giovedì 13 giugno 2013
PROVVEDIMENTO: i presupposti dell'autotutela (annullamento o revoca del bando e/ o singole operazioni di gara) "ex" art. 81, co. 3, D.Lgs n. 163/06 (Cons. St., Sez. V, 7 giugno 2013 n. 3125).
PROVVEDIMENTO:
i presupposti dell'autotutela (annullamento o revoca del bando e/ o singole operazioni di gara)
"ex" art. 81, co. 3, D.Lgs n. 163/06
(Cons. St., Sez. V, 7 giugno 2013 n. 3125)
Massima
1. E’ stato affermato in giurisprudenza che la P.A. conserva indiscutibilmente anche in relazione ai procedimenti di gara per la scelta del contraente il potere di annullare o revocare in via di autotutela il bando e le singole operazioni di gara, quando i criteri di selezione si manifestino come suscettibili di produrre effetti indesiderati o comunque illogici tenendo quindi conto delle preminenti ragioni di salvaguardia del pubblico interesse: tale potere di autotutela trova fondamento negli stessi principi costituzionali predicati dall'art. 97 cost., cui deve ispirarsi l'azione amministrativa, e costituisce il pendant dell'obbligo di rispettare le prescrizioni stabilite dalla "lex specialis" della gara, che vincolano non solo i concorrenti, ma la stessa amministrazione (con esclusione di qualsiasi margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione da parte dell'amministrazione e tanto meno della facoltà di disapplicarle, neppure nel caso in cui talune delle regole stesse risultino inopportunamente o incongruamente formulate, salva proprio la possibilità di far luogo, nell'esercizio del potere di autotutela, al loro annullamento) (cfr.C.S.,V, n. . 5681/2012).
2. Ciò premesso, il Collegio osserva che l’esercizio di siffatto potere di autotutela, pur legittimo, incontra un limite nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza e nella tutela dell’affidamento ingenerato, cui consegue - come rilevato dall’appellante – uno stringente obbligo motivazionale; e che parimenti abbisognevole di stringente motivazione è una revoca del bando di gara.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6022 del 2011,
proposto da Sinergie s.p.a. in proprio e quale mandataria di costituendo Rti
con Cristoforetti servizio energia Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti
Vittorio Domenichelli, Paolo Neri, Luigi Manzi, e con domicilio eletto presso
Luigi Manzi in Roma, via Confalonieri 5;
contro
il Comune di Polesella, rappresentato e difeso dagli
avv.ti Mario Barioli e Lorenzo Anelli, e con domicilio eletto presso Lorenzo
Anelli in Roma, piazza dell'Orologio 7;
per la riforma
della sentenza breve del T.a.r. Veneto - Sezione I -
n. 00568/2011, resa tra le parti, concernente affidamento servizio integrato di
gestione e manutenzione illuminazione pubblica; con richiesta risarcitoria.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di
Polesella;
Visti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell'udienza pubblica del 13 novembre 2012 il
Cons. Giancarlo Luttazi;
Uditi per le parti gli avvocati Manzi e Pesce, per
delega dell'avv. Anelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO e DIRITTO
1.1 - Con Determinazione n.178 del 12.4.2010 il
Responsabile del Servizio tecnico del Comune di Polesella, in esecuzione della
deliberazione del Consiglio comunale n. 2 del 25.3.2010, disponeva di procedere
all’esperimento di gara pubblica (asta pubblica con affidamento in base al
criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell’art. 83 del
decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163) per il servizio integrato inerente
la gestione, l’esercizio, la manutenzione ordinaria e straordinaria,
l’esecuzione di ampliamenti degli impianti di pubblica illuminazione del
territorio comunale, ivi compresa la fornitura di energia elettrica e delle
attività connesse alla riqualificazione globale, alla messa a norma, al
collaudo, all’ammodernamento tecnologico e funzionale ed alla progettazione
dell’intera rete di pubblica illuminazione, compresi gli impianti semaforici
lampeggianti, i lampioni fotovoltaici e la segnaletica stradale illuminata.
Pervenivano alla Stazione appaltante, nei termini
assegnati dal bando di gara, le offerte di n. 3 concorrenti, Elettrocostruzioni
s.r.l. (in prosieguo Elettrocostruzioni), Smail s.p.a. (in prosieguo Smail), la
costituenda ATI (in prosieguo Sinergie) tra Sinergie s.p.a. (capofila) e
Cristoforetti servizio energia s.r.l. (mandante).
Alla pubblica seduta del 26.7.2010 la Commissione di
gara, rilevato che due dei tre concorrenti partecipanti alla selezione
(Elettrocostruzioni e Smail) non avevano presentato la cauzione provvisoria di
cui all’art. 75 del decreto legislativo n. 163/2006, sospendeva la seduta per
approfondire la problematica, atteso che né il bando, né il disciplinare di
gara contenevano alcuna prescrizione in merito (verbale di gara n. 1 del
26.7.2010).
Curati gli approfondimenti la Commissione, dopo aver
consentito a Elettrocostruzioni e Smail di integrare con la cauzione
provvisoria la documentazione già presentata, nella seduta pubblica
dell’11.10.2010 ammetteva alla gara le due concorrenti.
Nelle successive sedute del 13 e 27 ottobre 2010 la
Commissione di gara individuava quale migliore offerente Elettrocostruzioni
(con punti 89,542), quale seconda in graduatoria Smail (con punti 63,00), quale
terza Sinergie (con punti 59,348).
Con nota prot. n. 10771 del 13.12.2010 il Comune
inviava a tutti i partecipanti comunicazione dell’avvio del procedimento di
annullamento della gara e degli atti di gara, assegnando il termine di giorni
10 per eventuali memorie scritte e/o osservazioni.
Rigettate le osservazioni presentate da Sinergie,
veniva emesso dal RUP l’atto in autotutela prot. n.274/2010 in data 12.1.2011,
che aveva il seguente contenuto:
- negava l’aggiudicazione a Elettrocostruzioni e la
escludeva perché illegittimamente ammessa (non avendo presentato la garanzia
provvisoria);
- parimenti e per analoghe considerazioni negava
l’aggiudicazione a Smail e la escludeva;
- annullava la graduatoria di cui alla citata seduta
pubblica del 27 ottobre 2010;
- negava l’aggiudicazione (ai sensi dell'art. 81,
comma 3, d.lgs. n. 163/03) a Sinergie, non ritenendone l’offerta soddisfacente
sul piano tecnico-prestazionale (”poiché l’esiguità dei lavori proposti risulta
insoddisfacente ad assicurare la messa a norma degli impianti e la
riqualificazione tecnologica della rete di illuminazione costituenti due degli
obbiettivi principali dell’Amministrazione trasfusi nel bando di gara”; e
"per effetto di una rinnovata valutazione del progetto facente parte
dell'offerta le cui carenze qualitative sono tali da rendere l'offerta non
rispondente rispetto alle esigenze dell’Amministrazione”, per le motivazioni
espresse nella Relazione allegata al provvedimento e sua parte integrante);
- annullava e revocava in via di autotutela il bando e
la procedura di gara e gli atti intervenuti per l'affidamento dell'appalto di
cui trattasi.
Il citato provvedimento prot. n. 274/10 del 12/01/2011
è stato impugnato da Sinergie dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per
il Veneto, il quale ha rigettato il ricorso con la sentenza n. 568/2011, resa
con rito abbreviato e ora appellata da Sinergie.
1.2. – La sentenza n. 568/2011 è oggetto dei seguenti
rilievi in appello.
1) Quanto alla legittimità, affermata dal Tar, della
determinazione di non aggiudicare l'appalto a Sinergie per inidoneità
dell'offerta tecnica vengono lamentati “Difetto e erroneità della motivazione.
Violazione e falsa applicazione di legge. Violazione e falsa applicazione
dell'articolo 81, comma 3, del decreto legislativo n. 163/2006. Violazione del
disciplinare di gara. Eccesso di potere per errore nei presupposti, illogicità
e irragionevolezza manifeste”.
Rileva l’appellante che, così come denunciato in prime
cure, vi è stato da parte dell’Amministrazione mancato assolvimento del
pregnante onere motivazionale imprescindibile per far luogo all'applicazione
dell'art. 81 comma 3, del decreto legislativo n. 163/03.
Altresì, le ragioni (esposte nella impugnata
determinazione prot. n. 274/10 del 12/01/2011 e nella Relazione cui essa fa
rinvio) dell'asserita inadeguatezza tecnica dell'offerta della ricorrente non
sussisterebbero. In particolare non sussisterebbero la esiguità e la
insufficienza dell'importo dei lavori offerti dall'appellante per la messa a
norma, l'ampliamento e la riqualificazione tecnologica del sistema di illuminazione
pubblica comunale: la Relazione, cui la determinazione prot. n. 274/10 del
12/01/2011 fa rinvio, indica l'importo dei lavori previsti dall’appellante in €
309.780,03, cifra ritenuta insufficiente a garantire le esigenze perseguite
dalla Stazione appaltante. Invece l'indicazione del predetto importo (invero,
si sottolinea, già erroneamente riportata nel verbale della Commissione di
gara) è (oltreché insufficientemente motivata) palesemente erronea, poiché,
come si desumerebbe dal computo metrico della ricorrente, essa ha offerto la
realizzazione di interventi per un importo complessivo di € 1.878.613,57.
Inoltre, in particolare:
a)- erroneamente la contestata relazione avrebbe
ravvisato un ulteriore elemento di insufficienza del progetto della ricorrente
nella circostanza che essa non avrebbe offerto alcun nuovo punto luce,
limitandosi a confermare i 1105 punti luce già esistenti nel territorio
comunale; sostiene l’appellante che gli atti di gara richiedevano che fossero
garantiti almeno i livelli attuali dell’illuminamento e attribuivano un
punteggio minimo per la implementazione dei punti luce (solo 1 punto su 100
complessivamente disponibili); non era quindi sostenibile l’assunto della
Amministrazione secondo cui la mancata implementazione costituiva elemento di
presunta inidoneità tecnica della offerta;
b) - circa la conformità alla legge regionale 7 agosto
2000, n. 17 la contestata Relazione recherebbe l’errato rilievo che la
Relazione progettuale della ricorrente, nell'indicare le apparecchiature
obsolete da sostituire in numero di 293, contrasta con la Relazione predisposta
dall'Ufficio tecnico in preparazione del bando di gara, nella quale veniva
rilevato che la metà delle armature esistenti (circa 600) non sarebbero più a
norma e dovrebbero essere pertanto oggetto di sostituzione. Questa erroneità
risulterebbe dalla circostanza che nella documentazione di gara fornita dalla
Stazione appaltante non era fatto alcun riferimento alla suddetta Relazione
dell'Ufficio tecnico del Comune: invece l'unico elaborato rilevante sarebbe
costituito dall' "Elenco impianti esistenti" (allegato C al
Capitolato speciale), nel quale sono quantificati rispettivamente in 69 e 75 le
plafoniere e i pali da sostituire. Pertanto l'offerta della ricorrente, nel
proporre la immediata sostituzione di 293 plafoniere e di 139 sostegni sarebbe
addirittura di gran lunga migliorativa rispetto a quanto richiesto
dall’Amministrazione nel citato "Elenco impianti esistenti";
c)- del tutto inconsistenti e generiche, infine,
sarebbero le contestazioni espresse dal Responsabile unico del procedimento con
riferimento alla incongruità con le norme UNI 11248 e UNI EN 1321-2 del
progetto predisposto dal ricorrente. Infatti la classificazione delle strade
del territorio comunale sotto il profilo della categoria illuminotecnica di
appartenenza ( che peraltro sarebbe stata comunque correttamente compiuta dalla
appellante) sarebbe semplice proposta del progettista, dovendo essere
necessariamente approvata dall'ente; inoltre quella classificazione non
rappresentava in fase di gara un elemento di valutazione delle offerte
pervenute.
2) Quanto alla determinazione di annullare e revocare
in autotutela il bando della procedura di gara e gli atti intervenuti vengono
lamentati “Violazione e falsa applicazione degli artt. 21 nonies e 21 quinquies
della legge n. 241/1990. Eccesso di potere per errore nei presupposti, difetto
di motivazione, illogicità, incongruità e irragionevolezza manifeste,
contraddittorietà interna. Eccesso di potere per sviamento”.
In particolare:
- a seguito della mancata presentazione da parte di
Elettrocostruzioni e Smail della cauzione provvisoria (imposta dalle norme di
legge, art.75 d.lgs n.163/2006, e quindi obbligatoria) l’Amministrazione non
doveva prendere spunto per annullare il bando e la procedura di gara, ma doveva
limitarsi ad escludere le due concorrenti inadempienti;
- illegittimamente l’Amministrazione non si è limitata
a ritenere non idonea l'offerta della ricorrente ma ha voluto, in aggiunta,
annullare il bando per evitare in ogni caso di dover aggiudicare l'appalto alla
ricorrente ove quest'ultima riesca nel presente giudizio a dimostrare la piena
congruità della propria offerta; il che vizia l'impugnato provvedimento anche
per sviamento di potere.
1.3 - Da ultimo l'atto d'appello reitera le istanze
risarcitorie disattese dal giudice di primo grado.
In proposito l'appellante confida di conseguire
l’aggiudicazione per effetto dell’accoglimento dell'istanza cautelare proposta
unitamente all'appello; e, nell'ipotesi di rigetto della istanza cautelare e di
successivo affidamento del servizio ad altra ditta in esito a nuova procedura
di gara, formula specifica domanda di risarcimento, chiedendo la condanna
dell’Amministrazione al ristoro del danno patito a seguito della mancata
aggiudicazione della commessa.
In via del tutto subordinata parte appellante,
nell'ipotesi che il Collegio dovesse ritenere comunque legittima la revoca del
bando e degli atti di gara (disposta dal Comune in ragione della mancata
previsione nel bando medesimo dell'obbligo di produzione della cauzione
provvisoria), afferma la responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione,
che pertanto sarebbe tenuta al risarcimento delle spese sostenute dalla
ricorrente per la partecipazione alla gara e che sono nell’appello quantificate
in oltre € 40.000, con riserva di più precisa determinazione nel prosieguo del
giudizio.
2. – Il Comune di Polesella si è costituito, svolgendo
ampie controdeduzioni.
Entrambe le parti hanno depositato memorie e
documenti.
Nella camera di consiglio del 30/08/11 il Presidente
del Collegio giudicante, su conforme istanza dei difensori presenti, ha
disposto che la trattazione del ricorso fosse rinviata al merito.
La causa è passata in decisione all'udienza pubblica
del 13 novembre 2012.
3.0 - L'appello va accolto.
3.1 -Precisa l'appellante che con il provvedimento
impugnato in prime cure il Comune, dopo aver correttamente escluso dalla
procedura concorsuale la prima e seconda ditta classificata, ha negato
l’aggiudicazione a Sinergie - unico concorrente rimasto in gara - sulla base
della presunta inidoneità tecnica dell'offerta, con ciò avvalendosi della
facoltà riconosciuta alla Stazione appaltante dall'articolo 81, comma 3, del
decreto legislativo n. 163/2006 di "non procedere all'aggiudicazione se
nessun offerta risulti conveniente o idonea in relazione all'oggetto del
contratto".
Rileva Sinergie che la giurisprudenza amministrativa
ha chiarito che l'esercizio di questa facoltà è gravata da uno specifico e
penetrante onere motivazionale, essendo subordinato alla esplicitazione precisa
e circostanziata da parte dell’Amministrazione degli elementi di inidoneità
dell'offerta che giustificano la mancata aggiudicazione.
E’ stato affermato in giurisprudenza che la p.a.
conserva indiscutibilmente anche in relazione ai procedimenti di gara per la
scelta del contraente il potere di annullare o revocare in via di autotutela il
bando e le singole operazioni di gara, quando i criteri di selezione si
manifestino come suscettibili di produrre effetti indesiderati o comunque illogici
tenendo quindi conto delle preminenti ragioni di salvaguardia del pubblico
interesse: tale potere di autotutela trova fondamento negli stessi principi
costituzionali predicati dall'art. 97 cost., cui deve ispirarsi l'azione
amministrativa, e costituisce il pendant dell'obbligo di rispettare le
prescrizioni stabilite dalla "lex specialis" della gara, che
vincolano non solo i concorrenti, ma la stessa amministrazione (con esclusione
di qualsiasi margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione da parte
dell'amministrazione e tanto meno della facoltà di disapplicarle, neppure nel
caso in cui talune delle regole stesse risultino inopportunamente o
incongruamente formulate, salva proprio la possibilità di far luogo,
nell'esercizio del potere di autotutela, al loro annullamento) (cfr.C.S.,V, n.
. 5681/2012).
Ciò premesso, il Collegio osserva che l’esercizio di
siffatto potere di autotutela, pur legittimo, incontra un limite nel rispetto
dei principi di buona fede e correttezza e nella tutela dell’affidamento
ingenerato, cui consegue - come rilevato dall’appellante – uno stringente
obbligo motivazionale; e che parimenti abbisognevole di stringente motivazione
è una revoca del bando di gara (confr. per tutte, da ultimo, la citata sentenza
nonché le pronunce da essa richiamate).
Tali principi appaiono applicabili anche nel caso di
specie con riferimento alla rimozione del bando di gara e alla mancata
aggiudicazione dell’appalto alla Sinergie.
Circa la complessa motivazione dell’atto in vertenza
si rileva quanto segue:
- le due imprese classificate ai primi due posti sono
state correttamente escluse per non avere prodotto la cauzione provvisoria ex
art.75 d.lgs.163/2006 che ha carattere eterointegrativo della legge di gara
- le loro offerte erano state tuttavia ritenute dalla
Commissione di gara migliori di quella di Sinergie e da questo elemento
l’Amministrazione, dopo statuizioni altalenanti , ha tratto da ultimo argomento
per escludere dalla gara le due imprese, ma allo stesso tempo per non
aggiudicare la gara alla Sinergie, unica impresa rimasta in gara.
In questo contesto le determinazioni della
Amministrazione appaiono affette da un profilo di eccesso di potere laddove la
soluzione prescelta risulta oggettivamente correlata ad una prospettiva di
rifacimento della gara, che l’andamento anomalo della stessa suggeriva e ad un
prevalente interesse pubblico al rinnovo al fine di conseguire una offerta
migliore per effetto del confronto concorrenziale ottenibile.
Questo elemento si manifesta laddove nell’atto impugnato
si sottolinea che l’omissione del bando di gara in punto di cauzione
provvisoria risulta avere falsato l’effettiva concorrenza tra i partecipanti.
Ma in tal modo vengono in considerazione le due offerte che dovevano essere
escluse per mancata produzione della cauzione provvisoria e che non avevano
rilievo, potendo l’appalto essere aggiudicato anche nella ipotesi,
concretamente realizzatasi, di una sola impresa rimasta in gara. (cfr. bando
pag.5 e disciplinare pag.8). A norma di tali disposizioni era prevista
l’aggiudicazione anche in tale situazione, in coerenza con l’art.55, comma 4
del d.lgs, n.163/2006, secondo cui il bando di gara può prevedere che
non si procederà ad aggiudicazione nel caso di una sola offerta valida, ovvero
nel caso di due sole offerte valide, che non verranno aperte. Quando il bando
non contiene tale previsione, resta comunque ferma la disciplina di cui
all'articolo 81 comma 3.
Nella specie il bando di gara prevedeva invece che la
gara sarà aggiudicata anche in presenza di una sola offerta valida, precisandosi
nel disciplinare che l’Amministrazione potrà assegnare l’appalto in
presenza di una sola offerta valida
Di per sé la circostanza non ha quindi rilievo ai fini
di giustificare la rinnovazione della gara.
Resta tuttavia applicabile l’art.81 comma 3 del d.lgs
n.163/2006 che prevede la facoltà per la Stazione appaltante di "non
procedere all'aggiudicazione se nessun offerta risulti conveniente o idonea in
relazione all'oggetto del contratto".
Determinante è quindi stabilire se in relazione alla
mancata aggiudicazione della gara a Sinergie sia stato assolto dalla
Amministrazione allo specifico e penetrante onere motivazionale laddove l’atto
in vertenza ha giudicato tecnicamente inadeguata l’offerta della Sinergie, che
pure la Commissione aveva valutato positivamente.
Il provvedimento prot. n. 274/10 del 12/01/2011 al
riguardo - pur dotato di diffuse esposizioni motivazionali e pur facendo
proprie apposite argomentazioni di una Relazione del RUP (in veste di
responsabile dell'Ufficio tecnico) – non risulta aver assolto logicamente a
quest’obbligo.
Come sottolineato dall’appellante, con rilievo
assorbente, allo stato degli atti non è rilevabile la esiguità e la
insufficienza dell'importo dei lavori offerti dall'appellante medesimo per la
messa a norma, l'ampliamento e la riqualificazione tecnologica del sistema di
illuminazione pubblica comunale: tale anomalia è data nella Relazione, cui la
determinazione prot. n. 274/10 del 12/01/2011 fa rinvio, dalla considerazione
di un importo dei lavori previsti dall’appellante pari ad € 309.780,03, anziché
come desumibile dall’offerta di Sinergie , in un importo complessivo di €
1.878.613,57. di cui € 1.260.000,00 per l’impianto fotovoltaico ed € 300.603
per l'impianto di telecontrollo.
Sottolinea l’appellante che l’elenco prezzi unitari
posto a base di gara annoverava espressamente tanto la installazione dei
pannelli fotovoltaici, quanto la fornitura e posa in opera dei controllori
elettronici di potenza rispettivamente a pag.13 paragrafo d) (impianti
fotovoltaici) e a pag.43 voce 264 (controllore elettronico di potenza).
Si tratta di elementi, oggetto di opposte osservazioni
delle parti nelle rispettive difese, elementi che avrebbero dovuto essere
approfonditi dalla Amministrazione in sede di riesame delle valutazioni della
commissione di gara.
L’Amministrazione , negli atti in vertenza,non ha
svolto specifiche argomentazioni sul punto che pure aveva carattere assorbente
perché incidente sulla ragione prima di non ammissione alla aggiudicazione della
Sinergie.
L’Amministrazione non era vincolata in questa
valutazione a quella della Commissione di gara,che aveva individuato un importo
dei lavori previsti dall’appellante pari ad € 309.780,03.
Nell’atto in vertenza l’Amministrazione, come dovuto,
ha autonomamente approfondito le caratteristiche dell’offerta di Sinergie e
quindi avrebbe dovuto valutare gli ulteriori lavori offerti da Sinergie e se
mai escluderne rilievo alla stregua di una puntuale motivazione nella specie
omessa (anzi di tali ulteriori lavori non è fatto cenno nell’atto in vertenza e
nella relazione allegata).
L’irrilevanza, ai fini del decidere, di una
integrazione motivazionale meramente processuale degli atti in vertenza esclude
rilievo alle argomentazioni svolte dalla difesa del Comune e intese a
dimostrare la non valutabilità dei lavori relativi ai pannelli fotovoltaici e
del sistema di telecontrollo, in relazione alla introduzione di nuovi prezzi e
a quanto previsto dal disciplinare di gara sub B), pagina 7, penultimo
capoverso aperto anche ad approfondimenti tecnici) .e comunque la loro
inettitudine a rendere utile e conveniente per l’Amministrazione la offerta di
Sinergie.
3.2 – Così appurata la fondatezza dell’appello,
restano assorbite le ulteriori censure, sopra esposte, poiché l’accoglimento di
questa doglianza riconduce l’affare nella competente sede istituzionale e
comporta l’obbligo dell’Amministrazione di rideterminarsi sulla vicenda in
controversia con nuove e adeguatamente motivate determinazioni, da adottarsi
alla luce della presente sentenza.
In ogni caso gli ulteriori rilievi contenuti nella
relazione tecnica di per sé non sembrano sufficienti a giustificare la mancata
aggiudicazione dell’appalto alla Sinergie , in difetto di congrui e puntuali
riferimenti alla disciplina della gara, rispetto alla quale appaiono idonee
tecnicamente alcune caratteristiche della offerta di Sinergie [convincenti ,
salvo gli eventuali approfondimenti motivazionali in sede di riesame, sono sul
punto le osservazioni della appellante sub a) e b); cfr, in particolare quanto
ai livelli di illuminamento il capitolato speciale d’appalto pag.6, art. 2 e il
disciplinare pag,10].
Quanto alle annotazioni sub c) esse non appaiono di
per sé sufficienti a giustificare il giudizio di inidoneità tecnica della offerta
di Sinergie e dovranno se mai costituire oggetto di pieno e completo
approfondimento motivazionale in sede di rinnovazione
Quanto alla richiesta risarcitoria non vi è luogo a
provvedere, poiché essa si fonda sul realizzarsi di fattispecie (nell’ordine:
accoglimento dell'istanza cautelare proposta unitamente all'appello; rigetto
della istanza cautelare e successivo affidamento del servizio ad altra ditta in
esito a nuova procedura di gara; nonché, in via del tutto subordinata, la
responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione nell’ipotesi che il
Collegio dovesse ritenere comunque legittima la revoca del bando e degli atti
di gara disposta col provvedimento impugnato in prime cure), non realizzatesi
nel presente giudizio.
Comunque, allo stato, le richieste non potrebbero
trovare accoglimento:
- sia per l’aleatorietà delle prospettive di
rinnovazione (aperte a ampi margini di discrezionalità della Amministrazione in
sede di riesercizio del potere, tali da non consentire una prognosi ex ante di
esito della rinnovazione medesima);
- sia perché l'annullamento di un provvedimento
amministrativo (in particolare per difetto di motivazione) che non escluda, ma
preveda il riesercizio del potere, comporta che la domanda di risarcimento del
danno non può essere valutata che all'esito della nuova manifestazione di detto
potere.
4. – L’appello va dunque accolto nel senso precisato
in motivazione.
Per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza, il
provvedimento prot. n. 274/10 del 12/01/2011 di "annullamento e di revoca
in autotutela ex artt. 21 nonies e 21 quinquies della L.241/910 s.m.i."
della gara di appalto per l'affidamento del servizio integrato di gestione e
manutenzione dell'illuminazione pubblica del Comune di Polesella va annullato
per quanto di ragione (in particolare non aggiudicazione a Sinergie e rimozione
del bando di gara), salvi gli ulteriori provvedimenti, che l’Amministrazione
adotterà in base alla presente sentenza.
La vicenda processuale concreta giusti motivi per
compensare le spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta) accoglie l’appello.
Per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza,
annulla per quanto di ragione il provvedimento prot. n. 274/10 del 12/01/2011,
salvi gli ulteriori provvedimenti come indicato in motivazione.
Compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13
novembre 2012.
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Manfredo Atzeni, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Giancarlo Luttazi, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
mercoledì 12 giugno 2013
COMUNICATO STAMPA dell' O.U.A. di SOLIDARIETA' AI COLLEGHI TURCHI.
COMUNICATO STAMPA
TURCHIA,
L’OUA SOLIDALE CON GLI AVVOCATI ARRESTATI PER
DIFENDERE I MANIFESTANTI DI PIAZZA TAKSIM
NICOLA MARINO, OUA:
“COSÌ SI CALPESTANO I DIRITTI UMANI E
IL DIRITTO DI DIFESA. SERVE CONDANNA UNANIME
DELL’UNIONE EUROPEA E INTERVENTO URGENTE DELL’ITALIA
PER LA LIBERTÀ DEI LEGALI TURCHI”
"L’Organismo Unitario dell’Avvocatura-Oua, la rappresentanza politica forense, viste le diverse notizie apparse sui mezzi di comunicazione, ha espresso una dura condanna sugli arresti di oltre 20 avvocati che difendevano i manifestanti di piazza Taksim a Istanbul. Per Nicola Marino, presidente Oua, questa notizia, se confermata, «sarebbe un duro attacco al concetto stesso di democrazia, alla separazione dei poteri e al principio di indipendenza della giustizia dal potere politico. Quella riportata da diversi media sull’arresto di oltre 20 avvocati a Istanbul è un pessimo segnale per un paese ormai considerato europeo: la Turchia non può proseguire su questa strada, quella della negazione dei diritti. Chiediamo l’intervento urgente dell’Italia e la condanna dell’Unione Europea: giù le mani dall’avvocatura e dal diritto di difesa».
Roma, 11 giugno 2013
Qui potete scaricare il pdf tratto dal sito dell'O.U.A.!
IMMIGRAZIONE: espulsione e normativa comunitaria e risvolti penali (T.A.R. Sicilia, Catania, 26 aprile 2013 n. 1187).
IMMIGRAZIONE:
espulsione e normativa comunitaria
(T.A.R. Sicilia, Catania, 26 aprile 2013 n. 1187)
Massima
La Direttiva comunitaria 2008/115/CE (cd. “Direttiva rimpatri”), non self-executing e recepita col D. Lgs. n. 89/2011, ha previsto un termine minore (5 anni), rispetto alla disciplina italiana (passata da 10 a 3-5 con il decreto cit.), per il reingresso dei cittadini extra-comunitari a seguito del provvedimento d'espulsione; consegue che tutti i provvedimenti di espulsione adottati sino all'entrata in vigore del decreto predetto, motivati sul reingresso dell'extra-comunitario prima dei 10 anni, sono validi per il principio del "tempus regit actum".
1. La fattispecie concreta attiene al Decreto emesso dal
Questore di Messina con il quale è stato negato ad una straniera, in prossimità
della scadenza, il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato in
base al rilievo – che assume per legge valore ostativo (art. 5, co. 5, in
combinazione con gli artt. 4, co. 6, e 13, co. 13, del T.U. Immigrazione) – che
la stessa fosse stata in precedenza (circa cinque anni prima) espulsa dal
territorio nazionale a seguito di decreto emesso dal Prefetto di Messina, ed
avesse poi fatto rientro in Italia prima del decorso del termine decennale
dall’espulsione, e senza l’autorizzazione ministeriale prevista dall’art. 13,
co. 13, del T.U. Immigrazione approvato col D. Lgs. n. 286/98.
Il gravame del ricorso è affidato ad una unica censura imperniata sul fatto che la Direttiva comunitaria 2008/115/CE (cd. “Direttiva rimpatri”) abbia modificato in senso meno gravoso per lo straniero irregolare il regime delle espulsioni, prevedendone modalità attuative diverse, e ridefinendone gli effetti amministrativi consequenziali.
Sulla base della predetta riforma di matrice comunitaria viene postulato in ricorso l’annullamento del provvedimento di diniego del permesso di soggiorno, in quanto fondato su un precedente atto di espulsione illegittimo e da considerare tamquam non esset.
2. Il regime normativo – vigente in tema di permesso di soggiorno -non toccato dalla citata direttiva comunitaria, nella parte in cui stabilisce che non può farsi luogo al rilascio od al rinnovo del titolo se mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato. Tra questi ultimi, va menzionato quello prescritto dall’art. 13, co. 13, del D. Lgs. 286/1998 a norma del quale “Lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno”, e per un periodo di dieci anni (art. 13, co. 14).
Tanto premesso, va aggiunto che la “materia” delle espulsioni degli stranieri irregolari è stata più di recente ridefinita in sede comunitaria, attraverso la direttiva 2008/115 citata in ricorso (recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare), con la quale sono state modificate le modalità attuative e gli effetti giuridici “di lungo periodo” conseguenti al provvedimento di espulsione.
Più in particolare, la direttiva sancisce che l’espulsione coatta debba essere preceduta dall’assegnazione di un termine congruo, utile affinché lo straniero possa lasciare autonomamente il territorio nazionale (artt. 7 e 8), ed aggiunge che in caso di avvenuta espulsione il divieto di reingresso non può superare di norma i cinque anni, salvo che lo straniero costituisca una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale (art. 11).
La direttiva è stata recepita (seppur tardivamente) in Italia col D. Lgs. n. 89/2011 con il quale – ai fini di quanto qui strettamente interessa – è stato disposto un divieto di reingresso nel territorio nazione degli stranieri precedentemente espulsi “(…) per un periodo non inferiore a tre anni e non superiore a cinque anni, la cui durata è determinata tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti il singolo caso”.
Ricostruito così il quadro normativo, è possibile trarre le conclusioni con riguardo ai rilievi sollevati dal ricorrente.
3. In primo luogo, va affermato che il provvedimento di espulsione adottato dal Prefetto nel 2005 con le modalità all’epoca vigenti è, in base al principio tempus regit actum, legittimo e non in contrasto con la direttiva comunitaria, per il semplice fatto che questa non era stata ancora emanata a quell’epoca.
Peraltro, va precisato che la direttiva in esame non ha espunto dall’ordinamento l’istituto dell’espulsione amministrativa, ma si è limitata a stabilire norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità, aggiungendo che – in quest’ottica – la legislazione interna non può qualificare come delitto l’inottemperanza all’ordine del Questore di lasciare il territorio nazionale (Corte giustizia UE n. 61/2011).
Ne consegue che non è fondata la tesi sostenuta in ricorso laddove considera il decreto di espulsione come atto giuridicamente inesistente (tamquam non esset): al contrario, il provvedimento di espulsione è stato legittimamente emesso, e vale ora come antecedente storico di cui occorre tenere conto.
4. A questo punto si deve valutare se ed in che modo gli effetti durevoli di un provvedimento di espulsione legittimamente adottato in passato possano oggi incidere sul regime di reingresso e di soggiorno dello straniero espulso: in altre parole, la controversia in esame impone di distinguere chiaramente fra il provvedimento amministrativo di espulsione (il cui regime giuridico, come già detto, va valutato in base alla regola tempus regit actum), ed i suoi effetti giuridici successivi, che potremmo definire “di lungo periodo”, come sono stati disegnati e considerati dal legislatore (nazionale e comunitario) ai fini degli ulteriori procedimenti amministrativi che possono interessare lo straniero precedentemente espulso.
4.1 Il rilascio del permesso di soggiorno – come già detto – postula la regolarità dell’ingresso in territorio italiano dello straniero, ed è ovvio che tale ultima circostanza debba essere valutata secondo la normativa vigente in quel preciso momento storico, che nel caso in esame ricade nel dicembre 2008.
Alla data del Dicembre 2008, la normativa interna prevedeva un divieto di reingresso dello straniero precedentemente espulso pari a dieci anni; la direttiva comunitaria 115/2008 (emanata poco prima ed entrata in vigore il 13.01.2009) introduce un regime meno gravoso, stabilendo che il divieto di reingresso venga fissato tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non superi di norma i cinque anni, salvo che lo straniero costituisca una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale (art. 11).
E’ importante precisare che la regola posta con la citata direttiva non costituisce un precetto compiuto ed incondizionato, in quanto lascia al legislatore nazionale la possibilità di muoversi entro parametri elastici (ad esempio fissando un termine inferiore ai cinque anni, discrezionalmente scelto). Ne consegue che la direttiva non può essere considerata in questa parte come atto self-executing e direttamente applicabile nello Stato membro allo scadere del termine di recepimento. Infatti, il carattere autoesecutivo della direttiva è stato affermato dalla Corte di giustizia solo con riferimento ai precetti precisi ed incondizionati contenuti negli arrt. 15 e 16, concernenti le misure coercitive funzionali al rimpatrio (Corte giustizia UE 28.04.2011 n. 61). Peraltro, in aggiunta, va anche rilevato che nel dicembre 2008 non era ancora nemmeno scaduto il termine assegnato agli Stati membri per il recepimento della direttiva (fissato alla data del 24.12 2010).
L’invocata direttiva comunitaria non appare dunque applicabile ratione temporis alla fattispecie.
4.2 Né si può condividere la tesi dell’applicazione retroattiva sostenuta dalla ricorrente nell’ultima memoria attraverso il richiamo alla decisione dell’A.P. n. 8/2011: in quella vicenda, infatti, l’applicazione retroattiva della disposizione comunitaria (riguardante l’abolizione di una particolare ipotesi di reato commesso dallo straniero) è frutto solo dei principi generali dell’ordinamento penale in tema di abolitio criminis (art. 2 c.p.).
In ogni caso, anche ove si volesse in ipotesi astratta ritenere direttamente applicabile alla data del dicembre 2008 il contenuto della direttiva, nella parte in cui fissa in (soli) cinque anni il divieto di reingresso dello straniero precedentemente espulso, tale operazione non risulterebbe comunque utile alla ricorrente, posto che a quella data il suo ingresso nello Stato italiano era avvenuto in maniera irregolare anche alla luce della direttiva stessa, in quanto effettuato a circa tre anni dalla precedente espulsione (risalente al novembre 2005).
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione
Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3110 del 2011,
proposto da:
Margarita Sergunina, rappresentata e difesa dall'avv. Francesco Cacciola, con domicilio eletto presso avv. Pietro Paterniti La Via, in Catania, viale XX Settembre, 19;
Margarita Sergunina, rappresentata e difesa dall'avv. Francesco Cacciola, con domicilio eletto presso avv. Pietro Paterniti La Via, in Catania, viale XX Settembre, 19;
contro
Questore della Provincia di Messina, Ministero
dell'Interno, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale
dello Stato, domiciliata in Catania, via Vecchia Ognina, 149;
per l'annullamento
del decreto datato 1.03.2011, notificato il 5.07.2011,
con il quale il Questore di Messina ha rigettato l’istanza di rinnovo del permesso
di soggiorno per lavoro subordinato avanzata da Sergunina Margarita e la ha
invitata a lasciare il territorio nazionale;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del
Questore della Provincia di Messina e del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo
2013 il dott. Francesco Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato
nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
La cittadina bielorussa Sergunina Margarita, titolare
di permesso di soggiorno per lavoro subordinato con scadenza il 24.12.2010, ha
presentato nel mese di Ottobre 2010 istanza di rinnovo del titolo di soggiorno,
ma il Questore di Messina ha respinto la domanda avendo accertato – attraverso
gli elementi di identificazione dattiloscopici – che la stessa richiedente,
sotto altre generalità, era stata in precedenza destinataria di un decreto di
espulsione dal territorio nazionale emesso dal Prefetto di Messina in data
4.11.2005. La Questura ha, quindi, ritenuto non rinnovabile il titolo di
soggiorno in quanto la straniera sarebbe rientrata in Italia, dopo
l’espulsione, nel dicembre 2008, senza attendere il decorso del decennio
prescritto ex lege e senza munirsi della autorizzazione
ministeriale prevista dall’art. 13, co. 13, del T.U. Immigrazione approvato col
D. Lgs. 286/98.
Col ricorso in epigrafe, la sig.ra Sergunina ha
impugnato il decreto del Questore contenente il diniego di rinnovo del permesso
di soggiorno, affidando il gravame ad una unica censura imperniata sul fatto
che la Direttiva comunitaria 2008/115/CE (cd. “Direttiva rimpatri”) abbia
modificato in senso meno gravoso per lo straniero irregolare il regime delle
espulsioni, prevedendone modalità attuative diverse, e ridefinendone gli
effetti amministrativi consequenziali.
Sulla base della predetta riforma di matrice
comunitaria viene postulato in ricorso l’annullamento del provvedimento di
diniego del permesso di soggiorno, in quanto fondato su un precedente atto di
espulsione illegittimo e da considerare tamquam non esset.
Si è costituita in giudizio per resistere
l’amministrazione intimata, che ha difeso la legittimità del proprio operato
evidenziando il fatto che l’espulsione decretata nell’anno 2005 a carico della
ricorrente vale come mero “fatto storico”, non toccato dallo ius
superveniens comunitario, e comunque rilevando che le modalità
concrete con le quali è stata eseguita l’espulsione (invito a lasciare il
territorio nazionale, previa assegnazione di un termine) erano già all’epoca
conformi alle nuove modalità dettate dall’Unione europea.
Con ordinanza n. 1564/11 è stata respinta la domanda
cautelare allegata al ricorso, sulla base delle difese articolate
dall’amministrazione resistente; ma il provvedimento cautelare è stato
riformato in appello dal C.G.A. attraverso un generico richiamo alla Direttiva
comunitaria 2008/115 (v. ordinanza n. 149/12).
Nel corso del giudizio la ricorrente ha, poi, proposto
reclamo ex art. 126 del D.P.R. 115/2002 avverso il provvedimento n. 60/12 G.P.
della Commissione per il patrocinio a spese dello Stato istituita
presso questo Tar, che le aveva denegato l’accesso a tale beneficio economico,
ritenendo che il ricorso non superasse il vaglio della non manifesta
infondatezza.
L’esame del reclamo è stato rinviato all’udienza di
trattazione del merito fissata per il 28 marzo 2013.
In vista dell’udienza le parti hanno depositato
memorie difensive, e la causa è stata poi trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Viene in esame il Decreto emesso dal Questore di
Messina con il quale è stato negato ad una straniera, in prossimità della
scadenza, il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato in base
al rilievo – che assume per legge valore ostativo (art. 5, co. 5, in
combinazione con gli artt. 4, co. 6, e 13, co. 13, del T.U. Immigrazione) – che
la stessa fosse stata in precedenza (circa cinque anni prima) espulsa dal
territorio nazionale a seguito di decreto emesso dal Prefetto di Messina, ed
avesse poi fatto rientro in Italia prima del decorso del termine decennale
dall’espulsione, e senza l’autorizzazione ministeriale prevista dall’art. 13,
co. 13, del T.U. Immigrazione approvato col D. Lgs. 286/98.
Il ricorso proposto dalla straniera avverso il
provvedimento del Questore si incentra tutto sulla circostanza che la Direttiva
comunitaria 2008/115/CE (cd. “Direttiva rimpatri”) abbia modificato in senso
meno gravoso per lo straniero irregolare il regime delle espulsioni,
prevedendone modalità attuative diverse, e ridefinendone gli effetti
amministrativi consequenziali. Con l’ulteriore conseguenza - postulata in
ricorso - che l’amministrazione procedente non avrebbe potuto prendere in
nessuna considerazione il precedente decreto di espulsione emesso ed eseguito a
carico della ricorrente, in quanto contrario al diritto comunitario
sopravvenuto, e come tale da ritenere tamquam non esset.
La tesi non convince, ed il ricorso va respinto.
In primo luogo, va puntualizzato il regime normativo –
vigente in tema di permesso di soggiorno -non toccato dalla citata direttiva
comunitaria, nella parte in cui stabilisce che non può farsi luogo al rilascio
od al rinnovo del titolo se mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti
per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato. Tra questi ultimi, va
menzionato quello prescritto dall’art. 13, co. 13, del D. Lgs. 286/1998 a norma
del quale “Lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione non
può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del
Ministro dell'interno”, e per un periodo di dieci anni (art. 13, co. 14).
Tanto premesso, va aggiunto che la “materia” delle
espulsioni degli stranieri irregolari è stata più di recente ridefinita in sede
comunitaria, attraverso la direttiva 2008/115 citata in ricorso (recante norme
e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di
paesi terzi il cui soggiorno è irregolare), con la quale sono state
modificate le modalità attuative e gli effetti giuridici “di lungo periodo”
conseguenti al provvedimento di espulsione. Più in particolare, la direttiva
sancisce che l’espulsione coatta debba essere preceduta dall’assegnazione di un
termine congruo, utile affinchè lo straniero possa lasciare autonomamente il
territorio nazionale (artt. 7 e 8), ed aggiunge che in caso di avvenuta
espulsione il divieto di reingresso non può superare di norma i cinque anni,
salvo che lo straniero costituisca una grave minaccia per l’ordine pubblico, la
pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale (art. 11).
La direttiva è stata recepita (seppur tardivamente) in
Italia col D. Lgs. 89/2011 con il quale – ai fini di quanto qui strettamente
interessa – è stato disposto un divieto di reingresso nel territorio nazione
degli stranieri precedentemente espulsi “(…) per un periodo non inferiore a
tre anni e non superiore a cinque anni, la cui durata è determinata tenendo
conto di tutte le circostanze pertinenti il singolo caso”.
Ricostruito così il quadro normativo, è possibile
trarre le conclusioni con riguardo ai rilievi sollevati dal ricorrente.
In primo luogo, va affermato che il provvedimento di
espulsione adottato dal Prefetto nel 2005 con le modalità all’epoca vigenti è,
in base al principio tempus regit actum, legittimo e non in
contrasto con la direttiva comunitaria, per il semplice fatto che questa non
era stata ancora emanata a quell’epoca (tale considerazione risulta assorbente,
ed induce a non dare rilievo alla subordinata argomentazione difensiva della
resistente, imperniata sulla circostanza che l’amministrazione – anticipando di
fatto i precetti della futura direttiva comunitaria – non eseguì coattivamente
l’espulsione, ma si limitò ad assegnare alla straniera un termine per
l’adempimento spontaneo).
Peraltro, va precisato che la direttiva in esame non
ha espunto dall’ordinamento l’istituto dell’espulsione amministrativa, ma si è
limitata a stabilire norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in
maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro
dignità, aggiungendo che – in quest’ottica – la legislazione interna non può
qualificare come delitto l’inottemperanza all’ordine del Questore di lasciare
il territorio nazionale (Corte giustizia UE n. 61/2011).
Ne consegue che non è fondata la tesi sostenuta in
ricorso laddove considera il decreto di espulsione come atto giuridicamente
inesistente (tamquam non esset): al contrario, il provvedimento di
espulsione è stato legittimamente emesso, e vale ora come antecedente storico
di cui occorre tenere conto.
A questo punto si deve valutare se ed in che modo gli
effetti durevoli di un provvedimento di espulsione legittimamente adottato in
passato possano oggi incidere sul regime di reingresso e di soggiorno dello
straniero espulso: in altre parole, la controversia in esame impone di
distinguere chiaramente fra il provvedimento amministrativo di espulsione (il
cui regime giuridico, come già detto, va valutato in base alla regola tempus
regit actum), ed i suoi effetti giuridici successivi, che potremmo definire
“di lungo periodo”, come sono stati disegnati e considerati dal legislatore
(nazionale e comunitario) ai fini degli ulteriori procedimenti amministrativi
che possono interessare lo straniero precedentemente espulso.
Il rilascio del permesso di soggiorno – come già detto
– postula la regolarità dell’ingresso in territorio italiano dello straniero,
ed è ovvio che tale ultima circostanza debba essere valutata secondo la
normativa vigente in quel preciso momento storico, che nel caso in esame ricade
nel dicembre 2008.
Alla data del Dicembre 2008, la normativa interna
prevedeva un divieto di reingresso dello straniero precedentemente espulso pari
a dieci anni; la direttiva comunitaria 115/2008 (emanata poco prima ed entrata
in vigore il 13.01.2009) introduce un regime meno gravoso, stabilendo che il
divieto di reingresso venga fissato tenendo debitamente conto di tutte le
circostanze pertinenti di ciascun caso e non superi di norma i cinque anni,
salvo che lo straniero costituisca una grave minaccia per l’ordine pubblico, la
pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale (art. 11).
E’ importante precisare che la regola posta con la
citata direttiva non costituisce un precetto compiuto ed incondizionato, in
quanto lascia al legislatore nazionale la possibilità di muoversi entro
parametri elastici (ad esempio fissando un termine inferiore ai cinque anni,
discrezionalmente scelto). Ne consegue che la direttiva non può essere
considerata in questa parte come atto self-executing e
direttamente applicabile nello Stato membro allo scadere del termine di
recepimento. Infatti, il carattere autoesecutivo della direttiva è stato
affermato dalla Corte di giustizia solo con riferimento ai precetti precisi ed
incondizionati contenuti negli arrt. 15 e 16, concernenti le misure coercitive
funzionali al rimpatrio (Corte giustizia UE 28.04.2011 n. 61). Peraltro, in
aggiunta, va anche rilevato che nel dicembre 2008 non era ancora nemmeno
scaduto il termine assegnato agli Stati membri per il recepimento della
direttiva (fissato alla data del 24.12 2010).
L’invocata direttiva comunitaria non appare dunque
applicabile ratione temporis alla fattispecie.
Né si può condividere la tesi dell’applicazione
retroattiva sostenuta dalla ricorrente nell’ultima memoria attraverso il
richiamo alla decisione dell’A.P. n. 8/2011: in quella vicenda, infatti,
l’applicazione retroattiva della disposizione comunitaria (riguardante l’abolizione
di una particolare ipotesi di reato commesso dallo straniero) è frutto solo dei
principi generali dell’ordinamento penale in tema di abolitio criminis (art.
2 c.p.).
In ogni caso, anche ove si volesse in ipotesi astratta
ritenere direttamente applicabile alla data del dicembre 2008 il contenuto
della direttiva, nella parte in cui fissa in (soli) cinque anni il divieto di
reingresso dello straniero precedentemente espulso, tale operazione non
risulterebbe comunque utile alla ricorrente, posto che a quella data il suo
ingresso nello Stato italiano era avvenuto in maniera irregolare anche alla
luce della direttiva stessa, in quanto effettuato a circa tre anni dalla
precedente espulsione (risalente al novembre 2005).
Si deve quindi concludere che l’autorità
amministrativa oggi resistente ha legittimamente ritenute violate le regole sul
reingresso dello straniero vigenti al momento del fatto (dicembre 2008), ed ha
conseguentemente negato il rinnovo del permesso di soggiorno in quanto
richiesto da soggetto che aveva fatto ingresso irregolarmente nel territorio
dello Stato.
Il ricorso va, in conclusione, respinto.
Va anche respinto, di conseguenza, il reclamo proposto
avverso il provvedimento della Commissione per il patrocinio a spese
dello Stato che ha negato l’accesso al beneficio in questione
ritenendo il ricorso infondato.
La peculiarità giuridica della questione esaminata
induce, tuttavia, a compensare e spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in
epigrafe proposto, lo rigetta. Respinge il reclamo avverso la decisione della
Commissione per il patrocinio a spese dello Stato.
Compensa le spese processuali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del
giorno 28 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Cosimo Di Paola, Presidente
Francesco Brugaletta, Consigliere
Francesco Bruno, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/04/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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