PROCEDIMENTO:
la legittimazione procedimentale
e quella processuale non sono un'endiadi
(Cons. St., Sez. V,
sentenza 15 luglio 2013 n. n. 3824)
Massima
1. La legittimazione ad agire (o "processuale") non discende automaticamente dalla pregressa partecipazione procedimentale, atteso che quest'ultima, a differenza della prima, può trovare piena giustificazione in una finalità collaborativa, che non presuppone la titolarità di una posizione giuridica qualificata e differenziata, che è invece requisito necessario per riconoscere a chi agisce la legittimazione processuale .
2. Non può riconoscersi legittimazione a ricorrere alle associazioni sindacali quando l'interesse dedotto in giudizio riguardi una parte soltanto degli associati o in ogni caso in cui le posizioni delle categorie rappresentate possano essere tra loro contrapposte, sussistendo in questo caso un conflitto di interessi con alcuni dei suoi associati.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5186 del 2010,
proposto da:
Organizzazione Sindacale Federazione Provinciale Coldiretti di Trento, in persona del legale rappresentante in carica, Mariano Ress, Quintino Filippi, Giovanni Fischer, Tullio Ress, Enrico Toscana, Rodolfo Bragagna, Francesco Chiettini, Ambrogio Tonon, Osvaldo Dallago, Costantino Filippi, Aldo Calovi, Lino Magotti, Tullio Tonon, Carmen Ferretti, Giovanni Fiamozzi, Palma Filippi, Carlo Tonon, Maurizio Tonon, Franco Fiamozzi, Emilio Ress, Franco Simoni, Carlo Viola, Franco Melchiori, Aldo Clementi, Maristella Benedetti, Massimiliano Dallago, Bruno Moser, Rocco Fontana, Franco Tait, Marco Marcon, Thomas Battisti, Benito Rossi, Nicolo' Sandri, Anna Sonn, Lina Cattani, Viola Fontana, Imelda Moscon, Bruno Moscon, Fausto Visentin e Remo Ress, rappresentati e difesi dagli avvocati Simonetta Paradisi e Andrea Maria Valorzi, con domicilio eletto presso Simonetta Paradisi in Roma, via Giovanni Nicotera, 29;
Organizzazione Sindacale Federazione Provinciale Coldiretti di Trento, in persona del legale rappresentante in carica, Mariano Ress, Quintino Filippi, Giovanni Fischer, Tullio Ress, Enrico Toscana, Rodolfo Bragagna, Francesco Chiettini, Ambrogio Tonon, Osvaldo Dallago, Costantino Filippi, Aldo Calovi, Lino Magotti, Tullio Tonon, Carmen Ferretti, Giovanni Fiamozzi, Palma Filippi, Carlo Tonon, Maurizio Tonon, Franco Fiamozzi, Emilio Ress, Franco Simoni, Carlo Viola, Franco Melchiori, Aldo Clementi, Maristella Benedetti, Massimiliano Dallago, Bruno Moser, Rocco Fontana, Franco Tait, Marco Marcon, Thomas Battisti, Benito Rossi, Nicolo' Sandri, Anna Sonn, Lina Cattani, Viola Fontana, Imelda Moscon, Bruno Moscon, Fausto Visentin e Remo Ress, rappresentati e difesi dagli avvocati Simonetta Paradisi e Andrea Maria Valorzi, con domicilio eletto presso Simonetta Paradisi in Roma, via Giovanni Nicotera, 29;
contro
Comune di San Michele All'Adige, in persona del
sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Maccaferri e
Armando Montarsolo, con domicilio eletto presso Armando Montarsolo in Roma, via
Silvio Pellico, 42;
nei confronti di
Gianni Fontana, Annamaria Agosti;
per la riforma
della sentenza del Tribunale regionale di giustizia
amministrativa (TRGA) - DELLA PROVINCIA DI TRENTO, n. 311/2009, resa tra le
parti, concernente bandi di gara per la cessione in affitto di terreni.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di
San Michele All'Adige;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 giugno
2013 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati
Petretti su delega dell’avvocato Valorzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
1. Con ricorso indirizzato al TRGA di Trento, la
Federazione provinciale Coldiretti e 46 coltivatori impugnavano: a) i
bandi/avvisi di gara n. 1, 2 e 3 prot. nn. 2583, 2584 e 2585 dell’11.3.2009,
aventi ad oggetto la cessione in affitto, mediante asta pubblica, di
appezzamenti di terreno agricolo di proprietà comunale denominati "Sort
comunali" rispettivamente con durata quindicinale, quinquennale e
annuale; b) la delibera del Consiglio comunale di San Michele all'Adige n. 3
del 6.3.2009, di approvazione dei suddetti bandi e del verbale di gara a firma
del Segretario comunale di S. Michele all’Adige del 16.4.2009, relativo
all'apertura delle offerte ed al calcolo della loro media; c) nonché ogni altro
atto presupposto, connesso, conseguente e/o collegato alla procedura di gara di
cui sopra.
L’atto introduttivo del giudizio proponeva le seguenti
doglianze avverso i citati atti: 1) violazione dell’art. 6 del D.lgs.
18.5.2001, n. 228 che prescriverebbe, come sistema di scelta del contraente, la
licitazione privata o la trattativa privata e non l’asta pubblica; 2)
violazione dell’art. 39, comma 2, della L.p. 19.7.1990, n. 23 di cui non
sarebbe stata rispettata la procedura; 3) in subordine, indeterminatezza dei bandi
per mancata previsione della possibilità di offerta per singoli appezzamenti,
ma solo per qualità di colture, nonché per illogicità e contraddittorietà;
3bis) in subordine, violazione dell’art. 4bis della legge 3.5.1982, n. 203 e
dell’art. 23 della legge 11.2.1971, n. 11, in combinato disposto con l’art.
2113, comma 1, del codice civile, nella parte in cui si obbligherebbero i
precedenti affittuari a rinunciare alla prelazione, in caso di offerta per un
appezzamento diverso da quello precedentemente coltivato; 4) violazione
dell’art. 4bis della legge 3.5.1982, n. 203 per violazione della disciplina
sulla prelazione dei fondi rustici; 5) violazione dell’art. 23 della legge
11.2.1971, n. 11 e degli artt. 16 e 17 della legge 3.5.1982, n. 203
relativamente alle condizioni generali di contratto (art. 9 dei bandi) in
quanto la Coldiretti non intenderebbe aderire alla controversa procedura di
stipulazione dei contratti di affitto.
1.1. Con ricorso per motivi aggiunti venivano
introdotte ulteriori censure: 1) violazione del principio di revisione dei
corrispettivi nei contratti pubblici di durata e contraddittorietà con
l’istruttoria, non risultando previsto un meccanismo di adeguamento periodico
dei canoni di affitto; 2) difetto o travisamento dei presupposti, in relazione
alla erronea qualificazione come vigneto di elevato pregio della coltura
Teroldego negli appezzamenti fuori dalla zona DOC; 3) difetto o travisamento
dei presupposti, in relazione alla erronea qualificazione come vigneti di
elevato pregio degli appezzamenti privi di impianti; 4) eccesso di potere per
illogicità e contraddittorietà, essendo state ammesse offerte anomale.
1.2. Infine, con un secondo ricorso per motivi
aggiunti, gli originari ricorrenti proponevano altre doglianze, esclusivamente
funzionali, però, alla sospensione cautelare del procedimento di stipula dei
contratti di affitto, a seguito della prelazione esercitata.
2. Il TRGA di Trento, con sentenza n. 311 depositata
il 17 dicembre 2009, estrometteva dal giudizio la ricorrente Federazione
provinciale Coldiretti e respingeva il ricorso sulla scorta delle seguenti
considerazioni, quanto alle questioni preliminari, avendo valutato: 1) fondata
l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dalla Federazione
provinciale Coldiretti per conflitto di interessi all’interno della categoria
che l’associazione ricorrente rappresenta, reputando non sufficiente l’astratta
pretesa alla legittimità degli atti impugnati, ma traguardando la
legittimazione sulla scorta del concreto interesse, fatto valere; 2) infondato
il difetto di legittimazione dei coltivatori; 3) infondata l’eccezione di
tardività di motivi aggiunti, essendo stati notificati tali motivi entro il termine
di 60 giorni dall’avvenuta pubblicazione dei bandi avversati; 4) fondata
l’eccezione di difetto di giurisdizione sul quinto motivo di ricorso, essendo
state con esso censurate, non le prescrizioni del bando relative al
procedimento di scelta del contraente, ma le condizioni generali di contratto;
5) fondata l’eccezione di difetto di giurisdizione sul primo motivo aggiunto,
con cui veniva lamentata la mancata previsione di un meccanismo di adeguamento
periodico dei canoni di affitto, riguardando la pretesa lesione esclusivamente
diritti soggettivi e non interessi legittimi afferenti al procedimento di
scelta dei contraenti.
2.1. Quanto alle questioni di merito il primo Giudice
poneva a fondamento della propria decisione le seguenti premesse: a) l’importo
a base d’asta è fissato per unità di misura (metro quadrato) in base al tipo di
colture; b) ciascun concorrente non può ottenere in affitto più di un
appezzamento; c) è garantito ai precedenti affittuari, con contratti scaduti il
10 novembre 2008, il diritto di prelazione da esercitarsi entro 30 giorni dalla
comunicazione dell’esito della gara, sulla base del prezzo medio derivante da
tutte le offerte presentate; d) l’ex-affittuario che intenda esercitare il
diritto di prelazione deve presentare offerta solo relativamente alla qualità
dell’appezzamento avuto in affitto, oppure rinunciare alla prelazione se
intende presentare offerta per appezzamenti di diversa qualità; e) gli
appezzamenti rimasti da assegnare dopo l’esercizio della prelazione sono scelti
dai migliori offerenti, secondo l’ordine della graduatoria.
2.2. Il TRGA di Trento riteneva infondati i molteplici
motivi di censura proposti:
a) quanto al primo motivo va applicato l’art. 39 della
L.p. 19.7.1990, n. 23, nella formulazione vigente ratione temporis,
e non la norma statale dell’art. 6, comma 4, del D. lgs. 18.5.2001, n. 228, che
prevede l’assegnazione dei terreni con licitazione privata o trattativa
privata, in quanto si tratta di beni del patrimonio disponibile e non
indisponibile o demaniali. Inoltre è materia rientrante nella competenza
concorrente tra Stato e Provincia autonoma, ma la legge statale non assurge al
rango di principio fondamentale, tanto da prevalere sulla disciplina
provinciale.
b) Col secondo motivo i ricorrenti lamentavano che non
sarebbe stata puntualmente seguita la procedura prescritta dall’art. 39, comma
2, della L.p. 19.7.1990, n. 23, prima della modifica portata dall’art. 45 della
L.P. Trento n. 2 del 28 marzo 2009. Ma, a seguito di Corte costituzionale
28.10.2004, n. 315, la disciplina in questione non è più applicabile, tanto che
la modifica contenuta nel citato art. 45 riserva il procedimento solo per
l’affitto degli immobili urbani. Né trova fondamento la doglianza in merito
alla mancata fissazione di requisiti soggettivi a tutela delle colture,
esigenza che può essere soddisfatta in sede di stipulazione negoziale e che in
astratto risulta assicurata dalla circostanza che ogni nucleo familiare può
avere un solo appezzamento.
c) Anche il terzo motivo va disatteso, infatti, il
sistema delle offerte per qualità di coltivazione, l’unicità delle offerte e la
garanzia della prelazione parametrata, non sul canone più elevato conseguibile,
ma sulla media dei prezzi offerti, sembrano rispondere pienamente a tali
apprezzabili esigenze di pubblico interesse.
d) Stessa sorte merita il motivo terzo-bis sulla
lesione del diritto di prelazione, perché il divieto di concorrere per
ulteriori appezzamenti, oltre a quello per il quale viene esercitata la
prelazione, avrebbe gravemente inciso il criterio dell’unicità dei lotti
assegnabili per ciascun nucleo familiare, rispondente all’anzidetto pubblico
interesse alla distribuzione dei terreni agricoli al maggior numero di
coltivatori, onde evitare fenomeni di accaparramento e di concentrazione,
dannosi per l’economia agricola locale.
e) Col quarto motivo si deduceva la violazione della
disciplina dettata dall’art. 4bis della legge 3.5.1982, n. 203, che non
sussiste in quanto non appare applicabile la norma in questione per difetto dei
presupposti: non era possibile la comunicazione, almeno 90 giorni prima della
scadenza dei contratti, di offerte mai ricevute dal Comune ed alle quali,
comunque, esso non aveva intenzione di dar corso.
f) Infondati sarebbero il secondo e terzo motivo
aggiunto in relazione all’erronea qualificazione come vigneti di elevato pregio
della coltura Teroldego, negli appezzamenti fuori dalla zona DOC, e degli
appezzamenti privi di impianti. Tale mezzo, con riferimento alla varietà
Teroldego, è, tuttavia, inconferente in quanto la perizia di stima De Ros,
sulla base della quale sono stati formati i bandi di gara, ha operato una
classificazione per appezzamenti omogenei, calcolando i valori dei vigneti di
elevato pregio con riferimento alla varietà Pinot grigio, e non alla varietà
Teroldego.
Circa gli appezzamenti privi di impianti, l’art. 9,
lett. e) del bando li fa rientrare nella coltura più pregiata, in attesa di un
corrispondente reimpianto.
g) Infondato il quarto motivo aggiunto: trattandosi di
una procedura di scelta dei contraenti in contratti comportanti entrate per
l’ente, alcuna plausibile ragione di pubblico interesse può comportare
l’esclusione di offerte di importo (asseritamente) troppo elevato, per le quali
la lex specialis non prevede affatto un meccanismo teso ad
escludere il fenomeno dell’anomalia.
h) Infine, per quanto sopra esposto, venivano
disattesi pure gli ulteriori motivi aggiunti, esclusivamente funzionali alla
sospensione del procedimento di stipula dei contratti di affitto a seguito
della prelazione esercitata dai ricorrenti.
3. Con atto d’appello, notificato il 25 maggio 2010 e
depositato il 10 giugno 2010, gli originari ricorrenti impugnano la sentenza
indicata in epigrafe, chiedendone la riforma per i seguenti motivi:
1) Erroneità della pronuncia gravata nella parte in
cui ha dichiarato il difetto di legittimazione di Coldiretti, estromettendola
dal giudizio, atteso che quest’ultima fa valere l’interesse al rispetto della
disciplina a favore degli affittuari agricoli. Inoltre, sarebbe destituita di
fondamento la tesi proposta dal TRGA, secondo la quale ricorrerebbe un’ipotesi
di conflitto di interessi, perché tutti i coltivatori diretti sarebbero
avvantaggiati nel caso di aggiudicazione con licitazione privata o trattativa
privata. Infatti, anche se vi fosse un soggetto che potrebbe trarre beneficio
dal sistema prescelto dal Comune, è situazione fisiologica che non elide la
necessità di tutelare l’interesse di categoria. Inoltre, la legittimazione ad
impugnare per Coldiretti discenderebbe dalla sua previa partecipazione
procedimentale, nonché dalla finalità statutaria di assistenza sindacale, che
ne connota l’esistenza.
2) Erronea sarebbe la declaratoria di difetto di
giurisdizione sul primo motivo aggiunto, perché, sebbene tale censura contesti
la disciplina confluita nelle clausole del contratto, la stessa è stata fissata
unilateralmente dalla pubblica amministrazione (p.a.) con il bando. Quindi, non
si sarebbe alla presenza di una controversia su diritti soggettivi, ma si
farebbe valere la supposta lesione di un interesse legittimo, perché l’atto
contestato è posto in essere dall’amministrazione appellata in una fase
antecedente alla stipulazione negoziale. Va, quindi, a giudizio degli
appellanti esaminato il motivo o disposto sul punto annullamento con rinvio.
3) Nel valutare il primo motivo di ricorso, la
sentenza impugnata si rivelerebbe erronea, perché, ai sensi dei commi 1 e 4
dell’art. 6, d.lgs. n. 228/2001, la norma si applica anche ai beni del
patrimonio disponibile stante il riferimento agli enti territoriali e non
territoriali. L’art. 6, infatti, estenderebbe “anche” ai beni
indisponibili e demaniali una disciplina prima utilizzata (art. 22, l. n.
11/1971 e art. 51, l. n. 203/1982) per i beni patrimoniali disponibili.
Inoltre, andrebbe preferita l’applicazione della disciplina statale, perché
l’attività in questione ricade all’interno della materia di tutela della
concorrenza e di applicazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti diritti civili e sociali ex art. 117 cost., comma 2, lett. m). Né
rappresenterebbe un ostacolo la giurisprudenza della Consulta (sentenza n.
318/2002 e n. 315/2004), che ha censurato l’ancoraggio dell’equo canone a dati
catastali obsoleti, atteso che non avrebbe inciso sulle modalità di scelta
dell’affittuario. Pertanto, non potrebbe trovare applicazione la L.P. Trento,
n. 23/1990. A riprova di ciò si potrebbe portare l’incompatibilità tra diritto
di prelazione e sistemi aperti di selezione in omaggio ai principi comunitari.
Il coordinamento tra la disciplina statale e quella provinciale dovrebbe
avvenire sulla scorta di quanto disposto dall’art. 105 dello Statuto speciale
di autonomia, secondo il quale in mancanza di una norma provinciale si applica
la disciplina statale. Lo stesso art. 45 L.P. Trento, n. 2/2009, nel rivedere
l’art. 39 (co. 2 bis), avrebbe fatto rinvio alla disciplina
statale, che è norma ricognitiva, con la quale si è chiarita la disciplina
applicabile all’affitto di fondi rustici.
4) In merito al rigetto del secondo motivo di ricorso,
erronea sarebbe la sentenza, perché avrebbe dovuto trovare applicazione la
disciplina contenuta nell’art. 39, co. 2, L.P. Trento, n. 23/90, prima delle
ultime modifiche portate dall’art. 45 della L.P. Trento n. 2/09 e non l’art. 17
L.P. Trento n. 23/90, che prevede l’asta pubblica, perché o si doveva ritenere
operante il comma 2 bis dell’art. 39 introdotto dal citato
art. 45 che fa rinvio alla disciplina statale o doveva ritenersi irrilevante la
modifica portata dal suddetto art. 45. Inoltre circa la mancata richiesta di
specifici requisiti soggettivi ulteriori rispetto a quelli di poter contrattare
con la p.a., che mette a rischio le colture pregiate praticate sui fondi, non
potrebbe condividersi il principio affermato dalla sentenza secondo il quale la
presenza dei requisiti tecnico-organizzativi poteva essere recuperata in sede
di stipulazione negoziale.
5) Quanto al rigetto del terzo motivo che censurava
l’indeterminatezza del bando nella parte in cui ancora l’offerta alla tipologia
di coltura e non al singolo lotto, non risulterebbero convincenti le
conclusioni raggiunte dal primo Giudice, perché sarebbe indeterminato anche il
prezzo a base d’asta senza la possibilità di offerte in ribasso; circostanza
che pone un problema per gli appezzamenti di minor valore.
6) Viene, inoltre, riproposto il primo motivo aggiunto
inerente la mancata previsione di un meccanismo di adeguamento del canone di
affitto in contrasto con il principio contenuto nell’art. 115 del codice dei
contratti pubblici, non esaminato dalla sentenza gravata che ha concluso per
l’insussistenza della giurisdizione del g.a..
7) Circa il secondo motivo aggiunto, proposto in primo
grado, sarebbe erronea la sentenza che non ha valutato come gli appezzamenti
coltivati con vitigno Toroldego non possono essere considerati pregiati, perché
gli appezzamenti del comune non ricadono in zona.
8) Quanto al terzo motivo aggiunto, proposto in primo
grado, erronea sarebbe l’equiparazione tra appezzamenti privi di colture e
appezzamenti coltivati con vigneto pregiato: si dovevano, invece, applicare gli
artt. 16 e 17, l. n. 203/1982.
9) Quanto al quarto motivo aggiunto, proposto in primo
grado, avrebbe errato il primo Giudice nel non rilevare l’illegittimità degli
atti impugnati nella parte in cui non si provvedeva all’esclusione delle
offerte anomale, nonostante la delibera di approvazione dei bandi n. 3/09
richiamasse la volontà di evitare le offerte anomale.
3.1. Vi è rinuncia al quarto motivo di ricorso di
primo grado.
3.2. Sul quinto motivo aggiunto vi è espressa
acquiescenza degli appellanti rispetto al decisum della
pronuncia sul difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
4. Con memoria depositata il 27 luglio 2010 si
costituiva in giudizio l’amministrazione comunale, invocando la reiezione
dell’appello.
5. Con memoria depositata il 3 maggio 2012 gli
appellanti confermavano l’interesse alla decisione in relazione all’assenza di
un meccanismo di aggiornamento periodico dei canoni di affitto ed a tutte le
altre censure proposte con l’atto d’appello.
6. Successive memorie venivano scambiate tra le parti,
che ribadivano le proprie difese.
7. Con ordinanza n. 6518 del 19 dicembre 2012 il
Consiglio chiedeva all’amministrazione appellata di relazionare sugli esiti
della procedura di gara per i soli affitti quinquennali e quindicennali e a
fornire l’elenco dei relativi assegnatari.
8. In data 31 gennaio 2013 l’amministrazione comunale
di San Michele All’Adige depositava la relazione richiesta con l’ordinanza
sopra citata, chiarendo che la scadenza degli affitti quinquennali è fissata al
10 novembre 2013, mentre quella per gli affitti quindicennali è fissata al 10
novembre 2023 e indicando i nominativi degli assegnatari dei terreni.
DIRITTO
1. L’odierno gravame è solo parzialmente fondato, non
potendosi condividere il ritenuto difetto di giurisdizione da parte del primo
giudice sulla censura spiegata nei confronti dei bandi impugnati, in relazione
alla modalità “bloccata” di determinazione del prezzo d’affitto e alla
mancata previsione, per gli affitti pluriennali, di meccanismi di adeguamento
periodico.
2. Preliminarmente, va confermata la statuizione del
TRGA di Trento, sull’estromissione dal giudizio della Federazione provinciale
Coldiretti. Infatti, secondo l’orientamento costante di questo Consiglio, non
può riconoscersi legittimazione a ricorrere alle associazioni sindacali quando
l’interesse dedotto in giudizio riguardi una parte soltanto degli associati o
in ogni caso in cui le posizioni delle categorie rappresentate possano essere
tra loro contrapposte, sussistendo in questo caso un conflitto di interessi con
alcuni dei suoi associati (Cons. St., Sez. VI, 18 aprile 2012, n. 2208; Id.,
Sez. IV, 30 maggio 2005, n. 2804; Id., 22 aprile 1996, n. 523). Nella
fattispecie non vale a fondare la legittimazione della Federazione provinciale
Coldiretti, l’asserito interesse alla legittimità degli atti impugnati, giacché
la presenza di una posizione giuridica soggettiva legittimante va comunque
traguardata sulla scorta di un interesse materiale concreto, che nella controversia
in esame non risulta individuato. Inoltre, la potenziale contrarietà
dell’azione spiegata dalla Federazione provinciale Coldiretti, che sagoma la
sua reazione processuale su quella dei precedenti affittuari dei terreni, con
l’interesse di quelli tra i suoi associati che hanno inteso partecipare alla
procedura di gara è sufficiente, per ritenere sussistente una ragione di
impedimento al riconoscimento della legittimazione a ricorrere. Del pari, la
legittimazione ad agire non può discendere automaticamente dalla pregressa
partecipazione procedimentale, atteso che quest’ultima, a differenza della
prima, può trovare piena giustificazione in una finalità collaborativa, che non
presuppone la titolarità di una posizione giuridica qualificata e differenziata,
requisito necessario, invece, per riconoscere in capo a chi agisce la
legittimazione processuale.
3. Non merita, invece, di essere condivisa la
conclusione alla quale è giunto il primo Giudice, che ha rilevato il difetto di
giurisdizione del g.a. in ordine all’impugnazione della clausola del bando con
la quale l’amministrazione ha imposto che, all’interno della disciplina
contrattuale, il prezzo pattuito per il canone d’affitto dovesse rimanere
bloccato, senza possibilità di adeguamento periodico. Non appare, infatti,
convincente la ricostruzione del TRGA di Trento che fa discendere la natura
della posizione giuridica azionata dalla circostanza che la clausola del bando
dovesse divenire oggetto della disciplina contrattuale. Nella controversia
all’attenzione del Consiglio, gli appellanti hanno contestato la clausola del
bando unilateralmente determinata dall’amministrazione comunale nell’esercizio
di un potere autoritativo rispetto al quale gli odierni appellanti sono
titolari di una posizione di interesse legittimo. Non rileva, al riguardo, che
gli stessi appellanti, qualora dovessero stipulare il contratto d’affitto,
perché assegnatari dei terreni all’esito della gara, in relazione alla stessa
regola trasfusa nel contratto sarebbero titolari di una posizione giuridica di
diritto. Il primo Giudice, infatti, finisce per confondere i piani di azione
dell’attività amministrativa: con l’esercizio di un potere pubblico di
fissazione unilaterale delle regole di gara e del contenuto del contratto
l’amministrazione agisce nelle vesti di autorità; mentre, a valle di ciò ed
all’esito della stipulazione negoziale, la stessa amministrazione vestirà i
panni del soggetto privato. Sicché, mentre nella prima fase, che si chiude con
la stipulazione del contratto, la relazione giuridica tra l’amministrazione e
gli odierni appellanti si atteggia nelle forme del binomio potere pubblico –
interesse legittimo; nella seconda, invece, la stessa relazione giuridica si
atteggia nelle forme del binomio diritto – obbligo. Pertanto, spetta al giudice
amministrativo la decisione sulla controversia nella quale si contesti
l’attività dell’amministrazione in veste d’autorità e non dell’amministrazione
in veste di contraente privato. Infatti, nella prima ipotesi sarà data agli
appellanti la possibilità di stigmatizzare l’operato dell’amministrazione che
non si sia conformata a quelle regole e principi che sono strumentali al
raggiungimento dell’insieme di interessi pubblici che alla stessa sono rimessi.
Nella seconda, invece, il privato potrà solo contestare il mancato rispetto di
quelle norme alle quali deve ispirarsi qualsiasi contraente privato, chiamato
ad agire entro il recinto di regole che scandiscono l’ordinario evolversi delle
transazioni civili. Nonostante la censura in questione non ricada nell’ambito
della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, essendosi alla
presenza di un contratto attivo, non v’è dubbio che ricorre la giurisdizione
generale di legittimità in omaggio al criterio della causa petendi imposto
dalla carta costituzionale. Pertanto, la disamina del motivo di censura in
questione non operata dal primo giudice sull’erroneo presupposto del difetto di
giurisdizione del g.a. va rimessa al TRGA di Trento ai sensi dell’art. 105,
comma 1, c.p.a..
4. Non può, invece, condividersi la ricostruzione
della disciplina operata dagli appellanti che, operando una lettura forzata dei
commi 1 e 4 dell’art. 6, del d.lgs. n. 228/2001, desumono dall’utilizzo della
congiunzione “anche” l’applicabilità ai beni disponibili della disciplina
prevista per i beni demaniali e per quelli indisponibili. Così trascurando non
solo la rubrica della norma: “Utilizzazione agricola dei terreni demaniali e
patrimoniali indisponibili” e la mancata indicazione esplicita dei beni
patrimoniali disponibili, ma anche il carattere eccezionale di una simile
prospettazione ricostruttiva, che finirebbe per far coincidere la disciplina
dell’affitto di beni demaniali e patrimoniali indisponibili con quella dei beni
patrimoniali disponibili in assenza di un’espressa previsione e nonostante la
grande distanza che, specie sotto il profilo teleologico, giuridicamente separa
le citate categorie.
4.1. Del pari non convince l’argomento secondo il
quale la disciplina statale in ipotesi dubbia dovrebbe essere preferita a quella
della Provincia autonoma, perché atti ricadenti nella materia di tutela della
concorrenza e di applicazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti diritti civili e sociali ex art. 117, comma 2, lett. m), cost.,
spettante in via esclusiva alla competenza dello Stato legislatore. Questa
indicazione, da un lato, non appare conferente nel richiamare la materia delle
prestazioni concernenti diritti civili e sociali ex art. 117, comma 2, lett.
m), cost.; dall’altro, se pure fosse vero che il tema in questione sia
afferente alla materia della tutela della concorrenza, trascura che proprio la
disciplina legislativa provinciale premia maggiormente la tutela della
concorrenza di quanto farebbe l’applicazione dell’invocata disciplina statale,
che prevede una procedura aperta di ricerca del contraente, pertanto non appare
possibile invocarne alcuna lesione. Corretta, invece, appare la riconduzione
operata dal primo Giudice della questione all’interno del settore dei contratti
comportanti entrate per l’ente, che rientra nella competenza concorrente Stato
- Provincia autonoma in materia di finanza locale, ex art. 16 del D.Lgs.
16.3.1992, n. 268, che è norma di attuazione dello Statuto di autonomia che
prescrive che: “Spetta alla regione e alle province emanare norme in materia
di bilanci, di rendiconti, di amministrazione del patrimonio e di contratti
della regione e delle province medesime e degli enti da esse dipendenti”.
In tale materia, invero, ai sensi dell'art. 80 dello Statuto di autonomia, le
Province autonome di Trento e di Bolzano dispongono di una potestà legislativa
di tipo concorrente soggetta al solo limite dei principi fondamentali stabiliti
dalle leggi statali come chiarito dalla sentenza della Corte costituzionale, 20
dicembre 2002, n. 533.
4.2. Allo stesso tempo non può sostenersi
l’ultravigenza del meccanismo di selezione degli affittuari dei fondi rustici
disposto dalla l. n. 203/1982. Le sentenze della Corte costituzionale n.
318/2002 e n. 351/2004, hanno determinato non solo il venir meno del meccanismo
di determinazione del canone di equo affitto basato sul reddito dominicale
stabilito a norma del regio decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589 convertito, con
modificazioni, in legge 29 giugno 1939, n. 976, ma hanno sostanzialmente
impedito la possibilità di utilizzare quelle modalità selettive degli
affittuari, stabilite con l’art. 6, del citato d.lgs. n. 228/2001, che
ruotavano attorno la determinazione del canone di equo affitto censurato dalla
Consulta. Pertanto, venuta meno quella disciplina correttamente
l’amministrazione ha fatto applicazione del dettato dell’art. 39, L.P. Trento,
n. 23/1990. Né può invocarsi l’applicazione del meccanismo contenuto nell’art.
105 dello Statuto speciale di autonomia, secondo il quale in mancanza di una
norma provinciale si applica la disciplina statale, perché, da un lato una
simile lacuna non si registra; dall’altro, la norma statale invocata vale solo
per i beni demaniali e per quelli patrimoniali indisponibili. Ne è una riprova,
contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, proprio il comma 2-bis introdotto
nell’art. 39 dall’art. art. 45 L. P. Trento, n. 2/2009, che è chiaramente
disposizione innovativa del precedente panorama giuridico, non applicabile ratione
temnporis alla fattispecie de qua.
5. Del pari infondata è l’ulteriore censura con la
quale si contesta che non sia stata correttamente seguita la procedura indicata
nel comma 2 dell’art. 39, che, nella versione antecedente alle modifiche
portate dall’art. 45, L.P. Trento, n. 2/2009, così recitava: “Resta ferma
l'applicazione delle leggi statali in materia di affitto di fondi rustici e di
locazione di immobili urbani per quanto relativo alla determinazione legale del
canone. In tali casi, la cessione è preceduta dalla pubblicazione di un avviso
contenente l'indicazione del bene e delle condizioni contrattuali, nonché delle
modalità e del termine entro cui gli interessati possono presentare domanda di
assegnazione. La cessione ha luogo sulla base di apposita graduatoria formata
in relazione a requisiti predeterminati nel provvedimento a contrarre”. A
giudizio degli appellanti o si doveva ritenere operante implicitamente nel
sistema quel rinvio alla legislazione statale consacrato con l’introduzione del
comma 2 bis del citato art. 39 o doveva ritenersi irrilevante la modifica
sopravvenuta. In realtà anche questa lettura non può essere avallata: proprio
il venir meno della determinazione legale del canone, infatti, ha spinto il
legislatore provinciale ad intervenire per porre rimedio allo stato claudicante
della legislazione all’indomani delle pronunce della Consulta, dettando una
sorta diversa, peraltro, per gli immobili urbani e per i fondi rustici.
5.1. Non coglie nel segno l’altro profilo di doglianza
introdotto con l’originario secondo motivo di ricorso, proposto anche in
seconde cure, circa la mancanza di richiesta di specifici requisiti soggettivi
in capo agli eventuali assegnatari. Da un lato, infatti, va rammentato come i
bandi richiedevano il possesso dei requisiti per contrattare con la p.a. e
vietavano la partecipazione alla gara di più di un componente appartenente al
medesimo nucleo familiare o alla medesima azienda agricola, come il divieto per
i concorrenti di ottenere l’aggiudicazione di più di un appezzamento.
Dall’altro, non solo come correttamente sostenuto dal primo Giudice l’indagine
sul possesso dei requisiti specifici, come in concreto accaduto, poteva
demandarsi al momento della stipula negoziale, ma in assenza di un obbligo
espresso in capo all’amministrazione, nulla avrebbe vietato anche la
sopravvenuta acquisizione da parte degli assegnatari di competenze specifiche
prima non possedute, specie se si ponga mente alla circostanza che alcuni
appezzamenti venivano assegnati privi di coltivazioni già impiantate. Ancora va
sottolineato come i bandi in questione prevedessero la potestà
dell’amministrazione di monitorare la corretta conduzione dei fondi,
riservandosi la possibilità di risolvere in caso di riscontrate e rilevanti
inosservanze del criterio di buona gestione agraria.
6. Risulta infondato anche l’ulteriore motivo di
censura con il quale gli appellanti contestano la scelta dell’amministrazione
di ancorare l’offerta alla tipologia di coltura e non al singolo lotto e di
fissare un prezzo a base d’asta in ragione della tipologia colturale e non
delle dimensioni del lotto. Rientra, infatti, nella piena discrezionalità
dell’amministrazione in assenza di diverse indicazioni normative una soluzione
siffatta, che raggiunge l’obiettivo di ottenere il maggior profitto possibile,
valorizzando, al contempo, la tipologia di coltura rispetto alle dimensioni del
lotto, cercando così di favorire il mantenimento di un sistema di coltivazione
diffuso, in grado di premiare la specificità delle singole coltivazioni. Sotto
questo profilo, inoltre, appare del tutto logica la scelta di agganciare
l’esercizio del diritto di prelazione alla media dei prezzi offerti, piuttosto
che alla miglior offerta presentata, seguendo un meccanismo che, da un lato,
salvaguarda la posizione dei precedenti affittuari; dall’altro, evita di
premiare offerte che generino posizioni per gli affittuari offerenti non
sostenibili nel lungo periodo. Senza dire che a tutela dei precedenti
affittuari titolari del diritto di prelazione i bandi prevedevano la facoltà di
scelta dell’appezzamento.
7. Devono essere respinte anche le censure mosse alla
sentenza gravata nella parte in cui ha disatteso il secondo ed il terzo motivo
aggiunto, con i quali è stato lamentato difetto o travisamento dei presupposti,
in relazione alla erronea qualificazione come vigneti di elevato pregio della
coltura Teroldego, negli appezzamenti fuori dalla zona DOC, e degli
appezzamenti privi di impianti. Quanto al primo profilo la sentenza gravata ha
correttamente rilevato che la perizia di stima De Ros, sulla base della quale
sono stati formati i bandi di gara, ha calcolato i valori dei vigneti di
elevato pregio con riferimento alla varietà Pinot grigio, e non alla varietà
Teroldego, facendo uso in modo non illogico della discrezionalità
amministrativa. Allo stesso tempo la scelta, contenuta nell’art. 9, lett. e)
del bando, di far rientrare gli appezzamenti privi di impianti nella coltura
più pregiata, in attesa di un corrispondente reimpianto, appare del tutto
razionale, in quanto valuta la potenzialità degli appezzamenti di ricevere
impianti della coltura più pregiata. Mentre del tutto in conferente appare il
richiamo agli artt. 16 e 17, l. n. 203/1982, dai quali non può desumersi in
alcun modo un diverso obbligo in capo all’amministrazione appellata.
8. Da ultimo, va respinto anche il motivo di appello
con il quale si contesta il mancato accoglimento del quarto motivo aggiunto con
cui è stato dedotto eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà,
essendo state ammesse alcune offerte anomale: superiori al doppio del valore
minimo del canone stimato nella perizia De Ros. Al riguardo, la sentenza
gravata evidenzia a buon titolo non solo l’assenza di un obbligo di esclusione
delle offerte anomale nel caso di un contratto attivo per l’amministrazione,
che intende, legittimamente, conseguire il maggior profitto possibile; ma
anche, la presenza di un meccanismo di esercizio del diritto di prelazione,
basato sulla media dei prezzi offerti, di per sé in grado di estromettere quelle
offerte eccessivamente alte o eccessivamente basse, connotate, quindi, da
tratti di anomalia. Quest’ultimo espediente soddisfa in pieno quell’indirizzo
contenuto nella delibera di approvazione dei bandi n. 3/09, che richiama la
volontà di evitare le offerte anomale, senza operare alcun rinvio a meccanismi
previsti dal legislatore in campi del tutto distinti, quali quello degli
appalti pubblici.
9. In ragione delle conclusioni sopra rassegnate non
resta, quindi, che accogliere l’odierno appello solo nella misura in cui ha,
condivisibilmente, valutato erronea la scelta del primo giudice di ritenere
sussistente il difetto di giurisdizione del g.a. in relazione al primo motivo
aggiunto di primo grado, con cui è stata lamentata la mancata previsione di un
meccanismo di adeguamento periodico dei canoni di affitto. Merita, invece,
piena conferma la sentenza gravata con conseguente reiezione di tutte le altre
censure.
10. La complessità delle questioni trattate e la
soccombenza reciproca costituiscono validi motivi per compensare le spese del
presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo accoglie parzialmente e per l’effetto annulla la sentenza impugnata nella
parte in cui ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice
amministrativo in relazione al primo motivo aggiunto di primo grado, con rinvio
al medesimo giudice.
Respinge nel resto l’appello.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 11 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Vito Poli, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Carlo Saltelli, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/07/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
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