RISARCIMENTO:
sussiste la responsabilità aquiliana della P.A.
in caso di attuazione tardiva del giudicato
(T.A.R. Calabria, Reggio Calabria,
sentenza 22 novembre 2012 n. 695).
Sentenza interessantissima.
Non rilevato il difetto di giurisdizione a favore del G.O.; esteso l'effetto conformativo del giudicato d'annullamento al "bene della vita" o al suo surrogato per equivalente; applicazione dell'art. 2043 c.c. per violazione dei canoni di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c.; mancata applicazione dell'art. 1227 c.c. per l'omessa attivazione del ricorrente in sede di ottemperanza.
Chi ne ha altre aggiunga, prego ...
FF
Massima
1. In materia di appalti, e più in generale negli ambiti in cui si esplica un’attività economica soggetta alle regole del mercato, il “fattore tempo” è un elemento di estremo rilievo, in quanto il suo eccessivo protrarsi può determinare il mutamento delle condizioni economiche in base alle quali è stata presentata una determinata offerta in sede di gara ed avere dunque una pesante incidenza sulla convenienza economica dell’attività da svolgere.
2. Nel caso di specie, l’offerta è stata formulata nell’ambito della procedura ad evidenza pubblica che ha avuto luogo nei primi mesi del 2004; lo stesso giudicato si è formato nel 2005, l'aggiudicazione provvisoria e l'offerta della P.A. di stipulare il contratto risale al 2009, ed il ricorso per risarcimento dei danni da ritardata esecuzione del giudicato al 2009 stesso.
3. Dopo un giudicato da cui deriva l’obbligo dell’Amministrazione di aggiudicare e stipulare con la parte vittoriosa in giudizio, la responsabilità per mancata stipulazione non può essere qualificata come responsabilità precontrattuale, ma come responsabilità per inosservanza degli obblighi derivanti dal giudicato. Infatti un conto è la conduzione di una trattativa contrattuale, da cui non deriva mai un obbligo di stipulare un contratto, ma solo l’obbligo del rispetto dei principi di buona fede (con conseguente responsabilità precontrattuale in caso di inosservanza), un conto è essere obbligati, in virtù di un giudicato, a procedere ad aggiudicazione e stipulazione (cfr. Cons. Stato VI 11 gennaio 2010 n. 20).
4. Ciò precisato, sussistono nel caso in esame i presupposti per ritenere integrata la fattispecie di cui all’art. 2043 c.c.
E’ ravvisabile innanzi tutto l’ingiustizia del danno, sotto il duplice profilo del danno arrecato non iure e contra ius. Che le imprese ricorrenti avessero diritto all’aggiudicazione della gara è circostanza incontestabile, stabilita dalla sentenza n. 865/2004. L’inerzia serbata dall’Amministrazione per un lungo periodo di tempo non trova giustificazione alcuna. Peraltro la difesa del Comune non adduce alcuna argomentazione in ordine al ritardo nel compimento degli atti necessari all’esecuzione della sentenza sopra citata.
Sussiste dunque anche il carattere gravemente colposo del comportamento serbato dall’amministrazione, avendo la stessa ritardato, per un lungo lasso di tempo, di rideterminarsi in ordine alla riaggiudicazione dell’appalto in palese violazione del giudicato di questo Tribunale. In ogni caso, deve ricordarsi, la Corte di Giustizia CE, Sez. III - 30 settembre 2010 (C-314/09) ha a chiare lettere affermato che la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento, a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un'amministrazione aggiudicatrice, al carattere colpevole di tale violazione, finanche se la normativa preveda una presunzione di colpevolezza vincibile solo attraverso la dimostrazione della scusabilità dell’errore. Nel caso di specie peraltro, come già rilevato, nessuna deduzione è stata spiegata per prospettare l’eventuale scusabilità dell’errore.
5. Sussiste altresì il nesso di causalità tra il comportamento serbato dall’Amministrazione e il mancato ottenimento dell’appalto, considerato che il rifiuto alla stipulazione da parte delle ricorrenti non può quindi essere considerato come comportamento rinunziatario, sintomo di disinteresse delle imprese, ma come legittimo esercizio di una facoltà prevista dalla legge, a fronte di un comportamento ingiustificatamente dilatorio ed omissivo della stazione appaltante.
Dunque, sussistono tutti i presupposti per l’imputazione del danno all’amministrazione.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
la Calabria
Sezione Staccata di Reggio Calabria
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 56 del 2009,
proposto da:
T&M Costruzioni e Servizi S.r.l., in persona del legale rappresentante pro
tempore, Trivel Sud di Talarico Antonio, in persona del legale rappresentante,
ATI T&M Costruzioni e Servizi S.r.l. e Trivel Sud di Talarico Antonio,
rappresentati e difesi dall'avv. Massimiliano Carnovale, con domicilio eletto
presso lo Studio dell’avv. Mario Antonio Plutino in Reggio Calabria, via
Bolzano n. 12;
contro
Comune di Caulonia, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Michele Salazar e Katiuscia
Dimasi, con domicilio eletto presso lo Studio del primo in Reggio Calabria, via
Re Ruggero, 9;
per la condanna
del Comune di Caulonia al risarcimento del danno
derivante dall’annullamento, in sede giurisdizionale, della determinazione n
104 del 14 04..2004 con cui è stata disposta l'aggiudicazione definitiva
dell'appalto dei lavori di bonifica del dissesto idrogeologico - rupe centro
storico nel Comune di Caulonia.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di
Caulonia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 ottobre
2012 la dott.ssa Valentina Mameli e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO e DIRITTO
1) Le società ricorrenti, quali componenti dell’ATI
T&M Costruzioni e Servizi S.r.l. e Trivel Sud di Talarico Antonio,
partecipavano alla gara indetta dal Comune di Caulonia per l’esecuzione di
lavori di bonifica del dissesto idrogeologico – Rupe Centro storico nel Comune
di Caulonia Centro, per l’importo a base di gara di € 1.668.835,03, di cui €
25.000,00 per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso.
La gara veniva aggiudicata all’ATI Circosta Costruzioni.
Le odierne ricorrenti promuovevano ricorso, chiedendo
l’annullamento dell’aggiudicazione, oltre al risarcimento del danno.
Con sentenza n. 865 del 12/11/2004 questo Tribunale
accoglieva il ricorso quanto alla domanda di annullamento dell’aggiudicazione.
In ordine alla domanda risarcitoria, invece, la sentenza stabiliva che “non
può trovare ingresso nel presente giudizio la richiesta di risarcimento del
danno in quanto proposta in modo generico senza la prova di tutti gli elementi
costitutivi del danno per fatto illecito”.
In data 22 febbraio 2005 il Comune chiedeva alle
ricorrenti, ai fini della stipula del contratto, la produzione dei seguenti
documenti: certificato camerale recante l’informazione di cui all’art. 9 DPR n.
252/1998 e l’indicazione di eventuali fallimenti; certificato carichi pendenti;
certificato casellario giudiziario; certificato SOA in originale.
In data 7 dicembre 2006 le società ricorrenti
diffidavano il Comune a corrispondere il risarcimento del danno e formulavano
istanza di accesso agli atti. Il Comune riscontrava l’istanza di accesso in
data 23/01/2007.
Con determina n. 87 del 24 aprile 2007 il Comune, in
esecuzione della sentenza del Tribunale, procedeva ad aggiudicare l’appalto in
via provvisoria alle ricorrenti, dandone comunicazione alle interessate in pari
data e richiedendo la produzione dei documenti già richiesti nel 2005, oltre al
DURC.
Le ricorrenti, in data 11/05/2007, depositavano presso
gli uffici i documenti richiesti.
Con determina n. 114 del 22 maggio 2007 il Comune,
preso atto della documentazione depositata dalle imprese e verificata la conformità
a legge della stessa, disponeva l’aggiudicazione definitiva in favore dell’ATI,
autorizzando la stipula del contratto.
In data 6 novembre 2007 il responsabile dell’area
tecnica, in esecuzione della determina n. 144/2007, invitava le società a depositare
i documenti già richiesti, oltre all’atto costitutivo ATI in originale.
Seguiva, in data 14 novembre 2007, una comunicazione
del legale delle ricorrenti con la quale le società, contestando il
comportamento dilatorio tenuto dall’Amministrazione, dichiaravano di non voler
procedere alla stipula del contratto, in considerazione del tempo trascorso che
aveva determinato il mutamento delle condizioni e dei presupposti del lavoro,
riservandosi di richiedere il risarcimento del danno.
Indi con atto notificato in data 26 gennaio 2009 al
Comune di Caulonia proponevano il ricorso oggi in esame, per chiedere il
risarcimento del danno derivante sia dalla mancata aggiudicazione della gara
sia dal ritardo nell’esecuzione della sentenza n. 865 del 12/11/2004.
Si costituiva in giudizio il Comune di Caulonia,
chiedendo il rigetto del ricorso.
In prossimità dell’udienza pubblica fissata per il 24
ottobre 2012, le parti hanno depositato memorie e repliche ai sensi dell’art.
73 cod. proc. amm. Indi la causa è stata trattenuta in decisione.
2) Il Comune ha eccepito l’inammissibilità del ricorso
per sopravvenuto giudicato sulla richiesta risarcitoria, deducendo che nel
ricorso iscritto al RG n. 1332/2004, conclusosi con la sentenza n. 865 del
12/11/2004, le imprese ricorrenti avevano formulato domanda di risarcimento del
danno patito per la mancata aggiudicazione della gara, e che detta domanda era
stata rigettata dal Tribunale.
In replica all’eccezione di inammissibilità le
ricorrenti argomentano che nel ricorso RG n. 1332/2004 la domanda risarcitoria
era stata posta “in termini meramente apodittici” (cfr. pag. 6 memoria
di replica depositata in data 1° ottobre 2012) e che su tale domanda non vi
sarebbe stata una pronuncia di rigetto, tant’è che nel dispositivo della sentenza
non vi sarebbe alcuna statuizione a riguardo.
Esaminando il fascicolo del ricorso RG 1332/2004, il
Collegio osserva che le imprese ricorrenti avevano formulato, in quella sede,
domanda risarcitoria nei seguenti termini: “La declaratoria di illegittimità
degli atti impugnati comporterà l’aggiudicazione dell’appalto all’ATI
ricorrente, quale reintegrazione in forma specifica, connessa alla definitività
delle operazioni di gara rappresentate nel verbale del 5.2.04. Tuttavia essa
non potrà ristorare il pregiudizio sofferto, dovendosi ad essa aggiungere il
danno corrispondente alle lavorazioni (eventualmente) eseguite dalla attuale
aggiudicataria che può essere quantificato nel 10% dell’importo dei lavori,
oltre quanto determinato dall’Ecc.mo Tribunale in via equitativa per altre
ragioni (perdita di chances, inutilizzo totale o parziale dei mezzi e delle
risorse umane aziendali, aggravi finanziari)”.
Rispetto alla domanda così formulata il Tribunale ha
ritenuto, con la sentenza n. 865 del 12/11/2004, che “non può trovare
ingresso nel presente giudizio la richiesta di risarcimento del danno in quanto
proposta in modo generico senza la prova di tutti gli elementi costitutivi del
danno per fatto illecito”.
La sentenza è passata in giudicato (circostanza
pacifica tra le parti).
Il Collegio non condivide l’assunto di parte
ricorrente, secondo il quale sulla domanda risarcitoria non vi sarebbe stata,
da parte del Tribunale, una pronuncia di rigetto. Il chiaro riferimento della
sentenza all’assenza di prova è di per sé indicativo del fatto che il Tribunale
ha esaminato la domanda, ritenendola tuttavia generica e non supportata dalla
necessaria dimostrazione degli elementi costitutivi del danno. L’aver posto la
domanda “in termini meramente apodittici” è una scelta delle ricorrenti,
che tuttavia non “dequota” certo l’istanza, ritualmente introdotta nel giudizio
e scrutinata dal Tribunale. Il dispositivo, che secondo le ricorrenti non
recherebbe un’esplicita statuizione in ordine alla domanda risarcitoria, deve
invece essere letto unitamente alla (essenziale) parte motivazionale della
sentenza, cui, peraltro, il dispositivo espressamente rinvia laddove accoglie
il ricorso “nei sensi indicati in motivazione”.
Stabilito dunque che il Tribunale, con la sentenza n.
865/2004, si è pronunciato sulla domanda risarcitoria e che la sentenza è
passata in giudicato, il ricorso oggi all’esame, nella parte in cui si chiede
il risarcimento del danno a seguito dell’illegittima aggiudicazione della gara,
deve essere dichiarato inammissibile, essendo tale domanda coperta dal
giudicato formatosi in relazione alla sentenza n. 865 del 12/11/2004.
3) Le ricorrenti avanzano altresì domanda risarcitoria
per l’illegittima condotta tenuta dal Comune di Caulonia successivamente alla
sentenza del Tribunale. Lamentano in sostanza il ritardo nell’esecuzione della
sentenza, ovvero nella riaggiudicazione della gara a seguito della decisione,
protrattosi per così tanto tempo da indurre le imprese ricorrenti a rifiutare
la stipula del contratto, alla quale sono state invitate in data 6 novembre
2007, non avendovi più convenienza.
Ad avviso del Collegio la domanda è fondata, con le
precisazioni di cui infra.
Giova ricordare che in occasione della partecipazione
alla gara indetta dal Comune di Caulonia per i “lavori di bonifica del dissesto
idrogeologico rupe centro storico” l’offerta presentata dalle ricorrenti
veniva, in un primo momento, considerata la migliore per il massimo ribasso
operato. Successivamente la stazione appaltante, procedendo ad una verifica dei
prezzi unitari offerti dalle concorrenti, rettificava l’aggiudicazione,
ritenendo migliore l’offerta dell’ATI Circosta Costruzioni s.r.l. Con la
sentenza n. 865/2004 questo Tribunale ha rilevato che, sulla base del
disciplinare di gara, doveva darsi prevalenza, in caso di discordanza tra i
prezzi unitari offerti e il ribasso percentuale, a quest’ultimo, senza alcuna
possibilità di rettifica sulla base dei prezzi unitari. Sulla base di tale
rilievo veniva annullata l’aggiudicazione disposta a favore della Circosta
Costruzioni.
Risultando dunque l’ATI odierna ricorrente la migliore
offerente, con un ribasso percentuale pari a 18,672% e con un prezzo offerto di
€ 1.336.898,15, la stazione appaltante avrebbe dovuto, in esecuzione della
sentenza, aggiudicare a questa la gara, procedendo alla stipula del contratto.
Nella vicenda oggi all’esame, invece, il Comune, dopo
aver chiesto, nel febbraio 2005, i documenti necessari alla stipulazione del
contratto, soltanto con la determina n. 87 del 24 aprile 2007, dunque a
distanza di circa due anni e mezzo dalla sentenza, in esecuzione della
pronuncia del Tribunale, procedeva ad aggiudicare l’appalto in via provvisoria
alle ricorrenti, richiedendo alle imprese la produzione di una serie di
documenti (gli stessi chiesti nel 2005, oltre il DURC). Le ricorrenti
depositavano presso gli uffici i documenti richiesti in data 11/05/2007.
Successivamente, il 6 novembre 2007, il responsabile dell’area tecnica, in
esecuzione della determina n. 144/2007, invitava le società a depositare i
documenti già richiesti, oltre all’atto costitutivo ATI in originale. Seguiva,
in data 14 novembre 2007, una comunicazione del legale delle ricorrenti, con la
quale le società dichiaravano di non voler procedere alla stipula del
contratto, in considerazione del tempo trascorso che aveva determinato il
mutamento delle condizioni e dei presupposti del lavoro, riservandosi di
richiedere, comunque, il risarcimento del danno.
E’ opportuno precisare che il rifiuto alla stipula del
contratto è facoltà espressamente prevista dall’art. 11 comma 9 del D.lgs.
163/2006, qualora il contratto non venga stipulato entro il termine stabilito,
ovvero entro 60 giorni dall’aggiudicazione definitiva. Nel caso di specie,
considerato che la riaggiudicazione è stata disposta con determina del 22
maggio 2007 e che l’invito alla stipulazione è avvenuto con la comunicazione
del 6 novembre 2007, certamente non è stato rispettato il termine dei 60 giorni
previsto dalla norma sopra citata. Deve poi ricordarsi che l’art. 11 comma 6 del
D.lgs. 163/2006 stabilisce che l’offerta è vincolante per il periodo di 180
giorni (se il bando o l’invito non indicano un termine diverso).
Nel caso di specie deve poi considerarsi l’inerzia
ingiustificata tenuta dal Comune per lungo tempo (quasi tre anni) per porre in
essere gli adempimenti amministrativi discendenti dalle statuizioni del
Tribunale.
In materia di appalti, e più in generale negli ambiti
in cui si esplica un’attività economica soggetta alle regole del mercato, il
“fattore tempo” è un elemento di estremo rilievo, in quanto il suo eccessivo
protrarsi può determinare il mutamento delle condizioni economiche in base alle
quali è stata presentata una determinata offerta in sede di gara ed avere
dunque una pesante incidenza sulla convenienza economica dell’attività da
svolgere. Nel caso di specie, l’offerta è stata formulata nell’ambito della
procedura ad evidenza pubblica che ha avuto luogo nei primi mesi del 2004.
Alla luce di quanto sopra, il rifiuto alla
stipulazione da parte delle ricorrenti non può quindi essere considerato come
comportamento rinunziatario, sintomo di disinteresse delle imprese (secondo la
lettura data dalla difesa del Comune resistente), ma come legittimo esercizio
di una facoltà prevista dalla legge, a fronte di un comportamento
ingiustificatamente dilatorio ed omissivo della stazione appaltante.
Il Collegio aggiunge, in proposito, che dopo un
giudicato da cui deriva l’obbligo dell’Amministrazione di aggiudicare e
stipulare con la parte vittoriosa in giudizio, la responsabilità per mancata
stipulazione non può essere qualificata come responsabilità precontrattuale, ma
come responsabilità per inosservanza degli obblighi derivanti dal giudicato.
Infatti un conto è la conduzione di una trattativa contrattuale, da cui non
deriva mai un obbligo di stipulare un contratto, ma solo l’obbligo del rispetto
dei principi di buona fede (con conseguente responsabilità precontrattuale in
caso di inosservanza), un conto è essere obbligati, in virtù di un giudicato, a
procedere ad aggiudicazione e stipulazione (cfr. Cons. Stato VI 11 gennaio 2010
n. 20).
Ciò precisato, sussistono nel caso in esame i
presupposti per ritenere integrata la fattispecie di cui all’art. 2043 c.c.
E’ ravvisabile innanzi tutto l’ingiustizia del danno,
sotto il duplice profilo del danno arrecato non iure e contra
ius. Che le imprese ricorrenti avessero diritto all’aggiudicazione della
gara è circostanza incontestabile, stabilita dalla sentenza n. 865/2004.
L’inerzia serbata dall’Amministrazione per un lungo periodo di tempo non trova
giustificazione alcuna. Peraltro la difesa del Comune non adduce alcuna
argomentazione in ordine al ritardo nel compimento degli atti necessari
all’esecuzione della sentenza sopra citata.
Sussiste dunque anche il carattere gravemente colposo
del comportamento serbato dall’amministrazione, avendo la stessa ritardato, per
un lungo lasso di tempo, di rideterminarsi in ordine alla riaggiudicazione
dell’appalto in palese violazione del giudicato di questo Tribunale. In ogni
caso, deve ricordarsi, la Corte di Giustizia CE, Sez. III - 30 settembre 2010
(C-314/09) ha a chiare lettere affermato che la direttiva del Consiglio 21
dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di
ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di
lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992,
92/50/CEE, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa
nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento, a motivo
di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di
un'amministrazione aggiudicatrice, al carattere colpevole di tale violazione,
finanche se la normativa preveda una presunzione di colpevolezza vincibile solo
attraverso la dimostrazione della scusabilità dell’errore. Nel caso di specie
peraltro, come già rilevato, nessuna deduzione è stata spiegata per prospettare
l’eventuale scusabilità dell’errore.
Sussiste altresì il nesso di causalità tra il
comportamento serbato dall’Amministrazione e il mancato ottenimento
dell’appalto, considerato che, come detto sopra, la rinuncia alla stipula
formalizzata dalle imprese ricorrenti costituisce esercizio di una facoltà
pienamente giustificata nel caso di specie.
Dunque, sussistono tutti i presupposti per
l’imputazione del danno all’amministrazione.
Non resta che procedere alla relativa liquidazione
sulla base del pregiudizio allegato e provato dalle ricorrenti.
Le imprese articolano come segue la domanda
risarcitoria:
a) spese sostenute per la predisposizione della
partecipazione alla gara e quindi dell’offerta, quantificata secondo prassi
nell’importo dell’1% dell’importo originario dell’appalto (€ 1.668.835,03), e
pari quindi a € 16.688, 53;
b) (mancato) utile che sarebbe derivato
dall’esecuzione dell’appalto pari alla misura del 20% dell’importo a base
dell’appalto, al netto del ribasso offerto (ovvero pari a € 1.336.898,15),
corrispondente alla somma di € 267.379,60; in subordine nella misura del 10%
dell’importo a base dell’appalto al netto del ribasso come da art. 345 L. n.
2248/1865 All. F;
c) perdita di un ulteriore accreditamento per l’ATI e
per le imprese costituenti l’ATI, derivante dalla impossibilità di conseguire
ulteriore certificazione utile ai fini della SOA;
d) ulteriori disagi e perdite di tempo, con
inevitabili ricadute economiche derivanti dalla condotta illegittima tenuta
dall’Ente resistente e dai suoi preposti anche dopo l’annullamento della gara;
e) mancato accreditamento delle società ricorrenti.
Il Collegio precisa che i danni valutabili in questa
sede sono soltanto quelli prodottisi dopo la pronuncia della sentenza n. 865
del 12/11/2004. I danni determinatisi nel periodo antecedente rimangono coperti
dal giudicato che ha respinto la relativa domanda per difetto di prova e per
genericità. Invero le ricorrenti, nell’ambito del giudizio RG n. 1332/2004,
avevano chiesto il danno corrispondente alle lavorazioni già eseguite
dall’allora aggiudicataria, la Circosta Costruzioni. Conseguentemente devono
ritenersi inammissibili nell’odierno giudizio le voci di danno maturate prima
della sentenza n. 865/2004, in quanto hanno già formato oggetto di specifica
domanda, respinta da questo Tribunale. Pertanto dall’importo posto a base
dell’appalto, al netto del ribasso offerto, quale parametro per la
quantificazione del lucro cessante, deve essere detratto il costo
corrispondente ai lavori eseguiti dalla Circosta Costruzioni prima del deposito
della sentenza. In particolare dallo stato di avanzamento lavori n. 1,
depositato dalla parte ricorrente, si evince che fino al 3 novembre 2004
l’allora aggiudicataria ha realizzato lavori per un importo pari a €
428.854,05. Tale somma deve essere detratta, come detto, dall’importo posto a
base dell’appalto, al netto del ribasso offerto.
Il parametro di riferimento per la determinazione del
lucro cessante, sotto il profilo dell’utile di impresa, deve dunque
individuarsi nell’importo di € 908.044,1, determinato detraendo dall’importo
offerto dalle ricorrenti il costo corrispondente ai lavori realizzati
dall’allora aggiudicataria prima del deposito della sentenza.
E’ questo infatti il corrispettivo che avrebbe dovuto
essere conseguito dalle ricorrenti in caso di tempestiva riaggiudicazione, in
esecuzione della sentenza di questo Tribunale più volte citata.
Sull’importo così determinato il Collegio ritiene
congruo stabilire l’utile di impresa nel 10%, facendo riferimento, secondo la
prevalente giurisprudenza, all'art. 345 della legge 20.3.1865, n. 2248, all. F
(riprodotto dall'art. 122 del regolamento, emanato con D.P.R. 21.12.1999, n.
554 e dall'art. 37 septies, comma 1, lettera c, della legge 11.2.1994, n. 109,
ora art. 134, d.lgs. 163 del 2006).
Conseguentemente la somma da liquidare alle ricorrenti
per tale causale è di € 90.804,41.
Tale quantificazione, tuttavia, deve essere dimezzata
perché le imprese ricorrenti non hanno dimostrato di essere state
nell'impossibilità di utilizzare, durante il tempo trascorso in attesa della
riaggiudicazione dell’appalto, mezzi e maestranze per l'espletamento di altri e
diversi servizi (Cons. Stato, V 24 ottobre 2002, n. 5860; VI, 9 novembre 2006,
n. 6607; Cons. Stato, VI 13 gennaio 2012 n. 115).
Invero, come rilevato dalla giurisprudenza (cfr. Cons.
Stato, VI, 18 marzo 2011, n. 1681), ad evitare che a seguito del risarcimento
il danneggiato possa locupletare un effetto finanziario addirittura migliore
rispetto a quello in cui si sarebbe trovato in assenza dell'illecito,
dall'importo così calcolato va detratto quanto percepito dall'impresa grazie
allo svolgimento di attività lucrative diverse, nel periodo in cui avrebbe
dovuto eseguire l'appalto in contestazione. L'onere di provare (l'assenza del)
l'aliunde perceptum vel percipiendum grava sull'impresa: e ciò in
ragione della presunzione, secondo l'id quod plerumque accidit, che
l'imprenditore normalmente diligente (cfr. art. 1227 Cod. civ.) non rimane
inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma persegue occasioni
contrattuali alternative, dalla cui esecuzione trae il relativo utile (Cons.
Stato, VI 13 gennaio 2012 n. 115). A maggior ragione nella vicenda oggi
all’esame, caratterizzata dalla lunga inerzia della stazione appaltante
protrattasi per quasi tre anni, periodo nel quale non pare verosimile che le
ricorrenti siano rimaste inattive.
V’è poi un ulteriore elemento da considerare che
giustifica la riduzione della quantificazione del lucro cessante, come sopra
determinata.
Gli artt. 1227 comma 2 c.c. e 30 comma 3 cod. proc.
amm. dispongono che il risarcimento non è dovuto per i danni che si sarebbero
potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento
degli strumenti di tutela previsti.
Nel lungo tempo trascorso tra la pronuncia di questo
Tribunale che annullava la precedente aggiudicazione e il ricorso oggi
all’esame, le imprese ricorrenti si sono limitate a diffidare
l’Amministrazione, senza tuttavia porre in essere strumenti maggiormente
cogenti per far valere le proprie ragioni, quali, ad esempio, un giudizio per
ottemperanza.
Considerati gli elementi sopra evidenziati, appare
allora equo riconoscere alle imprese ricorrenti, a titolo di utile mancato, la
somma di euro 45.402,20 corrispondente al 5% della offerta presentata in gara
detratto l’importo dei lavori eseguiti prima del deposito della sentenza n.
865/2004.
Ulteriore voce di danno richiesta dalle imprese a
titolo risarcitorio consiste nella perdita di accreditamento dell’ATI e, per le
imprese costituenti l’ATI, nella perdita della possibilità di conseguire
ulteriore certificazione utile ai fine della SOA. Tali voci ritiene il Collegio
possano essere ascritte al c.d. danno curriculare, non potendo far valere le
imprese ricorrenti, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al
valore dell'appalto non eseguito.
Tale voce di danno può essere liquidata in via
equitativa. La giurisprudenza individua quale parametro di riferimento ai fini
della relativa quantificazione talvolta l’importo dell’appalto (come da offerta
presentata in gara), talvolta la somma liquidata a titolo di lucro cessante.
Il Collegio ritiene più coerente con l’interesse
sostanziale oggetto di risarcimento (ovvero l’arricchimento del proprio
curriculum professionale grazie all’esecuzione di un appalto di un determinato
valore) quantificare il danno curricolare avendo riguardo al valore
dell’offerta proposta in sede di gara. Nel caso di specie (anche per le ragioni
che hanno indotto il Tribunale alla riduzione del lucro cessante) reputa
congruo determinare nell’ 1% dell’offerta tale voce di danno, per una somma
pari a € 13.368,98.
Le ulteriori voci che formano oggetto della domanda
risarcitoria non possono invece trovare riconoscimento. Quanto alle spese
sostenute per la partecipazione alla gara, queste non possono essere riconosciute,
trattandosi di spese che, in caso di aggiudicazione, le imprese avrebbero
dovuto sostenere integralmente (Cons. Stato VI n. 2751/2008; Cons. Stato, VI,
n. 2384/2010; Tar Milano sez. I 20 giugno 2011 n. 1580), determinandosi
altrimenti per l’impresa non aggiudicataria un beneficio maggiore di quello che
deriverebbe dall’aggiudicazione.
Con riferimento agli “ulteriori disagi e perdite di
tempo con inevitabili ricadute economiche”, tale voce di danno è prospettata in
termini assolutamente generici, priva di alcuna allegazione probatoria seppur
minima: come tale non può essere presa in considerazione da parte del
Tribunale.
In conclusione la domanda risarcitoria deve essere
accolta nei limiti di cui sopra. L’Amministrazione deve pertanto essere condannata
a corrispondere a titolo di risarcimento del danno la somma complessiva di €
58.771,18.
La somma così individuata, costituendo obbligazione di
valore, deve essere annualmente rivalutata con decorrenza dal 12/11/2004 (data
di deposito della sentenza, immediatamente esecutiva, da cui conseguiva
l’obbligo dell’Amministrazione di procedere alla riaggiudicazione
dell’appalto), sino alla data di pubblicazione della presente sentenza.
Com’è noto, in tema di responsabilità
extracontrattuale da fatto illecito, sulla somma riconosciuta al danneggiato a
titolo di risarcimento occorre inoltre considerare anche il nocumento
finanziario (lucro cessante) subito a causa della mancata tempestiva
disponibilità della somma di denaro dovuta a titolo di risarcimento (somma che,
se corrisposta per tempo, avrebbe potuto essere investita per lucrarne un
vantaggio finanziario). Siffatto danno forfettariamente risarcibile a mezzo
degli interessi al saggio legale, deve essere calcolato non sulla somma
originaria, né sulla rivalutazione al momento della liquidazione, ma sulla
somma originaria rivalutata anno per anno ovvero sulla somma originaria
rivalutata in base ad un indice medio con la decorrenza già indicata, in linea
con il fondamentale insegnamento di Cass. SS.UU. n. 1712/1995.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono
liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
Sezione Staccata di Reggio Calabria
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in
epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto
condanna il Comune di Caulonia al pagamento in favore dell’impresa ricorrente
della complessiva somma di € 58.771,18 oltre rivalutazione ed interessi,
secondo quanto in premessa chiarito.
Condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese di
lite che si liquidano forfettariamente in €.2.500,00, oltre IVA e CPA come per
legge e rimborso spese generali nella misura del 12,50%. Il contributo
unificato è posto a carico dell’amministrazione soccombente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di
consiglio del giorno 24 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Ettore Leotta, Presidente
Caterina Criscenti, Consigliere
Valentina Santina Mameli, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)