DIRITTI DELLA PERSONA,
ENTI LOCALI & PROVVEDIMENTO:
è illegittima la trascrizione
da parte dei Sindaci dei matrimoni omosessuali
celebrati all'estero;
ma è illegittima anche
la relativa cancellazione
da parte dei Prefetti
(T.A.R. Lazio, Roma, Se.z I "ter",
sentenza 11 marzo 2015, n. 4028)
Vi ricordate la vicenda della trascrizione dei matrimoni omosessuali celebrati all'estero e trascritti dal Sindaco di Roma, Ignazio Marino, e la "querelle" tra Ministro dell'Interno e Prefetto di Roma sulla legittimità o meno di tale trascrizione?
Ecco, in questa sentenza (obiettivamente di grande respiro), quello che mi ha colpito che è il riecheggiare, nei provvedimenti impugnati, del principio d'autoritatività, il quale, a partire dagli anni '70, è stato visto sempre meno come il quid proprium del provvedimento (testimonianza ne sono gli artt. 1-bis ed 11 della l. n. 241/1990).
L'altro giorno leggevo l'ottimo "La circolarità logica del diritto ammministrativo" del Prof. Stefano Vinti, del 2014, in cui si attribuisce al diritto amministrativo "l'attitudine ad affermarsi quale diritto comune dei rapporti complessi" (e si ribadisce il superamento del principio predetto quale elemento cardinale, oggi, dell'azione amministrativa).
Ecco: cercare di rispondere, attraverso il prisma del principio d'autoritatività, ai quesiti che la complessità dell'epoca contemporanea pone, almeno a mio parere, è abbastanza asfittico e miope, oltre che inutile.
D'altronde, a che serve rispondere soltanto con un punto esclamativo ad una domanda che termina con il punto interrogativo?
Breve commento
1. Il provvedimento impugnato in via
principale è la circolare ministeriale n. 40/ba.030/011/DAIT del 7 ottobre
2014, con la quale sono state impartite direttive alle Prefetture italiane
affinché rivolgano a loro volta ai sindaci formale invito a non trascrivere
più, nei registri dello stato civile, gli atti dei matrimoni celebrati
all’estero tra persone dello stesso sesso, nonché a ritirare e cancellare le
trascrizioni già eseguite, con avvertimento che "in caso di inerzia, si
procederà al successivo annullamento d’ufficio degli atti illegittimamente
adottati, ai sensi del combinato disposto degli articoli 21 nonies della legge
241 del 1990 e 54, commi 3 e 11 del d.lgs. 267/2001".
Il T.A.R. ha stabilito che tale circolare
è legittima, anche in relazione alla giurisprudenza costituzionale e
convenzionale.
Il discorso fatto dal giudice capitolino è semplice: il Sindaco, in
qualità di ufficiale di stato civile, è tenuto non solo a verificare il
rispetto, da parte degli sposi dello stesso sesso, delle forme imposte
dall'ordinamento straniero, ma anche a verificare, ai fini della trascrizione
nei registri dello stato civile, il rispetto dei requisiti sostanziali, tra cui
rientra, come nel caso di specie, la compatibilità del matrimonio omossessuale
con i principi del nostro ordinamento (non esiste una disciplina specifica).
2. Quanto agli atti applicativi, ossia i
provvedimenti prefettizi di annullamento d'ufficio delle trascrizioni eseguite
dai sindaci e/o dagli stessi non rimosse, il T.A.R. ne ha decretato l'illegittimità (in particolare) per violazione dell'art. 453 c.c., che recita: "Nessuna annotazione
può essere fatta sopra un atto già iscritto nei registri se non è disposta per
legge ovvero non è ordinata dall'autorità giudiziaria".
3. In definitiva, in relazione ai predetti provvedimenti prefettizi, solo la legge od un provvedimento
dell'autorità giurisdizionale, e non anche un provvedimento amministrativo,
possono disporre la cancellazione di una trascrizione illegittima (è
un provvedimento amministrativo la trascrizione, ecco perché la circolare parla di "annullamento d'ufficio da parte del prefetto"), tramite la relativa
annotazione a margine dei registri dello stato civile.
Sentenza per esteso
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la
presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 16121 del 2014, proposto da:
Codacons, rappresentato e difeso dagli avv. Carlo Rienzi, Gino Giuliano, Marco Ramadori, Valentina Colarusso, con domicilio eletto presso Ufficio Legale Nazionale Codacons in Roma, viale Mazzini, 73; -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, Codacons Sezione Difesa delle Diversità Sessuali, Codacons Campania, Codacons Lazio, Codacons Marche, Codacons Friuli Venezia Giulia, Codacons Lombardia, rappresentati e difesi dagli avv. Carlo Rienzi, Gino Giuliano, Valentina Colarusso, Marco Ramadori, con domicilio eletto presso Ufficio Legale Nazionale Codacons in Roma, viale Mazzini, 73;
sul ricorso numero di registro generale 16121 del 2014, proposto da:
Codacons, rappresentato e difeso dagli avv. Carlo Rienzi, Gino Giuliano, Marco Ramadori, Valentina Colarusso, con domicilio eletto presso Ufficio Legale Nazionale Codacons in Roma, viale Mazzini, 73; -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, Codacons Sezione Difesa delle Diversità Sessuali, Codacons Campania, Codacons Lazio, Codacons Marche, Codacons Friuli Venezia Giulia, Codacons Lombardia, rappresentati e difesi dagli avv. Carlo Rienzi, Gino Giuliano, Valentina Colarusso, Marco Ramadori, con domicilio eletto presso Ufficio Legale Nazionale Codacons in Roma, viale Mazzini, 73;
contro
Ministero dell'Interno, U.T.G. -
Prefettura di Napoli, U.T.G. - Prefettura di Pesaro Urbino, U.T.G. - Prefettura
di Milano, U.T.G. - Prefettura di Roma, U.T.G. - Prefettura di Udine,
rappresentati e difesi per legge dall' Avvocatura Generale dello Stato,
domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
Roma Capitale, rappresentata e
difesa dall'Avv. Rodolfo Murra, domiciliata in Roma, Via Tempio di
Giove, 21;
Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avv. Fabio Maria Ferrari, Barbara Accattatis Chalons D'Oranges, con domicilio eletto presso Nicola Laurenti in Roma, Via F. Denza, 50/A;
Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avv. Fabio Maria Ferrari, Barbara Accattatis Chalons D'Oranges, con domicilio eletto presso Nicola Laurenti in Roma, Via F. Denza, 50/A;
Comune di Fano, Comune di Milano, Comune
di Udine, Anci Associazione Nazionale Comuni Italiani;
per l'annullamento
-- della Circolare del Ministero
dell’Interno n. 40/ba-030/11/DAIT del 7.10.14 con la quale il Ministro,
rivolgendosi alle Prefetture, ha disposto che ove risultino adottate direttive
"sindacali" in materia di trascrizione nei registri dello stato
civile dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all'estero - e
nel caso sia stata data loro esecuzione - venga rivolto formale invito ai
sindaci al ritiro di tali disposizioni e alla cancellazione, ove effettuate,
delle conseguenti trascrizioni, contestualmente avvertendo che, in caso di
inerzia, si procederà al successivo annullamento d’ufficio degli atti
illegittimamente adottati, ai sensi del combinato disposto degli artt. 21
nonies della L. 241/90 e 54, commi 3 e 11 del D.Lgs. 267/01, e nella parte in
cui ha disposto di sensibilizzare i funzionari addetti alle verifiche
anagrafiche a porre particolare attenzione, nello svolgimento di tali
adempimenti, sulla regolarità degli archivi dello stato civile prescritta
dall’art. 104 del D.P.R. n. 396/2000;
-- del provvedimento del 20 ottobre 2014 a
firma del Prefetto di Roma, di contenuto ed estremi ignoti, con il quale si
invita il Sindaco di Roma ad annullare le 16 trascrizioni poste in essere in
data 18 ottobre 2014, di matrimoni contratti all’estero da persone del medesimo
sesso;
-- degli altri provvedimenti dei Prefetti
di Milano, Napoli, Pesaro e Urbino, Roma, Udine, di contenuto data ed estremi
ignoti, aventi ad oggetto formale invito ai Sindaci al ritiro delle direttive
sindacali in materia di trascrizione nei registri dello stato civile dei
matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero, e alla
cancellazione, ove effettuate, delle conseguenti trascrizioni con contestuale
avvertimento che, in caso di inerzia, si procederà al successivo annullamento
d’ufficio degli atti;
-- del provvedimento del Prefetto di Roma
del 31 ottobre 2014, di contenuto ed estremi ignoti, con il quale sono state
annullate d’ufficio le trascrizioni nel registro dello stato civile del Comune
di Roma dei 16 atti di matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso
sesso poste in essere il 18 ottobre 2014;
-- del provvedimento del Prefetto di Udine
del 27 ottobre 2014, di contenuto ed estremi ignoti, con il quale è stata annullata
d’ufficio la trascrizioni nel registro dello stato civile del Comune di Udine
dell’atto di matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso;
-- nonché di ogni altro atto presupposto,
conseguente e comunque connesso, anche se non conosciuto.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio
di Ministero dell'Interno e di U.T.G. - Prefettura di Napoli e di U.T.G. -
Prefettura di Pesaro Urbino e di U.T.G. - Prefettura di Milano e di U.T.G. -
Prefettura di Roma e di U.T.G. - Prefettura di Udine, di Roma Capitale e del
Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196,
commi 1 e 2;
Relatore nella camera di consiglio del
giorno 12 febbraio 2015 la dott.ssa Stefania Santoleri e uditi per le parti i
difensori come specificato nel verbale;
Visto l’articolo 60, comma 1, c.p.a., che
facoltizza il Tribunale amministrativo regionale a definire il giudizio nel
merito, con sentenza in forma semplificata, in sede di decisione della domanda
cautelare, una volta verificato che siano trascorsi almeno venti giorni
dall’ultima notificazione del ricorso e dieci giorni dal suo deposito ed
accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria;
Rilevato che nella specie il presente
giudizio può essere definito con decisione in forma semplificata, ai sensi del
menzionato art. 60, comma 1, c.p.a., stante la completezza del contraddittorio
e della documentazione di causa e che sono state espletate le formalità ivi
previste;
FATTO E DIRITTO
Con il presente ricorso il Codacons ed i
ricorrenti indicati in epigrafe hanno impugnato la circolare ministeriale n.
40/ba.030/011/DAIT del 7 ottobre 2014, con la quale sono state impartite
direttive alle Prefetture italiane affinché rivolgano a loro volta ai sindaci
formale invito a non trascrivere più, nei registri dello stato civile, gli atti
dei matrimoni celebrati all’estero tra persone dello stesso sesso, nonché a
ritirare e cancellare le trascrizioni già eseguite, con avvertimento che “in
caso di inerzia, si procederà al successivo annullamento d’ufficio degli atti
illegittimamente adottati, ai sensi del combinato disposto degli articoli 21
nonies della legge 241 del 1990 e 54, commi 3 e 11 del d.lgs. 267/2001".
Hanno impugnato anche i provvedimenti dei
Prefetti di Roma, Milano, Pesaro-Urbino e Udine di formale invito ai Sindaci, a
provvedere alla cancellazione, ove effettuate, delle trascrizioni nei registri
dello stato civile dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, in puntuale
esecuzione della circolare ministeriale impugnata, nonché i provvedimenti del
Prefetto di Roma del 31 ottobre 2014 e del Prefetto di Udine del 27 ottobre
2014 di annullamento di ufficio delle trascrizioni nei registri dello stato
civile dei matrimoni contratti all’estero tra due persone dello stesso sesso.
Si sono costituiti in giudizio sia il
Comune di Napoli che Roma Capitale.
Nel costituirsi in giudizio,
l’Amministrazione resistente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per
difetto di legittimazione attiva e per carenza di interesse ad agire.
Con riferimento al Codacons, ha rilevato
che il suo statuto fa riferimento a finalità del tutto inconferenti rispetto
all’oggetto del presente giudizio, in quanto il riferimento contenuto nello
statuto alla “tutela della dignità della persona umana” è strettamente
collegato al rispetto dell’equilibrio tra uso delle risorse ambientali e
sviluppo della società al fine di garantire il diritto alla salute. Ha quindi
precisato che tra le finalità del Codacons non è ricompresa la tutela di
diritti civili diversi dal diritto al rispetto dell’ambiente e della salute.
Dai provvedimenti impugnati non deriverebbe alcuna lesione agli interessi della
categoria dei consumatori di cui l’associazione costituisce ente esponenziale.
Con riferimento ai ricorrenti persone
fisiche, non sarebbe allegato il titolo che li legittimerebbe al ricorso
avverso la circolare ed i provvedimenti prefettizi, in quanto nessuno di loro
rientra nell’elenco delle persone la cui trascrizione del matrimonio è stata
annullata. Con riferimento ai soli due ricorrenti -OMISSIS- e -OMISSIS- viene
allegato che avrebbero contratto matrimonio all’estero, ma non viene
documentato che la trascrizione del loro matrimonio sia stata annullata, che il
loro matrimonio sia stato trascritto, o che essi abbiano richiesto la
trascrizione del loro matrimonio.
L’eccezione è solo parzialmente fondata.
Come ricordato in precedenza, il presente
ricorso investe sia la circolare ministeriale che impartisce direttive alle Prefetture
italiane in merito alla problematica relativa alla trascrizione nei registri
dello stato civile dei matrimoni celebrati all’estero da persone appartenenti
allo stesso sesso, sia gli atti applicativi della circolare stessa, ed in
particolare i provvedimenti prefettizi di annullamento delle trascrizioni
eseguiti dai sindaci del Comune di Roma e di Udine.
Nei confronti di questi ultimi atti,
ritiene il Collegio che non sia stata fornita la prova della legittimazione al
ricorso e dell’interesse ad agire, in quanto si tratta di atti che incidono su
specifiche posizioni giuridiche, con la conseguenza che sono legittimati alla
loro impugnativa i soli soggetti direttamente lesi dai provvedimenti
prefettizi, e cioè i soggetti che hanno trascritto gli atti (nella fattispecie
il Sindaco di Roma e quello di Udine nella qualità di ufficiale dello stato
civile) ed i destinatari delle trascrizioni: ne consegue che non sono
legittimati al ricorso, né sono titolari del relativo interesse, né il Codacons
che agisce a tutela di interessi collettivi, risolvendosi altrimenti l’azione
in una non consentita sostituzione processuale, né i ricorrenti persone fisiche
che non rientrano nell’elenco dei soggetti ai quali è stata annullata la
trascrizione dell’atto di matrimonio.
Del resto, nella memoria costoro fondano
la loro legittimazione ed interesse al ricorso sostenendo che sarebbe
“pregiudicato il loro diritto a vedere trascritto nei registri dello stato
civile l’atto di matrimonio eventualmente contratto all’estero con persone
dello stesso sesso” facendo riferimento alla circolare ministeriale e non
certamente agli specifici atti di annullamento delle trascrizioni di matrimoni
relative a soggetti terzi.
Con riferimento alla circolare
ministeriale, il Collegio ritiene invece infondata l’eccezione dell’Avvocatura
erariale.
Nei confronti di questo atto, infatti, i
ricorrenti persone fisiche sono titolari sia della legittimazione che
dell’interesse al ricorso in quanto la circolare ministeriale, dettando
direttive comuni su tutto il territorio nazionale per la trascrizione dei
matrimoni omosessuali, si presenta come immediatamente lesiva degli interessi
non soltanto di chi ha chiesto la trascrizione dell’atto di matrimonio
celebrato all’estero e gli è stata negata, ma anche di chi è interessato a
richiederla, e trova nella circolare stessa un limite invalicabile, del quale
il successivo rifiuto da parte dell’ufficiale dello stato civile si appalesa
come atto meramente consequenziale, applicativo delle disposizioni recate dalla
circolare stessa.
E’ dunque sufficiente a fondare la
legittimazione al ricorso la precedente celebrazione del matrimonio all’estero,
che costituisce il presupposto in base al quale poter richiedere la
trascrizione del matrimonio, circostanza che risulta provata per i ricorrenti
-OMISSIS-e -OMISSIS-, che a dimostrazione della loro posizione differenziata
hanno prodotto in giudizio il certificato di matrimonio.
Resta da esaminare la questione della
legittimazione e dell’interesse al ricorso nei confronti della circolare
ministeriale con riferimento al Codacons.
Ritiene il Collegio che l’eccezione sia
infondata.
Correttamente il Codacons ha rilevato
nella propria memoria che la controversia riguarda la gestione da parte della
Pubblica Amministrazione dei registri dello stato civile, in relazione alla
quale il cittadino si pone nella veste di utente, al quale debbono essere
garantiti i servizi pubblici comprendenti l’iscrizione o la trascrizione, il
rilascio di copia, di certificati e così via.
La circolare impugnata, dettando direttive
in ordine alla tenuta dei registri dello stato civile, con particolare
riferimento alla trascrizione dei matrimoni omosessuali, è idonea ad incidere
sulla fruizione da parte dei cittadini del relativo servizio.
Ebbene il Codacons è legittimato – per
statuto – ad agire in giudizio in difesa a tutela del diritto dei cittadini
alla corretta gestione da parte della P.A. del suddetto servizio pubblico, in
quanto ente esponenziale dei diritti degli utenti dei servizi pubblici, tra i
quali rientra anche quello relativo alla corretta amministrazione dei registri
relativi allo stato civile.
L’eccezione deve essere quindi respinta
Passando all’esame del merito della
controversia, il Collegio ritiene opportuno, anzitutto, prendere in
considerazione il quadro normativo e giurisprudenziale relativo alla
celebrazione ed alla trascrizione dei matrimoni celebrati in Italia e
all’estero.
L’art. 27, comma 1, della legge n.
218/1995 (recante la riforma del diritto internazionale privato), stabilisce
che “la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio
sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del
matrimonio”.
Tale disposizione va letta in combinato
disposto con l’art. 115 del codice civile, secondo cui “il cittadino è soggetto
alle disposizioni contenute nella sezione prima di questo capo, anche quando
contrae matrimonio in paese straniero secondo le forme ivi stabilite”.
Da tali disposizioni deriva che – a
prescindere della validità formale del matrimonio celebrato applicando una
legge straniera -, all’ufficiale di stato civile italiano spetta, ai fini della
trascrizione, il potere/dovere di verificare la sussistenza dei requisiti
sostanziali necessari (avuto riguardo alla normativa nazionale) per celebrare un
matrimonio che possa avere effetti giuridicamente rilevanti.
Sotto questo profilo, ai sensi del codice
civile, la diversità di sesso dei nubendi costituisce un requisito sostanziale
necessario affinché il matrimonio produca effetti giuridici nell’ordinamento
interno, posto che, allo stato, l’istituto del matrimonio si fonda sulla
diversità di sesso dei coniugi, come si evince dall’art. 107 c.c., il quale
stabilisce che l’ufficiale dello stato civile “riceve da ciascuna delle parti
personalmente, l'una dopo l'altra, la dichiarazione che esse si vogliono
prendere rispettivamente in marito e in moglie, e di seguito dichiara che esse
sono unite in matrimonio”.
In linea con tale assunto si pongono gli
articoli 108, 143 e 143 bis del codice civile, e l’art. 64, comma 1, lett. e)
del d.P.R. n. 396/2000.
La normativa nazionale che non consente la
celebrazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso e la sua
trascrizione nei registri dello stato civile, è stata ritenuta
costituzionalmente legittima.
Con sentenza n. 138 del 2010 la Corte
Costituzionale ha, infatti, affermato che l’art. 29 Cost. si riferisce alla
nozione di matrimonio definita dal codice civile come unione tra persone di
sesso diverso e questo significato del precetto costituzionale non può essere
superato con un’interpretazione creativa né, peraltro, con specifico
riferimento all’art. 3, comma 1, Cost., le unioni omosessuali possono essere
ritenute tout court omogenee al matrimonio.
Con sentenza n. 170 dell’11 giugno 2014,
la Consulta è intervenuta sulla normativa che prevede l’automatica cessazione
degli effetti civili del matrimonio in caso di rettificazione di attribuzione
di sesso di uno dei due coniugi, affermando che “la nozione di matrimonio
presupposta dal Costituente (cui conferisce tutela l’art. 29 Cost.) è quella
stessa definita dal codice civile del 1942 che stabiliva e tuttora stabilisce
che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso (sentenza n. 138 del
2010”, (punto 5.2. del Considerato in diritto), e segnalando il requisito dell’eterosessualità
del matrimonio (punto 5.1. del Considerato in diritto).
La Consulta ha stabilito che tra le
formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., in grado di favorire il pieno
sviluppo della persona umana nella vita di relazione, nel contesto di una
valorizzazione del modello pluralistico, rientra anche l’unione omosessuale ma,
ha evidenziato che spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena
discrezionalità politica, individuare con atto di rango legislativo le forme di
garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, scegliendo, in
particolare, se equiparare tout court il matrimonio omosessuale a quello
eterosessuale, ovvero introdurre forme diverse di riconoscimento giuridico
della stabile convivenza della coppia omosessuale.
In tale contesto, la Corte costituzionale
ha ritenuto di poter intervenire solo per tutelare specifiche situazioni, come
avvenuto con le sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988, in materia di
locazioni e di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale per le
convivenze more uxorio.
In sostanza, allo stato dell’attuale
normativa nazionale italiana, il matrimonio celebrato all’estero tra persone
dello stesso sesso risulta privo dei requisiti sostanziali necessari per
procedere alla sua trascrizione, ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 396/2000,
come confermato dalla giurisprudenza, la quale ha affermato che
“l’intrascrivibilità delle unioni omosessuali dipende non più dalla loro
inesistenza e neppure dalla invalidità, ma dalla loro inidoneità a produrre,
quali atti di matrimonio, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento
italiano” (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 4184 del 2012, la quale ha ad
oggetto una vicenda analoga a quella oggetto del presente giudizio, relativa ad
una richiesta di trascrizione di un matrimonio contratto all’estero da due
cittadini italiani dello stesso sesso, rifiutata dall’ufficiale di stato civile
del Comune di Latina. Sul punto, cfr. anche Corte di Cassazione, sentenze n.
1808 del 1976, n. 1304 del 1990, n. 1739 del 1999, n. 7877 del 2000).
A tale riguardo, come correttamente
rilevato dall’Amministrazione resistente, non assume particolare rilievo, in
senso contrario, l’art. 65 della legge n. 218/1995, considerato che l’atto di
matrimonio celebrato all’estero, sebbene soggetto a determinate forme solenni
che prevedono la ricezione della volontà dei nubendi da parte dei soggetti
investiti di un pubblico ufficio, non risulta assimilabile ad un provvedimento
proveniente dall’autorità amministrativa o giurisdizionale, costituendo un atto
negoziale che non incide sull’individuazione della normativa che disciplina gli
effetti del matrimonio nell’ordinamento interno (cfr. la richiamata sentenza
della Corte di Cassazione n. 4184 del 2012, che va condivisa a prescindere
dall’isolato precedente contrario del Tribunale di Grosseto del 3-9 aprile
2014, annullato in sede di reclamo della Corte d’appello di Firenze con decreto
del 19 settembre 2014).
La disciplina nazionale non risulta in
aperto contrasto con la normativa europea, se si considera quanto stabilito
dagli articoli 12 della CEDU e 9 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea (cd. “Carta di Nizza”).
L’articolo 12 della CEDU, infatti,
stabilisce che “uomini e donne in età adatta hanno diritto di sposarsi e di
fondare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale
diritto”, e, quindi, fa riferimento alla nozione tradizionale di matrimonio
fondato sulla diversità di sesso dei nubendi, rinviando alla legislazione dei
singoli Stati per la disciplina delle condizioni che regolano l’esercizio del
diritto.
L’articolo 9 della Carta di Nizza, invece,
prevede che “il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia
sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”,
omettendo il riferimento alla diversità di sesso dei nubendi e lasciando, così,
al legislatore nazionale la possibilità di riconoscere le unioni tra persone
dello stesso sesso.
In tale contesto normativo europeo, la
Corte Europea dei diritti dell’uomo, con pronuncia del 24 giugno 2010 (Prima
Sezione, caso Schalk e Kopf contro Austria: in un caso analogo a quello oggetto
del presente giudizio), ha affermato che il rifiuto dell’ufficiale di stato
civile di adempiere le formalità richieste per la celebrazione di un matrimonio
tra persone dello stesso sesso non contrasta con la CEDU, osservando che il
matrimonio ha connotazioni sociali e culturali radicate che possono differire
molto da una società all’altra sicché, va rimessa ai legislatori nazionali di
ciascuno Stato aderente la decisione di permettere o meno il matrimonio
omosessuale e la conseguente decisione in merito alla trascrivibilità o meno
dello stesso (cfr. Corte di giustizia UE nella sentenza 31.5.2001, cause
riunite C-122/99 P e C-125/99 P, circa la nozione di matrimonio come “unione di
due persone di sesso diverso”).
Concludendo sul punto, va detto che, allo
stato dell’attuale normativa e fatto salvo un intervento legislativo al
riguardo, che ponga la legislazione del nostro Paese in linea con quella di
altri Stati, europei e non -, le coppie omosessuali non vantano in Italia né un
diritto a contrarre matrimonio, né la pretesa alla trascrizione di unioni
celebrate all’estero, anche se le unioni tra persone dello stesso sesso non
possono essere considerate contrarie all’ordine pubblico (cfr. la richiamata
sentenza della Corte di Cassazione n. 4184 del 2012).
In tale contesto, la circolare del 7
ottobre 2014 del Ministro dell’Interno non risulta illegittima nella parte in
cui si afferma l’intrascrivibilità dei matrimoni tra persone dello stesso sesso
derivante “dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio,
qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano”, in considerazione del
difetto di un requisito sostanziale richiesto dalla normativa vigente in
materia di stato e capacità delle persone (la diversità di sesso dei nubendi)
che non può essere superato dalla mera circostanza dell’esistenza di una
celebrazione valida secondo la lex loci ma priva dei requisiti sostanziali
prescritti dalla legge italiana relativamente allo stato e alla capacità delle
persone.
Tuttavia, va esaminata la legittimità
dell’ultima parte della medesima circolare, avente ad oggetto il potere di
intervento diretto del Prefetto sui registri dello stato civile.
Al riguardo, va rilevato che – come
correttamente osservato dall’Amministrazione resistente -, l’attività di tenuta
dei registri dello stato civile rientra nell’ambito delle competenze statali,
svolte in via delegata, secondo le previsioni dell’art. 1 comma 2 del D.P.R. 396/2000,
dal sindaco quale ufficiale del Governo o da chi lo sostituisce a norma di
legge, ai sensi dell’art. 54 del TUEL (attinente alle “attribuzioni del sindaco
nei servizi di competenza statale”) il cui comma 3 prevede che il sindaco
sovrintende alla tenuta dei registri dello stato civile in qualità di ufficiale
di Governo.
A parere della parte resistente, in tale
ambito rientra un potere di sovraordinazione dell’amministrazione dello Stato
rispetto all’attività svolta dal sindaco, posto che in questa veste il sindaco
non rappresenta la comunità locale ma attua la legge nazionale ed è, perciò,
tenuto, ai sensi dell’art. 9 del d.P.R. 396/2000, “... ad uniformarsi alle
istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell'Interno”.
Da ciò, il Ministero dell’Interno desume
una relazione gerarchica intercorrente con il potere esecutivo rispetto ai
servizi di competenza statale, posto che il citato articolo 9 del d.P.R. n.
396/2000 prevede anche che “la vigilanza sugli uffici dello stato civile spetta
al Prefetto”.
In sostanza, al Prefetto, quale organo
territoriale del Governo (e, quindi, titolare della funzione di stato civile in
ambito provinciale) spetterebbe il potere di annullare atti non conformi al
quadro normativo vigente, adottati dal sindaco (o da un suo delegato)
nell’esercizio di una funzione statale.
Il potere di annullamento d’ufficio in via
gerarchica costituirebbe espressione del medesimo interesse pubblico alla
regolare ed uniforme tenuta dei registri dello stato civile garantito con il
riconoscimento del potere di indirizzo e di vigilanza sugli uffici dello stato
civile (citato art. 9) e di intervento sostitutivo in caso di inerzia da parte
degli ufficiali di stato civile (citato art. 54, comma 11).
Sul punto, l’Amministrazione resistente ha
osservato che anche la giurisprudenza ha affermato che nelle materie di
competenza statale nelle quali il Sindaco agisce nella veste di ufficiale del
Governo, spetta al Prefetto promuovere ogni misura idonea a garantire l’unità
di indirizzo e di coordinamento, promuovendo le misure occorrenti e svolgendo,
così, una fondamentale funzione di garante dell’unità dell’ordinamento in
materia, anche esercitando “il potere di annullamento d’ufficio degli atti
adottati dal sindaco quale ufficiale di governo, che risultano essere
illegittimi o che comunque minano la menzionata unità di indirizzo” (cfr. Cons.
Stato, Sez. V, 19 giugno 2008, n. 3076).
Per completezza, va rilevato che la parte
resistente ha anche negato la violazione dell’art. 95 del d.P.R. n. 396/2000
(“Delle procedure giudiziali di rettificazione relative agli atti dello stato
civile e delle correzioni”), osservando che detta norma sarebbe applicabile al
singolo che intenda ottenere la rettificazione di un atto dello stato civile
che lo riguarda e non al Ministro dell’interno (e, per esso, al Prefetto) che,
in quanto titolare della funzione di stato civile, si proponga di rimuovere gli
effetti di atti illegittimamente posti in essere, in contrasto con una sua
precisa direttiva, da parte del sindaco in veste di ufficiale del Governo, in
spregio alla propria posizione di subordinazione rispetto ad esso.
Quanto all’annotazione a margine dei
registri dello stato civile del decreto prefettizio, è stato precisato che si
tratta di una operazione materiale, conseguente al provvedimento di
annullamento, resa necessaria dalla particolare natura della trascrizione e
dalla necessità di rimuovere gli effetti di un atto illegittimamente posto in
essere e non consentito dall’attuale ordinamento dello stato civile: quindi, tale
adempimento non sarebbe in contrasto con l’art. 453 c.c., che riguarda le
ipotesi di ulteriori annotazioni in calce a quelle correttamente eseguite e non
(come nel caso di specie) una mera operazione esecutiva del decreto
prefettizio, conseguente all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di
un atto illegittimamente trascritto, che si fonda sulla sovraordinazione del
Prefetto rispetto all’Ufficiale di stato civile.
Sempre sotto il profilo della disciplina
del potere di annullamento d’ufficio, l’Amministrazione resistente ha affermato
l’applicabilità dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, in quanto la
trascrizione nel registro dell’atto di matrimonio integra un provvedimento
amministrativo e, quindi, è soggetto alla disciplina della legge n. 241 del
1990.
Il Collegio ritiene che le censure di
parte ricorrente aventi ad oggetto i poteri dell’Amministrazione centrale in
materia di stato civile siano fondate e debbano essere accolte, nei limiti di
seguito indicati.
La disciplina dello stato civile prevede
che "Nessuna annotazione può essere fatta sopra un atto già iscritto nei
registri se non è disposta per legge ovvero non è ordinata dall'autorità
giudiziaria" (art. 453 c.c.).
Il DPR n. 396/2000 (recante il Regolamento
per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a
norma dell'articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127), prevede che
"Gli atti dello stato civile sono redatti secondo le formule e le modalità
stabilite con decreto del Ministro dell'interno" (art. 12, comma 1);
"L'ufficiale dello stato civile non può enunciare, negli atti di cui è
richiesto, dichiarazioni e indicazioni diverse da quelle che sono stabilite o
permesse per ciascun atto" (art. 11, comma 3); “Le annotazioni disposte per
legge od ordinate dall'autorità giudiziaria si eseguono per l'atto al quale si
riferiscono, registrato negli archivi di cui all'articolo 10, direttamente e
senza altra formalità dall'ufficiale dello stato civile di ufficio o su istanza
di parte" (art. 102, comma 1); "Gli atti dello stato civile sono
chiusi con la firma dell'ufficiale dello stato civile competente.
Successivamente alla chiusura gli atti non possono subire variazioni"
(art. 12, comma 6).
Dal tenore dell’insieme di tali
disposizioni si evince che il sistema dello stato civile prevede puntuali
possibilità di intervento sui registri dello stato civile, tra cui non è
compresa quella posta in essere dal Prefetto di Roma.
In sostanza, dalle norme richiamate si
evince che un intervento quale quello posto in essere nel caso di specie
dall’Amministrazione centrale, compete solo all'Autorità giudiziaria.
Conferme in tal senso si traggono anche
dalle ulteriori norme di seguito indicate.
L'art. 5, comma 1, lettera a), del D.P.R.
396/2000, prevede che "L'ufficiale dello stato civile, nel dare attuazione
ai principi generali sul servizio dello stato civile di cui agli articoli da
449 a 453 del codice civile e nel rispetto della legge 31 dicembre 1996, n.
675, espleta i seguenti compiti: a) forma, archivia, conserva e aggiorna tutti
gli atti concernenti lo stato civile" mentre, l'art. 98, del D.P.R. n.
396/2000, prevede che "L'ufficiale dello stato civile, d'ufficio o su
istanza di chiunque ne abbia interesse, corregge gli errori materiali di
scrittura in cui egli sia incorso nella redazione degli atti mediante
annotazione dandone contestualmente avviso al prefetto, al procuratore della
Repubblica del luogo dove è stato registrato l'atto nonché agli
interessati.".
In sostanza, l'ufficiale di stato civile
ha solo il potere di aggiornare i Registri e di correggere gli eventuali errori
materiali.
L'art. 95, comma 1, del D.P.R. n.
396/2000, stabilisce che "Chi intende promuovere la rettificazione di un
atto dello stato civile o la ricostituzione di un atto distrutto o smarrito o
la formazione di un atto omesso o la cancellazione di un atto indebitamente
registrato, o intende opporsi a un rifiuto dell'ufficiale dello stato civile di
ricevere in tutto o in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione,
una annotazione o altro adempimento, deve proporre ricorso al tribunale nel cui
circondario si trova l'ufficio dello stato civile presso il quale è registrato
l'atto di cui si tratta o presso il quale si chiede che sia eseguito
l'adempimento", mentre l'art. 109, del D.P.R. n. 396/2000, specifica che
"I tribunali della Repubblica sono competenti a disporre le rettificazioni
e le correzioni di cui ai precedenti articoli anche per gli atti dello stato
civile ricevuti da autorità straniere, trascritti in Italia, ed a provvedere per
la cancellazione di quelli indebitamente trascritti".
In definitiva, tali disposizioni non
prevedono competenze o poteri di annullamento o di autotutela aventi ad oggetto
la trascrizione di matrimoni, ma solo la possibilità di disporre l'annotazione
di rettificazioni operate dall’Autorità giudiziaria (ex art. 69, comma 1, lett.
i, del DPR n. 396/2000), come si evince dal D.M. 5 aprile 2002, il quale nel
prescrivere le formule tassative di annotazione (cfr. artt. 11, comma 3, e 102,
comma 1, del D.P.R. n. 396/2000), all'Allegato A) formula n. 190, stabilisce
quanto segue: "Annotazione di provvedimento di rettificazione (artt. 49,
69 e 81 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396). Con provvedimento del Tribunale di
... n. ... in data ... l'atto di cui sopra è stato cosi rettificato (inserire
specificamente le rettificazioni così come sono state disposte) ...". Non
si rinvengono altre previsioni contenute nel citato articolo 69 che dispongano
l'annotazione di qualche diverso provvedimento del genere, ovvero formule di
cui al DM 5 aprile 2002 che si riferiscano ad atti del genere adottati
dall'Autorità amministrativa.
Quindi, una trascrizione nel Registro
degli atti di matrimonio può essere espunta e/o rettificata solo in forza di un
provvedimento dell'Autorità giudiziaria e non anche adottando un provvedimento
amministrativo da parte dell’Amministrazione centrale, neanche esercitando il
potere di sovraordinazione che, effettivamente, il Ministro dell'Interno vanta
sul Sindaco in tema di stato civile.
L'art. 9 del D.P.R. n. 396/2000, infatti,
conferisce al Ministro dell’Interno il potere di "indirizzo" ed al
Prefetto il potere di "vigilanza" sugli Uffici. Tale potere trova
specificazione nel medesimo decreto presidenziale ove si indicano quali sono
gli atti dei quali si deve dare comunicazione al Prefetto prevedendo,
all'articolo 104, le verificazioni che egli deve compiere presso gli uffici di
stato civile che (ex articolo 105) si concludono con la redazione di un verbale
e non con la modifica delle risultanze dei registri di stato civile o con
l'adozione di provvedimenti destinati a tal fine.
In sostanza, anche sotto questo profilo,
la normativa di riferimento non prevede un potere di annullamento o di
intervento diretto dell’Amministrazione centrale sugli atti dello stato civile.
Né un potere del genere può evincersi
dall'art. 54, commi 3 ed 11, del TUEL (richiamato nel decreto prefettizio),
posto che tali disposizioni prevedono il potere del Prefetto di sostituirsi al
Sindaco in caso di inerzia di quest'ultimo nel sovrintendere agli uffici di
stato civile.
Al riguardo, va rilevato, da una parte,
che il potere sostitutivo può essere esercitato solo "nel caso di inerzia
del Sindaco" (e non, come nel caso di specie, nell'ipotesi in cui il
Sindaco abbia esercitato le funzioni) e, dall’altro, che il Prefetto
sostituendosi al Sindaco (come detto, solo in caso di inerzia) non potrebbe
esercitare poteri maggiori di quelli vantati da questo ultimo il quale non può
annullare le trascrizioni sicché, atti del genere non può assumerli neanche il
Prefetto. Tale facoltà risulta inibita dovendo il Sindaco (e, quindi, anche
l’Amministrazione centrale) ricorrere al giudice in casi del genere, fatta
salva l'ipotesi della rettifica di meri errori materiali (ex art. 98, del
D.P.R. n. n. 396/2099). Solo questo (e non altri) costituisce oggetto di un
potere di intervento successivo permesso all'Ufficiale dello stato civile.
Questo conferma che spetta solo
all'Autorità giudiziaria disporre la cancellazione di un atto indebitamente
registrato nel Registro degli atti di matrimonio, posto che: le registrazioni
dello stato civile non possono subire variazioni se non nei limitati casi
descritti e normativamente previsti in modo espresso; l'ufficiale di stato
civile ha solo il potere di aggiornare i registri e di correggere gli errori
materiali; ogni rettificazione o cancellazione è attribuita alla competenza
dell'autorità giudiziaria ordinaria; fra le annotazioni possibili nel registro
dei matrimoni non è previsto alcun atto di annullamento o di autotutela ma,
solo l'annotazione della rettificazione giudiziaria.
Come detto, una volta eseguita la
trascrizione di un atto nel registro degli atti di matrimonio (ai sensi
dell'art. 63 del Regolamento), la stessa possa subire modificazioni o
cancellazioni solo forza di un provvedimento dell'autorità giudiziaria e non
anche a causa dell’adozione di un provvedimento amministrativo.
Del resto, se fosse configurabile un
potere di sovraordinazione del Prefetto rispetto al Sindaco (quale quello
descritto dall’Amministrazione resistente), esercitabile attraverso un potere
di annullamento da parte dell'autorità amministrativa centrale (omettendo di
applicare il citato articolo 95 del D.P.R. n. 396/2000), tale potere non
sarebbe configurabile solo in capo al Ministero dell’Interno ma anche in capo
all’Ufficiale di stato civile. Il Sindaco non vanterebbe solo il potere di
aggiornamento (ex art. 5 del Regolamento) e correzione di errori materiali (ex
art. 98 del Regolamento) ma, un vero e proprio potere di revisione degli atti
di stato civile.
Tuttavia, l’esistenza di tale potere e la
possibilità di adottare i relativi provvedimenti conseguenti dovrebbe trovare
espressione e previsione nella disciplina dello stato civile ed, invece, non si
fa menzione di tutto ciò né all'art. 69 del D.P.R. 396/2000, che disciplina le
annotazioni, né nel D.M. 5 aprile 2002, che (come detto) contiene le formule
tassative delle annotazioni stesse.
Inoltre, se tale potere esistesse non ci
sarebbe bisogno di prevedere espressamente ed in maniera puntuale, all'art. 98,
il potere per l'Ufficiale di stato civile di procedere alle correzioni di
errore materiale.
Infine, se (come sostiene
l’Amministrazione resistente) il Titolo XI del D.P.R. n. 396/2000 non fosse
destinato a disciplinare anche le iniziative dell'autorità amministrativa, ma
solo quelle dei terzi, non si spiegherebbe perché nel medesimo titolo sono
disciplinate le ipotesi di "rettificazione" e
"cancellazione" all'art. 95 e le ipotesi di "correzione di
errore materiale" all'art. 98, rimettendosi le prime alla decisione
dell'autorità giudiziaria e solo le seconde all'autorità amministrativa.
Tali conclusioni non mutano neanche
prendendo in considerazione ed applicando la disciplina generale sul
procedimento amministrativo contenuta nella legge n. 241 del 1990, la quale,
all’articolo 21-nonies stabilisce che “Il provvedimento amministrativo
illegittimo … può essere annullato d'ufficio, …, dall'organo che lo ha emanato,
ovvero da altro organo previsto dalla legge.”.
In sostanza, in base al principio della
riserva di legge dettato in materia (cfr. art. 97. co. 3, Cost.), affinché ad
un organo amministrativo possa annullare d’ufficio un provvedimento adottato da
un altro organo, occorre una espressa previsione di legge.
Nel caso di specie, come detto, manca una
norma di rango primario che, espressamente, conferisca all’Amministrazione
centrale il potere di adottare, in casi del genere, un atto di annullamento
d’ufficio.
E’ pertanto inconferente il precedente
giurisprudenziale richiamato dalla difesa erariale (Cons. Stato, Sez. V, 19
giugno 2008, n. 3076) che si riferisce a tutt’altra vicenda attinente alla
materia della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, nella quale è
rinvenibile nell’ordinamento la norma attributiva del potere in capo al
Prefetto (cfr. artt. 2 T.U.L.P.S. e 13 c. 3 L. 121/81).
Per completezza, però, va rilevato che è
condivisibile l’orientamento secondo il quale la trascrizione nel registro
dell’atto di matrimonio deve intendersi quale atto avente natura
amministrativa, e non un mero “un atto pubblico formale” con effetto
dichiarativo e di certificazione, sottratto alla disciplina pubblicistica.
Come correttamente osservato
dall’Amministrazione resistente, infatti, costituiscono atti amministrativi gli
atti giuridici di diritto pubblico compiuti dai soggetti attivi della pubblica
amministrazione nell’esercizio di una potestà amministrativa.
Tra tali atti, che possono concretizzarsi
in atti di accertamento consistenti nella constatazione obiettiva di fatti o
situazioni, rientrano i certificati che integrano dichiarazioni di conoscenza
di qualità personali di un soggetto o della titolarità di status, capacità o
diritti o dell’esistenza di rapporti giuridici.
I certificati sono rilasciati in base a
constatazioni dirette della pubblica amministrazione o alle risultanze di atti
in suo possesso e, ai fini che interessano in questa sede, il fatto che gli
atti in questione abbiano natura certificativa non induce a negare che la
trascrizione del matrimonio debba essere considerata un provvedimento
amministrativo e non “un atto pubblico formale” con effetto meramente
dichiarativo e di certificazione, perché anche atti del genere vanno
considerati atti amministrativi.
Alla luce delle considerazioni che
precedono il Collegio ritiene che il ricorso avverso la circolare ministeriale
sia fondato nei soli limiti indicati in motivazione, mentre deve essere
dichiarato inammissibile il ricorso avverso gli atti applicativi della
circolare, meglio indicati nell’epigrafe del ricorso.
Sussistono gravi ed eccezionali motivi –
legati alla particolarità della vicenda e delle questioni trattate – per
compensare le spese di giudizio tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
il Lazio (Sezione Prima Ter)
definitivamente pronunciando sul ricorso,
come in epigrafe proposto,
in parte lo accoglie, nei limiti indicati
in motivazione, ed in parte lo dichiara inammissibile.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di
cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o
della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle
generalità degli altri dati identificativi dei ricorrenti; manda alla
Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima
disposizione, nei termini indicati.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 12 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Savo Amodio,
Presidente
Stefania Santoleri,
Consigliere, Estensore
Roberto Proietti,
Consigliere
L'ESTENSORE
|
IL PRESIDENTE
|
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/03/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)