mercoledì 13 gennaio 2016

GIURISDIZIONE: il riparto di giurisdizione tra giudici amministrativo e tributario (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, sentenza 11 gennaio 2016, n. 735).


GIURISDIZIONE:
 il riparto di giurisdizione
 tra giudici amministrativo e tributario 
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 
sentenza 11 gennaio 2016, n. 735)



Nel merito la sentenza (è rilevante perché) riguarda le note misure fiscali ed amministrative (ritenute sia dalla Corte Costituzionale che dal T.A.R. capitolino illegittime) introdotte nel 2013 dal Governo nei confronti delle società che producono e commercializzano le e-cigarettes.



Massima

1. E' orientamento ormai consolidato delle Sezioni Unite quello secondo cui la giurisdizione esclusiva del giudice tributario in ordine ai “tributi di ogni genere e specie”, istituita dall’art. 2, co. 1, d.lgs. n. 546/1992 (come successivamente modificato), può svolgersi solo attraverso l'impugnazione di specifici atti impositivi dell'amministrazione finanziaria.
2. Ne consegue che, in mancanza della mediazione rappresentata dall'impugnativa dell'atto impositivo, il giudice tributario “non può giudicare della legittimità degli atti amministrativi generali, dei quali può conoscere, incidenter tantum ed entro confini determinati, solo ai fini della disapplicazione nella singola fattispecie dell'atto amministrativo presupposto dell'atto impositivo impugnato” (Sez. Un., sent. n. 6224/2006).
3. Con riguardo all’interpretazione dell’art. 7, co. 5, del d.lgs. n. 546/92, la cognizione degli atti autoritativi di carattere generale presupposti alla specifica obbligazione tributaria spetta, invece, alla giurisdizione del giudice amministrativo (Sez. Un., sent. n. 3030/2002).
4. Nello stesso senso è la giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui ad esclusione delle controversie riservate alla giurisdizione del giudice tributario, sono impugnabili davanti al giudice amministrativo i regolamenti governativi, ministeriali o di enti locali che istituiscono o disciplinano tributi di qualsiasi genere, in quanto concernenti interessi legittimi (Cons. St., sent. n. 6353/2004).
5.  Neppure può ritenersi che, in assenza di atti impositivi, i provvedimenti aventi carattere generale non possano essere immediatamente lesivi.
E’ noto, infatti, che il principio secondo cui le norme regolamentari vanno impugnate unitamente all’atto applicativo trova eccezione per i provvedimenti che presentano un carattere specifico e concreto, risultando idonei, come tali, ad incidere direttamente nella sfera giuridica degli interessati, a decorrere dalla pubblicazione nelle forme previste dalla legge (da ultimo, Cons. St., sent. n. 6208/2012).



Sentenza per esteso


INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 735 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Flavourart s.r.l., Smooke s.r.l., Smart Evolution Trading s.r.l., Arbi Group s.r.l., in liquidazione volontaria, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese dagli avv.ti Stefano Vinti e Fabio Francario, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Francario in Roma, Piazza Paganica, 13; 
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Fiesel-Confesercenti, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Giorgio Fraccastoro, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, Via Piemonte, 39;
Federcontribuenti Italia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Giorgio Fraccastoro, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, Via Piemonte, 39;
per l'annullamento
- del D.M. 16.11.2013 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana in data 7.12.2013 e delle “Risposte ai quesiti più frequenti” (c.d. FAQ) adottate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e rese note mediante pubblicazione sul sito ufficiale dell'Agenzia delle Dogane in data 03.01.2014;
- di ogni altro atto preparatorio, presupposto, connesso e consequenziale, ivi compresa:
1) la decisione di prevedere che gli operatori già presenti sul mercato che non hanno conseguito alla data del 1°gennaio 2014 l’autorizzazione al commercio di vaporizzatori, della loro componentistica, dei liquidi destinati alla vaporizzazione e dei relativi prodotti accessori e strumentali (ovvero dei prodotti indicati al comma 1, dell’art. 62 –quater, comma 1, del d.lgs. 26.10.1995, n. 504), non possano continuare a commercializzare e vendere tali prodotti;
2) la decisione di assoggettare a regime autorizzatorio e tariffario e all’imposta nella misura del 58,5% del prezzo di vendita al pubblico (di cui all’art. 62 –quater, comma 1, del d.lgs. 26.10.1995, n. 504) la vendita di prodotti accessori e strumentali all’utilizzo di vaporizzatori (come ad esempio i caricabatteria o le custodie dei vaporizzatori);
3) la decisione di ritenere succedanei del tabacco ed assoggettati a regime autorizzatorio e tariffario e all’imposta prodotti che non contengono affatto nicotina ovvero dispositivi elettronici, componenti e accessori a prescindere dal fatto che siano o meno deputati alla vaporizzazione di nicotina ovvero vengano o meno concretamente ed effettivamente adibiti a tale uso da parte dei loro utilizzatori; nonché, comunque:
4) la stessa decisione di applicare in via generale sui prodotti indicati al comma 1 dell’art. 62 –quater del d.lgs. n. 504/95 la suddetta imposta della misura pari al 58,5% sul prezzo di vendita al pubblico dei prodotti medesimi e di sottoporre gli stessi a regime autorizzatorio e tariffario; e, infine 5) ove e per quanto occorrer possa, la nota dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli 20.11.2013, prot. n. DAC/CTL/8443/2013; il tutto previa, ove occorra e ritenuta non manifestamente infondata la relativa questione, a) rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 62 –quater del d.lgs. 26.10.1995, n.504, per violazione degli artt. 3, 35, 41, 53 e 97 della Cost.; nonché b) sempre ove occorra, previa rimessione alla Corte di Giustizia della seguente questione “dica la Corte di Giustizia se i principi di diritto europeo in materia di libera circolazione dei fattori e dei prodotti economici, di tutela delle libertà fondamentali e di libera concorrenza nel mercato unico, nonché gli artt. 30, 34, 35 e 110 del TFUE, l’art. 401 della direttiva 112/2006/CE e l’art. 1 della direttiva n. 118/2008/CE, ostino ad una normativa nazionale come quella di cui all’art. 62 – quater del d.lgs. n. 504 del 1995, che: a) introduce un’imposta di consumo con aliquota al 58,5% sul prezzo di vendita dei prodotti al pubblico; b) prevede una tariffazione dei prezzi al pubblico, determinando una rigida e predeterminata regolamentazione dei prezzi di vendita; c) impone una serie di obblighi ed adempimenti procedimentali che interferiscono con il regolare ciclo produttivo - distributivo dei prodotti.”;
- nonché, ancora, per l’annullamento dei seguenti atti, impugnati con motivi aggiunti:
- d.m. 12.2.2014, a firma del Ministro dell’Economia e delle Finanze;
- circolare AAMS prot. n. DAC/DIR/14 del 21.1.2014 e di ogni loro atto preparatorio, presupposto, connesso e conseguenziale, ivi compresi i provvedimenti già impugnati con il ricorso introduttivo del presente giudizio.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 2 dicembre 2015 il Cons. Silvia Martino;
Uditi gli avv.ti, di cui al verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO
1. Le società ricorrenti rappresentano di operare, sin dal 2010, sul mercato nazionale ed estero nel settore della produzione e della commercializzazione di vaporizzatori di liquidi aromatici e non (c.d. e-cigarettes), della loro componentistica, nonché di prodotti strumentali ed accessori all’uso dei vaporizzatori.
I vaporizzatori sono strumenti dotati di una batteria ricaricabile che consentono di inalare il vapore di una soluzione di acqua, glicole propilenico, glicerolo, aromi alimentari e, eventualmente, nicotina (che può essere presente o del tutto assente).
Tecnicamente, un vaporizzatore è composto da:
- un filtro, costituito da materiale plastico ipoallergenico, contenente, al suo interno, una cartuccia che viene caricata con soluzione di glicole propilenico, glicerole, aromi alimentari ed, eventualmente, nicotina;
- un cartomizzatore, che riscalda il liquido contenuto nella cartuccia o nel serbatoio, creando una sospensione gassosa che trasporta le sostanze del liquido, lasciandole quasi inalterate, grazie all’assenza di combustione;
- una batteria ricaricabile che fornisce energia al vaporizzatore (in alternativa alla quale è possibile utilizzare Usb – pass che permettono di collegare direttamente il vaporizzatore ad una presa Usb di un computer o di un auto);
- un circuito elettronico interno.
Attualmente, sul mercato, sono presenti una molteplicità di liquidi per vaporizzatori nei quali non è presente nicotina e che presentano semplicemente sapori aromatici di natura alimentare.
Per tale ragione, le ricorrenti ritengono che i vaporizzatori non costituiscano necessariamente “prodotti succedanei del tabacco”, dal momento che l’utilizzo e la vaporizzazione di nicotina costituisce soltanto uno dei possibili e molteplici usi di tali dispositivi da parte del consumatore.
E’ tuttavia accaduto che, con d.l. 28 giugno 2013, n. 76 (conv. con modificazioni in l. 9 agosto 2013, n. 99), sia stato introdotto nel corpo del d.lgs. n. 504 del 1995, un articolo 62 –quater, rubricato “Imposta di consumo sui prodotti succedanei dei prodotti da fumo”, il quale prescrive che, a decorrere dal 1° gennaio 2014, “i prodotti contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati, nonché i dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo, sono assoggettati ad imposta di consumo nella misura del 58,5% del prezzo di vendita al pubblico”.
La medesima disposizione ha altresì previsto che la commercializzazione dei prodotti “di cui al comma 1 è assoggettata alla preventiva autorizzazione da parte dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli nei confronti dei soggetti che siano in possesso dei medesimi requisiti stabiliti per la gestione dei depositi fiscali di tabacchi lavorati [...]” e che “Con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, da adottarsi entro il 31 ottobre 2013, sono stabiliti il contenuto e le modalità di presentazione dell’istanza ai fini dell’autorizzazione di cui al comma 2, le procedure per la variazione dei prezzi di vendita dei prodotti di cui al comma 1, nonché le modalità di prestazione della cauzione di cui al comma 3, di tenuta dei registri e documenti contabili, di liquidazione e versamento dell’imposta di consumo, anche in caso di vendita a distanza, di comunicazione degli esercizi che effettuano la vendita al pubblico, in conformità, per quanto applicabili, a quelle vigenti per i tabacchi lavorati”.
Le ricorrenti evidenziano come il regolamento attuativo, recante, tra l’altro, la disciplina del neoistituito procedimento autorizzatorio, sia stato adottato solo in data 16 novembre 2013 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 7 dicembre 2013.
Successivamente, in data 3 gennaio 2014, l’Agenzia delle Dogane ha fornito i chiarimenti richiesti dagli operatori, pubblicando le c.d. FAQ sul proprio sito istituzionale.
Le disposizioni testé menzionate hanno avuto l’effetto di determinare il blocco totale dell’attività economica e di impresa in danno degli operatori del mercato del c.d. fumo elettronico, nonché di assoggettare al regime autorizzatorio ed impositivo persino prodotti strumentali e puramente accessori quali, ad esempio, i caricabatterie per i vaporizzatori e le loro custodie in plastica.
Esse, in particolare:
- hanno previsto che gli operatori già presenti sul mercato che non hanno conseguito l’autorizzazione alla data del 1° gennaio 2014, non possono continuare a commercializzare e vendere gli stessi, laddove il regolamento attuativo è stato pubblicato in G.U. solo in data 7.12.2013, e prevede testualmente che il procedimento per il rilascio delle autorizzazioni, si perfezioni tra i 90 e i 270 giorni;
- hanno concretamente l’effetto di sottoporre a regime autorizzativo e tariffario, nonché alla gravosa tassazione del 58,5%, anche prodotti che non sono succedanei del tabacco (come caricabatterie e custodie) ovvero che non contengono affatto nicotina.
Il decreto ministeriale, in particolare, prevede un termine di conclusione del procedimento che risulta incompatibile con la data del 1° gennaio 2014, essendo previsti 90 giorni soltanto per conseguire il provvedimento di autorizzazione. A tale periodo devono poi aggiungersi ulteriori 180 giorni per il perfezionamento dei profili afferenti la cauzione.
Di fatto, nessun operatore ha conseguito l’autorizzazione alla data del 1° gennaio 2014, di talché il settore sta subendo un blocco totale delle attività che mette a rischio la stabilità economica delle società, gli asset aziendali, gli investimenti effettuati.
Le ricorrenti stigmatizzano altresì il fatto che, all’atto di fornire i chiarimenti richiesti sul nuovo regime, l’Agenzia delle Dogane abbia ritenuto di sottoporre ad autorizzazione anche semplici prodotti accessori che non possono essere sicuramente considerati “succedanei” del tabacco, quali i caricabatterie e le custodie dei dispositivi in esame.
I prodotti suddetti sono tutti ad uso promiscuo e possono esser utilizzati tanto per i vaporizzatori quanto al servizio di altri dispositivi che nulla hanno a che fare con il c.d fumo elettronico.
Evidenziano, ancora, che il d.m. 16.11.2013, all’atto di fornire la definizione di “prodotti succedanei dei prodotti da fumo” si è limitato ad utilizzare una definizione talmente generica da potervi attrarre anche prodotti che non contengono affatto nicotina o che, comunque, non vengono in concreto adibiti a tale uso dall’utilizzatore.
In pratica, vengono ricompresi in tale definizione e quindi sottoposti a regime autorizzativo, tariffario e impositivo:
- i liquidi per vaporizzatori che non contengono nicotina;
- semplici dispositivi monouso di vaporizzazione utilizzati per inalare aromi privi di nicotina;
- i medesimi dispositivi, le loro componenti e i corrispettivi corredi accessori anche quando non vengano in concreto utilizzati per la vaporizzazione di nicotina;
- componenti e prodotti che, nel mondo del tabacco lavorato, non vengono colpiti da una tassazione specifica né sono sottoposti ad un regime speciale di commercializzazione (si pensi ai bocchini e ai portasigarette).
Le ricorrenti, hanno quindi sviluppato i seguenti motivi di ricorso:
I) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 62 – QUATER DEL D.LGS. 26.10.1995, N. 504 (RUBRICATO “IMPOSTA DI CONSUMO SUI PRODOTTI SUCCEDANEI DEI PRODOTTI DA FUMO”); VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 1 E SS D.M. 16.11.2013; MANIFESTA IRRAGIONEVOLEZZA; ECCESSO DI POTERE NELLE FIGURE SINTOMATICHE DELL’ILLOGICITÀ, DELL’IRRAZIONALITÀ, DEL VIZIO DI MOTIVAZIONE, DEL DIFETTO DI ISTRUTTORIA, DELL’ERRONEITÀ DEI PRESUPPOSTI E DEL TRAVISAMENTO DEI FATTI; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI CONCORRENZA, VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI LEGALITÀ; PERPLESSITÀ DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA.
La previsione dell’Agenzia delle Dogane secondo cui gli operatori che alla data del 1° gennaio 2014 non abbiano conseguito l’autorizzazione al commercio dei prodotti in esame non possono continuare a commercializzarli è, a dire dei ricorrenti, illegittima, in quanto in contrasto con la tempistica prescritta dal d.m. 16.11.2013.
Essa non tiene conto della normativa regolamentare, dei complessi adempimenti prescritti, e, comunque, del fatto che nessuna fonte, primaria o secondaria, prevede che il regime di autorizzazione debba entrare in vigore alla data del 1° gennaio 2014.
Dal canto suo, il d.m. 16.11.2013 non prevede alcuna norma transitoria idonea a consentire che i soggetti già presenti sul mercato possano continuare ad operare nelle more del rilascio dell’autorizzazione che viene oggi richiesta quale condizione per la commercializzazione dei rispettivi prodotti.
II) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 62 – QUATER DEL D.LGS. N. 504 DEL 1995 (RUBRICATO “IMPOSTA DI CONSUMO SUI PRODOTTI SUCCEDANEI DEI PRODOTTI DA FUMO”); VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL D.M. 16.11.2013; MANIFESTA IRRAGIONEVOLEZZA; ECCESSO DI POTERE NELLE FIGURE SINTOMATICHE DELL’ILLOGICITÀ, DELL’IRRAZIONALITÀ, DEL VIZIO DI MOTIVAZIONE, DEL DIFETTO DI ISTRUTTORIA, DELL’ERRONEITÀ DEI PRESUPPOSTI E DEL TRAVISAMENTO DEI FATTI; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI CONCORRENZA, PERPLESSITÀ DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA.
Parimenti illegittime sono le disposizioni che assoggettano a regime autorizzatorio, tariffario e impositivo anche prodotti che costituiscono meri accessori strumentali all’utilizzo dei vaporizzatori, quali caricabatterie e custodie.
L’illogicità di una siffatta decisione emerge in maniera ancora più lampante se si considera che tali accessori vengono sottoposti a regime autorizzatorio e tariffario anche in tutti quei casi nei quali gli stessi costituiscono corredo accessorio e strumentale all’utilizzo di dispositivi che non sono destinati a vaporizzare nicotina (vaporizzatori mono uso per la vaporizzazione di liquidi aromatici, ovvero che, per scelta dell’utilizzatore, non vaporizzano né nebulizzano nicotina).
Si tratta comunque, come già evidenziato, di prodotti ad uso promiscuo, con l’ulteriore illogicità che gli stessi prodotti, ove commercializzati da ditte che operano, ad esempio, nel settore delle apparecchiature elettroniche generiche, rimangono liberamente vendibili al prezzo di mercato senza scontare la pesante tassazione del 58,5%.
In sostanza, prodotti identici o speculari vengono sottoposti a regimi di commercializzazione differenti per il fatto di essere o meno potenzialmente e astrattamente utilizzabili quali accessori di un vaporizzatore (ancorché utilizzato in assenza di liquido nicotinico) o perché semplicemente prodotti all’interno della filiera del c.d. fumo elettronico.
Lo stesso è a dirsi per la sottoposizione al regime tariffario previsto dall’art. 4 del d.m..
III) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 62 – QUATER DEL D.LGS. N. 504 DEL 1995 (RUBRICATO “IMPOSTA DI CONSUMO SUI PRODOTTI SUCCEDANEI DEI PRODOTTI DA FUMO”); INCOMPETENZA; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI LEGALITÀ, DI TIPICITÀ E DI NOMINATIVITÀ; ERRONEITÀ DEI PRESUPPOSTI E TRAVISAMENTO DEI FATTI.
Le decisioni dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli sono illegittime anche sotto il profilo dell’incompetenza, in quanto essa non è stata dotata del potere di provvedere in merito o di dettare una disciplina attuativa dell’art. 62 – quater.
E’ al MEF, invece, che compete il potere di adottare una normativa regolamentare recante la disciplina del procedimento autorizzatorio, e quindi, secondo le ricorrenti, di stabilire tanto i profili temporali di efficacia del neo istituito regime autorizzatorio quanto il suo ambito strettamente oggettivo.
IV) (SOTTO ALTRO E ULTERIORE PROFILO): VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 62- QUATER DEL D.LGS. 26.10.1995, N. 504 (RUBRICATO “IMPOSTA DI CONSUMO SUI PRODOTTI SUCCEDANEI DEI PRODOTTI DA FUMO”); VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL D.M. 16.11.2013; MANIFESTA IRRAGIONEVOLEZZA, ECCESSO DI POTERE NELLE FIGURE SINTOMATICHE DELL’ILLOGICITÀ, DELL’IRRAZIONALITÀ, DEL VIZIO DI MOTIVAZIONE, DEL DIFETTO DI ISTRUTTORIA, DELL’ERRONEITÀ DEI PRESUPPOSTI E DEL TRAVISAMENTO DEI FATTI; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI CONCORRENZA.
All’atto dell’adozione del d.m. il MEF ha fornito una definizione di prodotti succedanei del tabacco talmente generica e indeterminata da consentire di sottoporre indiscriminatamente a regime autorizzatorio, tariffario e fiscale:
- i liquidi per vaporizzatori che non contengono nicotina;
- semplici dispositivi monouso di vaporizzazione utilizzati per inalare aromi privi di nicotina;
- i medesimi dispositivi, le loro componenti e i rispettivi corredi accessori, indipendentemente dal fatto che vengano concretamente utilizzati per la vaporizzazione di nicotina;
- componenti e prodotti che, nel mondo del tabacco lavorato, non vengono colpiti da specifica tassazione né sono sottoposti ad un regime particolare di commercializzazione.
E’ irragionevole o illogico ricomprendere nella categoria dei succedanei del tabacco anche i liquidi per vaporizzazione privi di nicotina ovvero dispositivi monouso che nascono per vaporizzare aromi non nicotinici.
Proprio in materia di regolamentazione dell’utilizzo dei vaporizzatori, l’ordinamento amministrativo già distingue le ipotesi nelle quali il dispositivo prevede concretamente ed effettivamente l’utilizzo di nicotina, da quelle nelle quali tale sostanza è del tutto assente.
Le ricorrenti richiamano, al riguardo, l’O.M. del Ministro della Salute del 4 agosto 2011 che ha disposto il divieto di vendita ai minori di anni 18 dei vaporizzatori contenenti nicotina.
Successivamente, il Ministero ha imposto ai produttori di evidenziare unicamente sui prodotti contenenti nicotina la rispettiva concentrazione e di apporre, nel caso, i necessari simboli di tossicità.
Anche il giudice amministrativo, in sede cautelare, chiamato a pronunciarsi sul divieto di utilizzo di vaporizzatori in luoghi pubblici, ha operato la medesima distinzione (cfr. ord. TAR Veneto, sez. III, n. 356/2013 del 12.7.2013; TAR Lombardia, sez. III, ord. n. 1024/2013 del 23.10.2013).
La normativa, comunque, genera incertezza e perplessità sull’individuazione dei prodotti da assoggettare al neoistituito regime autorizzatorio, tariffario e impositivo.
V) VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3, 35, 41, 53 E 97 DELLA COST.; VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DI DIRITTO EUROPEO IN MATERIA DI LIBERA CIRCOLAZIONE DEI FATTORI E DEI PRODOTTI ECONOMICI, DI TUTELA DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI E DI LIBERA CONCORRENZA DEL MERCATO UNICO, NONCHÉ DEGLI ARTT. 30, 34, 35 E 110 DEL TFUE, DELL’ART. 401 DELLA DIRETTIVA N. 112/2006/CE E DELL’ART. 1 DELLA DIRETTIVA N. 118/2008/CE.
Nell’ipotesi in cui si ritenga che i provvedimenti impugnati siano conformi alla norma primaria, parte ricorrente eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 62 – quater del d.lgs. n 504 del 26 ottobre 1995.
- QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELL’ART. 62 – QUATER DEL D.LGS. N. 504 DEL 26 OTTOBRE 1995 (C.D. TESTO UNICO ACCISE – TUA)
Le misure tributarie approntate dal legislatore, oltre ad essere illogiche e sostanzialmente ingiuste, sono anche palesemente sproporzionate.
E’ evidente, innanzitutto, che con l’imposta in esame il legislatore ha inteso porre rimedio al crollo del mercato delle sigarette tradizionali, determinato dall’espandersi del settore delle sigarette elettroniche (comunicato stampa del MEF n. 240 del 5 dicembre 2013).
La scelta di equiparare queste ultime alle sigarette tradizionali non tiene conto della peculiarità del settore e viola, in primo luogo, il principio di eguaglianza e di capacità contributiva.
Le ricorrenti reputano irragionevole che si sia scelto di colpire anche sostanze diverse dalla nicotina in alcun modo assimilabili al tabacco lavorato.
L’Italia è l’unico paese ad avere introdotto una simile imposta mentre gli altri Stati dell’Unione Europea sono in attesa delle indicazioni del Parlamento e della Commissione in ordine alla regolamentazione del mercato.
Così facendo, il legislatore italiano si è mosso nella prospettiva di “proteggere” il settore dei tabacchi lavorati, contraddicendo, in tal modo, una delle finalità che caratterizza la relativa imposizione, volta, tra l’altro, a scoraggiare il consumo di un prodotto di cui è accertata la dannosità per la salute.
Al contrario, le numerose ricerche scientifiche che, fino ad oggi, hanno riguardato il mercato delle e – cig, non hanno riscontrato alcuna conseguenza nociva per la salute e, anzi, ne hanno sottolineato i vantaggi legati all’effetto di dissuasione dal tabagismo.
L’equiparazione sotto il profilo fiscale alle sigarette tradizionali non sarebbe comunque giustificata nemmeno nelle ipotesi nelle quali le sigarette elettroniche consentono la vaporizzazione di nicotina.
La nicotina è, infatti, una sostanza che si trova in natura e non è tassata di per sé (si pensi ai cerotti antifumo, ai prodotti nicorette etcc.). Nel fumo tradizionale, infatti, il danno alla salute è prodotto dai numerosi elementi mischiati tra loro che, sottoposti al processo di combustione, si trasformano in sostanze dannose per l’organismo.
Le ricorrenti ritengono altresì irragionevole che la medesima imposizione colpisca indiscriminatamente tutti i prodotti e dispositivi collegati al mercato della sigaretta elettronica, ancorché diversissimi tra loro per natura e funzione.
La disciplina in esame contrasta quindi con i principi di ragionevolezza e proporzionalità di cui all’art. 3 Cost., nonché, per il rigido automatismo che la caratterizza, con quelli di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, garantiti dall’art. 97 Cost.
In pratica, vengono indiscriminatamente assimilati ai tabacchi lavorati anche sostanze non contenenti nicotina e i dispositivi che ne consentono il consumo, laddove, invece, persino l’imposta sui tabacchi lavorati è strutturata in modo da garantire un sistema di aliquote differenziate per tipologia di prodotto.
Appare poi del tutto incomprensibile la scelta di tassare uniformemente e con l’applicazione della medesima, elevatissima aliquota, prodotti che tra loro non hanno assolutamente nulla in comune o che, addirittura, sono destinati ad un uso promiscuo.
Ne deriva, altresì una grave lesione del principio della libera iniziativa economica privata.
Il legislatore ha poi regolamentato le procedure per la variazione dei prezzi di vendita al pubblico dei “prodotti succedanei dei prodotti da fumo”, in modo del tutto analogo al sistema vigente nella vendita di prodotti a base di tabacco (quali l’obbligo del deposito fiscale, l’obbligo di richiedere l’autorizzazione preventiva all’esercizio di deposito di prodotti succedanei del tabacco, l’obbligo di prestare una cauzione etcc.).
L’introduzione di una imposta di consumo così elevata, in combinazione con il meccanismo di applicazione dell’aliquota sul prezzo al minuto e con la regolamentazione predeterminata dei prezzi al pubblico, costringerà il consumatore ad indirizzare i propri acquisti verso gli altri Stati membri dell’Unione Europea.
La norma, proseguono i ricorrenti, si appalesa illegittima anche alla luce dei principi di ragionevolezza, di capacità contributiva e di tutela del diritto alla salute, garantiti dagli artt. 3, 53 e 32 Cost..
L’introduzione dell’art. 62 – quater ha paralizzato il settore in esame sebbene, al di fuori dei confini nazionali, si discuta della idoneità delle sigarette elettroniche a rappresentare un valido strumento per la disassuefazione dal tabagismo.
L’equiparazione di queste ultime alle sigarette tradizionali non è giustificata neanche dalla mera presenza della nicotina in quanto, nelle sigarette tradizionali, il danno alla salute è prodotto non dalla nicotina in sé ma dai numerosi elementi cancerogeni, assenti nelle e-cig, che vengono bruciati, trasformandosi in sostanze dannose per l’uomo.
La nuova misura tributaria finisce così paradossalmente per incentivare l’uso del tabacco ed aggravare le situazioni di danno per la salute che questo comporta.
Le ricorrenti stigmatizzano, altresì, la stessa scelta del tributo da applicare.
Le accise – tra le quali sembra dover essere concettualmente annoverata anche l’imposta di cui si discute – rappresentano un gruppo eterogeneo di imposte indirette erariali che colpiscono la fabbricazione, o il consumo, di determinati prodotti, nonché la loro importazione nel territorio dello Stato ed il cui presupposto non presenta alcun elemento di patrimonialità di modo che non si comprende quale sia il fatto – indice di capacità contributiva considerato dal legislatore.
In relazione all’imposta in esame si ripropongono, pertanto, le annose questioni in ordine alla legittimità di un tributo che colpisce un indice diverso dal reddito o dal patrimonio.
Vi sarebbe, inoltre, una duplicazione impositiva, derivante dall’applicazione dell’aliquota al prezzo di vendita al pubblico e, quindi, al lordo dell’IVA.
Pure irragionevole sarebbe la finalità extrafiscale di ostacolare la produzione e il consumo delle sigarette elettroniche, con l’effetto di favorire il mercato delle sigarette tradizionali.
- SULLA COMPATIBILITÀ DELL’ART. 62 – QUATER DEL D.LGS. N. 504 DEL 26 OTTOBRE 1995 (C.D. TESTO UNICO ACCISE, TUA) CON LA NORMATIVA DI RANGO COMUNITARIO.
L’Italia è l’unico paese dell’Unione ad avere introdotto l’imposta in esame mentre in sede europea si discute ancora della qualificazione merceologica e del comparto di appartenenza dei suddetti prodotti, anche alla luce della loro idoneità a contrastare il tabagismo.
Le ricorrenti reputano, peraltro, che, con l’introduzione delle disposizioni in esame, siano state commesse plurime violazioni delle norme comunitarie tra cui gli artt. 30, 35, 35 e 110 del TFUE.
Pure violato risulterebbe l’art. 401 della Direttiva IVA n. 112/2006/CE nella parte in cui vieta di introdurre imposte sulla cifra di affari aventi le stesse caratteristiche dell’IVA e consente solo di mantenere accise o altre imposte che non abbiano il carattere di imposta sul volume di affari sempreché non diano luogo, “negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera”.
Analogamente dispone l’art. 1 della Direttiva 118/2008/CE.
La disciplina introdotta dal legislatore ordinario, inoltre, sarebbe incompatibile con gli articoli 34 e 35 del TFUE in quanto introdurrebbe una serie di misure ad effetto equivalente alle restrizioni quantitative che rappresentano un concreto pregiudizio per l’esercizio della libera concorrenza nell’ambito del mercato comune.
Particolarmente critica, a questo riguardo, sarebbe l’introduzione di una regolamentazione rigida e predeterminata dei prezzi, simile a quella vigente per le sigarette tradizionali, già oggetto di censura da parte della Corte di Giustizia (cfr. Corte giustizia, sez. III, del 24 giugno 2010, causa C – 571/08).
Il legislatore italiano ha inoltre previsto una serie di norme tecniche e di obblighi oltremodo gravosi che possono rappresentare una violazione del principio di proporzionalità, e che, comunque, determinano una distorsione in ambito comunitario in ordine alle modalità di commercializzazione dei prodotti. Si pone ad esempio il problema se un prodotto nato secondo le norme vigenti in uno degli Stati membri possa essere posto in vendita in Italia, ove vigono ormai standard differenti.
Le ricorrenti soggiungono che, a loro dire, l’accisa sulle sigarette elettroniche, come quella sui tabacchi, determina un fenomeno equivalente negli effetti all’istituto della rivalsa obbligatoria, originato dalla predeterminazione del prezzo da parte di un provvedimento dell’AAMS che ingloba anche l’accisa.
Altrettanto palese sarebbe la violazione della normativa comunitaria in materia di accise.
L’armonizzazione e la razionalizzazione delle imposte indirette rappresenta una condizione necessaria per la compiuta realizzazione del mercato unico, per favorire la quale vige un divieto assoluto di imporre controlli ai passaggi comunitari su detti prodotti, di modo che, delle due l’una:
- o l’imposta introdotta dal cit. art. 62-quater del d.lgs. n. 504 del 1995 rientra nell’ambito delle accise e, quindi, il legislatore non era legittimato ad intervenire in una materia riserva alla competenza comunitaria:
- ovvero la suddetta imposta avrebbe dovuto rispettare le condizioni ed i parametri fissati dalla direttiva 118/2008/CE; essa, però, non presenta alcuna “finalità specifica” né risulta conforme “alle norme comunitarie applicabili per le accise o per l’imposta sul valore aggiunto”.
Le società ricorrenti hanno chiesto pertanto alla Sezione di volere rimettere alla Corte di Giustizia la seguente questione pregiudiziale:
“Dica la Corte di Giustizia se i principi di diritto europeo in materia di libera circolazione dei fattori e dei prodotti economici, di tutela delle libertà fondamentali e di libera concorrenza nel mercato unico, nonché gli artt. 30, 34, 35 e 110 del TFUE, l’art. 401 della direttiva n. 112/2006/CE e l’art. 1 della direttiva 118/2008/CE, ostino ad una normativa nazionale come quella di cui all’art. 62 – quater del d.lgs. n. 504 del 1995 che:
a) introduce un’imposta di consumo con aliquota al 58,5% sul prezzo di vendita dei prodotti al pubblico;
b) prevede una tariffazione dei prezzi al pubblico, determinando una rigida e predeterminata regolamentazione dei prezzi di vendita;
c) impone una serie di obblighi ed adempimenti procedimentali, che interferiscono con il regolare ciclo distributivo dei prodotti”.
Si sono costituiti, per resistere, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
Sono intervenute ad adiuvandum le Associazioni Federcontribuenti Italia e la Fiesel – Confesercenti.
Con ordinanza n. 537 del 6.2.2014, l’istanza cautelare proposta è stata accolta in via interinale e provvisoria, fino alla camera di consiglio del 19 febbraio 2014, e, per l’effetto, è stata sospesa l’efficacia del regime autorizzatorio ed impositivo introdotto dall’art. 62 –quater in esame.
Quindi, con ordinanza n. 811 del 20.2.2014, in considerazione delle modifiche apportate al d.m. 16.11.2013 dal d.m. 12.2.2014, l’istanza cautelare è stata respinta.
Le ricorrenti hanno successivamente proposto motivi aggiunti avverso il suddetto d.m. 12.2.2014, nonché avverso la circolare AAMS prot. DAC/DIR/14 del 21.1.2014, estendendo la richiesta di tutela cautelare anche agli atti sopravvenuti e, comunque, rappresentando l’aggravarsi della loro situazione economica.
All’uopo, hanno evidenziato come l’amministrazione sia intervenuta sulla normativa di attuazione in una duplice direzione:
- dapprima, con circolare del 21 gennaio, l’AAMS pur precisando di ritenere che “non possano considerarsi parti di ricambio, a titolo esemplificativo, le custodie dei prodotti, i cavetti per l’alimentazione, le batterie”, ha tuttavia confermato che “i beni sopra indicati, ove compresi nel prezzo unitario di vendita dei dispositivi, anche monouso, concorrono alla formazione della base imponibile cui si applica l’imposta di consumo”.
Successivamente, il MEF è intervenuto per semplificare il procedimento, qualificando come SCIA la domanda di autorizzazione (d.m. del 12.2.2014).
Le modifiche apportate alla normativa attuativa, proseguono le ricorrenti, perpetuano e confermano le stesse illegittimità che già affliggevano i provvedimenti impugnati con il ricorso principale, nella misura in cui anche tali modifiche non toccano minimamente gli effetti sostanziali che derivano dall’indiscriminato assoggettamento al regime autorizzatorio e fiscale:
- dei vaporizzatori in quanto tali;
- delle sostanze che, oggettivamente, non possono considerarsi succedanee del tabacco;
- dell’oggettistica puramente accessoria del prodotto.
Anche la normativa successivamente intervenuta, infatti, continua a mantenere ferma l’applicazione del regime autorizzativo, fiscale e sanzionatorio in relazione all’insieme di beni unitariamente considerato.
Le modifiche recentemente apportate, inoltre, introducono ulteriori profili di irragionevolezza.
In particolare, secondo la circolare dell’AAMS oggetto di impugnativa, un “caricabatteria” o una “custodia” diventano un prodotto succedaneo del tabacco nell’ipotesi in cui vengano venduti insieme ai vaporizzatori ad un unico prezzo di vendita.
Quanto, poi, al d.m. 12.2.2014, esso ha stabilito, all’art. 2, che dalla data di presentazione all’Agenzia della domanda di istituzione e gestione di un deposito fiscale di prodotti succedanei del tabacco, il soggetto che l’ha sottoscritta è autorizzato a gestire il deposito.
Il Ministero, però, non ha adeguatamente considerato la posizione di quelle imprese che, come le ricorrenti, avevano già presentato domanda di autorizzazione e che si vedono, oggi, applicare in maniera retroattiva e indiscriminata, su tutti i loro prodotti, il prelievo del 58,5% sul prezzo di vendita al pubblico senza che abbiano mai avuto, fino a questo momento, nemmeno la possibilità di vendere secondo il neoistituito regime, e di traslare, quindi, il costo dell’imposta sui consumatori o sui rivenditori finali.
I motivi aggiunti, sono, specificamente:
I) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 62 – QUATER DEL D.LGS. N. 504 DEL 1995 (RUBRICATO “IMPOSTA DI CONSUMO SUI PRODOTTI SUCCEDANEI DEI PRODOTTI DA FUMO”); VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL D.M. 16.11.2013; MANIFESTA IRRAGIONEVOLEZZA, ECCESSO DI POTERE NELLE FIGURE SINTOMATICHE DELL’ILLOGICITÀ, IRRAZIONALITÀ E DIFETTO DI MOTIVAZIONE; DIFETTO DI ISTRUTTORIA, CONTRADDITTORIETÀ, ERRONEITÀ DEI PRESUPPOSTI E TRAVISAMENTO DEI FATTI; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI CONCORRENZA.
Anche i provvedimenti impugnati con i motivi aggiunti evitano di specificare cosa possa o debba intendersi per “prodotto succedaneo del tabacco”, con la conseguenza che continuano ad essere assoggettati al regime autorizzatorio e impositivo, proprio dei tabacchi lavorati:
a) sostanze liquide vaporizzabili che non contengono affatto nicotina ma liquidi aromatizzati con essenze varie (menta, vaniglia etcc.);
b) dispositivi elettronici e quant’altro sia necessario per consentire la vaporizzazione a prescindere dal fatto che la vaporizzazione abbia per oggetto sostanze succedanee del tabacco e contenenti nicotina;
c) cose e prodotti che nemmeno servono per consentire la vaporizzazione, ma sono puramente accessori del vaporizzatore, quali custodie, batterie, caricabatterie etcc..
La circolare e il d.m. si limitano a reiterare la formula genericamente adottata dalla norma di legge, che continua così ad essere interpretata in maniera assolutamente indiscriminata ed estensiva.
II) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 62 – QUATER DEL D.LGS. 26.10.1995, N. 504 (RUBRICATO “IMPOSTA DI CONSUMO SUI PRODOTTI SUCCEDANEI DEI PRODOTTI DA FUMO”); VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL D.M. 16.11.2013; MANIFESTA IRRAGIONEVOLEZZA; ECCESSO DI POTERE NELLE FIGURE SINTOMATICHE DELL’ILLOGICITÀ, DELLA CONTRADDITTORIETÀ, DELL’IRRAZIONALITÀ, DEL VIZIO DI MOTIVAZIONE, DEL DIFETTO DI ISTRUTTORIA, DELL’ERRONEITÀ DEI PRESUPPOSTI E DEL TRAVISAMENTO DEI FATTI; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI CONCORRENZA; PERPLESSITÀ DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA.
La circolare AAMS del 21.1.2014 continua ad assoggettare al nuovo regime autorizzatorio e fiscale le “custodie dei prodotti, cavetti per alimentazione e le batterie” nell’ipotesi in cui detti prodotti vengano venduti insieme ai vaporizzatori ad un unico prezzo di vendita.
Essi però non contengono nicotina o altre sostanze che possano considerarsi succedanee del tabacco né costituiscono componenti o parti integranti dei dispositivi di vaporizzazione; di fatto, tali prodotti, non sono di per sé idonei a vaporizzare alcunché. Se detti prodotti non sono “succedanei” del tabacco debbono essere esclusi dal correlato regime autorizzatorio e impositivo, a prescindere dalle modalità di commercializzazione.
III) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 62 – QUATER DEL D.LGS. 26.10.1995, N. 504 (RUBRICATO “IMPOSTA DI CONSUMO SUI PRODOTTI SUCCEDANEI DEI PRODOTTI DA FUMO”); VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL D.M. 16.11.2013; MANIFESTA IRRAGIONEVOLEZZA; ECCESSO DI POTERE NELLE FIGURE SINTOMATICHE DELL’ILLOGICITÀ, DELLA CONTRADDITTORIETÀ, DELL’IRRAZIONALITÀ, DEL VIZIO DI MOTIVAZIONE, DEL DIFETTO DI ISTRUTTORIA, DELL’ERRONEITÀ DEI PRESUPPOSTI E DEL TRAVISAMENTO DEI FATTI; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO; VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI CONCORRENZA; PERPLESSITÀ DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA.
Il d.m. 12.2.2014 è altresì illegittimo nella parte in cui applica retroattivamente il nuovo regime impositivo anche in relazione ad un periodo in cui il neoistituito regime autorizzatorio non era operante (per effetto dei provvedimenti cautelari di questo TAR) e quindi senza che le imprese abbiano mai avuto la possibilità di trasferire sulla filiera commerciale e sul consumatore finale il costo dell’imposta stessa.
Nel caso di Flavourart, ad esempio, viene evidenziato che la società, per effetto delle censurate disposizioni, dovrebbe versare un’imposta superiore, per i soli liquidi vaporizzabili, di oltre 700.000 euro ai suoi stessi ricavi, con matematico default.
Resistono anche ai motivi aggiunti le amministrazioni intimate.
Le ricorrenti, in vista della pubblica udienza di discussione del 2.4.2014, hanno depositato uno studio di analisi economica del nuovo regime fiscale del fumo elettronico, realizzato dal Casmef, centro di ricerca economica indipendente dell’Università LUISS Guido Carli di Roma,
Il ricorso e i motivi aggiunti sono stati trattenuti per la decisione di merito, una prima volta, alla pubblica udienza del 2 aprile 2014.
Contestualmente, sono stati introitati anche per la decisione, in abbinamento al merito, dell’istanza cautelare, quest’ultima definita con ordinanza n. 1516 del 3 aprile 2014.
Con tale pronuncia, il Collegio ha nuovamente sospeso l’efficacia del regime autorizzatorio e impositivo di cui all’art. 62 –quater del d.lgs. n. 504 del 1995, fino alla decisione da parte della Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale che è poi stata sollevata con la separata ordinanza collegiale n. 4510 del 29.4.2014.
In particolare, nel contesto di tale ordinanza, preliminarmente alla rimessione alla Corte Costituzionale, la Sezione ha anche definito alcune questioni aventi carattere pregiudiziale rispetto a quella di costituzionalità.
In particolare, la Sezione ha respinto le eccezioni sollevate dalla difesa erariale tese a dimostrare l’inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso per le ragioni dovute, nell’ordine:
- alla carenza di giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di fattispecie rientrante nella giurisdizione del giudice tributario;
- al difetto originario di interesse a ricorrere di tutte le ricorrenti, in mancanza dell’adozione di atti impositivi;
- al difetto di interesse delle ricorrenti che non hanno presentato la domanda disciplinata dall’art. 2 del d.m. 16.11.1993;
- alla, pretesa, cessazione della materia del contendere, per effetto delle modifiche apportate al d.m. 16.11.1993 dal d.m. 12.2.2014, nonché dell’interpretazione resa dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con la circolare del 21.1.2014.
Giova riportare, in parte qua, i passaggi essenziali della decisione.
“2.1. In primo luogo, è orientamento ormai consolidato delle Sezioni Unite quello secondo cui la giurisdizione esclusiva del giudice tributario in ordine ai “tributi di ogni genere e specie”, istituita dall’art. 2, comma 1, d.lg. 31 dicembre 1992 n. 546, come successivamente modificato, può svolgersi solo attraverso l'impugnazione di specifici atti impositivi dell'amministrazione finanziaria.
Ne consegue che, in mancanza della mediazione rappresentata dall'impugnativa dell'atto impositivo, il giudice tributario “non può giudicare della legittimità degli atti amministrativi generali, dei quali può conoscere, incidenter tantum ed entro confini determinati, solo ai fini della disapplicazione nella singola fattispecie dell'atto amministrativo presupposto dell'atto impositivo impugnato” (Cass. civ., Sez. Un., 21.3.2006, n. 6224).
La cognizione degli atti autoritativi di carattere generale presupposti alla specifica obbligazione tributaria spetta, invece, alla giurisdizione del giudice amministrativo (così ancora, con riguardo all’interpretazione dell’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 546/92, le Sezioni unite, sentenza n. 3030 dell’1.3.2002).
Nello stesso senso è la giurisprudenza del Consiglio di Stato, invocata da parte ricorrente, secondo cui “ad esclusione delle controversie riservate alla giurisdizione del giudice tributario, sono impugnabili davanti al giudice amministrativo i regolamenti governativi, ministeriali o di enti locali che istituiscono o disciplinano tributi di qualsiasi genere, in quanto concernenti interessi legittimi (Cons. St., sez. VI^, 30.9.2004, n. 6353).
2.2. Neppure può ritenersi che, in assenza di atti impositivi, i provvedimenti impugnati, per il loro carattere generale, non siano immediatamente lesivi.
E’ noto, infatti, che il principio secondo cui le norme regolamentari vanno impugnate unitamente all’atto applicativo trova eccezione per i provvedimenti che presentano un carattere specifico e concreto, risultando idonei, come tali, ad incidere direttamente nella sfera giuridica degli interessati, a decorrere dalla pubblicazione nelle forme previste dalla legge (TAR Lazio, sez.I^, 12 aprile 2011, n. 3202 cfr. anche, da ultimo, Cons. St., sez. VI, 4.12.2012, n. 6208).).
Nel caso di specie, i decreti del MEF del 16.11.2013 e 12.2.2014, nonché le disposizioni applicative e interpretative dettate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, appaiono idonei ad incidere direttamente sull’attività d’impresa svolta dalle ricorrenti in quanto, da un lato, attuano la previsione della fonte primaria nella parte in cui ne vieta lo svolgimento senza la prescritta autorizzazione e la sottopone ad un nuovo regime impositivo; dall’altro, “conformano” la medesima attività, mediante la disciplina di una serie di adempimenti amministrativi e/o contabili, finalizzati all’assolvimento dell’obbligazione tributaria.
2.3. Le considerazioni testé svolte consentono di respingere anche l’eccezione relativa al sopravvenuto difetto di interesse a ricorrere delle imprese che non hanno presentato domanda di autorizzazione.
E’ evidente, infatti, che il cuore della impugnativa riguarda la stessa introduzione di un regime di autorizzazione per una attività in precedenza libera, nonché degli obblighi tributari cui siffatto regime è correlato.
Per la stessa ragione, la circostanza che il d.m. del 12.2.2014 abbia semplificato il procedimento di autorizzazione, ovvero che la circolare del 21.1.2014 abbia (in ipotesi) chiarito che i prodotti “accessori”, non sono soggetti all’imposta, non appare idonea a determinare la cessazione della materia del contendere.
A ciò si aggiunga che tali ulteriori provvedimenti sono stati impugnati con motivi aggiunti, sia per vizi propri, sia in quanto, per usare l’espressione delle ricorrenti, essi in realtà “perpetuano e confermano” le stesse illegittimità che già affliggono i provvedimenti gravati con ricorso principale”.
3. Nel merito, nell’ordine logico della trattazione, la Sezione ha poi ritenuto necessario affrontare “la questione relativa alla “compatibilità comunitaria” dell’art. 62 –quater del d.lgs. n. 504 del 1995, introdotto dall'art. 11, comma 22, D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 99.
Infatti, secondo quanto chiarito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 319 del 26.7.1996), ove una questione di costituzionalità sia fondata sull’interpretazione di una norma comunitaria, prima di una eventuale rimessione alla Consulta occorre che il contenuto delle norme poste dalle fonti comunitarie sia compiutamente e definitivamente individuato secondo le regole all’uopo dettate da quell’ordinamento.
Al riguardo, deve però anche ricordarsi che il giudice nazionale non è tenuto a chiedere una decisione pregiudiziale alla Corte di Giustizia se la normativa comunitaria non dia adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata (Corte di Giustizia CE, 6 ottobre 1982, in causa C- 283/81, Cilfit),
3.1. L’imposta introdotta dall’art. 11, comma 22, D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 99, appartiene al novero delle imposte speciali sui consumi, le quali, a differenza dell’IVA, non hanno carattere generale ma colpiscono una determinata categoria di beni o servizi.
Esse si caratterizzano, altresì, per la struttura monofase, diventando esigibili in un unico momento dettagliatamente descritto dalla normativa di riferimento (cfr. Corte Cost., sentenza n. 185/2011).
Nell’ordinamento italiano, la disciplina delle accise (e delle altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi) è contenuta in larga parte nel decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), più volte modificato ed integrato in attuazione delle direttive comunitarie che hanno disciplinato la materia.
Da ultimo, il decreto legislativo 29 marzo 2010, n. 48 (recante “Attuazione della direttiva 2008/118/CE relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE”) ha provveduto, fra l’altro, a modificare le norme collegate al fatto generatore ed all'esigibilità dell'accisa, di cui alla relativa direttiva comunitaria.
La disciplina generale delle imposizioni indirette sulla produzione e sui consumi, diverse dalle accise disciplinate dai Titoli I e II del TUA (ovvero le imposte indirette diverse da quelle sulla produzione o sul consumo dei prodotti energetici, dell'alcole etilico e delle bevande alcoliche, dell'energia elettrica e dei tabacchi lavorati), è contenuta nell’art. 61 del cit. d.lgs..
In particolare, secondo tali disposizioni, “a) l'imposta è dovuta sui prodotti immessi in consumo nel mercato interno ed è esigibile con l'aliquota vigente alla data in cui viene effettuata l'immissione in consumo” mentre obbligato al pagamento dell’imposta è “il fabbricante per i prodotti ottenuti nel territorio dello Stato”, ovvero “il soggetto che effettua la prima immissione in consumo per i prodotti di provenienza comunitaria”, ovvero ancora “l'importatore per i prodotti di provenienza da Paesi terzi”.
L'immissione in consumo si verifica:
“1) per i prodotti nazionali, all'atto della cessione sia ai diretti utilizzatori o consumatori sia a ditte esercenti il commercio che ne effettuano la rivendita;
2) per i prodotti di provenienza comunitaria, all'atto del ricevimento della merce da parte del soggetto acquirente ovvero nel momento in cui si considera effettuata, ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, la cessione, da parte del venditore residente in altro Stato membro, a privati consumatori o a soggetti che agiscono nell'esercizio di una impresa, arte o professione;
3) per i prodotti di provenienza da Paesi terzi, all'atto dell'importazione;
4) per i prodotti che risultano mancanti alle verifiche e per i quali non è possibile accertare il regolare esito, all'atto della loro constatazione;
[...]”.
Appare anche utile precisare, relativamente ai “prodotti succedanei dei prodotti da fumo” che gli adempimenti fiscali sono disciplinati con esplicito richiamo al regime del deposito fiscale in materia di accise.
L’art. 62 –quater del TUA prevede poi non già un “regime tariffario”, così come assunto dalle ricorrenti, bensì, più semplicemente, istituisce, una procedura “per la variazione dei prezzi di vendita al pubblico dei prodotti”.
In concreto, l’art. 4 del d.m. 16.11. 2013 prescrive la “preventiva iscrizione in apposito tariffario disposta con provvedimento dell'Agenzia” del prezzo di vendita al pubblico comunicato dal soggetto autorizzato alla commercializzazione.
In ambito comunitario, come già accennato, la direttiva 2008/118/CE, oltre a disciplinare il regime generale delle accise, stabilisce alcuni principi fondamentali in ordine all’imposizione sui “prodotti diversi dai prodotti sottoposti ad accisa”, al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno.
Le accise c.d. “armonizzate” riguardano esclusivamente:
a) prodotti energetici ed elettricità di cui alla direttiva 2003/96/CE;
b) alcole e bevande alcoliche di cui alle direttive 92/83/CEE e 92/84/CEE;
c) tabacchi lavorati di cui alle direttive 95/59/CE, 92/79/CEE e 92/80/CEE.
Relativamente ai prodotti già sottoposti ad accisa, l’art. 1, par. 2, della direttiva stabilisce che “Gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l'imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell'imposta”.
Relativamente ai prodotti “diversi dai prodotti sottoposti ad accisa”, gli Stati membri rimangono tuttavia liberi di applicare altre forme di imposizione purché l’applicazione di tali imposte non comporti “negli scambi tra Stati membri, formalità connesse all'attraversamento delle frontiere” (art. 1, par. 3).
In sostanza, le norme comunitarie consentono agli Stati membri di introdurre altre forme di imposizione indiretta sui prodotti per i quali già sussiste un’accisa armonizzata nonché di introdurre accise non armonizzate.
E’ significativo che l’ordinamento comunitario, per non privare gli Stati membri di un efficace strumento di politica economica, abbia lasciato ad essi ampio margine di discrezionalità sia nella scelta delle aliquote delle accise armonizzate (essendo previste solo aliquote minime), sia nell’istituire prelievi aventi specifiche finalità quand’anche gravanti su prodotti già soggetti ad accisa armonizzata.
A ciò si aggiunge la possibilità di tassare la produzione o il consumo di beni estranei al processo di armonizzazione, la quale non è legata alla necessità di perseguire specifiche finalità ma può essere giustificata anche soltanto da esigenze di bilancio.
3.2. La disamina della normativa comunitaria applicabile alla fattispecie consente di confutare agevolmente l’affermazione di parte ricorrente secondo cui la disciplina generale delle imposte sui consumi sarebbe integralmente riservata alla fonte comunitaria.
Il processo di armonizzazione, per quanto qui interessa, ha infatti riguardato esclusivamente (oltre l’imposta sul valore aggiunto) le accise gravanti su alcol, tabacchi e prodotti energetici.
Inoltre, poiché i “prodotti succedanei dei prodotti da fumo” non sono sottoposti ad accisa, l’imposta speciale di consumo istituita dallo Stato italiano non deve osservare i requisiti previsti dall’art. 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE, bensì soltanto quelli del par. 3 del medesimo articolo.
Non è necessario, cioè, che l’imposizione abbia una finalità specifica, né che essa rispetti le regole di imposizione applicabili ai fini dell’Iva o delle accise armonizzate per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l’esigibilità ed il controllo dell’imposta.
A parere del Collegio, non vi è, poi, neanche violazione della Direttiva 2006/112/CE relativa al sistema di imposta comune sul valore aggiunto.
Ai sensi dell’art. 401 le disposizioni di siffatta direttiva consentono ad uno Stato membro di mantenere o introdurre “imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e qualsiasi imposta, diritto o tassa”, a condizione che esse non abbiano il carattere di imposta sul volume d'affari (e che non diano luogo “negli scambi fra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera”).
Le caratteristiche essenziali dell’imposta sul valore aggiunto sono le seguenti.
L’IVA si applica in modo generale alle operazioni aventi ad oggetto beni o servizi; è proporzionale a detti beni e servizi, a prescindere dal numero di operazioni effettuate; viene riscossa in ciascuna fase del procedimento di produzione e distribuzione; si applica sul valore aggiunto dei beni e dei servizi, in quanto l’imposta dovuta in occasione di una operazione viene calcolata previa detrazione di quella che è stata versata all’atto della precedente operazione (cfr., in materia, Corte di Giustizia, sentenza 9 marzo 2000, in causa C- 437/97, Wien e Wein & Co. HandelsgesmbH contro Oberösterreichische Landesregierung),
Nel caso oggi in rilievo, invece, l’imposta:
- è destinata a colpire un bene specifico;
- è a struttura monofase, in quanto diviene esigibile al momento dell’immissione in consumo e non vi è un meccanismo di deduzione analogo a quello dell’IVA;
- concorre essa stessa a formare il valore finale del prodotto per cui l’IVA (come avviene nei prodotti soggetti ad accisa) grava anche sulla stessa imposta;
- non è a rivalsa obbligatoria, né è vero che un effetto analogo si avrebbe a causa della sottoposizione del prodotto ad un regime tariffario in quanto, come in precedenza evidenziato, le imprese rimangono, almeno sul piano giuridico – formale, libere di fissare il prezzo di vendita del prodotto e quindi di scegliere in quale misura traslarne il peso sul consumatore.
Non vi è, infine, contrasto con altre norme dei Trattati ovvero con principi di carattere generale.
In particolare:
- non è violato l’art. 30 del TFUE (“ i dazi doganali all'importazione o all'esportazione o le tasse di effetto equivalente sono vietati tra gli Stati membri. Tale divieto si applica anche ai dazi doganali di carattere fiscale”), in quanto l’imposta si applica tanto ai prodotti nazionali quanto a quelli di provenienza comunitaria;
- non sono violati gli artt. 34 e 35, relativi al divieto di restrizioni quantitative all'importazione e/o all’esportazione, ovvero di qualsiasi misura di effetto equivalente, in quanto, anche in questo caso, l’imposta si applica a tutti i prodotti immessi in commercio nel territorio dello Stato;
- non è violato il principio di non discriminazione di cui all’art. 110 (“Nessuno Stato membro applica direttamente o indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne, di qualsivoglia natura, superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari [...]”), in quanto l’imposta che si applica ai prodotto comunitari è uguale a quella che si applica sui prodotti nazionali.
3.3. In definitiva, reputa il Collegio che l’art. 62 –quater del TUA, non debba essere disapplicato in quanto incompatibile con i parametri comunitari evocati e che, comunque, non sia necessario rimettere alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale posta dalle ricorrenti.”.
4. Come già ricordato, la Sezione ha però ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 23, 41 e 97 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 62 – quater del d.lgs. n. 504, introdotto dall'art. 11, comma 22, D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 99, nella parte in cui:
- ha assoggettato alla preventiva autorizzazione da parte dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli la commercializzazione dei prodotti “succedanei dei prodotti da fumo”, definiti come i “prodotti contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati nonché i dispostivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo”;
- ha sottoposto, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i medesimi prodotti “ad imposta di consumo nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico”.
4.1. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 83 del 15 maggio 2015, ha dichiarato “l'illegittimità costituzionale dell'art. 62-quater del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), nel testo originario, antecedente alle modifiche apportate dall'art. 1, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188 (Disposizioni in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi, a norma dell'articolo 13 della legge 11 marzo 2014, n. 23), nella parte in cui sottopone ad imposta di consumo, nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico, la commercializzazione dei prodotti non contenenti nicotina, idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati, nonché i dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo”.
Nel contesto della motivazione la Corte ha messo in luce quanto segue.
In primo luogo, essa ha precisato che “La questione conserva la sua rilevanza nel giudizio a quo, anche a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 1, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188 (Disposizioni in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi, a norma dell articolo 13 della legge 11 marzo 2014, n. 23).
Tale disposizione ha modificato l'art. 62-quater, con l'inserimento del comma 1-bis, il quale assoggetta i prodotti da inalazione senza combustione, contenenti o meno nicotina, e costituiti da sostanze liquide, a un'imposta modellata in termini radicalmente differenti rispetto a quelli della norma oggetto di censura.
Peraltro, la disposizione originaria dell'art. 62-quater, che già aveva trovato attuazione con la normativa di carattere secondario, oggetto di impugnazione nel giudizio a quo, non è stata abrogata. Il citato art. 1, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 188 del 2014, dispone espressamente, all'ultimo capoverso, che dalla data di entrata in vigore della nuova disciplina (24 dicembre 2014) «cessa di avere applicazione l'imposta prevista dal comma 1, le cui disposizioni continuano ad avere applicazione esclusivamente per la disciplina delle obbligazioni sorte in vigenza del regime di imposizione previsto dal medesimo comma».
L'operatività della precedente disciplina impositiva viene dunque circoscritta alle obbligazioni tributarie sorte nella vigenza di essa. Così delimitato l'ambito di efficacia della disposizione censurata, permane la rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 62-quater, nella formulazione in vigore sino al 23 dicembre 2014.
Del resto, non forma oggetto di contestazione tra le parti - le quali, anzi, vi hanno fatto espressamente riferimento nel corso della discussione orale all'udienza del 14 aprile 2015 - la circostanza che le stesse abbiano avanzato richiesta di autorizzazione al commercio di prodotti succedanei dei prodotti da fumo e che tale attività sia stata effettivamente svolta nel corso dell'anno 2014, nella vigenza della precedente disciplina. La titolarità dell'autorizzazione in capo alle parti ricorrenti e lo svolgimento dell'attività autorizzata hanno quindi determinato l'insorgere dell'obbligazione tributaria nella vigenza della disciplina previgente, oggetto di censura da parte del rimettente”.
4.2. Dopo avere respinto l'eccezione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per il mancato assolvimento dell'obbligo di interpretazione conforme da parte del giudice a quo, la Corte ha poi affermato che “anche in materia tributaria, il principio della discrezionalità e dell'insindacabilità delle opzioni legislative incontra il limite della manifesta irragionevolezza, che nel caso in esame risulta varcato dalla indiscriminata sottoposizione ad imposta di qualsiasi prodotto contenente «altre sostanze», diverse dalla nicotina, purché idoneo a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati, nonché dei dispositivi e delle parti di ricambio, che ne consentono il consumo, e in definitiva di prodotti che non hanno nulla in comune con i tabacchi lavorati.
La violazione del parametro di cui all'art. 3 Cost. va ravvisata nell'intrinseca irrazionalità della disposizione che assoggetta ad un'aliquota unica e indifferenziata una serie eterogenea di sostanze, non contenenti nicotina, e di beni, aventi uso promiscuo”.
Inoltre, secondo la Corte, appare “del tutto irragionevole l'estensione, operata dalla disposizione censurata, del regime amministrativo e tributario proprio dei tabacchi anche al commercio di liquidi aromatizzati e di dispositivi per il relativo consumo, i quali non possono essere considerati succedanei del tabacco.
La sola indicazione dell'idoneità a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati - riferita ai prodotti non contenenti nicotina, e ai dispositivi che ne consentono il consumo - evidenzia, inoltre, l'indeterminatezza della base imponibile e la mancata indicazione di specifici e vincolanti criteri direttivi, idonei ad indirizzare la discrezionalità amministrativa nella fase di attuazione della normativa primaria. Discende da ciò il contrasto della disposizione in esame con la riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte, di cui all'art. 23 Cost.”, in particolare in quanto “la norma dell'art. 62-quater del d.lgs n. 504 del 1995, affida ad una valutazione soggettiva ed empirica - la idoneità di prodotti non contenenti nicotina alla sostituzione dei tabacchi lavorati - l'individuazione della base imponibile e nemmeno offre elementi dai quali ricavare, anche in via indiretta, i criteri e i limiti volti a circoscrivere la discrezionalità amministrativa nella definizione del tributo. Né l'elasticità delle indicazioni legislative è accompagnata da forme procedurali partecipative, già indicate da questa Corte come possibile correttivo (sentenze n. 180 e n. 157 del 1996; n. 182 del 1994; n. 507 del 1988)”.
5. Dopo la restituzione degli atti da parte della Corte Costituzionale, su istanza di parte, è stata fissata l’udienza di discussione del 2.12.2015, in vista della quali sono state depositate dalla parte ricorrente e dalla difesa erariale, memorie conclusionali e/o di replica.
Il ricorso è stato quindi introitato per la decisione, alla pubblica udienza del 2.12.2015.
6. Il ricorso merita parziale accoglimento per il venir meno dell’efficacia, a seguito della declaratoria di incostituzionalità, della norma primaria di riferimento, nei sensi indicati dalla Corte Costituzionale.
Al riguardo, occorre infatti ricordare che, come già indicato nell’ordinanza collegiale n. 4510/2014, le disposizioni contenute nei decreti impugnati, “rappresentano soltanto la pedissequa riproduzione del contenuto della fonte primaria, la quale, al comma 1, ha previsto che “A decorrere dal 1° gennaio 2014 i prodotti contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati nonché i dispostivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo, sono assoggettati ad imposta di consumo nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico”, mentre, al comma 2, ha assoggettato la commercializzazione “dei prodotti di cui al comma 1”, alla “preventiva autorizzazione da parte dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli nei confronti di soggetti che siano in possesso dei medesimi requisiti stabiliti, per la gestione dei depositi fiscali di tabacchi lavorati [...]”.
La Sezione, ha già sottolineato che è “il legislatore ad avere direttamente individuato il presupposto di imposta e la base imponibile (quest’ultima rappresentata dai prodotti “succedanei” dei prodotti da fumo, secondo la definizione recata dal comma 1), mentre alla fonte secondaria è stato rimesso soltanto di disciplinare il “contenuto e le modalità di presentazione dell'istanza ai fini dell'autorizzazione di cui al comma 2, le procedure per la variazione dei prezzi di vendita al pubblico dei prodotti di cui al comma 1, nonché le modalità di prestazione della cauzione di cui al comma 3, di tenuta dei registri e documenti contabili, di liquidazione e versamento dell'imposta di consumo, anche in caso di vendita a distanza, di comunicazione degli esercizi che effettuano la vendita al pubblico, in conformità, per quanto applicabili, a quelle vigenti per i tabacchi lavorati”
Non era quindi nel potere del Ministro dell’Economia e delle Finanze né di specificare quali prodotti debbano ritenersi “succedanei” dei prodotti da fumo, né di stabilire una data diversa dal 1° gennaio 2014, per l’entrata in vigore del nuovo regime autorizzatorio ed impositivo.”.
6.1. Ciò posto, si pone il problema di chiarire in quale misura la declaratoria di (parziale) incostituzionalità si riverberi sui decreti impugnati, atteso che le parti hanno mostrato di avere, al riguardo, visioni non esattamente coincidenti.
6.2. In primo luogo, risulta inammissibile la prospettazione di parte ricorrente secondo cui, dalla sentenza della Corte Costituzionale, si ricaverebbe che, relativamente ai liquidi vaporizzabili contenenti nicotina, l’imposta dovrebbe comunque ritenersi illegittima per il solo fatto di essere stata modulata in modo indipendente dalla quantità e dalla percentuale di nicotina presente nei liquidi stessi, dovendo piuttosto essere calibrata in ragione della concentrazione della sostanza medesima.
Si tratta, a parere del Collegio, di una conseguenza che in alcun modo può essere ricavata dalla pronuncia della Corte, la quale ha espunto dall’ordinamento esclusivamente quella parte della disposizione primaria “che sottopone ad imposta di consumo, nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico, la commercializzazione dei prodotti non contenenti nicotina, idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati, nonché i dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo”.
E’ qui sufficiente evidenziare che, una volta esclusa la sussistenza di profili di sospetta incostituzionalità in relazione ai prodotti contenenti nicotina, il concreto meccanismo impositivo prescelto non può che rappresentare l’espressione di una insindacabile scelta di merito da parte del legislatore, anche tenuto conto delle plurime finalità, non solo di carattere sanitario, che possono essere perseguite attraverso l’introduzione di una imposta di consumo.
Può invece convenirsi con la parte ricorrente circa il fatto che la declaratoria di incostituzionalità abbia tuttavia investito anche l’inclusione, nella base imponibile, dei dispositivi e degli accessori che consentono il consumo di tutti i prodotti cui fa riferimento l’art. 62 –quater, comma 1, del TUA, per l’ “intrinseca irrazionalità della disposizione che assoggetta ad un'aliquota unica e indifferenziata una serie eterogenea di sostanze, non contenenti nicotina, e di beni, aventi uso promiscuo” (Corte Cost., sentenza cit.).
7. In definitiva, per quanto argomentato, il ricorso e i motivi aggiunti meritano parziale accoglimento, con il conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati nella parte in cui danno attuazione alle disposizioni di fonte primaria dichiarate incostituzionali.
Appare equo, in ragione della novità e complessità delle questioni, compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio e gli onorari di difesa.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. II^, definitivamente pronunciando sul ricorso e i motivi aggiunti di cui in premessa, li accoglie in parte e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati nella parte in cui danno attuazione alle disposizioni dichiarate incostituzionali dalla Consulta con sentenza n. 83 del 15 maggio 2015.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente
Silvia Martino, Consigliere, Estensore
Carlo Polidori, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/01/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)