sabato 21 giugno 2014

PROCESSO: il controinteressato sopravvenuto e quello occulto (T.A.R. Abruzzo, Pescara, sentenza 30 aprile 2014 n. 204).


PROCESSO: 
il controinteressato sopravvenuto,
e quello occulto
(T.A.R. Abruzzo, Pescara, 
sentenza 30 aprile 2014 n. 204).



Due figure processuali di conio pretorio che dimostrano l'intrinseca vivacità del processo amministrativo

*
*   *

Massima

1. Nel processo amministrativo, per controinteressato sopravvenuto deve intendersi colui che abbia conseguito un titolo abilitativo, un beneficio o uno status derivante da un provvedimento ulteriore conseguente alla conclusione di un procedimento autonomo rispetto a quello presupposto già impugnato.
2. Controinteressato occulto è invece colui che sostanzialmente è un controinteressato (in quanto la sentenza di accoglimento del ricorso lederebbe in via immediata l'interesse che egli nutre alla conservazione del provvedimento amministrativo o alla sua mancata adozione), ma non è facilmente individuabile dalla lettura dell'atto impugnato.
3. Entrambi i soggetti in questione, non avendo la qualità di controinteressato cui andava notificato il ricorso originario, per proporre l'opposizione di terzo devono, pertanto, risultare titolari di una posizione giuridica autonoma e incompatibile, come in tutte le altre ipotesi nelle quali un terzo pretenda di proporre opposizione.

*
*   *

Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 472 del 2013, proposto da:
Edison S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Andreina Degli Esposti, Wladimiro Troise Mangoni, Lorenzo Passeri Mencucci, Riccardo Villata, con domicilio eletto presso Lorenzo Passeri in Pescara, via Falcone e Borsellino, 38; 
contro
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in L'Aquila, via Buccio di Ranallo C/ S.Domenico; 
per l'annullamento
del provvedimento prot. n. 0047512/TRI del 9 settembre 2013 con il quale il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha diffidato la società ricorrente alla rimozione di rifiuti depositati nelle discariche realizzate nell'area nel Comune di Bussi dove è localizzato lo stabilimento industriale di proprietà della società stessa, al ripristino lo stato dei luoghi e alla eventuale bonifica delle matrici ambientali interessate.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 aprile 2014 il dott. Massimiliano Balloriani e uditi per le parti l'avv. Lorenzo Passeri Mencucci, l'avv. Riccardo Villata e l'avv. Wladimiro Troise Mangoni per la società ricorrente, l'avv. Distrettuale dello Stato Generoso Di Leo per l’Amministrazione resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1.- La ricorrente impugna il provvedimento n. 47512 del 9 settembre 2013 con il quale il Ministero dell’Ambiente le ha ordinato di rimuovere tutti i rifiuti depositati in modo incontrollato nelle discariche denominate “Tre Monti”, “2A” e “2B”; ripristinare integralmente lo stato dei luoghi mediante la rimozione delle discariche e delle altre fonti di contaminazione ancora attive; procedere alla bonifica della matrici ambientali che all’esito della completa rimozione dei rifiuti risultassero contaminate.
Con l’avviso che, in caso di mancato adempimento nel termine di 30 giorni dal ricevimento della diffida, provvederà l’Amministrazione in danno.
2.1. - La ricorrente, quanto alla discarica “Tre Monti”, espone che il conferimento sarebbe cessato sin dal 1973, quindi oltre trenta anni prima dell’adozione del provvedimento impugnato, con la conseguente decorrenza del termine di cui all’articolo 303 lett. g) del codice dell’ambiente; essendo ogni attività di discarica cessata nel 1973, poi, non sarebbe neanche applicabile il d.p.r. n. 915 del 1982, entrato in vigore 10 anni dopo, mentre la normativa in vigore non prevedeva alcuna ipotesi di discarica abusiva, come peraltro dimostrerebbe l’articolo 31 del medesimo d.p.r. che, nel regolamentare il regime transitorio per chi intendesse proseguire l’attività, nulla ha disposto per il periodo pregresso; dal 2008 al 2011 l’attuale ricorrente avrebbe concorso, su sollecitazione del Commissario straordinario competente, alla livellazione e copertura del terreno ed alla sistemazione delle sponde del fiume Pescara.
2.2. Quanto alla discariche 2A e 2B, la ricorrente rileva che le medesime non sono di sua proprietà ma della società Solvay; in particolare per la 2A, la soc. Montefluos (poi Ausimont ed oggi Solvay), in data 11 marzo 1982 avrebbe chiesto l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività di discarica, già in atto da diversi anni, ai sensi dell’articolo 31 del d.p.r. succitato, accolta dalla Regione in data 5 agosto 1987, e poi la discarica sarebbe stata chiusa nel 1990 come da dichiarazione della soc. Montefluos (poi Ausimont ed oggi Solvay); per la 2B, la soc. Montefluos (poi Ausimont ed oggi Solvay), in data 22 dicembre 1986 avrebbe proposto domanda di autorizzazione ad una discarica per rifiuti speciali, rilasciata dalla Giunta regionale in data 5 maggio 1988, e poi anche tale discarica sarebbe stata chiusa nel 1990; per entrambe tali discariche, poi, Solvay avrebbe provveduto, nel 2010, alla costruzione di una barriera idraulica e alla realizzazione di una copertura impermeabile; non vi sarebbe inoltre alcuna prova circa l’epoca dell’eventuale deposito di rifiuti eccedenti le autorizzazioni da parte della soc. Montefluos (poi Ausimont ed oggi Solvay).
2.3. - In merito alla normativa applicabile, la ricorrente espone che l’Amministrazione avrebbe errato nell’applicare l’articolo 3 comma 32 della legge n. 549 del 1995, secondo cui “Fermi restando l'applicazione della disciplina sanzionatoria per la violazione della normativa sullo smaltimento dei rifiuti di cui al D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, e successive modificazioni, e l'obbligo di procedere alla bonifica e alla rimessa in pristino dell'area, chiunque esercita, ancorché in via non esclusiva, l'attività di discarica abusiva e chiunque abbandona, scarica o effettua deposito incontrollato di rifiuti, è soggetto al pagamento del tributo determinato ai sensi della presente legge e di una sanzione amministrativa pari a tre volte l'ammontare del tributo medesimo. Si applicano a carico di chi esercita l'attività le sanzioni di cui al comma 31. L'utilizzatore a qualsiasi titolo o, in mancanza, il proprietario dei terreni sui quali insiste la discarica abusiva, è tenuto in solido agli oneri di bonifica, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento del tributo e delle sanzioni pecuniarie ai sensi della presente legge, ove non dimostri di aver presentato denuncia di discarica abusiva ai competenti organi della regione, prima della costatazione delle violazioni di legge. Le discariche abusive non possono essere oggetto di autorizzazione regionale, ai sensi dell'articolo 6 del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915”.
Ciò in quanto, a parte la sua espressa abrogazione ad opera del d.lgs. n. 152 del 2006, e già, implicitamente, da parte del d.lgs. n. 22 del 1997 (poi integrato dal d.m. n. 471 del 1999), la discarica Tre Monti sarebbe inattiva già dagli anni Settanta, mentre, quanto alla 2A e la 2B, anch’esse chiuse da oltre vent’anni, non vi sarebbe alcuna prova in ordine ad un uso non corretto delle medesime.
2.4. - Vi sarebbe peraltro una carenza di istruttoria, atteso che l’Amministrazione avrebbe agito sulla base di semplici ipotesi investigative avanzate dalla Procura della Repubblica, a tutt’oggi ancora al vaglio dei Giudici, in fase dibattimentale, nonché sulla base di una caratterizzazione del sito effettuata da Solvay “avente interessi contrastanti con quelli dell’odierna ricorrente” (cfr. pag 9 della memoria depositata il 17 marzo 2014).
2.5. - Il provvedimento impugnato sarebbe poi in contrasto con gli altri citati e di carattere meramente conservativo già adottati per mettere in sicurezza le discariche.
2.6. - I termini per provvedere, infine, sarebbero del tutto esigui in relazione all’entità delle opere richieste e peraltro non vi sarebbe la possibilità di provvedere in ragione del sequestro delle aree da parte dell’Autorità giudiziaria ordinaria.
3. - Si è costituito il Ministero dell’Ambiente, depositando anche una dettagliata relazione.
3.1. - In essa si evidenzia che dalle indagini condotte dalla locale Procura della Repubblica e, sempre nell’ambito del procedimento penale, dalla consulenza dell’Ispra, emergerebbe che nelle due discariche autorizzate sono stati smaltiti rifiuti diversi da quelli autorizzati, mentre in quella denominata Tre Monti ed anche nelle aree vicine a quelle autorizzate sono state realizzate vere e proprie discariche abusive.
3.2. - Quanto alla responsabilità di Montedison (oggi Edison), si evidenzia che la discarica Tre Monti è tutt’ora di proprietà di Edison spa e nel corso della caratterizzazione eseguita nell’ambito delle indagini penali di cui si è detto, così come dalla relazione tecnica dell’Ispra, sarebbe emerso il deposito incontrollato e senza alcuna impermeabilizzazione di rifiuti identificati come scarti della produzione industriale dello stabilimento di proprietà della medesima società (solventi clorurati, idrocarburi policiclici aromatici, metalli pesanti) e la contaminazione avrebbe interessato non soltanto il terreno ma anche la falda, determinando una contaminazione di 8 pozzi di captazione per l’acqua potabile, destinato a soddisfare il fabbisogno idrico-alimentare di tutta la Val Pescara.
Con riguardo alle aree 2A e 2B, rispettivamente occupanti una superficie di 1,2 e 0,8 ettari, in esse è stata autorizzata la prosecuzione di attività di discarica in favore della soc. Montefluos, dopo l’entrata in vigore del d.p.r. n. 915 del 1982, nella prima per rifiuti urbani e speciali, nella seconda per rifiuti speciali industriali derivanti da processi produttivi.
Si precisa, poi, che la Montedison (prima Montecatini) ha mantenuto la proprietà dell’intero sito industriale di cui si discute sino al 1981, anno in cui il medesimo è stato conferito alla soc. Ausimont, spa controllata al 100% dal Montedison spa, che quindi avrebbe continuato a mantenere un’ingerenza e controllo nella sua attività, anche in materia ambientale, almeno fin quando, nel 2002, le azioni di Ausimont sono passate da Montedison a Solvay spa che ha acquisito per incorporazione Ausimont e quindi è succeduta nella gestione del sito limitatamente alle aree indicate come discariche 2A e 2B, atteso che Montedison (poi Edison) ha mantenuto la proprietà di quelle ad esse limitrofe e pur interessate da discarica abusiva e di quelle della zona denominata Tre Monti (a tal proposito, nella memoria del 17 marzo 2014, la ricorrente replica che l’imputazione a responsabilità della controllante per le attività poste in essere dalla società figlia sarebbe solo oggi codificato dall’articolo 2497 codice civile secondo la formulazione introdotta nel nostro ordinamento dalla legge n. 6 del 2003, e quindi tale principio non sarebbe applicabile a fatti avvenuti tra il 1991 e il 2002; fino a quel momento, ex articolo 2359 codice civile, il controllo rilevante nell’ambito di un gruppo societario sarebbe potuto essere solo quello di tipo contrattuale; inoltre la giurisprudenza sia di quel periodo che attuale escluderebbe, in virtù dell’indipendenza soggettiva, la responsabilità in capo alla capogruppo dell’attività svolta dalla controllata seppure in attuazione della politica del gruppo, salvo ipotesi eccezionali e tassative; inoltre la medesima ricorrente evidenzia che la fusione per incorporazione di Ausimont in Solvay avrebbe determinato una vicenda analoga alla successione a titolo universale, secondo i principi affermati in giurisprudenza, e quindi sarebbe quest’ultima ad averne ereditato tutti gli obblighi).
3.3. - E’ stato poi chiarito, sempre dall’Amministrazione resistente, che gli interventi di messa in sicurezza del sito Tre Monti sono stati in realtà effettuati dal Commissario straordinario con la partecipazione economica di Montedison ma si sarebbero rivelati a tutt’oggi inefficaci, sarebbero cioè non definitivi e parziali (nella successiva memoria, la ricorrente rimarca la circostanza, apparentemente contraddittoria, che, da lato, l’Amministrazione nella relazione, a pag. 6, afferma che le opere di messa in sicurezza e di caratterizzazione del sito da parte del Commissario straordinario non sono terminate, dall’altro, che esse si sono comunque già rivelate parziali e non definitive; inoltre dal verbale della conferenza di servizio del 6 dicembre 2012 emergerebbe la necessità di ulteriori rilievi e caratterizzazioni del sito per verificare se sia sufficiente o meno una messa in sicurezza permanente del medesimo).
Quanto alle altre due discariche, 2A e 2B, viceversa, è stata la stessa Solvay nel 2004, dopo essere subentrata nella gestione, a rinvenire e segnalare, previa caratterizzazione, depositi non autorizzati di rifiuti industriali.
Dall’esito delle indagini da quest’ultima condotte e trasmesse al Ministero dell’Ambiente, in particolare, è emerso che in tali discariche a quella data risultavano smaltiti rifiuti non autorizzati e pertanto la struttura di protezione contro il percolamento non aveva impedito l’infiltrazione di essi nel sottosuolo e nelle falde acquifere (metalli pesanti, idrocarburi, composti alifatici clorurati cancerogeni).
Successivi monitoraggi effettuati da Solvay nel 2011 hanno poi confermato le concentrazioni di tali sostanze inquinanti in prossimità delle aree di discarica e di nei piezometri.
3.4. - Oltre alle riferite circostanza che imputano la gestione di tutte e tre le discariche alla ricorrente, l’Amministrazione resistente ha altresì evidenziato che la medesima sarebbe da ritenersi responsabile per il sol fatto di avere omesso la comunicazione di cui all’articolo 9 del d.m. n. 471 del 1999, in presenza di contaminazioni ancora attive (a tal proposito, la ricorrente ha replicato sostenendo genericamente che la dichiarazione sarebbe stata presentata da Ausimont, unica obbligata a presentarla, e che comunque tale dichiarazione non si doveva accompagnare ad attività di messa in sicurezza in urgenza, prevista solo in via eventuale dall’articolo 9 cit.; in ogni caso tale violazione non sarebbe stata indicata nel provvedimento impugnato).
Quanto alla non applicabilità della fattispecie di cui all’articolo 3 comma 32 della legge n. 549 del 1995 a discariche effettuate in periodo antecedente all’entrata in vigore del d.p.r. n. 915 del 1982, l’Amministrazione evidenzia che tale articolo 3 comma 32 ha portata più generale, riguardando ogni deposito incontrollato di rifiuti e non solo l’esercizio di discariche non autorizzate ex d.p.r. n. 915 del 1982; condotta peraltro già da considerare comunque illecita in virtù dell’articolo 2050 del codice civile, nonché, ancor prima del d.p.r. n. 915 del 1982, dalla legge n. 319 del 1976.
Si contesta poi l’avvenuta abrogazione del d.p.r. n. 915 del 1982 da parte del d.lgs. n. 152 del 2006, e in ogni caso si ritiene che l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi (ben più radicale della mera bonifica, quale riduzione della contaminazione) deriverebbe direttamente dall’obbligo di risarcimento del danno in forma specifica e quindi già ex articolo 18 della legge n. 489 del 1986, che trova applicazione agli eventi antecedenti all’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006 (a tal proposito, la ricorrente replica rilevando che il risarcimento del danno ambientale non può comunque essere richiesto trascorsi i 30 anni di cui all’articolo 303 lett. g) del codice dell’ambiente).
4. - All’udienza del 17 aprile 2014 la causa è passata in decisione.
1. Questioni preliminari
Come rilevato dall’Amministrazione resistente il ricorso è inammissibile, almeno in parte (laddove cioè impugna il provvedimento anche nella parte in cui si riferisce a terreni non attualmente di proprietà della ricorrente, e ammesso che il suo contenuto possa ritenersi scindibile, essendo comunque unico il danno ambientale considerato), atteso che il provvedimento impugnato riguarda anche le due discariche situate sui terreni attualmente di proprietà delle soc. Solvay, e, come rilevato dalla stessa ricorrente, quest’ultima impresa ha interessi contrastanti rispetto a quelli della ricorrente medesima (cfr. pag. 9 delle memorie depositate il 17 marzo 2014), sicchè essa doveva ricevere la notifica del ricorso introduttivo, in quanto, pur non espressamente menzionata nel provvedimento impugnato, risulta da esso facilmente individuabile, atteso appunto il riferimento espresso alle due discariche 2 A e 2 B che insistono sui terreni di sua proprietà (come chiarito da Consiglio di Stato, a. pl., sentenza n. 2 del 1996, per controinteressato si deve intendere quel soggetto titolare di un interesse alla conservazione dell'atto, che il ricorrente intende superare, individuato nell'atto stesso o facilmente individuabile).
Difatti, appare evidente che, ove il ricorso dovesse risultare fondato, in mancanza dell’individuazione del responsabile, quantomeno l’onere della bonifica graverebbe in capo al proprietario (seppure cioè non l’obbligo di provvedervi in via diretta, cfr. Consiglio di Stato a.pl., sentenza n.25 del 2013, che ha rimesso alla Corte di Giustizia la questione interpretativa se i principi dell'Unione europea in materia ambientale sanciti dall'art. 191, par. 2, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea e dalla direttiva 2004/35/Ce del 21 aprile 2004 - art. 1 e 8 n. 3; tredicesimo e ventiquattresimo considerando - ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli art. 244, 245, 253 d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, che, in caso di accertata contaminazione di un sito e di impossibilità di individuare il soggetto responsabile della contaminazione o di impossibilità di ottenere da quest'ultimo gli interventi di riparazione, non consenta all'Autorità amministrativa di imporre l'esecuzione delle misure di sicurezza d'emergenza e di bonifica al proprietario non responsabile dell'inquinamento, prevedendo, a carico di quest'ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l'esecuzione degli interventi di bonifica).
Per tali ragioni Solvay spa si presentava, sin dal momento della instaurazione del giudizio, come un controinteressato palese e non occulto o sopravvenuto (cfr. per tali categorie, Consiglio di Stato, sentenza n. 652 del 2014), e quindi le doveva essere notificato il ricorso, ai fini dell’ammissibilità, ai sensi dell’articolo 41 comma 2 c.p.a..
2. Questioni di merito.
In ogni caso, il ricorso è infondato.
In sostanza, con il provvedimento impugnato è stato ingiunto a Edison spa di provvedere, entro 30 giorni, alla rimozione di tutti i rifiuti depositati in modo incontrollato nelle aree individuate come “Tre Monti”, 2A e 2B, situate nei pressi dello stabilimento industriale di proprietà Edison; nonché al ripristino integrale dello stato dei luoghi mediante la rimozione delle discariche e di altre fonti di contaminazione ancora attive; infine di procedere alla bonifica delle matrici ambientali che all’esito della rimozione dei rifiuti dovessero risultare contaminate.
2.1. Sulla riferibilità causale dell’inquinamento agli stabilimenti nel periodo in cui erano gestiti dal Gruppo Montecatini-Montedison-Edison.
Edison spa contesta innanzitutto che tale attività sia a sé imputabile in punto di fatto.
Occorre premettere che nel diritto processuale amministrativo, così come in quello civile, quanto all’onere della prova, specie con riferimento all’accertamento del nesso causale in materia di evento illecito, vige il principio del “più probabile che non” (cfr. Tar Lazio Roma, sentenza n. 998 del 2014; Cassazione sentenza n. 21619 del 2007) e non invece quello penalistico che richiede una certezza al di là di ogni ragionevole dubbio (cfr. Cassazione civile, sentenza n. 13214 del 2012).
Ciò premesso, non appare analiticamente ed efficacemente contestato che nei siti in esame sono state rinvenute sostanze altamente inquinanti e che esse costituiscono scarti e prodotti industriali tipici dell’attività ivi esercitata da Edison spa.
Dalla relazione Ispra, redatta per conto del Ministero dell’ambiente per il procedimento penale n. 12/2006 RGNR e depositata agli atti del presente giudizio il 17 marzo 2014, risulta che il polo industriale di Bussi sul Tirino (Pe) si sviluppa lungo l’asse dell’omonimo fiume, a monte della sua confluenza con il fiume Pescara, su ambo i lati, per una superficie complessiva di circa 191.000 mq.
Circa 2 km a valle del polo industriale è situato il campo pozzi di Colle S. Angelo, che concorre all’approvvigionamento di acqua potabile di molti comuni della Val Pescara, tra cui, la stessa città di Pescara.
Risulta inoltre che tale polo è stato gestito inizialmente da diverse aziende che sono state tutte man mano acquisite dalla soc. Montecatini negli anni Trenta.
Dagli anni Sessanta e fino al 1990 su quelle aree si è insediata anche la SIAC (società italiana additivi per carburanti) che ha ivi prodotto antidetonanti per benzine fino al 1990.
La Montecatini, poi riorganizzata e suddivisa in varie società (tra cui Ausimont e Montefluos spa), ha mantenuto la proprietà delle aree e degli impianti fino al 2002, allorchè i medesimi sono passati sotto il controllo di Solvay spa attraverso l’acquisizione per incorporazione di Ausimont spa.
Dal 2003, poi, la Solvay spa di è trasformata in Solvay Solexis spa e nel 2005 è stata fondata Solvay Chimica Bussi spa, che attualmente è proprietaria degli impianti e li gestisce, mentre la Solvay Solexis ha la proprietà delle aree.
Gli impianti che compongono il polo industriale in esame sono tre: l’impianto cloro-soda, in esercizio dall’insediamento del polo e a tutt’oggi attivo; l’impianto cloro-metani, realizzato negli anni Sessanta e dismesso nel 2007; l’impianto SIAC, realizzato nel 1966 e dismesso nel 1990.
La contaminazione dei suoli è dovuta principalmente a tre tipi di sostanze: i composti organici clorurati, il mercurio e il piombo; e queste sostanze sono state utilizzate o prodotte proprio nei tre impianti appena indicati.
Tale contaminazione, inoltre, è avvenuta a causa di perdite delle strutture impiantistiche medesime o per via di una scorretta gestione dei rifiuti dello stabilimento.
La circostanza che i rilasci siano dovuti agli impianti è stata riscontrata attraverso l’analisi dei luoghi in prossimità di essi e del tipo di sostanze ivi rinvenute, riconducibili a quelle prodotte o utilizzate nell’impianto stesso: per il mercurio il pennacchio (maggiore concentrazione) di contaminazione è stato rinvenuto proprio nell’area dello stabilimento cloro-soda, i composti organici clorurati nell’area di quello cloro-metani, il piombo nell’area dello stabilimento SIAC.
In particolare, si è accertato che tali sostanze di rifiuto erano costituite dai depositi sul fondo dei serbatoi e dalle acque derivanti da operazioni di pulizia e di manutenzione, oltre che da residui di produzione (specie per quanto riguarda i cloro-metani, risultanti dal processo di distillazione dei cloro-metani).
Inoltre, alcuni inquinanti (in particolare i clorurati) hanno contaminato alcuni materiali utilizzati nelle apparecchiature del processo produttivo poi oggetto di illecito smaltimento nelle discariche, sia in quelle abusive sia nelle due autorizzate per rifiuti diversi (ma soprattutto nella discarica 2B).
Tali rifiuti sono poi stati anche utilizzati come materiale di riporto per interventi di riempimento e livellamento all’interno e all’esterno delle aree aziendali.
Ciò è stato accertato con il rinvenimento di composti organici clorurati, mercurio e piombo in prossimità di tali opere di livellamento e riempimento.
Con riferimento agli altri inquinanti rinvenuti nei suoli aziendali e nelle acque delle falde (arsenico, cromo, nichel, boro, idrocarburi, composti organo-alogenati), non si è riusciti ad associarli a specifiche lavorazioni degli stabilimenti in questione.
In ogni caso, le acque, sia superficiali che sotterranee, sono risultate contaminate principalmente dalle stesse succitate tre categorie di sostanze individuate quali scarti aziendali e rinvenute in prossimità degli impianti e nelle discariche abusive e autorizzate per rifiuti diversi.
In particolare, in quelle superficiali sono stati rinvenuti il piombo (che, secondo la classificazione IARC – agenzia internazionale per la ricerca sul cancro – è classificato nel gruppo 2A, cioè probabile cancerogeno per l’uomo) e alcuni composti organici clorurati (tricloroetilene –anch’esso 2A quindi probabile cancerogeno, sospettato di provocare alterazioni genetiche, provoca irritazione cutanea, è inoltre nocivo per gli organismi acquatici, con effetti di lunga durata - , tetracloroetilene –2A, quindi probabile cancerogeno, tossico per gli organismi acquatici e con effetti di lunga durata - , 1,2 dicloroetilene –nocivo se inalato e nocivo per gli organismi acquatici e con effetti di lunga durata -, cloroformio o tricloroetano –2B quindi possibile cancerogeno per l’uomo, è inoltre nocivo se ingerito-, tetraclorometano –2B, quindi possibile cancerogeno per l’uomo, è inoltre tossico se inalato, se viene a contatto con la pelle e se ingerito; è anche nocivo per gli organismi acquatici e ha effetti di lunga durata - ); in quelle sotterranee sono stati rinvenuti il piombo (di cui si è detto), il mercurio –letale se inalato, provoca danni agli organi in caso di esposizione prolungata o ripetuta, tossico per gli organismi acquatici, con effetti di lunga durata - e alcuni composti organici clorurati di cui si è già riferito (tricloroetilene, tetracloroetilene, 1,2 dicloroetilene, cloroformio, tetraclorometano, esacloroetano –2B, possibile cancerogeno per l’uomo, nocivo per inalazione, contatto con la pelle e per ingestione -).
L’inquinamento delle acque sotterranee con tali sostanze ha determinato una perdita di potabilità delle acque dell’acquedotto della Val Pescara, accertata sin dal 2002 (cfr. pag. 13 della relazione dell’Ispra).
La contaminazione dei suoli aziendali e delle discariche (con una profondità da 2,5 a 7,5 metri) è stata riscontrata nel periodo dal 2004 al 2007 ad opera dei tecnici della Solvay prima e dei consulenti nominati nel procedimento penale poi; quella delle acque della falda, benché emersa fin dai primi anni Novanta, è stata caratterizzata solo negli anni Duemila (come si è appena detto, in particolare, nel 2002 è stato accertato il superamento dei limiti previsti per il consumo umano).
Tali dettagliate e circostanziate evidenze non risultano oggetto di specifiche e documentate contestazioni da parte della ricorrente, sicchè ad avviso del Collegio esse costituiscono prova della circostanza che gli inquinamenti accertati sia nei siti aziendali che extra aziendali (le discariche abusive e quelle autorizzate per rifiuti diversi) sono riconducibili alle attività produttive svolte negli stabilimenti del polo industriale in esame; e ciò per l’ovvia circostanza che essi costituiscono gli scarti tipizzati di tale produzione e sono stati rinvenuti sia in prossimità dei siti aziendali sia nei riporti di terra e nelle discariche.
E’ ovvio pertanto che i responsabili di detto inquinamento non possono che essere individuati, sempre secondo il criterio del “più probabile che non”, in coloro che hanno gestito tali impianti nel periodo antecedente a quello in cui gli inquinamenti hanno iniziato ad essere rilevati.
Considerate inoltre l’estensione e la profondità di tale inquinamento, nonché i sui notevoli effetti già causati sull’ambiente (dati compiutamente analizzati ed esposti nella relazione Ispra), appare evidente come si verta su un’attività di inquinamento protratta e risalente nel tempo.
A conferma di un’attività inquinante risalente e protratta nel tempo, v’è anche il rinvenimento, assieme alle altre sostanze, di notevoli concentrazioni di piombo, che, per le ragioni indicate, è ricollegabile all’impianto della società SIAC, realizzato nel 1966 e dismesso già nel 1990.
Benchè il superamento dei limiti di potabilità sia stato accertato solo nel 2002, già da metà degli anni Novanta, tuttavia, sono stati effettuati riscontri della compromissione delle acque con tali agenti inquinanti (in particolare i composti organo-alogenati, cfr. pag. 30 relazione Ispra).
Al cospetto di tale quadro indiziario, sia in ordine all’epoca dell’inquinamento che in ordine alle sue causa, la Edison non avrebbe potuto limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi, ma avrebbe dovuto provare e documentare con pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altra impresa, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi la condotta causativa dell’inquinamento (cfr., su analoga controversia che ha visto coinvolta Edison spa in altra vicenda di inquinamento ambientale, Consiglio di Stato, sentenza n. 6055 del 2008).
A tal proposito, è appena il caso di osservare che, anche se Solvay spa è attualmente proprietaria di parte delle aree, “l’ordine di rimozione dei rifiuti presenti sul fondo può essere rivolto al proprietario solo quando ne sia dimostrata almeno la corresponsabilità con gli autori dell’illecito, per avere cioè posto in essere un comportamento, omissivo o commissivo, a titolo doloso o colposo, dovendosi escludere che la norma configuri un’ipotesi legale di responsabilità oggettiva” (cfr. Tar Napoli, sentenza n. 1043 del 2014).
2.2. Sulla responsabilità di Edison spa per le condotte delle varie società operative del gruppo Montedison spa che si sono succedute nella gestione degli impianti.
Tutto ciò premesso, non risulta contestato che, fino al 2002 (data in cui, come evidenziato, gli effetti dello specifico inquinamento causato dagli stabilimenti hanno già cominciato ad essere rilevati e documentati), a gestire il sito industriale sia stato principalmente il gruppo Montecatini-Montedison-Edison nelle varie denominazioni e organizzazioni proprietarie che si sono succedute.
Dalla caratterizzazione effettuata nel 2007 dai consulenti tecnici nel procedimento penale (vds. pagg. 16 e seg. relazione Ispra), è emerso che nella discarica abusiva di località Tre Monti sono stati rinvenuti agenti inquinanti quali piombo, mercurio e solventi organici clorurati; in quella autorizzata nel 1983 come 2A e per il deposito di soli rifiuti inerti (ed anche nell’ulteriore discarica abusiva inquinante ad essa adiacente e divisa in due aree), sono stati rinvenuti mercurio, piombo e in minor misura composti organici clorurati; in quella autorizzata nel 1988 come categoria 2B per rifiuti degli impianti dello stabilimento (ma diversi dagli agenti inquinanti di cui si discute), sono stati rinvenuti principalmente composti organici clorurati.
Benchè, come illustrato, l’inquinamento da piombo appaia dalla relazione Ispra principalmente riconducibile all’attività della SIAC, tuttavia, tra i motivi di ricorso, non ve n’è alcuno riferito alla circostanza che a tale inquinamento abbia concorso in via autonoma anche la SIAC (peraltro non evocata in giudizio) e che quindi anche quest’ultima debba essere destinataria del provvedimento impugnato; non risulta neanche dettagliatamente e specificamente confutato, inoltre, che anche quest’ultima sia riconducibile al gruppo Montecatini-Montedison-Edison.
Ferme restando le esposte considerazioni che, in virtù del periodo temporale, del tipo di sostanze e dei luoghi del loro rinvenimento, inducono a riferire l’inquinamento principalmente all’attività degli impianti nel periodo in cui era il gruppo Montecatini-Montedison-Edison a gestirli, appare anche inammissibile il motivo con cui la ricorrente tende a rilevare che obbligata al ripristino ed alla bonifica dovrebbe essere Solvay spa, per aver incorporato Ausimont spa (e a tal fine la prospettazione non muta, sia che sia accolga la tesi giurisprudenziale della continuità dei soggetti incorporati, secondo la disciplina vigente prima della riforma del diritto societario del 2003, sia quella della successione per atto tra vivi, essendo Ausimont spa comunque esistente nella vigenza del d.lgs. n. 22 del 1997, cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 6055 del 2008), società operativa del medesimo gruppo, atteso che, in tal caso, la ricorrente medesima mirerebbe ad un annullamento in parte qua del provvedimento, e proprio nella parte in cui il controinteressato (Solvay spa, appunto) appare immediatamente individuabile (per essere l’attuale gestore di quei medesimi impianti) e quindi avrebbe dovuto essere sin dall’origine evocato in giudizio (non essendovi altri controinteressati evocati ex articolo 41 comma 2 c.p.a.) con la notifica del ricorso principale.
In ogni caso, tale censura non varrebbe ad escludere la responsabilità del gruppo Montecatini-Montedison-Edison (e quindi oggi di Edison spa) per l’attività di inquinamento compiuta in quel sito, sino al 2002, anche dalla propria società operativa Ausimont spa, e i cui effetti sulle acque sono stati accertati già da metà degli anni Novanta e poi nel 2002, quindi ancor prima della caratterizzazione effettuata dalla stessa Solvay nel 2004.
Peraltro, oltre alle considerazioni che si approfondiranno a breve in merito alla responsabilità di gruppo, è opportuno osservare sin d’ora che, possedendo il gruppo Montedison-Edison in tale periodo il 100% delle azioni di Ausimont spa, sotto il profilo sostanziale appare più equo allocare gli oneri ripristinatori e di bonifica a carico di chi ha avuto effettivamente il controllo e la direzione dell’attività della società operativa, nel periodo in cui essa ha determinato l’inquinamento, e ne ha tratto utilità.
Risulta dagli atti di causa e dalle produzioni delle parti che il gruppo societario in esame (Montecatini-Montedison-Edison) ha mantenuto la proprietà dell’intero sito industriale di cui si discute sino al 1981, anno in cui il medesimo sito è stato conferito alla soc. Ausimont spa, pur sempre controllata al 100% dal Montedison spa, che quindi ha continuato a mantenere un’ingerenza e controllo sulla sua attività, anche in materia ambientale, almeno fin quando, nel 2002, le azioni di Ausimont sono state cedute da Montedison a Solvay spa che ha acquisito per incorporazione Ausimont e quindi è succeduta nella gestione del sito limitatamente alle aree indicate come discariche 2A e 2B, atteso che Montedison (poi Edison) ha mantenuto la proprietà di quelle ad esse limitrofe (e pur interessate da discarica abusiva) e di quelle della zona denominata Tre Monti.
A fronte di questo chiaro quadro soggettivo, non risulta peraltro contestato che tutte le società che, fino al 2002, si sono succedute nella proprietà e gestione del sito industriale siano riconducibili al gruppo Montedison spa (poi rinominata Edison spa), attraverso varie architetture societarie.
Quello che la ricorrente contesta in questa sede è che la responsabilità per illeciti delle controllate possa ricadere sulla controllante o comunque sull’intero gruppo, inteso a tal fine come soggettività unica e non più distinta nelle varie persone giuridiche autonome che lo compongono (cfr. pag. 11 delle memorie depositate in data 17 marzo 2014).
Ciò premesso, atteso che si verte in materia comunque di rilievo anche comunitario, e quindi nell’applicazione di direttive comunitarie attuate nel nostro ordinamento, il Collegio ritiene che ai fini della loro corretta applicazione e quindi dell’accertamento di illeciti ambientali commessi da gruppi societari debba essere accolta la concezione sostanzialistica di impresa fatta propria dalla giurisprudenza comunitaria (giurisprudenza maturata soprattutto in tema di concorrenza), e quindi applicato il principio della prevalenza dell’unità economica del gruppo rispetto alla pluralità soggettiva delle imprese controllate, secondo cui per illeciti commessi dalle società operative la responsabilità si estende anche alle società madri, che ne detengono le quote di partecipazione in misura tale, come nel caso di specie, da evidenziare un rapporto di dipendenza e quindi escludere una sostanziale autonomia decisionale delle controllate stesse (nel caso di controllo totalitario, come nel caso di specie per la Ausimont spa, poi, l’assenza di autonomia decisionale è presunta, cfr. cfr. Corte di Giustizia CE, 25 ottobre 1983, causa 107/82).
Ne consegue che la responsabilità in capo alla ricorrente Edison spa per le attività esercitate nel tempo dalle varie società del gruppo deriva direttamente da tali principi e quindi a prescindere dalla contestata applicabilità degli articoli 2497 e 2497 sexies c.c..
Il criterio comunitario testè richiamato, peraltro, attiene all’imputazione della responsabilità intera e finale in capo alla holding e al gruppo nel suo complesso e non alla misura del concorso nella responsabilità, sicchè a tale applicazione non osta la previsione di cui all’articolo 9 della direttiva 2004/35/Ce, secondo cui “la presente direttiva lascia impregiudicata qualsiasi disposizione del diritto nazionale riguardante l'imputazione dei costi nel caso di pluralità di autori del danno, in particolare per quanto concerne la ripartizione della responsabilità tra produttore e utente di un prodotto”.
In ogni caso, tale disposizione, nel lasciare impregiudicate le disposizioni di diritto nazionale, non esclude che, soprattutto per l’ipotesi di mancanza di queste, il criterio debba essere preferibilmente rinvenuto in principi di matrice comunitaria diversi e ulteriori da quelli contenuti nella direttiva stessa.
Ciò, specie se tale applicazione sostanzialistica favorisce l’effetto utile dell’applicazione di principi fondamentali della materia comunitaria in questione, quale quello secondo cui “chi inquina paga” (espresso già nell’articolo 15 della direttiva n. 91/156/CEE, attuata con il d.lgs. n. 22 del 1997).
Al fine di rinforzare le considerazioni sin qui svolte, giova ricordare che anche il Consiglio di Stato (cfr. sentenza n. 6055 del 2008) ha affermato l’applicabilità dei principi sostanzialistici elaborati dalla Corte di Giustizia in materia di concorrenza (nella specie quello della successione economica tra imprese) ai fini dell’individuazione del soggetto obbligato alla bonifica e al ripristino ambientale, proprio in virtù della effettività che tali principi sostanzialistici assicurano all’attuazione del canone fondamentale secondo cui “chi inquina paga”: “In particolare, nei provvedimenti contingibili e urgenti l’imputazione soggettiva degli obblighi di attivazione, discrezionalmente individuati dall’amministrazione procedente, può motivatamente seguire anche le diverse regole della successione c.d. “economica” (per un’applicazione della successione economica in materia di concorrenza, è utile il richiamo alla recente sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee 11.12.2007, in causa C-280/06, pronunciata su rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato) che consentono, per la migliore e immediata tutela di fondamentali interessi superindividuali, di derogare al generale principio della personalità e, in ossequio al canone del “chi inquina paga”, di onerare chi abbia beneficiato delle valenze economiche, anche latenti, di un bene-impresa dei correlativi costi dell’internalizzazione delle diseconomie esterne prodotte”.
Orbene, nel caso di specie, il Collegio ritiene applicabile il principio comunitario dell’unicità economica del gruppo, al fine di allocare l’obbligo di bonifica su chi per lungo tempo si è giovato di tali attività realizzate anche mediante società operative.
L’illustrato principio della responsabilità di gruppo fatto proprio dalla risalente giurisprudenza comunitaria nella materia degli illeciti concorrenziali, ad avviso del Collegio, diviene in ogni caso un principio generale di diritto amministrativo interno (nel cui ambito rientrano indubbiamente gli ordini di ripristino e bonifica ambientale, che sotto il profilo della fattispecie sostanziale, oltre che della giurisdizione, si distinguono nettamente dall’obbligo risarcitorio di cui all’articolo 2043 c.c., cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 6055 del 2008), e quindi deve essere applicato dalle Amministrazioni nell’adottare anche i provvedimenti del tipo in esame, per via dell’effetto “spill over” dei principi comunitari, oggi del resto codificato espressamente all’articolo 1 della legge n. 241 del 1990.
2.3. Sulla legittimità di ordinare il ripristino e la bonifica per attività inquinanti compiute prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 22 del 1997.
Affermata l’imputabilità in capo a Edison spa della responsabilità, ai fini della presente controversia, in ordine agli inquinamenti in esame, occorre esaminare le ulteriori censure concernenti una presunta impossibilità di ordinare il ripristino e la bonifica (cioè comportamenti attivi ed ulteriori rispetto al mero obbligo risarcitorio, derivante già in virtù della previsione di cui all’articolo 2043 c.c.), per fatti che si assumono avvenuti prima dell’entrata in vigore del d.p.r. n. 915 del 1982, della legge n. 489 del 1986, della legge n. 549 del 1995, del d.lgs. n. 22 del 1997, del d.m. n. 471 del 1999 e del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, che tali obblighi avrebbero introdotto e disciplinato.
Rilevato che appare prevalente, oltre che condivisibile, la tesi secondo cui non vi è continuità tra la previsione dell’obbligo risarcitorio derivante in via generale dalla violazione del precetto del neminem laedere (ex articolo 2043 e seg. c.c.) e quella di obblighi specifici di ripristino e bonifica in materia ambientale (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 6055 del 2008), il Collegio condivide la giurisprudenza secondo cui (cfr. Tar Toscana, sentenza n. 573 del 2011) l'inquinamento è una situazione di danno ingiusto che si rinnova e aggrava nella sua lesività e quindi di illecito permanente, in quanto esso perdura e si aggrava fino a che non ne siano rimosse le cause ed i parametri ambientali siano riportati entro i limiti normativamente accettabili.
In quanto situazione di danno permanente, la responsabilità di chi lo pone in essere può essere scissa in due condotte, una commissiva, generatrice dell’inquinamento stesso, ed una omissiva, laddove ci si astiene dal porre in essere quelle condotte per eliminare la situazione dannosa e permanente causata (in base al principio dell’assunzione di una posizione di garanzia secondo Consiglio di Stato, sentenza n. 6055 del 2008).
Ciò comporta che già le previsioni del d.lgs. n. 22 del 1997 possano essere applicate a qualunque sito che risulti inquinato sotto la sua vigenza, a prescindere dalla circostanza che il fatto o i fatti generatori della situazione patologica siano anche antecedenti (secondo quanto sopra specificato) all’entrata in vigore del medesimo d.lgs..
Già le previsioni di cui al d.lgs. n. 22 del 1997, giustificano pertanto l’ordine di ripristino e bonifica ambientale nel caso di specie.
Inoltre, l’ordine di ripristino e bonifica ambientale può essere rivolto al soggetto responsabile dell’inquinamento anche qualora quest’ultimo non sia più nella disponibilità delle aree, com’è almeno in parte nel caso di specie (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 5283 del 2007).
Ne consegue che appaiono giustificati e supportati da un’adeguata previsione normativa (articolo 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 – oggi abrogato dall'articolo 264, comma 1, lettera i) del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ma con una sostanziale continuità di disciplina, cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 6055 del 2008 - come del resto evidenziato anche nella relazione dell’Amministrazione resistente, depositata in atti dall’Avvocatura erariale in data 17 marzo 2014, cfr. pag. 15) gli ordini di ripristino e bonifica enunciati nel provvedimento impugnato, a prescindere dalla disciplina normativa invocata formalmente dalla Pa (l’errore di sussunzione normativa appare nella specie meramente formale, da un lato, non incidendo sulla legittimità sostanziale del provvedimento, per tutte le considerazioni espresse, dall’altro, consentendo comunque di intendere i soggetti, il tipo, l’oggetto e la causa del provvedimento adottato, come dimostra la difesa svolta dalla ricorrente; esso pertanto si risolve in un errore di motivazione non invalidante, anche ai sensi dell’articolo 21 octies della legge n. 241 del 1990, ed anche in considerazione dei chiarimenti forniti nella citata memoria del 17 marzo 2014 dalla difesa erariale) .
Del resto, l’articolo 3 comma 32 della legge n. 549 del 1995, citato dall’Amministrazione nel provvedimento, fa salve proprio le disposizioni, anche successive, che prevedono la bonifica e il ripristino.
2.4. Sulle altre questioni di merito.
2.4.1. Quanto alla circostanza che sarebbe decorso il termine di cui all’articolo 303 lett. g) del codice dell’ambiente, secondo cui la parte sesta del d.lgs. n. 152 del 2006, riguardante tra l’altro il risarcimento del danno ed il ripristino ambientale, “non si applica al danno in relazione al quale siano trascorsi più di trent'anni dall'emissione, dall'evento o dall'incidente che l'hanno causato”; al di là di ogni ulteriore considerazione appare innanzitutto opportuno evidenziare che, per le ragioni già chiarite, il danno ambientale di cui si discute si è verificato anche con una condotta omissiva di carattere permanente.
In ogni caso, i periodi relativi alla formale autorizzazione delle discariche nulla provano in ordine alle circostanza di tempo degli sversamenti e depositi del tutto abusivi di cui si discute, tanto più che essi riguardano sostanze non ricomprese nelle medesime autorizzazioni.
2.4.2. Quanto alla presunta carenza istruttoria, si è dato atto della circostanziata analisi dell’Ispra, basata pure non solo sulle risultanze degli accertamenti compiuti dai tecnici della Solvay ma anche di quelli compiuti dai periti nominati nel procedimento penale più volte menzionato.
A fronte di tale analisi, chiara, esaustiva e logicamente coerente, come già evidenziato, la ricorrente avrebbe dovuto indicare, in modo altrettanto chiaro e circostanziato, altre specifiche cause di inquinamento di quei siti, rimasti nella disponibilità del gruppo Montedison-Edison fino al 2002, quando erano già emersi i primi segni documentati degli effetti poi confermati dalle successive caratterizzazioni del 2004 e del 2007.
2.4.3. Con riferimento alla circostanza che l’Amministrazione avrebbe già disposto alcune attività di messa in sicurezza, ad avviso del Collegio essa non dimostra alcuna contraddittorietà nell’azione amministrativa, in considerazione del fatto che le attività di messa in sicurezza hanno finalità preventive di un ulteriore aggravio del danno, e quindi sono distinte funzionalmente da quelle di ripristino e bonifica.
Tra l’altro, l’Amministrazione ha chiarito e documentato, senza alcuna contestazione specifica e di pari analiticità di parte ricorrente, che tali interventi di messa in sicurezza si sono rivelati allo stato del tutto inadeguati per evitare l’aggravamento del danno, in ogni caso già prodotto.
2.4.4. Quanto ai termini per provvedere, il provvedimento impugnato dispone l’esecuzione in danno “in mancanza di tempestivo e spontaneo adempimento nel termine di 30 giorni dal ricevimento dell’atto” .
Rilevato che il fondamento dell’obbligo di ripristino è da individuare già nell’articolo 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 (che, come già evidenziato, è oggi abrogato dall'articolo 264, comma 1, lettera i) del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ma con una sostanziale continuità normativa e di disciplina, cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 6055 del 2008), si osserva che esso prevede una procedura che impone, nei trenta giorni, la presentazione alla Regione e al Comune di un piano di bonifica.
Anche dagli articoli 305 e 306 del d.lgs. n. 152 del 2006, che ratione temporis affidano la competenza al Ministero dell’Ambiente (esercitata correttamente nel caso di specie, secondo il principio tempus regit actum) e disciplinano il procedimento di adozione dell’ordine di ripristino in esame, emerge una procedura analoga: il Ministero dell’Ambiente ordina il rispristino e il destinatario della misura propone al massimo entro trenta giorni un piano che dovrà essere approvato dal medesimo Ministero, salve, s’intende, le misure cautelari di carattere immediato.
Il termine appare pertanto congruo con riferimento alla prima fase del ripristino, vale a dire alla predisposizione del piano di cui alla normativa testè indicata, salve la facoltà del Ministero di imporre in qualsiasi momento, ex articolo 305 del d.lgs. n. 152 del 2006, tutte le misure urgenti che dovessero rilevarsi opportune.
2.4.5. Quanto infine alla circostanza che il sito sarebbe attualmente sotto sequestro, è appena il caso di osservare che essa, da un lato, non è una causa di illegittimità del provvedimento impugnato, attenendo alla fase esecutiva e non a quella genetica di validità, dall’altro, non si presenta ex ante come una causa giustificativa assoluta dell’inadempimento o ritardo, dovendo quantomeno la ricorrente chiedere, all’Autorità che ha disposto il sequestro, la sua rimozione o la rideterminazione del vincolo reale (ove possibile), al solo fine di consentire quelle attività necessarie per eseguire l’ordine di bonifica e ripristino, con le cautele che saranno indicate (e anche sotto la vigilanza del Ministero resistente che ha ordinato la bonifica e il ripristino ambientale).
Solo l’eventuale diniego assoluto dell’Autorità medesima potrebbe essere allegato come motivo giustificativo del ritardo.
2.5. Sulle spese del giudizio.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile, secondo quanto indicato in motivazione, e comunque infondato.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione resistente, della somma complessiva di euro 5.000/00 a titolo di spese processuali, oltre iva e cpa, e accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 17 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:
Michele Eliantonio, Presidente
Alberto Tramaglini, Consigliere
Massimiliano Balloriani, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/04/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Nessun commento:

Posta un commento