giovedì 25 giugno 2015

APPALTI: la procedura negoziata senza bando "d'urgenza" e la differenza tra varianti dell'offerta ed offerte migliorative (T.A.R. Lazio, Roma, Sez.II "ter" , sentenza 23 giugno 2015, n. 8580).


APPALTI: 
la procedura negoziata 
senza bando "d'urgenza" 
e la differenza tra varianti dell'offerta 
ed offerte migliorative
 (T.A.R. Lazio, Roma, Sez.II "ter" ,
 sentenza 23 giugno 2015, n. 8580)



Massima

1. La facoltà di ricorrere alla procedura negoziata senza bando ex art. 57, co. 6 (e art.3, co. 40) del D.Lgs. n. 163/2006 - ossia quando, a seguito di procedura aperta o ristretta, non sia stata presentata alcuna offerta o candidatura - è espressione dell’esigenza di conciliare la tutela della concorrenza e della parità di trattamento con l’efficacia dell’azione amministrativa e soprattutto con la necessità di speditezza procedimentale.renze 
2. Tale sistema di scelta del contraente, che si sostanzia in una vera e propria trattativa privata, si caratterizza per la mancanza per la P.A. di vincolo a priori nella scelta del contraente, rappresenta un'eccezione al principio generale della pubblicità e della massima concorsualità tipica della procedura aperta. Il ricorso a tale modulo è previsto sulla base della sussistenza dei presupposti fissati dalla legge per la sua ammissibilità (art. 57, co. 2, cod. contr.), con la richiesta della estrema urgenza imprevedibile non imputabile alla stazione appaltante, come nella specie indicata nella richiesta di offerta.
3. Nell’ambito della procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara la stazione appaltante può, senza modificare in modo sostanziale le condizioni del contratto, negoziare alcuni aspetti con gli interessati per ottenere offerte più appropriate. 
In tal senso, si ritiene che i margini di discrezionalità della stazione appaltante sono sensibilmente maggiori rispetto a quelli previsti per le altre procedure selettive, con attenuazione dei principi della predeterminazione dei criteri di massima e della par condicio giustificata dalla maggiore flessibilità della procedura e comunque da una parità di trattamento da rispettare con l’applicazione di quanto indicato nella lettera d’invito. 


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11593 del 2010, proposto dalla Società Scrocca & C., in proprio e in qualità di mandataria della costituenda ATI con la Società Euroservizi 2000 Sas e la Società Paoletti Ecologica Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Gloria Naticchioni, con domicilio eletto presso lo studio della stessa in Roma, Via Capo Miseno, 21; 
contro
Società Agensel Srl - Agenzia Servizi Enti Locali, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv. Giampaolo Rossi e Sergio Coccia, con domicilio eletto presso lo studio degli stessi in Roma, Via Vittorio Veneto, 108; 
nei confronti di
Società Ecodelta Srl, in proprio e in qualità di mandataria dell’ATI costituenda con le Società Isotras Srl, Eco Logistica T & T Srl, Autotrasporti Rizzo Alfredo e Figli Snc, Iezzi Santino e Figli Snc, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Stefano Martinelli, con domicilio eletto presso l’avv. Antonio Alberto Martinelli in Roma, Via Cicerone, 28;
per l'annullamento, previa sospensiva,
- del provvedimento di aggiudicazione definitiva dell’appalto per il “Servizio di aspirazione, trasporto e smaltimento di percolato di discarica e servizi complementari”, prot. n. 313 del 12 ottobre 2010, conosciuto in data 22 novembre 2010 a seguito di accesso agli atti;
- della comunicazione dell’aggiudicazione definitiva effettuata in data 10 novembre 2010, con nota prot. n. 366, in violazione dell’art. 79, commi 5, 5 bis e 5 ter, del d.lgs. n. 163 del 2006;
- del provvedimento di aggiudicazione provvisoria prot. n. 283 del 24 settembre 2010 in favore dell’ATI controinteressata, conosciuto in data 22 novembre 2010 a seguito di accesso agli atti;
in parte qua, della lettera di invito alla procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando prot. n. 248 del 1 settembre 2010 per l’affidamento del servizio di “Aspirazione, trasporto e smaltimento di percolato di discarica e servizi complementari”soltanto nella parte in cui, in totale contrasto con il criterio dell’affidamento prescelto costituito dall’offerta al prezzo più basso ex art. 82 del d.lgs. n. 163 del 2006, prevede l’ammissibilità di varianti;
- del contratto di appalto del servizio in questione stipulato con l’ATI controinteressata, non conosciuto;
- nonché di tutti gli atti comunque presupposti, discendenti e/o consequenziali a quelli impugnati;
per la declaratoria di inefficacia del contratto
stante la sussistenza delle gravi violazioni di cui agli artt.121 e 122 del d.lgs. n. 104 del 2010, stipulato con l’ATI controinteressata non conosciuto per la aggiudicazione del servizio de quo in favore della ricorrente nella sua qualità di mandataria dell’ATI costituenda nominata in epigrafe, con conseguente pronuncia di subentro nel servizio in questione da parte della medesima, ovvero in via subordinata,
per la condanna al risarcimento del danno per equivalente, ai sensi dell’art. 124 del d.lgs. n. 104 del 2010 nel caso in cui non si ravvisino gli estremi per la declaratoria di inefficacia del contratto.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Società Agensel Srl - Agenzia Servizi Enti Locali e della Società Ecodelta Srl in proprio e quale mandataria della costituenda Ati, come indicato in epigrafe;
Vista l’ordinanza n. 624 del 2011, con cui è stata respinta la suindicata domanda cautelare;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2015 il Cons. Mariangela Caminiti e uditi per le parti i difensori presenti, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. Riferisce la società Scrocca & C. che in data 3 maggio 2010 l’AGEN S.E.L., con nota prot. n. 112 ha pubblicato un bando di procedura aperta per l’affidamento annuale del servizio di “aspirazione, trasporto e smaltimento di percolato di discarica e servizi complementari” (codice gara 53670), riguardante la discarica “Colle Fagiolara”, sita in Colleferro, con una base d’asta di euro 45,00 per tonnellata, a fronte di un quantitativo stimato di 60.000 tonnellate l’anno, con criterio di aggiudicazione al prezzo più basso.
In assenza di offerte, con nota prot. n. 175 del 30 giugno 2010, l’Agenzia ha indetto una prima procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara, ai sensi dell’art. 57 del d.lgs. n. 163 del 2006, alle medesime condizioni del bando anzidetto.
Anche a tale procedura non sono seguite offerte valide e la Committente con nota prot. n. 248 del 1° settembre 2010 ha indetto una seconda procedura negoziata, senza previa pubblicazione di bando, ai sensi dell’art. 57 predetto, con il criterio di aggiudicazione al prezzo più basso, invitando n. 12 ditte specializzate, tra cui la società Scrocca & C., a presentare “offerta libera per l’assunzione del ‘Servizio di aspirazione… di percolato…. ‘Alle seguenti condizioni: 60.000 tonn/anno di percolato da discarica….. L’offerta è libera”.
La società, quale mandataria della costituenda Associazione temporanea d’imprese con le mandanti società Euroservizi 2000 sas e Paoletti Ecologica Srl, ha presentato tempestivamente la propria offerta.
In data 10 settembre 2010 la Commissione giudicatrice si è riunita per l’apertura delle offerte in seduta pubblica, presente anche il rappresentante della società Scrocca & C., senza emanare alcun provvedimento o pronuncia sull’aggiudicazione provvisoria ed ha stilato un elenco di offerte secondo l’ordine di arrivo delle stesse (prima l’ATI Ecodelta e seconda la società Scrocca & C), concludendo la seduta con il rinvio dell’aggiudicazione dopo la verifica del possesso di idonee garanzie tecniche dei concorrenti. Nessuna comunicazione sull’esito della gara è pervenuta alla società partecipante e solo dopo la presentazione di istanza di accesso la stazione appaltante ha comunicato in data 10 novembre 2010 l’esito della gara, senza però allegare la copia dell’aggiudicazione né l’indicazione del termine di stipula del contratto; dopo vari solleciti l’Agenzia ha riscontrato l’istanza di accesso in data 22 novembre 2010, con consegna della documentazione tra cui il provvedimento dell’aggiudicazione definitiva.
Riferisce che dopo aver visionato la documentazione di gara è venuta a conoscenza dell’effettivo svolgimento della procedura: aggiudicazione provvisoria alla società Ecodelta srl quale mandataria di Ati con nota prot. n. 283 in data 24 settembre 2010; aggiudicazione definitiva in data 12 ottobre 2010 con nota prot. n. 313, dopo la presentazione da parte della società Ecodelta srl della documentazione richiesta dalla stazione appaltante.
Lamenta la società che la stazione appaltante, secondo quanto dichiarato nell’aggiudicazione definitiva, non si sarebbe attenuta all’offerta richiesta con la procedura, ma avrebbe previsto una modifica dell’offerta aggiungendo “la possibilità di smaltimento di ulteriori quantitativi fino almeno a 60.000 tonn percolato/anno come da lettere d’impegno degli impianti di smaltimento da Voi fornite, allo stesso prezzo di cui all’offerta”. Tale condotta sarebbe elusiva della par condicio.
Avverso gli atti della procedura di aggiudicazione, come indicati in epigrafe, la società Scrocca & C. ha proposto ricorso deducendo i seguenti motivi di impugnazione:
1) Violazione e falsa applicazione degli articoli 76 e 82 del d.lgs. n. 163 del 2006. Nullità parziale della lettera di invito, relativamente alla clausola concernente l’ammissibilità di offerte in variante. Eccesso di potere per manifesta illogicità. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti: l’aggiudicazione definitiva risulterebbe illegittima perché effettuata sulla base di una offerta “in variante” inammissibile ed incompatibile con il metodo di scelta del contraente al prezzo più basso, ai sensi dell’art. 82 rubricato, così come adottato dall’Amministrazione. L’offerta dell’ATI controinteressata è stata effettuata per una quantità inferiore al quantitativo stimato posto a base dell’appalto in questione pari a 60.000 ton/anno di percolato: infatti l’offerta dell’aggiudicataria sarebbe pari a 45.000 ton/anno, con modifica in corso e in violazione delle regole della par condicio, e ciò sulla base di una clausola della lettera di invito recante l’ammissibilità delle varianti da ritenere viziata per nullità e contraddittorietà alle norme imperative. La previsione delle varianti oltre che illogica sarebbe anche in contrasto con l’art. 76 rubricato che ammette l’offerta in variante solo ed esclusivamente per il caso di aggiudicazione tramite il ricorso dell’offerta economicamente più vantaggiosa (nell’ambito della quale la stazione appaltante spesso si avvale del contributo dei concorrenti per individuare il concreto oggetto dell’appalto). Inoltre la previsione generale di presentare offerte in variante non comporterebbe l’obbligo per i partecipanti di presentarle, e quindi anche l’offerta non in variante sarebbe ammissibile; ne deriverebbe la necessità della declaratoria della nullità della clausola recante l’ammissione della presentazione di offerte in variante in relazione alla quantità, mentre dovrebbero essere soggette a valutazione soltanto le offerte presentate per il quantitativo stimato di 60.000 t. posto a base di gara.
Aggiunge altresì che nella fattispecie non sussisteva per la ricorrente un onere di immediata impugnazione della clausola della lettera di invito, potendosi verificare l’eventualità della presentazione da parte di ogni concorrente della offerta conforme alla quantità indicata dalla stazione appaltante. L’onere di impugnativa della clausola sarebbe sorto soltanto al momento del verificarsi della concreta presentazione di offerte in variante e della implicita applicazione della clausola da parte della stazione appaltante. La preventiva impugnazione degli atti non sarebbe intervenuta in quanto all’apertura delle offerte in seduta pubblica la Commissione non avrebbe emesso alcun verbale di gara o determinazione riguardo la procedura, rinviando l’aggiudicazione a seguito della verifica del possesso delle garanzie tecniche dei concorrenti.
2) Violazione e falsa applicazione delle norme di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa per grave violazione della par condicio competitorum. Eccesso di potere per manifesta disparità di trattamento ingiustizia: l’aggiudicazione definitiva sarebbe illegittima per l’errata ammissibilità della variante, con la modifica delle condizioni contrattuali in violazione delle regole della concorrenza e della par condicio. Si tratterebbe non di un contratto che recepisce l’offerta, ma di un nuovo contratto recante l’effettuazione di una integrazione rispetto all’offerta in variante formulata dalla controinteressata, al fine di riallineare la quantità complessiva all’originaria previsione di stima progettata. Tale illegittima integrazione non sarebbe giustificabile per il fatto che nel modulo dell’offerta predisposto dalla stazione appaltante la quantità da indicare come garantita fosse considerata minima, con l’effetto di far ritenere l’innalzamento di detta soglia consequenziale a tale qualificazione, perché una tale interpretazione contrasterebbe con l’art. 29 del codice dei contratti che prevede che la stazione appaltante nell’indire un gara o un procedura negoziata ristretta deve sempre fare in modo che risulti l’importo massimo stimato, inteso come importo totale pagabile al netto dell’Iva, ivi compresa qualsiasi forma di opzione o rinnovo del contratto. Nel caso di specie, dopo l’apertura delle buste, la rideterminazione del quantitativo garantito costituirebbe una grave lesione della par condicio tra i concorrenti e della trasparenza dell’azione amministrativa e potrebbe comportare una compromissione della qualità del servizio per il quantitativo residuo.
3) Violazione e falsa applicazione delle norme regolanti la concorrenza tra le imprese. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti: la rinegoziazione dell’offerta in sede di aggiudicazione definitiva modificherebbe la natura stessa dell’atto conclusivo della procedura selettiva, determinando la modificazione del tipo di procedura attuata.
4) Violazione dei principi di trasparenza e pubblicità delle procedure di affidamento dei contratti. Violazione dell’art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006. Omessa comunicazione tempestiva dell’esito della procedura: la ricorrente avrebbe conosciuto il nominativo dell’aggiudicatario della procedura solo a seguito dell’istanza di accesso agli atti con la comunicazione fornita dall’Amministrazione in riscontro a tale istanza. L’Agenzia avrebbe dovuto formalmente comunicare alla ricorrente la mancata aggiudicazione e non costringerla a ricorrere al procedimento di accesso per conoscere gli esiti della gara, trattandosi di procedura ad evidenza pubblica.
5) Richiesta di declaratoria di inefficacia del contratto stipulato e contestuale domanda di subentro nel servizio: l’Agenzia avrebbe omesso di comunicare l’avvenuta aggiudicazione a tutti gli interessati, procedendo alla stipula del contratto in assenza degli adempimenti preliminari, necessari a garantire l’effettività della tutela delle posizioni soggettive di tutte le imprese partecipanti, con la conseguente applicabilità della sanzione dell’inefficacia del contratto stipulato. La mancata comunicazione dell’aggiudicazione avrebbe impedito la tempestiva impugnazione della stessa per ottenere l’annullamento e la pronuncia in proprio favore; in considerazione di ciò possedendo tutti i requisiti per l’affidamento la società dichiara di voler subentrare nell’espletamento del servizio con declaratoria di inefficacia del contratto, e in subordine chiede il risarcimento del danno per equivalente con la corresponsione della somma di euro 289.200,00 corrispondenti al mancato utile derivato all’impresa, tenuto conto del valore dell’appalto e del prezzo offerto dalla ricorrente, o con la maggiore o minore somma da liquidarsi in via equitativa oltre interessi e rivalutazione economica.
Si è costituita in giudizio l’AGEN.S.E.L. per resistere al ricorso, opponendosi all’accoglimento dello stesso attesa l’infondatezza delle censure basate su un fraintendimento dei fatti e dei presupposti, ritenendo l’offerta dell’aggiudicataria “in variante” rispetto alle prescrizioni della lettera d’invito: nella specie invece la lettera di invito individuava quale criterio di assegnazione il solo costo unitario per tonnellata (di percolato) trattata, lasciando ad ogni singolo offerente la libertà di stabilire il quantitativo minimo per il cui trattamento si obbligava ad un certo costo. La previsione della lex specialis sarebbe legittima e razionale recando una disciplina più elastica per agevolare la presentazione delle offerte e la conseguente assegnazione urgente del servizio (art. 2). Inoltre non sarebbero stati modificati i criteri e la quantità minima garantita, ma solo formalizzato per iscritto quanto già previsto dal capitolato speciale di gara della procedura aperta, senza poter considerare una trasformazione della procedura (da aperta e/o ristretta in negoziata).Aggiunge altresì che l’esito della procedura è stato pubblicato nella GURI del 3 novembre 2010, con regolare comunicazione a tutti i concorrenti in data 10 novembre 2010. Conclude con la richiesta di reiezione del ricorso e delle conseguenti richieste, attesa la regolarità dell’aggiudicazione e della legittimità dell’operato dell’Agenzia.
Anche la società aggiudicataria si è costituita in giudizio per resistere al ricorso ed ha controdedotto alle censure di parte ricorrente eccependo preliminarmente profili di inammissibilità del gravame in ragione della tardività dello stesso.
Con ordinanza n. 624 del 2011 è stata respinta la suindicata domanda cautelare.
In prossimità della odierna udienza pubblica parte ricorrente ha presentato memoria conclusionale con la quale ha ulteriormente argomentato sulla propria posizione difensiva, insistendo per l’accoglimento del ricorso e per il riconoscimento del risarcimento del danno per equivalente. Con ulteriore istanza ha chiesto di disporre all’Agenzia l’ordine di esibizione di tutti documenti inerenti l’esecuzione del contratto e la documentazione attestante gli Stati di avanzamento del servizio.
Con nota di replica l’Agenzia si è opposta alla richiesta di parte ricorrente alla luce anche dell’ordinanza del Consiglio di Stato, sez. V n. 1863 del 2011 che ha respinto l’appello cautelare proposto dalla società. Ha precisato altresì che la scelta di lasciare liberi i concorrenti di determinare la quantità per cui obbligarsi deriverebbe dalla necessità di fronteggiare l’estrema urgenza di avviare il servizio dopo le due procedure di gara andate deserte, in considerazione del necessario trattamento del percolato per evitare la tracimazione dello stesso, con inquinamento dei suoli e delle falde acquifere.
Alla udienza pubblica del 21 maggio 2015 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO
1.Nell’odierna controversia la società ricorrente si oppone con articolati motivi, come sopra meglio illustrati, all’aggiudicazione definitiva dell’affidamento del servizio di aspirazione, trasporto e smaltimento di percolato da discarica e servizi complementari, con il criterio di aggiudicazione al prezzo più basso, assumendo che l’Agenzia Committente avrebbe ammesso l’offerta della controinteressata società aggiudicataria, effettuata “in variante” (per una quantità inferiore a quella a base dell’appalto), ritenendola ammissibile sulla base di una clausola della lettera d’invito, attinente l’ammissibilità delle varianti, quest’ultima ritenuta anche viziata in parte qua da nullità per contrarietà a norme imperative. Nella sostanza censura l’illegittimità del comportamento dell’Agenzia per aver accettato una rinegoziazione dell’offerta nell’ambito di una procedura ristretta, con lesione della par condicio.
2. Il ricorso è infondato per le seguenti ragioni.
2.1. Osserva il Collegio che la gara di appalto è stata definitivamente aggiudicata a seguito di una procedura negoziata, senza previa pubblicazione di un bando di gara, motivata dall’estrema urgenza ai sensi dell’art. 57 del d.lgs. n. 163 del 2006, con il criterio del prezzo più basso ai sensi del successivo art. 82 dello stesso codice dei contratti pubblici.
In data 7 maggio 2010 la stazione appaltante aveva pubblicato in GUCE (GU/S S89) un bando di gara per i suddetti servizi, senza ottenere offerte nel termine prescritto, e dopo la seconda procedura andata deserta, ha invitato un ristretto numero di imprese a presentare le offerte libere, con procedura negoziata, esperita in assenza della pubblicazione del bando ai sensi del predetto art. 57, comma 6 (e art.3, comma 40) del codice dei contratti pubblici.
In generale, si rileva che la facoltà di ricorrere alla procedura negoziata senza bando nel caso in cui, a seguito di procedura aperta o ristretta, non sia stata presentata alcuna offerta o candidatura, è espressione dell’esigenza di conciliare la tutela della concorrenza e della parità di trattamento con l’efficacia dell’azione amministrativa e soprattutto con la necessità di speditezza procedimentale.
Tale sistema di scelta del contraente, che si sostanzia in una vera e propria trattativa privata, si caratterizza per la mancanza per la P.A. di vincolo a priori nella scelta del contraente, rappresenta un'eccezione al principio generale della pubblicità e della massima concorsualità tipica della procedura aperta. Il ricorso a tale modulo è previsto sulla base della sussistenza dei presupposti fissati dalla legge per la sua ammissibilità (art. 57, comma 2, cod. contr.), con la richiesta della estrema urgenza imprevedibile non imputabile alla stazione appaltante, come nella specie indicata nella richiesta di offerta (cfr.Cons. Stato, sez.V, 2 novembre 2011, n. 5837; idem, 28 luglio 2014, n. 3997; Cons.giust.amm.Reg. Sicilia, 21 gennaio 2015, n. 41).
2.2. Con il primo motivo parte ricorrente deduce la illegittimità dell’aggiudicazione definitiva per l’asserita violazione delle regole della par condicio a seguito della effettuazione di una offerta in variante rispetto al quantitativo stabilito a base d’appalto, sul presupposto della clausola della lettera d’invito recante l’ammissibilità delle varianti, viziata in tale parte.
Tale censura non è condivisibile.
Come rilevato anche in fatto, la lettera d’invito impugnata ha individuato, in particolare: - la richiesta di offerta “libera”; - il “quantitativo stimato dell’appalto: 60.000 ton/anno di percolato da discarica secondo quanto descritto dal Capitolato d’appalto”; - il criterio di aggiudicazione del prezzo più basso; - la possibilità di indicare un “quantitativo” di smaltimento di percolato, anche diverso rispetto a quello di cui al Capitolato, “che il concorrente è disposto a smaltire nell’arco di 12 mesi a partire dall’aggiudicazione”, precisando altresì che “l’offerta economica, qualora non riguardasse l’intero quantitativo stimato dell’appalto (60.000 ton/anno), dovrà recare l’indicazione del quantitativo di percolato che il concorrente si impegna a smaltirenell’arco di 12 mesi al prezzo offerto”, quale quantitativo minimo garantito.
Orbene, nella specie, la lettera di invito non ha previsto la possibilità di presentare una offerta in variante, ma ha consentito di indicare un quantitativo diverso rispetto a quello di cui alla lettera d’invito, risultando invariata la determinazione del prezzo rispetto alla originaria formulazione.
Del resto, va osservato che lo stesso bando di gara della procedura aperta (andata deserta) prevedeva che “l’entità e lo svolgimento dell’appalto per il servizio in oggetto……può variare in relazione alle precipitazioni metereologiche, pertanto il quantitativo dell’appalto (60.000 ton/anno) è frutto di una mera stima sul dato storico e pertanto non vincolante” (III.1.4) e che nello stesso Capitolato d’appalto (art. 2- oggetto del servizio) è espressamente indicato che “il quantitativo di rifiuto liquido percolato……(60.000 tonn/anno) ed il relativo importo presunto dell’appalto potrà variare, in aumento o in diminuzione, secondo le reali necessità che si presenteranno nel corso dell’anno, considerata la natura del servizio per il quale è impossibile quantificare con certezza le quantità prodotte nell’impianto stesso. I quantitativi di percolato sono quindi determinati in modo presuntivo e non sono da ritenersi vincolanti per la stazione appaltante. Di tanto il concorrente dovrà obbligatoriamente tenere conto in sede di formulazione dell’offerta, atteso che il prezzo unitario offerto in sede di gara dovrà essere considerato tassativamente fisso ed invariabile per tutta la durata dell’appalto, a prescindere dalla quantità complessiva di rifiuto liquido trasportato nonché dalle quantità di rifiuto liquido conferite presso diversi impianti di depurazione che l’appaltatore utilizzerà per lo smaltimento. In particolare il concorrente nel presentare l’offerta dovrà tener conto dei periodi di alta piovosità, e quindi di maggior produzione di percolato, periodi per i quali dovrà comunque garantire il servizio oggetto dell’appalto” .
Proprio dall’esame della lex specialis trova conferma che la previsione da parte dell’Agenzia di una disciplina più flessibile – come indicato nella lettera d’invito - appare ragionevole al fine di agevolare la presentazione delle offerte e consentire l’assegnazione del servizio, attesa l’urgenza dell’avvio dello stesso in considerazione anche della natura inquinante del bene trattato.
Alla luce di tali considerazioni il Collegio, non condividendo le argomentazioni avanzate dalla ricorrente, richiama l’orientamento della giurisprudenza secondo cui nell’ambito della procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara la stazione appaltante può, senza modificare in modo sostanziale le condizioni del contratto, negoziare alcuni aspetti con gli interessati per ottenere offerte più appropriate. In tal senso, si ritiene che i margini di discrezionalità della stazione appaltante sono sensibilmente maggiori rispetto a quelli previsti per le altre procedure selettive, con attenuazione dei principi della predeterminazione dei criteri di massima e della par condicio giustificata dalla maggiore flessibilità della procedura e comunque da una parità di trattamento da rispettare con l’applicazione di quanto indicato nella lettera d’invito (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3999; idem, 8 marzo 2010, n. 1305; Tar Piemonte, sez. II, n. 1273 del 2004).
In relazione a ciò, l’offerta della Società Ecodelta srl non conteneva una variante, ma in conformità a quanto fissato nella lettera di invito – che prevedeva la possibilità di indicare un quantitativo di smaltimento di percolato anche diverso rispetto a quello indicato dalla stazione appaltante, purché specificato il quantitativo minimo garantito - ha offerto il costo 48,00 Euro/tonn (iva esclusa) e quale quantitativo minimo garantito 45.000 tonn/anno rispetto all’entità dell’appalto commisurato ad un “quantitativo stimato in 60.000 tonn/anno”, che è una stima prudenziale per eccesso sul valore storico e non vincolante.
2.3. Parimenti infondati sono il secondo e terzo motivo di gravame - congiuntamente esaminati attesa l’analogia del contenuto - che censurano la illegittima integrazione dell’offerta contrattuale consentita alla controinteressata, con rinegoziazione dell’offerta in sede di aggiudicazione definitiva e modifica delle condizioni contrattuali in violazione delle regole della par condicio.
Al riguardo occorre rilevare che non vi è stata alcuna trasformazione della procedura aperta in una procedura negoziata, ma si è realizzata l’ipotesi di cui all’art. 57 del cod. contratti pubblici, come precedentemente descritto, che disciplina l’avvio della procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara in caso di esito negativo, in assenza di offerte o candidature, all’esperimento di una procedura aperta o ristretta. Nella specie, appare evidente che l’Ente appaltante nella valutazione delle offerte si è attenuta alle prescrizioni fissate dalla lettera d’invito e che il criterio di preferenza (e aggiudicazione) tra le offerte, come precedentemente indicato nel bando della gara aperta e nella lettera di invito, è quello del prezzo più basso del costo per tonnellata di percolato trattato - criterio non modificato - e la società controinteressata è risultata aggiudicataria perché ha offerto il prezzo minore rispetto alle altre partecipanti.
In definitiva la società aggiudicataria non ha proposto una variante né una modifica essenziale - risultando invariata la determinazione del prezzo - ma ha formulato la propria offerta in conformità alle prescrizioni della lettera d’invito prevedendo quanto stabilito dal capitolato speciale di gara della procedura aperta ossia la possibilità di variare il quantitativo in aumento o in diminuzione rispetto a quello stimato d’appalto, in via prudenziale e non vincolante. Rimasto invariato il costo della prestazione la quantità ulteriore costituisce una eventualità senza alcun vincolo per la stazione appaltante, con l’onere a carico del contraente, che tra l’altro ha documentato la capacità di smaltire una quantità di percolato maggiore rispetto a quella indicata nella lettera d’invito.
Parimenti infondati sono anche i restanti motivi di ricorso (quarto e quinto) riguardo la omessa comunicazione tempestiva dell’esito della procedura (per l’asserita conoscenza a seguito dell’accesso agli atti) e la richiesta di declaratoria di inefficacia del contratto, in quanto risulta documentato che tale esito della procedura negoziata è stato pubblicato in Suppl. G.U. Unione Europea del 3 novembre 2010.
La piena conoscenza delle motivazioni dell'atto di esclusione dalla gara implica la decorrenza del termine decadenziale a prescindere dall'invio di una formale comunicazione ex art. 79, comma 5, del codice dei contratti pubblici. A ciò si aggiunga che l'art. 120, comma 5, c.p.a., non prevedendo forme di comunicazione «esclusive» e «tassative», non incide sulle regole processuali generali del processo amministrativo, con precipuo riferimento alla possibilità che la piena conoscenza dell'atto, al fine del decorso del termine di impugnazione, sia acquisita con forme diverse di quelle del citato art. 79 (cfr. Cons.Stato, sez. VI , 11 dicembre 2013, n. 5945; idem, sez. V , 10 febbraio 2015, n. 671; Tar Sicilia, Palermo, sez. II, 13 febbraio 2015, n. 466).
3. Il ricorso è, dunque, da respingere. Al rigetto della domanda principale segue la reiezione della richiesta di declaratoria di inefficacia del contratto, nel frattempo tra l’altro interamente attuato, e dell'accessoria domanda risarcitoria, pure formulata dalla ricorrente, stante l’infondatezza della domanda principale.
Quanto alle spese di giudizio, le stesse seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio nei confronti delle parti resistenti da liquidarsi in euro 1.500,00 (millecinquecento/00), in favore della Società Agensel Srl - Agenzia Servizi Enti Locali e in euro 1.500,00(millecinquecento/00), in favore della Società Ecodelta Srl, oltre oneri accessori, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Renzo Conti, Presidente
Mariangela Caminiti, Consigliere, Estensore
Maria Laura Maddalena, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/06/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


mercoledì 24 giugno 2015

PROCESSO: l'interesse ad ad agire nel processo amministrativo (Cons. St, Sez. IV, ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale 23 giugno 2015, n. 3167).


PROCESSO: 
l'interesse ad ad agire 
nel processo amministrativo 
(Cons. St, Sez. IV, 
ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale
 23 giugno 2015, n. 3167)



Se nel processo civile, su una scala da 1 a 10, le questioni preliminari (inammissibilità, irricevibilità, e nel giudizio amministrativo, l'improcedibilità) contano 2, nel processo amministrativo contano 10.
Ora, il primo paradosso è che i relativi concetti di condizione del ricorso sono mutuati interramente dalla processualcivilistica, ma sono più evanescenti.
E qui sta il secondo paradosso: contano di più, ma, rectius nonostante, siano meno certe sul piano definitorio ed sul piano applicativo.


Massima

E’ noto che l’ interesse ad agire, individuato quale presupposto dell’azione, dall'art. 100 c.p.c., da sempre applicabile anche al processo amministrativo, ora anche in virtù del rinvio esterno operato dall'art. 39, co. 1, c.p.a. è scolpito nella sua tradizionale definizione di “concreto bisogno di tutela giurisdizionale", nel senso che, il ricorso al giudice deve presentarsi come indispensabile per porre rimedio alla lesione (azioni demolitorie, risarcitorie e d’adempimento), alla sua minaccia (azioni inibitorie), od anche alla negazione della posizione giuridica vantata dall’amministrato (azione atipica di accertamento): è dunque espressione di economia processuale, manifestando l'esigenza che il ricorso alla giustizia rappresenti extrema ratio; da qui i suoi caratteri essenziali costituiti dalla serietà, concretezza ed attualità o elevata probabilità della lesione.



Ordinanza (di rimessione alla Corte Costituzionale) per intero

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

ORDINANZA
DI RIMESSIONE ALLA CORTE COSTITUZIONALE
sul ricorso numero di registro generale 1367 del 2012, proposto da:

Rai Way S.p.A., Rai - Radiotelevisione Italiana Spa, entrambe rappresentate e difese dagli avv.ti Giuseppe Lavitola, Maria Enrica Cavalli, con domicilio eletto presso Lavitola Studio Legale in Roma, Via Costabella, 23;
contro
Roma Capitale, Regione Lazio, Provincia di Roma, non costituiti in giudizio.
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II BIS n. 05887/2011, resa tra le parti, concernente adozione del piano regolatore generale del Comune di Roma - nuova destinazione fabbricati – imposizione contributo straordinario.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 maggio 2015 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Maria Enrica Cavalli;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso straordinario originariamente proposto al Capo dello Stato, e successivamente trasposto innanzi al Tar Lazio Sezione Seconda Bis (N. 9986/2008) a seguito di atto di opposizione notificato dal Comune di Roma in data 18 settembre 2008, RAI S.p.a. e RAI Way S.p.a., società quest’controllata dalla stessa RAI, chiedevano l’annullamento dei provvedimenti relativi all’adozione del piano regolatore generale del Comune di Roma.
In particolare le ricorrenti lamentavano l’illegittimità della previsione del contributo straordinario di cui al combinato disposto degli artt. 102 comma 5 e 20 comma 3 N.T.A., nella parte in cui assoggettano le “valorizzazioni” urbanistiche frutto della pianificazione, a contributo straordinario, deducendo la carenza della necessaria base legislativa, nonché (con successiva memoria) censure di incostituzionalità dell’art. 14 comma 16 lett. f) della Legge n. 122/2010 - nelle more del giudizio di primo grado entrata in vigore - per violazione degli artt. 3, 23, 53, 47, 97 della Costituzione. Il Tar Lazio Sezione Seconda Bis con sentenza n. 5887/2011 dichiarava inammissibile il ricorso per “carenza di un interesse attuale e concreto a proporre l’impugnazione in esame, posto che il pregiudizio lamentato potrà in futuro verificarsi in modo del tutto eventuale e aleatorio, solo qualora le ricorrenti effettivamente dismettano le aree e le stesse vengano successivamente adibite ad una delle specifiche utilizzazioni che impongono il contributo straordinario, divenendo solo in tal caso apprezzabile il loro decremento di valore economico-commerciale, allo stato del tutto ipotetico ed eventuale”. In sintesi, ad avviso del giudice di prime cure, pur non potendo essere ritenute manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate, le stesse risultavano precluse, in base al parametro della rilevanza, dalla necessità di definire previamente le eccezioni di inammissibilità sollevate da parte resistente.
Con appello notificato in data 13 febbraio 2012, le società ricorrenti denunciavano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. sostenendo: da un lato che la dismissione delle aree, presupposto applicativo della norma impugnata, costituirebbe un passaggio certo ed obbligato per le ricorrenti, e dall’altro, che l’interesse all’impugnazione sussisterebbe anche nel caso in cui il pregiudizio non si sia ancora verificato, ma si abbia la elevata probabilità e/o certezza del suo verificarsi in futuro. Le società appellanti riproponevano altresì le censure di illegittimità costituzionale dell’art. 14 comma 16 lett. f) della Legge n. 122/2010, attraverso il quale il legislatore statale avrebbe asseritamente inteso fornire copertura legislativa all’imposizione del contributo straordinario di urbanizzazione introdotto dal Comune di Roma con il nuovo piano regolatore generale. Con tale norma – secondo le appellanti - si sarebbe sostanzialmente sanato e ratificato, riproducendone il contenuto, ciò che il Comune di Roma aveva determinato in sede di N.T.A. (art. 20 comma 3). Infine, le ricorrenti denunciavano anche l’illegittimità costituzionale dell’art. 17 comma 1 lett. g) della Legge n. 164/2014 (c.d. Sblocca Italia) il quale, ferma restando la salvezza delle diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali, avrebbe aggiunto ai criteri già previsti per la determinazione degli oneri di urbanizzazione, anche un criterio di valutazione del maggior valore generato su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d’uso che si porrebbe, ad avviso delle parti appellanti, in contrasto con gli artt. 3,23 e 53 Costituzione nella parte in cui a) sono fatte salve le diverse previsioni regionali e degli strumenti urbanistici generali; b) è rimessa all’illimitata discrezionalità dell’ Amministrazione Comunale stabilire di volta in volta la specifica misura del contributo da applicare in concreto.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 5 maggio 2015.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il collegio che sussistano i presupposti per la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale in ordine alla legittimità dell’ art. 14 comma 16 lett. f) della Legge n. 122/2010.
1. La questione è rilevante.
1.1. In proposito si anticipa che l’eccezione di inammissibilità proposta in prime cure dagli enti resistenti, accolta dal TAR, ed avversata a mezzo del gravame in decisione, è infondata, in aderenza alla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato.
E’ noto che l’ interesse ad agire, individuato quale presupposto dell’azione, dall'art. 100 c.p.c. , da sempre applicabile anche al processo amministrativo, ora anche in virtù del rinvio esterno operato dall'art. 39, co. 1, c.p.a. è scolpito nella sua tradizionale definizione di “concreto bisogno di tutela giurisdizionale", nel senso che, il ricorso al giudice deve presentarsi come indispensabile per porre rimedio alla lesione (azioni demolitorie, risarcitorie e d’adempimento), alla sua minaccia (azioni inibitorie), od anche alla negazione della posizione giuridica vantata dall’amministrato (azione atipica di accertamento): è dunque espressione di economia processuale, manifestando l'esigenza che il ricorso alla giustizia rappresenti extrema ratio; da qui i suoi caratteri essenziali costituiti dalla serietà, concretezza ed attualità o elevata probabilità della lesione (ex multis Cons. Stato Sez. V, 02-04-2014, n. 1572).
Nel caso di specie, le appellanti assumono che la dismissione delle aree cui farà seguito il mutamento di destinazione oggetto di contributo straordinario, costituisce un passaggio sicuro ed obbligato talchè, la lesione derivante dalle norme, oltre che concreta, è suscettibile di verificarsi con un elevato grado di probabilità nel prossimo futuro.
In proposito precisano, per quanto riguarda il complesso immobiliare in loc. Prato Smeraldo, che nell'Accordo di Programma stipulato in data 8.8.2003, nel quadro delle disposizioni di legge vigenti, tra il Ministero delle Comunicazioni e la Rai per il passaggio delle trasmissioni radiotelevisive alla tecnologia digitale terrestre, è espressamente previsto all'art. 9 che i servizi rivolti agli italiani all'estero debbano essere svolti "con strumenti e sistemi di più evoluta tecnologia anche multimediale, diversi da quelli attualmente utilizzati, con facoltà di alienare le aree in cui questi ultimi sono localizzati, destinandone in tutto o in parte i proventi al finanziamento del progetto di cui al presente accordo e alle fonti in esso richiamate" (tanto ciò sarebbe vero che il centro in località Prato Smeraldo ha cessato il servizio per gli italiani all'estero in onde corte già dal 30.9.2007); per quanto invece riguarda il complesso sito in loc. Santa Palomba, il contratto di servizio stipulato tra il Ministero delle Comunicazioni e la Rai in data 23 .01.2003 prevede, all’art.18, la riduzione dei servizi in onda media ad un 'unica rete, che trasmetta programmi delle tre reti radiofoniche nazionali. Obbligo questo, richiamato anche all'art. l0 del ricordato Accordo di Programma che testualmente dispone: "Ai fini dell'approvazione del piano di riduzione della modulazione di ampiezza in onda media che la concessionaria del servizio pubblico radio televisivo è tenuta a presentare ai sensi dell'art. 18, comma 3, del Contratto, il Ministero tiene conto anche delle forme più idonee a potenziare il servizio con altre tecniche trasmissive ed a ridurre al minimo il grado di modulazione di ampiezza in onda media da parte della concessionaria pubblica".
Proprio in considerazione dell'anzidetta certa dismissione nel quadro di progressivo trasferimento dei servizi svolti con tecnologia tradizionali, su nuovi vettori, le società RAI WAY S.p.A. e RAI S.p.A. a suo tempo avevano formulato osservazioni al Nuovo PRG di Roma affinchè le due aree sopra citate fossero assoggettate, a seguito della dismissione, a strumento urbanistico attuativo, chiedendo, per Prato Smeraldo, una destinazione prevalentemente residenziale e, per Santa Palomba, una destinazione commerciale e a servizi.
Le osservazioni sono state parzialmente accolte sicchè, l'art. 102 , in particolare, il quinto comma, ha previsto il riuso della edificazione dismessa con le seguenti destinazioni d'uso a) commerciali e servizi (a CU/b e CU/m); b) turistico-ricettive limitatamente a "strutture ricettive alberghiere ed extra-alberghiere"; c) produttive, in misura non inferiore al 30% della SUL dismessa. Tuttavia la norma in questione ha previsto anche l'assoggettamento a contributo straordinario di cui all’art. 20 delle stesse NTA, per la SUL destinata alle funzioni di cui alle lett. a) e b) innanzi richiamate, escluse le destinazioni "servizi alle persone" e "attrezzature collettive".
Non v’è dubbio che la previsione sia immediatamente lesiva, nella misura in cui incide, sin da subito, sulla convenienza economica delle programmate operazioni di dismissione, tra l’altro poste a base delle osservazioni al PRG proposte dalle due società, e prese espressamente e specificatamente in considerazione dalle norme tecniche impugnate aventi proprio ad oggetto il “riuso della edificazione dismessa”.
1.2. Quanto sopra non è ancora sufficiente per comprovare la rilevanza della questione ai fini della proposizione della questione di costituzionalità, poiché è onere del collegio, secondo gli insegnamenti della Corte costituzionale, indicare, una volta che il gravame è stato ritenuto ammissibile in relazione alle condizioni dell’azione, anche quali siano motivi per i quali la norma di legge contestata sia ritenuta rilevante ai fini della decisione nel merito.
Invero, pur potendo affermarsi - come già questa Sezione ha fatto (Cons. Stato Sez. IV, 13-07-2010, n.4545) - che disposizioni quali quelle contestate, costituiscano espressione della potestà conformativa del territorio nell’esercizio della propria attività di pianificazione concretizzatasi attraverso il ricorso a modelli privatistici e consensuali, ex art. 11 l. 241/90, è del tutto evidente, per l’ambito di applicazione, il periodo di sua emanazione, ed i specifici contenuti, che l’art. 14, comma 16, lettera f) della Legge n. 122/2010 debba esser inteso quale "copertura" legislativa del contributo straordinario in contestazione, ossia quale norma emanata al preciso scopo di legittimare ex post la previsione del contributo straordinario da parte del Comune di Roma.
Una volta che la legge è intervenuta a disciplinare istituti, previamente sperimentati, in ragione della mancanza della stessa, su base consensuale, il giudice non può ritenere la nuova fonte irrilevante, ininfluente o superflua, ma deve rivalutare la fattispecie alla luce dell’innovazione ordinamentale, vieppiù quando – com’è nel caso di specie - l’innovazione disciplini e tipizzi un potere amministrativo generale, individuandolo nei suoi presupposti applicativi, nelle sue condizioni di esercizio e nei suoi limiti, conferendogli un’efficacia potenziale che prescinde dalla ricerca del consenso.
Tale disposizione normativa, specificatamente dedicata a Roma capitale, testualmente prevede: “in considerazione della specificita' di Roma quale Capitale della Repubblica, e fino alla compiuta attuazione di quanto previsto ai sensi dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, per garantire l'equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria, il Comune di Roma puo' adottare le seguenti apposite misure:
…………………….
f) contributo straordinario nella misura massima del 66 per cento del maggior valore immobiliare conseguibile, a fronte di rilevanti valorizzazioni immobiliari generate dallo strumento urbanistico generale, in via diretta o indiretta, rispetto alla disciplina previgente per la realizzazione di finalita' pubbliche o di interesse generale, ivi comprese quelle di riqualificazione urbana, di tutela ambientale, edilizia e sociale. Detto contributo deve essere destinato alla realizzazione di opere pubbliche o di interesse generale ricadenti nell'ambito di intervento cui accede, e puo' essere in parte volto anche a finanziare la spesa corrente, da destinare a progettazioni ed esecuzioni di opere di interesse generale, nonche' alle attivita' urbanistiche e servizio del territorio. Sono fatti salvi, in ogni caso, gli impegni di corresponsione di contributo straordinario già assunti dal privato operatore in sede di accordo o di atto d'obbligo a far data dall'entrata in vigore dello strumento urbanistico generale vigente” .
Che la nuova norma sia diretta a conferire base legale e caratteristiche autoritative ad un potere (quello dell’imposizione patrimoniale conseguente a conformazioni vantaggiose per gli interessi privati), innanzi esercitato esclusivamente a mezzo della ricerca del consenso, emerge chiaramente proprio dall’ultimo periodo della stessa. nella parte in cui sono fatti salvi (solo e soltanto), “gli impegni di corresponsione di contributo straordinario già assunti dal privato operatore in sede di accordo o di atto d'obbligo a far data dall'entrata in vigore dello strumento urbanistico generale vigente” .
Dunque, al di la degli impegni già assunti dal privato a mezzo di un accordo già formalizzato, le procedure urbanistiche di valorizzazione citate dalla norma – e solo quelle – ancora in itinere sono ormai disciplinate dalla norma citata, ed alla luce di questa devono essere giudicate.
1.3. Deve darsi altresì rilievo ad un’ulteriore vicenda normativa, questa volta interessante l’intero territorio nazionale: la legge n. 164/2014 (Sblocca Italia) che ha introdotto il contributo straordinario di urbanizzazione In particolare, l'art. 17 comma l lett. g) nel modificare l'art. 16 comma 4 del D.P.R. n. 380/2001, ha aggiunto ai criteri già previsti per la determinazione degli oneri di urbanizzazione, anche un criterio di valutazione del maggior valore generato su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso.
La nuova norma dispone che: "tale maggior valore, calcolato dall'Amministrazione comunale, venga suddiviso in misura non inferiore al 50% tra il Comune e la parte privata ed erogato da quest'ultima al Comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l 'interesse pubblico, in versamento finanziario, vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, cessioni di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale o opere pubbliche".
Il successivo comma 4-bis dell'art. 16 del D.P.R. n. 380/2001 introdotto dal nuovo numero 3-bis della lettera g) della L. n. 164/2014, fa salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e, ai fini che qui interessano, degli strumenti urbanistici generali.
Conseguentemente, è fatto salvo l'art. 20 delle N.T.A. del Nuovo P.R.G. di Roma, che ha introdotto il contributo straordinario. Soprattutto, ed a maggior ragione in quanto norma speciale, è fatto implicitamente salvo l’art. 14, comma 16, lettera f) della Legge n. 122/2010.
2. Oltre che rilevante la questione di costituzionalità appare anche non manifestamente infondata per violazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 cost.
2.1. Giova preliminarmente precisare che non v’è possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata, essendo qualsivoglia approccio esegetico inibito dal carattere perentorio della norma, nonché dalla mancanza nell’ordinamento di norme e principi, anche in materia perequativa, la cui tenuta costituzionale si possa dire certa al punto consentire di colmare le lacune o emendare le norme con l’ausilio dell’analogia.
2.2. Di seguito si espongono i motivi di possibile incostituzionalità:
a) Violazione dell’art. 23 cost.
La misura individuata dalla legge è finalizzata a “garantire l'equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria del Comune di Roma” ed è denominata “contributo straordinario”. Quest’ultimo consegue a nuove previsioni urbanistiche ispirate alla realizzazione di finalità pubbliche o di interesse generale (ivi comprese quelle di riqualificazione urbana, di tutela ambientale, edilizia e sociale) dalle quali derivi, in via diretta od anche indiretta, un incremento di valore per le aree interessate dalla modifiche urbanistiche citate.
Non c’è dubbio che, secondo lo schema della norma, le previsioni urbanistiche citate sono e rimangono il frutto del tradizionale potere pianificatorio. Ciò che muta rispetto all’ordinamento previgente è che, ove le finalità della pianificazione siano quelle indicate, e gli effetti siano economicamente stimabili in termini di incremento di valore dell’immobile interessato dalla pianificazione, il proprietario di quest’ultimo è soggetto all’imposizione di un contributo straordinario nella misura massima del 66 per cento del maggior valore immobiliare conseguibile.
Si tratta chiaramente di una prestazione patrimoniale imposta, seppur collegata ad un beneficio derivante dall’attività istituzionale dell’ente che tale prestazione impone, e ciò seconda la logica tipica della contribuzione in materia edilizia.
Del resto la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha allargato la nozione di "prestazione patrimoniale imposta", ai sensi dell'art. 23 della Costituzione, sino a ricondurvi anche prestazioni di natura non tributaria, e aventi funzione di corrispettivo, quando, per i caratteri e il regime giuridico dell'attività resa, sia pure su richiesta del privato, a fronte della prestazione patrimoniale é apparso prevalente l'elemento della imposizione legale (cfr. ad es. sentenze n. 55 del 1963, n. 72 del 1969, n. 127 del 1988, n. 236 del 1994, n. 215 del 1998).
Assodato che trattasi di prestazione patrimoniale imposta, occorre dunque verificare se sia rispettato l’art. 23 della Costituzione, nell’interpretazione che ne ha dato la Corte.
In proposito, la Corte ha chiarito, anche di recente, che se per un verso è indubbio che la riserva di legge di cui all'art. 23 della Costituzione abbia carattere relativo, nel senso che lascia all'autorità amministrativa consistenti margini di regolazione delle fattispecie, essa, per altro verso “non relega tuttavia la legge sullo sfondo, né può costituire giustificazione sufficiente per un rapporto con gli atti amministrativi concreti ridotto al mero richiamo formale ad un prescrizione normativa "in bianco", genericamente orientata ad un principio-valore, senza una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell'azione amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini” (sentenza n. 115 del 2011 e, da ultimo, sentenza 15 maggio 2015, n. 83 ).
I particolare, la Corte ha affermato che per rispettare la riserva relativa di cui all'art. 23 Cost., è quanto meno necessaria la preventiva determinazione di “sufficienti criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa” (sentenze n. 350 del 2007 e n. 105 del 2003), richiedendo in particolare che “la concreta entità della prestazione imposta sia desumibile chiaramente dagli interventi legislativi che riguardano l'attività dell'amministrazione” (sentenze n. 190 del 2007 e n. 115 del 2011), e specificando che “è pur possibile che i criteri direttivi, di natura oggettiva o tecnica, atti a vincolare la determinazione quantitativa dell'imposizione, si desumano dall'insieme della disciplina considerata e ciò può verificarsi, in particolare, quando la prestazione imposta costituisca il corrispettivo di un'attività il cui valore economico sia determinabile sulla base di criteri tecnici, e il corrispettivo debba per legge essere determinato in riferimento a tale valore”(cfr. sentenze n. 72 del 1969, n. 507 del 1988, 83 del 2015, cit.)
La Corte – ancora - in alcuni casi ha valorizzato l'esistenza di elementi o moduli procedimentali considerati idonei a restringere l'ambito di discrezionalità dell'amministrazione escludendone l'arbitrio (cfr., da ultimo, sentenza n. 215 del 1998, nonchè, con riguardo alla materia dei c.d. diritti sanitari, sentenza n. 180 del 1996),
Le riportate coordinate costituzionali – negli anni tracciate dalla Corte - non appaiono, invero, rispettate dalla norma in valutazione.
Infatti, la norma censurata, individuando il fatto rilevatore di capacità contributiva nel maggior valore immobiliare conseguibile a fronte di rilevanti valorizzazioni immobiliari generate dallo strumento urbanistico generale, in via diretta o indiretta, rispetto alla disciplina previgente, pone criteri vaghi ed imprecisi (vaga è la nozione di “rilevanti valorizzazioni immobiliari” e imprecisata è la riferibilità di tali valorizzazioni a fatti generatori “indiretti”) inidonei a delimitare la discrezionalità dell’autorità amministrativa nell’ esercizio del potere impositivo.
Inesistenti sono poi i criteri in ordine al quantum. L’indicazione di una misura massima del 66%, solo apparentemente costituisce una limitazione idonea a limitare la potestà, ove solo si consideri che essa è percentuale così elevata da lasciare all’amministrazione un margine amplissimo (da 0 a 66%) in cui la fissazione dell’aliquota risulta lasciata totalmente alla libera determinazione dell’ente, in assenza di qualsivoglia parametro o criterio.
Né sono previsti meccanismi di consultazione, procedimenti partecipativi, o pareri obbligatori dai quali possa scaturire una qualche indicazione vincolante od orientativa, frutto di partecipazione.
b) Altri elementi depongono per la violazione, sotto altro profilo dell’art. 23 Cost. ove letto alla luce del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 e dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 cost.
La particolare gravosità dell’ imposizione patrimoniale non si spiega se non con riferimento al principio della derivazione del beneficio dall’esercizio del potere amministrativo di conformazione della proprietà: l’ente è legittimato a chiedere una somma così alta perché essa è, in definitiva, il frutto di una previa attività amministrativa dell’ente, creativa di un plus valore ancora più rilevante. La somma, tuttavia, non può essere il “ prezzo” della valorizzazione, per ovvie ragioni di preservazione e tutela dell’effettività dell’interesse pubblico perseguito a mezzo del potere di pianificazione, e con esso dell’imparzialità e buon andamento dell’amministrazione: principi che non ammettono che le finalità di una corretta pianificazione possano cedere il passo ad un pianificazione “lucrativa”. L’obbligazione pecuniaria citata, ha un senso solo se connessa al principio di perequazione. Poiché l’amministrazione nel perseguimento di una corretta ed imparziale pianificazione del futuro assetto del territorio, genera, per alcuni proprietari, rilevanti valorizzazioni rispetto ad altri, è equo che i proprietari beneficiati restituiscano, quanto meno in parte, il plus valore a favore del territorio, così che anche gli altri proprietari ne possano indirettamente beneficiare. Le esigenze di restituzione, in sintesi, devono essere quelle proprie dei proprietari non beneficiati, in funzione perequativa, non già quelle dell’amministrazione quale compenso o contributo per la generazione del beneficio.
Se così è, allora è evidente che la norma è incostituzionale nella parte in cui consente di destinare promiscuamente il gettito derivante dal contributo straordinario, non solo “ alla realizzazione di opere pubbliche o di interesse generale ricadenti nell’ambito dell’intervento cui accede” ma, anche ed in parte (in misura, invero, nient’affatto precisata dalla norma), a “finanziare la spesa corrente, da destinare a progettazioni ed esecuzioni di opere di interesse generale, nonche' alle attivita' urbanistiche e servizio del territorio”. La formula è così ampia e vaga da legittimare, nella sostanza, la generica utilizzabilità del gettito per qualsivoglia esigenza del Comune di Roma, ove si consideri ad es. che potrebbero rientrare nella spesa corrente di Roma Capitale anche gli oneri del personale amministrativo e le spese generali in qualche modo correlate al “servizio del territorio”.
c) Violazione dell’art. 53 Cost.
La norma censurata sembra porsi altresì in contrasto con l’art. 53 Costituzione. Nella giurisprudenza della Corte Costituzionale si è dato risalto all’esigenza che il collegamento tra fatto rivelatore di capacità contributiva e tributo sia effettivo e non apparente o fittizio. Aspetto della effettività è l’attualità della capacità contributiva: il tributo, nel momento in cui trova applicazione, deve colpire una capacità contributiva in atto, non una capacità contributiva futura.
La norma in esame, invece, identifica il fatto imponibile nel maggior valore immobiliare “conseguibile” e non già in quello effettivamente conseguito, prescindendo dal concreto sfruttamento edilizio del terreno e così trascurando che il proprietario “beneficiato” dall’incremento di valore potrebbe non avere intenzione di sfruttare le potenzialità edilizie, né di vendere l’immobile ad altri che possano farlo.
Il pagamento anticipato rispetto al presupposto concretamente generante ricchezza avrebbe potuto essere preteso – in ossequio ai puntuali insegnamenti della Corte costituzionale - solo con il rispetto di determinate condizioni: a) che l’obbligo di versamento non sia incondizionato (con possibilità del contribuente di non versare se prevede di non produrre reddito); b) che al prelievo anticipato si saldi la previsione di meccanismi di riequilibrio (Corte Cost. n. 77/1967). Requisiti che invece il legislatore non ha previsto nel caso di specie.
d) Violazione degli artt. 3 e 53 cost. sotto altri profili
d.1) Il contributo in questione risulta ancora in contrasto con il combinato disposto degli artt. 53 e 3 Costituzione, ovverosia sotto il profilo del principio di eguaglianza tributaria in base al quale a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario differenziato.
La disposizione in esame differenzia, senza fornire criteri oggettivi che possano fornire sufficiente giustificazione, tra titolare di aree valorizzate “rilevantemente” e titolari di aree edificabili valorizzate, anche se “non rilevantemente”, sottoponendo solo i primi a gravosa imposizione patrimoniale e consentendo invece ai secondi il pieno ed esclusivo godimento della rendita generata, con esenzione totale dall’ imposizione.
d.2) La norma è discriminatoria anche sotto il profilo dell’ambito applicativo e dei contenuti della previsione urbanistica “valorizzante”. Essa genera obbligazioni pecuniarie in funzione tendenzialmente perequativa solo per le ipotesi di varianti finalizzate alla realizzazione di finalità pubbliche o di interesse generale, ivi comprese quelle di riqualificazione urbana, di tutela ambientale, edilizia e sociale, che ovviamente comportino rilevante valorizzazione in favore del proprietario, e del tutto irragionevolmente non le genera invece per le varianti o per i nuovi piani che siano semplicemente ispirate ad una logica di fisiologica espansione urbanistica.
d.3) Crea ancora sperequazione tra soggetti già oggettivamente beneficiati dalle previsioni del Piano urbanistico “originario, che rimangono fuori dall’ambito di applicazione della legge e continuano a godere integralmente della rendita, e soggetti interessati dalle varianti o dal nuovo piano che, per ciò solo, sono obbligati al contributo, anche e paradossalmente in favore degli altri proprietari originariamente beneficiati.
- Conclusivamente, vanno dichiarate rilevanti, e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale riguardanti 14 comma 16 lett. f) della Legge n. 122/2010 per contrasto, sotto diversi e concorrenti profili, con gli artt.3, 23, 53, 97 Cost., secondo quanto in premessa specificato

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
visti gli artt. 134 Cost.; 1 l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1, 23 l. 11 marzo 1953, n. 87 :
- dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 comma 16 lett. f) della Legge n. 122/2010 per violazione, sotto diversi profili, dell’art. 3 23, 53, 97 Cost., secondo quanto in premessa specificato.
- ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio.
- ordina che a cura della Segreteria della Sezione la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Goffredo Zaccardi, Presidente
Raffaele Potenza, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE






DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/06/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)