mercoledì 24 giugno 2015

PROCESSO: l'interesse ad ad agire nel processo amministrativo (Cons. St, Sez. IV, ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale 23 giugno 2015, n. 3167).


PROCESSO: 
l'interesse ad ad agire 
nel processo amministrativo 
(Cons. St, Sez. IV, 
ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale
 23 giugno 2015, n. 3167)



Se nel processo civile, su una scala da 1 a 10, le questioni preliminari (inammissibilità, irricevibilità, e nel giudizio amministrativo, l'improcedibilità) contano 2, nel processo amministrativo contano 10.
Ora, il primo paradosso è che i relativi concetti di condizione del ricorso sono mutuati interramente dalla processualcivilistica, ma sono più evanescenti.
E qui sta il secondo paradosso: contano di più, ma, rectius nonostante, siano meno certe sul piano definitorio ed sul piano applicativo.


Massima

E’ noto che l’ interesse ad agire, individuato quale presupposto dell’azione, dall'art. 100 c.p.c., da sempre applicabile anche al processo amministrativo, ora anche in virtù del rinvio esterno operato dall'art. 39, co. 1, c.p.a. è scolpito nella sua tradizionale definizione di “concreto bisogno di tutela giurisdizionale", nel senso che, il ricorso al giudice deve presentarsi come indispensabile per porre rimedio alla lesione (azioni demolitorie, risarcitorie e d’adempimento), alla sua minaccia (azioni inibitorie), od anche alla negazione della posizione giuridica vantata dall’amministrato (azione atipica di accertamento): è dunque espressione di economia processuale, manifestando l'esigenza che il ricorso alla giustizia rappresenti extrema ratio; da qui i suoi caratteri essenziali costituiti dalla serietà, concretezza ed attualità o elevata probabilità della lesione.



Ordinanza (di rimessione alla Corte Costituzionale) per intero

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

ORDINANZA
DI RIMESSIONE ALLA CORTE COSTITUZIONALE
sul ricorso numero di registro generale 1367 del 2012, proposto da:

Rai Way S.p.A., Rai - Radiotelevisione Italiana Spa, entrambe rappresentate e difese dagli avv.ti Giuseppe Lavitola, Maria Enrica Cavalli, con domicilio eletto presso Lavitola Studio Legale in Roma, Via Costabella, 23;
contro
Roma Capitale, Regione Lazio, Provincia di Roma, non costituiti in giudizio.
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II BIS n. 05887/2011, resa tra le parti, concernente adozione del piano regolatore generale del Comune di Roma - nuova destinazione fabbricati – imposizione contributo straordinario.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 maggio 2015 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Maria Enrica Cavalli;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso straordinario originariamente proposto al Capo dello Stato, e successivamente trasposto innanzi al Tar Lazio Sezione Seconda Bis (N. 9986/2008) a seguito di atto di opposizione notificato dal Comune di Roma in data 18 settembre 2008, RAI S.p.a. e RAI Way S.p.a., società quest’controllata dalla stessa RAI, chiedevano l’annullamento dei provvedimenti relativi all’adozione del piano regolatore generale del Comune di Roma.
In particolare le ricorrenti lamentavano l’illegittimità della previsione del contributo straordinario di cui al combinato disposto degli artt. 102 comma 5 e 20 comma 3 N.T.A., nella parte in cui assoggettano le “valorizzazioni” urbanistiche frutto della pianificazione, a contributo straordinario, deducendo la carenza della necessaria base legislativa, nonché (con successiva memoria) censure di incostituzionalità dell’art. 14 comma 16 lett. f) della Legge n. 122/2010 - nelle more del giudizio di primo grado entrata in vigore - per violazione degli artt. 3, 23, 53, 47, 97 della Costituzione. Il Tar Lazio Sezione Seconda Bis con sentenza n. 5887/2011 dichiarava inammissibile il ricorso per “carenza di un interesse attuale e concreto a proporre l’impugnazione in esame, posto che il pregiudizio lamentato potrà in futuro verificarsi in modo del tutto eventuale e aleatorio, solo qualora le ricorrenti effettivamente dismettano le aree e le stesse vengano successivamente adibite ad una delle specifiche utilizzazioni che impongono il contributo straordinario, divenendo solo in tal caso apprezzabile il loro decremento di valore economico-commerciale, allo stato del tutto ipotetico ed eventuale”. In sintesi, ad avviso del giudice di prime cure, pur non potendo essere ritenute manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate, le stesse risultavano precluse, in base al parametro della rilevanza, dalla necessità di definire previamente le eccezioni di inammissibilità sollevate da parte resistente.
Con appello notificato in data 13 febbraio 2012, le società ricorrenti denunciavano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. sostenendo: da un lato che la dismissione delle aree, presupposto applicativo della norma impugnata, costituirebbe un passaggio certo ed obbligato per le ricorrenti, e dall’altro, che l’interesse all’impugnazione sussisterebbe anche nel caso in cui il pregiudizio non si sia ancora verificato, ma si abbia la elevata probabilità e/o certezza del suo verificarsi in futuro. Le società appellanti riproponevano altresì le censure di illegittimità costituzionale dell’art. 14 comma 16 lett. f) della Legge n. 122/2010, attraverso il quale il legislatore statale avrebbe asseritamente inteso fornire copertura legislativa all’imposizione del contributo straordinario di urbanizzazione introdotto dal Comune di Roma con il nuovo piano regolatore generale. Con tale norma – secondo le appellanti - si sarebbe sostanzialmente sanato e ratificato, riproducendone il contenuto, ciò che il Comune di Roma aveva determinato in sede di N.T.A. (art. 20 comma 3). Infine, le ricorrenti denunciavano anche l’illegittimità costituzionale dell’art. 17 comma 1 lett. g) della Legge n. 164/2014 (c.d. Sblocca Italia) il quale, ferma restando la salvezza delle diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali, avrebbe aggiunto ai criteri già previsti per la determinazione degli oneri di urbanizzazione, anche un criterio di valutazione del maggior valore generato su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d’uso che si porrebbe, ad avviso delle parti appellanti, in contrasto con gli artt. 3,23 e 53 Costituzione nella parte in cui a) sono fatte salve le diverse previsioni regionali e degli strumenti urbanistici generali; b) è rimessa all’illimitata discrezionalità dell’ Amministrazione Comunale stabilire di volta in volta la specifica misura del contributo da applicare in concreto.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 5 maggio 2015.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il collegio che sussistano i presupposti per la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale in ordine alla legittimità dell’ art. 14 comma 16 lett. f) della Legge n. 122/2010.
1. La questione è rilevante.
1.1. In proposito si anticipa che l’eccezione di inammissibilità proposta in prime cure dagli enti resistenti, accolta dal TAR, ed avversata a mezzo del gravame in decisione, è infondata, in aderenza alla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato.
E’ noto che l’ interesse ad agire, individuato quale presupposto dell’azione, dall'art. 100 c.p.c. , da sempre applicabile anche al processo amministrativo, ora anche in virtù del rinvio esterno operato dall'art. 39, co. 1, c.p.a. è scolpito nella sua tradizionale definizione di “concreto bisogno di tutela giurisdizionale", nel senso che, il ricorso al giudice deve presentarsi come indispensabile per porre rimedio alla lesione (azioni demolitorie, risarcitorie e d’adempimento), alla sua minaccia (azioni inibitorie), od anche alla negazione della posizione giuridica vantata dall’amministrato (azione atipica di accertamento): è dunque espressione di economia processuale, manifestando l'esigenza che il ricorso alla giustizia rappresenti extrema ratio; da qui i suoi caratteri essenziali costituiti dalla serietà, concretezza ed attualità o elevata probabilità della lesione (ex multis Cons. Stato Sez. V, 02-04-2014, n. 1572).
Nel caso di specie, le appellanti assumono che la dismissione delle aree cui farà seguito il mutamento di destinazione oggetto di contributo straordinario, costituisce un passaggio sicuro ed obbligato talchè, la lesione derivante dalle norme, oltre che concreta, è suscettibile di verificarsi con un elevato grado di probabilità nel prossimo futuro.
In proposito precisano, per quanto riguarda il complesso immobiliare in loc. Prato Smeraldo, che nell'Accordo di Programma stipulato in data 8.8.2003, nel quadro delle disposizioni di legge vigenti, tra il Ministero delle Comunicazioni e la Rai per il passaggio delle trasmissioni radiotelevisive alla tecnologia digitale terrestre, è espressamente previsto all'art. 9 che i servizi rivolti agli italiani all'estero debbano essere svolti "con strumenti e sistemi di più evoluta tecnologia anche multimediale, diversi da quelli attualmente utilizzati, con facoltà di alienare le aree in cui questi ultimi sono localizzati, destinandone in tutto o in parte i proventi al finanziamento del progetto di cui al presente accordo e alle fonti in esso richiamate" (tanto ciò sarebbe vero che il centro in località Prato Smeraldo ha cessato il servizio per gli italiani all'estero in onde corte già dal 30.9.2007); per quanto invece riguarda il complesso sito in loc. Santa Palomba, il contratto di servizio stipulato tra il Ministero delle Comunicazioni e la Rai in data 23 .01.2003 prevede, all’art.18, la riduzione dei servizi in onda media ad un 'unica rete, che trasmetta programmi delle tre reti radiofoniche nazionali. Obbligo questo, richiamato anche all'art. l0 del ricordato Accordo di Programma che testualmente dispone: "Ai fini dell'approvazione del piano di riduzione della modulazione di ampiezza in onda media che la concessionaria del servizio pubblico radio televisivo è tenuta a presentare ai sensi dell'art. 18, comma 3, del Contratto, il Ministero tiene conto anche delle forme più idonee a potenziare il servizio con altre tecniche trasmissive ed a ridurre al minimo il grado di modulazione di ampiezza in onda media da parte della concessionaria pubblica".
Proprio in considerazione dell'anzidetta certa dismissione nel quadro di progressivo trasferimento dei servizi svolti con tecnologia tradizionali, su nuovi vettori, le società RAI WAY S.p.A. e RAI S.p.A. a suo tempo avevano formulato osservazioni al Nuovo PRG di Roma affinchè le due aree sopra citate fossero assoggettate, a seguito della dismissione, a strumento urbanistico attuativo, chiedendo, per Prato Smeraldo, una destinazione prevalentemente residenziale e, per Santa Palomba, una destinazione commerciale e a servizi.
Le osservazioni sono state parzialmente accolte sicchè, l'art. 102 , in particolare, il quinto comma, ha previsto il riuso della edificazione dismessa con le seguenti destinazioni d'uso a) commerciali e servizi (a CU/b e CU/m); b) turistico-ricettive limitatamente a "strutture ricettive alberghiere ed extra-alberghiere"; c) produttive, in misura non inferiore al 30% della SUL dismessa. Tuttavia la norma in questione ha previsto anche l'assoggettamento a contributo straordinario di cui all’art. 20 delle stesse NTA, per la SUL destinata alle funzioni di cui alle lett. a) e b) innanzi richiamate, escluse le destinazioni "servizi alle persone" e "attrezzature collettive".
Non v’è dubbio che la previsione sia immediatamente lesiva, nella misura in cui incide, sin da subito, sulla convenienza economica delle programmate operazioni di dismissione, tra l’altro poste a base delle osservazioni al PRG proposte dalle due società, e prese espressamente e specificatamente in considerazione dalle norme tecniche impugnate aventi proprio ad oggetto il “riuso della edificazione dismessa”.
1.2. Quanto sopra non è ancora sufficiente per comprovare la rilevanza della questione ai fini della proposizione della questione di costituzionalità, poiché è onere del collegio, secondo gli insegnamenti della Corte costituzionale, indicare, una volta che il gravame è stato ritenuto ammissibile in relazione alle condizioni dell’azione, anche quali siano motivi per i quali la norma di legge contestata sia ritenuta rilevante ai fini della decisione nel merito.
Invero, pur potendo affermarsi - come già questa Sezione ha fatto (Cons. Stato Sez. IV, 13-07-2010, n.4545) - che disposizioni quali quelle contestate, costituiscano espressione della potestà conformativa del territorio nell’esercizio della propria attività di pianificazione concretizzatasi attraverso il ricorso a modelli privatistici e consensuali, ex art. 11 l. 241/90, è del tutto evidente, per l’ambito di applicazione, il periodo di sua emanazione, ed i specifici contenuti, che l’art. 14, comma 16, lettera f) della Legge n. 122/2010 debba esser inteso quale "copertura" legislativa del contributo straordinario in contestazione, ossia quale norma emanata al preciso scopo di legittimare ex post la previsione del contributo straordinario da parte del Comune di Roma.
Una volta che la legge è intervenuta a disciplinare istituti, previamente sperimentati, in ragione della mancanza della stessa, su base consensuale, il giudice non può ritenere la nuova fonte irrilevante, ininfluente o superflua, ma deve rivalutare la fattispecie alla luce dell’innovazione ordinamentale, vieppiù quando – com’è nel caso di specie - l’innovazione disciplini e tipizzi un potere amministrativo generale, individuandolo nei suoi presupposti applicativi, nelle sue condizioni di esercizio e nei suoi limiti, conferendogli un’efficacia potenziale che prescinde dalla ricerca del consenso.
Tale disposizione normativa, specificatamente dedicata a Roma capitale, testualmente prevede: “in considerazione della specificita' di Roma quale Capitale della Repubblica, e fino alla compiuta attuazione di quanto previsto ai sensi dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, per garantire l'equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria, il Comune di Roma puo' adottare le seguenti apposite misure:
…………………….
f) contributo straordinario nella misura massima del 66 per cento del maggior valore immobiliare conseguibile, a fronte di rilevanti valorizzazioni immobiliari generate dallo strumento urbanistico generale, in via diretta o indiretta, rispetto alla disciplina previgente per la realizzazione di finalita' pubbliche o di interesse generale, ivi comprese quelle di riqualificazione urbana, di tutela ambientale, edilizia e sociale. Detto contributo deve essere destinato alla realizzazione di opere pubbliche o di interesse generale ricadenti nell'ambito di intervento cui accede, e puo' essere in parte volto anche a finanziare la spesa corrente, da destinare a progettazioni ed esecuzioni di opere di interesse generale, nonche' alle attivita' urbanistiche e servizio del territorio. Sono fatti salvi, in ogni caso, gli impegni di corresponsione di contributo straordinario già assunti dal privato operatore in sede di accordo o di atto d'obbligo a far data dall'entrata in vigore dello strumento urbanistico generale vigente” .
Che la nuova norma sia diretta a conferire base legale e caratteristiche autoritative ad un potere (quello dell’imposizione patrimoniale conseguente a conformazioni vantaggiose per gli interessi privati), innanzi esercitato esclusivamente a mezzo della ricerca del consenso, emerge chiaramente proprio dall’ultimo periodo della stessa. nella parte in cui sono fatti salvi (solo e soltanto), “gli impegni di corresponsione di contributo straordinario già assunti dal privato operatore in sede di accordo o di atto d'obbligo a far data dall'entrata in vigore dello strumento urbanistico generale vigente” .
Dunque, al di la degli impegni già assunti dal privato a mezzo di un accordo già formalizzato, le procedure urbanistiche di valorizzazione citate dalla norma – e solo quelle – ancora in itinere sono ormai disciplinate dalla norma citata, ed alla luce di questa devono essere giudicate.
1.3. Deve darsi altresì rilievo ad un’ulteriore vicenda normativa, questa volta interessante l’intero territorio nazionale: la legge n. 164/2014 (Sblocca Italia) che ha introdotto il contributo straordinario di urbanizzazione In particolare, l'art. 17 comma l lett. g) nel modificare l'art. 16 comma 4 del D.P.R. n. 380/2001, ha aggiunto ai criteri già previsti per la determinazione degli oneri di urbanizzazione, anche un criterio di valutazione del maggior valore generato su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso.
La nuova norma dispone che: "tale maggior valore, calcolato dall'Amministrazione comunale, venga suddiviso in misura non inferiore al 50% tra il Comune e la parte privata ed erogato da quest'ultima al Comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l 'interesse pubblico, in versamento finanziario, vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, cessioni di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale o opere pubbliche".
Il successivo comma 4-bis dell'art. 16 del D.P.R. n. 380/2001 introdotto dal nuovo numero 3-bis della lettera g) della L. n. 164/2014, fa salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e, ai fini che qui interessano, degli strumenti urbanistici generali.
Conseguentemente, è fatto salvo l'art. 20 delle N.T.A. del Nuovo P.R.G. di Roma, che ha introdotto il contributo straordinario. Soprattutto, ed a maggior ragione in quanto norma speciale, è fatto implicitamente salvo l’art. 14, comma 16, lettera f) della Legge n. 122/2010.
2. Oltre che rilevante la questione di costituzionalità appare anche non manifestamente infondata per violazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 cost.
2.1. Giova preliminarmente precisare che non v’è possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata, essendo qualsivoglia approccio esegetico inibito dal carattere perentorio della norma, nonché dalla mancanza nell’ordinamento di norme e principi, anche in materia perequativa, la cui tenuta costituzionale si possa dire certa al punto consentire di colmare le lacune o emendare le norme con l’ausilio dell’analogia.
2.2. Di seguito si espongono i motivi di possibile incostituzionalità:
a) Violazione dell’art. 23 cost.
La misura individuata dalla legge è finalizzata a “garantire l'equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria del Comune di Roma” ed è denominata “contributo straordinario”. Quest’ultimo consegue a nuove previsioni urbanistiche ispirate alla realizzazione di finalità pubbliche o di interesse generale (ivi comprese quelle di riqualificazione urbana, di tutela ambientale, edilizia e sociale) dalle quali derivi, in via diretta od anche indiretta, un incremento di valore per le aree interessate dalla modifiche urbanistiche citate.
Non c’è dubbio che, secondo lo schema della norma, le previsioni urbanistiche citate sono e rimangono il frutto del tradizionale potere pianificatorio. Ciò che muta rispetto all’ordinamento previgente è che, ove le finalità della pianificazione siano quelle indicate, e gli effetti siano economicamente stimabili in termini di incremento di valore dell’immobile interessato dalla pianificazione, il proprietario di quest’ultimo è soggetto all’imposizione di un contributo straordinario nella misura massima del 66 per cento del maggior valore immobiliare conseguibile.
Si tratta chiaramente di una prestazione patrimoniale imposta, seppur collegata ad un beneficio derivante dall’attività istituzionale dell’ente che tale prestazione impone, e ciò seconda la logica tipica della contribuzione in materia edilizia.
Del resto la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha allargato la nozione di "prestazione patrimoniale imposta", ai sensi dell'art. 23 della Costituzione, sino a ricondurvi anche prestazioni di natura non tributaria, e aventi funzione di corrispettivo, quando, per i caratteri e il regime giuridico dell'attività resa, sia pure su richiesta del privato, a fronte della prestazione patrimoniale é apparso prevalente l'elemento della imposizione legale (cfr. ad es. sentenze n. 55 del 1963, n. 72 del 1969, n. 127 del 1988, n. 236 del 1994, n. 215 del 1998).
Assodato che trattasi di prestazione patrimoniale imposta, occorre dunque verificare se sia rispettato l’art. 23 della Costituzione, nell’interpretazione che ne ha dato la Corte.
In proposito, la Corte ha chiarito, anche di recente, che se per un verso è indubbio che la riserva di legge di cui all'art. 23 della Costituzione abbia carattere relativo, nel senso che lascia all'autorità amministrativa consistenti margini di regolazione delle fattispecie, essa, per altro verso “non relega tuttavia la legge sullo sfondo, né può costituire giustificazione sufficiente per un rapporto con gli atti amministrativi concreti ridotto al mero richiamo formale ad un prescrizione normativa "in bianco", genericamente orientata ad un principio-valore, senza una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell'azione amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini” (sentenza n. 115 del 2011 e, da ultimo, sentenza 15 maggio 2015, n. 83 ).
I particolare, la Corte ha affermato che per rispettare la riserva relativa di cui all'art. 23 Cost., è quanto meno necessaria la preventiva determinazione di “sufficienti criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa” (sentenze n. 350 del 2007 e n. 105 del 2003), richiedendo in particolare che “la concreta entità della prestazione imposta sia desumibile chiaramente dagli interventi legislativi che riguardano l'attività dell'amministrazione” (sentenze n. 190 del 2007 e n. 115 del 2011), e specificando che “è pur possibile che i criteri direttivi, di natura oggettiva o tecnica, atti a vincolare la determinazione quantitativa dell'imposizione, si desumano dall'insieme della disciplina considerata e ciò può verificarsi, in particolare, quando la prestazione imposta costituisca il corrispettivo di un'attività il cui valore economico sia determinabile sulla base di criteri tecnici, e il corrispettivo debba per legge essere determinato in riferimento a tale valore”(cfr. sentenze n. 72 del 1969, n. 507 del 1988, 83 del 2015, cit.)
La Corte – ancora - in alcuni casi ha valorizzato l'esistenza di elementi o moduli procedimentali considerati idonei a restringere l'ambito di discrezionalità dell'amministrazione escludendone l'arbitrio (cfr., da ultimo, sentenza n. 215 del 1998, nonchè, con riguardo alla materia dei c.d. diritti sanitari, sentenza n. 180 del 1996),
Le riportate coordinate costituzionali – negli anni tracciate dalla Corte - non appaiono, invero, rispettate dalla norma in valutazione.
Infatti, la norma censurata, individuando il fatto rilevatore di capacità contributiva nel maggior valore immobiliare conseguibile a fronte di rilevanti valorizzazioni immobiliari generate dallo strumento urbanistico generale, in via diretta o indiretta, rispetto alla disciplina previgente, pone criteri vaghi ed imprecisi (vaga è la nozione di “rilevanti valorizzazioni immobiliari” e imprecisata è la riferibilità di tali valorizzazioni a fatti generatori “indiretti”) inidonei a delimitare la discrezionalità dell’autorità amministrativa nell’ esercizio del potere impositivo.
Inesistenti sono poi i criteri in ordine al quantum. L’indicazione di una misura massima del 66%, solo apparentemente costituisce una limitazione idonea a limitare la potestà, ove solo si consideri che essa è percentuale così elevata da lasciare all’amministrazione un margine amplissimo (da 0 a 66%) in cui la fissazione dell’aliquota risulta lasciata totalmente alla libera determinazione dell’ente, in assenza di qualsivoglia parametro o criterio.
Né sono previsti meccanismi di consultazione, procedimenti partecipativi, o pareri obbligatori dai quali possa scaturire una qualche indicazione vincolante od orientativa, frutto di partecipazione.
b) Altri elementi depongono per la violazione, sotto altro profilo dell’art. 23 Cost. ove letto alla luce del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 e dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 cost.
La particolare gravosità dell’ imposizione patrimoniale non si spiega se non con riferimento al principio della derivazione del beneficio dall’esercizio del potere amministrativo di conformazione della proprietà: l’ente è legittimato a chiedere una somma così alta perché essa è, in definitiva, il frutto di una previa attività amministrativa dell’ente, creativa di un plus valore ancora più rilevante. La somma, tuttavia, non può essere il “ prezzo” della valorizzazione, per ovvie ragioni di preservazione e tutela dell’effettività dell’interesse pubblico perseguito a mezzo del potere di pianificazione, e con esso dell’imparzialità e buon andamento dell’amministrazione: principi che non ammettono che le finalità di una corretta pianificazione possano cedere il passo ad un pianificazione “lucrativa”. L’obbligazione pecuniaria citata, ha un senso solo se connessa al principio di perequazione. Poiché l’amministrazione nel perseguimento di una corretta ed imparziale pianificazione del futuro assetto del territorio, genera, per alcuni proprietari, rilevanti valorizzazioni rispetto ad altri, è equo che i proprietari beneficiati restituiscano, quanto meno in parte, il plus valore a favore del territorio, così che anche gli altri proprietari ne possano indirettamente beneficiare. Le esigenze di restituzione, in sintesi, devono essere quelle proprie dei proprietari non beneficiati, in funzione perequativa, non già quelle dell’amministrazione quale compenso o contributo per la generazione del beneficio.
Se così è, allora è evidente che la norma è incostituzionale nella parte in cui consente di destinare promiscuamente il gettito derivante dal contributo straordinario, non solo “ alla realizzazione di opere pubbliche o di interesse generale ricadenti nell’ambito dell’intervento cui accede” ma, anche ed in parte (in misura, invero, nient’affatto precisata dalla norma), a “finanziare la spesa corrente, da destinare a progettazioni ed esecuzioni di opere di interesse generale, nonche' alle attivita' urbanistiche e servizio del territorio”. La formula è così ampia e vaga da legittimare, nella sostanza, la generica utilizzabilità del gettito per qualsivoglia esigenza del Comune di Roma, ove si consideri ad es. che potrebbero rientrare nella spesa corrente di Roma Capitale anche gli oneri del personale amministrativo e le spese generali in qualche modo correlate al “servizio del territorio”.
c) Violazione dell’art. 53 Cost.
La norma censurata sembra porsi altresì in contrasto con l’art. 53 Costituzione. Nella giurisprudenza della Corte Costituzionale si è dato risalto all’esigenza che il collegamento tra fatto rivelatore di capacità contributiva e tributo sia effettivo e non apparente o fittizio. Aspetto della effettività è l’attualità della capacità contributiva: il tributo, nel momento in cui trova applicazione, deve colpire una capacità contributiva in atto, non una capacità contributiva futura.
La norma in esame, invece, identifica il fatto imponibile nel maggior valore immobiliare “conseguibile” e non già in quello effettivamente conseguito, prescindendo dal concreto sfruttamento edilizio del terreno e così trascurando che il proprietario “beneficiato” dall’incremento di valore potrebbe non avere intenzione di sfruttare le potenzialità edilizie, né di vendere l’immobile ad altri che possano farlo.
Il pagamento anticipato rispetto al presupposto concretamente generante ricchezza avrebbe potuto essere preteso – in ossequio ai puntuali insegnamenti della Corte costituzionale - solo con il rispetto di determinate condizioni: a) che l’obbligo di versamento non sia incondizionato (con possibilità del contribuente di non versare se prevede di non produrre reddito); b) che al prelievo anticipato si saldi la previsione di meccanismi di riequilibrio (Corte Cost. n. 77/1967). Requisiti che invece il legislatore non ha previsto nel caso di specie.
d) Violazione degli artt. 3 e 53 cost. sotto altri profili
d.1) Il contributo in questione risulta ancora in contrasto con il combinato disposto degli artt. 53 e 3 Costituzione, ovverosia sotto il profilo del principio di eguaglianza tributaria in base al quale a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario differenziato.
La disposizione in esame differenzia, senza fornire criteri oggettivi che possano fornire sufficiente giustificazione, tra titolare di aree valorizzate “rilevantemente” e titolari di aree edificabili valorizzate, anche se “non rilevantemente”, sottoponendo solo i primi a gravosa imposizione patrimoniale e consentendo invece ai secondi il pieno ed esclusivo godimento della rendita generata, con esenzione totale dall’ imposizione.
d.2) La norma è discriminatoria anche sotto il profilo dell’ambito applicativo e dei contenuti della previsione urbanistica “valorizzante”. Essa genera obbligazioni pecuniarie in funzione tendenzialmente perequativa solo per le ipotesi di varianti finalizzate alla realizzazione di finalità pubbliche o di interesse generale, ivi comprese quelle di riqualificazione urbana, di tutela ambientale, edilizia e sociale, che ovviamente comportino rilevante valorizzazione in favore del proprietario, e del tutto irragionevolmente non le genera invece per le varianti o per i nuovi piani che siano semplicemente ispirate ad una logica di fisiologica espansione urbanistica.
d.3) Crea ancora sperequazione tra soggetti già oggettivamente beneficiati dalle previsioni del Piano urbanistico “originario, che rimangono fuori dall’ambito di applicazione della legge e continuano a godere integralmente della rendita, e soggetti interessati dalle varianti o dal nuovo piano che, per ciò solo, sono obbligati al contributo, anche e paradossalmente in favore degli altri proprietari originariamente beneficiati.
- Conclusivamente, vanno dichiarate rilevanti, e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale riguardanti 14 comma 16 lett. f) della Legge n. 122/2010 per contrasto, sotto diversi e concorrenti profili, con gli artt.3, 23, 53, 97 Cost., secondo quanto in premessa specificato

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
visti gli artt. 134 Cost.; 1 l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1, 23 l. 11 marzo 1953, n. 87 :
- dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 comma 16 lett. f) della Legge n. 122/2010 per violazione, sotto diversi profili, dell’art. 3 23, 53, 97 Cost., secondo quanto in premessa specificato.
- ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio.
- ordina che a cura della Segreteria della Sezione la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Goffredo Zaccardi, Presidente
Raffaele Potenza, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE






DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/06/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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