giovedì 29 agosto 2013

PROCEDIMENTO: la legittimazione procedimentale e quella processuale non sono un'endiadi (Cons. St., Sez. V, sentenza 15 luglio 2013 n. n. 3824).


PROCEDIMENTO: 
la legittimazione procedimentale 
e quella processuale non sono un'endiadi 
(Cons. St., Sez. V, 
sentenza 15 luglio 2013 n. n. 3824) 

Massima

1.  La legittimazione ad agire (o "processuale") non discende automaticamente dalla pregressa partecipazione procedimentale, atteso che quest'ultima, a differenza della prima, può trovare piena giustificazione in una finalità collaborativa, che non presuppone la titolarità di una posizione giuridica qualificata e differenziata, che è invece requisito necessario per riconoscere a chi agisce la legittimazione processuale .
2.  Non può riconoscersi legittimazione a ricorrere alle associazioni sindacali quando l'interesse dedotto in giudizio riguardi una parte soltanto degli associati o in ogni caso in cui le posizioni delle categorie rappresentate possano essere tra loro contrapposte, sussistendo in questo caso un conflitto di interessi con alcuni dei suoi associati.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5186 del 2010, proposto da:
Organizzazione Sindacale Federazione Provinciale Coldiretti di Trento, in persona del legale rappresentante in carica, Mariano Ress, Quintino Filippi, Giovanni Fischer, Tullio Ress, Enrico Toscana, Rodolfo Bragagna, Francesco Chiettini, Ambrogio Tonon, Osvaldo Dallago, Costantino Filippi, Aldo Calovi, Lino Magotti, Tullio Tonon, Carmen Ferretti, Giovanni Fiamozzi, Palma Filippi, Carlo Tonon, Maurizio Tonon, Franco Fiamozzi, Emilio Ress, Franco Simoni, Carlo Viola, Franco Melchiori, Aldo Clementi, Maristella Benedetti, Massimiliano Dallago, Bruno Moser, Rocco Fontana, Franco Tait, Marco Marcon, Thomas Battisti, Benito Rossi, Nicolo' Sandri, Anna Sonn, Lina Cattani, Viola Fontana, Imelda Moscon, Bruno Moscon, Fausto Visentin e Remo Ress, rappresentati e difesi dagli avvocati Simonetta Paradisi e Andrea Maria Valorzi, con domicilio eletto presso Simonetta Paradisi in Roma, via Giovanni Nicotera, 29; 
contro
Comune di San Michele All'Adige, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Maccaferri e Armando Montarsolo, con domicilio eletto presso Armando Montarsolo in Roma, via Silvio Pellico, 42; 
nei confronti di
Gianni Fontana, Annamaria Agosti; 
per la riforma
della sentenza del Tribunale regionale di giustizia amministrativa (TRGA) - DELLA PROVINCIA DI TRENTO, n. 311/2009, resa tra le parti, concernente bandi di gara per la cessione in affitto di terreni.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di San Michele All'Adige;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 giugno 2013 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Petretti su delega dell’avvocato Valorzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. Con ricorso indirizzato al TRGA di Trento, la Federazione provinciale Coldiretti e 46 coltivatori impugnavano: a) i bandi/avvisi di gara n. 1, 2 e 3 prot. nn. 2583, 2584 e 2585 dell’11.3.2009, aventi ad oggetto la cessione in affitto, mediante asta pubblica, di appezzamenti di terreno agricolo di proprietà comunale denominati "Sort comunali" rispettivamente con durata quindicinale, quinquennale e annuale; b) la delibera del Consiglio comunale di San Michele all'Adige n. 3 del 6.3.2009, di approvazione dei suddetti bandi e del verbale di gara a firma del Segretario comunale di S. Michele all’Adige del 16.4.2009, relativo all'apertura delle offerte ed al calcolo della loro media; c) nonché ogni altro atto presupposto, connesso, conseguente e/o collegato alla procedura di gara di cui sopra.
L’atto introduttivo del giudizio proponeva le seguenti doglianze avverso i citati atti: 1) violazione dell’art. 6 del D.lgs. 18.5.2001, n. 228 che prescriverebbe, come sistema di scelta del contraente, la licitazione privata o la trattativa privata e non l’asta pubblica; 2) violazione dell’art. 39, comma 2, della L.p. 19.7.1990, n. 23 di cui non sarebbe stata rispettata la procedura; 3) in subordine, indeterminatezza dei bandi per mancata previsione della possibilità di offerta per singoli appezzamenti, ma solo per qualità di colture, nonché per illogicità e contraddittorietà; 3bis) in subordine, violazione dell’art. 4bis della legge 3.5.1982, n. 203 e dell’art. 23 della legge 11.2.1971, n. 11, in combinato disposto con l’art. 2113, comma 1, del codice civile, nella parte in cui si obbligherebbero i precedenti affittuari a rinunciare alla prelazione, in caso di offerta per un appezzamento diverso da quello precedentemente coltivato; 4) violazione dell’art. 4bis della legge 3.5.1982, n. 203 per violazione della disciplina sulla prelazione dei fondi rustici; 5) violazione dell’art. 23 della legge 11.2.1971, n. 11 e degli artt. 16 e 17 della legge 3.5.1982, n. 203 relativamente alle condizioni generali di contratto (art. 9 dei bandi) in quanto la Coldiretti non intenderebbe aderire alla controversa procedura di stipulazione dei contratti di affitto.
1.1. Con ricorso per motivi aggiunti venivano introdotte ulteriori censure: 1) violazione del principio di revisione dei corrispettivi nei contratti pubblici di durata e contraddittorietà con l’istruttoria, non risultando previsto un meccanismo di adeguamento periodico dei canoni di affitto; 2) difetto o travisamento dei presupposti, in relazione alla erronea qualificazione come vigneto di elevato pregio della coltura Teroldego negli appezzamenti fuori dalla zona DOC; 3) difetto o travisamento dei presupposti, in relazione alla erronea qualificazione come vigneti di elevato pregio degli appezzamenti privi di impianti; 4) eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà, essendo state ammesse offerte anomale.
1.2. Infine, con un secondo ricorso per motivi aggiunti, gli originari ricorrenti proponevano altre doglianze, esclusivamente funzionali, però, alla sospensione cautelare del procedimento di stipula dei contratti di affitto, a seguito della prelazione esercitata.
2. Il TRGA di Trento, con sentenza n. 311 depositata il 17 dicembre 2009, estrometteva dal giudizio la ricorrente Federazione provinciale Coldiretti e respingeva il ricorso sulla scorta delle seguenti considerazioni, quanto alle questioni preliminari, avendo valutato: 1) fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dalla Federazione provinciale Coldiretti per conflitto di interessi all’interno della categoria che l’associazione ricorrente rappresenta, reputando non sufficiente l’astratta pretesa alla legittimità degli atti impugnati, ma traguardando la legittimazione sulla scorta del concreto interesse, fatto valere; 2) infondato il difetto di legittimazione dei coltivatori; 3) infondata l’eccezione di tardività di motivi aggiunti, essendo stati notificati tali motivi entro il termine di 60 giorni dall’avvenuta pubblicazione dei bandi avversati; 4) fondata l’eccezione di difetto di giurisdizione sul quinto motivo di ricorso, essendo state con esso censurate, non le prescrizioni del bando relative al procedimento di scelta del contraente, ma le condizioni generali di contratto; 5) fondata l’eccezione di difetto di giurisdizione sul primo motivo aggiunto, con cui veniva lamentata la mancata previsione di un meccanismo di adeguamento periodico dei canoni di affitto, riguardando la pretesa lesione esclusivamente diritti soggettivi e non interessi legittimi afferenti al procedimento di scelta dei contraenti.
2.1. Quanto alle questioni di merito il primo Giudice poneva a fondamento della propria decisione le seguenti premesse: a) l’importo a base d’asta è fissato per unità di misura (metro quadrato) in base al tipo di colture; b) ciascun concorrente non può ottenere in affitto più di un appezzamento; c) è garantito ai precedenti affittuari, con contratti scaduti il 10 novembre 2008, il diritto di prelazione da esercitarsi entro 30 giorni dalla comunicazione dell’esito della gara, sulla base del prezzo medio derivante da tutte le offerte presentate; d) l’ex-affittuario che intenda esercitare il diritto di prelazione deve presentare offerta solo relativamente alla qualità dell’appezzamento avuto in affitto, oppure rinunciare alla prelazione se intende presentare offerta per appezzamenti di diversa qualità; e) gli appezzamenti rimasti da assegnare dopo l’esercizio della prelazione sono scelti dai migliori offerenti, secondo l’ordine della graduatoria.
2.2. Il TRGA di Trento riteneva infondati i molteplici motivi di censura proposti:
a) quanto al primo motivo va applicato l’art. 39 della L.p. 19.7.1990, n. 23, nella formulazione vigente ratione temporis, e non la norma statale dell’art. 6, comma 4, del D. lgs. 18.5.2001, n. 228, che prevede l’assegnazione dei terreni con licitazione privata o trattativa privata, in quanto si tratta di beni del patrimonio disponibile e non indisponibile o demaniali. Inoltre è materia rientrante nella competenza concorrente tra Stato e Provincia autonoma, ma la legge statale non assurge al rango di principio fondamentale, tanto da prevalere sulla disciplina provinciale.
b) Col secondo motivo i ricorrenti lamentavano che non sarebbe stata puntualmente seguita la procedura prescritta dall’art. 39, comma 2, della L.p. 19.7.1990, n. 23, prima della modifica portata dall’art. 45 della L.P. Trento n. 2 del 28 marzo 2009. Ma, a seguito di Corte costituzionale 28.10.2004, n. 315, la disciplina in questione non è più applicabile, tanto che la modifica contenuta nel citato art. 45 riserva il procedimento solo per l’affitto degli immobili urbani. Né trova fondamento la doglianza in merito alla mancata fissazione di requisiti soggettivi a tutela delle colture, esigenza che può essere soddisfatta in sede di stipulazione negoziale e che in astratto risulta assicurata dalla circostanza che ogni nucleo familiare può avere un solo appezzamento.
c) Anche il terzo motivo va disatteso, infatti, il sistema delle offerte per qualità di coltivazione, l’unicità delle offerte e la garanzia della prelazione parametrata, non sul canone più elevato conseguibile, ma sulla media dei prezzi offerti, sembrano rispondere pienamente a tali apprezzabili esigenze di pubblico interesse.
d) Stessa sorte merita il motivo terzo-bis sulla lesione del diritto di prelazione, perché il divieto di concorrere per ulteriori appezzamenti, oltre a quello per il quale viene esercitata la prelazione, avrebbe gravemente inciso il criterio dell’unicità dei lotti assegnabili per ciascun nucleo familiare, rispondente all’anzidetto pubblico interesse alla distribuzione dei terreni agricoli al maggior numero di coltivatori, onde evitare fenomeni di accaparramento e di concentrazione, dannosi per l’economia agricola locale.
e) Col quarto motivo si deduceva la violazione della disciplina dettata dall’art. 4bis della legge 3.5.1982, n. 203, che non sussiste in quanto non appare applicabile la norma in questione per difetto dei presupposti: non era possibile la comunicazione, almeno 90 giorni prima della scadenza dei contratti, di offerte mai ricevute dal Comune ed alle quali, comunque, esso non aveva intenzione di dar corso.
f) Infondati sarebbero il secondo e terzo motivo aggiunto in relazione all’erronea qualificazione come vigneti di elevato pregio della coltura Teroldego, negli appezzamenti fuori dalla zona DOC, e degli appezzamenti privi di impianti. Tale mezzo, con riferimento alla varietà Teroldego, è, tuttavia, inconferente in quanto la perizia di stima De Ros, sulla base della quale sono stati formati i bandi di gara, ha operato una classificazione per appezzamenti omogenei, calcolando i valori dei vigneti di elevato pregio con riferimento alla varietà Pinot grigio, e non alla varietà Teroldego.
Circa gli appezzamenti privi di impianti, l’art. 9, lett. e) del bando li fa rientrare nella coltura più pregiata, in attesa di un corrispondente reimpianto.
g) Infondato il quarto motivo aggiunto: trattandosi di una procedura di scelta dei contraenti in contratti comportanti entrate per l’ente, alcuna plausibile ragione di pubblico interesse può comportare l’esclusione di offerte di importo (asseritamente) troppo elevato, per le quali la lex specialis non prevede affatto un meccanismo teso ad escludere il fenomeno dell’anomalia.
h) Infine, per quanto sopra esposto, venivano disattesi pure gli ulteriori motivi aggiunti, esclusivamente funzionali alla sospensione del procedimento di stipula dei contratti di affitto a seguito della prelazione esercitata dai ricorrenti.
3. Con atto d’appello, notificato il 25 maggio 2010 e depositato il 10 giugno 2010, gli originari ricorrenti impugnano la sentenza indicata in epigrafe, chiedendone la riforma per i seguenti motivi:
1) Erroneità della pronuncia gravata nella parte in cui ha dichiarato il difetto di legittimazione di Coldiretti, estromettendola dal giudizio, atteso che quest’ultima fa valere l’interesse al rispetto della disciplina a favore degli affittuari agricoli. Inoltre, sarebbe destituita di fondamento la tesi proposta dal TRGA, secondo la quale ricorrerebbe un’ipotesi di conflitto di interessi, perché tutti i coltivatori diretti sarebbero avvantaggiati nel caso di aggiudicazione con licitazione privata o trattativa privata. Infatti, anche se vi fosse un soggetto che potrebbe trarre beneficio dal sistema prescelto dal Comune, è situazione fisiologica che non elide la necessità di tutelare l’interesse di categoria. Inoltre, la legittimazione ad impugnare per Coldiretti discenderebbe dalla sua previa partecipazione procedimentale, nonché dalla finalità statutaria di assistenza sindacale, che ne connota l’esistenza.
2) Erronea sarebbe la declaratoria di difetto di giurisdizione sul primo motivo aggiunto, perché, sebbene tale censura contesti la disciplina confluita nelle clausole del contratto, la stessa è stata fissata unilateralmente dalla pubblica amministrazione (p.a.) con il bando. Quindi, non si sarebbe alla presenza di una controversia su diritti soggettivi, ma si farebbe valere la supposta lesione di un interesse legittimo, perché l’atto contestato è posto in essere dall’amministrazione appellata in una fase antecedente alla stipulazione negoziale. Va, quindi, a giudizio degli appellanti esaminato il motivo o disposto sul punto annullamento con rinvio.
3) Nel valutare il primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata si rivelerebbe erronea, perché, ai sensi dei commi 1 e 4 dell’art. 6, d.lgs. n. 228/2001, la norma si applica anche ai beni del patrimonio disponibile stante il riferimento agli enti territoriali e non territoriali. L’art. 6, infatti, estenderebbe “anche” ai beni indisponibili e demaniali una disciplina prima utilizzata (art. 22, l. n. 11/1971 e art. 51, l. n. 203/1982) per i beni patrimoniali disponibili. Inoltre, andrebbe preferita l’applicazione della disciplina statale, perché l’attività in questione ricade all’interno della materia di tutela della concorrenza e di applicazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali ex art. 117 cost., comma 2, lett. m). Né rappresenterebbe un ostacolo la giurisprudenza della Consulta (sentenza n. 318/2002 e n. 315/2004), che ha censurato l’ancoraggio dell’equo canone a dati catastali obsoleti, atteso che non avrebbe inciso sulle modalità di scelta dell’affittuario. Pertanto, non potrebbe trovare applicazione la L.P. Trento, n. 23/1990. A riprova di ciò si potrebbe portare l’incompatibilità tra diritto di prelazione e sistemi aperti di selezione in omaggio ai principi comunitari. Il coordinamento tra la disciplina statale e quella provinciale dovrebbe avvenire sulla scorta di quanto disposto dall’art. 105 dello Statuto speciale di autonomia, secondo il quale in mancanza di una norma provinciale si applica la disciplina statale. Lo stesso art. 45 L.P. Trento, n. 2/2009, nel rivedere l’art. 39 (co. 2 bis), avrebbe fatto rinvio alla disciplina statale, che è norma ricognitiva, con la quale si è chiarita la disciplina applicabile all’affitto di fondi rustici.
4) In merito al rigetto del secondo motivo di ricorso, erronea sarebbe la sentenza, perché avrebbe dovuto trovare applicazione la disciplina contenuta nell’art. 39, co. 2, L.P. Trento, n. 23/90, prima delle ultime modifiche portate dall’art. 45 della L.P. Trento n. 2/09 e non l’art. 17 L.P. Trento n. 23/90, che prevede l’asta pubblica, perché o si doveva ritenere operante il comma 2 bis dell’art. 39 introdotto dal citato art. 45 che fa rinvio alla disciplina statale o doveva ritenersi irrilevante la modifica portata dal suddetto art. 45. Inoltre circa la mancata richiesta di specifici requisiti soggettivi ulteriori rispetto a quelli di poter contrattare con la p.a., che mette a rischio le colture pregiate praticate sui fondi, non potrebbe condividersi il principio affermato dalla sentenza secondo il quale la presenza dei requisiti tecnico-organizzativi poteva essere recuperata in sede di stipulazione negoziale.
5) Quanto al rigetto del terzo motivo che censurava l’indeterminatezza del bando nella parte in cui ancora l’offerta alla tipologia di coltura e non al singolo lotto, non risulterebbero convincenti le conclusioni raggiunte dal primo Giudice, perché sarebbe indeterminato anche il prezzo a base d’asta senza la possibilità di offerte in ribasso; circostanza che pone un problema per gli appezzamenti di minor valore.
6) Viene, inoltre, riproposto il primo motivo aggiunto inerente la mancata previsione di un meccanismo di adeguamento del canone di affitto in contrasto con il principio contenuto nell’art. 115 del codice dei contratti pubblici, non esaminato dalla sentenza gravata che ha concluso per l’insussistenza della giurisdizione del g.a..
7) Circa il secondo motivo aggiunto, proposto in primo grado, sarebbe erronea la sentenza che non ha valutato come gli appezzamenti coltivati con vitigno Toroldego non possono essere considerati pregiati, perché gli appezzamenti del comune non ricadono in zona.
8) Quanto al terzo motivo aggiunto, proposto in primo grado, erronea sarebbe l’equiparazione tra appezzamenti privi di colture e appezzamenti coltivati con vigneto pregiato: si dovevano, invece, applicare gli artt. 16 e 17, l. n. 203/1982.
9) Quanto al quarto motivo aggiunto, proposto in primo grado, avrebbe errato il primo Giudice nel non rilevare l’illegittimità degli atti impugnati nella parte in cui non si provvedeva all’esclusione delle offerte anomale, nonostante la delibera di approvazione dei bandi n. 3/09 richiamasse la volontà di evitare le offerte anomale.
3.1. Vi è rinuncia al quarto motivo di ricorso di primo grado.
3.2. Sul quinto motivo aggiunto vi è espressa acquiescenza degli appellanti rispetto al decisum della pronuncia sul difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
4. Con memoria depositata il 27 luglio 2010 si costituiva in giudizio l’amministrazione comunale, invocando la reiezione dell’appello.
5. Con memoria depositata il 3 maggio 2012 gli appellanti confermavano l’interesse alla decisione in relazione all’assenza di un meccanismo di aggiornamento periodico dei canoni di affitto ed a tutte le altre censure proposte con l’atto d’appello.
6. Successive memorie venivano scambiate tra le parti, che ribadivano le proprie difese.
7. Con ordinanza n. 6518 del 19 dicembre 2012 il Consiglio chiedeva all’amministrazione appellata di relazionare sugli esiti della procedura di gara per i soli affitti quinquennali e quindicennali e a fornire l’elenco dei relativi assegnatari.
8. In data 31 gennaio 2013 l’amministrazione comunale di San Michele All’Adige depositava la relazione richiesta con l’ordinanza sopra citata, chiarendo che la scadenza degli affitti quinquennali è fissata al 10 novembre 2013, mentre quella per gli affitti quindicennali è fissata al 10 novembre 2023 e indicando i nominativi degli assegnatari dei terreni.

DIRITTO
1. L’odierno gravame è solo parzialmente fondato, non potendosi condividere il ritenuto difetto di giurisdizione da parte del primo giudice sulla censura spiegata nei confronti dei bandi impugnati, in relazione alla modalità “bloccata” di determinazione del prezzo d’affitto e alla mancata previsione, per gli affitti pluriennali, di meccanismi di adeguamento periodico.
2. Preliminarmente, va confermata la statuizione del TRGA di Trento, sull’estromissione dal giudizio della Federazione provinciale Coldiretti. Infatti, secondo l’orientamento costante di questo Consiglio, non può riconoscersi legittimazione a ricorrere alle associazioni sindacali quando l’interesse dedotto in giudizio riguardi una parte soltanto degli associati o in ogni caso in cui le posizioni delle categorie rappresentate possano essere tra loro contrapposte, sussistendo in questo caso un conflitto di interessi con alcuni dei suoi associati (Cons. St., Sez. VI, 18 aprile 2012, n. 2208; Id., Sez. IV, 30 maggio 2005, n. 2804; Id., 22 aprile 1996, n. 523). Nella fattispecie non vale a fondare la legittimazione della Federazione provinciale Coldiretti, l’asserito interesse alla legittimità degli atti impugnati, giacché la presenza di una posizione giuridica soggettiva legittimante va comunque traguardata sulla scorta di un interesse materiale concreto, che nella controversia in esame non risulta individuato. Inoltre, la potenziale contrarietà dell’azione spiegata dalla Federazione provinciale Coldiretti, che sagoma la sua reazione processuale su quella dei precedenti affittuari dei terreni, con l’interesse di quelli tra i suoi associati che hanno inteso partecipare alla procedura di gara è sufficiente, per ritenere sussistente una ragione di impedimento al riconoscimento della legittimazione a ricorrere. Del pari, la legittimazione ad agire non può discendere automaticamente dalla pregressa partecipazione procedimentale, atteso che quest’ultima, a differenza della prima, può trovare piena giustificazione in una finalità collaborativa, che non presuppone la titolarità di una posizione giuridica qualificata e differenziata, requisito necessario, invece, per riconoscere in capo a chi agisce la legittimazione processuale.
3. Non merita, invece, di essere condivisa la conclusione alla quale è giunto il primo Giudice, che ha rilevato il difetto di giurisdizione del g.a. in ordine all’impugnazione della clausola del bando con la quale l’amministrazione ha imposto che, all’interno della disciplina contrattuale, il prezzo pattuito per il canone d’affitto dovesse rimanere bloccato, senza possibilità di adeguamento periodico. Non appare, infatti, convincente la ricostruzione del TRGA di Trento che fa discendere la natura della posizione giuridica azionata dalla circostanza che la clausola del bando dovesse divenire oggetto della disciplina contrattuale. Nella controversia all’attenzione del Consiglio, gli appellanti hanno contestato la clausola del bando unilateralmente determinata dall’amministrazione comunale nell’esercizio di un potere autoritativo rispetto al quale gli odierni appellanti sono titolari di una posizione di interesse legittimo. Non rileva, al riguardo, che gli stessi appellanti, qualora dovessero stipulare il contratto d’affitto, perché assegnatari dei terreni all’esito della gara, in relazione alla stessa regola trasfusa nel contratto sarebbero titolari di una posizione giuridica di diritto. Il primo Giudice, infatti, finisce per confondere i piani di azione dell’attività amministrativa: con l’esercizio di un potere pubblico di fissazione unilaterale delle regole di gara e del contenuto del contratto l’amministrazione agisce nelle vesti di autorità; mentre, a valle di ciò ed all’esito della stipulazione negoziale, la stessa amministrazione vestirà i panni del soggetto privato. Sicché, mentre nella prima fase, che si chiude con la stipulazione del contratto, la relazione giuridica tra l’amministrazione e gli odierni appellanti si atteggia nelle forme del binomio potere pubblico – interesse legittimo; nella seconda, invece, la stessa relazione giuridica si atteggia nelle forme del binomio diritto – obbligo. Pertanto, spetta al giudice amministrativo la decisione sulla controversia nella quale si contesti l’attività dell’amministrazione in veste d’autorità e non dell’amministrazione in veste di contraente privato. Infatti, nella prima ipotesi sarà data agli appellanti la possibilità di stigmatizzare l’operato dell’amministrazione che non si sia conformata a quelle regole e principi che sono strumentali al raggiungimento dell’insieme di interessi pubblici che alla stessa sono rimessi. Nella seconda, invece, il privato potrà solo contestare il mancato rispetto di quelle norme alle quali deve ispirarsi qualsiasi contraente privato, chiamato ad agire entro il recinto di regole che scandiscono l’ordinario evolversi delle transazioni civili. Nonostante la censura in questione non ricada nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, essendosi alla presenza di un contratto attivo, non v’è dubbio che ricorre la giurisdizione generale di legittimità in omaggio al criterio della causa petendi imposto dalla carta costituzionale. Pertanto, la disamina del motivo di censura in questione non operata dal primo giudice sull’erroneo presupposto del difetto di giurisdizione del g.a. va rimessa al TRGA di Trento ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a..
4. Non può, invece, condividersi la ricostruzione della disciplina operata dagli appellanti che, operando una lettura forzata dei commi 1 e 4 dell’art. 6, del d.lgs. n. 228/2001, desumono dall’utilizzo della congiunzione “anche” l’applicabilità ai beni disponibili della disciplina prevista per i beni demaniali e per quelli indisponibili. Così trascurando non solo la rubrica della norma: “Utilizzazione agricola dei terreni demaniali e patrimoniali indisponibili” e la mancata indicazione esplicita dei beni patrimoniali disponibili, ma anche il carattere eccezionale di una simile prospettazione ricostruttiva, che finirebbe per far coincidere la disciplina dell’affitto di beni demaniali e patrimoniali indisponibili con quella dei beni patrimoniali disponibili in assenza di un’espressa previsione e nonostante la grande distanza che, specie sotto il profilo teleologico, giuridicamente separa le citate categorie.
4.1. Del pari non convince l’argomento secondo il quale la disciplina statale in ipotesi dubbia dovrebbe essere preferita a quella della Provincia autonoma, perché atti ricadenti nella materia di tutela della concorrenza e di applicazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali ex art. 117, comma 2, lett. m), cost., spettante in via esclusiva alla competenza dello Stato legislatore. Questa indicazione, da un lato, non appare conferente nel richiamare la materia delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali ex art. 117, comma 2, lett. m), cost.; dall’altro, se pure fosse vero che il tema in questione sia afferente alla materia della tutela della concorrenza, trascura che proprio la disciplina legislativa provinciale premia maggiormente la tutela della concorrenza di quanto farebbe l’applicazione dell’invocata disciplina statale, che prevede una procedura aperta di ricerca del contraente, pertanto non appare possibile invocarne alcuna lesione. Corretta, invece, appare la riconduzione operata dal primo Giudice della questione all’interno del settore dei contratti comportanti entrate per l’ente, che rientra nella competenza concorrente Stato - Provincia autonoma in materia di finanza locale, ex art. 16 del D.Lgs. 16.3.1992, n. 268, che è norma di attuazione dello Statuto di autonomia che prescrive che: “Spetta alla regione e alle province emanare norme in materia di bilanci, di rendiconti, di amministrazione del patrimonio e di contratti della regione e delle province medesime e degli enti da esse dipendenti”. In tale materia, invero, ai sensi dell'art. 80 dello Statuto di autonomia, le Province autonome di Trento e di Bolzano dispongono di una potestà legislativa di tipo concorrente soggetta al solo limite dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi statali come chiarito dalla sentenza della Corte costituzionale, 20 dicembre 2002, n. 533.
4.2. Allo stesso tempo non può sostenersi l’ultravigenza del meccanismo di selezione degli affittuari dei fondi rustici disposto dalla l. n. 203/1982. Le sentenze della Corte costituzionale n. 318/2002 e n. 351/2004, hanno determinato non solo il venir meno del meccanismo di determinazione del canone di equo affitto basato sul reddito dominicale stabilito a norma del regio decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589 convertito, con modificazioni, in legge 29 giugno 1939, n. 976, ma hanno sostanzialmente impedito la possibilità di utilizzare quelle modalità selettive degli affittuari, stabilite con l’art. 6, del citato d.lgs. n. 228/2001, che ruotavano attorno la determinazione del canone di equo affitto censurato dalla Consulta. Pertanto, venuta meno quella disciplina correttamente l’amministrazione ha fatto applicazione del dettato dell’art. 39, L.P. Trento, n. 23/1990. Né può invocarsi l’applicazione del meccanismo contenuto nell’art. 105 dello Statuto speciale di autonomia, secondo il quale in mancanza di una norma provinciale si applica la disciplina statale, perché, da un lato una simile lacuna non si registra; dall’altro, la norma statale invocata vale solo per i beni demaniali e per quelli patrimoniali indisponibili. Ne è una riprova, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, proprio il comma 2-bis introdotto nell’art. 39 dall’art. art. 45 L. P. Trento, n. 2/2009, che è chiaramente disposizione innovativa del precedente panorama giuridico, non applicabile ratione temnporis alla fattispecie de qua.
5. Del pari infondata è l’ulteriore censura con la quale si contesta che non sia stata correttamente seguita la procedura indicata nel comma 2 dell’art. 39, che, nella versione antecedente alle modifiche portate dall’art. 45, L.P. Trento, n. 2/2009, così recitava: “Resta ferma l'applicazione delle leggi statali in materia di affitto di fondi rustici e di locazione di immobili urbani per quanto relativo alla determinazione legale del canone. In tali casi, la cessione è preceduta dalla pubblicazione di un avviso contenente l'indicazione del bene e delle condizioni contrattuali, nonché delle modalità e del termine entro cui gli interessati possono presentare domanda di assegnazione. La cessione ha luogo sulla base di apposita graduatoria formata in relazione a requisiti predeterminati nel provvedimento a contrarre”. A giudizio degli appellanti o si doveva ritenere operante implicitamente nel sistema quel rinvio alla legislazione statale consacrato con l’introduzione del comma 2 bis del citato art. 39 o doveva ritenersi irrilevante la modifica sopravvenuta. In realtà anche questa lettura non può essere avallata: proprio il venir meno della determinazione legale del canone, infatti, ha spinto il legislatore provinciale ad intervenire per porre rimedio allo stato claudicante della legislazione all’indomani delle pronunce della Consulta, dettando una sorta diversa, peraltro, per gli immobili urbani e per i fondi rustici.
5.1. Non coglie nel segno l’altro profilo di doglianza introdotto con l’originario secondo motivo di ricorso, proposto anche in seconde cure, circa la mancanza di richiesta di specifici requisiti soggettivi in capo agli eventuali assegnatari. Da un lato, infatti, va rammentato come i bandi richiedevano il possesso dei requisiti per contrattare con la p.a. e vietavano la partecipazione alla gara di più di un componente appartenente al medesimo nucleo familiare o alla medesima azienda agricola, come il divieto per i concorrenti di ottenere l’aggiudicazione di più di un appezzamento. Dall’altro, non solo come correttamente sostenuto dal primo Giudice l’indagine sul possesso dei requisiti specifici, come in concreto accaduto, poteva demandarsi al momento della stipula negoziale, ma in assenza di un obbligo espresso in capo all’amministrazione, nulla avrebbe vietato anche la sopravvenuta acquisizione da parte degli assegnatari di competenze specifiche prima non possedute, specie se si ponga mente alla circostanza che alcuni appezzamenti venivano assegnati privi di coltivazioni già impiantate. Ancora va sottolineato come i bandi in questione prevedessero la potestà dell’amministrazione di monitorare la corretta conduzione dei fondi, riservandosi la possibilità di risolvere in caso di riscontrate e rilevanti inosservanze del criterio di buona gestione agraria.
6. Risulta infondato anche l’ulteriore motivo di censura con il quale gli appellanti contestano la scelta dell’amministrazione di ancorare l’offerta alla tipologia di coltura e non al singolo lotto e di fissare un prezzo a base d’asta in ragione della tipologia colturale e non delle dimensioni del lotto. Rientra, infatti, nella piena discrezionalità dell’amministrazione in assenza di diverse indicazioni normative una soluzione siffatta, che raggiunge l’obiettivo di ottenere il maggior profitto possibile, valorizzando, al contempo, la tipologia di coltura rispetto alle dimensioni del lotto, cercando così di favorire il mantenimento di un sistema di coltivazione diffuso, in grado di premiare la specificità delle singole coltivazioni. Sotto questo profilo, inoltre, appare del tutto logica la scelta di agganciare l’esercizio del diritto di prelazione alla media dei prezzi offerti, piuttosto che alla miglior offerta presentata, seguendo un meccanismo che, da un lato, salvaguarda la posizione dei precedenti affittuari; dall’altro, evita di premiare offerte che generino posizioni per gli affittuari offerenti non sostenibili nel lungo periodo. Senza dire che a tutela dei precedenti affittuari titolari del diritto di prelazione i bandi prevedevano la facoltà di scelta dell’appezzamento.
7. Devono essere respinte anche le censure mosse alla sentenza gravata nella parte in cui ha disatteso il secondo ed il terzo motivo aggiunto, con i quali è stato lamentato difetto o travisamento dei presupposti, in relazione alla erronea qualificazione come vigneti di elevato pregio della coltura Teroldego, negli appezzamenti fuori dalla zona DOC, e degli appezzamenti privi di impianti. Quanto al primo profilo la sentenza gravata ha correttamente rilevato che la perizia di stima De Ros, sulla base della quale sono stati formati i bandi di gara, ha calcolato i valori dei vigneti di elevato pregio con riferimento alla varietà Pinot grigio, e non alla varietà Teroldego, facendo uso in modo non illogico della discrezionalità amministrativa. Allo stesso tempo la scelta, contenuta nell’art. 9, lett. e) del bando, di far rientrare gli appezzamenti privi di impianti nella coltura più pregiata, in attesa di un corrispondente reimpianto, appare del tutto razionale, in quanto valuta la potenzialità degli appezzamenti di ricevere impianti della coltura più pregiata. Mentre del tutto in conferente appare il richiamo agli artt. 16 e 17, l. n. 203/1982, dai quali non può desumersi in alcun modo un diverso obbligo in capo all’amministrazione appellata.
8. Da ultimo, va respinto anche il motivo di appello con il quale si contesta il mancato accoglimento del quarto motivo aggiunto con cui è stato dedotto eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà, essendo state ammesse alcune offerte anomale: superiori al doppio del valore minimo del canone stimato nella perizia De Ros. Al riguardo, la sentenza gravata evidenzia a buon titolo non solo l’assenza di un obbligo di esclusione delle offerte anomale nel caso di un contratto attivo per l’amministrazione, che intende, legittimamente, conseguire il maggior profitto possibile; ma anche, la presenza di un meccanismo di esercizio del diritto di prelazione, basato sulla media dei prezzi offerti, di per sé in grado di estromettere quelle offerte eccessivamente alte o eccessivamente basse, connotate, quindi, da tratti di anomalia. Quest’ultimo espediente soddisfa in pieno quell’indirizzo contenuto nella delibera di approvazione dei bandi n. 3/09, che richiama la volontà di evitare le offerte anomale, senza operare alcun rinvio a meccanismi previsti dal legislatore in campi del tutto distinti, quali quello degli appalti pubblici.
9. In ragione delle conclusioni sopra rassegnate non resta, quindi, che accogliere l’odierno appello solo nella misura in cui ha, condivisibilmente, valutato erronea la scelta del primo giudice di ritenere sussistente il difetto di giurisdizione del g.a. in relazione al primo motivo aggiunto di primo grado, con cui è stata lamentata la mancata previsione di un meccanismo di adeguamento periodico dei canoni di affitto. Merita, invece, piena conferma la sentenza gravata con conseguente reiezione di tutte le altre censure.
10. La complessità delle questioni trattate e la soccombenza reciproca costituiscono validi motivi per compensare le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente e per l’effetto annulla la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in relazione al primo motivo aggiunto di primo grado, con rinvio al medesimo giudice.
Respinge nel resto l’appello.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Vito Poli, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Carlo Saltelli, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/07/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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