martedì 11 giugno 2013

PROCESSO: l'estinzione e la riassunzione del giudizio dopo il fallimento di una parte processuale (T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, Sez. I, sentenza 8 giugno 2013 n. 545).


PROCESSO: 
l'estinzione e la riassunzione del giudizio dopo il fallimento di una parte processuale
 (T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, Sez. I, 
sentenza 8 giugno 2013 n. 545)

Disciplina

In merito all'istituto dell’estinzione e della riassunzione del giudizio, in specie per sopravvenuto fallimento di una delle parti in causa, partendo dalla normativa processual-civilistica (così come interpretata dalla Corte Costituzionale), per poi illustrare la disciplina applicabile al processo amministrativo, in virtù delle disposizioni codicistiche ex D. Lgs. n. 204/10.
1.  Punto di partenza della nuova disciplina di settore è l’art. 43 della legge fallimentare, come modificato dal D. Lgs. n. 5/2006,il quale dispone all’ultimo comma che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, disposizione quest’ultima pacificamente interpretata nel senso che il fallimento della parte provoca in modo automatico ed implicito la detta interruzione, senza necessità di dichiarazione in giudizio o di notificazione alle parti dell’evento (cfr. SS.UU. n. 7443/2008); è stato così introdotto un meccanismo estintivo che ha innovato il precedente sistema, basato sull’art. 300 c.p.c. che, nel caso di fallimento della parte costituita, faceva conseguire l’interruzione dalla dichiarazione in giudizio, ovvero dalla notificazione dell’evento da parte del procuratore costituito per la fallita.
2.  Quanto alle modalità di riassunzione, la novella introdotta dalla L. n. 69/09 all’art. 305 c.p.c. ha determinato la seguente attuale versione di tale norma (intitolata: mancata prosecuzione o riassunzione): “Il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di tre mesi dall'interruzione, altrimenti si estingue” (precedentemente il termine era di sei mesi, così che la riforma ne ha comportato il dimezzamento).
La disposizione è chiara nello stabilire, non solo il nuovo spatium temporis per riassumere il giudizio, ma anche il suo dies a quo, che continua a decorrere fatalmente dal momento interruttivo (qui l’art. 305 c.p.c. ha conservato infatti il suo originario lessico).
Va detto poi che, fin da un risalente passato, il predetto articolo 305 c.p.c. –per fattispecie estranee alla materia fallimentare, ma in relazione a quel meccanismo interruttivo automatico (es. artt. 299 e 301 c.p.c. relativi rispettivamente ai casi di morte o perdita della capacità della parte non costituita e di morte od impedimento del procuratore), che il legislatore, come sopra visto, avrebbe poi adottato dal 2006 anche per la dichiarazione di fallimento- aveva destato particolari perplessità per i (soli) soggetti rimasti estranei al procedimento da cui scaturiva de iure la causa di interruzione, atteso che per questi ultimi –non conoscendo essi la data dell’evento interruttivo- sarebbe stata impossibile la piena gestione dei termini per la riassunzione.
E’ per questa ragione che la Corte Costituzionale con sentenze di accoglimento n. 139/1967 e 159/1967 ha da tempo statuito che l’art. 305 c.p.c. deve intendersi conformato nel senso che il termine utile per la prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto può decorrere solo dall’effettiva conoscenza dell’evento interruttivo automatico di cui agli artt. 299 e 301 c.p.c..
E’ peraltro da notare che il legislatore, nonostante tali pronunce costituzionali, ha ritenuto di lasciare il testo della norma nella versione originaria, che argomenta tout court di decorrenza dei termini dall’evento interruttivo.

In buona sostanza, come efficacemente riassunto dalla recente pronuncia del T.A.R. Lombardia n. 762/2013, “…la Corte, ribadendo un proprio consolidato orientamento riguardante le ipotesi di interruzione automatica, ha altresì affermato il principio secondo il quale, nelle suddette ipotesi, il termine per effettuare la riassunzione del processo interrotto, di cui all’art. 305 c.p.c., ha decorrenza diversa a seconda che si faccia riferimento alla parte colpita dall’evento interruttivo (la quale è a conoscenza della sua esistenza sin dal momento di verificazione del medesimo) ovvero all’altra parte. Nel primo caso il termine decorre dalla realizzazione dell’evento; nel secondo dal momento in cui la parte ne viene a conoscenza”.
3. Passando ora alla disciplina di settore regolata dal codice del processo amministrativo (di diretta applicazione per il caso in vertenza), le norme in rilievo –per ciò che concerne specificamente l’interruzione- sono gli artt. 79 comma 2 e 80 commi 2 e 3. Altro discorso riguarda il regime della dimidiazione dei termini nella gare di appalto ex art. 120 CPA.
3.1 Nel comma 2 dell’art. 79 C.p.A. si esplicita il principio generale, secondo cui l’interruzione del processo è disciplinata (in primis per le sue tempistiche) dalle disposizioni del codice di procedura civile; come già osservato nella sentenza di questo T.A.R. n. 13/12, tale rinvio “va ovviamente inteso in senso estensivo, comprendendo pertanto le varie discipline speciali civilistiche che parimenti regolano l’interruzione processuale come quella del fallimento…” (ivi comprese dunque le novelle del 2006 e del 2009).
Tra l’altro va anche detto che l’art. 43 della legge fallimentare, nel disporre all’ultimo comma, dopo la novella del 2006, che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, non si riferisce al solo processo civile, così che la disposizione può senz’altro comunque ritenersi applicabile anche al giudizio amministrativo, a prescindere dalla citata norma di rinvio ex art. 79 comma 2, C.p.A..
3.2  Sulla base di tale premessa, poi, l’art. 80 comma 2 regola gli oneri di riassunzione della parte nei cui confronti si è verificato l’evento interruttivo, vale a dire –per il caso che qui interessa- della parte colpita dal fallimento. 
In tale evenienza, nulla il legislatore ha inteso aggiungere rispetto alle tempistiche già previste dalla citata disciplina processual-civilistica in virtù del rinvio ex art. 79 comma 2 C.p.A., essendosi limitato solo a specificare che l’atto di riassunzione (da formalizzare quindi entro 90 giorni, decorrenti sempre e comunque dalla data di interruzione) può operarsi mediante nuova istanza di fissazione di udienza (alla quale ovviamente non restano applicabili le diverse regole previste dal codice all’art. 71 C.p.A. a proposito dell’ordinario regime di impulso processuale).
3.3  Il terzo comma dell’art. 80 si riferisce invece alle ipotesi di riassunzione ad iniziativa e nell’interesse delle parti rimaste estranee all’evento interruttivo (che nella specie coincide con la dichiarazione di fallimento); come anche accennato nella sentenza di questo T.A.R. n. 13/12, trattasi di fattispecie estranea al caso in vertenza, visto che nessuna delle parti resistenti ha manifestato un interesse di tal fatta. Ebbene nel citato terzo comma dell’art. 80, il legislatore –in conformità al diritto vivente della materia processual-civilistica (come scaturito dai ripetuti interventi della Corte Costituzionale)- ha inteso esplicitamente sottolineare che il termine perentorio di novanta giorni previsto dall’art. 305 c.p.c. trova decorrenza (solo) “…dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo, acquisita mediante dichiarazione, notificazione o certificazione”, al contrario del dies a quo rigidamente ancorato a quell’evento, quando la riassunzione sia chiesta dalla parte colpita dall’evento.
4. Si è trattato –in buona sostanza- di una scelta legislativa improntata alla migliore esplicitazione del regime di salvaguardia da tempo introdotto dalla corte costituzionale a favore delle parti non coinvolte nella causa di estinzione processuale (e quindi ignare fino ad una loro effettiva conoscenza), vista anche la discutibile “prigrizia” della legislazione processual-civilistica, che non ha inteso adeguare il lessico dell’art. 305 c.p.c. al “distinguo” reiteratamente puntualizzato dalla Consulta.
Il delineato assetto del C.p.A. riprende pertanto i coevi contenuti della pronuncia 17/10 della Corte, secondo cui il termine per effettuare la riassunzione del processo interrotto, di cui all’art. 305 c.p.c., decorre dalla realizzazione dell’evento per la parte che ne è colpita (la quale è a conoscenza della sua esistenza sin dal momento di verificazione del medesimo), ovvero decorre dal momento in cui le altre parti ne vengono aliunde a conoscenza.
Il delineato regime si presenta peraltro ineccepibile sul versante costituzionale, anche in relazione alla decorrenza automatica dei termini di riassunzione ex art. 305 c.c. per il soggetto colpito dal fallimento, atteso che la ditta fallita è ovviamente ben a conoscenza delle sue sorti, così che i suoi legali che la difendono nei contenziosi in corso devono presumersi informati “in tempo reale” sui riverberi estintivi.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA NON DEFINITIVA
sul ricorso numero di registro generale 512 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
C.T. Crane Team S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Alberto Baiocco, Renato Ferola, Raffaele Ferola, con domicilio eletto presso Alberto Avv. Baiocco in L'Aquila, via Salaria Antica Ovest, 8; Fallimento Ct Crane Team Srl, rappresentato e difeso dall'avv. Umberto Grella, con domicilio eletto presso Alberto Avv. Baiocco in L'Aquila, via Salaria Antica Ovest, 8; 
contro
Comune di L'Aquila in Persona del Sindaco P.T., rappresentato e difeso per legge dall'Domenico De Nardis, domiciliata in L'Aquila, viale XXV Aprile; 
nei confronti di
Agudio S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Roberto Colagrande, Claudio Vivani, Blerina Pogace, con domicilio eletto presso Roberto Avv. Colagrande in L'Aquila, via Ulisse Nurzia 26 - Pile; 
e con l'intervento di
ad opponendum:
Consulente Tecnico Ing. Stabon Giuliano; 
per l'annullamento
DELLA DETERMINA N. 442 DEL 15 SETTEMBRE 2010 CON CUI E' STATA REVOCATA L'AGGIUDICAZIONE ALLA RICORRENTE DELL'APPALTO INTEGRATO PER LA PROGETTAZIONE ESECUTIVA E L'ESECUZIONE DEI LAVORI DI REVISIONE E AMMODERNAMENTO DELLA FUNIVIA BIFUME IN LOC. FONTE CERRETO-CAMPO IMPERATORE DEL COMUNE DI L'AQUILA. Sentenza di estinzione del giudizio 13/12 annullata con rinvio dal Consiglio di Stato (dec. 5970/12); esame controdeduzioni ex art. 105 comma 1 CPA;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di L'Aquila in Persona del Sindaco P.T. e di Agudio S.p.A.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2013 il dott. Paolo Passoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Visto l'art. 36, co. 2, cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con sentenza 13/12 questo tar dichiarava estinto il giudizio di cui al ricorso in epigrafe (comprensivo di motivi aggiunti), per la tardività dell’atto di riassunzione predisposto dal Fallimento CT Crane srl.
La predetta pronuncia veniva poi annullata con rinvio dal Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 105 comma 1 CPA (decisione 5970/12), per la violazione da parte del T.A.R. dell’art. 73, comma 3, del c.p.a., per essere stata posta a fondamento dell’improcedibilità una questione, quella della estinzione del giudizio, rilevata d’ufficio, senza previa indicazione in udienza o assegnazione di un termine per controdedurre.
In esecuzione della pronuncia d’appello, questo tar assegnava alle parti congruo termine per interloquire in ordine al citato profilo di improcedibilità così come argomentato nella sentenza di primo grado 13/12.
In vista dell’odierna udienza del 22.5.13, sia il fallimento CT Crane Team srl che il Comune dell’Aquila producevano articolate memorie, nel primo caso per contestare la sussistenza dei presupposti di estinzione, nel secondo per aderire a quanto statuito dal tar con la predetta pronuncia 13/12.

DIRITTO
Ritiene il collegio di procedere preliminarmente ad una analitica descrizione dell’istituto dell’estinzione e della riassunzione del giudizio, in specie per sopravvenuto fallimento di una delle parti in causa, partendo dalla normativa processual-civilistica (così come interpretata dalla Corte Costituzionale), per poi illustrare la disciplina applicabile al processo amministrativo, in virtù delle disposizioni codicistiche ex d. leg.vo 204/10.
Punto di partenza della nuova disciplina di settore è l’articolo 43 della legge fallimentare, come modificato dal decreto legislativo 5/2006, il quale dispone all’ultimo comma che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, disposizione quest’ultima pacificamente interpretata nel senso che il fallimento della parte provoca in modo automatico ed implicito la detta interruzione, senza necessità di dichiarazione in giudizio o di notificazione alle parti dell’evento (cfr. SSUU n. 7443/2008); è stato così introdotto un meccanismo estintivo che ha innovato il precedente sistema, basato sull’art. 300 cpc che, nel caso di fallimento della parte costituita, faceva conseguire l’interruzione dalla dichiarazione in giudizio, ovvero dalla notificazione dell’evento da parte del procuratore costituito per la fallita.
Quanto alle modalità di riassunzione, la novella introdotta dalla legge 18 giugno 2009 n. 69 all’art. 305 cpc ha determinato la seguente attuale versione di tale norma (intitolata: mancata prosecuzione o riassunzione): “Il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di tre mesi dall'interruzione, altrimenti si estingue” (precedentemente il termine era di sei mesi, così che la riforma ne ha comportato il dimezzamento).
La disposizione è chiara nello stabilire, non solo il nuovo spatium temporis per riassumere il giudizio, ma anche il suo dies a quo, che continua a decorrere fatalmente dal momento interruttivo (qui l’art. 305 c.p.c. ha conservato infatti il suo originario lessico).
Va detto poi che, fin da un risalente passato, il predetto articolo 305 c.p.c. –per fattispecie estranee alla materia fallimentare, ma in relazione a quel meccanismo interruttivo automatico (es. artt. 299 e 301 cpc relativi rispettivamente ai casi di morte o perdita della capacità della parte non costituita e di morte od impedimento del procuratore), che il legislatore, come sopra visto, avrebbe poi adottato dal 2006 anche per la dichiarazione di fallimento- aveva destato particolari perplessità per i (soli) soggetti rimasti estranei al procedimento da cui scaturiva de iure la causa di interruzione, atteso che per questi ultimi –non conoscendo essi la data dell’evento interruttivo- sarebbe stata impossibile la piena gestione dei termini per la riassunzione.
E’ per questa ragione che la corte costituzionale con sentenze di accoglimento n. 139/1967 e 159/1967 ha da tempo statuito che l’art. 305 cpc deve intendersi conformato nel senso che il termine utile per la prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto può decorrere solo dall’effettiva conoscenza dell’evento interruttivo automatico di cui agli artt. 299 e 301 c.p.c..
E’ peraltro da notare che il legislatore, nonostante tali pronunce costituzionali, ha ritenuto di lasciare il testo della norma nella versione originaria, che argomenta tout court di decorrenza dei termini dall’evento interruttivo.
Va anche precisato per completezza che –proprio in relazione alla materia fallimentare, ma sotto il vecchio regime ex art. 43 che precedeva la novella del 2006- la Corte Costituzionale ha disatteso la questione sollevata dal giudice a quo in ordine alla sospetta incostituzionalità dell’art. 305 c.p.c., nella parte in cui non faceva decorrere il termine per la correlativa riassunzione, dal giorno della effettiva conoscenza dell'evento interruttivo da parte del curatore del fallimento (sentenza 136/1992).
La sopravvenuta modifica dell’art. 43 della legge fallimentare ad opera del decreto legislativo 5/2006, con cui si è disposto anche per il fallimento l’automatismo interruttivo, ha peraltro innestato la recente questione sollevata dal Tribunale di Biella (ordinanza del 6 marzo 2009), che sospettava di incostituzionalità l’art. 305 c.p.c., se applicato al nuovo predetto regime “automatico” di interruzione processuale; quanto sopra, per la sola previsione in cui non si sarebbe fatto decorrere il termine per la riassunzione del processo dalla data di effettiva conoscenza dell’evento interruttivo «ad opera di parte diversa da quella dichiarata fallita (ovvero diversa dai soggetti che, comunque, hanno partecipato al procedimento per la dichiarazione di fallimento)».
In particolare, nella vicenda giudiziaria sottoposta al vaglio della Consulta -relativa ad opposizione di decreto ingiuntivo- la ditta fallita (opposta-convenuta) aveva eccepito la tardiva riassunzione del processo da parte della ditta opponente-attrice, sulla base dei nuovi meccanismi interruttivi introdotti dal 2006 con la novella dell’art. 43 della legge fallimentare, che hanno per l’appunto statuito l’interruzione automatica del giudizio una volta dichiarato il fallimento. In tal senso il giudice piemontese fondava la rilevanza della questione per il fatto che nel giudizio a quo non era emerso che l’attrice avesse avuto conoscenza della dichiarazione di fallimento della convenuta prima della dichiarazione effettuata in udienza (non risultando che la stessa avesse partecipato alla procedura fallimentare in qualità di creditrice) così che –sempre secondo la prospettazione rimettente- l’attrice si sarebbe vista scadere i termini utili per la riassunzione rispetto ad un dies a quo (dichiarazione di fallimento), solo successivamente conosciuto e/o conoscibile.
La corte, con sentenza n. 17/10, ha disatteso la questione, richiamando la propria giurisprudenza con cui aveva da tempo ormai chiarito che l’art. 305 c.p.c. –nella parte in cui prevede che il termine di riassunzione decorra tout court dall’evento interruttivo- non è applicabile alla parte estranea alla procedura che ha determinato tale evento, trattandosi di un principio valido anche per la materia fallimentare, una volta intervenuto l’automatismo estintivo ad opera della citata novella del 2006. In particolare è stata in quella sede evidenziata l’esigenza, sottesa all’istituto dell’interruzione, “…di tutelare anche il diritto di difesa della parte cui il fatto interruttivo non si riferisceessa, quindi, deve essere in grado di conoscere se si sia o meno verificato l’evento interruttivo e, in caso positivo, deve essere posta nelle condizioni di sapere da quale momento decorre il termine semestrale per la riassunzione (ora trimestrale, per effetto dell’entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69, omissis)”.
In buona sostanza, come efficacemente riassunto dalla recente pronuncia del tar Lombardia 762/2013, “…la Corte, ribadendo un proprio consolidato orientamento riguardante le ipotesi di interruzione automatica, ha altresì affermato il principio secondo il quale, nelle suddette ipotesi, il termine per effettuare la riassunzione del processo interrotto, di cui all’art. 305 c.p.c., ha decorrenza diversa a seconda che si faccia riferimento alla parte colpita dall’evento interruttivo (la quale è a conoscenza della sua esistenza sin dal momento di verificazione del medesimo) ovvero all’altra parte. Nel primo caso il termine decorre dalla realizzazione dell’evento; nel secondo dal momento in cui la parte ne viene a conoscenza”.
Passando ora alla disciplina di settore regolata dal codice del processo amministrativo (di diretta applicazione per il caso in vertenza), le norme in rilievo –per ciò che concerne specificamente l’interruzione- sono gli artt. 79 comma 2 e 80 commi 2 e 3. Altro discorso, che sarà successivamente approfondito (anche se rimasto estraneo alle argomentazioni sviluppate delle parti a seguito della sentenza d’appello), riguarda il regime della dimidiazione dei termini nella gare di appalto ex art. 120 CPA.
Nel comma 2 dell’art. 79 CPA si esplicita il principio generale, secondo cui l’interruzione del processo è disciplinata (in primis per le sue tempistiche) dalle disposizioni del codice di procedura civile; come già osservato nella sentenza di questo Tar n. 13/12, tale rinvio “va ovviamente inteso in senso estensivo, comprendendo pertanto le varie discipline speciali civilistiche che parimenti regolano l’interruzione processuale come quella del fallimento…” (ivi comprese dunque le novelle del 2006 e del 2009).
Tra l’altro va anche detto che l’articolo 43 della legge fallimentare, nel disporre all’ultimo comma, dopo la novella del 2006, che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, non si riferisce al solo processo civile, così che la disposizione può senz’altro comunque ritenersi applicabile anche al giudizio amministrativo, a prescindere dalla citata norma di rinvio ex art. 79 comma 2, CPA..
Sulla base di tale premessa, poi, l’art. 80 comma 2 regola gli oneri di riassunzione della parte nei cui confronti si è verificato l’evento interruttivo, vale a dire –per il caso che qui interessa- della parte colpita dal fallimento. In tale evenienza, nulla il legislatore ha inteso aggiungere rispetto alle tempistiche già previste dalla citata disciplina processual-civilistica in virtù del rinvio ex art. 79 comma 2 CPA, essendosi limitato solo a specificare che l’atto di riassunzione (da formalizzare quindi entro 90 giorni, decorrenti sempre e comunque dalla data di interruzione) può operarsi mediante nuova istanza di fissazione di udienza (alla quale ovviamente non restano applicabili le diverse regole previste dal codice all’art. 71 CPA a proposito dell’ordinario regime di impulso processuale).
Il terzo comma dell’art. 80 si riferisce invece alle ipotesi di riassunzione ad iniziativa e nell’interesse delle parti rimaste estranee all’evento interruttivo (che nella specie coincide con la dichiarazione di fallimento); come anche accennato nella sentenza di questo tar n. 13/12, trattasi di fattispecie estranea al caso in vertenza, visto che nessuna delle parti resistenti ha manifestato un interesse di tal fatta. Ebbene nel citato terzo comma dell’art. 80, il legislatore –in conformità al diritto vivente della materia processual-civilistica (come scaturito dai ripetuti interventi della Corte Costituzionale)- ha inteso esplicitamente sottolineare che il termine perentorio di novanta giorni previsto dall’art. 305 c.p.c. trova decorrenza (solo) “…dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo, acquisita mediante dichiarazione, notificazione o certificazione”, al contrario del dies a quo rigidamente ancorato a quell’evento, quando la riassunzione sia chiesta dalla parte colpita dall’evento.
Si è trattato –in buona sostanza- di una scelta legislativa improntata alla migliore esplicitazione del regime di salvaguardia da tempo introdotto dalla corte costituzionale a favore delle parti non coinvolte nella causa di estinzione processuale (e quindi ignare fino ad una loro effettiva conoscenza), vista anche la discutibile “prigrizia” della legislazione processual-civilistica, che non ha inteso adeguare il lessico dell’art. 305 c.p.c. al “distinguo” reiteratamente puntualizzato dalla Consulta.
Il delineato assetto del CPA riprende pertanto i coevi contenuti della pronuncia 17/10 della Corte, secondo cui il termine per effettuare la riassunzione del processo interrotto, di cui all’art. 305 c.p.c., decorre dalla realizzazione dell’evento per la parte che ne è colpita (la quale è a conoscenza della sua esistenza sin dal momento di verificazione del medesimo), ovvero decorre dal momento in cui le altre parti ne vengono aliunde a conoscenza.
Il delineato regime si presenta peraltro ineccepibile sul versante costituzionale, anche in relazione alla decorrenza automatica dei termini di riassunzione ex art. 305 c.c. per il soggetto colpito dal fallimento, atteso che la ditta fallita è ovviamente ben a conoscenza delle sue sorti, così che i suoi legali che la difendono nei contenziosi in corso devono presumersi informati “in tempo reale” sui riverberi estintivi (per ogni causa di rispettiva conduzione) determinati dalla sopravvenuta dichiarazione di fallimento; né eventuali ritardi di comunicazione fra tali legali e la curatela possono essere valida ragione per eccepire l’incostituzionalità della norma, e neanche per invocare l’errore scusabile, trattandosi di negligenze piuttosto evidenti, interne all’organizzazione del soggetto chiamato ad attivarsi per il rispetto di termini perentori, con conseguenze negative correttamente inquadrabili nel cd. “imputet sibi” (così anche cost. cost. 136/92 secondo cui dall’eventuale inadempienza del procuratore del fallito non potrebbe “derivare un vizio di incostituzionalità della norma, la cui legittimità va apprezzata in funzione della corretta osservanza dell'ordinamento giuridico complessivo e non delle possibili sue violazioni”.
Alla luce delle esposte considerazioni, risulta agevole disattendere la tesi esposta da parte ricorrente nella citata memoria del 28.3.13, ove si insiste nel rilevare che:
-la corte costituzionale, con la sentenza 17/10, avrebbe tout court subordinato l’avvio del termine trimestrale per la riassunzione del giudizio, ad una conoscenza effettiva dell’evento interruttivo automatico del soggetto chiamato a tale riassunzione; in realtà, si è più volte visto come l’automatismo della decorrenza del termine al verificarsi dell’evento interruttivo, espressamente previsto nell’art. 305 cpc, continua ad applicarsi nelle ipotesi –che qui rilevano- riguardanti il soggetto colpito da tale evento, di cui deve presumersi ovviamente la conoscenza; né può certo sostenersi che la Curatela sarebbe (paradossalmente) esonerata da tale presunzione cognitoria, per essere soggetto giuridicamente distinto rispetto alla ditta fallita, visto che trattasi di Organo chiamato proprio a regolare la delicata gestione post fallimento, così che ben difficilmente –sotto un profilo logico ancor più che giuridico- la curatela stessa potrebbe invocare la mancata conoscenza di un evento (il fallimento e quindi l’interruzione processuale) che costituisce la ratio stessa della sua funzione;
-l’art. 80 CPA subordinerebbe ad un preciso termine la riassunzione del giudizio solo nel caso di parti estranee all’evento interruttivo (comma terzo), mentre per i soggetti direttamente colpiti da tale evento (comma secondo), vi sarebbe solo un richiamo alla necessità di formalizzare istanza di fissazione di udienza, che parte ricorrente avrebbe tempestivamente formulato nei sensi delineati in via generale dal CPA; si è invece sopra ben argomentato che i termini (con le relative decorrenze) per riassumere il processo sono quelli stabiliti dalla disciplina processual civilistica di settore, ed in specie –per il fallimento- l’art. 43 legge fallimentare e l’art. 305 cpc, come da rinvio espresso ex art. 79 CPA; ora, mentre l’art. 80 comma 2 non ha avuto alcuna necessità di puntualizzare alcunché per il chiaro regime riguardante il soggetto colpito dall’evento interruttivo, il legislatore ha invece inteso puntualizzare, nel terzo comma dell’art. 80 CPA, che quel termine di novanta giorni (applicabile ovviamente anche nelle ipotesi del comma precedente, in virtù del rinvio ex art. 79 CPA) trova decorrenza solo dall’effettiva conoscenza dei soggetti estranei all’evento interruttivo, come da reiterate pronunce della corte costituzionale, rimaste tuttavia non “lessicalmente” recepite nell’art. 305 cpc.;
-a tutto concedere, dovrebbe sospettarsi di incostituzionalità il sistema normativo sopra delineato, ovvero comunque –in ulteriore subordine- riconoscere l’errore scusabile e rimettere in termini la curatela ricorrente; avverso tali argomentazioni, basta richiamare le ragioni appena illustrate che conducono a ravvisare la conformità a costituzione di tali previsioni e l’inconfigurabilità dell’invocata rimessione in termini.
A questo punto, occorre tuttavia porre una ponderata attenzione ad un’altra questione, rimasta estranea al dibattito scaturito dall’annullamento con rinvio della sentenza tar 13/2012.
Ci si riferisce in particolare alla problematica della riduzione alla metà dei termini nelle gare di appalto, sulla quale così testualmente si è espresso il Tar nella citata pronuncia 13/2012:
“Sulla durata (ordinariamente) trimestrale del termine per la riassunzione, va poi considerata la dimidiazione prevista dall’art. 119 CPA, in relazione ai provvedimenti (come nella specie) concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture (….)”; “…la CT Crane Team ha subìto dichiarazione di fallimento con sentenza del Tribunale di Milano del 22.7.11. A seguito di ciò, per le ragioni collegate al nuovo regime di interruzione automatica disposto dall’art. 43 della legge fallimentare come novellato dalla legge 5/2006, da tale data di interruzione implicita decorreva il termine di 45 giorni a disposizione della curatela fallimentare per riassumere il processo interrotto (termine risultante dalla dimidiazione ex art. 129 CPA di quello ordinario di 90 giorni, in virtù della natura del contenzioso, afferente ad una revoca di aggiudicazione). Il fallimento CT Crane Team ha invece notificato alle controparti l’atto di riassunzione solo in data 14.11.11 (poi depositato il 16.11.11), così superando il termine trimestrale (nds, così come dimidiato ai sensi delle pregresse considerazioni, nds) decorrente dal 22.7.11, anche considerando la sospensione feriale dal 1 agosto al 15 settembre”.
Pertanto, il dimezzamento dei termini processuali è risultato decisivo nel determinare la ravvisata tardività della riassunzione, formalizzata invece (calcolando il periodo di sospensione feriale) entro i 90 giorni dalla dichiarazione di fallimento del 22.7.11.
Ciò premesso, risulta necessario, ad avviso del collegio, approfondire un duplice aspetto rimasto privo di specifica considerazione nella sentenza 13/12, e ciò con riguardo all’applicabilità dell’istituto della dimidiazione dei termini: a) in caso di revoca di aggiudicazione (atto impugnato nel presente gravame); b) in relazione ad un petitum risarcitorio (comunque azionato dalla ricorrente insieme al giudizio propriamente impugnatorio).
Sulla prima questione, risulta agevole desumere (in disparte qualche episodica incertezza giurisprudenziale) che fra “..i provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture” ex art. 119 comma 1 lett a) del CPA debbano intendersi compresi anche gli atti di secondo grado che eventualmente la stazione appaltante dovesse adottare, ripensando in autotutela le concludenze di gara in un primo tempo deliberate. Tra l’altro, nella specie, trattasi di una revoca di un’aggiudicazione provvisoria che, in quanto tale, assume connotati ancora interni, inidonei a determinare la chiusura del procedimento di evidenza pubblica; ne consegue che la centralità stricto sensu impugnatoria debba intendersi diretta –non tanto sul contrarius actus endoprocedimentale quanto piuttosto- sull’aggiudicazione alternativa poi prescelta dall’amministrazione.
Quanto invece al dimezzamento dei termini nei riguardi di controversie risarcitorie, va registrato l’orientamento negativo del giudice di appello, il quale anche di recente ha statuito che (C.S. V sez. n. 966/2013) “…la giurisprudenza anche di questa Sezione ha già avuto modo di precisare che il dimezzamento dei termini processuali si applica ai soli giudizi impugnatori aventi ad oggetto i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche e non anche alle controversie relative alle sole domande risarcitorie proposte in relazione a tali procedure (Sez. VI, 23.6.2006, n. 3891; Sez. V, 2.9.2005, n. 4461). Detto orientamento, peraltro, è stato confermato anche dall'Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, la quale ha affermato che il giudizio risarcitorio non rientra tra quelli tassativamente enumerati al comma 1 dell'art. 23 bis Legge 1034/1971, le cui disposizioni acceleratorie - nella misura in cui derogano incisivamente all'ordinario regime processuale - risultano di stretta interpretazione e non possono essere applicate estensivamente al di fuori delle ipotesi individuate dal legislatore (Cons. Stato, Ad. Plen., 30.07.2007, n. 9)”.
A tale orientamento intende aderire il Tar nella vertenza di specie, caratterizzata, sin dal suo atto introduttivo, da domande annullatorie (e di tutela in forma specifica), affiancate da richieste di risarcimento per equivalente, queste ultime peraltro divenute dominanti dopo la reiezione della domanda cautelare e dopo gli stessi eventi giuridici della ditta ricorrente.
Ne consegue che il giudizio può proseguire in relazione ai soli profili stricto sensu risarcitori, rimanendo preclusa invece ogni domanda impugnatoria (da intendersi in senso ampio, e quindi comprensiva dell’azione mirata ad ottenere declaratorie di inefficiacia ex nunc od ex tunc del contratto stipulato, ex artt. 121 e 122 CPA), in virtù della rilevata tardività della riassunzione.
Agli indicati fini, può quindi aderirsi alla richiesta del patrono del fallimento CT Crane Team srl di riaprire la fase istruttoria della verificazione, già disposta dal tar con propria ordinanza 380/11, per “accertare l’adeguatezza o meno del progetto esecutivo presentato dalla ditta ricorrente, alla luce dei rilievi formulati dal direttore di esercizio nella sua relazione del 29.7.2010, ed anche delle controdeduzioni tempestivamente rese dalla ricorrente medesima in data 14.8.10” (con incarico demandato –mediante facoltà di delega- al Preside della Facoltà di Ingegneria dell’Aquila, che ha a sua volta designato il Prof. Ing. Vincenzo Gattulli), verificazione poi revocata con la citata sentenza 13/12, e liquidata a carico del Fallimento –per la parte svolta- con ordinanza 194/2012.
La riapertura (e quindi la prosecuzione) della stessa verificazione viene affidata al medesimo Professionista che l’aveva iniziata e condotta fino alla sentenza 13/12, salvo disdetta da rassegnare con la massima consentita tempestività.
A tal proposito, occorre in questa sede dare riscontro ad alcune richieste (una di metodo e l’altra di proroga) che il prof. Ing. Gattulli aveva a suo tempo rivolto al Collegio in data 28.11.2011 in vista degli ulteriori sviluppi dell’incarico, poi da lì a poco revocato per la sopravvenuta estinzione del giudizio.
Oltre alla invocata proroga per tardivo insediamento (le tempistiche di consegna saranno ovviamente riviste ed aggiornate in relazione alla odierna riapertura del processo), il Prof. Gattulli ha inteso evidenziare che, nel corso della prima interlocuzione istruttoria, il patrono della ricorrente aveva inteso sottoporgli una corposa relazione predisposta dal consulente di parte, di cui il verificatore (secondo gli auspici dello stesso legale) avrebbe dovuto tener conto, in vista dei contenuti conclusionali del suo incarico. Quanto sopra, con la formale opposizione del legale del Comune, secondo cui tale consulenza risulterebbe estranea al vaglio commissionato dal TAR all’Organismo di verificazione con l’ordinanza 380/11.
Ad avviso del collegio, tale obiezione coglie nel segno, atteso che in tale pronuncia si statuiva testualmente che il verificatore “potrà avere libero accesso al fascicolo di causa e chiedere alle parti ulteriore documentazione e/o chiarimenti che dovessero rendersi necessari per l’espletamento dell’incarico”, fatta salva almeno una interlocuzione istruttoria con le parti previamente convocate prima della relazione conclusiva”.
In buona sostanza per l’accertamento tecnico in questione (adeguatezza del progetto esecutivo della ditta ricorrente, alla luce dei rilievi della stazione appaltante e delle controdeduzioni rese dalla medesima ditta) il verificatore è tenuto ad interloquire con le parti, che possono farsi affiancare da un consulente, ma sempre nell’ambito di una partecipazione agile, da cui le parti stesse possono comprendere il modus operandi del verificatore e gli elementi valutativi da quest’ultimo ritenuti salienti, con possibilità di attivare nella stessa seduta un contraddittorio mirato sugli aspetti maggiormente controversi. Tale interlocuzione non consente invece alle parti di presentare al verificatore proprie consulenze e/o contro-consulenze per pretenderne volta per volta il previo motivato esame prima della relazione finale, pena una durata indeterminata del mezzo istruttorio disposto dal collegio, specie in presenza –come nel caso in esame- di verificazione e non di CTU.
Come sopra visto, resta tuttavia salvo il potere del verificatore di chiedere chiarimenti ad una o a tutte le parti in causa, chiarimenti che possono ovviamente presupporre un certo impegno tecnico, e non solo brevi interlocuzioni sul punto dubbio. Ne consegue che in tal caso (e quindi solo a richiesta dell’ausiliario del giudice) le parti chiamate a chiarire specifiche questioni possono riservarsi di riscontrare il quesito mediante perizie e consulenze, che dovranno essere debitamente esaminate e considerate nella parte motivazionale della relazione conclusiva.
Sulla base degli esposti principi, può peraltro concludersi nel senso che la consulenza predisposta dalla ditta ricorrente (anche se non previamente richiesta) potrà essere acquisita e valutata dal verificatore, ma solo se quest’ultimo la ritenga necessaria od anche utile a dirimere questioni dubbie, e non anche per assolvere ad un obbligo istruttorio-partecipativo che nei delineati termini non sussiste.
Quanto invece alle tempistiche della verificazione così riaperta, ritiene il collegio che sarà il verificatore –sentite sul punto le parti- a prospettare al TAR la data di consegna della relazione finale, e ciò in relazione al delicato calcolo connesso alla riapertura –a distanza di tempo- dei lavori interrotti ed alla riprogrammazione delle fasi da svolgere.
Alla proposta del Prof. Gattulli, seguirà apposita camera di consiglio con cui saranno definiti i tempi della verificazione, per la fissazione della prossima udienza di merito, preordinata a dirimere la pendente vertenza risarcitoria.
In conclusione, con la presente sentenza parziale:
-va dichiarato estinto il giudizio (per tardiva riassunzione), in relazione alle domande impugnatorie del gravame e dei motivi aggiunti;
-va invece disposta la prosecuzione del giudizio, attinente alle domande stricto sensu risarcitorie della vertenza;
-va conseguentemente disposta la riapertura della verificazione già in corso di svolgimento al momento della sentenza 13/12 (con le modalità procedurali sopra puntualizzate).
Sussistono ragioni per compensare le spese della presente fase processuale.




P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo (Sezione Prima)
-dichiara estinto il giudizio (per tardiva riassunzione), in relazione alle domande impugnatorie del gravame e dei motivi aggiunti;
-dispone la prosecuzione del giudizio, attinente alle domande stricto sensu risarcitorie del gravame;
-dispone conseguentemente la riapertura della verificazione già in corso di svolgimento al momento della sentenza 13/12 (con le modalità procedurali puntualizzate in motivazione);
compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Così deciso in L'Aquila nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Saverio Corasaniti, Presidente
Paolo Passoni, Consigliere, Estensore
Maria Abbruzzese, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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