PROCESSO:
il controinteressato sopravvenuto,
e quello occulto
(T.A.R. Abruzzo, Pescara,
sentenza 30 aprile 2014 n. 204).
Due figure processuali di conio pretorio che dimostrano l'intrinseca vivacità del processo amministrativo
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Massima
1. Nel processo amministrativo, per controinteressato sopravvenuto deve intendersi colui che abbia conseguito un titolo abilitativo, un beneficio o uno status derivante da un provvedimento ulteriore conseguente alla conclusione di un procedimento autonomo rispetto a quello presupposto già impugnato.
2. Controinteressato occulto è invece colui che sostanzialmente è un controinteressato (in quanto la sentenza di accoglimento del ricorso lederebbe in via immediata l'interesse che egli nutre alla conservazione del provvedimento amministrativo o alla sua mancata adozione), ma non è facilmente individuabile dalla lettura dell'atto impugnato.
3. Entrambi i soggetti in questione, non avendo la qualità di controinteressato cui andava notificato il ricorso originario, per proporre l'opposizione di terzo devono, pertanto, risultare titolari di una posizione giuridica autonoma e incompatibile, come in tutte le altre ipotesi nelle quali un terzo pretenda di proporre opposizione.
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Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
l' Abruzzo
sezione staccata di Pescara (Sezione
Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale
472 del 2013, proposto da:
Edison S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Andreina Degli Esposti, Wladimiro Troise Mangoni, Lorenzo Passeri Mencucci, Riccardo Villata, con domicilio eletto presso Lorenzo Passeri in Pescara, via Falcone e Borsellino, 38;
Edison S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Andreina Degli Esposti, Wladimiro Troise Mangoni, Lorenzo Passeri Mencucci, Riccardo Villata, con domicilio eletto presso Lorenzo Passeri in Pescara, via Falcone e Borsellino, 38;
contro
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura
Distrettuale dello Stato, domiciliata in L'Aquila, via Buccio di Ranallo C/
S.Domenico;
per l'annullamento
del provvedimento prot. n. 0047512/TRI del
9 settembre 2013 con il quale il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare ha diffidato la società ricorrente alla rimozione di
rifiuti depositati nelle discariche realizzate nell'area nel Comune di Bussi
dove è localizzato lo stabilimento industriale di proprietà della società
stessa, al ripristino lo stato dei luoghi e alla eventuale bonifica delle
matrici ambientali interessate.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio
del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno
17 aprile 2014 il dott. Massimiliano Balloriani e uditi per le parti l'avv.
Lorenzo Passeri Mencucci, l'avv. Riccardo Villata e l'avv. Wladimiro Troise
Mangoni per la società ricorrente, l'avv. Distrettuale dello Stato Generoso Di
Leo per l’Amministrazione resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- La ricorrente impugna il provvedimento
n. 47512 del 9 settembre 2013 con il quale il Ministero dell’Ambiente le ha
ordinato di rimuovere tutti i rifiuti depositati in modo incontrollato nelle
discariche denominate “Tre Monti”, “2A” e “2B”; ripristinare integralmente lo
stato dei luoghi mediante la rimozione delle discariche e delle altre fonti di
contaminazione ancora attive; procedere alla bonifica della matrici ambientali
che all’esito della completa rimozione dei rifiuti risultassero contaminate.
Con l’avviso che, in caso di mancato
adempimento nel termine di 30 giorni dal ricevimento della diffida, provvederà
l’Amministrazione in danno.
2.1. - La ricorrente, quanto alla
discarica “Tre Monti”, espone che il conferimento sarebbe cessato sin dal 1973,
quindi oltre trenta anni prima dell’adozione del provvedimento impugnato, con
la conseguente decorrenza del termine di cui all’articolo 303 lett. g) del
codice dell’ambiente; essendo ogni attività di discarica cessata nel 1973, poi,
non sarebbe neanche applicabile il d.p.r. n. 915 del 1982, entrato in vigore 10
anni dopo, mentre la normativa in vigore non prevedeva alcuna ipotesi di
discarica abusiva, come peraltro dimostrerebbe l’articolo 31 del medesimo
d.p.r. che, nel regolamentare il regime transitorio per chi intendesse proseguire
l’attività, nulla ha disposto per il periodo pregresso; dal 2008 al 2011
l’attuale ricorrente avrebbe concorso, su sollecitazione del Commissario
straordinario competente, alla livellazione e copertura del terreno ed alla
sistemazione delle sponde del fiume Pescara.
2.2. Quanto alla discariche 2A e 2B, la
ricorrente rileva che le medesime non sono di sua proprietà ma della società
Solvay; in particolare per la 2A, la soc. Montefluos (poi Ausimont ed oggi
Solvay), in data 11 marzo 1982 avrebbe chiesto l’autorizzazione alla
prosecuzione dell’attività di discarica, già in atto da diversi anni, ai sensi
dell’articolo 31 del d.p.r. succitato, accolta dalla Regione in data 5 agosto
1987, e poi la discarica sarebbe stata chiusa nel 1990 come da dichiarazione della
soc. Montefluos (poi Ausimont ed oggi Solvay); per la 2B, la soc. Montefluos
(poi Ausimont ed oggi Solvay), in data 22 dicembre 1986 avrebbe proposto
domanda di autorizzazione ad una discarica per rifiuti speciali, rilasciata
dalla Giunta regionale in data 5 maggio 1988, e poi anche tale discarica
sarebbe stata chiusa nel 1990; per entrambe tali discariche, poi, Solvay
avrebbe provveduto, nel 2010, alla costruzione di una barriera idraulica e alla
realizzazione di una copertura impermeabile; non vi sarebbe inoltre alcuna
prova circa l’epoca dell’eventuale deposito di rifiuti eccedenti le
autorizzazioni da parte della soc. Montefluos (poi Ausimont ed oggi Solvay).
2.3. - In merito alla normativa
applicabile, la ricorrente espone che l’Amministrazione avrebbe errato
nell’applicare l’articolo 3 comma 32 della legge n. 549 del 1995, secondo cui “Fermi
restando l'applicazione della disciplina sanzionatoria per la violazione della
normativa sullo smaltimento dei rifiuti di cui al D.P.R. 10 settembre 1982, n.
915, e successive modificazioni, e l'obbligo di procedere alla bonifica e alla
rimessa in pristino dell'area, chiunque esercita, ancorché in via non
esclusiva, l'attività di discarica abusiva e chiunque abbandona, scarica o
effettua deposito incontrollato di rifiuti, è soggetto al pagamento del tributo
determinato ai sensi della presente legge e di una sanzione amministrativa pari
a tre volte l'ammontare del tributo medesimo. Si applicano a carico di chi
esercita l'attività le sanzioni di cui al comma 31. L'utilizzatore a qualsiasi
titolo o, in mancanza, il proprietario dei terreni sui quali insiste la
discarica abusiva, è tenuto in solido agli oneri di bonifica, al risarcimento
del danno ambientale e al pagamento del tributo e delle sanzioni pecuniarie ai
sensi della presente legge, ove non dimostri di aver presentato denuncia di
discarica abusiva ai competenti organi della regione, prima della costatazione
delle violazioni di legge. Le discariche abusive non possono essere oggetto di
autorizzazione regionale, ai sensi dell'articolo 6 del D.P.R. 10 settembre
1982, n. 915”.
Ciò in quanto, a parte la sua espressa
abrogazione ad opera del d.lgs. n. 152 del 2006, e già, implicitamente, da
parte del d.lgs. n. 22 del 1997 (poi integrato dal d.m. n. 471 del 1999), la
discarica Tre Monti sarebbe inattiva già dagli anni Settanta, mentre, quanto
alla 2A e la 2B, anch’esse chiuse da oltre vent’anni, non vi sarebbe alcuna
prova in ordine ad un uso non corretto delle medesime.
2.4. - Vi sarebbe peraltro una carenza di
istruttoria, atteso che l’Amministrazione avrebbe agito sulla base di semplici
ipotesi investigative avanzate dalla Procura della Repubblica, a tutt’oggi
ancora al vaglio dei Giudici, in fase dibattimentale, nonché sulla base di una
caratterizzazione del sito effettuata da Solvay “avente interessi contrastanti
con quelli dell’odierna ricorrente” (cfr. pag 9 della memoria depositata il 17
marzo 2014).
2.5. - Il provvedimento impugnato sarebbe
poi in contrasto con gli altri citati e di carattere meramente conservativo già
adottati per mettere in sicurezza le discariche.
2.6. - I termini per provvedere, infine,
sarebbero del tutto esigui in relazione all’entità delle opere richieste e
peraltro non vi sarebbe la possibilità di provvedere in ragione del sequestro
delle aree da parte dell’Autorità giudiziaria ordinaria.
3. - Si è costituito il Ministero
dell’Ambiente, depositando anche una dettagliata relazione.
3.1. - In essa si evidenzia che dalle
indagini condotte dalla locale Procura della Repubblica e, sempre nell’ambito
del procedimento penale, dalla consulenza dell’Ispra, emergerebbe che nelle due
discariche autorizzate sono stati smaltiti rifiuti diversi da quelli autorizzati,
mentre in quella denominata Tre Monti ed anche nelle aree vicine a quelle
autorizzate sono state realizzate vere e proprie discariche abusive.
3.2. - Quanto alla responsabilità di
Montedison (oggi Edison), si evidenzia che la discarica Tre Monti è tutt’ora di
proprietà di Edison spa e nel corso della caratterizzazione eseguita
nell’ambito delle indagini penali di cui si è detto, così come dalla relazione
tecnica dell’Ispra, sarebbe emerso il deposito incontrollato e senza alcuna
impermeabilizzazione di rifiuti identificati come scarti della produzione
industriale dello stabilimento di proprietà della medesima società (solventi
clorurati, idrocarburi policiclici aromatici, metalli pesanti) e la
contaminazione avrebbe interessato non soltanto il terreno ma anche la falda,
determinando una contaminazione di 8 pozzi di captazione per l’acqua potabile,
destinato a soddisfare il fabbisogno idrico-alimentare di tutta la Val Pescara.
Con riguardo alle aree 2A e 2B,
rispettivamente occupanti una superficie di 1,2 e 0,8 ettari, in esse è stata
autorizzata la prosecuzione di attività di discarica in favore della soc.
Montefluos, dopo l’entrata in vigore del d.p.r. n. 915 del 1982, nella prima
per rifiuti urbani e speciali, nella seconda per rifiuti speciali industriali
derivanti da processi produttivi.
Si precisa, poi, che la Montedison (prima
Montecatini) ha mantenuto la proprietà dell’intero sito industriale di cui si
discute sino al 1981, anno in cui il medesimo è stato conferito alla soc.
Ausimont, spa controllata al 100% dal Montedison spa, che quindi avrebbe
continuato a mantenere un’ingerenza e controllo nella sua attività, anche in
materia ambientale, almeno fin quando, nel 2002, le azioni di Ausimont sono
passate da Montedison a Solvay spa che ha acquisito per incorporazione Ausimont
e quindi è succeduta nella gestione del sito limitatamente alle aree indicate
come discariche 2A e 2B, atteso che Montedison (poi Edison) ha mantenuto la
proprietà di quelle ad esse limitrofe e pur interessate da discarica abusiva e
di quelle della zona denominata Tre Monti (a tal proposito, nella memoria del
17 marzo 2014, la ricorrente replica che l’imputazione a responsabilità della
controllante per le attività poste in essere dalla società figlia sarebbe solo
oggi codificato dall’articolo 2497 codice civile secondo la formulazione
introdotta nel nostro ordinamento dalla legge n. 6 del 2003, e quindi tale
principio non sarebbe applicabile a fatti avvenuti tra il 1991 e il 2002; fino
a quel momento, ex articolo 2359 codice civile, il controllo rilevante
nell’ambito di un gruppo societario sarebbe potuto essere solo quello di tipo
contrattuale; inoltre la giurisprudenza sia di quel periodo che attuale
escluderebbe, in virtù dell’indipendenza soggettiva, la responsabilità in capo
alla capogruppo dell’attività svolta dalla controllata seppure in attuazione
della politica del gruppo, salvo ipotesi eccezionali e tassative; inoltre la
medesima ricorrente evidenzia che la fusione per incorporazione di Ausimont in
Solvay avrebbe determinato una vicenda analoga alla successione a titolo
universale, secondo i principi affermati in giurisprudenza, e quindi sarebbe
quest’ultima ad averne ereditato tutti gli obblighi).
3.3. - E’ stato poi chiarito, sempre
dall’Amministrazione resistente, che gli interventi di messa in sicurezza del
sito Tre Monti sono stati in realtà effettuati dal Commissario straordinario
con la partecipazione economica di Montedison ma si sarebbero rivelati a
tutt’oggi inefficaci, sarebbero cioè non definitivi e parziali (nella successiva
memoria, la ricorrente rimarca la circostanza, apparentemente contraddittoria,
che, da lato, l’Amministrazione nella relazione, a pag. 6, afferma che le opere
di messa in sicurezza e di caratterizzazione del sito da parte del Commissario
straordinario non sono terminate, dall’altro, che esse si sono comunque già
rivelate parziali e non definitive; inoltre dal verbale della conferenza di
servizio del 6 dicembre 2012 emergerebbe la necessità di ulteriori rilievi e
caratterizzazioni del sito per verificare se sia sufficiente o meno una messa
in sicurezza permanente del medesimo).
Quanto alle altre due discariche, 2A e 2B,
viceversa, è stata la stessa Solvay nel 2004, dopo essere subentrata nella
gestione, a rinvenire e segnalare, previa caratterizzazione, depositi non
autorizzati di rifiuti industriali.
Dall’esito delle indagini da quest’ultima
condotte e trasmesse al Ministero dell’Ambiente, in particolare, è emerso che
in tali discariche a quella data risultavano smaltiti rifiuti non autorizzati e
pertanto la struttura di protezione contro il percolamento non aveva impedito
l’infiltrazione di essi nel sottosuolo e nelle falde acquifere (metalli
pesanti, idrocarburi, composti alifatici clorurati cancerogeni).
Successivi monitoraggi effettuati da Solvay
nel 2011 hanno poi confermato le concentrazioni di tali sostanze inquinanti in
prossimità delle aree di discarica e di nei piezometri.
3.4. - Oltre alle riferite circostanza che
imputano la gestione di tutte e tre le discariche alla ricorrente, l’Amministrazione
resistente ha altresì evidenziato che la medesima sarebbe da ritenersi
responsabile per il sol fatto di avere omesso la comunicazione di cui
all’articolo 9 del d.m. n. 471 del 1999, in presenza di contaminazioni ancora
attive (a tal proposito, la ricorrente ha replicato sostenendo genericamente
che la dichiarazione sarebbe stata presentata da Ausimont, unica obbligata a
presentarla, e che comunque tale dichiarazione non si doveva accompagnare ad
attività di messa in sicurezza in urgenza, prevista solo in via eventuale
dall’articolo 9 cit.; in ogni caso tale violazione non sarebbe stata indicata
nel provvedimento impugnato).
Quanto alla non applicabilità della
fattispecie di cui all’articolo 3 comma 32 della legge n. 549 del 1995 a
discariche effettuate in periodo antecedente all’entrata in vigore del d.p.r.
n. 915 del 1982, l’Amministrazione evidenzia che tale articolo 3 comma 32 ha
portata più generale, riguardando ogni deposito incontrollato di rifiuti e non
solo l’esercizio di discariche non autorizzate ex d.p.r. n. 915 del 1982;
condotta peraltro già da considerare comunque illecita in virtù dell’articolo
2050 del codice civile, nonché, ancor prima del d.p.r. n. 915 del 1982, dalla
legge n. 319 del 1976.
Si contesta poi l’avvenuta abrogazione del
d.p.r. n. 915 del 1982 da parte del d.lgs. n. 152 del 2006, e in ogni caso si
ritiene che l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi (ben più radicale
della mera bonifica, quale riduzione della contaminazione) deriverebbe
direttamente dall’obbligo di risarcimento del danno in forma specifica e quindi
già ex articolo 18 della legge n. 489 del 1986, che trova applicazione agli
eventi antecedenti all’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006 (a tal
proposito, la ricorrente replica rilevando che il risarcimento del danno
ambientale non può comunque essere richiesto trascorsi i 30 anni di cui
all’articolo 303 lett. g) del codice dell’ambiente).
4. - All’udienza del 17 aprile 2014 la
causa è passata in decisione.
1. Questioni preliminari
Come rilevato dall’Amministrazione
resistente il ricorso è inammissibile, almeno in parte (laddove cioè impugna il
provvedimento anche nella parte in cui si riferisce a terreni non attualmente
di proprietà della ricorrente, e ammesso che il suo contenuto possa ritenersi
scindibile, essendo comunque unico il danno ambientale considerato), atteso che
il provvedimento impugnato riguarda anche le due discariche situate sui terreni
attualmente di proprietà delle soc. Solvay, e, come rilevato dalla stessa
ricorrente, quest’ultima impresa ha interessi contrastanti rispetto a quelli
della ricorrente medesima (cfr. pag. 9 delle memorie depositate il 17 marzo
2014), sicchè essa doveva ricevere la notifica del ricorso introduttivo, in
quanto, pur non espressamente menzionata nel provvedimento impugnato, risulta
da esso facilmente individuabile, atteso appunto il riferimento espresso alle
due discariche 2 A e 2 B che insistono sui terreni di sua proprietà (come
chiarito da Consiglio di Stato, a. pl., sentenza n. 2 del 1996, per controinteressato
si deve intendere quel soggetto titolare di un interesse alla conservazione
dell'atto, che il ricorrente intende superare, individuato nell'atto stesso o
facilmente individuabile).
Difatti, appare evidente che, ove il
ricorso dovesse risultare fondato, in mancanza dell’individuazione del
responsabile, quantomeno l’onere della bonifica graverebbe in capo al
proprietario (seppure cioè non l’obbligo di provvedervi in via diretta, cfr.
Consiglio di Stato a.pl., sentenza n.25 del 2013, che ha rimesso alla Corte di
Giustizia la questione interpretativa se i principi dell'Unione europea in
materia ambientale sanciti dall'art. 191, par. 2, del trattato sul
funzionamento dell'Unione europea e dalla direttiva 2004/35/Ce del 21 aprile
2004 - art. 1 e 8 n. 3; tredicesimo e ventiquattresimo considerando - ostino ad
una normativa nazionale, quale quella delineata dagli art. 244, 245, 253 d.lgs.
3 aprile 2006 n. 152, che, in caso di accertata contaminazione di un sito e di
impossibilità di individuare il soggetto responsabile della contaminazione o di
impossibilità di ottenere da quest'ultimo gli interventi di riparazione, non
consenta all'Autorità amministrativa di imporre l'esecuzione delle misure di
sicurezza d'emergenza e di bonifica al proprietario non responsabile
dell'inquinamento, prevedendo, a carico di quest'ultimo, soltanto una
responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l'esecuzione degli
interventi di bonifica).
Per tali ragioni Solvay spa si presentava,
sin dal momento della instaurazione del giudizio, come un controinteressato
palese e non occulto o sopravvenuto (cfr. per tali categorie, Consiglio di
Stato, sentenza n. 652 del 2014), e quindi le doveva essere notificato il
ricorso, ai fini dell’ammissibilità, ai sensi dell’articolo 41 comma 2 c.p.a..
2. Questioni di merito.
In ogni caso, il ricorso è infondato.
In sostanza, con il provvedimento
impugnato è stato ingiunto a Edison spa di provvedere, entro 30 giorni, alla
rimozione di tutti i rifiuti depositati in modo incontrollato nelle aree
individuate come “Tre Monti”, 2A e 2B, situate nei pressi dello stabilimento
industriale di proprietà Edison; nonché al ripristino integrale dello stato dei
luoghi mediante la rimozione delle discariche e di altre fonti di
contaminazione ancora attive; infine di procedere alla bonifica delle matrici
ambientali che all’esito della rimozione dei rifiuti dovessero risultare
contaminate.
2.1. Sulla riferibilità causale
dell’inquinamento agli stabilimenti nel periodo in cui erano gestiti dal Gruppo
Montecatini-Montedison-Edison.
Edison spa contesta innanzitutto che tale
attività sia a sé imputabile in punto di fatto.
Occorre premettere che nel diritto
processuale amministrativo, così come in quello civile, quanto all’onere della
prova, specie con riferimento all’accertamento del nesso causale in materia di
evento illecito, vige il principio del “più probabile che non” (cfr. Tar Lazio
Roma, sentenza n. 998 del 2014; Cassazione sentenza n. 21619 del 2007) e non
invece quello penalistico che richiede una certezza al di là di ogni
ragionevole dubbio (cfr. Cassazione civile, sentenza n. 13214 del 2012).
Ciò premesso, non appare analiticamente ed
efficacemente contestato che nei siti in esame sono state rinvenute sostanze
altamente inquinanti e che esse costituiscono scarti e prodotti industriali
tipici dell’attività ivi esercitata da Edison spa.
Dalla relazione Ispra, redatta per conto
del Ministero dell’ambiente per il procedimento penale n. 12/2006 RGNR e
depositata agli atti del presente giudizio il 17 marzo 2014, risulta che il
polo industriale di Bussi sul Tirino (Pe) si sviluppa lungo l’asse dell’omonimo
fiume, a monte della sua confluenza con il fiume Pescara, su ambo i lati, per
una superficie complessiva di circa 191.000 mq.
Circa 2 km a valle del polo industriale è
situato il campo pozzi di Colle S. Angelo, che concorre all’approvvigionamento
di acqua potabile di molti comuni della Val Pescara, tra cui, la stessa città
di Pescara.
Risulta inoltre che tale polo è stato
gestito inizialmente da diverse aziende che sono state tutte man mano acquisite
dalla soc. Montecatini negli anni Trenta.
Dagli anni Sessanta e fino al 1990 su
quelle aree si è insediata anche la SIAC (società italiana additivi per
carburanti) che ha ivi prodotto antidetonanti per benzine fino al 1990.
La Montecatini, poi riorganizzata e
suddivisa in varie società (tra cui Ausimont e Montefluos spa), ha mantenuto la
proprietà delle aree e degli impianti fino al 2002, allorchè i medesimi sono
passati sotto il controllo di Solvay spa attraverso l’acquisizione per
incorporazione di Ausimont spa.
Dal 2003, poi, la Solvay spa di è
trasformata in Solvay Solexis spa e nel 2005 è stata fondata Solvay Chimica
Bussi spa, che attualmente è proprietaria degli impianti e li gestisce, mentre
la Solvay Solexis ha la proprietà delle aree.
Gli impianti che compongono il polo
industriale in esame sono tre: l’impianto cloro-soda, in esercizio
dall’insediamento del polo e a tutt’oggi attivo; l’impianto cloro-metani,
realizzato negli anni Sessanta e dismesso nel 2007; l’impianto SIAC, realizzato
nel 1966 e dismesso nel 1990.
La contaminazione dei suoli è dovuta
principalmente a tre tipi di sostanze: i composti organici clorurati, il
mercurio e il piombo; e queste sostanze sono state utilizzate o prodotte
proprio nei tre impianti appena indicati.
Tale contaminazione, inoltre, è avvenuta a
causa di perdite delle strutture impiantistiche medesime o per via di una
scorretta gestione dei rifiuti dello stabilimento.
La circostanza che i rilasci siano dovuti
agli impianti è stata riscontrata attraverso l’analisi dei luoghi in prossimità
di essi e del tipo di sostanze ivi rinvenute, riconducibili a quelle prodotte o
utilizzate nell’impianto stesso: per il mercurio il pennacchio (maggiore
concentrazione) di contaminazione è stato rinvenuto proprio nell’area dello
stabilimento cloro-soda, i composti organici clorurati nell’area di quello
cloro-metani, il piombo nell’area dello stabilimento SIAC.
In particolare, si è accertato che tali
sostanze di rifiuto erano costituite dai depositi sul fondo dei serbatoi e
dalle acque derivanti da operazioni di pulizia e di manutenzione, oltre che da
residui di produzione (specie per quanto riguarda i cloro-metani, risultanti
dal processo di distillazione dei cloro-metani).
Inoltre, alcuni inquinanti (in particolare
i clorurati) hanno contaminato alcuni materiali utilizzati nelle apparecchiature
del processo produttivo poi oggetto di illecito smaltimento nelle discariche,
sia in quelle abusive sia nelle due autorizzate per rifiuti diversi (ma
soprattutto nella discarica 2B).
Tali rifiuti sono poi stati anche
utilizzati come materiale di riporto per interventi di riempimento e
livellamento all’interno e all’esterno delle aree aziendali.
Ciò è stato accertato con il rinvenimento
di composti organici clorurati, mercurio e piombo in prossimità di tali opere
di livellamento e riempimento.
Con riferimento agli altri inquinanti
rinvenuti nei suoli aziendali e nelle acque delle falde (arsenico, cromo,
nichel, boro, idrocarburi, composti organo-alogenati), non si è riusciti ad
associarli a specifiche lavorazioni degli stabilimenti in questione.
In ogni caso, le acque, sia superficiali
che sotterranee, sono risultate contaminate principalmente dalle stesse
succitate tre categorie di sostanze individuate quali scarti aziendali e
rinvenute in prossimità degli impianti e nelle discariche abusive e autorizzate
per rifiuti diversi.
In particolare, in quelle superficiali
sono stati rinvenuti il piombo (che, secondo la classificazione IARC –
agenzia internazionale per la ricerca sul cancro – è classificato nel gruppo
2A, cioè probabile cancerogeno per l’uomo) e alcuni composti organici
clorurati (tricloroetilene –anch’esso 2A quindi probabile cancerogeno,
sospettato di provocare alterazioni genetiche, provoca irritazione cutanea, è
inoltre nocivo per gli organismi acquatici, con effetti di lunga durata -
, tetracloroetilene –2A, quindi probabile cancerogeno, tossico per gli
organismi acquatici e con effetti di lunga durata - , 1,2
dicloroetilene –nocivo se inalato e nocivo per gli organismi acquatici e con
effetti di lunga durata -, cloroformio o tricloroetano –2B quindi
possibile cancerogeno per l’uomo, è inoltre nocivo se ingerito-,
tetraclorometano –2B, quindi possibile cancerogeno per l’uomo, è inoltre
tossico se inalato, se viene a contatto con la pelle e se ingerito; è anche
nocivo per gli organismi acquatici e ha effetti di lunga durata - );
in quelle sotterranee sono stati rinvenuti il piombo (di cui si è detto), il
mercurio –letale se inalato, provoca danni agli organi in caso di
esposizione prolungata o ripetuta, tossico per gli organismi acquatici, con effetti
di lunga durata - e alcuni composti organici clorurati di cui si è già
riferito (tricloroetilene, tetracloroetilene, 1,2 dicloroetilene, cloroformio,
tetraclorometano, esacloroetano –2B, possibile cancerogeno per l’uomo,
nocivo per inalazione, contatto con la pelle e per ingestione -).
L’inquinamento delle acque sotterranee con
tali sostanze ha determinato una perdita di potabilità delle acque
dell’acquedotto della Val Pescara, accertata sin dal 2002 (cfr. pag. 13 della
relazione dell’Ispra).
La contaminazione dei suoli aziendali e
delle discariche (con una profondità da 2,5 a 7,5 metri) è stata riscontrata
nel periodo dal 2004 al 2007 ad opera dei tecnici della Solvay prima e dei
consulenti nominati nel procedimento penale poi; quella delle acque della
falda, benché emersa fin dai primi anni Novanta, è stata caratterizzata solo
negli anni Duemila (come si è appena detto, in particolare, nel 2002 è stato
accertato il superamento dei limiti previsti per il consumo umano).
Tali dettagliate e circostanziate evidenze
non risultano oggetto di specifiche e documentate contestazioni da parte della
ricorrente, sicchè ad avviso del Collegio esse costituiscono prova della
circostanza che gli inquinamenti accertati sia nei siti aziendali che extra
aziendali (le discariche abusive e quelle autorizzate per rifiuti diversi) sono
riconducibili alle attività produttive svolte negli stabilimenti del polo
industriale in esame; e ciò per l’ovvia circostanza che essi costituiscono gli
scarti tipizzati di tale produzione e sono stati rinvenuti sia in prossimità
dei siti aziendali sia nei riporti di terra e nelle discariche.
E’ ovvio pertanto che i responsabili di
detto inquinamento non possono che essere individuati, sempre secondo il
criterio del “più probabile che non”, in coloro che hanno gestito tali impianti
nel periodo antecedente a quello in cui gli inquinamenti hanno iniziato ad
essere rilevati.
Considerate inoltre l’estensione e la
profondità di tale inquinamento, nonché i sui notevoli effetti già causati
sull’ambiente (dati compiutamente analizzati ed esposti nella relazione Ispra),
appare evidente come si verta su un’attività di inquinamento protratta e
risalente nel tempo.
A conferma di un’attività inquinante
risalente e protratta nel tempo, v’è anche il rinvenimento, assieme alle altre
sostanze, di notevoli concentrazioni di piombo, che, per le ragioni indicate, è
ricollegabile all’impianto della società SIAC, realizzato nel 1966 e dismesso
già nel 1990.
Benchè il superamento dei limiti di
potabilità sia stato accertato solo nel 2002, già da metà degli anni Novanta,
tuttavia, sono stati effettuati riscontri della compromissione delle acque con
tali agenti inquinanti (in particolare i composti organo-alogenati, cfr. pag.
30 relazione Ispra).
Al cospetto di tale quadro indiziario, sia
in ordine all’epoca dell’inquinamento che in ordine alle sue causa, la Edison
non avrebbe potuto limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una
possibile responsabilità di terzi, ma avrebbe dovuto provare e documentare con
pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altra
impresa, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi
la condotta causativa dell’inquinamento (cfr., su analoga controversia che ha
visto coinvolta Edison spa in altra vicenda di inquinamento ambientale,
Consiglio di Stato, sentenza n. 6055 del 2008).
A tal proposito, è appena il caso di
osservare che, anche se Solvay spa è attualmente proprietaria di parte delle
aree, “l’ordine di rimozione dei rifiuti presenti sul fondo può essere rivolto
al proprietario solo quando ne sia dimostrata almeno la corresponsabilità con
gli autori dell’illecito, per avere cioè posto in essere un comportamento,
omissivo o commissivo, a titolo doloso o colposo, dovendosi escludere che la
norma configuri un’ipotesi legale di responsabilità oggettiva” (cfr. Tar
Napoli, sentenza n. 1043 del 2014).
2.2. Sulla responsabilità di Edison spa
per le condotte delle varie società operative del gruppo Montedison spa che si
sono succedute nella gestione degli impianti.
Tutto ciò premesso, non risulta contestato
che, fino al 2002 (data in cui, come evidenziato, gli effetti dello specifico
inquinamento causato dagli stabilimenti hanno già cominciato ad essere rilevati
e documentati), a gestire il sito industriale sia stato principalmente il
gruppo Montecatini-Montedison-Edison nelle varie denominazioni e organizzazioni
proprietarie che si sono succedute.
Dalla caratterizzazione effettuata nel
2007 dai consulenti tecnici nel procedimento penale (vds. pagg. 16 e seg.
relazione Ispra), è emerso che nella discarica abusiva di località Tre Monti
sono stati rinvenuti agenti inquinanti quali piombo, mercurio e solventi
organici clorurati; in quella autorizzata nel 1983 come 2A e per il deposito di
soli rifiuti inerti (ed anche nell’ulteriore discarica abusiva inquinante ad
essa adiacente e divisa in due aree), sono stati rinvenuti mercurio, piombo e
in minor misura composti organici clorurati; in quella autorizzata nel 1988
come categoria 2B per rifiuti degli impianti dello stabilimento (ma diversi
dagli agenti inquinanti di cui si discute), sono stati rinvenuti principalmente
composti organici clorurati.
Benchè, come illustrato, l’inquinamento da
piombo appaia dalla relazione Ispra principalmente riconducibile all’attività
della SIAC, tuttavia, tra i motivi di ricorso, non ve n’è alcuno riferito alla
circostanza che a tale inquinamento abbia concorso in via autonoma anche la
SIAC (peraltro non evocata in giudizio) e che quindi anche quest’ultima debba
essere destinataria del provvedimento impugnato; non risulta neanche
dettagliatamente e specificamente confutato, inoltre, che anche quest’ultima
sia riconducibile al gruppo Montecatini-Montedison-Edison.
Ferme restando le esposte considerazioni
che, in virtù del periodo temporale, del tipo di sostanze e dei luoghi del loro
rinvenimento, inducono a riferire l’inquinamento principalmente all’attività
degli impianti nel periodo in cui era il gruppo Montecatini-Montedison-Edison a
gestirli, appare anche inammissibile il motivo con cui la ricorrente tende a
rilevare che obbligata al ripristino ed alla bonifica dovrebbe essere Solvay
spa, per aver incorporato Ausimont spa (e a tal fine la prospettazione non
muta, sia che sia accolga la tesi giurisprudenziale della continuità dei
soggetti incorporati, secondo la disciplina vigente prima della riforma del
diritto societario del 2003, sia quella della successione per atto tra vivi,
essendo Ausimont spa comunque esistente nella vigenza del d.lgs. n. 22 del
1997, cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 6055 del 2008), società operativa
del medesimo gruppo, atteso che, in tal caso, la ricorrente medesima mirerebbe
ad un annullamento in parte qua del provvedimento, e proprio nella parte in cui
il controinteressato (Solvay spa, appunto) appare immediatamente individuabile
(per essere l’attuale gestore di quei medesimi impianti) e quindi avrebbe
dovuto essere sin dall’origine evocato in giudizio (non essendovi altri
controinteressati evocati ex articolo 41 comma 2 c.p.a.) con la notifica del
ricorso principale.
In ogni caso, tale censura non varrebbe ad
escludere la responsabilità del gruppo Montecatini-Montedison-Edison (e quindi
oggi di Edison spa) per l’attività di inquinamento compiuta in quel sito, sino
al 2002, anche dalla propria società operativa Ausimont spa, e i cui effetti
sulle acque sono stati accertati già da metà degli anni Novanta e poi nel 2002,
quindi ancor prima della caratterizzazione effettuata dalla stessa Solvay nel
2004.
Peraltro, oltre alle considerazioni che si
approfondiranno a breve in merito alla responsabilità di gruppo, è opportuno
osservare sin d’ora che, possedendo il gruppo Montedison-Edison in tale periodo
il 100% delle azioni di Ausimont spa, sotto il profilo sostanziale appare più
equo allocare gli oneri ripristinatori e di bonifica a carico di chi ha avuto
effettivamente il controllo e la direzione dell’attività della società
operativa, nel periodo in cui essa ha determinato l’inquinamento, e ne ha
tratto utilità.
Risulta dagli atti di causa e dalle
produzioni delle parti che il gruppo societario in esame
(Montecatini-Montedison-Edison) ha mantenuto la proprietà dell’intero sito
industriale di cui si discute sino al 1981, anno in cui il medesimo sito è
stato conferito alla soc. Ausimont spa, pur sempre controllata al 100% dal Montedison
spa, che quindi ha continuato a mantenere un’ingerenza e controllo sulla sua
attività, anche in materia ambientale, almeno fin quando, nel 2002, le azioni
di Ausimont sono state cedute da Montedison a Solvay spa che ha acquisito per
incorporazione Ausimont e quindi è succeduta nella gestione del sito
limitatamente alle aree indicate come discariche 2A e 2B, atteso che Montedison
(poi Edison) ha mantenuto la proprietà di quelle ad esse limitrofe (e pur
interessate da discarica abusiva) e di quelle della zona denominata Tre Monti.
A fronte di questo chiaro quadro
soggettivo, non risulta peraltro contestato che tutte le società che, fino al
2002, si sono succedute nella proprietà e gestione del sito industriale siano
riconducibili al gruppo Montedison spa (poi rinominata Edison spa), attraverso
varie architetture societarie.
Quello che la ricorrente contesta in
questa sede è che la responsabilità per illeciti delle controllate possa
ricadere sulla controllante o comunque sull’intero gruppo, inteso a tal fine
come soggettività unica e non più distinta nelle varie persone giuridiche
autonome che lo compongono (cfr. pag. 11 delle memorie depositate in data 17
marzo 2014).
Ciò premesso, atteso che si verte in
materia comunque di rilievo anche comunitario, e quindi nell’applicazione di
direttive comunitarie attuate nel nostro ordinamento, il Collegio ritiene che
ai fini della loro corretta applicazione e quindi dell’accertamento di illeciti
ambientali commessi da gruppi societari debba essere accolta la concezione
sostanzialistica di impresa fatta propria dalla giurisprudenza comunitaria
(giurisprudenza maturata soprattutto in tema di concorrenza), e quindi
applicato il principio della prevalenza dell’unità economica del gruppo
rispetto alla pluralità soggettiva delle imprese controllate, secondo cui per
illeciti commessi dalle società operative la responsabilità si estende anche
alle società madri, che ne detengono le quote di partecipazione in misura tale,
come nel caso di specie, da evidenziare un rapporto di dipendenza e quindi
escludere una sostanziale autonomia decisionale delle controllate stesse (nel
caso di controllo totalitario, come nel caso di specie per la Ausimont spa,
poi, l’assenza di autonomia decisionale è presunta, cfr. cfr. Corte di Giustizia
CE, 25 ottobre 1983, causa 107/82).
Ne consegue che la responsabilità in capo
alla ricorrente Edison spa per le attività esercitate nel tempo dalle varie
società del gruppo deriva direttamente da tali principi e quindi a prescindere
dalla contestata applicabilità degli articoli 2497 e 2497 sexies c.c..
Il criterio comunitario testè richiamato,
peraltro, attiene all’imputazione della responsabilità intera e finale in capo
alla holding e al gruppo nel suo complesso e non alla misura del concorso nella
responsabilità, sicchè a tale applicazione non osta la previsione di cui
all’articolo 9 della direttiva 2004/35/Ce, secondo cui “la presente
direttiva lascia impregiudicata qualsiasi disposizione del diritto nazionale
riguardante l'imputazione dei costi nel caso di pluralità di autori del danno,
in particolare per quanto concerne la ripartizione della responsabilità tra
produttore e utente di un prodotto”.
In ogni caso, tale disposizione, nel
lasciare impregiudicate le disposizioni di diritto nazionale, non esclude che,
soprattutto per l’ipotesi di mancanza di queste, il criterio debba essere
preferibilmente rinvenuto in principi di matrice comunitaria diversi e
ulteriori da quelli contenuti nella direttiva stessa.
Ciò, specie se tale applicazione
sostanzialistica favorisce l’effetto utile dell’applicazione di principi
fondamentali della materia comunitaria in questione, quale quello secondo cui
“chi inquina paga” (espresso già nell’articolo 15 della direttiva n.
91/156/CEE, attuata con il d.lgs. n. 22 del 1997).
Al fine di rinforzare le considerazioni
sin qui svolte, giova ricordare che anche il Consiglio di Stato (cfr. sentenza
n. 6055 del 2008) ha affermato l’applicabilità dei principi sostanzialistici
elaborati dalla Corte di Giustizia in materia di concorrenza (nella specie
quello della successione economica tra imprese) ai fini dell’individuazione del
soggetto obbligato alla bonifica e al ripristino ambientale, proprio in virtù
della effettività che tali principi sostanzialistici assicurano all’attuazione
del canone fondamentale secondo cui “chi inquina paga”: “In particolare, nei
provvedimenti contingibili e urgenti l’imputazione soggettiva degli obblighi di
attivazione, discrezionalmente individuati dall’amministrazione procedente, può
motivatamente seguire anche le diverse regole della successione c.d.
“economica” (per un’applicazione della successione economica in materia di
concorrenza, è utile il richiamo alla recente sentenza della Corte di Giustizia
delle Comunità europee 11.12.2007, in causa C-280/06, pronunciata su rinvio
pregiudiziale del Consiglio di Stato) che consentono, per la migliore e
immediata tutela di fondamentali interessi superindividuali, di derogare al
generale principio della personalità e, in ossequio al canone del “chi inquina
paga”, di onerare chi abbia beneficiato delle valenze economiche, anche
latenti, di un bene-impresa dei correlativi costi dell’internalizzazione delle
diseconomie esterne prodotte”.
Orbene, nel caso di specie, il Collegio
ritiene applicabile il principio comunitario dell’unicità economica del gruppo,
al fine di allocare l’obbligo di bonifica su chi per lungo tempo si è giovato
di tali attività realizzate anche mediante società operative.
L’illustrato principio della
responsabilità di gruppo fatto proprio dalla risalente giurisprudenza
comunitaria nella materia degli illeciti concorrenziali, ad avviso del
Collegio, diviene in ogni caso un principio generale di diritto amministrativo
interno (nel cui ambito rientrano indubbiamente gli ordini di ripristino e
bonifica ambientale, che sotto il profilo della fattispecie sostanziale, oltre
che della giurisdizione, si distinguono nettamente dall’obbligo risarcitorio di
cui all’articolo 2043 c.c., cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 6055 del
2008), e quindi deve essere applicato dalle Amministrazioni nell’adottare anche
i provvedimenti del tipo in esame, per via dell’effetto “spill over” dei
principi comunitari, oggi del resto codificato espressamente all’articolo 1
della legge n. 241 del 1990.
2.3. Sulla legittimità di ordinare il
ripristino e la bonifica per attività inquinanti compiute prima dell’entrata in
vigore del d.lgs. n. 22 del 1997.
Affermata l’imputabilità in capo a Edison
spa della responsabilità, ai fini della presente controversia, in ordine agli
inquinamenti in esame, occorre esaminare le ulteriori censure concernenti una
presunta impossibilità di ordinare il ripristino e la bonifica (cioè
comportamenti attivi ed ulteriori rispetto al mero obbligo risarcitorio,
derivante già in virtù della previsione di cui all’articolo 2043 c.c.), per
fatti che si assumono avvenuti prima dell’entrata in vigore del d.p.r. n. 915
del 1982, della legge n. 489 del 1986, della legge n. 549 del 1995, del d.lgs.
n. 22 del 1997, del d.m. n. 471 del 1999 e del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, che
tali obblighi avrebbero introdotto e disciplinato.
Rilevato che appare prevalente, oltre che
condivisibile, la tesi secondo cui non vi è continuità tra la previsione
dell’obbligo risarcitorio derivante in via generale dalla violazione del
precetto del neminem laedere (ex articolo 2043 e seg. c.c.) e
quella di obblighi specifici di ripristino e bonifica in materia ambientale
(cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 6055 del 2008), il Collegio condivide la
giurisprudenza secondo cui (cfr. Tar Toscana, sentenza n. 573 del 2011)
l'inquinamento è una situazione di danno ingiusto che si rinnova e aggrava
nella sua lesività e quindi di illecito permanente, in quanto esso perdura e si
aggrava fino a che non ne siano rimosse le cause ed i parametri ambientali siano
riportati entro i limiti normativamente accettabili.
In quanto situazione di danno permanente,
la responsabilità di chi lo pone in essere può essere scissa in due condotte,
una commissiva, generatrice dell’inquinamento stesso, ed una omissiva, laddove
ci si astiene dal porre in essere quelle condotte per eliminare la situazione
dannosa e permanente causata (in base al principio dell’assunzione di una
posizione di garanzia secondo Consiglio di Stato, sentenza n. 6055 del 2008).
Ciò comporta che già le previsioni del
d.lgs. n. 22 del 1997 possano essere applicate a qualunque sito che risulti
inquinato sotto la sua vigenza, a prescindere dalla circostanza che il fatto o
i fatti generatori della situazione patologica siano anche antecedenti (secondo
quanto sopra specificato) all’entrata in vigore del medesimo d.lgs..
Già le previsioni di cui al d.lgs. n. 22
del 1997, giustificano pertanto l’ordine di ripristino e bonifica ambientale
nel caso di specie.
Inoltre, l’ordine di ripristino e bonifica
ambientale può essere rivolto al soggetto responsabile dell’inquinamento anche
qualora quest’ultimo non sia più nella disponibilità delle aree, com’è almeno
in parte nel caso di specie (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 5283 del
2007).
Ne consegue che appaiono giustificati e
supportati da un’adeguata previsione normativa (articolo 17 del d.lgs. n. 22
del 1997 – oggi abrogato dall'articolo 264, comma 1, lettera i) del D.Lgs. 3
aprile 2006, n. 152, ma con una sostanziale continuità di disciplina, cfr.
Consiglio di Stato, sentenza n. 6055 del 2008 - come del resto evidenziato
anche nella relazione dell’Amministrazione resistente, depositata in atti
dall’Avvocatura erariale in data 17 marzo 2014, cfr. pag. 15) gli ordini di
ripristino e bonifica enunciati nel provvedimento impugnato, a prescindere
dalla disciplina normativa invocata formalmente dalla Pa (l’errore di
sussunzione normativa appare nella specie meramente formale, da un lato, non
incidendo sulla legittimità sostanziale del provvedimento, per tutte le
considerazioni espresse, dall’altro, consentendo comunque di intendere i
soggetti, il tipo, l’oggetto e la causa del provvedimento adottato, come
dimostra la difesa svolta dalla ricorrente; esso pertanto si risolve in un
errore di motivazione non invalidante, anche ai sensi dell’articolo 21 octies
della legge n. 241 del 1990, ed anche in considerazione dei chiarimenti forniti
nella citata memoria del 17 marzo 2014 dalla difesa erariale) .
Del resto, l’articolo 3 comma 32 della
legge n. 549 del 1995, citato dall’Amministrazione nel provvedimento, fa salve
proprio le disposizioni, anche successive, che prevedono la bonifica e il
ripristino.
2.4. Sulle altre questioni di merito.
2.4.1. Quanto alla circostanza che sarebbe
decorso il termine di cui all’articolo 303 lett. g) del codice dell’ambiente,
secondo cui la parte sesta del d.lgs. n. 152 del 2006, riguardante tra l’altro
il risarcimento del danno ed il ripristino ambientale, “non si applica al
danno in relazione al quale siano trascorsi più di trent'anni dall'emissione, dall'evento
o dall'incidente che l'hanno causato”; al di là di ogni ulteriore
considerazione appare innanzitutto opportuno evidenziare che, per le ragioni
già chiarite, il danno ambientale di cui si discute si è verificato anche con
una condotta omissiva di carattere permanente.
In ogni caso, i periodi relativi alla
formale autorizzazione delle discariche nulla provano in ordine alle
circostanza di tempo degli sversamenti e depositi del tutto abusivi di cui si
discute, tanto più che essi riguardano sostanze non ricomprese nelle medesime
autorizzazioni.
2.4.2. Quanto alla presunta carenza
istruttoria, si è dato atto della circostanziata analisi dell’Ispra, basata
pure non solo sulle risultanze degli accertamenti compiuti dai tecnici della
Solvay ma anche di quelli compiuti dai periti nominati nel procedimento penale
più volte menzionato.
A fronte di tale analisi, chiara,
esaustiva e logicamente coerente, come già evidenziato, la ricorrente avrebbe
dovuto indicare, in modo altrettanto chiaro e circostanziato, altre specifiche
cause di inquinamento di quei siti, rimasti nella disponibilità del gruppo
Montedison-Edison fino al 2002, quando erano già emersi i primi segni
documentati degli effetti poi confermati dalle successive caratterizzazioni del
2004 e del 2007.
2.4.3. Con riferimento alla circostanza
che l’Amministrazione avrebbe già disposto alcune attività di messa in
sicurezza, ad avviso del Collegio essa non dimostra alcuna contraddittorietà
nell’azione amministrativa, in considerazione del fatto che le attività di
messa in sicurezza hanno finalità preventive di un ulteriore aggravio del
danno, e quindi sono distinte funzionalmente da quelle di ripristino e
bonifica.
Tra l’altro, l’Amministrazione ha chiarito
e documentato, senza alcuna contestazione specifica e di pari analiticità di
parte ricorrente, che tali interventi di messa in sicurezza si sono rivelati
allo stato del tutto inadeguati per evitare l’aggravamento del danno, in ogni
caso già prodotto.
2.4.4. Quanto ai termini per provvedere,
il provvedimento impugnato dispone l’esecuzione in danno “in mancanza di
tempestivo e spontaneo adempimento nel termine di 30 giorni dal ricevimento
dell’atto” .
Rilevato che il fondamento dell’obbligo di
ripristino è da individuare già nell’articolo 17 del d.lgs. n. 22 del 1997
(che, come già evidenziato, è oggi abrogato dall'articolo 264, comma 1, lettera
i) del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ma con una sostanziale continuità
normativa e di disciplina, cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 6055 del 2008),
si osserva che esso prevede una procedura che impone, nei trenta giorni, la
presentazione alla Regione e al Comune di un piano di bonifica.
Anche dagli articoli 305 e 306 del d.lgs.
n. 152 del 2006, che ratione temporis affidano la competenza
al Ministero dell’Ambiente (esercitata correttamente nel caso di specie,
secondo il principio tempus regit actum) e disciplinano il
procedimento di adozione dell’ordine di ripristino in esame, emerge una
procedura analoga: il Ministero dell’Ambiente ordina il rispristino e il
destinatario della misura propone al massimo entro trenta giorni un piano che
dovrà essere approvato dal medesimo Ministero, salve, s’intende, le misure
cautelari di carattere immediato.
Il termine appare pertanto congruo con
riferimento alla prima fase del ripristino, vale a dire alla predisposizione
del piano di cui alla normativa testè indicata, salve la facoltà del Ministero
di imporre in qualsiasi momento, ex articolo 305 del d.lgs. n. 152 del 2006,
tutte le misure urgenti che dovessero rilevarsi opportune.
2.4.5. Quanto infine alla circostanza che
il sito sarebbe attualmente sotto sequestro, è appena il caso di osservare che
essa, da un lato, non è una causa di illegittimità del provvedimento impugnato,
attenendo alla fase esecutiva e non a quella genetica di validità, dall’altro,
non si presenta ex ante come una causa giustificativa assoluta
dell’inadempimento o ritardo, dovendo quantomeno la ricorrente chiedere,
all’Autorità che ha disposto il sequestro, la sua rimozione o la
rideterminazione del vincolo reale (ove possibile), al solo fine di consentire
quelle attività necessarie per eseguire l’ordine di bonifica e ripristino, con
le cautele che saranno indicate (e anche sotto la vigilanza del Ministero resistente
che ha ordinato la bonifica e il ripristino ambientale).
Solo l’eventuale diniego assoluto
dell’Autorità medesima potrebbe essere allegato come motivo giustificativo del
ritardo.
2.5. Sulle spese del giudizio.
Le spese seguono il criterio della soccombenza
e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso,
come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile, secondo quanto indicato
in motivazione, e comunque infondato.
Condanna la ricorrente al pagamento, in
favore dell’Amministrazione resistente, della somma complessiva di euro
5.000/00 a titolo di spese processuali, oltre iva e cpa, e accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Pescara nella camera di
consiglio del giorno 17 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:
Michele Eliantonio, Presidente
Alberto Tramaglini, Consigliere
Massimiliano Balloriani, Consigliere,
Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/04/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)