IMMIGRAZIONE & PROCESSO:
sulla rilevanza del comportamento delle parti
ai fini del decidere
(T.A.R. Lazio, Sez. I ter,
sentenza 7 gennaio 2016, n. 154)
Semplicemente una bella pagina di processo amministrativo.
Garbata, logica ed efficace, giusta.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2825
del 2011, proposto da: Ata Ul Mohsin Malik, rappresentato e difeso dagli avv.ti
Micaela Grandi e Renato Caruso, con domicilio eletto presso Renato Caruso in
Roma, Via C. Colombo, 436;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del
legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura
Generale dello Stato;
per l'annullamento
del provvedimento di rigetto della
richiesta di concessione della cittadinanza italiana.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio
del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa, incluse
le Ordinanze istruttorie n.8205/2014 del 25.7.2014, n.12184/2014 del
03.12.2014, n.9976/2015 del 21.7.2015;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno
26 novembre 2015 il Consigliere Pietro Morabito e uditi per le parti i
difensori come specificato nel verbale;
FATTO e DIRITTO
I)- Espone in fatto il cittadino
extracomunitario ricorrente che l’istanza, da esso prodotta ai sensi dell’art.
9 c.1 lett. f), della legge n.91 del 1992 per conseguire la cittadinanza
italiana, è stata respinta traendone argomento dall’emersione istruttoria di
elementi attinenti la sicurezza della Repubblica tali da non renderne opportuna
la concessione.
Detta reiezione è stata gravata, con
l’atto introduttivo dell’odierno giudizio, deducendo che la struttura del
provvedimento impugnato fa leva esclusivamente sull’affermazione che
dall'attività informativa esperita sono emersi elementi riguardanti la
sicurezza della Repubblica tali da non rendere opportuna la concessione della
cittadinanza italiana; sicchè difetta la sua componente motivazionale non
risultando capace l’opposto diniego di individuare e comprendere quali siano i
concreti addebiti ostativi che si pongono in contrasto con le condizioni di
incensuratezza, persistente e continuativa permanenza nel territorio italiano
dal 1996, svolgimento di attività lavorativa e mantenimento del nucleo
familiare composto da coniuge e quattro figli, due dei quali nati in Italia; il
tutto con accessiva censura di inadeguata istruttoria, essendosi appunto omessa
ogni considerazione sull'ormai radicato inserimento nella società italiana in
seno alla quale il ricorrente vive con la propria famiglia, svolge - come
anzidetto - regolare attività lavorativa, frequenta abitualmente persone
italiane ed è incensurato.
L’intimata Amministrazione, costituitasi
in giudizio per il tramite del Pubblico Patrocinio, ha depositato nota contro
deduttiva ivi sostenendo l’infondatezza delle doglianze prospettate nel gravame
avversario.
Sussistendo in diritto la manifesta ed
evidente opportunità di acquisire la documentazione istruttoria sulla cui base
è stato adottato l’avversato provvedimento, la Sezione si è conseguentemente
regolata in sintonia con una prassi processuale radicata da decenni proprio con
riguardo ai provvedimenti che collegano il diniego della naturalizzazione a
motivi di sicurezza della Repubblica. A tal riguardo, difatti, la
giurisprudenza del G.a. ha costantemente affermato che il relativo obbligo di
motivazione si conforma alla natura del provvedimento e non si può configurare
nella materia de qua nei termini di cui all’art.3 L. n.241 del 1990 non essendo
sempre possibile rendere note, per ragioni di riservatezza e sicurezza, le
risultanze dell'istruttoria; ulteriormente precisando che non può ritenersi che
in questo modo venga violato il diritto di difesa dell'interessato, in quanto
l'esercizio dei diritti di difesa e garanzia di un processo equo restano
soddisfatti dall'ostensione in giudizio delle informative stesse con le cautele
previste per la tutela dei documenti classificati (cfr. Cons. Stato III Sez.,
n. 6161 del 17.12.2014; Sez. VI 2/3/09 n. 1173; 4/12/09 n. 7637). Si è quindi
adottata una prima Ordinanza istruttoria volta all’acquisizione della citata
documentazione “con le cautele ritenute necessarie dalla stessa amministrazione
procedente in ragione della natura riservata, vale a dire tutti gli stralci ed
omissis ritenuti opportuni al fine di non disvelare notizie riservate e non
pregiudicare eventuale attività di intelligence, ovvero con la produzione di
una relazione o rapporto sintetico che riassuma gli elementi rilevanti
dell’istruttoria senza rivelare le fonti informative”.
Tale decisione, notificata tardivamente
alla p.a., è stata reiterata con successiva Ordinanza n. n.12184/2014 del
03.12.2014 cui il Ministero dell’Interno ha replicato con nota del 23.2.2015
comunicando di non potere adempiere a tale incombente istruttorio, in quanto,
“pur avendo inoltrato formale richiesta di autorizzazione alla esibizione in
giudizio degli elementi emersi da documentazione classificata posti a base del
provvedimento impugnato, tali elementi sono stati ritenuti non ostensibili
dall’organismo che li ha originati”.
Una tal replica, che ha segnato una
radicale inversione di rotta rispetto all’atteggiamento collaborativo
ordinariamente prestato dall’Amministrazione per tutti gli affari di analoga
natura, ha indotto la Sezione a ritenere plausibile che fosse dovuta alla
inusuale e straordinaria delicatezza dei dati in questione; e dunque ad una
(pur ignota) circostanza specifica che imponeva di ricercare ogni cautela
consentita dall’Ordinamento nell’assumere la decisione conclusiva del presente
grado del giudizio al fine di non porre in pericolo la sicurezza nazionale,
tenuto conto dei valori espressi dagli articoli 24 e 113 della Costituzione, e
valutata la serietà delle deduzioni dell’Amministrazione sulle esigenze della
sicurezza nazionale. Si è dunque ritenuto di poter prescrivere le modalità
ostensive praticate dal massimo G.A. (cfr. Cons. St., n. 1029/2011) in
contenzioso significativamente assimilabile a quello oggetto del corrente
scrutinio; e così con l’ultima delle Ordinanze istruttorie menzionate in
epigrafe si è, testualmente, disposto “che l’Amministrazione trasmetta copia
dei medesimi atti in busta sigillata, e con tutte le ulteriori cautele che
riterrà opportune, se del caso con la indicazione degli omissis delle parti
degli atti non strettamente rilevanti e anche con riferimento alle fonti di
informazione, ovvero trasmetterà una relazione, da cui si evincano le
specifiche ragioni che possano indurre a ritenere ragionevole la sua
determinazione di non trasmettere i medesimi atti; che a seguito della
acquisizione della relativa documentazione da parte del Segretario della
Sezione, in ogni caso, il relativo esame potrà aver luogo esclusivamente da
parte del Collegio designato per la definizione del giudizio, che con la
collaborazione del medesimo Segretario - anche in data anteriore o successiva a
quella dell’udienza - potrà aprire la busta sigillata e, di conseguenza,
riporre i sigilli. Che subito dopo tali operazioni, e anche nelle more della
pubblicazione della sentenza definitiva, il Segretario della Sezione concorderà
con i responsabili dell’Amministrazione appellante la più celere restituzione
del plico sigillato”.
Le aspettative della Sezione - che pur
riteneva giustificabile dall’eccezionalità del caso la produzione di una
Relazione (non riassuntiva degli elementi rilevanti dell’istruttoria svolta in
sede amministrativa, ma) quantomeno esplicativa delle “specifiche ragioni
che possano indurre a ritenere ragionevole la sua determinazione di non
trasmettere i medesimi atti”- sono state disattese avendo la Direzione
Centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze del Ministero
partecipato, con nota datata 18.11.2015, che l’Organismo che ha acquisito gli
elementi informativi attinenti la sicurezza della Repubblica si è ancora una
volta opposto al loro deposito in giudizio per, allo stato non più
comprensibili, “esigenze di riservatezza connesse col patrimonio informativo
dell’Organismo stesso”.
Orbene, l’atteggiamento di chiusura di
detto Organismo:
- urta con la giurisprudenza, ripetesi
pacifica, omogenea e radicata, del Consiglio di Stato secondo la quale in
presenza della classifica di riservatezza sugli atti istruttori preordinati
all’adozione del decreto recante il diniego di concessione della cittadinanza,
correttamente l’Amministrazione omette di indicarne il contenuto, al fine di
non estendere la loro conoscenza a soggetti privi della prescritta abilitazione
rilasciata dall’Autorità preposta alla tutela del segreto di Stato. Tuttavia,
nel rispetto del principio del contraddittorio e, quindi, di parità delle parti
di fronte al giudice (c.d. parità delle armi), la conoscenza del documento deve
essere comunque consentita in corso di giudizio al difensore dello straniero.
In sostanza, in presenza di informative con classifica di “riservato” il
richiamo ob relationem al contenuto delle stesse può
soddisfare le condizioni di adeguatezza della motivazione, mentre l’esercizio
dei diritti di difesa e la garanzia di un processo equo restano soddisfatti
dall’ostensione in giudizio delle informative stesse con le cautele e garanzie
previste per la tutela dei documenti classificati da riservatezza (cfr., ex
plurimis, III, n.130/2015 del 20.1.2015);
- cozza con le risultanze di un articolato
parere reso dalla I sezione del medesimo Consesso, nell’adunanza 16 aprile
2014, n. Affare 01835/2013, che proprio su richiesta del Ministero dell’Interno
ha chiarito che, sulla base dell’interpretazione sia letterale, sia
costituzionalmente orientata delle disposizioni di legge date dall’art. 24
della legge n. 241 del 1990 e dall’art. 42 della legge n. 124 del 2007, si può
ragionevolmente affermare che l’Amministrazione, ferma restando l’autonomia
decisionale correlata all’esercizio della potestà discrezionale, non può negare
in via assoluta l’ostensione della documentazione classificata, prodotta o
comunque detenuta per ragioni inerenti le proprie funzioni istituzionali, né
tantomeno non ottemperare all’ordine del Giudice di rendere disponibile tale
documentazione, laddove l’accesso si renda necessario per difendere interessi
giuridici di chi ne abbia legittimamente titolo;
- è controproducente in quanto
l’accoglimento del gravame - [che costituisce in tale evenienza una soluzione
processualmente obbligata alla luce di un assunto (l’emersione istruttoria di
elementi attinenti la sicurezza della Repubblica tali da non renderne opportuna
la concessione) rivelatosi, di fatto, privo del minimo supporto e, dunque,
apodittico] - e l’effetto conformativo dallo stesso rinveniente, non consentono
all’amministrazione (che rimane tenuta a definire l’istanza del ricorrente
vittorioso e dunque a rinnovare il potere già esercitato) di denegare la
concessione invocata sulla base di un iter motivazionale che
il Giudice ha reputato illegittimo cassando l’atto che dallo stesso iter traeva
sostegno e supporto. Altrimenti detto, se l’obiettivo avuto di mira
dall’Organismo era quello di precludere la naturalizzazione italiana dello
straniero, il contegno serbato si rivela ben più funzionale al conseguimento
del risultato opposto;
- contrasta, a ben vedere, anche con
l’art. 113 della Costituzione. E difatti se fosse consentito
all’amministrazione addebitare a taluno una data condotta (pur contrastante con
i valori repubblicani) senza poi fornirne, in sede processuale, indizio alcuno
a sostegno della stessa, ci si troverebbe di fronte ad un atto,
sostanzialmente, inoppugnabile (o, il che è lo stesso, nei cui confronti
sarebbe inutile gravarsi); e tanto con chiara violazione della norma
costituzionale sopra richiamata e con la giurisprudenza del Giudice delle Leggi
che da tempo ha affermato che il diritto alla tutela giurisdizionale va
annoverato “tra i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in
cui è intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l’assicurare a
tutti e sempre, per qualsiasi controversia un giudice e un giudizio” (così,
Corte costituzionale n. 18/1982), ulteriormente escludendo che vincoli
derivanti da valutazioni compiute da organi amministrativi possano condizionare
la libertà di apprezzamento del giudice sul punto centrale della controversia
e, quindi, compromettere la possibilità per le parti di far valere i propri
diritti dinnanzi all’Autorità giudiziaria con i mezzi offerti in generale
dall’ordinamento giuridico (Corte cost. n. 70/1961).
In conclusione il ricorso in epigrafe deve
essere accolto.
Le spese di lite possono compensarsi tra
le parti in causa; e ciò per la ragione che le stesse dovrebbero gravare - non
sulla Direzione Centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze
del Ministero che si è resa portavoce di quanto sopra, ma - sull’Organismo
sopra citato (e, in ultimo, sul dirigente che tale condotta ha avallato), che
però non è parte in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
il Lazio (Sezione Seconda Quater), accoglie, per le ragioni rassegnate in parte
motiva, il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento con
lo stesso impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 26 novembre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Leonardo Pasanisi, Presidente
Pietro Morabito, Consigliere, Estensore
Francesco Arzillo, Consigliere
|
||
|
||
L'ESTENSORE
|
IL PRESIDENTE
|
|
|
||
|
||
|
||
|
||
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/01/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
Nessun commento:
Posta un commento