PROVVEDIMENTO:
Sulla distinzione tra poteri di revoca e di recesso della p.a in relazione ai contratti d’appalto
e sulle correlate conseguenze
Sulla distinzione tra poteri di revoca e di recesso della p.a in relazione ai contratti d’appalto
e sulle correlate conseguenze
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II "ter",
sent. 6 marzo 2013 n. 2432)
Massima
1. Con l’entrata
in vigore dell’art. 21 quinquies della l. n. 241 del 1990, il
legislatore ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti
alternativi che legittimano l’adozione del provvedimento: a) sopravvenuti
motivi di pubblico interesse; b) mutamento della situazione di
fatto; c) nuova valutazione dell’interesse pubblico originario
(c.d. jus poenitendi).
Il provvedimento di revoca, peraltro, deve
necessariamente avere ad oggetto un provvedimento, ad efficacia durevole o
istantanea, che non abbia ancora esaurito i suoi effetti quando
l’amministrazione decide di intervenire in autotutela, tanto che l’atto
determina, per espressa previsione di legge, l’inidoneità del provvedimento a
produrre ulteriori effetti.
La revoca opera per ragioni di merito, vale a dire di
opportunità e convenienza, con efficacia ex nunc, a
differenza dell’annullamento d’ufficio, previsto dall’art. 21 nonies della
l. n. 241 del 1990, che opera per vizi di legittimità e con efficacia ex
tunc.
L’art. 134, comma 1, del d.lgs. n. 163 del
2006, codice dei contratti pubblici, prevede che la stazione appaltante ha il
diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei
lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre
al decimo dell’importo delle opere non eseguite.
2. La
revoca ed il recesso in esame differiscono e tale differenza ha
una notevole implicazione da un punto di vista economico, ed in questo sembra
essenzialmente sostanziarsi l’interesse della ricorrente, atteso che, come
detto, mentre l’esercizio del potere di revoca ex art.
21 quinquies l. n. 241 del 1990 determina che l’indennizzo debba
essere parametrato al solo danno emergente, l’esercizio del potere di
recesso ex art. 134 d.lgs. n. 163 del 2006 determina un obbligo di
pagamento a carico della stazione appaltante dei lavori eseguiti, del valore
dei materiali utili esistenti in cantiere oltre al decimo dell’importo delle
opere non eseguite.
3. Il
provvedimento di aggiudicazione, sebbene abbia efficacia durevole, spiega la
propria efficacia sino alla stipulazione del contratto di appalto, sicché
l’aggiudicazione definitiva di un appalto può ben essere oggetto di revoca ma
solo fino alla data di stipulazione del contratto o, più propriamente, sino
all’avvio della sua esecuzione, che può farsi coincidere, in un appalto di
lavori, con la consegna degli stessi da parte della stazione appaltante.
In tal senso, depongono le norme di cui
all’art. 11 del codice dei contratti pubblici, e cioè il comma 7, secondo cui,
da un lato, l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione
dell’offerta, dall’altro, l’offerta dell’aggiudicatario è irrevocabile fino al
termine stabilito nel comma 9 e, soprattutto, detto comma 9, secondo cui,
divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, la stipulazione del contratto ha
luogo entro un termine definito, fatto salvo l’esercizio dei poteri di
autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti.
Il legislatore, quindi, ha sancito che
l’aggiudicazione è un provvedimento amministrativo privo di qualunque
connotazione privatistica e che i poteri di autotutela possono essere senz’altro
esercitati fino alla stipulazione del contratto.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5947 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Consorzio Cooperative Costruzioni CCC Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e nella qualità di mandataria dell’ATI con le mandanti I.GE.M.A.S. Soc. Cons. a r.l., SALCEF Costruzioni Edili e Ferroviarie Spa, Erregi Srl e Project Automation Spa, rappresentata e difesa dagli avv. Massimo Lotti ed Enrico Zampetti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Massimo Lotti in Roma, via di Ripetta 70;
Consorzio Cooperative Costruzioni CCC Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e nella qualità di mandataria dell’ATI con le mandanti I.GE.M.A.S. Soc. Cons. a r.l., SALCEF Costruzioni Edili e Ferroviarie Spa, Erregi Srl e Project Automation Spa, rappresentata e difesa dagli avv. Massimo Lotti ed Enrico Zampetti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Massimo Lotti in Roma, via di Ripetta 70;
contro
Azienda per la Mobilità del Comune di Roma – ATAC Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Rodolfo Mazzei con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via XX Settembre, 1;
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi D'Ottavi, con domicilio eletto presso l’Avvocatura Capitolina in Roma, via Tempio di Giove, 21;
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi D'Ottavi, con domicilio eletto presso l’Avvocatura Capitolina in Roma, via Tempio di Giove, 21;
per l'annullamento
quanto al ricorso introduttivo del giudizio
del provvedimento di ATAC Spa n. 80861 in data 4 giugno 2012 recante “revoca di tutti gli atti della procedura di gara, incluso il provvedimento di aggiudicazione, relativa all'affidamento della progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori di realizzazione del deposito tranviario ‘Centro Carni’, indetta con deliberazione del C.d.A.di Atac spa n. 2 del 27 gennaio 2005”,
di ogni relativo atto preparatorio, presupposto, connesso e consequenziale, con particolare riferimento alla nota ATAC n. 4720 del 14 marzo 2012 e della delibera del Consiglio di Amministrazione ATAC Spa n. 6 del 24 febbraio 2012 nonché, ove e per quanto occorra, della delibera dell’Assemblea Capitolina (Roma Capitale) del 25 giugno 2011
nonché per l’annullamento, ove e per quanto occorra, quanto ai motivi aggiunti
della nota ATAC Spa n. 147684 del 19 ottobre 2012, con la quale si rappresenta che “alla luce dell’intervenuta definitiva revoca degli atti inerenti l’appalto in oggetto, devono intendersi altresì formalmente cessati gli effetti derivanti dai verbali di consegna delle aree di cantiere sottoscritti dalla Società in indirizzo”,
di ogni atto preparatorio, presupposto, connesso e consequenziale.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Atac Spa e di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 febbraio 2013 il dott. Roberto Caponigro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Il Consiglio di Amministrazione di ATAC, con deliberazione n. 2 del 27 gennaio 2005, ha autorizzato l’indizione di una gara pubblica con procedura aperta per l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori necessari alla realizzazione del deposito tranviario “Centro Carni” e delle opere connesse.
La gara, con deliberazione del Consiglio di Amministrazione di ATAC n. 81 del 14 novembre 2005, è stata aggiudicata all’ATI composta da Consorzio Cooperative Costruttori (mandataria) e I.G.E.M.A.S. soc. cons. a r.l., Salcef Costruzioni Edili e Ferroviarie Spa, Project Automation Spa, Erregi Srl (mandanti), sicché, in data 19 maggio 2006, è stato stipulato il relativo contratto di appalto.
L’ATAC, con provvedimento n. 80861 del 4 giugno 2012, ha disposto la revoca definitiva di tutti gli atti della procedura di gara, incluso il provvedimento di aggiudicazione.
Di talchè, la ricorrente ha proposto il presente ricorso, articolato nei seguenti motivi:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990; violazione e falsa applicazione dei principi che regolano l’esercizio del potere di autotutela; difetto di motivazione; erroneità dei presupposti di fatto e di diritto; eccesso di potere per sviamento.
Il primo presupposto per l’esercizio del potere di revoca è quello che il provvedimento da rimuovere sia ad efficacia durevole; l’altro presupposto richiede la presenza di sopravvenuti motivi di interesse pubblico o di mutamenti della situazione di fatto tali da rivelare l’opportunità di una rimozione del provvedimento in prime cure adottato. La revoca, inoltre, dovrebbe essere adottata tenendo in specifica considerazione l’affidamento medio tempore ingenerato dal provvedimento che si vuole rimuovere, soprattutto nel caso in cui quest’ultimo sia stato adottato molto tempo prima.
La revoca riguarderebbe un provvedimento di aggiudicazione che da tempo ha esaurito i suoi effetti a seguito della stipula del contratto d’appalto, per cui, trattandosi di un provvedimento già compiutamente eseguito, sarebbe insuscettibile di essere revocato ai sensi dell’art. 21 quinquies della l. n. 241 del 1990.
Il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato senza individuare alcuna sopravvenuta ragione di pubblico interesse o nuova circostanza di fatto che possa astrattamente giustificare la revoca di un’aggiudicazione disposta sette anni prima e che ha definitivamente esaurito i propri effetti con la stipula del contratto di appalto nel maggio 2006.
Le motivazioni della revoca rivelerebbero un palese fraintendimento della situazione di fatto ed ometterebbero di evidenziare il diverso apprezzamento del concreto interesse pubblico.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 quinquies della l. n. 241/1990; violazione e falsa applicazione dei principi che regolano l’esercizio del potere di autotutela; difetto di motivazione; erroneità dei presupposti di fatto e di diritto; violazione e falsa applicazione del principio di affidamento; eccesso di potere per sviamento.
Il provvedimento impugnato ometterebbe qualsiasi specifica considerazione dell’interesse privato, ledendo l’affidamento ingenerato dall’aggiudicazione adottata sette anni prima e che già da sei anni avrebbe esaurito i propri effetti a seguito della stipula del contratto nel maggio 2006.
La prevalenza dell’interesse pubblico sarebbe solo proclamata senza che siano individuate in alcun modo le ragioni che avrebbero dovuto evidenziarne il carattere recessivo dell’interesse privato a fronte della nuova valutazione dell’interesse pubblico.
La semplice corresponsione del danno emergente perpetuerebbe la lesione dell’affidamento, considerando anche che la regola generale, applicabile nei casi di recesso contrattuale, prevederebbe la corresponsione del danno emergente e del lucro cessante nella misura del decimo dell’importo delle opere non eseguite.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione dei principi che regolano l’esercizio del potere di autotutela. Eccesso di potere per sviamento. Violazione e falsa applicazione dell’art. 134 d.lgs. n. 163/2006. Difetto di motivazione. Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto.
L’autotutela sarebbe stata esercitata per sciogliere unilateralmente la stazione appaltante dall’atto negoziale stipulato a valle del provvedimento di aggiudicazione, ovvero per conseguire un fine diverso ed incompatibile con le finalità tipiche del potere di autotutela.
Se si attribuisse alla revoca dell’aggiudicazione efficacia caducante del contratto, il potere di autotutela finirebbe per diventare lo strumento ordinario attraverso cui l’amministrazione può sciogliersi unilateralmente da un vincolo contrattuale, in contrasto con il fine tipico del potere si autotutela, esclusivamente limitato alla rimozione di un precedente provvedimento, ferma ed impregiudicata l’efficacia dei rapporti negoziali instaurati successivamente all’adozione del provvedimento annullato o revocato.
L’amministrazione, sussistendone i presupposti, potrebbe sciogliersi dal vincolo contrattuale unicamente facendo ricorso agli istituti civilistici del recesso o della risoluzione previsti dagli artt. 134 e ss. d.lgs. n. 163 del 2006.
Il provvedimento pubblicistico di revoca sarebbe finalizzato a rimuovere un provvedimento amministrativo ed implica un indennizzo limitato al solo danno emergente, mentre l’atto negoziale di recesso dal contratto sarebbe finalizzato allo scioglimento da parte di uno dei contraenti del rapporto contrattuale e, per tale ragione, implica un ristoro commisurato non soltanto al danno emergente ma anche al lucro cessante.
Violazione e falsa applicazione dei principi in materia di partecipazione procedimentale. Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 l. n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione del principio di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa. Difetto d’istruttoria. Eccesso di potere sotto il profilo dell’erroneità dei presupposti in fatto e in diritto.
Il provvedimento sarebbe altresì illegittimo in quanto adottato senza prendere in considerazione le osservazioni procedimentali presentate dalla ricorrente, vale a dire senza esaminarne il contenuto ed offrirne la minima valutazione.
Successivamente alla proposizione del ricorso, ATAC ha rappresentato alla ricorrente, con nota del 19 ottobre 2012, che, alla luce dell’intervenuta definitiva revoca degli atti inerenti l’appalto, devono intendersi altresì formalmente cessati gli effetti derivanti dai verbali di consegna delle aree di cantiere sottoscritti in data 9 maggio e 20 dicembre 2007.
Di talché, la ricorrente ha proposto i seguenti motivi aggiunti:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione dei principi che regolano l’esercizio del potere di autotutela. Eccesso di potere per sviamento. Violazione e falsa applicazione dell’art. 134 d.lgs. n. 163/2006. Difetto di motivazione. Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto.
L’atto sarebbe illegittimo laddove pretenderebbe di derivare dalla revoca dell’aggiudicazione la cessazione degli effetti derivanti dai verbali di consegna.
Il superamento della caducazione degli effetti del contratto medio tempore stipulato dovrebbe estendersi anche alle ipotesi in cui l’annullamento dell’aggiudicazione non sia disposto giurisdizionalmente, ma in autotutela dall’amministrazione.
L’atto impugnato con i motivi aggiunti sarebbe comunque illegittimo in via derivata per i vizi già dedotti con il ricorso introduttivo del giudizio avverso la revoca dell’aggiudicazione.
ATAC Spa ha analiticamente contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.
Roma Capitale ha dedotto la propria estraneità al giudizio, non essendo in alcun modo riconducibile all’amministrazione comunale la decisione di revoca adottata dalla stazione appaltante; nel merito ha concluso per il rigetto del ricorso.
All’udienza pubblica del 27 febbraio 2013, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio, in primo luogo, ritiene di disattendere l’eccezione formulata da ATAC Spa alla odierna udienza pubblica, secondo cui il ricorso sarebbe inammissibile per omessa notifica alla Regione Lazio, controinteressata quale cofinanziatrice dell’opera.
La Regione Lazio, infatti, è soggetto terzo rispetto al rapporto controverso in generale e rispetto al provvedimento di revoca impugnato in particolare, per cui non può in alcun modo considerarsi né amministrazione resistente né controinteressata in quanto non è portatrice di un interesse, differenziato e qualificato, opposto rispetto a quello di titolarità della ricorrente.
2. Il Collegio, inoltre, rilevando la totale estraneità anche di Roma Capitale rispetto alla res controversa, ne dispone l’estromissione dal giudizio.
3. Nel merito, il ricorso è fondato e va di conseguenza accolto.
3.1 - ATAC Spa, con provvedimento del 4 giugno 2012, ha disposto la revoca definitiva di tutti gli atti della procedura di gara, incluso il provvedimento di aggiudicazione, relativa alla progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori di realizzazione del deposito tranviario “Centro Carni” indetta con deliberazione del C.d.A. di ATAC Spa n. 2 del 27 gennaio 2005 ed aggiudicata all’ATI Consorzio Cooperative Costruttori.
La determinazione è stata assunta, ai sensi dell’art. 21 quinquies, comma 1 bis, della legge n. 241/1990, tenuto conto:
- della sostanziale non esecuzione dell’appalto;
- del consistente aggravio dei costi per la sua realizzazione così come prospettati dall’appaltatore;
- delle sopravvenute mutate esigenze operative di ATAC Spa, che hanno comportato la necessità di ampliare e potenziare siti già esistenti (Prenestina e Porta Maggiore);
- della deliberazione dell’Assemblea Capitolina del 25 giugno 2011 e del conseguente inserimento dell’area originariamente destinata alla realizzazione del deposito tranviario “Centro Carni” nel “Programma Generale per la riconversione funzionale degli immobili non strumentali al Trasporto Pubblico Locale” di cui al piano Pluriennale di Atac Patrimonio Srl in vista di una futura valorizzazione ed alienazione;
- dell’attuale assenza di certezze in ordine alla effettiva disponibilità dei finanziamenti, originariamente previsti, da parte del Comune di Roma e della Regione Lazio
e considerato:
- il radicale mutamento della situazione esistente al momento dell’indizione della gara per l’affidamento della progettazione esecutiva e dei lavori di realizzazione del deposito “Centro Carni” e della successiva aggiudicazione dell’appalto in favore dell’ATI Consorzio Cooperative Costruzioni, al che è conseguito il venir meno dell’interesse pubblico sotteso alla realizzazione del deposito de quo;
- la prevalenza, nel caso di specie, dell’interesse pubblico rispetto ai contrapposti interessi dell’ATI Consorzio Cooperative Costruzioni, peraltro adeguatamente soddisfatti tramite la liquidazione dell’indennizzo di cui all’art. 21 quinquies, comma 1 bis, della l. n. 241 del 1990 da effettuare con separato provvedimento.
3.2 - L’art. 21 quinquies della l. n. 241 del 1990 stabilisce che, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge; la revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Il comma 1 bis specifica che, ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico.
Pertanto, con l’entrata in vigore dell’art. 21 quinquies della l. n. 241 del 1990, aggiunto dall’art. 14 l. n. 15 del 2005, il legislatore ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi che legittimano l’adozione del provvedimento: a) sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) mutamento della situazione di fatto; c) nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi).
Il provvedimento di revoca, peraltro, deve necessariamente avere ad oggetto un provvedimento, ad efficacia durevole o istantanea, che non abbia ancora esaurito i suoi effetti quando l’amministrazione decide di intervenire in autotutela, tanto che l’atto determina, per espressa previsione di legge, l’inidoneità del provvedimento a produrre ulteriori effetti.
La revoca opera per ragioni di merito, vale a dire di opportunità e convenienza, con efficacia ex nunc, a differenza dell’annullamento d’ufficio, previsto dall’art. 21nonies della l. n. 241 del 1990, che opera per vizi di legittimità e con efficacia ex tunc.
Sotto altro profilo, può anche rilevarsi che se la ragione per la quale l’amministrazione decide di ritirare l’atto in autotutela è riconducibile al momento della sua emanazione, adotta un provvedimento di annullamento; se, invece, la ragione dell’autotutela è sopravvenuta all’emanazione dell’atto in prime cure adottato, l’amministrazione emana un provvedimento di revoca.
L’art. 134, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, codice dei contratti pubblici, prevede che la stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite.
3.3 - Il punto centrale della controversia è costituito dall’esame delle censure con cui la ricorrente ha dedotto che la revoca impugnata riguarderebbe un provvedimento di aggiudicazione che da tempo ha esaurito i suoi effetti a seguito della stipula del contratto d’appalto, per cui, trattandosi di un provvedimento già compiutamente eseguito, sarebbe insuscettibile di essere revocato ai sensi dell’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990.
In altri termini, la questione fondamentale posta all’esame del Collegio concerne l’applicabilità o meno alla fattispecie del potere di revoca di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 in luogo del potere di recesso di cui all’art. 134, comma 1, d. lgs. n. 163 del 2006, che costituisce lo strumento attribuito alla stazione appaltante per sciogliersi volontariamente dal vincolo contrattuale; tale differenza ha una notevole implicazione da un punto di vista economico, ed in questo sembra essenzialmente sostanziarsi l’interesse della ricorrente, atteso che, come detto, mentre l’esercizio del potere di revoca ex art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 determina che l’indennizzo debba essere parametrato al solo danno emergente, l’esercizio del potere di recesso ex art. 134 d.lgs. n. 163 del 2006 determina un obbligo di pagamento a carico della stazione appaltante dei lavori eseguiti, del valore dei materiali utili esistenti in cantiere oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite.
Il Collegio ritiene che le censure in discorso siano meritevoli di accoglimento e che, quindi, sia illegittimo l’esercizio del potere di revoca di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990, avendo dovuto ove del caso la stazione appaltante esercitare la facoltà di recesso ai sensi dell’art. 134 del codice dei contratti pubblici, in quanto la revoca è stata adottata in assenza del suo essenziale presupposto, e cioè di un oggetto costituito da un provvedimento che continua ancora a spiegare effetti, laddove nel caso di specie il contratto è stato stipulato nel 2006 e l’esecuzione delle relative prestazioni è stata già a suo tempo avviata.
Il provvedimento di aggiudicazione, sebbene abbia efficacia durevole, spiega la propria efficacia sino alla stipulazione del contratto di appalto, sicché l’aggiudicazione definitiva di un appalto può ben essere oggetto di revoca ma solo fino alla data di stipulazione del contratto o, più propriamente, sino all’avvio della sua esecuzione, che può farsi coincidere, in un appalto di lavori, con la consegna degli stessi da parte della stazione appaltante.
In tal senso, depongono le norme di cui all’art. 11 del codice dei contratti pubblici, e cioè il comma 7, secondo cui, da un lato, l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta, dall’altro, l’offerta dell’aggiudicatario è irrevocabile fino al termine stabilito nel comma 9 e, soprattutto, detto comma 9, secondo cui, divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, la stipulazione del contratto ha luogo entro un termine definito, fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti.
Il legislatore, quindi, ha sancito che l’aggiudicazione è un provvedimento amministrativo privo di qualunque connotazione privatistica e che i poteri di autotutela possono essere senz’altro esercitati fino alla stipulazione del contratto.
Ne consegue che l’aggiudicazione definitiva è un provvedimento amministrativo che, al pari di ogni altro, può essere oggetto sia di annullamento sia di revoca, ma la cui efficacia - essendo l’atto con cui, in esito ad una procedura ad evidenza pubblica, la stazione appaltante individua l’operatore economico con cui contrarre - è destinata ad esaurirsi con la stipulazione del contratto e l’avvio dell’esecuzione delle relative prestazioni.
Ne consegue altresì che, mentre la stazione appaltante in ogni momento può procedere all’annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990, del provvedimento di aggiudicazione definitiva per un vizio originario dell’atto in tal modo incidendo, per la sua efficacia ex tunc, sul momento genetico del rapporto e, quindi, sui rapporti negoziali che a quell’atto sono legati da un nesso di presupposizione, lo stesso non può dirsi per l’esercizio del potere di revoca di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 in quanto la revoca, avendo efficacia ex nunc, incide sul momento funzionale del rapporto e non sul suo momento genetico e, quindi, presuppone che l’efficacia dell’atto oggetto di revoca continui a sussistere al momento della sua emanazione.
3.4 - Né può rilevare in senso contrario il disposto di cui al comma 1 bis del citato art. 21 quinquies, laddove si fa riferimento agli atti amministrativi ad efficacia durevole che incidono su rapporti negoziali e ciò in quanto per tali rapporti si intendono eventuali contratti accessivi al provvedimento revocato, il cui caso classico è costituito dalla revoca di una c.d. concessione-contratto.
In altri termini, la norma in discorso trova applicazione nelle ipotesi in cui al provvedimento revocato accedono contratti, ma non anche nelle ipotesi di contratti legati al provvedimento da un nesso di presupposizione, quale è il caso del provvedimento di aggiudicazione e del successivo contratto di appalto, ove il provvedimento presupposto abbia esaurito i propri effetti con la stipulazione del contratto e l’avvio di esecuzione delle prestazioni: in tale caso sarebbe ben possibile l’adozione, nell’esercizio del potere di autotutela, di un atto di annullamento, che, operando ex tunc, incide sul momento genetico del rapporto, ma non di revoca, la quale, operando ex nunc, incide sul momento funzionale.
Diversamente, la possibilità per la stazione appaltante di agire in una tale fattispecie attraverso lo strumento del recesso di cui all’art. 134 del codice dei contratti pubblici emerge chiaramente dall’art. 21 sexies della l. n. 241 del 1990 in cui è indicato che il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto.
Di talché, il Collegio ritiene di disattendere la tesi secondo cui il potere di eliminare gli atti amministrativi della serie di evidenza pubblica sussiste anche in caso di esistenza del contratto (cfr. Cons. St., VI, 17 marzo 2010, n. 1554) e di aderire alla diversa tesi secondo cui il diritto di recesso previsto dall’art. 134 d.lgs. n. 163 del 2006 presuppone l’avvio del contratto e non opera se l’amministrazione non ha mai provveduto alla consegna dei lavori né l’aggiudicataria ha mai chiesto tale consegna (cfr. Cons. St., VI, 27 novembre 2012, n. 5993) e, in particolare, all’opzione interpretativa secondo cui, ove non sia stato ancora stipulato il contratto, la revoca dell’aggiudicazione, effettuata per sopravvenuti motivi di opportunità, non rientra nel generale potere contrattuale di recesso della pubblica amministrazione (ex multis: Cass. Civ. SS.UU., 11 gennaio 2011, n. 391), con la conseguenza che, una volta stipulato il contratto, il potere autoritativo di revoca non può più essere esercitato.
Peraltro, le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, nella pronuncia richiamata, hanno ritenuto radicata la giurisdizione amministrativa proprio perché la revoca dell’aggiudicazione (di un compendio immobiliare venduto all’asta pubblica), essendo intervenuta prima che fosse stipulato alcun contratto, non rientra nel generale potere di recesso dell’amministrazione pubblica, ma costituisce tipica espressione di potestà autoritativa a carattere di autotutela in presenza di interesse pubblico, sicché la posizione dell’aggiudicatario rimane di interesse legittimo.
Nondimeno, il Collegio ritiene che nella fattispecie in esame, sebbene sia rilevata l’illegittimità della revoca adottata per insussistenza del principale presupposto di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990, vale a dire un provvedimento ad efficacia durevole che continui a spiegare i suoi effetti, la controversia rientra comunque nella giurisdizione amministrativa.
La ricorrente, infatti, con il motivo di impugnativa in esame, ha contestato il cattivo esercizio del potere o, per meglio dire, la carenza di potere in concreto ai fini del legittimo esercizio del potere di revoca e non la liceità del recesso esercitato ai sensi dell’art. 134 del codice dei contratti pubblici.
In altri termini, con la censura con cui è stata dedotta l’assenza dell’essenziale presupposto per l’esercizio del potere di revoca, la ricorrente non ha contestato la liceità dell’esercizio del recesso, ma l’illegittimità del potere autoritativo esercitato, deducendo in giudizio una posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo e non di diritto soggettivo.
Viceversa, la giurisdizione del giudice ordinario sussisterebbe ove, pur qualificato l’atto come revoca dalla stazione appaltante, lo stesso costituisca in realtà esercizio del potere di recesso e sia contestata la liceità dell’esercizio del potere privatistico di sciogliersi unilateralmente dal vincolo contrattuale.
In proposito, occorre altresì considerare che l’art. 21 septies l. n. 241 del 1990 ha codificato le ipotesi di nullità, includendo tra queste il difetto assoluto di attribuzione, per cui può ritenersi che il legislatore abbia voluto distinguere i casi in cui non sussiste la norma attributiva del potere, dai casi, come quello in esame, in cui sussiste un difetto relativo di potere in quanto la norma esiste ma sono violate le regole e le condizioni stabilite per l’esercizio del potere.
Di qui, la considerazione che la carenza in astratto del potere, in cui si concreta il difetto assoluto di attribuzione, dà luogo alla nullità dell’atto, mentre la carenza in concreto del potere, in cui si concreta l’assenza dei presupposti per l’esercizio di un potere in astratto attribuito all’amministrazione, dà luogo all’annullabilità dell’atto per cattivo esercizio del potere stesso.
Sul punto, infatti, la giurisprudenza ha chiarito che l’art. 21 septies l. n. 241 del 1990, nell’individuare come causa di nullità il “difetto assoluto di attribuzione”, evoca la c.d. carenza di potere in astratto, vale a dire l’ipotesi in cui l’amministrazione assume di esercitare un potere che in realtà nessuna norma le attribuisce; nel caso, invece, in cui l’amministrazione è resa dalla legge effettiva titolare del potere, ma questo viene esercitato in assenza dei suoi concreti presupposti, non si è in presenza di un difetto assoluto di attribuzione, ma è viziato l’esercizio del potere, per cui, non ponendosi in questione l’esistenza del potere, il provvedimento sarà annullabile, e non nullo, con conseguente sussistenza della giurisdizione amministrativa (cfr. Cons. St., VI, 27 gennaio 2012, n. 372).
La stessa giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, d’altra parte, ha ravvisato la sussistenza della giurisdizione amministrativa se il provvedimento è comunque espressione di un potere di cui l’amministrazione è per legge titolare (cfr. Cass. Civ., SS.UU., 6 febbraio 2008, n. 2765).
4. In ragione di tutto quanto esposto, assorbite le ulteriori censure, il ricorso va accolto e, per l’effetto, vanno annullati il provvedimento di revoca impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio nonché l’atto impugnato con i motivi aggiunti che ha nella revoca il suo unico presupposto, ferma restando la facoltà della stazione appaltante di esercitare il potere di recesso di cui all’art. 134 d.lgs. n. 163 del 2006.
5. Le spese seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in € 2.500,00 (duemilacinquecento/00), sono poste a favore della ricorrente ed a carico dell’amministrazione resistente; sono invece compensate le spese nei confronti di Roma Capitale di cui è stata disposta l’estromissione dal giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda Ter, disposta l’estromissione di Roma Capitale, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla l’impugnato provvedimento di revoca nonché il conseguente atto impugnato con i motivi aggiunti.
Condanna l’amministrazione resistente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in € 2.500,00 (duemilacinquecento/00), in favore della ricorrente; compensa le spese del giudizio nei confronti di Roma Capitale.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Maddalena Filippi, Presidente
Roberto Politi, Consigliere
Roberto Caponigro, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/03/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)