PROCESSO:
l'interesse ad ad agire
nel processo amministrativo
(Cons. St, Sez. IV,
ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale
23 giugno 2015, n. 3167)
Se nel processo civile, su una scala da 1 a 10, le questioni preliminari (inammissibilità, irricevibilità, e nel giudizio amministrativo, l'improcedibilità) contano 2, nel processo amministrativo contano 10.
Ora, il primo paradosso è che i relativi concetti di condizione del ricorso sono mutuati interramente dalla processualcivilistica, ma sono più evanescenti.
E qui sta il secondo paradosso: contano di più, ma, rectius nonostante, siano meno certe sul piano definitorio ed sul piano applicativo.
Massima
E’
noto che l’ interesse ad agire, individuato quale presupposto dell’azione,
dall'art. 100 c.p.c., da sempre applicabile anche al processo amministrativo,
ora anche in virtù del rinvio esterno operato dall'art. 39, co. 1, c.p.a. è
scolpito nella sua tradizionale definizione di “concreto bisogno di tutela
giurisdizionale", nel senso che, il ricorso al giudice deve presentarsi
come indispensabile per porre rimedio alla lesione (azioni demolitorie,
risarcitorie e d’adempimento), alla sua minaccia (azioni inibitorie), od anche
alla negazione della posizione giuridica vantata dall’amministrato (azione
atipica di accertamento): è dunque espressione di economia processuale,
manifestando l'esigenza che il ricorso alla giustizia rappresenti extrema
ratio; da qui i suoi caratteri essenziali costituiti dalla serietà,
concretezza ed attualità o elevata probabilità della lesione.
Ordinanza (di rimessione alla Corte Costituzionale) per intero
INTESTAZIONE
Il
Consiglio di Stato
in
sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha
pronunciato la presente
ORDINANZA
DI
RIMESSIONE ALLA CORTE COSTITUZIONALE
sul
ricorso numero di registro generale 1367 del 2012, proposto da:
Rai
Way S.p.A., Rai - Radiotelevisione Italiana Spa, entrambe rappresentate e
difese dagli avv.ti Giuseppe Lavitola, Maria Enrica Cavalli, con domicilio
eletto presso Lavitola Studio Legale in Roma, Via Costabella, 23;
contro
Roma
Capitale, Regione Lazio, Provincia di Roma, non costituiti in giudizio.
per
la riforma
della
sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II BIS n. 05887/2011, resa tra le
parti, concernente adozione del piano regolatore generale del Comune di Roma -
nuova destinazione fabbricati – imposizione contributo straordinario.
Visti
il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste
le memorie difensive;
Visti
tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 5 maggio 2015 il Cons. Giulio Veltri e uditi
per le parti gli avvocati Maria Enrica Cavalli;
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Con
ricorso straordinario originariamente proposto al Capo dello Stato, e
successivamente trasposto innanzi al Tar Lazio Sezione Seconda Bis (N.
9986/2008) a seguito di atto di opposizione notificato dal Comune di Roma in
data 18 settembre 2008, RAI S.p.a. e RAI Way S.p.a., società quest’controllata
dalla stessa RAI, chiedevano l’annullamento dei provvedimenti relativi
all’adozione del piano regolatore generale del Comune di Roma.
In
particolare le ricorrenti lamentavano l’illegittimità della previsione del
contributo straordinario di cui al combinato disposto degli artt. 102 comma 5 e
20 comma 3 N.T.A., nella parte in cui assoggettano le “valorizzazioni”
urbanistiche frutto della pianificazione, a contributo straordinario, deducendo
la carenza della necessaria base legislativa, nonché (con successiva memoria)
censure di incostituzionalità dell’art. 14 comma 16 lett. f) della Legge n.
122/2010 - nelle more del giudizio di primo grado entrata in vigore - per
violazione degli artt. 3, 23, 53, 47, 97 della Costituzione. Il Tar Lazio
Sezione Seconda Bis con sentenza n. 5887/2011 dichiarava inammissibile il
ricorso per “carenza di un interesse attuale e concreto a proporre
l’impugnazione in esame, posto che il pregiudizio lamentato potrà in futuro
verificarsi in modo del tutto eventuale e aleatorio, solo qualora le ricorrenti
effettivamente dismettano le aree e le stesse vengano successivamente adibite
ad una delle specifiche utilizzazioni che impongono il contributo
straordinario, divenendo solo in tal caso apprezzabile il loro decremento di
valore economico-commerciale, allo stato del tutto ipotetico ed eventuale”.
In sintesi, ad avviso del giudice di prime cure, pur non potendo essere
ritenute manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate,
le stesse risultavano precluse, in base al parametro della rilevanza, dalla
necessità di definire previamente le eccezioni di inammissibilità sollevate da
parte resistente.
Con
appello notificato in data 13 febbraio 2012, le società ricorrenti denunciavano
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. sostenendo: da un lato
che la dismissione delle aree, presupposto applicativo della norma impugnata,
costituirebbe un passaggio certo ed obbligato per le ricorrenti, e dall’altro,
che l’interesse all’impugnazione sussisterebbe anche nel caso in cui il
pregiudizio non si sia ancora verificato, ma si abbia la elevata probabilità
e/o certezza del suo verificarsi in futuro. Le società appellanti riproponevano
altresì le censure di illegittimità costituzionale dell’art. 14 comma 16 lett.
f) della Legge n. 122/2010, attraverso il quale il legislatore statale avrebbe
asseritamente inteso fornire copertura legislativa all’imposizione del
contributo straordinario di urbanizzazione introdotto dal Comune di Roma con il
nuovo piano regolatore generale. Con tale norma – secondo le appellanti - si
sarebbe sostanzialmente sanato e ratificato, riproducendone il contenuto, ciò
che il Comune di Roma aveva determinato in sede di N.T.A. (art. 20 comma 3).
Infine, le ricorrenti denunciavano anche l’illegittimità costituzionale
dell’art. 17 comma 1 lett. g) della Legge n. 164/2014 (c.d. Sblocca Italia) il
quale, ferma restando la salvezza delle diverse disposizioni delle legislazioni
regionali e degli strumenti urbanistici generali, avrebbe aggiunto ai criteri
già previsti per la determinazione degli oneri di urbanizzazione, anche un
criterio di valutazione del maggior valore generato su aree o immobili in
variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d’uso che si
porrebbe, ad avviso delle parti appellanti, in contrasto con gli artt. 3,23 e
53 Costituzione nella parte in cui a) sono fatte salve le diverse previsioni
regionali e degli strumenti urbanistici generali; b) è rimessa all’illimitata
discrezionalità dell’ Amministrazione Comunale stabilire di volta in volta la
specifica misura del contributo da applicare in concreto.
La
causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 5 maggio 2015.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
Ritiene
il collegio che sussistano i presupposti per la rimessione degli atti alla
Corte Costituzionale in ordine alla legittimità dell’ art. 14 comma 16 lett. f)
della Legge n. 122/2010.
1.
La questione è rilevante.
1.1.
In proposito si anticipa che l’eccezione di inammissibilità proposta in prime
cure dagli enti resistenti, accolta dal TAR, ed avversata a mezzo del gravame
in decisione, è infondata, in aderenza alla giurisprudenza di questo Consiglio
di Stato.
E’
noto che l’ interesse ad agire, individuato quale presupposto dell’azione,
dall'art. 100 c.p.c. , da sempre applicabile anche al processo amministrativo,
ora anche in virtù del rinvio esterno operato dall'art. 39, co. 1, c.p.a. è
scolpito nella sua tradizionale definizione di “concreto bisogno di tutela
giurisdizionale", nel senso che, il ricorso al giudice deve presentarsi
come indispensabile per porre rimedio alla lesione (azioni demolitorie,
risarcitorie e d’adempimento), alla sua minaccia (azioni inibitorie), od anche
alla negazione della posizione giuridica vantata dall’amministrato (azione
atipica di accertamento): è dunque espressione di economia processuale,
manifestando l'esigenza che il ricorso alla giustizia rappresenti extrema
ratio; da qui i suoi caratteri essenziali costituiti dalla serietà,
concretezza ed attualità o elevata probabilità della lesione (ex multis Cons.
Stato Sez. V, 02-04-2014, n. 1572).
Nel
caso di specie, le appellanti assumono che la dismissione delle aree cui farà
seguito il mutamento di destinazione oggetto di contributo straordinario,
costituisce un passaggio sicuro ed obbligato talchè, la lesione derivante dalle
norme, oltre che concreta, è suscettibile di verificarsi con un elevato grado
di probabilità nel prossimo futuro.
In
proposito precisano, per quanto riguarda il complesso immobiliare in loc. Prato
Smeraldo, che nell'Accordo di Programma stipulato in data 8.8.2003, nel quadro
delle disposizioni di legge vigenti, tra il Ministero delle Comunicazioni e la
Rai per il passaggio delle trasmissioni radiotelevisive alla tecnologia
digitale terrestre, è espressamente previsto all'art. 9 che i servizi rivolti
agli italiani all'estero debbano essere svolti "con strumenti e sistemi
di più evoluta tecnologia anche multimediale, diversi da quelli attualmente
utilizzati, con facoltà di alienare le aree in cui questi ultimi sono
localizzati, destinandone in tutto o in parte i proventi al finanziamento del
progetto di cui al presente accordo e alle fonti in esso richiamate"
(tanto ciò sarebbe vero che il centro in località Prato Smeraldo ha cessato il
servizio per gli italiani all'estero in onde corte già dal 30.9.2007); per
quanto invece riguarda il complesso sito in loc. Santa Palomba, il contratto di
servizio stipulato tra il Ministero delle Comunicazioni e la Rai in data 23
.01.2003 prevede, all’art.18, la riduzione dei servizi in onda media ad un
'unica rete, che trasmetta programmi delle tre reti radiofoniche nazionali.
Obbligo questo, richiamato anche all'art. l0 del ricordato Accordo di Programma
che testualmente dispone: "Ai fini dell'approvazione del piano di riduzione
della modulazione di ampiezza in onda media che la concessionaria del servizio
pubblico radio televisivo è tenuta a presentare ai sensi dell'art. 18, comma 3,
del Contratto, il Ministero tiene conto anche delle forme più idonee a
potenziare il servizio con altre tecniche trasmissive ed a ridurre al minimo il
grado di modulazione di ampiezza in onda media da parte della concessionaria
pubblica".
Proprio
in considerazione dell'anzidetta certa dismissione nel quadro di progressivo
trasferimento dei servizi svolti con tecnologia tradizionali, su nuovi vettori,
le società RAI WAY S.p.A. e RAI S.p.A. a suo tempo avevano formulato
osservazioni al Nuovo PRG di Roma affinchè le due aree sopra citate fossero
assoggettate, a seguito della dismissione, a strumento urbanistico attuativo,
chiedendo, per Prato Smeraldo, una destinazione prevalentemente residenziale e,
per Santa Palomba, una destinazione commerciale e a servizi.
Le
osservazioni sono state parzialmente accolte sicchè, l'art. 102 , in
particolare, il quinto comma, ha previsto il riuso della edificazione dismessa
con le seguenti destinazioni d'uso a) commerciali e servizi (a CU/b e CU/m); b)
turistico-ricettive limitatamente a "strutture ricettive alberghiere ed
extra-alberghiere"; c) produttive, in misura non inferiore al 30% della
SUL dismessa. Tuttavia la norma in questione ha previsto anche
l'assoggettamento a contributo straordinario di cui all’art. 20 delle stesse
NTA, per la SUL destinata alle funzioni di cui alle lett. a) e b) innanzi
richiamate, escluse le destinazioni "servizi alle persone" e
"attrezzature collettive".
Non
v’è dubbio che la previsione sia immediatamente lesiva, nella misura in cui
incide, sin da subito, sulla convenienza economica delle programmate operazioni
di dismissione, tra l’altro poste a base delle osservazioni al PRG proposte
dalle due società, e prese espressamente e specificatamente in considerazione
dalle norme tecniche impugnate aventi proprio ad oggetto il “riuso della
edificazione dismessa”.
1.2.
Quanto sopra non è ancora sufficiente per comprovare la rilevanza della
questione ai fini della proposizione della questione di costituzionalità,
poiché è onere del collegio, secondo gli insegnamenti della Corte
costituzionale, indicare, una volta che il gravame è stato ritenuto ammissibile
in relazione alle condizioni dell’azione, anche quali siano motivi per i quali
la norma di legge contestata sia ritenuta rilevante ai fini della decisione nel
merito.
Invero,
pur potendo affermarsi - come già questa Sezione ha fatto (Cons. Stato Sez. IV,
13-07-2010, n.4545) - che disposizioni quali quelle contestate, costituiscano
espressione della potestà conformativa del territorio nell’esercizio della
propria attività di pianificazione concretizzatasi attraverso il ricorso a
modelli privatistici e consensuali, ex art. 11 l. 241/90, è del tutto evidente,
per l’ambito di applicazione, il periodo di sua emanazione, ed i specifici
contenuti, che l’art. 14, comma 16, lettera f) della Legge n. 122/2010 debba
esser inteso quale "copertura" legislativa del contributo
straordinario in contestazione, ossia quale norma emanata al preciso scopo di
legittimare ex post la previsione del contributo straordinario da parte del
Comune di Roma.
Una
volta che la legge è intervenuta a disciplinare istituti, previamente
sperimentati, in ragione della mancanza della stessa, su base consensuale, il
giudice non può ritenere la nuova fonte irrilevante, ininfluente o superflua,
ma deve rivalutare la fattispecie alla luce dell’innovazione ordinamentale,
vieppiù quando – com’è nel caso di specie - l’innovazione disciplini e tipizzi
un potere amministrativo generale, individuandolo nei suoi presupposti
applicativi, nelle sue condizioni di esercizio e nei suoi limiti, conferendogli
un’efficacia potenziale che prescinde dalla ricerca del consenso.
Tale
disposizione normativa, specificatamente dedicata a Roma capitale, testualmente
prevede: “in considerazione della specificita' di Roma quale Capitale della
Repubblica, e fino alla compiuta attuazione di quanto previsto ai sensi dell'articolo
24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, per garantire l'equilibrio
economico-finanziario della gestione ordinaria, il Comune di Roma puo' adottare
le seguenti apposite misure:
…………………….
f)
contributo straordinario nella misura massima del 66 per cento del maggior
valore immobiliare conseguibile, a fronte di rilevanti valorizzazioni
immobiliari generate dallo strumento urbanistico generale, in via diretta o
indiretta, rispetto alla disciplina previgente per la realizzazione di
finalita' pubbliche o di interesse generale, ivi comprese quelle di
riqualificazione urbana, di tutela ambientale, edilizia e sociale. Detto
contributo deve essere destinato alla realizzazione di opere pubbliche o di
interesse generale ricadenti nell'ambito di intervento cui accede, e puo'
essere in parte volto anche a finanziare la spesa corrente, da destinare a
progettazioni ed esecuzioni di opere di interesse generale, nonche' alle
attivita' urbanistiche e servizio del territorio. Sono fatti salvi, in ogni
caso, gli impegni di corresponsione di contributo straordinario già assunti dal
privato operatore in sede di accordo o di atto d'obbligo a far data
dall'entrata in vigore dello strumento urbanistico generale vigente” .
Che
la nuova norma sia diretta a conferire base legale e caratteristiche
autoritative ad un potere (quello dell’imposizione patrimoniale conseguente a
conformazioni vantaggiose per gli interessi privati), innanzi esercitato
esclusivamente a mezzo della ricerca del consenso, emerge chiaramente proprio
dall’ultimo periodo della stessa. nella parte in cui sono fatti salvi (solo e
soltanto), “gli impegni di corresponsione di contributo straordinario già
assunti dal privato operatore in sede di accordo o di atto d'obbligo a far data
dall'entrata in vigore dello strumento urbanistico generale vigente” .
Dunque,
al di la degli impegni già assunti dal privato a mezzo di un accordo già
formalizzato, le procedure urbanistiche di valorizzazione citate dalla norma –
e solo quelle – ancora in itinere sono ormai disciplinate dalla norma citata,
ed alla luce di questa devono essere giudicate.
1.3.
Deve darsi altresì rilievo ad un’ulteriore vicenda normativa, questa volta
interessante l’intero territorio nazionale: la legge n. 164/2014 (Sblocca
Italia) che ha introdotto il contributo straordinario di urbanizzazione In
particolare, l'art. 17 comma l lett. g) nel modificare l'art. 16 comma 4 del
D.P.R. n. 380/2001, ha aggiunto ai criteri già previsti per la determinazione
degli oneri di urbanizzazione, anche un criterio di valutazione del maggior
valore generato su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con
cambio di destinazione d'uso.
La
nuova norma dispone che: "tale maggior valore, calcolato
dall'Amministrazione comunale, venga suddiviso in misura non inferiore al 50%
tra il Comune e la parte privata ed erogato da quest'ultima al Comune stesso
sotto forma di contributo straordinario, che attesta l 'interesse pubblico, in
versamento finanziario, vincolato a specifico centro di costo per la
realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui
ricade l'intervento, cessioni di aree o immobili da destinare a servizi di
pubblica utilità, edilizia residenziale sociale o opere pubbliche".
Il
successivo comma 4-bis dell'art. 16 del D.P.R. n. 380/2001 introdotto dal nuovo
numero 3-bis della lettera g) della L. n. 164/2014, fa salve le diverse
disposizioni delle legislazioni regionali e, ai fini che qui interessano, degli
strumenti urbanistici generali.
Conseguentemente,
è fatto salvo l'art. 20 delle N.T.A. del Nuovo P.R.G. di Roma, che ha
introdotto il contributo straordinario. Soprattutto, ed a maggior ragione in
quanto norma speciale, è fatto implicitamente salvo l’art. 14, comma 16,
lettera f) della Legge n. 122/2010.
2.
Oltre che rilevante la questione di costituzionalità appare anche non
manifestamente infondata per violazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 cost.
2.1.
Giova preliminarmente precisare che non v’è possibilità di un’interpretazione
costituzionalmente orientata, essendo qualsivoglia approccio esegetico inibito
dal carattere perentorio della norma, nonché dalla mancanza nell’ordinamento di
norme e principi, anche in materia perequativa, la cui tenuta costituzionale si
possa dire certa al punto consentire di colmare le lacune o emendare le norme
con l’ausilio dell’analogia.
2.2.
Di seguito si espongono i motivi di possibile incostituzionalità:
a)
Violazione dell’art. 23 cost.
La
misura individuata dalla legge è finalizzata a “garantire l'equilibrio
economico-finanziario della gestione ordinaria del Comune di Roma” ed è
denominata “contributo straordinario”. Quest’ultimo consegue a nuove previsioni
urbanistiche ispirate alla realizzazione di finalità pubbliche o di interesse
generale (ivi comprese quelle di riqualificazione urbana, di tutela ambientale,
edilizia e sociale) dalle quali derivi, in via diretta od anche indiretta, un
incremento di valore per le aree interessate dalla modifiche urbanistiche
citate.
Non
c’è dubbio che, secondo lo schema della norma, le previsioni urbanistiche
citate sono e rimangono il frutto del tradizionale potere pianificatorio. Ciò
che muta rispetto all’ordinamento previgente è che, ove le finalità della
pianificazione siano quelle indicate, e gli effetti siano economicamente
stimabili in termini di incremento di valore dell’immobile interessato dalla
pianificazione, il proprietario di quest’ultimo è soggetto all’imposizione di
un contributo straordinario nella misura massima del 66 per cento del maggior
valore immobiliare conseguibile.
Si
tratta chiaramente di una prestazione patrimoniale imposta, seppur collegata ad
un beneficio derivante dall’attività istituzionale dell’ente che tale
prestazione impone, e ciò seconda la logica tipica della contribuzione in
materia edilizia.
Del
resto la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha allargato la nozione di
"prestazione patrimoniale imposta", ai sensi dell'art. 23 della
Costituzione, sino a ricondurvi anche prestazioni di natura non tributaria, e
aventi funzione di corrispettivo, quando, per i caratteri e il regime giuridico
dell'attività resa, sia pure su richiesta del privato, a fronte della
prestazione patrimoniale é apparso prevalente l'elemento della imposizione
legale (cfr. ad es. sentenze n. 55 del 1963, n. 72 del 1969, n. 127 del 1988,
n. 236 del 1994, n. 215 del 1998).
Assodato
che trattasi di prestazione patrimoniale imposta, occorre dunque verificare se
sia rispettato l’art. 23 della Costituzione, nell’interpretazione che ne ha
dato la Corte.
In
proposito, la Corte ha chiarito, anche di recente, che se per un verso è
indubbio che la riserva di legge di cui all'art. 23 della Costituzione abbia
carattere relativo, nel senso che lascia all'autorità amministrativa
consistenti margini di regolazione delle fattispecie, essa, per altro verso
“non relega tuttavia la legge sullo sfondo, né può costituire giustificazione
sufficiente per un rapporto con gli atti amministrativi concreti ridotto al
mero richiamo formale ad un prescrizione normativa "in bianco",
genericamente orientata ad un principio-valore, senza una precisazione, anche
non dettagliata, dei contenuti e modi dell'azione amministrativa limitativa
della sfera generale di libertà dei cittadini” (sentenza n. 115 del 2011 e, da
ultimo, sentenza 15 maggio 2015, n. 83 ).
I
particolare, la Corte ha affermato che per rispettare la riserva relativa di
cui all'art. 23 Cost., è quanto meno necessaria la preventiva determinazione di
“sufficienti criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della
discrezionalità amministrativa” (sentenze n. 350 del 2007 e n. 105 del 2003),
richiedendo in particolare che “la concreta entità della prestazione imposta
sia desumibile chiaramente dagli interventi legislativi che riguardano
l'attività dell'amministrazione” (sentenze n. 190 del 2007 e n. 115 del 2011),
e specificando che “è pur possibile che i criteri direttivi, di natura
oggettiva o tecnica, atti a vincolare la determinazione quantitativa
dell'imposizione, si desumano dall'insieme della disciplina considerata e ciò
può verificarsi, in particolare, quando la prestazione imposta costituisca il
corrispettivo di un'attività il cui valore economico sia determinabile sulla
base di criteri tecnici, e il corrispettivo debba per legge essere determinato
in riferimento a tale valore”(cfr. sentenze n. 72 del 1969, n. 507 del 1988, 83
del 2015, cit.)
La
Corte – ancora - in alcuni casi ha valorizzato l'esistenza di elementi o moduli
procedimentali considerati idonei a restringere l'ambito di discrezionalità
dell'amministrazione escludendone l'arbitrio (cfr., da ultimo, sentenza n. 215
del 1998, nonchè, con riguardo alla materia dei c.d. diritti sanitari, sentenza
n. 180 del 1996),
Le
riportate coordinate costituzionali – negli anni tracciate dalla Corte - non
appaiono, invero, rispettate dalla norma in valutazione.
Infatti,
la norma censurata, individuando il fatto rilevatore di capacità contributiva
nel maggior valore immobiliare conseguibile a fronte di rilevanti
valorizzazioni immobiliari generate dallo strumento urbanistico generale, in
via diretta o indiretta, rispetto alla disciplina previgente, pone criteri
vaghi ed imprecisi (vaga è la nozione di “rilevanti valorizzazioni immobiliari”
e imprecisata è la riferibilità di tali valorizzazioni a fatti generatori
“indiretti”) inidonei a delimitare la discrezionalità dell’autorità amministrativa
nell’ esercizio del potere impositivo.
Inesistenti
sono poi i criteri in ordine al quantum. L’indicazione di una misura massima
del 66%, solo apparentemente costituisce una limitazione idonea a limitare la
potestà, ove solo si consideri che essa è percentuale così elevata da lasciare
all’amministrazione un margine amplissimo (da 0 a 66%) in cui la fissazione
dell’aliquota risulta lasciata totalmente alla libera determinazione dell’ente,
in assenza di qualsivoglia parametro o criterio.
Né
sono previsti meccanismi di consultazione, procedimenti partecipativi, o pareri
obbligatori dai quali possa scaturire una qualche indicazione vincolante od
orientativa, frutto di partecipazione.
b)
Altri elementi depongono per la violazione, sotto altro profilo dell’art. 23
Cost. ove letto alla luce del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 e
dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 cost.
La
particolare gravosità dell’ imposizione patrimoniale non si spiega se non con
riferimento al principio della derivazione del beneficio dall’esercizio del
potere amministrativo di conformazione della proprietà: l’ente è legittimato a
chiedere una somma così alta perché essa è, in definitiva, il frutto di una
previa attività amministrativa dell’ente, creativa di un plus valore ancora più
rilevante. La somma, tuttavia, non può essere il “ prezzo” della
valorizzazione, per ovvie ragioni di preservazione e tutela dell’effettività
dell’interesse pubblico perseguito a mezzo del potere di pianificazione, e con
esso dell’imparzialità e buon andamento dell’amministrazione: principi che non
ammettono che le finalità di una corretta pianificazione possano cedere il
passo ad un pianificazione “lucrativa”. L’obbligazione pecuniaria citata, ha un
senso solo se connessa al principio di perequazione. Poiché l’amministrazione
nel perseguimento di una corretta ed imparziale pianificazione del futuro
assetto del territorio, genera, per alcuni proprietari, rilevanti
valorizzazioni rispetto ad altri, è equo che i proprietari beneficiati
restituiscano, quanto meno in parte, il plus valore a favore del territorio,
così che anche gli altri proprietari ne possano indirettamente beneficiare. Le
esigenze di restituzione, in sintesi, devono essere quelle proprie dei
proprietari non beneficiati, in funzione perequativa, non già quelle
dell’amministrazione quale compenso o contributo per la generazione del
beneficio.
Se
così è, allora è evidente che la norma è incostituzionale nella parte in cui
consente di destinare promiscuamente il gettito derivante dal contributo
straordinario, non solo “ alla realizzazione di opere pubbliche o di interesse
generale ricadenti nell’ambito dell’intervento cui accede” ma, anche ed in
parte (in misura, invero, nient’affatto precisata dalla norma), a “finanziare
la spesa corrente, da destinare a progettazioni ed esecuzioni di opere di
interesse generale, nonche' alle attivita' urbanistiche e servizio del
territorio”. La formula è così ampia e vaga da legittimare, nella sostanza, la
generica utilizzabilità del gettito per qualsivoglia esigenza del Comune di
Roma, ove si consideri ad es. che potrebbero rientrare nella spesa corrente di
Roma Capitale anche gli oneri del personale amministrativo e le spese generali
in qualche modo correlate al “servizio del territorio”.
c)
Violazione dell’art. 53 Cost.
La
norma censurata sembra porsi altresì in contrasto con l’art. 53 Costituzione.
Nella giurisprudenza della Corte Costituzionale si è dato risalto all’esigenza
che il collegamento tra fatto rivelatore di capacità contributiva e tributo sia
effettivo e non apparente o fittizio. Aspetto della effettività è l’attualità
della capacità contributiva: il tributo, nel momento in cui trova applicazione,
deve colpire una capacità contributiva in atto, non una capacità contributiva
futura.
La
norma in esame, invece, identifica il fatto imponibile nel maggior valore
immobiliare “conseguibile” e non già in quello effettivamente conseguito,
prescindendo dal concreto sfruttamento edilizio del terreno e così trascurando
che il proprietario “beneficiato” dall’incremento di valore potrebbe non avere
intenzione di sfruttare le potenzialità edilizie, né di vendere l’immobile ad
altri che possano farlo.
Il
pagamento anticipato rispetto al presupposto concretamente generante ricchezza
avrebbe potuto essere preteso – in ossequio ai puntuali insegnamenti della
Corte costituzionale - solo con il rispetto di determinate condizioni: a) che
l’obbligo di versamento non sia incondizionato (con possibilità del
contribuente di non versare se prevede di non produrre reddito); b) che al
prelievo anticipato si saldi la previsione di meccanismi di riequilibrio (Corte
Cost. n. 77/1967). Requisiti che invece il legislatore non ha previsto nel caso
di specie.
d)
Violazione degli artt. 3 e 53 cost. sotto altri profili
d.1)
Il contributo in questione risulta ancora in contrasto con il combinato
disposto degli artt. 53 e 3 Costituzione, ovverosia sotto il profilo del
principio di eguaglianza tributaria in base al quale a situazioni uguali devono
corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni
diverse un trattamento tributario differenziato.
La
disposizione in esame differenzia, senza fornire criteri oggettivi che possano
fornire sufficiente giustificazione, tra titolare di aree valorizzate
“rilevantemente” e titolari di aree edificabili valorizzate, anche se “non
rilevantemente”, sottoponendo solo i primi a gravosa imposizione patrimoniale e
consentendo invece ai secondi il pieno ed esclusivo godimento della rendita
generata, con esenzione totale dall’ imposizione.
d.2)
La norma è discriminatoria anche sotto il profilo dell’ambito applicativo e dei
contenuti della previsione urbanistica “valorizzante”. Essa genera obbligazioni
pecuniarie in funzione tendenzialmente perequativa solo per le ipotesi di varianti
finalizzate alla realizzazione di finalità pubbliche o di interesse generale,
ivi comprese quelle di riqualificazione urbana, di tutela ambientale, edilizia
e sociale, che ovviamente comportino rilevante valorizzazione in favore del
proprietario, e del tutto irragionevolmente non le genera invece per le
varianti o per i nuovi piani che siano semplicemente ispirate ad una logica di
fisiologica espansione urbanistica.
d.3)
Crea ancora sperequazione tra soggetti già oggettivamente beneficiati dalle
previsioni del Piano urbanistico “originario, che rimangono fuori dall’ambito
di applicazione della legge e continuano a godere integralmente della rendita,
e soggetti interessati dalle varianti o dal nuovo piano che, per ciò solo, sono
obbligati al contributo, anche e paradossalmente in favore degli altri
proprietari originariamente beneficiati.
-
Conclusivamente, vanno dichiarate rilevanti, e non manifestamente infondate le
questioni di legittimità costituzionale riguardanti 14 comma 16 lett. f) della
Legge n. 122/2010 per contrasto, sotto diversi e concorrenti profili, con gli
artt.3, 23, 53, 97 Cost., secondo quanto in premessa specificato
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
visti
gli artt. 134 Cost.; 1 l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1, 23 l. 11 marzo 1953, n.
87 :
-
dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 14 comma 16 lett. f) della Legge n. 122/2010 per
violazione, sotto diversi profili, dell’art. 3 23, 53, 97 Cost., secondo quanto
in premessa specificato.
-
ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende
il giudizio.
-
ordina che a cura della Segreteria della Sezione la presente ordinanza sia
notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri,
nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della
Repubblica.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 maggio 2015 con
l'intervento dei magistrati:
Goffredo
Zaccardi, Presidente
Raffaele
Potenza, Consigliere
Silvestro
Maria Russo, Consigliere
Antonio
Bianchi, Consigliere
Giulio
Veltri, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
Il
23/06/2015
IL
SEGRETARIO
(Art.
89, co. 3, cod. proc. amm.)
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