ELEZIONI:
c'è stato un giudice a Berlino sul "caso Polverini"
(Cons. St., Sez. V, sent. 27 novembre 2012 n. 6002)
Con un po' di ritardo, facciamo il punto sulla vicenda giudiziaria sulle elezioni
nella Regione Lazio.
Concentriamoci soltanto sugli aspetti giuridici.
Il T.A.R. Lazio con sent. n. 9280 del 12.11.12 aveva ordinato alla Regione
Lazio (ergo alla Presidente dimissionaria Polverini) di
fissare entro 5 giorni la data delle elezioni, che comunque dovevano svolgersi
entro il 2012.
La Polverini aveva allora proposto ricorso al Consiglio Stato con istanza
cautelare ex art. 56 c.p.a., che
veniva accolta con decreto presidenziale n. 4505 del 16.11.2012, a due giorni dalla scadenza del termine
T.A.R..
Si attendeva quindi l'udienza camerale del 27.11.12 per la conferma o meno
del primo provvedimento cautelare, con il palpabile presentimento che il
decreto sarebbe stato confermato dal collegio con ordinanza. Dal 16.11.2012 al
27.11.2012 d’altronde passano poco più di dieci giorni…
I difensori invece hanno deciso (rectius acconsentito) che
la causa venisse trattenuta in decisione, ai sensi dell'art. 60 c.p.a., in sede
di udienza camerale ed il Consiglio, Sez. V, con la sentenza (serale) n.
6002/2012 ha deciso: l’appello è respinto ed il ricorso al T.A.R. di una
associazione a tutela dei cittadini accolto!
Confermato il termine di 5 giorni, il tempo oramai sta per scadere…
Il Consiglio ha così comandato difatti: "Ne consegue, in assenza di specifica censura, la conferma della sentenza di prime cure nella parte in cui si è accertato l’obbligo del Presidente dimissionario della Regione Lazio di provvedere all’immediata indizione delle elezioni in modo da assicurarne lo svolgimento entro il più breve termine tecnicamente compatibile con gli adempimenti procedimentali previsti dalla normativa vigente in materia di operazioni elettorali, con la nomina di un commissario ad acta, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 34, comma 1, lett.e), del codice del processo amministrativo".
Interessante anche la precisazione sulla natura non "politica" dell'indizione delle elezioni regionali da parte del Presidente, eccezione che se accolta avrebbe reso il ricorso di primo grado inammissibile per difetto di legittimazione (vd. art. 7 co. 1 c.p.a. sulla non impugnabilità degli atti "politici"). "[...] (cfr., in materia, anche Consiglio di Stato, sez. VI, 19 maggio 2000, n. 2413, che ha ritenuto sindacabili in linea di principio gli atti del procedimento referendario, segnatamente con riferimento ai profili lesivi della libertà e della segretezza delle scelte degli elettori)".
Interessantissimo anche quanto stabilito in merito alla piena ammissibilità di un'azione atipica d'accertamento nel processo amministrativo, pur mancando un'esplicita previsione codicistica in tal senso (anzi essendo stata espunta dalla prima versione).
Leggiamo: "[...]L’ammissibilità dell’invocata tutela schiettamente dichiarativa trova conferma nel condivisibile insegnamento dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (cfr. decisioni 23 marzo 2011, n 3 e 29 luglio 2011, n. 15).
Secondo tale orientamento interpretativo l’assenza di una previsione legislativa espressa non osta all’esperibilità di un’azione di mero accertamento quante volte detta tecnica di tutela sia l’unica idonea a garantire una protezione adeguata ed immediata dell’interesse legittimo (cfr. da ultimo sez. V, 31 gennaio 2012, n. 472).
In adesione a detto indirizzo si deve ribadire che, nell’ambito di un quadro normativo sensibile all’esigenza di una piena protezione dell’interesse legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, la mancata previsione, nel testo finale del codice del processo amministrativo, dell’azione generale di accertamento non preclude la praticabilità di una tecnica di tutela che rinviene il suo fondamento nelle norme immediatamente precettive dettate dalla Carta fondamentale al fine di garantire la piena e completa tutela giurisdizionale (artt. 24, 103, 111 e 113).
Anche per gli interessi legittimi, infatti, come pacificamente ritenuto nel processo civile per i diritti soggettivi, la garanzia costituzionale impone di riconoscere l'esperibilità dell'azione di accertamento autonomo, con particolare riguardo a tutti i casi in cui siffatta azione risulti indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente [...]".
Di seguito il teso per esteso...
C'è stato un giudice anche a Roma dai...
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8083 del 2012, proposto da:
Regione Lazio, in pesona del Presidente pro tempre della
Giunta Regionale, rappresentato e difeso dall'avv. Federico Tedeschini, con
domicilio eletto presso Federico Tedeschini in Roma, largo Messico, 7;
contro
Movimento Difesa del Cittadino, in persona del legale rappresentante pro
tempore, e Antonio Longo, rappresentati e difesi dall'avv. Gianluigi
Pellegrino, con domicilio eletto presso Gianluigi Pellegrino in Roma, corso del
Rinascimento, n. 11;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II BIS n. 09280/2012,
resa tra le parti, concernente la mancata indizione delle elezioni regionali a
seguito delle dimissioni del presidente – mcp;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Movimento Difesa del Cittadino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2012 il Cons.
Francesco Caringella e uditi per le parti gli avvocati Tedeschini e Pellegrino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 - Con la sentenza gravata il Giudice di prime cure ha accolto il ricorso
proposto dall’associazione “Movimento difesa del cittadino” e dal suo
presidente Antonio Longo, anche in proprio quale elettore del Consiglio
regionale del Lazio, al fine di provvedere senza indugio all’ indizione delle
elezioni in guisa da garantirne la celebrazione nel termine di novanta giorni
dallo scioglimento del Consiglio regionale e, comunque, nella prima data utile
successiva a tale termine.
La Regione propone il ricorso in appello in epigrafe specificato con il
quale contesta gli argomenti posti a fondamento del decisum.
Resistono l’associazione e l’elettore originariamente ricorrenti.
Le parti hanno affidato al deposito di apposite memorie l’ulteriore illustrazione
delle rispettive tesi difensive.
Con decreto monocratico n. 4505 del 16 novembre 2012 è stata sospesa
provvisoriamente l’efficacia della sentenza appellata.
Alla camera di consiglio del 27 novembre 2012, fissata con il suddetto
decreto monocratico per la trattazione dell’incidente cautelare, la causa,
previo avviso ai difensori presenti, è stata trattenuta per la decisione ai
sensi dell’art. 60 del codice del processo amministrativo.
2. L’appello è infondato.
2.1. Non coglie nel segno, innanzitutto, il primo motivo di appello con cui
la Regione Lazio contesta la sussistenza della giurisdizione del giudice
amministrativo facendo leva sulla caratterizzazione politica delle
determinazione regionali aventi ad oggetto l’indizione delle elezioni.
A confutazione della prospettiva interpretativa sviluppata dalla parte
appellante si pone l’assorbente considerazione che la vigente normativa, sulla
quale ci si soffermerà in seguito, connette allo scioglimento del Consiglio
regionale l’obbligo di indire le elezioni ponendo una puntuale disciplina dei
relativi adempimenti e, segnatamente, enucleando i confini temporali che
scandiscono il dipanarsi della procedura (art. 5 della legge regionale 13
gennaio 2005, n. 2).
Sotto i profili dedotti in giudizio, viene quindi in rilievo un
procedimento amministrativo caratterizzato dall’esercizio di potestà pubbliche
vincolate sulla scorta di precetti legislativi puntuali relativi all’an e
al quando dell’atto di indizione della procedura elettorale,
in guisa da escludere il suum dell’atto politico di cui
all’art. 7, comma 1, del codice del processo amministrativo, dato dalla
sussistenza di una libertà nel fine che impedisce, in ragione dell’assenza del
necessario parametro giuridico, l’estrinsecazione del sindacato giurisdizionale
(cfr., da ultimo, sulla nozione di atto emanato nell'esercizio del potere
politico, anziché nell'esercizio di attività meramente amministrativa",
Cons. Stato sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2588).
Si deve, al riguardo, rimarcare che, ad avviso della giurisprudenza
costituzionale, la presenza di un vincolo giuridico comporta l’attrazione delle
determinazioni in materia assunte da organi politici nell’alveo dell’azione amministrativa
sottoposta, alla stregua dei principi costituzionali, al controllo di legalità
da parte dell’autorità giurisdizionale all’uopo preposta. Particolarmente
significativa si appalesa la sentenza della Corte Costituzionale 5 aprile 2012,
n. 81, resa su conflitto di attribuzioni sollevato dalla Regione Campania
avverso la sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n. 4502 del 27 luglio
2011, confermativa della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la
Campania, sezione I, n. 1985 del 7 aprile 2011, con cui era stato annullato il
decreto del Presidente della Giunta regionale di nomina di un assessore, per
violazione dell' art. 46, comma 3, dello Statuto della Regione Campania.
Nella specie i giudici costituzionali hanno osservato che “gli spazi della
discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura
giuridica posti dall'ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a
livello legislativo”, con la conseguenza che “quando il legislatore
predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi, in
ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto”. Ne consegue che,
laddove l'ambito di estensione del pur ampio potere discrezionale che connota
un'azione di governo sia circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che
ne segnano i confini o ne indirizzano l'esercizio, il rispetto di tali vincoli
costituisce un requisito di legittimità e di validità dell'atto, sindacabile
nelle sedi appropriate.
Facendo applicazione di tali coordinate al caso di specie, si deve
concludere che la previsione di canoni di legalità che scandiscono l’indizione
del procedimento elettorale introduce un requisito di legittimità idoneo a
limitare l’esercizio del potere di indizione delle elezioni da parte
dell’organo regionale, imponendo la soggezione a controllo giurisdizionale
delle relative determinazioni e condotte amministrative.
In armonia con siffatta impostazione concettuale si pone la pronuncia resa
da questa Sezione (Ord. 19 aprile 2011, n. 1736), con la quale, in materia di
referendum abrogativo, si è respinta l’eccezione svolta dalla difesa erariale
in merito alla natura politica della scelta delle date di celebrazione della
consultazione referendaria, osservando che vengono in rilievo atti applicativi
dei precetti legislativi posti, proprio con riguardo alla cornice temporale di
svolgimento della consultazione, dall’ art. 34 della legge 25 maggio 1970, n.
312, id est atti di alta amministrazione soggetti alla
giurisdizione amministrativa in quanto non sussumibili nel novero degli atti e
provvedimenti adottati emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico
ai sensi del comma 1 dell’art. 7 del codice del processo amministrativo (cfr.,
in materia, anche Consiglio di Stato, sez. VI, 19 maggio 2000, n. 2413, che ha ritenuto
sindacabili in linea di principio gli atti del procedimento referendario,
segnatamente con riferimento ai profili lesivi della libertà e della segretezza
delle scelte degli elettori).
In definitiva, le determinazioni adottate e le condotte tenute dall’amministrazione
in asserita violazione dei precetti legislativi che regolano in modo specifico
l’indizione delle elezioni regionali afferiscono alla sfera dell’esercizio
della potestà amministrativa naturaliter sottoposta al
sindacato giurisdizionale amministrativo.
2.2. Non merita accoglimento neanche il secondo motivo d’appello con il
quale si deduce l’inammissibilità dell’azione pubblicistica di adempimento
mettendo in evidenza la mancata formulazione, da parte dei ricorrenti in prime
cure, di una richiesta indirizzata alla Regione Lazio per l’adozione dell’atto
di indizione delle elezioni e il mancato perfezionamento di un rifiuto ad opera
del Presidente della Regione.
La Sezione osserva che il ricorso di prime cure conteneva un’azione
dichiarativa dell’illegittimità dell’inerzia dell’Amministrazione intimata
rispetto al comportamento ad essa imposto dalla vigente normativa, con la
connessa domanda di condanna ad un facere doveroso per il
quale era prospettato l’esaurimento dei residui margini di discrezionalità
legislativamente attribuiti ai fini dell’individuazione della data di
celebrazione delle elezioni.
2.2.1 L’ammissibilità dell’invocata tutela schiettamente dichiarativa trova
conferma nel condivisibile insegnamento dell’Adunanza Plenaria di questo
Consiglio (cfr. decisioni 23 marzo 2011, n 3 e 29 luglio 2011, n. 15).
Secondo tale orientamento interpretativo l’assenza di una previsione
legislativa espressa non osta all’esperibilità di un’azione di mero
accertamento quante volte detta tecnica di tutela sia l’unica idonea a
garantire una protezione adeguata ed immediata dell’interesse legittimo (cfr.
da ultimo sez. V, 31 gennaio 2012, n. 472).
In adesione a detto indirizzo si deve ribadire che, nell’ambito di un
quadro normativo sensibile all’esigenza di una piena protezione dell’interesse
legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, la
mancata previsione, nel testo finale del codice del processo amministrativo,
dell’azione generale di accertamento non preclude la praticabilità di una
tecnica di tutela che rinviene il suo fondamento nelle norme immediatamente
precettive dettate dalla Carta fondamentale al fine di garantire la piena e
completa tutela giurisdizionale (artt. 24, 103, 111 e 113).
Anche per gli interessi legittimi, infatti, come pacificamente ritenuto nel
processo civile per i diritti soggettivi, la garanzia costituzionale impone di
riconoscere l'esperibilità dell'azione di accertamento autonomo, con
particolare riguardo a tutti i casi in cui siffatta azione risulti
indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del
ricorrente.
A tale risultato non può del resto opporsi il principio di tipicità delle
azioni, in quanto corollario indefettibile dell'effettività della tutela è
proprio il principio della atipicità delle forme di tutela.
In questo quadro la mancata previsione di una norma esplicita sull’azione
generale di accertamento non è sintomatica della volontà legislativa di sancire
una preclusione di dubbia costituzionalità ma è spiegabile, anche alla luce
degli elementi ricavabili dai lavori preparatori, con la considerazione che le
azioni tipizzate, idonee a conseguire statuizioni dichiarative, di condanna e
costitutive, consentono di norma una tutela idonea ed adeguata che non ha
bisogno di pronunce meramente dichiarative in cui la funzione di accertamento
non si appalesa strumentale all’adozione di altra pronuncia di cognizione ma si
presenta allo stato puro. Ne deriva, di contro, che, ove, come nel caso di
specie, dette azioni tipizzate non soddisfino in modo efficiente il bisogno di
tutela, l’azione di accertamento atipica, ove sorretta da un interesse ad agire
concreto ed attuale ex art. 100 c.p.c., risulta praticabile in forza delle
coordinate costituzionali e comunitarie richiamate dallo stesso art 1 del
codice oltre che dai criteri di delega di cui all’art. 44 della legge n.
69/2009.
In definitiva, il principio dell'interesse a ricorrere di cui all'art. 100
c.p.c., operante nel processo amministrativo in virtù del rinvio esterno recato
dall'art. 39 del codice del processo amministrativo, funziona non soltanto come
presupposto processuale dell'azione di annullamento e di condanna ma, ai sensi
dell'articolo 24 Cost, come fattore di legittimazione generale ad agire, che
abilita il soggetto all'azione di mero accertamento.
Giova soggiungere che nella specie l’interesse a ricorrere era in concreto
corroborato dalla nota 12 ottobre 2012, n. 520, con la quale il Presidente
della Regione aveva manifestato l’adesione ad un’interpretazione della tempistica
fissata dalla legislazione regionale incompatibile con la pretesa sostanziale
azionabile in giudizio. Nel rispetto del limite di cui all’articolo 34, comma
2, del codice del processo, la pronuncia ha inoltre accertato la violazione
dell’obbligo di indizione del procedimento elettorale, ossia il mancato
esercizio qualificato del potere amministrativo sottoposto alla giurisdizione
amministrativa ai sensi dell’articolo 7, comma 1, del medesimo codice.
2.2.2.Discorso non dissimile può essere svolto con riguardo alla connessa
azione di condanna pubblicistica.
La rammentata pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 23
marzo 2011 n.3, con affermazione ribadita dalla successiva sentenza n. 15/2011,
ha definitivamente sancito la generale esperibilità dell’azione di condanna
quale strumento di tutela attivabile dal ricorrente innanzi al G.A. al fine di
ottenere il riconoscimento del bene della vita che gli compete.
Secondo la condivisibile parabola motivazionale svolta dalle pronunce in
esame, l’ammissibilità, in via generale, di un’azione di condanna pubblicistica
(c.d. azione di esatto adempimento) tesa ad una pronuncia che, per
le attività vincolate, costringa la P.A. ad adottare il provvedimento
satisfattorio, è ricavabile dall’applicazione dei principi costituzionali e
comunitari in materia di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale,
dall’interpretazione della portata espansiva delle specifiche ipotesi previste
dall’art. 31 comma 3 del codice, in materia di silenzio, dall’art. 124 in
materia di contratti pubblici, oltre che dall’art. 4 del decreto legislativo 20
dicembre 2009, n. 198, in materia di azione collettiva di classe, e,
soprattutto, dalla dizione ampia dell’art. 30, comma 1 del codice, che non
tipizza i contenuti delle pronunce di condanna, e, quel che più conta, non
limita dette statuizioni ai soli casi privatistici del risarcimento del danno e
della lesione di diritti soggettivi nelle materie di giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo.
L'ammissibilità, anche in assenza di una disciplina legale, dell'azione di
esatto adempimento trova poi conforto nella circostanza che l'art. 2908 c.c. e
l'art. 113, ultimo comma, Cost, prevedono una riserva di legge solo per le
sentenze costitutive mentre risulta pacifica la caratterizzazione geneticamente
atipica delle tutele dichiarative e di condanna.
Le ricordate opzioni ermeneutiche sono state da ultimo cristallizzate, sul
versante positivo, dalle modifiche di recente apportate con il decreto
legislativo 14 settembre 2012, n. 160 al disposto dell’ art. 34, comma 1,
lettera c, del codice del processo amministrativo, mediante l’aggiunta di un
ultimo periodo alla stregua del quale “l’azione di condanna al rilascio di
un provvedimento richiesto è esercitata, nei limiti di cui all’art. 31, comma
3, contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di diniego o
all’azione avverso il silenzio”.
Viene in tal guisa codificata la domanda di condanna ad un facere specifico
avente ad oggetto l’emanazione del provvedimento doveroso omesso. Infatti, la
disposizione, nella misura in cui detta i limiti processuali e sostanziali
dell’azione di condanna pubblicistica, presuppone e, quindi, riconosce la
sperimentabilità di siffatta tecnica di protezione dell’interesse legittimo
pretensivo anche al di fuori del caso, già codificato dall’art. 31, della
maturazione di un silenzio-rifiuto.
Nella specie sono rispettati i limiti, di portata sostanziale e
processuale, posti dal codice del processo alla praticabilità di tale tecnica
di protezione.
Quanto al limite sostanziale, rappresentato dalla permanenza di margini di
discrezionalità amministrativa o tecnica o dalla necessità di attività
istruttorie riservate alla p.a. (vedi l’art. 31, comma 3, in tema di rito del
silenzio, a cui si fa rinvio l’art. 34, comma 2, anche con riguardo al caso del
diniego esplicito), è sufficiente ribadire che nella specie viene dedotta la
consumazione del potere discrezionale spettante all’amministrazione in ragione
della violazione dei precetti puntuali che perimetrano, sul piano cronologico,
la celebrazione della tornata elettorale. La contestuale proposizione, in sede
di ricorso originario, dell’azione di condanna e dell’azione di accertamento
atipica, assicura altresì il rispetto del limite processuale, rappresentato
dalla necessità che detta azione di condanna, non esperibile in via autonoma,
si accompagni ad altra azione di cui rappresenti il completamento nell’ambito
dello stesso processo.
Va soggiunto che non osta alla praticabilità del rimedio in esame la dedotta
assenza di una richiesta, da parte dei ricorrenti originari, di indizione delle
elezioni e la formazione del correlativo silenzio amministrativo secondo la
procedura di cui al combinato disposto dell’articolo 2 della legge 7 agosto
1990, n. 241 e degli artt. 31 e 117 del codice del processo amministrativo, in
quanto viene nella specie in rilievo l’omessa adozione di un atto nei tempi
imposti dalla legge, ex se idonea a ledere l’interesse dei
ricorrenti e a legittimare alla proposizione del generale rimedio volto ad
ottenere una pronuncia che imponga all’ amministrazione l’esercizio doveroso
del potere.
2.2.3. La portata atipica delle azioni di accertamento e di condanna fuga
ogni dubbio in merito alla relativa proponibilità anche in materia elettorale.
Si deve, infatti, ritenere che l’elettore, legittimato, ex art. 130 del
codice del processo amministrativo, a dedurre l’ illegittimità degli atti del
procedimento elettorale, sia a fortiori facultizzato - secondo
un’ interpretazione costituzionalmente orientata sensibile ai principi di
pienezza, effettività e tempestività della tutela giurisdizionale – a
contrastare le condotte che illegittimamente impediscono o ritardano lo stesso
avvio del procedimento elettorale.
2.3. Non meritano, infine, positiva valutazione le censure di merito con le
quali la Regione Lazio, deduce che:
a) l’obbligo di indire le elezioni nei novanta giorni dallo scioglimento
del Consiglio regionale, così come disciplinato dall’art. 5 della l.r. n. 2 del
2005, si applica, testualmente, nei “casi di scioglimento del Consiglio
regionale previsti dall’art. 19, comma 4 dello Statuto”, ossia nella sola
fattispecie di dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti del
Consiglio;
b)secondo l’avviso espresso da precedenti sentenze dello stesso Tar Lazio,
convalidato dal raffronto con altre leggi regionali, l’indizione delle elezioni
è fase distinta da quella delle elezioni, con la conseguenza che la citata
legge regionale n. 2 del 2005, impone la sola indizione, stricto sensu intesa,
delle elezioni nel termine di novanta giorni dallo scioglimento;
c) la perdurante mancata indizione trova, in ogni caso, giustificazione
nella triplice esigenza di dare attuazione con legge regionale alla riduzione
di seggi del Consiglio prevista dalla normativa statale, di attendere l’entrata
in vigore del d.l. 5 novembre 2012, n. 188 di riordino e riduzione delle
Province e di rispettare l’obbligo posto dall’art. 7 del d.l. 6 luglio 2011,
n.98, conv. dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, in materia di concentrazione in
un’unica data delle elezioni del Parlamento e degli organi di governo regionali
e locali (c.d.“ election day”).
2.3.1. Il Collegio conviene con il Primo Giudice circa l’applicabilità
dell’art. 5 della l.r. del Lazio n. 2/2005 alla fattispecie in esame.
Detta disposizione fa riferimento, in via generale, all’ art. 19, comma 4
dello Statuto della Regione Lazio, norma che, a sua volta, facendo rinvio anche
agli articoli 43 e 44, annovera tutti i casi di scioglimento anticipato, ivi
incluso quello delle dimissioni volontarie del Presidente.
A sostegno dell’assunto si pone, in una con il dato letterale, che richiama
sia il contenuto autonomo che la portata relazionale della norma, il rilievo
sistematico che una diversa lettura, volta a differenziare il rinnovo degli
organi regionali con la fissazione di una tempistica certa solo per alcune
ipotesi di scioglimento del Consiglio, produrrebbe un’ingiustificata diversità
di disciplina a dispetto dell’identica esigenza, ricorrente in tutti i casi di
dissoluzione, di assicurare il celere ripristino della piena legittimazione
democratica e dell’ordinaria funzionalità dell’ente regionale.
2.3.2. Tanto detto sull’applicabilità dell’articolo 5 della legge regionale
n. 2/2005 al caso in esame, la Sezione non reputa meritevole di condivisione
l’assunto sostenuto da parte appellante secondo cui l’espressione “indizione
delle nuove elezioni del Consiglio e del Presidente della Regione entro tre
mesi”, contenuta in tale normativa, andrebbe intesa nel senso che le elezioni possano
essere semplicemente convocate entro tale lasso di tempo senza che sia
necessario il loro svolgimento nell’ambito di siffatto spatium
temporis.
Sul piano strettamente letterale, la tesi dell’appellante non è l’unica
possibile alla stregua del dato positivo. La norma in esame stabilisce,
infatti, che “nei casi di scioglimento del Consiglio regionale, previsti
dall’art. 19, comma 4, dello Statuto, si procede all’indizione delle nuove
elezioni del Consiglio e del Presidente della Regione entro tre mesi”.Come
correttamente rimarcato dal Tribunale di primo grado in forza di una
prospettiva ricostruttiva volta expressis verbis a superare
l’interpretazione sostenuta in precedenza dallo stesso organo giudicante, la
collocazione del complemento di specificazione temporale “entro tre mesi”, in
posizione successiva e contigua, senza soluzione di continuità, alle parole
“nuove elezioni”, anziché alla locuzione “si procede” o alle parole
“all’indizione”, non consente di riferire, sul versante schiettamente semantico,
la previsione del termine allo svolgimento delle elezioni piuttosto che alla
sola indizione. Inoltre, l’uso del termine “procede”, invece di “provvede”,
rafforza il richiamo legislativo non ad un atto puntuale di indizione ma
all’inizio di una procedura amministrativa che reclama la certezza temporale
della definizione in forza dei canoni di cui all’articolo 2 della legge 2
agosto 1990, n. 241, e ai sottostanti canoni costituzionali di efficienza e
buon andamento dell’azione amministrativa.
La sussistenza di aspetti di equivocità testuale rende decisivo il ricorso
al canone teleologico e al principio della preferenza per l’esegesi
costituzionalmente orientata.
Sul versante della ratio, la norma si prefigge l’obiettivo di
assicurare una tempestiva ricostituzione degli organi di governo regionale, in
conformità al principio della sovranità popolare sancito dall’art. 1 della
Carta Fondamentale e ai canoni costituzionali di efficacia e buon andamento.
Viene, quindi, perseguito lo scopo di garantire la restaurazione del pieno
funzionamento delle pubbliche istituzioni in modo da ripristinarne la piena
legittimazione democratica e l’assolvimento della funzione legislativa
garantita e ampliata a seguito della riforma del titolo V della parte seconda
della Carta Fondamentale.
In questa prospettiva si appalesa incongrua l’interpretazione che,
imponendo una puntuale tempistica solo per la fase dell’indizione delle
elezioni, di per sé inidonea a soddisfare le esigenze sopra prospettate, non
ancori ad alcun limite temporale il loro effettivo svolgimento, ossia il
segmento della procedura che effettivamente assicura la piena investitura
dell’ente e ne suggella l’integrale ripristino operativo.
Venendo all’esigenza di privilegiare la lettura armonizzabile con il
dettato costituzionale, assume un particolare rilievo la sentenza 5 giugno
2003, n. 196, della Corte Costituzionale, che - pronunciandosi sull’art. 3
della legge della Regione Abruzzo 19 marzo 2002, n. 1 (Disposizioni sulla
durata degli Organi e sull'indizione delle elezioni regionali), che
sancisce l’indizione delle elezioni entro tre mesi- ha interpretato la
disposizione nel senso che le elezioni debbano aver luogo, e non semplicemente
essere indette, entro tale lasso di tempo. Sulla scorta di detta premessa la
Consulta, pur osservando che non è chiaro se detto termine ad quem decorra,
nel caso di scadenza del mandato, da tale scadenza, ovvero dalla quarta
domenica antecedente, ha concluso che tale termine non è da ritenersi
eccessivamente lungo, tenuto conto anche che esso, pur se fatto decorrere dalla
scadenza del Consiglio, supera di soli venti giorni il periodo massimo di
settanta giorni dalla fine del mandato delle Camere, entro il quale devono
essere elette le nuove camere, ai sensi dell'art. 61, primo comma, della
Costituzione.
Traendo le fila delle considerazioni fin qui svolte, si deve reputare che
una lettura che non imponesse un vincolo temporale per la celebrazione delle
elezioni, rimettendo detta scelta all’incondizionata discrezionalità del
Presidente dimissionario della Regione, non assicurerebbe il rinnovo in tempi
ragionevolmente brevi degli organi e, con esso, il soddisfacimento dei valori
costituzionali sottesi all’espressione della volontà popolare secondo il
meccanismo della democrazia elettorale.
Stante l’interpretazione accolta, risulta acclarata la violazione, nel caso
in esame, del termine legale. Non è, infatti, controversa fra le parti la
circostanza secondo cui il Presidente uscente della Regione Lazio, a seguito
delle sue dimissioni in data 27.9.2012 e dello scioglimento del Consiglio
regionale in data 28.9.2012, non ha indetto le nuove elezioni in tempo utile ai
fini del loro svolgimento entro i tre mesi dallo scioglimento del Consiglio,
tenendo conto che, che ai sensi dell’art. 3, comma 5, della legge 17 febbraio
1968, n. 108, applicabile per rinvio recettizio da parte della legge elettorale
del Lazio, i Sindaci danno notizia dell’indizione dei comizi elettorali con
manifesti affissi almeno 45 giorni prima della data di svolgimento.
2.3.4. Venendo, poi, agli impedimenti dedotti come causa giustificativa
della mancata indizione delle elezioni, si deve osservare, a confutazione degli
argomenti svolti dall’appellante, che:
- l’obbligo legale sancito dalla puntuale norma precettiva fin qui scrutinata
non è derogabile, specie alla luce dei cogenti valori costituzionali in
rilievo, in forza di argomentazioni che riposano su profili di opportunità;
-i pretesi aspetti di incertezza adombrati in merito alla determinazione
dei collegi elettorali e al numero dei seggi consiliari, afferiscono
all’enucleazione, in via interpretativa, delle regole ratione temporis applicabili
al procedimento elettorale senza poter procrastinare il termine fissato dalla
legge per la fase del procedimento elettorale successiva all’indizione;
-non sono in ogni caso gravate da puntuale censura le argomentazioni svolte
dal primo Giudice per confutare la dedotta incidenza delle sopravvenienze
normative statali quali motivi ostativi al rispetto del termine legale;
-non è del pari gravata da specifica censura la statuizione di primo grado
nella parte in cui esclude che l’obbligo di cui all’art. 7 del d.l. 6 luglio
2011, n.98, conv. con mod. dalla l. 15 luglio 2011, n. 111, in merito all’
accorpamento delle date di svolgimento delle diverse consultazioni elettorali
(c.d.“ election day”), operi nella fattispecie in esame, anche in
relazione alla dichiarata finalità di riduzione dei costi della politica, non
invocabile con riferimento a tornate elettorali da svolgersi in altre Regioni;
-in ogni caso l’accorpamento, in un’unica data dell’anno, delle
consultazioni elettorali per le elezioni dei sindaci, dei Presidenti delle
province e delle regioni, dei Consigli comunali, provinciali e regionali, del
Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, è subordinato al limite
della compatibilità con quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, limite
nella specie non rispettato in ragione del non derogabile precetto relativo
alla tempistica della consultazione elettorale.
3. L’appello deve in definitiva essere respinto.
Ne consegue, in assenza di specifica censura, la conferma della sentenza di
prime cure nella parte in cui si è accertato l’obbligo del Presidente
dimissionario della Regione Lazio di provvedere all’immediata indizione delle
elezioni in modo da assicurarne lo svolgimento entro il più breve termine
tecnicamente compatibile con gli adempimenti procedimentali previsti dalla
normativa vigente in materia di operazioni elettorali, con la nomina di un
commissario ad acta, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 34,
comma 1, lett.e), del codice del processo amministrativo.
La peculiarità delle questioni dedotte giustifica la compensazione
integrale delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo
respinge e conferma integralmente la sentenza appellata.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2012
con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere,
Estensore
Carlo Saltelli, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere
L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
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