mercoledì 12 giugno 2013

IMMIGRAZIONE: espulsione e normativa comunitaria e risvolti penali (T.A.R. Sicilia, Catania, 26 aprile 2013 n. 1187).


IMMIGRAZIONE:
 espulsione e normativa comunitaria 
(T.A.R. Sicilia, Catania, 26 aprile 2013 n. 1187)


Massima

La Direttiva comunitaria 2008/115/CE (cd. “Direttiva rimpatri”), non self-executing e recepita col D. Lgs. n. 89/2011,  ha previsto un termine minore (5 anni), rispetto alla disciplina italiana (passata da 10 a 3-5 con il decreto cit.), per il reingresso dei cittadini extra-comunitari a seguito del provvedimento d'espulsione; consegue che tutti i provvedimenti di espulsione adottati sino all'entrata in vigore del decreto predetto, motivati sul reingresso dell'extra-comunitario prima dei 10 anni, sono validi per il principio del "tempus regit actum".
1.  La fattispecie concreta attiene al Decreto emesso dal Questore di Messina con il quale è stato negato ad una straniera, in prossimità della scadenza, il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato in base al rilievo – che assume per legge valore ostativo (art. 5, co. 5, in combinazione con gli artt. 4, co. 6, e 13, co. 13, del T.U. Immigrazione) – che la stessa fosse stata in precedenza (circa cinque anni prima) espulsa dal territorio nazionale a seguito di decreto emesso dal Prefetto di Messina, ed avesse poi fatto rientro in Italia prima del decorso del termine decennale dall’espulsione, e senza l’autorizzazione ministeriale prevista dall’art. 13, co. 13, del T.U. Immigrazione approvato col D. Lgs. n. 286/98.
Il gravame del ricorso è affidato ad una unica censura imperniata sul fatto che la Direttiva comunitaria 2008/115/CE (cd. “Direttiva rimpatri”) abbia modificato in senso meno gravoso per lo straniero irregolare il regime delle espulsioni, prevedendone modalità attuative diverse, e ridefinendone gli effetti amministrativi consequenziali.
Sulla base della predetta riforma di matrice comunitaria viene postulato in ricorso l’annullamento del provvedimento di diniego del permesso di soggiorno, in quanto fondato su un precedente atto di espulsione illegittimo e da considerare tamquam non esset.
2.  Il regime normativo – vigente in tema di permesso di soggiorno -non toccato dalla citata direttiva comunitaria, nella parte in cui stabilisce che non può farsi luogo al rilascio od al rinnovo del titolo se mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato. Tra questi ultimi, va menzionato quello prescritto dall’art. 13, co. 13, del D. Lgs. 286/1998 a norma del quale “Lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno”, e per un periodo di dieci anni (art. 13, co. 14).
Tanto premesso, va aggiunto che la “materia” delle espulsioni degli stranieri irregolari è stata più di recente ridefinita in sede comunitaria, attraverso la direttiva 2008/115 citata in ricorso (recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare), con la quale sono state modificate le modalità attuative e gli effetti giuridici “di lungo periodo” conseguenti al provvedimento di espulsione. 
Più in particolare, la direttiva sancisce che l’espulsione coatta debba essere preceduta dall’assegnazione di un termine congruo, utile affinché lo straniero possa lasciare autonomamente il territorio nazionale (artt. 7 e 8), ed aggiunge che in caso di avvenuta espulsione il divieto di reingresso non può superare di norma i cinque anni, salvo che lo straniero costituisca una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale (art. 11).
La direttiva è stata recepita (seppur tardivamente) in Italia col D. Lgs. n. 89/2011 con il quale – ai fini di quanto qui strettamente interessa – è stato disposto un divieto di reingresso nel territorio nazione degli stranieri precedentemente espulsi “(…) per un periodo non inferiore a tre anni e non superiore a cinque anni, la cui durata è determinata tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti il singolo caso”.
Ricostruito così il quadro normativo, è possibile trarre le conclusioni con riguardo ai rilievi sollevati dal ricorrente.
3. In primo luogo, va affermato che il provvedimento di espulsione adottato dal Prefetto nel 2005 con le modalità all’epoca vigenti è, in base al principio tempus regit actum, legittimo e non in contrasto con la direttiva comunitaria, per il semplice fatto che questa non era stata ancora emanata a quell’epoca.
Peraltro, va precisato che la direttiva in esame non ha espunto dall’ordinamento l’istituto dell’espulsione amministrativa, ma si è limitata a stabilire norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità, aggiungendo che – in quest’ottica – la legislazione interna non può qualificare come delitto l’inottemperanza all’ordine del Questore di lasciare il territorio nazionale (Corte giustizia UE n. 61/2011).
Ne consegue che non è fondata la tesi sostenuta in ricorso laddove considera il decreto di espulsione come atto giuridicamente inesistente (tamquam non esset): al contrario, il provvedimento di espulsione è stato legittimamente emesso, e vale ora come antecedente storico di cui occorre tenere conto.
4. A questo punto si deve valutare se ed in che modo gli effetti durevoli di un provvedimento di espulsione legittimamente adottato in passato possano oggi incidere sul regime di reingresso e di soggiorno dello straniero espulso: in altre parole, la controversia in esame impone di distinguere chiaramente fra il provvedimento amministrativo di espulsione (il cui regime giuridico, come già detto, va valutato in base alla regola tempus regit actum), ed i suoi effetti giuridici successivi, che potremmo definire “di lungo periodo, come sono stati disegnati e considerati dal legislatore (nazionale e comunitario) ai fini degli ulteriori procedimenti amministrativi che possono interessare lo straniero precedentemente espulso.
4.1 Il rilascio del permesso di soggiorno – come già detto – postula la regolarità dell’ingresso in territorio italiano dello straniero, ed è ovvio che tale ultima circostanza debba essere valutata secondo la normativa vigente in quel preciso momento storico, che nel caso in esame ricade nel dicembre 2008.
Alla data del Dicembre 2008, la normativa interna prevedeva un divieto di reingresso dello straniero precedentemente espulso pari a dieci anni; la direttiva comunitaria 115/2008 (emanata poco prima ed entrata in vigore il 13.01.2009) introduce un regime meno gravoso, stabilendo che il divieto di reingresso venga fissato tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non superi di norma i cinque anni, salvo che lo straniero costituisca una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale (art. 11).
E’ importante precisare che la regola posta con la citata direttiva non costituisce un precetto compiuto ed incondizionato, in quanto lascia al legislatore nazionale la possibilità di muoversi entro parametri elastici (ad esempio fissando un termine inferiore ai cinque anni, discrezionalmente scelto). Ne consegue che la direttiva non può essere considerata in questa parte come atto self-executing e direttamente applicabile nello Stato membro allo scadere del termine di recepimento. Infatti, il carattere autoesecutivo della direttiva è stato affermato dalla Corte di giustizia solo con riferimento ai precetti precisi ed incondizionati contenuti negli arrt. 15 e 16, concernenti le misure coercitive funzionali al rimpatrio (Corte giustizia UE 28.04.2011 n. 61). Peraltro, in aggiunta, va anche rilevato che nel dicembre 2008 non era ancora nemmeno scaduto il termine assegnato agli Stati membri per il recepimento della direttiva (fissato alla data del 24.12 2010).
L’invocata direttiva comunitaria non appare dunque applicabile ratione temporis alla fattispecie.
4.2  Né si può condividere la tesi dell’applicazione retroattiva sostenuta dalla ricorrente nell’ultima memoria attraverso il richiamo alla decisione dell’A.P. n. 8/2011: in quella vicenda, infatti, l’applicazione retroattiva della disposizione comunitaria (riguardante l’abolizione di una particolare ipotesi di reato commesso dallo straniero) è frutto solo dei principi generali dell’ordinamento penale in tema di abolitio criminis (art. 2 c.p.).
In ogni caso, anche ove si volesse in ipotesi astratta ritenere direttamente applicabile alla data del dicembre 2008 il contenuto della direttiva, nella parte in cui fissa in (soli) cinque anni il divieto di reingresso dello straniero precedentemente espulso, tale operazione non risulterebbe comunque utile alla ricorrente, posto che a quella data il suo ingresso nello Stato italiano era avvenuto in maniera irregolare anche alla luce della direttiva stessa, in quanto effettuato a circa tre anni dalla precedente espulsione (risalente al novembre 2005).


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3110 del 2011, proposto da:
Margarita Sergunina, rappresentata e difesa dall'avv. Francesco Cacciola, con domicilio eletto presso avv. Pietro Paterniti La Via, in Catania, viale XX Settembre, 19; 
contro
Questore della Provincia di Messina, Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Catania, via Vecchia Ognina, 149; 
per l'annullamento
del decreto datato 1.03.2011, notificato il 5.07.2011, con il quale il Questore di Messina ha rigettato l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato avanzata da Sergunina Margarita e la ha invitata a lasciare il territorio nazionale;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Questore della Provincia di Messina e del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo 2013 il dott. Francesco Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
La cittadina bielorussa Sergunina Margarita, titolare di permesso di soggiorno per lavoro subordinato con scadenza il 24.12.2010, ha presentato nel mese di Ottobre 2010 istanza di rinnovo del titolo di soggiorno, ma il Questore di Messina ha respinto la domanda avendo accertato – attraverso gli elementi di identificazione dattiloscopici – che la stessa richiedente, sotto altre generalità, era stata in precedenza destinataria di un decreto di espulsione dal territorio nazionale emesso dal Prefetto di Messina in data 4.11.2005. La Questura ha, quindi, ritenuto non rinnovabile il titolo di soggiorno in quanto la straniera sarebbe rientrata in Italia, dopo l’espulsione, nel dicembre 2008, senza attendere il decorso del decennio prescritto ex lege e senza munirsi della autorizzazione ministeriale prevista dall’art. 13, co. 13, del T.U. Immigrazione approvato col D. Lgs. 286/98.
Col ricorso in epigrafe, la sig.ra Sergunina ha impugnato il decreto del Questore contenente il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, affidando il gravame ad una unica censura imperniata sul fatto che la Direttiva comunitaria 2008/115/CE (cd. “Direttiva rimpatri”) abbia modificato in senso meno gravoso per lo straniero irregolare il regime delle espulsioni, prevedendone modalità attuative diverse, e ridefinendone gli effetti amministrativi consequenziali.
Sulla base della predetta riforma di matrice comunitaria viene postulato in ricorso l’annullamento del provvedimento di diniego del permesso di soggiorno, in quanto fondato su un precedente atto di espulsione illegittimo e da considerare tamquam non esset.
Si è costituita in giudizio per resistere l’amministrazione intimata, che ha difeso la legittimità del proprio operato evidenziando il fatto che l’espulsione decretata nell’anno 2005 a carico della ricorrente vale come mero “fatto storico”, non toccato dallo ius superveniens comunitario, e comunque rilevando che le modalità concrete con le quali è stata eseguita l’espulsione (invito a lasciare il territorio nazionale, previa assegnazione di un termine) erano già all’epoca conformi alle nuove modalità dettate dall’Unione europea.
Con ordinanza n. 1564/11 è stata respinta la domanda cautelare allegata al ricorso, sulla base delle difese articolate dall’amministrazione resistente; ma il provvedimento cautelare è stato riformato in appello dal C.G.A. attraverso un generico richiamo alla Direttiva comunitaria 2008/115 (v. ordinanza n. 149/12).
Nel corso del giudizio la ricorrente ha, poi, proposto reclamo ex art. 126 del D.P.R. 115/2002 avverso il provvedimento n. 60/12 G.P. della Commissione per il patrocinio a spese dello Stato istituita presso questo Tar, che le aveva denegato l’accesso a tale beneficio economico, ritenendo che il ricorso non superasse il vaglio della non manifesta infondatezza.
L’esame del reclamo è stato rinviato all’udienza di trattazione del merito fissata per il 28 marzo 2013.
In vista dell’udienza le parti hanno depositato memorie difensive, e la causa è stata poi trattenuta per la decisione.

DIRITTO
Viene in esame il Decreto emesso dal Questore di Messina con il quale è stato negato ad una straniera, in prossimità della scadenza, il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato in base al rilievo – che assume per legge valore ostativo (art. 5, co. 5, in combinazione con gli artt. 4, co. 6, e 13, co. 13, del T.U. Immigrazione) – che la stessa fosse stata in precedenza (circa cinque anni prima) espulsa dal territorio nazionale a seguito di decreto emesso dal Prefetto di Messina, ed avesse poi fatto rientro in Italia prima del decorso del termine decennale dall’espulsione, e senza l’autorizzazione ministeriale prevista dall’art. 13, co. 13, del T.U. Immigrazione approvato col D. Lgs. 286/98.
Il ricorso proposto dalla straniera avverso il provvedimento del Questore si incentra tutto sulla circostanza che la Direttiva comunitaria 2008/115/CE (cd. “Direttiva rimpatri”) abbia modificato in senso meno gravoso per lo straniero irregolare il regime delle espulsioni, prevedendone modalità attuative diverse, e ridefinendone gli effetti amministrativi consequenziali. Con l’ulteriore conseguenza - postulata in ricorso - che l’amministrazione procedente non avrebbe potuto prendere in nessuna considerazione il precedente decreto di espulsione emesso ed eseguito a carico della ricorrente, in quanto contrario al diritto comunitario sopravvenuto, e come tale da ritenere tamquam non esset.
La tesi non convince, ed il ricorso va respinto.
In primo luogo, va puntualizzato il regime normativo – vigente in tema di permesso di soggiorno -non toccato dalla citata direttiva comunitaria, nella parte in cui stabilisce che non può farsi luogo al rilascio od al rinnovo del titolo se mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato. Tra questi ultimi, va menzionato quello prescritto dall’art. 13, co. 13, del D. Lgs. 286/1998 a norma del quale “Lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno”, e per un periodo di dieci anni (art. 13, co. 14).
Tanto premesso, va aggiunto che la “materia” delle espulsioni degli stranieri irregolari è stata più di recente ridefinita in sede comunitaria, attraverso la direttiva 2008/115 citata in ricorso (recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare), con la quale sono state modificate le modalità attuative e gli effetti giuridici “di lungo periodo” conseguenti al provvedimento di espulsione. Più in particolare, la direttiva sancisce che l’espulsione coatta debba essere preceduta dall’assegnazione di un termine congruo, utile affinchè lo straniero possa lasciare autonomamente il territorio nazionale (artt. 7 e 8), ed aggiunge che in caso di avvenuta espulsione il divieto di reingresso non può superare di norma i cinque anni, salvo che lo straniero costituisca una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale (art. 11).
La direttiva è stata recepita (seppur tardivamente) in Italia col D. Lgs. 89/2011 con il quale – ai fini di quanto qui strettamente interessa – è stato disposto un divieto di reingresso nel territorio nazione degli stranieri precedentemente espulsi “(…) per un periodo non inferiore a tre anni e non superiore a cinque anni, la cui durata è determinata tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti il singolo caso”.
Ricostruito così il quadro normativo, è possibile trarre le conclusioni con riguardo ai rilievi sollevati dal ricorrente.
In primo luogo, va affermato che il provvedimento di espulsione adottato dal Prefetto nel 2005 con le modalità all’epoca vigenti è, in base al principio tempus regit actum, legittimo e non in contrasto con la direttiva comunitaria, per il semplice fatto che questa non era stata ancora emanata a quell’epoca (tale considerazione risulta assorbente, ed induce a non dare rilievo alla subordinata argomentazione difensiva della resistente, imperniata sulla circostanza che l’amministrazione – anticipando di fatto i precetti della futura direttiva comunitaria – non eseguì coattivamente l’espulsione, ma si limitò ad assegnare alla straniera un termine per l’adempimento spontaneo).
Peraltro, va precisato che la direttiva in esame non ha espunto dall’ordinamento l’istituto dell’espulsione amministrativa, ma si è limitata a stabilire norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità, aggiungendo che – in quest’ottica – la legislazione interna non può qualificare come delitto l’inottemperanza all’ordine del Questore di lasciare il territorio nazionale (Corte giustizia UE n. 61/2011).
Ne consegue che non è fondata la tesi sostenuta in ricorso laddove considera il decreto di espulsione come atto giuridicamente inesistente (tamquam non esset): al contrario, il provvedimento di espulsione è stato legittimamente emesso, e vale ora come antecedente storico di cui occorre tenere conto.
A questo punto si deve valutare se ed in che modo gli effetti durevoli di un provvedimento di espulsione legittimamente adottato in passato possano oggi incidere sul regime di reingresso e di soggiorno dello straniero espulso: in altre parole, la controversia in esame impone di distinguere chiaramente fra il provvedimento amministrativo di espulsione (il cui regime giuridico, come già detto, va valutato in base alla regola tempus regit actum), ed i suoi effetti giuridici successivi, che potremmo definire “di lungo periodo”, come sono stati disegnati e considerati dal legislatore (nazionale e comunitario) ai fini degli ulteriori procedimenti amministrativi che possono interessare lo straniero precedentemente espulso.
Il rilascio del permesso di soggiorno – come già detto – postula la regolarità dell’ingresso in territorio italiano dello straniero, ed è ovvio che tale ultima circostanza debba essere valutata secondo la normativa vigente in quel preciso momento storico, che nel caso in esame ricade nel dicembre 2008.
Alla data del Dicembre 2008, la normativa interna prevedeva un divieto di reingresso dello straniero precedentemente espulso pari a dieci anni; la direttiva comunitaria 115/2008 (emanata poco prima ed entrata in vigore il 13.01.2009) introduce un regime meno gravoso, stabilendo che il divieto di reingresso venga fissato tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non superi di norma i cinque anni, salvo che lo straniero costituisca una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale (art. 11).
E’ importante precisare che la regola posta con la citata direttiva non costituisce un precetto compiuto ed incondizionato, in quanto lascia al legislatore nazionale la possibilità di muoversi entro parametri elastici (ad esempio fissando un termine inferiore ai cinque anni, discrezionalmente scelto). Ne consegue che la direttiva non può essere considerata in questa parte come atto self-executing e direttamente applicabile nello Stato membro allo scadere del termine di recepimento. Infatti, il carattere autoesecutivo della direttiva è stato affermato dalla Corte di giustizia solo con riferimento ai precetti precisi ed incondizionati contenuti negli arrt. 15 e 16, concernenti le misure coercitive funzionali al rimpatrio (Corte giustizia UE 28.04.2011 n. 61). Peraltro, in aggiunta, va anche rilevato che nel dicembre 2008 non era ancora nemmeno scaduto il termine assegnato agli Stati membri per il recepimento della direttiva (fissato alla data del 24.12 2010).
L’invocata direttiva comunitaria non appare dunque applicabile ratione temporis alla fattispecie.
Né si può condividere la tesi dell’applicazione retroattiva sostenuta dalla ricorrente nell’ultima memoria attraverso il richiamo alla decisione dell’A.P. n. 8/2011: in quella vicenda, infatti, l’applicazione retroattiva della disposizione comunitaria (riguardante l’abolizione di una particolare ipotesi di reato commesso dallo straniero) è frutto solo dei principi generali dell’ordinamento penale in tema di abolitio criminis (art. 2 c.p.).
In ogni caso, anche ove si volesse in ipotesi astratta ritenere direttamente applicabile alla data del dicembre 2008 il contenuto della direttiva, nella parte in cui fissa in (soli) cinque anni il divieto di reingresso dello straniero precedentemente espulso, tale operazione non risulterebbe comunque utile alla ricorrente, posto che a quella data il suo ingresso nello Stato italiano era avvenuto in maniera irregolare anche alla luce della direttiva stessa, in quanto effettuato a circa tre anni dalla precedente espulsione (risalente al novembre 2005).
Si deve quindi concludere che l’autorità amministrativa oggi resistente ha legittimamente ritenute violate le regole sul reingresso dello straniero vigenti al momento del fatto (dicembre 2008), ed ha conseguentemente negato il rinnovo del permesso di soggiorno in quanto richiesto da soggetto che aveva fatto ingresso irregolarmente nel territorio dello Stato.
Il ricorso va, in conclusione, respinto.
Va anche respinto, di conseguenza, il reclamo proposto avverso il provvedimento della Commissione per il patrocinio a spese dello Stato che ha negato l’accesso al beneficio in questione ritenendo il ricorso infondato.
La peculiarità giuridica della questione esaminata induce, tuttavia, a compensare e spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Respinge il reclamo avverso la decisione della Commissione per il patrocinio a spese dello Stato.
Compensa le spese processuali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 28 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Cosimo Di Paola, Presidente
Francesco Brugaletta, Consigliere
Francesco Bruno, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/04/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


Nessun commento:

Posta un commento