locuzione “si procede” o alle parole “all’indizione”, non consente di riferire, sul versante schiettamente semantico, la previsione del termine allo svolgimento delle elezioni piuttosto che alla sola indizione. Inoltre, l’uso del termine “procede”, invece di “provvede”, rafforza il richiamo legislativo non ad un atto puntuale di indizione ma all’inizio di una procedura amministrativa che reclama la certezza temporale della definizione in forza dei canoni di cui all’articolo 2 della legge 2 agosto 1990, n. 241, e ai sottostanti canoni costituzionali di efficienza e buon andamento dell’azione amministrativa.
La sussistenza di aspetti di equivocità testuale rende decisivo il ricorso al canone teleologico e al principio della preferenza per l’esegesi costituzionalmente orientata.
Sul versante della ratio, la norma si prefigge l’obiettivo di assicurare una tempestiva ricostituzione degli organi di governo regionale, in conformità al principio della sovranità popolare sancito dall’art. 1 della Carta Fondamentale e ai canoni costituzionali di efficacia e buon andamento. Viene, quindi, perseguito lo scopo di garantire la restaurazione del pieno funzionamento delle pubbliche istituzioni in modo da ripristinarne la piena legittimazione democratica e l’assolvimento della funzione legislativa garantita e ampliata a seguito della riforma del titolo V della parte seconda della Carta Fondamentale.
In questa prospettiva si appalesa incongrua l’interpretazione che, imponendo una puntuale tempistica solo per la fase dell’indizione delle elezioni, di per sé inidonea a soddisfare le esigenze sopra prospettate, non ancori ad alcun limite temporale il loro effettivo svolgimento, ossia il segmento della procedura che effettivamente assicura la piena investitura dell’ente e ne suggella l’integrale ripristino operativo.
Venendo all’esigenza di privilegiare la lettura armonizzabile con il dettato costituzionale, assume un particolare rilievo la sentenza 5 giugno 2003, n. 196, della Corte Costituzionale, che - pronunciandosi sull’art. 3 della legge della Regione Abruzzo 19 marzo 2002, n. 1 (Disposizioni sulla durata degli Organi e sull'indizione delle elezioni regionali), che sancisce l’indizione delle elezioni entro tre mesi- ha interpretato la disposizione nel senso che le elezioni debbano aver luogo, e non semplicemente essere indette, entro tale lasso di tempo. Sulla scorta di detta premessa la Consulta, pur osservando che non è chiaro se detto termine ad quem decorra, nel caso di scadenza del mandato, da tale scadenza, ovvero dalla quarta domenica antecedente, ha concluso che tale termine non è da ritenersi eccessivamente lungo, tenuto conto anche che esso, pur se fatto decorrere dalla scadenza del Consiglio, supera di soli venti giorni il periodo massimo di settanta giorni dalla fine del mandato delle Camere, entro il quale devono essere elette le nuove camere, ai sensi dell'art. 61, primo comma, della Costituzione.
Traendo le fila delle considerazioni fin qui svolte, si deve reputare che una lettura che non imponesse un vincolo temporale per la celebrazione delle elezioni, rimettendo detta scelta all’incondizionata discrezionalità del Presidente dimissionario della Regione, non assicurerebbe il rinnovo in tempi ragionevolmente brevi degli organi e, con esso, il soddisfacimento dei valori costituzionali sottesi all’espressione della volontà popolare secondo il meccanismo della democrazia elettorale.
Stante l’interpretazione accolta, risulta acclarata la violazione, nel caso in esame, del termine legale. Non è, infatti, controversa fra le parti la circostanza secondo cui il Presidente uscente della Regione Lazio, a seguito delle sue dimissioni in data 27.9.2012 e dello scioglimento del Consiglio regionale in data 28.9.2012, non ha indetto le nuove elezioni in tempo utile ai fini del loro svolgimento entro i tre mesi dallo scioglimento del Consiglio, tenendo conto che, che ai sensi dell’art. 3, comma 5, della legge 17 febbraio 1968, n. 108, applicabile per rinvio recettizio da parte della legge elettorale del Lazio, i Sindaci danno notizia dell’indizione dei comizi elettorali con manifesti affissi almeno 45 giorni prima della data di svolgimento.
2.3.4. Venendo, poi, agli impedimenti dedotti come causa giustificativa della mancata indizione delle elezioni, si deve osservare, a confutazione degli argomenti svolti dall’appellante, che:
- l’obbligo legale sancito dalla puntuale norma precettiva fin qui scrutinata non è derogabile, specie alla luce dei cogenti valori costituzionali in rilievo, in forza di argomentazioni che riposano su profili di opportunità;
-i pretesi aspetti di incertezza adombrati in merito alla determinazione dei collegi elettorali e al numero dei seggi consiliari, afferiscono all’enucleazione, in via interpretativa, delle regole ratione temporis applicabili al procedimento elettorale senza poter procrastinare il termine fissato dalla legge per la fase del procedimento elettorale successiva all’indizione;
-non sono in ogni caso gravate da puntuale censura le argomentazioni svolte dal primo Giudice per confutare la dedotta incidenza delle sopravvenienze normative statali quali motivi ostativi al rispetto del termine legale;
-non è del pari gravata da specifica censura la statuizione di primo grado nella parte in cui esclude che l’obbligo di cui all’art. 7 del d.l. 6 luglio 2011, n.98, conv. con mod. dalla l. 15 luglio 2011, n. 111, in merito all’ accorpamento delle date di svolgimento delle diverse consultazioni elettorali (c.d.“ election day”), operi nella fattispecie in esame, anche in relazione alla dichiarata finalità di riduzione dei costi della politica, non invocabile con riferimento a tornate elettorali da svolgersi in altre Regioni;
-in ogni caso l’accorpamento, in un’unica data dell’anno, delle consultazioni elettorali per le elezioni dei sindaci, dei Presidenti delle province e delle regioni, dei Consigli comunali, provinciali e regionali, del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, è subordinato al limite della compatibilità con quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, limite nella specie non rispettato in ragione del non derogabile precetto relativo alla tempistica della consultazione elettorale.
3. L’appello deve in definitiva essere respinto.
Ne consegue, in assenza di specifica censura, la conferma della sentenza di prime cure nella parte in cui si è accertato l’obbligo del Presidente dimissionario della Regione Lazio di provvedere all’immediata indizione delle elezioni in modo da assicurarne lo svolgimento entro il più breve termine tecnicamente compatibile con gli adempimenti procedimentali previsti dalla normativa vigente in materia di operazioni elettorali, con la nomina di un commissario ad acta, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 34, comma 1, lett.e), del codice del processo amministrativo.
La peculiarità delle questioni dedotte giustifica la compensazione integrale delle spese di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e conferma integralmente la sentenza appellata.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere, Estensore
Carlo Saltelli, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)