GIURISDIZIONE:
il riparto di giurisdizione
tra giudici amministrativo e tributario
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II,
sentenza 11 gennaio 2016, n. 735)
Nel merito la sentenza (è rilevante perché) riguarda le note misure fiscali ed amministrative (ritenute sia dalla Corte Costituzionale che dal T.A.R. capitolino illegittime) introdotte nel 2013 dal Governo nei confronti delle società che producono e commercializzano le e-cigarettes.
Massima
1. E'
orientamento ormai consolidato delle Sezioni Unite quello secondo cui la
giurisdizione esclusiva del giudice tributario in ordine ai “tributi di ogni
genere e specie”, istituita dall’art. 2, co. 1, d.lgs. n. 546/1992 (come
successivamente modificato), può svolgersi solo attraverso l'impugnazione di
specifici atti impositivi dell'amministrazione finanziaria.
2. Ne consegue che, in mancanza della mediazione rappresentata
dall'impugnativa dell'atto impositivo, il giudice tributario “non
può giudicare della legittimità degli atti amministrativi generali, dei quali
può conoscere, incidenter
tantum ed entro confini
determinati, solo ai fini della disapplicazione nella singola fattispecie
dell'atto amministrativo presupposto dell'atto impositivo impugnato” (Sez. Un., sent. n. 6224/2006).
3. Con riguardo all’interpretazione dell’art. 7, co. 5, del d.lgs. n.
546/92, la cognizione degli atti autoritativi di carattere generale presupposti
alla specifica obbligazione tributaria spetta, invece, alla giurisdizione del
giudice amministrativo (Sez. Un., sent. n. 3030/2002).
4. Nello stesso senso è la
giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo
cui ad esclusione delle controversie riservate alla giurisdizione del giudice
tributario, sono impugnabili davanti al giudice amministrativo i regolamenti
governativi, ministeriali o di enti locali che istituiscono o disciplinano
tributi di qualsiasi genere, in quanto concernenti interessi legittimi (Cons.
St., sent. n. 6353/2004).
5. Neppure può
ritenersi che, in assenza di atti impositivi, i provvedimenti aventi carattere generale non possano essere immediatamente lesivi.
E’ noto, infatti, che il principio
secondo cui le norme regolamentari vanno impugnate unitamente all’atto
applicativo trova eccezione per i provvedimenti che presentano un carattere
specifico e concreto, risultando idonei, come tali, ad incidere direttamente
nella sfera giuridica degli interessati, a decorrere dalla pubblicazione nelle
forme previste dalla legge (da ultimo, Cons. St., sent. n.
6208/2012).
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale
735 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Flavourart s.r.l., Smooke s.r.l., Smart Evolution Trading s.r.l., Arbi Group s.r.l., in liquidazione volontaria, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese dagli avv.ti Stefano Vinti e Fabio Francario, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Francario in Roma, Piazza Paganica, 13;
Flavourart s.r.l., Smooke s.r.l., Smart Evolution Trading s.r.l., Arbi Group s.r.l., in liquidazione volontaria, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese dagli avv.ti Stefano Vinti e Fabio Francario, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Francario in Roma, Piazza Paganica, 13;
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze,
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, rappresentati e difesi dall'Avvocatura
generale dello Stato, presso cui domiciliano in Roma, via dei Portoghesi,
12;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Fiesel-Confesercenti, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Giorgio Fraccastoro, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, Via Piemonte, 39;
Federcontribuenti Italia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Giorgio Fraccastoro, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, Via Piemonte, 39;
Fiesel-Confesercenti, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Giorgio Fraccastoro, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, Via Piemonte, 39;
Federcontribuenti Italia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Giorgio Fraccastoro, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, Via Piemonte, 39;
per l'annullamento
- del D.M. 16.11.2013 pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana in data 7.12.2013 e delle
“Risposte ai quesiti più frequenti” (c.d. FAQ) adottate dall’Agenzia delle
Dogane e dei Monopoli e rese note mediante pubblicazione sul sito ufficiale
dell'Agenzia delle Dogane in data 03.01.2014;
- di ogni altro atto preparatorio, presupposto,
connesso e consequenziale, ivi compresa:
1) la decisione di prevedere che gli
operatori già presenti sul mercato che non hanno conseguito alla data del
1°gennaio 2014 l’autorizzazione al commercio di vaporizzatori, della loro
componentistica, dei liquidi destinati alla vaporizzazione e dei relativi
prodotti accessori e strumentali (ovvero dei prodotti indicati al comma 1,
dell’art. 62 –quater, comma 1, del d.lgs. 26.10.1995, n. 504), non possano
continuare a commercializzare e vendere tali prodotti;
2) la decisione di assoggettare a regime
autorizzatorio e tariffario e all’imposta nella misura del 58,5% del prezzo di
vendita al pubblico (di cui all’art. 62 –quater, comma 1, del d.lgs.
26.10.1995, n. 504) la vendita di prodotti accessori e strumentali all’utilizzo
di vaporizzatori (come ad esempio i caricabatteria o le custodie dei
vaporizzatori);
3) la decisione di ritenere succedanei del
tabacco ed assoggettati a regime autorizzatorio e tariffario e all’imposta
prodotti che non contengono affatto nicotina ovvero dispositivi elettronici,
componenti e accessori a prescindere dal fatto che siano o meno deputati alla
vaporizzazione di nicotina ovvero vengano o meno concretamente ed
effettivamente adibiti a tale uso da parte dei loro utilizzatori; nonché,
comunque:
4) la stessa decisione di applicare in via
generale sui prodotti indicati al comma 1 dell’art. 62 –quater del d.lgs. n.
504/95 la suddetta imposta della misura pari al 58,5% sul prezzo di vendita al
pubblico dei prodotti medesimi e di sottoporre gli stessi a regime
autorizzatorio e tariffario; e, infine 5) ove e per quanto occorrer possa, la
nota dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli 20.11.2013, prot. n.
DAC/CTL/8443/2013; il tutto previa, ove occorra e ritenuta non manifestamente
infondata la relativa questione, a) rimessione alla Corte Costituzionale della
questione di legittimità costituzionale dell’art. 62 –quater del d.lgs.
26.10.1995, n.504, per violazione degli artt. 3, 35, 41, 53 e 97 della Cost.;
nonché b) sempre ove occorra, previa rimessione alla Corte di Giustizia della
seguente questione “dica la Corte di Giustizia se i principi di diritto europeo
in materia di libera circolazione dei fattori e dei prodotti economici, di
tutela delle libertà fondamentali e di libera concorrenza nel mercato unico,
nonché gli artt. 30, 34, 35 e 110 del TFUE, l’art. 401 della direttiva
112/2006/CE e l’art. 1 della direttiva n. 118/2008/CE, ostino ad una normativa
nazionale come quella di cui all’art. 62 – quater del d.lgs. n. 504 del 1995,
che: a) introduce un’imposta di consumo con aliquota al 58,5% sul prezzo di
vendita dei prodotti al pubblico; b) prevede una tariffazione dei prezzi al
pubblico, determinando una rigida e predeterminata regolamentazione dei prezzi
di vendita; c) impone una serie di obblighi ed adempimenti procedimentali che
interferiscono con il regolare ciclo produttivo - distributivo dei prodotti.”;
- nonché, ancora, per l’annullamento dei
seguenti atti, impugnati con motivi aggiunti:
- d.m. 12.2.2014, a firma del Ministro
dell’Economia e delle Finanze;
- circolare AAMS prot. n. DAC/DIR/14 del
21.1.2014 e di ogni loro atto preparatorio, presupposto, connesso e
conseguenziale, ivi compresi i provvedimenti già impugnati con il ricorso
introduttivo del presente giudizio.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i
relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio
del Ministero dell'Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Dogane e dei
Monopoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del giorno
2 dicembre 2015 il Cons. Silvia Martino;
Uditi gli avv.ti, di cui al verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Le società ricorrenti rappresentano di
operare, sin dal 2010, sul mercato nazionale ed estero nel settore della
produzione e della commercializzazione di vaporizzatori di liquidi aromatici e
non (c.d. e-cigarettes), della loro componentistica, nonché di prodotti
strumentali ed accessori all’uso dei vaporizzatori.
I vaporizzatori sono strumenti dotati di
una batteria ricaricabile che consentono di inalare il vapore di una soluzione
di acqua, glicole propilenico, glicerolo, aromi alimentari e, eventualmente,
nicotina (che può essere presente o del tutto assente).
Tecnicamente, un vaporizzatore è composto
da:
- un filtro, costituito da materiale
plastico ipoallergenico, contenente, al suo interno, una cartuccia che viene
caricata con soluzione di glicole propilenico, glicerole, aromi alimentari ed,
eventualmente, nicotina;
- un cartomizzatore, che riscalda il
liquido contenuto nella cartuccia o nel serbatoio, creando una sospensione
gassosa che trasporta le sostanze del liquido, lasciandole quasi inalterate,
grazie all’assenza di combustione;
- una batteria ricaricabile che fornisce
energia al vaporizzatore (in alternativa alla quale è possibile utilizzare Usb
– pass che permettono di collegare direttamente il vaporizzatore ad una presa
Usb di un computer o di un auto);
- un circuito elettronico interno.
Attualmente, sul mercato, sono presenti
una molteplicità di liquidi per vaporizzatori nei quali non è presente nicotina
e che presentano semplicemente sapori aromatici di natura alimentare.
Per tale ragione, le ricorrenti ritengono
che i vaporizzatori non costituiscano necessariamente “prodotti succedanei del
tabacco”, dal momento che l’utilizzo e la vaporizzazione di nicotina
costituisce soltanto uno dei possibili e molteplici usi di tali dispositivi da
parte del consumatore.
E’ tuttavia accaduto che, con d.l. 28
giugno 2013, n. 76 (conv. con modificazioni in l. 9 agosto 2013, n. 99), sia
stato introdotto nel corpo del d.lgs. n. 504 del 1995, un articolo 62 –quater,
rubricato “Imposta di consumo sui prodotti succedanei dei prodotti da fumo”, il
quale prescrive che, a decorrere dal 1° gennaio 2014, “i prodotti contenenti
nicotina o altre sostanze idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati,
nonché i dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio,
che ne consentono il consumo, sono assoggettati ad imposta di consumo nella
misura del 58,5% del prezzo di vendita al pubblico”.
La medesima disposizione ha altresì
previsto che la commercializzazione dei prodotti “di cui al comma 1 è
assoggettata alla preventiva autorizzazione da parte dell’Agenzia delle Dogane
e dei Monopoli nei confronti dei soggetti che siano in possesso dei medesimi
requisiti stabiliti per la gestione dei depositi fiscali di tabacchi lavorati
[...]” e che “Con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, da
adottarsi entro il 31 ottobre 2013, sono stabiliti il contenuto e le modalità
di presentazione dell’istanza ai fini dell’autorizzazione di cui al comma 2, le
procedure per la variazione dei prezzi di vendita dei prodotti di cui al comma
1, nonché le modalità di prestazione della cauzione di cui al comma 3, di
tenuta dei registri e documenti contabili, di liquidazione e versamento
dell’imposta di consumo, anche in caso di vendita a distanza, di comunicazione
degli esercizi che effettuano la vendita al pubblico, in conformità, per quanto
applicabili, a quelle vigenti per i tabacchi lavorati”.
Le ricorrenti evidenziano come il
regolamento attuativo, recante, tra l’altro, la disciplina del neoistituito
procedimento autorizzatorio, sia stato adottato solo in data 16 novembre 2013 e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 7 dicembre 2013.
Successivamente, in data 3 gennaio 2014,
l’Agenzia delle Dogane ha fornito i chiarimenti richiesti dagli operatori,
pubblicando le c.d. FAQ sul proprio sito istituzionale.
Le disposizioni testé menzionate hanno avuto
l’effetto di determinare il blocco totale dell’attività economica e di impresa
in danno degli operatori del mercato del c.d. fumo elettronico, nonché di
assoggettare al regime autorizzatorio ed impositivo persino prodotti
strumentali e puramente accessori quali, ad esempio, i caricabatterie per i
vaporizzatori e le loro custodie in plastica.
Esse, in particolare:
- hanno previsto che gli operatori già
presenti sul mercato che non hanno conseguito l’autorizzazione alla data del 1°
gennaio 2014, non possono continuare a commercializzare e vendere gli stessi,
laddove il regolamento attuativo è stato pubblicato in G.U. solo in data
7.12.2013, e prevede testualmente che il procedimento per il rilascio delle
autorizzazioni, si perfezioni tra i 90 e i 270 giorni;
- hanno concretamente l’effetto di
sottoporre a regime autorizzativo e tariffario, nonché alla gravosa tassazione
del 58,5%, anche prodotti che non sono succedanei del tabacco (come
caricabatterie e custodie) ovvero che non contengono affatto nicotina.
Il decreto ministeriale, in particolare,
prevede un termine di conclusione del procedimento che risulta incompatibile
con la data del 1° gennaio 2014, essendo previsti 90 giorni soltanto per
conseguire il provvedimento di autorizzazione. A tale periodo devono poi
aggiungersi ulteriori 180 giorni per il perfezionamento dei profili afferenti
la cauzione.
Di fatto, nessun operatore ha conseguito
l’autorizzazione alla data del 1° gennaio 2014, di talché il settore sta
subendo un blocco totale delle attività che mette a rischio la stabilità
economica delle società, gli asset aziendali, gli investimenti
effettuati.
Le ricorrenti stigmatizzano altresì il
fatto che, all’atto di fornire i chiarimenti richiesti sul nuovo regime,
l’Agenzia delle Dogane abbia ritenuto di sottoporre ad autorizzazione anche
semplici prodotti accessori che non possono essere sicuramente considerati
“succedanei” del tabacco, quali i caricabatterie e le custodie dei dispositivi
in esame.
I prodotti suddetti sono tutti ad uso
promiscuo e possono esser utilizzati tanto per i vaporizzatori quanto al
servizio di altri dispositivi che nulla hanno a che fare con il c.d fumo
elettronico.
Evidenziano, ancora, che il d.m.
16.11.2013, all’atto di fornire la definizione di “prodotti succedanei dei
prodotti da fumo” si è limitato ad utilizzare una definizione talmente generica
da potervi attrarre anche prodotti che non contengono affatto nicotina o che,
comunque, non vengono in concreto adibiti a tale uso dall’utilizzatore.
In pratica, vengono ricompresi in tale
definizione e quindi sottoposti a regime autorizzativo, tariffario e
impositivo:
- i liquidi per vaporizzatori che non
contengono nicotina;
- semplici dispositivi monouso di
vaporizzazione utilizzati per inalare aromi privi di nicotina;
- i medesimi dispositivi, le loro
componenti e i corrispettivi corredi accessori anche quando non vengano in
concreto utilizzati per la vaporizzazione di nicotina;
- componenti e prodotti che, nel mondo del
tabacco lavorato, non vengono colpiti da una tassazione specifica né sono
sottoposti ad un regime speciale di commercializzazione (si pensi ai bocchini e
ai portasigarette).
Le ricorrenti, hanno quindi sviluppato i
seguenti motivi di ricorso:
I) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE
DELL’ART. 62 – QUATER DEL D.LGS. 26.10.1995, N. 504 (RUBRICATO “IMPOSTA DI
CONSUMO SUI PRODOTTI SUCCEDANEI DEI PRODOTTI DA FUMO”); VIOLAZIONE E FALSA
APPLICAZIONE DELL’ART. 1 E SS D.M. 16.11.2013; MANIFESTA IRRAGIONEVOLEZZA;
ECCESSO DI POTERE NELLE FIGURE SINTOMATICHE DELL’ILLOGICITÀ, DELL’IRRAZIONALITÀ,
DEL VIZIO DI MOTIVAZIONE, DEL DIFETTO DI ISTRUTTORIA, DELL’ERRONEITÀ DEI
PRESUPPOSTI E DEL TRAVISAMENTO DEI FATTI; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI
CONCORRENZA, VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI LEGALITÀ; PERPLESSITÀ DELL’AZIONE
AMMINISTRATIVA.
La previsione dell’Agenzia delle Dogane
secondo cui gli operatori che alla data del 1° gennaio 2014 non abbiano
conseguito l’autorizzazione al commercio dei prodotti in esame non possono
continuare a commercializzarli è, a dire dei ricorrenti, illegittima, in quanto
in contrasto con la tempistica prescritta dal d.m. 16.11.2013.
Essa non tiene conto della normativa
regolamentare, dei complessi adempimenti prescritti, e, comunque, del fatto che
nessuna fonte, primaria o secondaria, prevede che il regime di autorizzazione
debba entrare in vigore alla data del 1° gennaio 2014.
Dal canto suo, il d.m. 16.11.2013 non
prevede alcuna norma transitoria idonea a consentire che i soggetti già
presenti sul mercato possano continuare ad operare nelle more del rilascio
dell’autorizzazione che viene oggi richiesta quale condizione per la
commercializzazione dei rispettivi prodotti.
II) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE
DELL’ART. 62 – QUATER DEL D.LGS. N. 504 DEL 1995 (RUBRICATO “IMPOSTA DI CONSUMO
SUI PRODOTTI SUCCEDANEI DEI PRODOTTI DA FUMO”); VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE
DEL D.M. 16.11.2013; MANIFESTA IRRAGIONEVOLEZZA; ECCESSO DI POTERE NELLE FIGURE
SINTOMATICHE DELL’ILLOGICITÀ, DELL’IRRAZIONALITÀ, DEL VIZIO DI MOTIVAZIONE, DEL
DIFETTO DI ISTRUTTORIA, DELL’ERRONEITÀ DEI PRESUPPOSTI E DEL TRAVISAMENTO DEI
FATTI; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI
CONCORRENZA, PERPLESSITÀ DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA.
Parimenti illegittime sono le disposizioni
che assoggettano a regime autorizzatorio, tariffario e impositivo anche
prodotti che costituiscono meri accessori strumentali all’utilizzo dei
vaporizzatori, quali caricabatterie e custodie.
L’illogicità di una siffatta decisione
emerge in maniera ancora più lampante se si considera che tali accessori
vengono sottoposti a regime autorizzatorio e tariffario anche in tutti quei
casi nei quali gli stessi costituiscono corredo accessorio e strumentale
all’utilizzo di dispositivi che non sono destinati a vaporizzare nicotina
(vaporizzatori mono uso per la vaporizzazione di liquidi aromatici, ovvero che,
per scelta dell’utilizzatore, non vaporizzano né nebulizzano nicotina).
Si tratta comunque, come già evidenziato,
di prodotti ad uso promiscuo, con l’ulteriore illogicità che gli stessi
prodotti, ove commercializzati da ditte che operano, ad esempio, nel settore
delle apparecchiature elettroniche generiche, rimangono liberamente vendibili
al prezzo di mercato senza scontare la pesante tassazione del 58,5%.
In sostanza, prodotti identici o speculari
vengono sottoposti a regimi di commercializzazione differenti per il fatto di
essere o meno potenzialmente e astrattamente utilizzabili quali accessori di un
vaporizzatore (ancorché utilizzato in assenza di liquido nicotinico) o perché
semplicemente prodotti all’interno della filiera del c.d. fumo elettronico.
Lo stesso è a dirsi per la sottoposizione
al regime tariffario previsto dall’art. 4 del d.m..
III) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE
DELL’ART. 62 – QUATER DEL D.LGS. N. 504 DEL 1995 (RUBRICATO “IMPOSTA DI CONSUMO
SUI PRODOTTI SUCCEDANEI DEI PRODOTTI DA FUMO”); INCOMPETENZA; VIOLAZIONE DEL
PRINCIPIO DI LEGALITÀ, DI TIPICITÀ E DI NOMINATIVITÀ; ERRONEITÀ DEI PRESUPPOSTI
E TRAVISAMENTO DEI FATTI.
Le decisioni dell’Agenzia delle Dogane e
dei Monopoli sono illegittime anche sotto il profilo dell’incompetenza, in
quanto essa non è stata dotata del potere di provvedere in merito o di dettare
una disciplina attuativa dell’art. 62 – quater.
E’ al MEF, invece, che compete il potere
di adottare una normativa regolamentare recante la disciplina del procedimento
autorizzatorio, e quindi, secondo le ricorrenti, di stabilire tanto i profili
temporali di efficacia del neo istituito regime autorizzatorio quanto il suo
ambito strettamente oggettivo.
IV) (SOTTO ALTRO E ULTERIORE PROFILO):
VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 62- QUATER DEL D.LGS. 26.10.1995, N.
504 (RUBRICATO “IMPOSTA DI CONSUMO SUI PRODOTTI SUCCEDANEI DEI PRODOTTI DA
FUMO”); VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL D.M. 16.11.2013; MANIFESTA
IRRAGIONEVOLEZZA, ECCESSO DI POTERE NELLE FIGURE SINTOMATICHE DELL’ILLOGICITÀ,
DELL’IRRAZIONALITÀ, DEL VIZIO DI MOTIVAZIONE, DEL DIFETTO DI ISTRUTTORIA,
DELL’ERRONEITÀ DEI PRESUPPOSTI E DEL TRAVISAMENTO DEI FATTI; VIOLAZIONE DEL
PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI CONCORRENZA.
All’atto dell’adozione del d.m. il MEF ha
fornito una definizione di prodotti succedanei del tabacco talmente generica e
indeterminata da consentire di sottoporre indiscriminatamente a regime
autorizzatorio, tariffario e fiscale:
- i liquidi per vaporizzatori che non
contengono nicotina;
- semplici dispositivi monouso di
vaporizzazione utilizzati per inalare aromi privi di nicotina;
- i medesimi dispositivi, le loro
componenti e i rispettivi corredi accessori, indipendentemente dal fatto che
vengano concretamente utilizzati per la vaporizzazione di nicotina;
- componenti e prodotti che, nel mondo del
tabacco lavorato, non vengono colpiti da specifica tassazione né sono
sottoposti ad un regime particolare di commercializzazione.
E’ irragionevole o illogico ricomprendere
nella categoria dei succedanei del tabacco anche i liquidi per vaporizzazione
privi di nicotina ovvero dispositivi monouso che nascono per vaporizzare aromi
non nicotinici.
Proprio in materia di regolamentazione
dell’utilizzo dei vaporizzatori, l’ordinamento amministrativo già distingue le
ipotesi nelle quali il dispositivo prevede concretamente ed effettivamente
l’utilizzo di nicotina, da quelle nelle quali tale sostanza è del tutto
assente.
Le ricorrenti richiamano, al riguardo,
l’O.M. del Ministro della Salute del 4 agosto 2011 che ha disposto il divieto
di vendita ai minori di anni 18 dei vaporizzatori contenenti nicotina.
Successivamente, il Ministero ha imposto
ai produttori di evidenziare unicamente sui prodotti contenenti nicotina la rispettiva
concentrazione e di apporre, nel caso, i necessari simboli di tossicità.
Anche il giudice amministrativo, in sede
cautelare, chiamato a pronunciarsi sul divieto di utilizzo di vaporizzatori in
luoghi pubblici, ha operato la medesima distinzione (cfr. ord. TAR Veneto, sez.
III, n. 356/2013 del 12.7.2013; TAR Lombardia, sez. III, ord. n. 1024/2013 del
23.10.2013).
La normativa, comunque, genera incertezza
e perplessità sull’individuazione dei prodotti da assoggettare al neoistituito
regime autorizzatorio, tariffario e impositivo.
V) VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3, 35, 41, 53 E
97 DELLA COST.; VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DI DIRITTO EUROPEO IN MATERIA DI LIBERA
CIRCOLAZIONE DEI FATTORI E DEI PRODOTTI ECONOMICI, DI TUTELA DELLE LIBERTÀ
FONDAMENTALI E DI LIBERA CONCORRENZA DEL MERCATO UNICO, NONCHÉ DEGLI ARTT. 30,
34, 35 E 110 DEL TFUE, DELL’ART. 401 DELLA DIRETTIVA N. 112/2006/CE E DELL’ART.
1 DELLA DIRETTIVA N. 118/2008/CE.
Nell’ipotesi in cui si ritenga che i
provvedimenti impugnati siano conformi alla norma primaria, parte ricorrente
eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 62 – quater del d.lgs. n 504
del 26 ottobre 1995.
- QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE
DELL’ART. 62 – QUATER DEL D.LGS. N. 504 DEL 26 OTTOBRE 1995 (C.D. TESTO UNICO
ACCISE – TUA)
Le misure tributarie approntate dal
legislatore, oltre ad essere illogiche e sostanzialmente ingiuste, sono anche
palesemente sproporzionate.
E’ evidente, innanzitutto, che con
l’imposta in esame il legislatore ha inteso porre rimedio al crollo del mercato
delle sigarette tradizionali, determinato dall’espandersi del settore delle
sigarette elettroniche (comunicato stampa del MEF n. 240 del 5 dicembre 2013).
La scelta di equiparare queste ultime alle
sigarette tradizionali non tiene conto della peculiarità del settore e viola,
in primo luogo, il principio di eguaglianza e di capacità contributiva.
Le ricorrenti reputano irragionevole che
si sia scelto di colpire anche sostanze diverse dalla nicotina in alcun modo
assimilabili al tabacco lavorato.
L’Italia è l’unico paese ad avere
introdotto una simile imposta mentre gli altri Stati dell’Unione Europea sono
in attesa delle indicazioni del Parlamento e della Commissione in ordine alla
regolamentazione del mercato.
Così facendo, il legislatore italiano si è
mosso nella prospettiva di “proteggere” il settore dei tabacchi lavorati,
contraddicendo, in tal modo, una delle finalità che caratterizza la relativa
imposizione, volta, tra l’altro, a scoraggiare il consumo di un prodotto di cui
è accertata la dannosità per la salute.
Al contrario, le numerose ricerche
scientifiche che, fino ad oggi, hanno riguardato il mercato delle e – cig, non
hanno riscontrato alcuna conseguenza nociva per la salute e, anzi, ne hanno
sottolineato i vantaggi legati all’effetto di dissuasione dal tabagismo.
L’equiparazione sotto il profilo fiscale
alle sigarette tradizionali non sarebbe comunque giustificata nemmeno nelle
ipotesi nelle quali le sigarette elettroniche consentono la vaporizzazione di
nicotina.
La nicotina è, infatti, una sostanza che
si trova in natura e non è tassata di per sé (si pensi ai cerotti antifumo, ai
prodotti nicorette etcc.). Nel fumo tradizionale, infatti, il danno alla salute
è prodotto dai numerosi elementi mischiati tra loro che, sottoposti al processo
di combustione, si trasformano in sostanze dannose per l’organismo.
Le ricorrenti ritengono altresì
irragionevole che la medesima imposizione colpisca indiscriminatamente tutti i
prodotti e dispositivi collegati al mercato della sigaretta elettronica,
ancorché diversissimi tra loro per natura e funzione.
La disciplina in esame contrasta quindi
con i principi di ragionevolezza e proporzionalità di cui all’art. 3 Cost.,
nonché, per il rigido automatismo che la caratterizza, con quelli di
imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, garantiti dall’art. 97
Cost.
In pratica, vengono indiscriminatamente
assimilati ai tabacchi lavorati anche sostanze non contenenti nicotina e i
dispositivi che ne consentono il consumo, laddove, invece, persino l’imposta
sui tabacchi lavorati è strutturata in modo da garantire un sistema di aliquote
differenziate per tipologia di prodotto.
Appare poi del tutto incomprensibile la
scelta di tassare uniformemente e con l’applicazione della medesima,
elevatissima aliquota, prodotti che tra loro non hanno assolutamente nulla in
comune o che, addirittura, sono destinati ad un uso promiscuo.
Ne deriva, altresì una grave lesione del
principio della libera iniziativa economica privata.
Il legislatore ha poi regolamentato le
procedure per la variazione dei prezzi di vendita al pubblico dei “prodotti
succedanei dei prodotti da fumo”, in modo del tutto analogo al sistema vigente
nella vendita di prodotti a base di tabacco (quali l’obbligo del deposito
fiscale, l’obbligo di richiedere l’autorizzazione preventiva all’esercizio di
deposito di prodotti succedanei del tabacco, l’obbligo di prestare una cauzione
etcc.).
L’introduzione di una imposta di consumo
così elevata, in combinazione con il meccanismo di applicazione dell’aliquota
sul prezzo al minuto e con la regolamentazione predeterminata dei prezzi al
pubblico, costringerà il consumatore ad indirizzare i propri acquisti verso gli
altri Stati membri dell’Unione Europea.
La norma, proseguono i ricorrenti, si
appalesa illegittima anche alla luce dei principi di ragionevolezza, di
capacità contributiva e di tutela del diritto alla salute, garantiti dagli
artt. 3, 53 e 32 Cost..
L’introduzione dell’art. 62 – quater ha
paralizzato il settore in esame sebbene, al di fuori dei confini nazionali, si
discuta della idoneità delle sigarette elettroniche a rappresentare un valido
strumento per la disassuefazione dal tabagismo.
L’equiparazione di queste ultime alle
sigarette tradizionali non è giustificata neanche dalla mera presenza della
nicotina in quanto, nelle sigarette tradizionali, il danno alla salute è
prodotto non dalla nicotina in sé ma dai numerosi elementi cancerogeni, assenti
nelle e-cig, che vengono bruciati, trasformandosi in sostanze dannose per
l’uomo.
La nuova misura tributaria finisce così paradossalmente
per incentivare l’uso del tabacco ed aggravare le situazioni di danno per la
salute che questo comporta.
Le ricorrenti stigmatizzano, altresì, la
stessa scelta del tributo da applicare.
Le accise – tra le quali sembra dover
essere concettualmente annoverata anche l’imposta di cui si discute –
rappresentano un gruppo eterogeneo di imposte indirette erariali che colpiscono
la fabbricazione, o il consumo, di determinati prodotti, nonché la loro
importazione nel territorio dello Stato ed il cui presupposto non presenta
alcun elemento di patrimonialità di modo che non si comprende quale sia il
fatto – indice di capacità contributiva considerato dal legislatore.
In relazione all’imposta in esame si
ripropongono, pertanto, le annose questioni in ordine alla legittimità di un
tributo che colpisce un indice diverso dal reddito o dal patrimonio.
Vi sarebbe, inoltre, una duplicazione
impositiva, derivante dall’applicazione dell’aliquota al prezzo di vendita al
pubblico e, quindi, al lordo dell’IVA.
Pure irragionevole sarebbe la finalità
extrafiscale di ostacolare la produzione e il consumo delle sigarette
elettroniche, con l’effetto di favorire il mercato delle sigarette
tradizionali.
- SULLA COMPATIBILITÀ DELL’ART. 62 –
QUATER DEL D.LGS. N. 504 DEL 26 OTTOBRE 1995 (C.D. TESTO UNICO ACCISE, TUA) CON
LA NORMATIVA DI RANGO COMUNITARIO.
L’Italia è l’unico paese dell’Unione ad
avere introdotto l’imposta in esame mentre in sede europea si discute ancora
della qualificazione merceologica e del comparto di appartenenza dei suddetti
prodotti, anche alla luce della loro idoneità a contrastare il tabagismo.
Le ricorrenti reputano, peraltro, che, con
l’introduzione delle disposizioni in esame, siano state commesse plurime
violazioni delle norme comunitarie tra cui gli artt. 30, 35, 35 e 110 del TFUE.
Pure violato risulterebbe l’art. 401 della
Direttiva IVA n. 112/2006/CE nella parte in cui vieta di introdurre imposte
sulla cifra di affari aventi le stesse caratteristiche dell’IVA e consente solo
di mantenere accise o altre imposte che non abbiano il carattere di imposta sul
volume di affari sempreché non diano luogo, “negli scambi tra Stati membri, a
formalità connesse con il passaggio di una frontiera”.
Analogamente dispone l’art. 1 della
Direttiva 118/2008/CE.
La disciplina introdotta dal legislatore
ordinario, inoltre, sarebbe incompatibile con gli articoli 34 e 35 del TFUE in
quanto introdurrebbe una serie di misure ad effetto equivalente alle
restrizioni quantitative che rappresentano un concreto pregiudizio per l’esercizio
della libera concorrenza nell’ambito del mercato comune.
Particolarmente critica, a questo
riguardo, sarebbe l’introduzione di una regolamentazione rigida e
predeterminata dei prezzi, simile a quella vigente per le sigarette
tradizionali, già oggetto di censura da parte della Corte di Giustizia (cfr.
Corte giustizia, sez. III, del 24 giugno 2010, causa C – 571/08).
Il legislatore italiano ha inoltre
previsto una serie di norme tecniche e di obblighi oltremodo gravosi che
possono rappresentare una violazione del principio di proporzionalità, e che,
comunque, determinano una distorsione in ambito comunitario in ordine alle
modalità di commercializzazione dei prodotti. Si pone ad esempio il problema se
un prodotto nato secondo le norme vigenti in uno degli Stati membri possa
essere posto in vendita in Italia, ove vigono ormai standard differenti.
Le ricorrenti soggiungono che, a loro
dire, l’accisa sulle sigarette elettroniche, come quella sui tabacchi,
determina un fenomeno equivalente negli effetti all’istituto della rivalsa
obbligatoria, originato dalla predeterminazione del prezzo da parte di un
provvedimento dell’AAMS che ingloba anche l’accisa.
Altrettanto palese sarebbe la violazione
della normativa comunitaria in materia di accise.
L’armonizzazione e la razionalizzazione
delle imposte indirette rappresenta una condizione necessaria per la compiuta
realizzazione del mercato unico, per favorire la quale vige un divieto assoluto
di imporre controlli ai passaggi comunitari su detti prodotti, di modo che,
delle due l’una:
- o l’imposta introdotta dal cit. art.
62-quater del d.lgs. n. 504 del 1995 rientra nell’ambito delle accise e,
quindi, il legislatore non era legittimato ad intervenire in una materia
riserva alla competenza comunitaria:
- ovvero la suddetta imposta avrebbe
dovuto rispettare le condizioni ed i parametri fissati dalla direttiva
118/2008/CE; essa, però, non presenta alcuna “finalità specifica” né risulta
conforme “alle norme comunitarie applicabili per le accise o per l’imposta sul
valore aggiunto”.
Le società ricorrenti hanno chiesto
pertanto alla Sezione di volere rimettere alla Corte di Giustizia la seguente
questione pregiudiziale:
“Dica la Corte di Giustizia se i principi
di diritto europeo in materia di libera circolazione dei fattori e dei prodotti
economici, di tutela delle libertà fondamentali e di libera concorrenza nel
mercato unico, nonché gli artt. 30, 34, 35 e 110 del TFUE, l’art. 401 della
direttiva n. 112/2006/CE e l’art. 1 della direttiva 118/2008/CE, ostino ad una
normativa nazionale come quella di cui all’art. 62 – quater del d.lgs. n. 504
del 1995 che:
a) introduce un’imposta di consumo con
aliquota al 58,5% sul prezzo di vendita dei prodotti al pubblico;
b) prevede una tariffazione dei prezzi al
pubblico, determinando una rigida e predeterminata regolamentazione dei prezzi
di vendita;
c) impone una serie di obblighi ed
adempimenti procedimentali, che interferiscono con il regolare ciclo
distributivo dei prodotti”.
Si sono costituiti, per resistere, il
Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Dogane e dei
Monopoli.
Sono intervenute ad adiuvandum le
Associazioni Federcontribuenti Italia e la Fiesel – Confesercenti.
Con ordinanza n. 537 del 6.2.2014,
l’istanza cautelare proposta è stata accolta in via interinale e provvisoria,
fino alla camera di consiglio del 19 febbraio 2014, e, per l’effetto, è stata
sospesa l’efficacia del regime autorizzatorio ed impositivo introdotto
dall’art. 62 –quater in esame.
Quindi, con ordinanza n. 811 del
20.2.2014, in considerazione delle modifiche apportate al d.m. 16.11.2013 dal
d.m. 12.2.2014, l’istanza cautelare è stata respinta.
Le ricorrenti hanno successivamente
proposto motivi aggiunti avverso il suddetto d.m. 12.2.2014, nonché avverso la
circolare AAMS prot. DAC/DIR/14 del 21.1.2014, estendendo la richiesta di
tutela cautelare anche agli atti sopravvenuti e, comunque, rappresentando
l’aggravarsi della loro situazione economica.
All’uopo, hanno evidenziato come
l’amministrazione sia intervenuta sulla normativa di attuazione in una duplice
direzione:
- dapprima, con circolare del 21 gennaio,
l’AAMS pur precisando di ritenere che “non possano considerarsi parti di
ricambio, a titolo esemplificativo, le custodie dei prodotti, i cavetti per
l’alimentazione, le batterie”, ha tuttavia confermato che “i beni sopra
indicati, ove compresi nel prezzo unitario di vendita dei dispositivi, anche
monouso, concorrono alla formazione della base imponibile cui si applica
l’imposta di consumo”.
Successivamente, il MEF è intervenuto per
semplificare il procedimento, qualificando come SCIA la domanda di
autorizzazione (d.m. del 12.2.2014).
Le modifiche apportate alla normativa
attuativa, proseguono le ricorrenti, perpetuano e confermano le stesse
illegittimità che già affliggevano i provvedimenti impugnati con il ricorso
principale, nella misura in cui anche tali modifiche non toccano minimamente
gli effetti sostanziali che derivano dall’indiscriminato assoggettamento al
regime autorizzatorio e fiscale:
- dei vaporizzatori in quanto tali;
- delle sostanze che, oggettivamente, non
possono considerarsi succedanee del tabacco;
- dell’oggettistica puramente accessoria
del prodotto.
Anche la normativa successivamente
intervenuta, infatti, continua a mantenere ferma l’applicazione del regime
autorizzativo, fiscale e sanzionatorio in relazione all’insieme di beni
unitariamente considerato.
Le modifiche recentemente apportate,
inoltre, introducono ulteriori profili di irragionevolezza.
In particolare, secondo la circolare
dell’AAMS oggetto di impugnativa, un “caricabatteria” o una “custodia”
diventano un prodotto succedaneo del tabacco nell’ipotesi in cui vengano
venduti insieme ai vaporizzatori ad un unico prezzo di vendita.
Quanto, poi, al d.m. 12.2.2014, esso ha
stabilito, all’art. 2, che dalla data di presentazione all’Agenzia della
domanda di istituzione e gestione di un deposito fiscale di prodotti succedanei
del tabacco, il soggetto che l’ha sottoscritta è autorizzato a gestire il
deposito.
Il Ministero, però, non ha adeguatamente
considerato la posizione di quelle imprese che, come le ricorrenti, avevano già
presentato domanda di autorizzazione e che si vedono, oggi, applicare in
maniera retroattiva e indiscriminata, su tutti i loro prodotti, il prelievo del
58,5% sul prezzo di vendita al pubblico senza che abbiano mai avuto, fino a
questo momento, nemmeno la possibilità di vendere secondo il neoistituito
regime, e di traslare, quindi, il costo dell’imposta sui consumatori o sui
rivenditori finali.
I motivi aggiunti, sono, specificamente:
I) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE
DELL’ART. 62 – QUATER DEL D.LGS. N. 504 DEL 1995 (RUBRICATO “IMPOSTA DI CONSUMO
SUI PRODOTTI SUCCEDANEI DEI PRODOTTI DA FUMO”); VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE
DEL D.M. 16.11.2013; MANIFESTA IRRAGIONEVOLEZZA, ECCESSO DI POTERE NELLE FIGURE
SINTOMATICHE DELL’ILLOGICITÀ, IRRAZIONALITÀ E DIFETTO DI MOTIVAZIONE; DIFETTO
DI ISTRUTTORIA, CONTRADDITTORIETÀ, ERRONEITÀ DEI PRESUPPOSTI E TRAVISAMENTO DEI
FATTI; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI
CONCORRENZA.
Anche i provvedimenti impugnati con i
motivi aggiunti evitano di specificare cosa possa o debba intendersi per
“prodotto succedaneo del tabacco”, con la conseguenza che continuano ad essere
assoggettati al regime autorizzatorio e impositivo, proprio dei tabacchi
lavorati:
a) sostanze liquide vaporizzabili che non
contengono affatto nicotina ma liquidi aromatizzati con essenze varie (menta,
vaniglia etcc.);
b) dispositivi elettronici e quant’altro
sia necessario per consentire la vaporizzazione a prescindere dal fatto che la
vaporizzazione abbia per oggetto sostanze succedanee del tabacco e contenenti
nicotina;
c) cose e prodotti che nemmeno servono per
consentire la vaporizzazione, ma sono puramente accessori del vaporizzatore,
quali custodie, batterie, caricabatterie etcc..
La circolare e il d.m. si limitano a
reiterare la formula genericamente adottata dalla norma di legge, che continua
così ad essere interpretata in maniera assolutamente indiscriminata ed
estensiva.
II) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART.
62 – QUATER DEL D.LGS. 26.10.1995, N. 504 (RUBRICATO “IMPOSTA DI CONSUMO SUI
PRODOTTI SUCCEDANEI DEI PRODOTTI DA FUMO”); VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL
D.M. 16.11.2013; MANIFESTA IRRAGIONEVOLEZZA; ECCESSO DI POTERE NELLE FIGURE
SINTOMATICHE DELL’ILLOGICITÀ, DELLA CONTRADDITTORIETÀ, DELL’IRRAZIONALITÀ, DEL
VIZIO DI MOTIVAZIONE, DEL DIFETTO DI ISTRUTTORIA, DELL’ERRONEITÀ DEI
PRESUPPOSTI E DEL TRAVISAMENTO DEI FATTI; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON
ANDAMENTO; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI CONCORRENZA; PERPLESSITÀ DELL’AZIONE
AMMINISTRATIVA.
La circolare AAMS del 21.1.2014 continua
ad assoggettare al nuovo regime autorizzatorio e fiscale le “custodie dei
prodotti, cavetti per alimentazione e le batterie” nell’ipotesi in cui detti
prodotti vengano venduti insieme ai vaporizzatori ad un unico prezzo di
vendita.
Essi però non contengono nicotina o altre
sostanze che possano considerarsi succedanee del tabacco né costituiscono
componenti o parti integranti dei dispositivi di vaporizzazione; di fatto, tali
prodotti, non sono di per sé idonei a vaporizzare alcunché. Se detti prodotti
non sono “succedanei” del tabacco debbono essere esclusi dal correlato regime
autorizzatorio e impositivo, a prescindere dalle modalità di
commercializzazione.
III) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE
DELL’ART. 62 – QUATER DEL D.LGS. 26.10.1995, N. 504 (RUBRICATO “IMPOSTA DI
CONSUMO SUI PRODOTTI SUCCEDANEI DEI PRODOTTI DA FUMO”); VIOLAZIONE E FALSA
APPLICAZIONE DEL D.M. 16.11.2013; MANIFESTA IRRAGIONEVOLEZZA; ECCESSO DI POTERE
NELLE FIGURE SINTOMATICHE DELL’ILLOGICITÀ, DELLA CONTRADDITTORIETÀ,
DELL’IRRAZIONALITÀ, DEL VIZIO DI MOTIVAZIONE, DEL DIFETTO DI ISTRUTTORIA,
DELL’ERRONEITÀ DEI PRESUPPOSTI E DEL TRAVISAMENTO DEI FATTI; VIOLAZIONE DEL
PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI CONCORRENZA;
PERPLESSITÀ DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA.
Il d.m. 12.2.2014 è altresì illegittimo
nella parte in cui applica retroattivamente il nuovo regime impositivo anche in
relazione ad un periodo in cui il neoistituito regime autorizzatorio non era
operante (per effetto dei provvedimenti cautelari di questo TAR) e quindi senza
che le imprese abbiano mai avuto la possibilità di trasferire sulla filiera
commerciale e sul consumatore finale il costo dell’imposta stessa.
Nel caso di Flavourart, ad esempio, viene
evidenziato che la società, per effetto delle censurate disposizioni, dovrebbe
versare un’imposta superiore, per i soli liquidi vaporizzabili, di oltre
700.000 euro ai suoi stessi ricavi, con matematico default.
Resistono anche ai motivi aggiunti le
amministrazioni intimate.
Le ricorrenti, in vista della pubblica
udienza di discussione del 2.4.2014, hanno depositato uno studio di analisi
economica del nuovo regime fiscale del fumo elettronico, realizzato dal Casmef,
centro di ricerca economica indipendente dell’Università LUISS Guido Carli di
Roma,
Il ricorso e i motivi aggiunti sono stati
trattenuti per la decisione di merito, una prima volta, alla pubblica udienza
del 2 aprile 2014.
Contestualmente, sono stati introitati
anche per la decisione, in abbinamento al merito, dell’istanza cautelare,
quest’ultima definita con ordinanza n. 1516 del 3 aprile 2014.
Con tale pronuncia, il Collegio ha
nuovamente sospeso l’efficacia del regime autorizzatorio e impositivo di cui
all’art. 62 –quater del d.lgs. n. 504 del 1995, fino alla decisione da parte
della Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale che è
poi stata sollevata con la separata ordinanza collegiale n. 4510 del 29.4.2014.
In particolare, nel contesto di tale
ordinanza, preliminarmente alla rimessione alla Corte Costituzionale, la
Sezione ha anche definito alcune questioni aventi carattere pregiudiziale
rispetto a quella di costituzionalità.
In particolare, la Sezione ha respinto le
eccezioni sollevate dalla difesa erariale tese a dimostrare l’inammissibilità
e/o improcedibilità del ricorso per le ragioni dovute, nell’ordine:
- alla carenza di giurisdizione del
giudice amministrativo, trattandosi di fattispecie rientrante nella
giurisdizione del giudice tributario;
- al difetto originario di interesse a
ricorrere di tutte le ricorrenti, in mancanza dell’adozione di atti impositivi;
- al difetto di interesse delle ricorrenti
che non hanno presentato la domanda disciplinata dall’art. 2 del d.m.
16.11.1993;
- alla, pretesa, cessazione della materia
del contendere, per effetto delle modifiche apportate al d.m. 16.11.1993 dal
d.m. 12.2.2014, nonché dell’interpretazione resa dall’Agenzia delle Dogane e
dei Monopoli con la circolare del 21.1.2014.
Giova riportare, in parte qua,
i passaggi essenziali della decisione.
“2.1. In primo luogo, è orientamento ormai
consolidato delle Sezioni Unite quello secondo cui la giurisdizione esclusiva
del giudice tributario in ordine ai “tributi di ogni genere e specie”,
istituita dall’art. 2, comma 1, d.lg. 31 dicembre 1992 n. 546, come
successivamente modificato, può svolgersi solo attraverso l'impugnazione di
specifici atti impositivi dell'amministrazione finanziaria.
Ne consegue che, in mancanza della
mediazione rappresentata dall'impugnativa dell'atto impositivo, il giudice
tributario “non può giudicare della legittimità degli atti amministrativi
generali, dei quali può conoscere, incidenter tantum ed entro confini
determinati, solo ai fini della disapplicazione nella singola fattispecie
dell'atto amministrativo presupposto dell'atto impositivo impugnato” (Cass.
civ., Sez. Un., 21.3.2006, n. 6224).
La cognizione degli atti autoritativi di
carattere generale presupposti alla specifica obbligazione tributaria spetta,
invece, alla giurisdizione del giudice amministrativo (così ancora, con
riguardo all’interpretazione dell’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 546/92, le
Sezioni unite, sentenza n. 3030 dell’1.3.2002).
Nello stesso senso è la giurisprudenza del
Consiglio di Stato, invocata da parte ricorrente, secondo cui “ad esclusione
delle controversie riservate alla giurisdizione del giudice tributario, sono
impugnabili davanti al giudice amministrativo i regolamenti governativi,
ministeriali o di enti locali che istituiscono o disciplinano tributi di qualsiasi
genere, in quanto concernenti interessi legittimi (Cons. St., sez. VI^,
30.9.2004, n. 6353).
2.2. Neppure può ritenersi che, in assenza
di atti impositivi, i provvedimenti impugnati, per il loro carattere generale,
non siano immediatamente lesivi.
E’ noto, infatti, che il principio secondo
cui le norme regolamentari vanno impugnate unitamente all’atto applicativo
trova eccezione per i provvedimenti che presentano un carattere specifico e
concreto, risultando idonei, come tali, ad incidere direttamente nella sfera
giuridica degli interessati, a decorrere dalla pubblicazione nelle forme
previste dalla legge (TAR Lazio, sez.I^, 12 aprile 2011, n. 3202 cfr. anche, da
ultimo, Cons. St., sez. VI, 4.12.2012, n. 6208).).
Nel caso di specie, i decreti del MEF del
16.11.2013 e 12.2.2014, nonché le disposizioni applicative e interpretative
dettate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, appaiono idonei ad incidere
direttamente sull’attività d’impresa svolta dalle ricorrenti in quanto, da un
lato, attuano la previsione della fonte primaria nella parte in cui ne vieta lo
svolgimento senza la prescritta autorizzazione e la sottopone ad un nuovo
regime impositivo; dall’altro, “conformano” la medesima attività, mediante la
disciplina di una serie di adempimenti amministrativi e/o contabili,
finalizzati all’assolvimento dell’obbligazione tributaria.
2.3. Le considerazioni testé svolte
consentono di respingere anche l’eccezione relativa al sopravvenuto difetto di
interesse a ricorrere delle imprese che non hanno presentato domanda di
autorizzazione.
E’ evidente, infatti, che il cuore della
impugnativa riguarda la stessa introduzione di un regime di autorizzazione per
una attività in precedenza libera, nonché degli obblighi tributari cui siffatto
regime è correlato.
Per la stessa ragione, la circostanza che
il d.m. del 12.2.2014 abbia semplificato il procedimento di autorizzazione,
ovvero che la circolare del 21.1.2014 abbia (in ipotesi) chiarito che i
prodotti “accessori”, non sono soggetti all’imposta, non appare idonea a determinare
la cessazione della materia del contendere.
A ciò si aggiunga che tali ulteriori
provvedimenti sono stati impugnati con motivi aggiunti, sia per vizi propri,
sia in quanto, per usare l’espressione delle ricorrenti, essi in realtà
“perpetuano e confermano” le stesse illegittimità che già affliggono i
provvedimenti gravati con ricorso principale”.
3. Nel merito, nell’ordine logico della
trattazione, la Sezione ha poi ritenuto necessario affrontare “la questione
relativa alla “compatibilità comunitaria” dell’art. 62 –quater del d.lgs. n.
504 del 1995, introdotto dall'art. 11, comma 22, D.L. 28 giugno 2013, n. 76,
convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 99.
Infatti, secondo quanto chiarito dalla
Corte Costituzionale (sentenza n. 319 del 26.7.1996), ove una questione di
costituzionalità sia fondata sull’interpretazione di una norma comunitaria,
prima di una eventuale rimessione alla Consulta occorre che il contenuto delle
norme poste dalle fonti comunitarie sia compiutamente e definitivamente
individuato secondo le regole all’uopo dettate da quell’ordinamento.
Al riguardo, deve però anche ricordarsi
che il giudice nazionale non è tenuto a chiedere una decisione pregiudiziale
alla Corte di Giustizia se la normativa comunitaria non dia adito ad alcun
ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata (Corte di
Giustizia CE, 6 ottobre 1982, in causa C- 283/81, Cilfit),
3.1. L’imposta introdotta dall’art. 11,
comma 22, D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 9
agosto 2013, n. 99, appartiene al novero delle imposte speciali sui consumi, le
quali, a differenza dell’IVA, non hanno carattere generale ma colpiscono una
determinata categoria di beni o servizi.
Esse si caratterizzano, altresì, per la
struttura monofase, diventando esigibili in un unico momento dettagliatamente
descritto dalla normativa di riferimento (cfr. Corte Cost., sentenza n.
185/2011).
Nell’ordinamento italiano, la disciplina
delle accise (e delle altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi) è
contenuta in larga parte nel decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo
unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e
sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), più volte modificato
ed integrato in attuazione delle direttive comunitarie che hanno disciplinato
la materia.
Da ultimo, il decreto legislativo 29 marzo
2010, n. 48 (recante “Attuazione della direttiva 2008/118/CE relativa al regime
generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE”) ha provveduto, fra
l’altro, a modificare le norme collegate al fatto generatore ed all'esigibilità
dell'accisa, di cui alla relativa direttiva comunitaria.
La disciplina generale delle imposizioni
indirette sulla produzione e sui consumi, diverse dalle accise disciplinate dai
Titoli I e II del TUA (ovvero le imposte indirette diverse da quelle sulla
produzione o sul consumo dei prodotti energetici, dell'alcole etilico e delle
bevande alcoliche, dell'energia elettrica e dei tabacchi lavorati), è contenuta
nell’art. 61 del cit. d.lgs..
In particolare, secondo tali disposizioni,
“a) l'imposta è dovuta sui prodotti immessi in consumo nel mercato interno ed è
esigibile con l'aliquota vigente alla data in cui viene effettuata l'immissione
in consumo” mentre obbligato al pagamento dell’imposta è “il fabbricante per i
prodotti ottenuti nel territorio dello Stato”, ovvero “il soggetto che effettua
la prima immissione in consumo per i prodotti di provenienza comunitaria”,
ovvero ancora “l'importatore per i prodotti di provenienza da Paesi terzi”.
L'immissione in consumo si verifica:
“1) per i prodotti nazionali, all'atto
della cessione sia ai diretti utilizzatori o consumatori sia a ditte esercenti
il commercio che ne effettuano la rivendita;
2) per i prodotti di provenienza
comunitaria, all'atto del ricevimento della merce da parte del soggetto
acquirente ovvero nel momento in cui si considera effettuata, ai fini
dell'imposta sul valore aggiunto, la cessione, da parte del venditore residente
in altro Stato membro, a privati consumatori o a soggetti che agiscono
nell'esercizio di una impresa, arte o professione;
3) per i prodotti di provenienza da Paesi
terzi, all'atto dell'importazione;
4) per i prodotti che risultano mancanti
alle verifiche e per i quali non è possibile accertare il regolare esito,
all'atto della loro constatazione;
[...]”.
Appare anche utile precisare,
relativamente ai “prodotti succedanei dei prodotti da fumo” che gli adempimenti
fiscali sono disciplinati con esplicito richiamo al regime del deposito fiscale
in materia di accise.
L’art. 62 –quater del TUA prevede poi non
già un “regime tariffario”, così come assunto dalle ricorrenti, bensì, più
semplicemente, istituisce, una procedura “per la variazione dei prezzi di
vendita al pubblico dei prodotti”.
In concreto, l’art. 4 del d.m. 16.11. 2013
prescrive la “preventiva iscrizione in apposito tariffario disposta con
provvedimento dell'Agenzia” del prezzo di vendita al pubblico comunicato dal
soggetto autorizzato alla commercializzazione.
In ambito comunitario, come già accennato,
la direttiva 2008/118/CE, oltre a disciplinare il regime generale delle accise,
stabilisce alcuni principi fondamentali in ordine all’imposizione sui “prodotti
diversi dai prodotti sottoposti ad accisa”, al fine di garantire il corretto
funzionamento del mercato interno.
Le accise c.d. “armonizzate” riguardano
esclusivamente:
a) prodotti energetici ed elettricità di
cui alla direttiva 2003/96/CE;
b) alcole e bevande alcoliche di cui alle
direttive 92/83/CEE e 92/84/CEE;
c) tabacchi lavorati di cui alle direttive
95/59/CE, 92/79/CEE e 92/80/CEE.
Relativamente ai prodotti già sottoposti
ad accisa, l’art. 1, par. 2, della direttiva stabilisce che “Gli Stati membri
possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette
aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme
fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l'imposta sul valore
aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo,
esigibilità e controllo dell'imposta”.
Relativamente ai prodotti “diversi dai
prodotti sottoposti ad accisa”, gli Stati membri rimangono tuttavia liberi di
applicare altre forme di imposizione purché l’applicazione di tali imposte non
comporti “negli scambi tra Stati membri, formalità connesse all'attraversamento
delle frontiere” (art. 1, par. 3).
In sostanza, le norme comunitarie
consentono agli Stati membri di introdurre altre forme di imposizione indiretta
sui prodotti per i quali già sussiste un’accisa armonizzata nonché di
introdurre accise non armonizzate.
E’ significativo che l’ordinamento
comunitario, per non privare gli Stati membri di un efficace strumento di
politica economica, abbia lasciato ad essi ampio margine di discrezionalità sia
nella scelta delle aliquote delle accise armonizzate (essendo previste solo
aliquote minime), sia nell’istituire prelievi aventi specifiche finalità
quand’anche gravanti su prodotti già soggetti ad accisa armonizzata.
A ciò si aggiunge la possibilità di
tassare la produzione o il consumo di beni estranei al processo di
armonizzazione, la quale non è legata alla necessità di perseguire specifiche
finalità ma può essere giustificata anche soltanto da esigenze di bilancio.
3.2. La disamina della normativa
comunitaria applicabile alla fattispecie consente di confutare agevolmente
l’affermazione di parte ricorrente secondo cui la disciplina generale delle
imposte sui consumi sarebbe integralmente riservata alla fonte comunitaria.
Il processo di armonizzazione, per quanto
qui interessa, ha infatti riguardato esclusivamente (oltre l’imposta sul valore
aggiunto) le accise gravanti su alcol, tabacchi e prodotti energetici.
Inoltre, poiché i “prodotti succedanei dei
prodotti da fumo” non sono sottoposti ad accisa, l’imposta speciale di consumo
istituita dallo Stato italiano non deve osservare i requisiti previsti
dall’art. 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE, bensì soltanto quelli del
par. 3 del medesimo articolo.
Non è necessario, cioè, che l’imposizione
abbia una finalità specifica, né che essa rispetti le regole di imposizione
applicabili ai fini dell’Iva o delle accise armonizzate per la determinazione
della base imponibile, il calcolo, l’esigibilità ed il controllo dell’imposta.
A parere del Collegio, non vi è, poi,
neanche violazione della Direttiva 2006/112/CE relativa al sistema di imposta
comune sul valore aggiunto.
Ai sensi dell’art. 401 le disposizioni di
siffatta direttiva consentono ad uno Stato membro di mantenere o introdurre
“imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse,
accise, imposte di registro e qualsiasi imposta, diritto o tassa”, a condizione
che esse non abbiano il carattere di imposta sul volume d'affari (e che non
diano luogo “negli scambi fra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio
di una frontiera”).
Le caratteristiche essenziali dell’imposta
sul valore aggiunto sono le seguenti.
L’IVA si applica in modo generale alle
operazioni aventi ad oggetto beni o servizi; è proporzionale a detti beni e
servizi, a prescindere dal numero di operazioni effettuate; viene riscossa in
ciascuna fase del procedimento di produzione e distribuzione; si applica sul
valore aggiunto dei beni e dei servizi, in quanto l’imposta dovuta in occasione
di una operazione viene calcolata previa detrazione di quella che è stata
versata all’atto della precedente operazione (cfr., in materia, Corte di
Giustizia, sentenza 9 marzo 2000, in causa C- 437/97, Wien e Wein & Co.
HandelsgesmbH contro Oberösterreichische Landesregierung),
Nel caso oggi in rilievo, invece,
l’imposta:
- è destinata a colpire un bene specifico;
- è a struttura monofase, in quanto
diviene esigibile al momento dell’immissione in consumo e non vi è un
meccanismo di deduzione analogo a quello dell’IVA;
- concorre essa stessa a formare il valore
finale del prodotto per cui l’IVA (come avviene nei prodotti soggetti ad
accisa) grava anche sulla stessa imposta;
- non è a rivalsa obbligatoria, né è vero
che un effetto analogo si avrebbe a causa della sottoposizione del prodotto ad
un regime tariffario in quanto, come in precedenza evidenziato, le imprese
rimangono, almeno sul piano giuridico – formale, libere di fissare il prezzo di
vendita del prodotto e quindi di scegliere in quale misura traslarne il peso
sul consumatore.
Non vi è, infine, contrasto con altre
norme dei Trattati ovvero con principi di carattere generale.
In particolare:
- non è violato l’art. 30 del TFUE (“ i
dazi doganali all'importazione o all'esportazione o le tasse di effetto
equivalente sono vietati tra gli Stati membri. Tale divieto si applica anche ai
dazi doganali di carattere fiscale”), in quanto l’imposta si applica tanto ai
prodotti nazionali quanto a quelli di provenienza comunitaria;
- non sono violati gli artt. 34 e 35,
relativi al divieto di restrizioni quantitative all'importazione e/o
all’esportazione, ovvero di qualsiasi misura di effetto equivalente, in quanto,
anche in questo caso, l’imposta si applica a tutti i prodotti immessi in
commercio nel territorio dello Stato;
- non è violato il principio di non
discriminazione di cui all’art. 110 (“Nessuno Stato membro applica direttamente
o indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne, di
qualsivoglia natura, superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente
ai prodotti nazionali similari [...]”), in quanto l’imposta che si applica ai
prodotto comunitari è uguale a quella che si applica sui prodotti nazionali.
3.3. In definitiva, reputa il Collegio che
l’art. 62 –quater del TUA, non debba essere disapplicato in quanto
incompatibile con i parametri comunitari evocati e che, comunque, non sia
necessario rimettere alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale posta
dalle ricorrenti.”.
4. Come già ricordato, la Sezione ha però
ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3,
23, 41 e 97 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 62 – quater del d.lgs. n. 504, introdotto dall'art. 11, comma 22,
D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto
2013, n. 99, nella parte in cui:
- ha assoggettato alla preventiva
autorizzazione da parte dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli la
commercializzazione dei prodotti “succedanei dei prodotti da fumo”, definiti
come i “prodotti contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire il
consumo dei tabacchi lavorati nonché i dispostivi meccanici ed elettronici,
comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo”;
- ha sottoposto, a decorrere dal 1°
gennaio 2014, i medesimi prodotti “ad imposta di consumo nella misura pari al
58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico”.
4.1. La Corte Costituzionale, con sentenza
n. 83 del 15 maggio 2015, ha dichiarato “l'illegittimità costituzionale
dell'art. 62-quater del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo
unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e
sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), nel testo originario,
antecedente alle modifiche apportate dall'art. 1, comma 1, lettera f), del
decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188 (Disposizioni in materia di
tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi, a
norma dell'articolo 13 della legge 11 marzo 2014, n. 23), nella parte in cui
sottopone ad imposta di consumo, nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo
di vendita al pubblico, la commercializzazione dei prodotti non contenenti
nicotina, idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati, nonché i
dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne
consentono il consumo”.
Nel contesto della motivazione la Corte ha
messo in luce quanto segue.
In primo luogo, essa ha precisato che “La
questione conserva la sua rilevanza nel giudizio a quo, anche a seguito
dell'entrata in vigore dell'art. 1, comma 1, lettera f), del decreto
legislativo 15 dicembre 2014, n. 188 (Disposizioni in materia di tassazione dei
tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi, a norma dell
articolo 13 della legge 11 marzo 2014, n. 23).
Tale disposizione ha modificato l'art.
62-quater, con l'inserimento del comma 1-bis, il quale assoggetta i prodotti da
inalazione senza combustione, contenenti o meno nicotina, e costituiti da
sostanze liquide, a un'imposta modellata in termini radicalmente differenti
rispetto a quelli della norma oggetto di censura.
Peraltro, la disposizione originaria
dell'art. 62-quater, che già aveva trovato attuazione con la normativa di
carattere secondario, oggetto di impugnazione nel giudizio a quo, non è stata
abrogata. Il citato art. 1, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 188 del 2014,
dispone espressamente, all'ultimo capoverso, che dalla data di entrata in
vigore della nuova disciplina (24 dicembre 2014) «cessa di avere applicazione
l'imposta prevista dal comma 1, le cui disposizioni continuano ad avere
applicazione esclusivamente per la disciplina delle obbligazioni sorte in
vigenza del regime di imposizione previsto dal medesimo comma».
L'operatività della precedente disciplina
impositiva viene dunque circoscritta alle obbligazioni tributarie sorte nella
vigenza di essa. Così delimitato l'ambito di efficacia della disposizione
censurata, permane la rilevanza della questione di legittimità costituzionale
dell'art. 62-quater, nella formulazione in vigore sino al 23 dicembre 2014.
Del resto, non forma oggetto di
contestazione tra le parti - le quali, anzi, vi hanno fatto espressamente
riferimento nel corso della discussione orale all'udienza del 14 aprile 2015 -
la circostanza che le stesse abbiano avanzato richiesta di autorizzazione al
commercio di prodotti succedanei dei prodotti da fumo e che tale attività sia
stata effettivamente svolta nel corso dell'anno 2014, nella vigenza della
precedente disciplina. La titolarità dell'autorizzazione in capo alle parti
ricorrenti e lo svolgimento dell'attività autorizzata hanno quindi determinato
l'insorgere dell'obbligazione tributaria nella vigenza della disciplina
previgente, oggetto di censura da parte del rimettente”.
4.2. Dopo avere respinto l'eccezione di
inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per il mancato
assolvimento dell'obbligo di interpretazione conforme da parte del
giudice a quo, la Corte ha poi affermato che “anche in materia
tributaria, il principio della discrezionalità e dell'insindacabilità delle
opzioni legislative incontra il limite della manifesta irragionevolezza, che
nel caso in esame risulta varcato dalla indiscriminata sottoposizione ad
imposta di qualsiasi prodotto contenente «altre sostanze», diverse dalla
nicotina, purché idoneo a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati, nonché
dei dispositivi e delle parti di ricambio, che ne consentono il consumo, e in
definitiva di prodotti che non hanno nulla in comune con i tabacchi lavorati.
La violazione del parametro di cui
all'art. 3 Cost. va ravvisata nell'intrinseca irrazionalità della disposizione
che assoggetta ad un'aliquota unica e indifferenziata una serie eterogenea di
sostanze, non contenenti nicotina, e di beni, aventi uso promiscuo”.
Inoltre, secondo la Corte, appare “del
tutto irragionevole l'estensione, operata dalla disposizione censurata, del
regime amministrativo e tributario proprio dei tabacchi anche al commercio di
liquidi aromatizzati e di dispositivi per il relativo consumo, i quali non
possono essere considerati succedanei del tabacco.
La sola indicazione dell'idoneità a
sostituire il consumo dei tabacchi lavorati - riferita ai prodotti non
contenenti nicotina, e ai dispositivi che ne consentono il consumo - evidenzia,
inoltre, l'indeterminatezza della base imponibile e la mancata indicazione di
specifici e vincolanti criteri direttivi, idonei ad indirizzare la
discrezionalità amministrativa nella fase di attuazione della normativa
primaria. Discende da ciò il contrasto della disposizione in esame con la
riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte, di cui
all'art. 23 Cost.”, in particolare in quanto “la norma dell'art. 62-quater del
d.lgs n. 504 del 1995, affida ad una valutazione soggettiva ed empirica - la
idoneità di prodotti non contenenti nicotina alla sostituzione dei tabacchi
lavorati - l'individuazione della base imponibile e nemmeno offre elementi dai
quali ricavare, anche in via indiretta, i criteri e i limiti volti a
circoscrivere la discrezionalità amministrativa nella definizione del tributo.
Né l'elasticità delle indicazioni legislative è accompagnata da forme
procedurali partecipative, già indicate da questa Corte come possibile
correttivo (sentenze n. 180 e n. 157 del 1996; n. 182 del 1994; n. 507 del
1988)”.
5. Dopo la restituzione degli atti da
parte della Corte Costituzionale, su istanza di parte, è stata fissata
l’udienza di discussione del 2.12.2015, in vista della quali sono state
depositate dalla parte ricorrente e dalla difesa erariale, memorie
conclusionali e/o di replica.
Il ricorso è stato quindi introitato per
la decisione, alla pubblica udienza del 2.12.2015.
6. Il ricorso merita parziale accoglimento
per il venir meno dell’efficacia, a seguito della declaratoria di
incostituzionalità, della norma primaria di riferimento, nei sensi indicati
dalla Corte Costituzionale.
Al riguardo, occorre infatti ricordare
che, come già indicato nell’ordinanza collegiale n. 4510/2014, le disposizioni
contenute nei decreti impugnati, “rappresentano soltanto la pedissequa
riproduzione del contenuto della fonte primaria, la quale, al comma 1, ha
previsto che “A decorrere dal 1° gennaio 2014 i prodotti contenenti nicotina o
altre sostanze idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati nonché i
dispostivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono
il consumo, sono assoggettati ad imposta di consumo nella misura pari al 58,5
per cento del prezzo di vendita al pubblico”, mentre, al comma 2, ha
assoggettato la commercializzazione “dei prodotti di cui al comma 1”, alla
“preventiva autorizzazione da parte dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli
nei confronti di soggetti che siano in possesso dei medesimi requisiti
stabiliti, per la gestione dei depositi fiscali di tabacchi lavorati [...]”.
La Sezione, ha già sottolineato che è “il
legislatore ad avere direttamente individuato il presupposto di imposta e la
base imponibile (quest’ultima rappresentata dai prodotti “succedanei” dei
prodotti da fumo, secondo la definizione recata dal comma 1), mentre alla fonte
secondaria è stato rimesso soltanto di disciplinare il “contenuto e le modalità
di presentazione dell'istanza ai fini dell'autorizzazione di cui al comma 2, le
procedure per la variazione dei prezzi di vendita al pubblico dei prodotti di
cui al comma 1, nonché le modalità di prestazione della cauzione di cui al
comma 3, di tenuta dei registri e documenti contabili, di liquidazione e
versamento dell'imposta di consumo, anche in caso di vendita a distanza, di
comunicazione degli esercizi che effettuano la vendita al pubblico, in
conformità, per quanto applicabili, a quelle vigenti per i tabacchi lavorati”
Non era quindi nel potere del Ministro
dell’Economia e delle Finanze né di specificare quali prodotti debbano
ritenersi “succedanei” dei prodotti da fumo, né di stabilire una data diversa
dal 1° gennaio 2014, per l’entrata in vigore del nuovo regime autorizzatorio ed
impositivo.”.
6.1. Ciò posto, si pone il problema di
chiarire in quale misura la declaratoria di (parziale) incostituzionalità si
riverberi sui decreti impugnati, atteso che le parti hanno mostrato di avere,
al riguardo, visioni non esattamente coincidenti.
6.2. In primo luogo, risulta inammissibile
la prospettazione di parte ricorrente secondo cui, dalla sentenza della Corte
Costituzionale, si ricaverebbe che, relativamente ai liquidi vaporizzabili
contenenti nicotina, l’imposta dovrebbe comunque ritenersi illegittima per il
solo fatto di essere stata modulata in modo indipendente dalla quantità e dalla
percentuale di nicotina presente nei liquidi stessi, dovendo piuttosto essere
calibrata in ragione della concentrazione della sostanza medesima.
Si tratta, a parere del Collegio, di una
conseguenza che in alcun modo può essere ricavata dalla pronuncia della Corte,
la quale ha espunto dall’ordinamento esclusivamente quella parte della disposizione
primaria “che sottopone ad imposta di consumo, nella misura pari al 58,5 per
cento del prezzo di vendita al pubblico, la commercializzazione dei prodotti
non contenenti nicotina, idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati,
nonché i dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio,
che ne consentono il consumo”.
E’ qui sufficiente evidenziare che, una
volta esclusa la sussistenza di profili di sospetta incostituzionalità in
relazione ai prodotti contenenti nicotina, il concreto meccanismo impositivo
prescelto non può che rappresentare l’espressione di una insindacabile scelta
di merito da parte del legislatore, anche tenuto conto delle plurime finalità,
non solo di carattere sanitario, che possono essere perseguite attraverso
l’introduzione di una imposta di consumo.
Può invece convenirsi con la parte
ricorrente circa il fatto che la declaratoria di incostituzionalità abbia
tuttavia investito anche l’inclusione, nella base imponibile, dei dispositivi e
degli accessori che consentono il consumo di tutti i prodotti cui fa
riferimento l’art. 62 –quater, comma 1, del TUA, per l’ “intrinseca
irrazionalità della disposizione che assoggetta ad un'aliquota unica e
indifferenziata una serie eterogenea di sostanze, non contenenti nicotina, e di
beni, aventi uso promiscuo” (Corte Cost., sentenza cit.).
7. In definitiva, per quanto argomentato,
il ricorso e i motivi aggiunti meritano parziale accoglimento, con il
conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati nella parte in cui danno
attuazione alle disposizioni di fonte primaria dichiarate incostituzionali.
Appare equo, in ragione della novità e
complessità delle questioni, compensare integralmente tra le parti le spese di
giudizio e gli onorari di difesa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
il Lazio, sede di Roma, sez. II^, definitivamente pronunciando sul ricorso e i
motivi aggiunti di cui in premessa, li accoglie in parte e, per l’effetto,
annulla i provvedimenti impugnati nella parte in cui danno attuazione alle disposizioni
dichiarate incostituzionali dalla Consulta con sentenza n. 83 del 15 maggio
2015.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 2 dicembre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente
Silvia Martino, Consigliere, Estensore
Carlo Polidori, Consigliere
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/01/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)