venerdì 15 marzo 2013

PROVVEDIMENTO: sulla distinzione tra poteri di revoca e di recesso della p.a in relazione ai contratti d’appalto e sulle correlate conseguenze (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II "ter", sent. 6 marzo 2013 n. 2432).



PROVVEDIMENTO:
Sulla distinzione tra poteri di revoca e di recesso della p.a in relazione ai contratti d’appalto 
e sulle correlate conseguenze 
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II "ter", 
sent. 6 marzo 2013 n. 2432)

Massima 

1.  Con l’entrata in vigore dell’art. 21 quinquies della l. n. 241 del 1990, il legislatore ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi che legittimano l’adozione del provvedimento: a) sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) mutamento della situazione di fatto; c) nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi).
Il provvedimento di revoca, peraltro, deve necessariamente avere ad oggetto un provvedimento, ad efficacia durevole o istantanea, che non abbia ancora esaurito i suoi effetti quando l’amministrazione decide di intervenire in autotutela, tanto che l’atto determina, per espressa previsione di legge, l’inidoneità del provvedimento a produrre ulteriori effetti.
La revoca opera per ragioni di merito, vale a dire di opportunità e convenienza, con efficacia ex nunc, a differenza dell’annullamento d’ufficio, previsto dall’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990, che opera per vizi di legittimità e con efficacia ex tunc.
L’art. 134, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, codice dei contratti pubblici, prevede che la stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite.
2.  La revoca ed il recesso in esame differiscono e tale differenza ha una notevole implicazione da un punto di vista economico, ed in questo sembra essenzialmente sostanziarsi l’interesse della ricorrente, atteso che, come detto, mentre l’esercizio del potere di revoca ex art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 determina che l’indennizzo debba essere parametrato al solo danno emergente, l’esercizio del potere di recesso ex art. 134 d.lgs. n. 163 del 2006 determina un obbligo di pagamento a carico della stazione appaltante dei lavori eseguiti, del valore dei materiali utili esistenti in cantiere oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite.
3.  Il provvedimento di aggiudicazione, sebbene abbia efficacia durevole, spiega la propria efficacia sino alla stipulazione del contratto di appalto, sicché l’aggiudicazione definitiva di un appalto può ben essere oggetto di revoca ma solo fino alla data di stipulazione del contratto o, più propriamente, sino all’avvio della sua esecuzione, che può farsi coincidere, in un appalto di lavori, con la consegna degli stessi da parte della stazione appaltante.
In tal senso, depongono le norme di cui all’art. 11 del codice dei contratti pubblici, e cioè il comma 7, secondo cui, da un lato, l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta, dall’altro, l’offerta dell’aggiudicatario è irrevocabile fino al termine stabilito nel comma 9 e, soprattutto, detto comma 9, secondo cui, divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, la stipulazione del contratto ha luogo entro un termine definito, fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti.
Il legislatore, quindi, ha sancito che l’aggiudicazione è un provvedimento amministrativo privo di qualunque connotazione privatistica e che i poteri di autotutela possono essere senz’altro esercitati fino alla stipulazione del contratto.




Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5947 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Consorzio Cooperative Costruzioni CCC Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e nella qualità di mandataria dell’ATI con le mandanti I.GE.M.A.S. Soc. Cons. a r.l., SALCEF Costruzioni Edili e Ferroviarie Spa, Erregi Srl e Project Automation Spa, rappresentata e difesa dagli avv. Massimo Lotti ed Enrico Zampetti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Massimo Lotti in Roma, via di Ripetta 70; 
contro
Azienda per la Mobilità del Comune di Roma – ATAC Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Rodolfo Mazzei con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via XX Settembre, 1;
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi D'Ottavi, con domicilio eletto presso l’Avvocatura Capitolina in Roma, via Tempio di Giove, 21; 
per l'annullamento
quanto al ricorso introduttivo del giudizio
del provvedimento di ATAC Spa n. 80861 in data 4 giugno 2012 recante “revoca di tutti gli atti della procedura di gara, incluso il provvedimento di aggiudicazione, relativa all'affidamento della progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori di realizzazione del deposito tranviario ‘Centro Carni’, indetta con deliberazione del C.d.A.di Atac spa n. 2 del 27 gennaio 2005”,
di ogni relativo atto preparatorio, presupposto, connesso e consequenziale, con particolare riferimento alla nota ATAC n. 4720 del 14 marzo 2012 e della delibera del Consiglio di Amministrazione ATAC Spa n. 6 del 24 febbraio 2012 nonché, ove e per quanto occorra, della delibera dell’Assemblea Capitolina (Roma Capitale) del 25 giugno 2011
nonché per l’annullamento, ove e per quanto occorra, quanto ai motivi aggiunti
della nota ATAC Spa n. 147684 del 19 ottobre 2012, con la quale si rappresenta che “alla luce dell’intervenuta definitiva revoca degli atti inerenti l’appalto in oggetto, devono intendersi altresì formalmente cessati gli effetti derivanti dai verbali di consegna delle aree di cantiere sottoscritti dalla Società in indirizzo”,
di ogni atto preparatorio, presupposto, connesso e consequenziale.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Atac Spa e di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 febbraio 2013 il dott. Roberto Caponigro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO
Il Consiglio di Amministrazione di ATAC, con deliberazione n. 2 del 27 gennaio 2005, ha autorizzato l’indizione di una gara pubblica con procedura aperta per l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori necessari alla realizzazione del deposito tranviario “Centro Carni” e delle opere connesse.
La gara, con deliberazione del Consiglio di Amministrazione di ATAC n. 81 del 14 novembre 2005, è stata aggiudicata all’ATI composta da Consorzio Cooperative Costruttori (mandataria) e I.G.E.M.A.S. soc. cons. a r.l., Salcef Costruzioni Edili e Ferroviarie Spa, Project Automation Spa, Erregi Srl (mandanti), sicché, in data 19 maggio 2006, è stato stipulato il relativo contratto di appalto.
L’ATAC, con provvedimento n. 80861 del 4 giugno 2012, ha disposto la revoca definitiva di tutti gli atti della procedura di gara, incluso il provvedimento di aggiudicazione.
Di talchè, la ricorrente ha proposto il presente ricorso, articolato nei seguenti motivi:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990; violazione e falsa applicazione dei principi che regolano l’esercizio del potere di autotutela; difetto di motivazione; erroneità dei presupposti di fatto e di diritto; eccesso di potere per sviamento.
Il primo presupposto per l’esercizio del potere di revoca è quello che il provvedimento da rimuovere sia ad efficacia durevole; l’altro presupposto richiede la presenza di sopravvenuti motivi di interesse pubblico o di mutamenti della situazione di fatto tali da rivelare l’opportunità di una rimozione del provvedimento in prime cure adottato. La revoca, inoltre, dovrebbe essere adottata tenendo in specifica considerazione l’affidamento medio tempore ingenerato dal provvedimento che si vuole rimuovere, soprattutto nel caso in cui quest’ultimo sia stato adottato molto tempo prima.
La revoca riguarderebbe un provvedimento di aggiudicazione che da tempo ha esaurito i suoi effetti a seguito della stipula del contratto d’appalto, per cui, trattandosi di un provvedimento già compiutamente eseguito, sarebbe insuscettibile di essere revocato ai sensi dell’art. 21 quinquies della l. n. 241 del 1990.
Il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato senza individuare alcuna sopravvenuta ragione di pubblico interesse o nuova circostanza di fatto che possa astrattamente giustificare la revoca di un’aggiudicazione disposta sette anni prima e che ha definitivamente esaurito i propri effetti con la stipula del contratto di appalto nel maggio 2006.
Le motivazioni della revoca rivelerebbero un palese fraintendimento della situazione di fatto ed ometterebbero di evidenziare il diverso apprezzamento del concreto interesse pubblico.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 quinquies della l. n. 241/1990; violazione e falsa applicazione dei principi che regolano l’esercizio del potere di autotutela; difetto di motivazione; erroneità dei presupposti di fatto e di diritto; violazione e falsa applicazione del principio di affidamento; eccesso di potere per sviamento.
Il provvedimento impugnato ometterebbe qualsiasi specifica considerazione dell’interesse privato, ledendo l’affidamento ingenerato dall’aggiudicazione adottata sette anni prima e che già da sei anni avrebbe esaurito i propri effetti a seguito della stipula del contratto nel maggio 2006.
La prevalenza dell’interesse pubblico sarebbe solo proclamata senza che siano individuate in alcun modo le ragioni che avrebbero dovuto evidenziarne il carattere recessivo dell’interesse privato a fronte della nuova valutazione dell’interesse pubblico.
La semplice corresponsione del danno emergente perpetuerebbe la lesione dell’affidamento, considerando anche che la regola generale, applicabile nei casi di recesso contrattuale, prevederebbe la corresponsione del danno emergente e del lucro cessante nella misura del decimo dell’importo delle opere non eseguite.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione dei principi che regolano l’esercizio del potere di autotutela. Eccesso di potere per sviamento. Violazione e falsa applicazione dell’art. 134 d.lgs. n. 163/2006. Difetto di motivazione. Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto.
L’autotutela sarebbe stata esercitata per sciogliere unilateralmente la stazione appaltante dall’atto negoziale stipulato a valle del provvedimento di aggiudicazione, ovvero per conseguire un fine diverso ed incompatibile con le finalità tipiche del potere di autotutela.
Se si attribuisse alla revoca dell’aggiudicazione efficacia caducante del contratto, il potere di autotutela finirebbe per diventare lo strumento ordinario attraverso cui l’amministrazione può sciogliersi unilateralmente da un vincolo contrattuale, in contrasto con il fine tipico del potere si autotutela, esclusivamente limitato alla rimozione di un precedente provvedimento, ferma ed impregiudicata l’efficacia dei rapporti negoziali instaurati successivamente all’adozione del provvedimento annullato o revocato.
L’amministrazione, sussistendone i presupposti, potrebbe sciogliersi dal vincolo contrattuale unicamente facendo ricorso agli istituti civilistici del recesso o della risoluzione previsti dagli artt. 134 e ss. d.lgs. n. 163 del 2006.
Il provvedimento pubblicistico di revoca sarebbe finalizzato a rimuovere un provvedimento amministrativo ed implica un indennizzo limitato al solo danno emergente, mentre l’atto negoziale di recesso dal contratto sarebbe finalizzato allo scioglimento da parte di uno dei contraenti del rapporto contrattuale e, per tale ragione, implica un ristoro commisurato non soltanto al danno emergente ma anche al lucro cessante.
Violazione e falsa applicazione dei principi in materia di partecipazione procedimentale. Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 l. n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione del principio di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa. Difetto d’istruttoria. Eccesso di potere sotto il profilo dell’erroneità dei presupposti in fatto e in diritto.
Il provvedimento sarebbe altresì illegittimo in quanto adottato senza prendere in considerazione le osservazioni procedimentali presentate dalla ricorrente, vale a dire senza esaminarne il contenuto ed offrirne la minima valutazione.
Successivamente alla proposizione del ricorso, ATAC ha rappresentato alla ricorrente, con nota del 19 ottobre 2012, che, alla luce dell’intervenuta definitiva revoca degli atti inerenti l’appalto, devono intendersi altresì formalmente cessati gli effetti derivanti dai verbali di consegna delle aree di cantiere sottoscritti in data 9 maggio e 20 dicembre 2007.
Di talché, la ricorrente ha proposto i seguenti motivi aggiunti:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione dei principi che regolano l’esercizio del potere di autotutela. Eccesso di potere per sviamento. Violazione e falsa applicazione dell’art. 134 d.lgs. n. 163/2006. Difetto di motivazione. Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto.
L’atto sarebbe illegittimo laddove pretenderebbe di derivare dalla revoca dell’aggiudicazione la cessazione degli effetti derivanti dai verbali di consegna.
Il superamento della caducazione degli effetti del contratto medio tempore stipulato dovrebbe estendersi anche alle ipotesi in cui l’annullamento dell’aggiudicazione non sia disposto giurisdizionalmente, ma in autotutela dall’amministrazione.
L’atto impugnato con i motivi aggiunti sarebbe comunque illegittimo in via derivata per i vizi già dedotti con il ricorso introduttivo del giudizio avverso la revoca dell’aggiudicazione.
ATAC Spa ha analiticamente contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.
Roma Capitale ha dedotto la propria estraneità al giudizio, non essendo in alcun modo riconducibile all’amministrazione comunale la decisione di revoca adottata dalla stazione appaltante; nel merito ha concluso per il rigetto del ricorso.
All’udienza pubblica del 27 febbraio 2013, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO
1. Il Collegio, in primo luogo, ritiene di disattendere l’eccezione formulata da ATAC Spa alla odierna udienza pubblica, secondo cui il ricorso sarebbe inammissibile per omessa notifica alla Regione Lazio, controinteressata quale cofinanziatrice dell’opera.
La Regione Lazio, infatti, è soggetto terzo rispetto al rapporto controverso in generale e rispetto al provvedimento di revoca impugnato in particolare, per cui non può in alcun modo considerarsi né amministrazione resistente né controinteressata in quanto non è portatrice di un interesse, differenziato e qualificato, opposto rispetto a quello di titolarità della ricorrente.
2. Il Collegio, inoltre, rilevando la totale estraneità anche di Roma Capitale rispetto alla res controversa, ne dispone l’estromissione dal giudizio.
3. Nel merito, il ricorso è fondato e va di conseguenza accolto.
3.1 - ATAC Spa, con provvedimento del 4 giugno 2012, ha disposto la revoca definitiva di tutti gli atti della procedura di gara, incluso il provvedimento di aggiudicazione, relativa alla progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori di realizzazione del deposito tranviario “Centro Carni” indetta con deliberazione del C.d.A. di ATAC Spa n. 2 del 27 gennaio 2005 ed aggiudicata all’ATI Consorzio Cooperative Costruttori.
La determinazione è stata assunta, ai sensi dell’art. 21 quinquies, comma 1 bis, della legge n. 241/1990, tenuto conto:
- della sostanziale non esecuzione dell’appalto;
- del consistente aggravio dei costi per la sua realizzazione così come prospettati dall’appaltatore;
- delle sopravvenute mutate esigenze operative di ATAC Spa, che hanno comportato la necessità di ampliare e potenziare siti già esistenti (Prenestina e Porta Maggiore);
- della deliberazione dell’Assemblea Capitolina del 25 giugno 2011 e del conseguente inserimento dell’area originariamente destinata alla realizzazione del deposito tranviario “Centro Carni” nel “Programma Generale per la riconversione funzionale degli immobili non strumentali al Trasporto Pubblico Locale” di cui al piano Pluriennale di Atac Patrimonio Srl in vista di una futura valorizzazione ed alienazione;
- dell’attuale assenza di certezze in ordine alla effettiva disponibilità dei finanziamenti, originariamente previsti, da parte del Comune di Roma e della Regione Lazio
e considerato:
- il radicale mutamento della situazione esistente al momento dell’indizione della gara per l’affidamento della progettazione esecutiva e dei lavori di realizzazione del deposito “Centro Carni” e della successiva aggiudicazione dell’appalto in favore dell’ATI Consorzio Cooperative Costruzioni, al che è conseguito il venir meno dell’interesse pubblico sotteso alla realizzazione del deposito de quo;
- la prevalenza, nel caso di specie, dell’interesse pubblico rispetto ai contrapposti interessi dell’ATI Consorzio Cooperative Costruzioni, peraltro adeguatamente soddisfatti tramite la liquidazione dell’indennizzo di cui all’art. 21 quinquies, comma 1 bis, della l. n. 241 del 1990 da effettuare con separato provvedimento.
3.2 - L’art. 21 quinquies della l. n. 241 del 1990 stabilisce che, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge; la revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Il comma 1 bis specifica che, ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico.
Pertanto, con l’entrata in vigore dell’art. 21 quinquies della l. n. 241 del 1990, aggiunto dall’art. 14 l. n. 15 del 2005, il legislatore ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi che legittimano l’adozione del provvedimento: a) sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) mutamento della situazione di fatto; c) nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi).
Il provvedimento di revoca, peraltro, deve necessariamente avere ad oggetto un provvedimento, ad efficacia durevole o istantanea, che non abbia ancora esaurito i suoi effetti quando l’amministrazione decide di intervenire in autotutela, tanto che l’atto determina, per espressa previsione di legge, l’inidoneità del provvedimento a produrre ulteriori effetti.
La revoca opera per ragioni di merito, vale a dire di opportunità e convenienza, con efficacia ex nunc, a differenza dell’annullamento d’ufficio, previsto dall’art. 21nonies della l. n. 241 del 1990, che opera per vizi di legittimità e con efficacia ex tunc.
Sotto altro profilo, può anche rilevarsi che se la ragione per la quale l’amministrazione decide di ritirare l’atto in autotutela è riconducibile al momento della sua emanazione, adotta un provvedimento di annullamento; se, invece, la ragione dell’autotutela è sopravvenuta all’emanazione dell’atto in prime cure adottato, l’amministrazione emana un provvedimento di revoca.
L’art. 134, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, codice dei contratti pubblici, prevede che la stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite.
3.3 - Il punto centrale della controversia è costituito dall’esame delle censure con cui la ricorrente ha dedotto che la revoca impugnata riguarderebbe un provvedimento di aggiudicazione che da tempo ha esaurito i suoi effetti a seguito della stipula del contratto d’appalto, per cui, trattandosi di un provvedimento già compiutamente eseguito, sarebbe insuscettibile di essere revocato ai sensi dell’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990.
In altri termini, la questione fondamentale posta all’esame del Collegio concerne l’applicabilità o meno alla fattispecie del potere di revoca di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 in luogo del potere di recesso di cui all’art. 134, comma 1, d. lgs. n. 163 del 2006, che costituisce lo strumento attribuito alla stazione appaltante per sciogliersi volontariamente dal vincolo contrattuale; tale differenza ha una notevole implicazione da un punto di vista economico, ed in questo sembra essenzialmente sostanziarsi l’interesse della ricorrente, atteso che, come detto, mentre l’esercizio del potere di revoca ex art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 determina che l’indennizzo debba essere parametrato al solo danno emergente, l’esercizio del potere di recesso ex art. 134 d.lgs. n. 163 del 2006 determina un obbligo di pagamento a carico della stazione appaltante dei lavori eseguiti, del valore dei materiali utili esistenti in cantiere oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite.
Il Collegio ritiene che le censure in discorso siano meritevoli di accoglimento e che, quindi, sia illegittimo l’esercizio del potere di revoca di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990, avendo dovuto ove del caso la stazione appaltante esercitare la facoltà di recesso ai sensi dell’art. 134 del codice dei contratti pubblici, in quanto la revoca è stata adottata in assenza del suo essenziale presupposto, e cioè di un oggetto costituito da un provvedimento che continua ancora a spiegare effetti, laddove nel caso di specie il contratto è stato stipulato nel 2006 e l’esecuzione delle relative prestazioni è stata già a suo tempo avviata.
Il provvedimento di aggiudicazione, sebbene abbia efficacia durevole, spiega la propria efficacia sino alla stipulazione del contratto di appalto, sicché l’aggiudicazione definitiva di un appalto può ben essere oggetto di revoca ma solo fino alla data di stipulazione del contratto o, più propriamente, sino all’avvio della sua esecuzione, che può farsi coincidere, in un appalto di lavori, con la consegna degli stessi da parte della stazione appaltante.
In tal senso, depongono le norme di cui all’art. 11 del codice dei contratti pubblici, e cioè il comma 7, secondo cui, da un lato, l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta, dall’altro, l’offerta dell’aggiudicatario è irrevocabile fino al termine stabilito nel comma 9 e, soprattutto, detto comma 9, secondo cui, divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, la stipulazione del contratto ha luogo entro un termine definito, fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti.
Il legislatore, quindi, ha sancito che l’aggiudicazione è un provvedimento amministrativo privo di qualunque connotazione privatistica e che i poteri di autotutela possono essere senz’altro esercitati fino alla stipulazione del contratto.
Ne consegue che l’aggiudicazione definitiva è un provvedimento amministrativo che, al pari di ogni altro, può essere oggetto sia di annullamento sia di revoca, ma la cui efficacia - essendo l’atto con cui, in esito ad una procedura ad evidenza pubblica, la stazione appaltante individua l’operatore economico con cui contrarre - è destinata ad esaurirsi con la stipulazione del contratto e l’avvio dell’esecuzione delle relative prestazioni.
Ne consegue altresì che, mentre la stazione appaltante in ogni momento può procedere all’annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990, del provvedimento di aggiudicazione definitiva per un vizio originario dell’atto in tal modo incidendo, per la sua efficacia ex tunc, sul momento genetico del rapporto e, quindi, sui rapporti negoziali che a quell’atto sono legati da un nesso di presupposizione, lo stesso non può dirsi per l’esercizio del potere di revoca di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 in quanto la revoca, avendo efficacia ex nunc, incide sul momento funzionale del rapporto e non sul suo momento genetico e, quindi, presuppone che l’efficacia dell’atto oggetto di revoca continui a sussistere al momento della sua emanazione.
3.4 - Né può rilevare in senso contrario il disposto di cui al comma 1 bis del citato art. 21 quinquies, laddove si fa riferimento agli atti amministrativi ad efficacia durevole che incidono su rapporti negoziali e ciò in quanto per tali rapporti si intendono eventuali contratti accessivi al provvedimento revocato, il cui caso classico è costituito dalla revoca di una c.d. concessione-contratto.
In altri termini, la norma in discorso trova applicazione nelle ipotesi in cui al provvedimento revocato accedono contratti, ma non anche nelle ipotesi di contratti legati al provvedimento da un nesso di presupposizione, quale è il caso del provvedimento di aggiudicazione e del successivo contratto di appalto, ove il provvedimento presupposto abbia esaurito i propri effetti con la stipulazione del contratto e l’avvio di esecuzione delle prestazioni: in tale caso sarebbe ben possibile l’adozione, nell’esercizio del potere di autotutela, di un atto di annullamento, che, operando ex tunc, incide sul momento genetico del rapporto, ma non di revoca, la quale, operando ex nunc, incide sul momento funzionale.
Diversamente, la possibilità per la stazione appaltante di agire in una tale fattispecie attraverso lo strumento del recesso di cui all’art. 134 del codice dei contratti pubblici emerge chiaramente dall’art. 21 sexies della l. n. 241 del 1990 in cui è indicato che il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto.
Di talché, il Collegio ritiene di disattendere la tesi secondo cui il potere di eliminare gli atti amministrativi della serie di evidenza pubblica sussiste anche in caso di esistenza del contratto (cfr. Cons. St., VI, 17 marzo 2010, n. 1554) e di aderire alla diversa tesi secondo cui il diritto di recesso previsto dall’art. 134 d.lgs. n. 163 del 2006 presuppone l’avvio del contratto e non opera se l’amministrazione non ha mai provveduto alla consegna dei lavori né l’aggiudicataria ha mai chiesto tale consegna (cfr. Cons. St., VI, 27 novembre 2012, n. 5993) e, in particolare, all’opzione interpretativa secondo cui, ove non sia stato ancora stipulato il contratto, la revoca dell’aggiudicazione, effettuata per sopravvenuti motivi di opportunità, non rientra nel generale potere contrattuale di recesso della pubblica amministrazione (ex multis: Cass. Civ. SS.UU., 11 gennaio 2011, n. 391), con la conseguenza che, una volta stipulato il contratto, il potere autoritativo di revoca non può più essere esercitato.
Peraltro, le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, nella pronuncia richiamata, hanno ritenuto radicata la giurisdizione amministrativa proprio perché la revoca dell’aggiudicazione (di un compendio immobiliare venduto all’asta pubblica), essendo intervenuta prima che fosse stipulato alcun contratto, non rientra nel generale potere di recesso dell’amministrazione pubblica, ma costituisce tipica espressione di potestà autoritativa a carattere di autotutela in presenza di interesse pubblico, sicché la posizione dell’aggiudicatario rimane di interesse legittimo.
Nondimeno, il Collegio ritiene che nella fattispecie in esame, sebbene sia rilevata l’illegittimità della revoca adottata per insussistenza del principale presupposto di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990, vale a dire un provvedimento ad efficacia durevole che continui a spiegare i suoi effetti, la controversia rientra comunque nella giurisdizione amministrativa.
La ricorrente, infatti, con il motivo di impugnativa in esame, ha contestato il cattivo esercizio del potere o, per meglio dire, la carenza di potere in concreto ai fini del legittimo esercizio del potere di revoca e non la liceità del recesso esercitato ai sensi dell’art. 134 del codice dei contratti pubblici.
In altri termini, con la censura con cui è stata dedotta l’assenza dell’essenziale presupposto per l’esercizio del potere di revoca, la ricorrente non ha contestato la liceità dell’esercizio del recesso, ma l’illegittimità del potere autoritativo esercitato, deducendo in giudizio una posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo e non di diritto soggettivo.
Viceversa, la giurisdizione del giudice ordinario sussisterebbe ove, pur qualificato l’atto come revoca dalla stazione appaltante, lo stesso costituisca in realtà esercizio del potere di recesso e sia contestata la liceità dell’esercizio del potere privatistico di sciogliersi unilateralmente dal vincolo contrattuale.
In proposito, occorre altresì considerare che l’art. 21 septies l. n. 241 del 1990 ha codificato le ipotesi di nullità, includendo tra queste il difetto assoluto di attribuzione, per cui può ritenersi che il legislatore abbia voluto distinguere i casi in cui non sussiste la norma attributiva del potere, dai casi, come quello in esame, in cui sussiste un difetto relativo di potere in quanto la norma esiste ma sono violate le regole e le condizioni stabilite per l’esercizio del potere.
Di qui, la considerazione che la carenza in astratto del potere, in cui si concreta il difetto assoluto di attribuzione, dà luogo alla nullità dell’atto, mentre la carenza in concreto del potere, in cui si concreta l’assenza dei presupposti per l’esercizio di un potere in astratto attribuito all’amministrazione, dà luogo all’annullabilità dell’atto per cattivo esercizio del potere stesso.
Sul punto, infatti, la giurisprudenza ha chiarito che l’art. 21 septies l. n. 241 del 1990, nell’individuare come causa di nullità il “difetto assoluto di attribuzione”, evoca la c.d. carenza di potere in astratto, vale a dire l’ipotesi in cui l’amministrazione assume di esercitare un potere che in realtà nessuna norma le attribuisce; nel caso, invece, in cui l’amministrazione è resa dalla legge effettiva titolare del potere, ma questo viene esercitato in assenza dei suoi concreti presupposti, non si è in presenza di un difetto assoluto di attribuzione, ma è viziato l’esercizio del potere, per cui, non ponendosi in questione l’esistenza del potere, il provvedimento sarà annullabile, e non nullo, con conseguente sussistenza della giurisdizione amministrativa (cfr. Cons. St., VI, 27 gennaio 2012, n. 372).
La stessa giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, d’altra parte, ha ravvisato la sussistenza della giurisdizione amministrativa se il provvedimento è comunque espressione di un potere di cui l’amministrazione è per legge titolare (cfr. Cass. Civ., SS.UU., 6 febbraio 2008, n. 2765).
4. In ragione di tutto quanto esposto, assorbite le ulteriori censure, il ricorso va accolto e, per l’effetto, vanno annullati il provvedimento di revoca impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio nonché l’atto impugnato con i motivi aggiunti che ha nella revoca il suo unico presupposto, ferma restando la facoltà della stazione appaltante di esercitare il potere di recesso di cui all’art. 134 d.lgs. n. 163 del 2006.
5. Le spese seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in € 2.500,00 (duemilacinquecento/00), sono poste a favore della ricorrente ed a carico dell’amministrazione resistente; sono invece compensate le spese nei confronti di Roma Capitale di cui è stata disposta l’estromissione dal giudizio.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda Ter, disposta l’estromissione di Roma Capitale, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla l’impugnato provvedimento di revoca nonché il conseguente atto impugnato con i motivi aggiunti.
Condanna l’amministrazione resistente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in € 2.500,00 (duemilacinquecento/00), in favore della ricorrente; compensa le spese del giudizio nei confronti di Roma Capitale.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Maddalena Filippi, Presidente
Roberto Politi, Consigliere
Roberto Caponigro, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/03/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

mercoledì 13 marzo 2013

martedì 12 marzo 2013

Magnifica sentenza del TAR Lazio - Roma - sul c.d. "click day" (e non solo) [T.A.R. Lazio - Roma -, Sez. III-"quater", sent. 19 febbraio 2013 n.1868].



T.A.R. Lazio - Roma -, Sez. III-"quater", 
sent. 19 febbraio 2013 n.1868
Massima

1.  Il c. d. click day consiste, ai sensi del D.Lgs. n. 123/98, nella chiusura anche anticipata dello sportello in caso di esaurimento di fondi a seguito della presentazione (e acquisizione) delle domande on line a partire dal giorno stabilito. La procedura è congegnata dunque in modo che lo sportello sia chiuso  appena il numero delle domande pervenute sia già tale da assorbire, per suo conto, le risorse disponibili. 
1.1  Il predetto decreto individua invero tre tipologie procedurali
a)  quella “automatica”, 
b)  quella “valutativa” (a graduatoria o a sportello), 
c)  quella, infine, “negoziale”. Mentre la procedura automatica è prevista (art. 4) e adottata nei casi in cui non vi sia necessità di istruttoria per l’assegnazione del beneficio, la procedura valutativa presuppone, al contrario, un’attività di valutazione, appunto, del progetto presentato. Essa si attaglia, in particolare, ai “progetti o programmi organici e complessi da realizzare successivamente alla presentazione della domanda” (art. 5 comma 1).
1.2  Il c.d. click day non corrisponde, perciò, a quanto il legislatore prescrive, nell’art. 5 comma 3 del ripetuto D.Lgs. n. 123/98, per la procedura a sportello.
Stabilisce infatti tale disposizione: “Nel procedimento a sportello è prevista l'istruttoria delle agevolazioni secondo l'ordine cronologico di presentazione delle domande, nonché la definizione di soglie e condizioni minime, anche di natura quantitativa, connesse alle finalità dell'intervento e alle tipologie delle iniziative, per l'ammissibilità all'attività istruttoria. Ove le disponibilità finanziarie siano insufficienti rispetto alle domande presentate, la concessione dell'intervento è disposta secondo il predetto ordine cronologico”. Come si vede, tale norma prevede espressamente che “l’istruttoria” delle agevolazioni è ciò che deve compiersi “secondo l’ordine di presentazione delle domande”. 
Nella fattispecie concreta l’INAIL invece, stravolgendo il modello legale del procedimento valutativo “a sportello”, ha anticipato al momento della presentazione della domanda l’utilizzo del criterio cronologico, introducendo un elemento anticipatamente preclusivo non previsto dall’art. 5, comma 3, più volte citato.
In altre parole,  l’INAIL ha limitato illegittimamente l’istruttoria alle prime domande ricevute (che avevano teoricamente esaurito i fondi da erogare) non consentendo quindi alle imprese successive in ordine cronologico di registrazione di vedersi ammettere all’istruttoria in caso di mancata concessione del contributo “prenotato” dalle imprese registrate cronologicamente in posizione poziore.
2.  Quanto ai profili risarcitori, 
a) anzitutto, deve riconoscersi, sotto il profilo dell'elemento oggettivo della responsabilità risarcitoria, come risulti sufficientemente dimostrato il collegamento del danno lamentato con gli atti emessi dall’Amministrazione, avuto riguardo, in particolare, alle inutili spese sopportate per la partecipazione ad una procedura illegittima;
b)  è, quindi, evidente la sussistenza di un danno, almeno, in prima approssimazione, sub specie di danno emergente e il nesso di causalità tra tale danno e l'illegittimità commessa dall'amministrazione;
c) sotto il profilo dell'elemento soggettivo, l'aver formulato l’avviso pubblico in contrasto con l’art. 5 comma 3 del D.Lgs. n. 123/1998 (norma di chiaro tenore la cui applicabilità era stata prescritta dallo stesso INAIL) costituisce un errore non scusabile e chiaramente addebitabile a titolo di colpa all'amministrazione, stante la tassatività della disposizione disattesa;
e)  con riguardo alla quantificazione del danno, deve ritenersi, che alla parte ricorrente spetti, in linea di massima (e salve le verifiche di cui appresso demandate alla P.A. in sede esecutiva) il risarcimento del danno emergente subìto per spese di partecipazione alla procedura (euro 600,00 per ciascun ricorrente versati a favore dell’intermediario quale rimborso forfettario di spese e costo di euro 2.500,00 per noleggio di piattaforma informatica e relativa assistenza tecnica);
f)  quanto invece al danno per lucro cessante esso è del tutto genericamente e quindi inammissibilmente prospettato (nemmeno risultando indicate eventuali “occasioni mancate”), mentre quello da perdita di chance non può essere riconosciuto. Invero, la perdita di chance - diversamente dal danno futuro, che riguarda un pregiudizio di là da venire soggetto a ristoro purché certo ed altamente probabile e fondato su una causa efficiente già in atto - costituisce bensì un danno attuale che non si identifica con la perdita di un risultato utile ma con la perdita della possibilità di conseguirlo, ma esso richiede, a tal fine, che siano posti in essere concreti presupposti per il realizzarsi del risultato sperato, ossia una probabilità di successo molto significativa, richiesta dalla giurisprudenza in misura talora maggiore del 50% statisticamente valutabile (poiché diversamente diverrebbero risarcibili anche mere possibilità di successo non significative), con giudizio prognostico ex ante secondo l'id quod plerumque accidit sulla base di elementi forniti dal danneggiato.


Sentenza

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3083 del 2011, proposto da:
F.lli Cuofano A & C Snc Pasticceria Svizzera, Mondial Gomma Sas di Teresa Penta & C., L'Opera D'Arte Snc, Salerno Ponteggi Srl, Ipla Sas di Casalino Giovanni & C., Ditta Individuale Vivoli Giovanni, Ditta Torre di Oricchio Giuseppe, Joint Sud Srl, Manuflex di Marrandino, Omd F.lli De Chiara Gerardo & G. Snc, Paramedical Srl, Mario Calabrese & Figli Srl, Al Mercatone di Costantino Apicella & C. Sas, Vetreria Santagata di Santagata Pietro, Ortokinesis Srl, Vito Casalino Srl, Legatoria Etrusca Srl, Baia dei Delfini Srl, Telese Arredo II, La Boutique del Dolce di Scannapieco Mario & C. Snc, Califano Service di Rufino Anna & C. Sas, Planet Gym di Rizzo Anna Maria & C. Sas, rappresentati e difesi dagli avv.ti Vincenzina Maio, Ciro Sammartino e Giuseppina Valiante, con domicilio eletto presso l’Avv. Francesco Vaccaro, in Roma, via degli Scialoja, n. 3;
contro
I.N.A.I.L. - Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro - Sede Centrale di Roma, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Luigi La Peccerella e Andrea Rossi, con domicilio eletto presso gli stessi, in Roma, via IV Novembre,144;
I.N.A.I.L. - Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro - Direzione Regionale Campania, in persona del legale rappresentante p.t., non costituito; 
nei confronti di
Sada Packaging Srl, non costituita; e nei confronti, altresì, dei soggetti intimati a seguito di integrazione di contraddittorio (come da notifica per pubblici proclami effettuata mediante pubblicazione in G.U. Parte II n. 72 del 21.6.2012);
per l'annullamento
1) degli elenchi-graduatorie recanti le domande telematiche registrate in ordine cronologico nell’ambito della procedura svolta a livello nazionale , detta “ISI I.N.A.I.L. 2010” (per le regioni Abruzzo; Alto Adige, Basilicata, Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Trentino, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto), relativa all’ erogazione degli incentivi alle imprese per la realizzazione di interventi in materia di salute e sicurezza sul lavoro – 2010, ai sensi dell'art. 11, co. 5, del d. lgs. n. 81/2008, ed in particolare dell’elenco-graduatoria relativo alla regione Campania, pubblicati sul portale informatico dell’I.N.A.I.L. in data 25.1.2011;
2) dei provvedimenti dell’I.N.A.I.L. Direzione Regionale Campania con cui sono stati recepiti tali elenchi-graduatorie o con i quali si è dato comunque impulso alla prosecuzione del procedimento per l’erogazione dei contributi;
3) dell’avviso pubblico con cui la Direzione Regionale dell’I.N.A.I.L. per la Campania ha indetto una procedura relativa all’erogazione degli indicati incentivi, per il 2010, pubblicato sul sito informatico INAIL in data 10.12.2010;
4) del Comunicato dell’I.N.A.I.L., sede centrale, relativo all’Avviso pubblico per i predetti incentivi, per l’anno 2010, pubblicato sulla G.U., serie generale, n. 288 del 10.12.2010;
5) dei provvedimenti con cui l’I.N.A.I.L. Direzione Centrale ha dato impulso alla procedura de qua, ed in particolare dei provvedimenti con cui ha delineato i contenuti dell’avviso pubblico, poi riprodotti dalle singole Direzioni Regionali negli Avvisi pubblici regionali;
6) di ogni altro atto presupposto, connesso, conseguente, anteriore o successivo, anche se ignorato, in quanto rilevante ai fini della tutela degli interessi dei ricorrenti;
- e per il risarcimento dei danni;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’I.N.A.I.L. - Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro;
Viste le memorie difensive;
Vista l’ordinanza di questo TAR n. 1941 del 26.5.2011, reiettiva dell’istanza cautelare;
Vista l’ordinanza del Consiglio di Stato, VI, n. 3927 del 14.9.2011, di accoglimento dell’appello cautelare avverso l’ordinanza suddetta n. 1941/2011;
Vista l’ordinanza di questo TAR n. 3486 del 17.4.2012, con cui è stata ordinata l’integrazione del contraddittorio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore designato per l'udienza pubblica del giorno 20 novembre 2012 il cons. Domenico Lundini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
I. Con “Avviso pubblico per Incentivi alle imprese per la realizzazione di interventi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, per l’anno 2010”, pubblicato in G.U., serie generale, n.288 del 10/12/2010 e sul sito dell' I.N.A.I.L., quest’ultimo Istituto ha reso nota l’indizione di una procedura diretta alla erogazione in favore delle imprese ubicate su tutto il territorio nazionale di contributi per il finanziamento di progetti volti a migliorare i "livelli di salute e sicurezza sul lavoro".
L'ammontare dei fondi complessivamente stanziati, pari, secondo l’art. 4 dell'Avviso predetto, ad Euro 60.000.000, è stato ripartito su base regionale. Alla Regione Campania sono stati destinati Euro 5.073.347,00. L'I.N.A.I.L., Direzione Regionale Campania, ha emesso a sua volta, sempre in data 10.12.2010, per lo stanziamento assegnatogli, “Avviso pubblico 2010” destinato alle imprese attive nel territorio regionale con l’unità produttiva interessata dal progetto, con indicazione delle modalità e dei requisiti di partecipazione e presentazione delle domande.
II. Gli odierni ricorrenti, avendo partecipato, in riferimento alla Regione Campania, senza esito positivo (non essendo risultati tra i concorrenti che hanno presentato le 104 domande ammesse all’esito della fase di invio telematico), alla procedura de qua, contestano quest’ultima, secondo quanto specificato in epigrafe, con il ricorso all’esame. Premettono, in esso -come anche adeguatamente sunteggiato in sede di integrazione del contraddittorio- di aver affidato ad un intermediario esperto la gestione della fase “prequalificatoria” e la cura della pratica fino all'inoltro telematico. Lamentano tuttavia che nel giorno iniziale stabilito (12.1.2011) per l'invio telematico delle domande, il sistema informatico centrale dell'I.N.A.I.L., nella fase di apertura dello sportello telematico, “crollava” (secondo lo stesso I.N.A.I.L. dalle ore 14,03 alle ore 14,09; secondo i ricorrenti con inaccessibilità al sito protrattasi dalle ore 13,50/13,55 circa alle ore 14,20/14,25) e che alla ripresa del funzionamento, i fondi della Regione Campania risultavano in pochi minuti già completamente esauriti. I ricorrenti hanno quindi adito questo TAR Lazio, facendo valere le seguenti censure:
1) Illegittimità dell’avviso pubblico; Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del D.Lgs. n. 123/1998 e s.m.i.; Invalidazione degli atti applicativi; Vizio del procedimento; Violazione L. n. 241/1990; Illegittimità derivata degli atti applicativi.
Invero, l'avviso pubblico 2010 emesso dall'I.N.A.I.L. Campania contrasta, secondo i ricorrenti, con una norma di rango legislativo, l'art. 5, co. 3, del D.Lgs.123/1998, in quanto tale avviso stabilisce all'art. 2, co. 1, che l'assegnazione del contributo avverra' secondo procedimento valutativo a sportello. La procedura a sportello, essendo valutativa e non automatica, postula lo svolgimento di un'istruttoria, benche' non di una valutazione comparativa. L'I.N.A.I.L. ha peraltro manipolato il procedimento valutativo a sportello, introducendo un elemento anticipatamente preclusivo, non previsto dal D.lgs. n. 123/1998 art. 5 co. 3, atteso che l’ordine cronologico dovrebbe rilevare per la concessione del beneficio, non, come avvenuto nella specie, per la ricevibilità della domanda. Inoltre, pur essendo stato stabilito, nell’art. 2 dell’avviso pubblico, che il tipo procedurale prescelto è quello valutativo a sportello, di fatto e contraddittoriamente l’avviso stesso realizza molti degli elementi che concorrono ad integrare la procedura valutativa a graduatoria (termini iniziali e finali per la presentazione delle domande, fase di prequalificazione, criteri valutativi non solo soggettivi ma anche oggettivi);
2) Vizio del procedimento – Violazione di legge: L. n. 241/90; artt. 3 e 97 Cost. – Eccesso di potere per disparità di trattamento, irragionevolezza, arbitrarietà, ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria – Violazione e falsa applicazione dell’art. 63 del D.Lgs. n. 82/2005. Ciò a causa dell'impossibilita' di accedere al portale per la presentazione della domanda in forma telematica, secondo i dati I.N.A.I.L., dalle ore 14.03 alle 14.09. Peraltro il tempo di durata del black out e' stato maggiore di quello dichiarato dall'ente. Esso ha sortito comunque effetti distorsivi sulla par condicio tra i partecipanti, in quanto non vi è stato un loro collegamento contemporaneo al portale. Si è creata una disparità “tra le regioni che sono riuscite a ristabilire un contatto con il sito”, invadendolo con i loro massivi tentativi di registrazione e rallentando conseguentemente il tempo di accesso per gli altri partecipanti. Il sistema inoltre era mal congegnato, poiche' ha consentito plurime registrazioni della stessa domanda. Vi è stato in definitiva uno scorretto uso del mezzo telematico, in contrasto con la gestione telematica “ragionata” del procedimento voluta dal legislatore nella redazione del Codice dell’Amministrazione digitale e con i principi di efficienza di cui alla legge n. 241/90.
III. Chiedono quindi l’annullamento degli atti impugnati (avviso pubblico 2010) e atti applicativi, ai fini della ripetizione della procedura, nonché la condanna dell’INAIL al risarcimento del danno in forma specifica (con annullamento e ripetizione del procedimento) ovvero, per l’”ipotesi che tale ripetizione non fosse ritenuta possibile o opportuna”, la condanna al risarcimento per equivalente (danno emergente per spese sostenute per la partecipazione; lucro cessante e danno da perdita di chance, da quantificarsi equitativamente), con rivalutazione e interessi.
L’ordinanza cautelare reiettiva di primo grado è stata appellata dinanzi al Consiglio di Stato, Sez. VI, che alla Camera di Consiglio del 13.9.2011 ha accolto l'appello, rimettendo, per il merito, dinanzi al TAR Lazio. Questo, a seguito di decisione assunta dalla Sezione III quater dopo la trattazione all'udienza pubblica del 17.4.2012, ha quindi emesso ordinanza n.3486/2012, con cui si è ordinata l'integrazione del contraddittorio, cui hanno provveduto gli istanti mediante notifica per pubblici proclami in G.U., Parte II, n. 72/2012.
L’I.N.A.I.L. è costituito in giudizio e controdeduce articolatamente ex adverso, con ampie memorie difensive depositate il 19.5.2011 e 8.2.2012.
Alla pubblica udienza del 20 novembre 2012, sentiti i difensori delle parti, la causa è passata in decisione.
IV. Premesso quanto sopra, il Collegio reputa prioritario, fondato e assorbente il primo motivo di gravame.
Invero, la procedura in contestazione è stata strutturata, per quanto interessa in questa sede, nel relativo avviso pubblico della Regione Campania, nei termini seguenti. Le imprese potevano presentare una sola domanda a valere su un solo avviso regionale. A partire dal giorno della pubblicazione dell’avviso stesso sul sito internet dell’Istituto, ciascuna impresa registrata poteva verificare, attraverso la compilazione di campi obbligati, la possibilità di presentare la domanda di contributo, subordinata al raggiungimento del punteggio minimo di 90 attribuito in base a parametri predeterminati e costituente soglia minima di ammissibilità nonché condizione per l’inoltro della domanda al momento dell’apertura dello sportello on line (prevista per le ore 14,00 del 12.1.2011).
La procedura prevedeva poi che l’invio telematico determinasse la prenotazione della somma richiesta, la corrispondente diminuzione dello stanziamento regionale, l’attribuzione da parte del sistema di un numero progressivo di domanda in ordine cronologico e il rilascio della ricevuta. Nell’avviso pubblico era inoltre stabilito che a seguito dell’esaurimento dello stanziamento, già in sede di invio telematico delle domande, lo “sportello” sarebbe stato chiuso (anche prima del normale termine di chiusura previsto per le ore 18,00 del 14.2.2011) e le domande non sarebbero state più accettate. Successivamente, entro 15. gg. dall’invio telematico, le imprese “prenotatarie” dei finanziamenti dovevano recapitare all’Istituto, a pena di esclusione, in formato cartaceo, la stampa della domanda compilata on line, debitamente sottoscritta con firma autografa, e gli altri documenti previsti dall’avviso pubblico (indicati nei relativi allegati 1, 2 o 3 a seconda della tipologia del progetto), in un plico sigillato contenente anche un supporto informatico (CD, DVD) contenente tutta la documentazione cartacea, compresa la domanda. A seguito della “verifica di congruenza e completezza” della documentazione cartacea stessa, e del riscontro dell’”effettiva sussistenza degli elementi dichiarati nella fase della domanda on line” nonché della “corrispondenza con i parametri” determinativi dei punteggi, ne sarebbe stata data comunicazione, entro il 15.4.2011, alle imprese, ai fini della eventuale loro richiesta di un’ anticipazione parziale del contributo, della realizzazione del progetto (entro 12 mesi), della rendicontazione (entro il termine predetto), della verifica della documentazione a supporto del progetto realizzato (entro 60 gg.) e, in caso di esito positivo, della successiva erogazione del contributo.
Peraltro, come correttamente evidenziato dalla parte ricorrente, nell’art. 2 dell’avviso pubblico 2010 I.N.A.I.L. – Direzione Regionale Campania, era previsto che i contributi sarebbero stati “concessi con procedura valutativa a sportello ai sensi del decreto legislativo n. 123/98”. Il predetto D.Lgs., rubricato “Disposizioni per la razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese, a norma dell'articolo 4, comma 4, lettera c), della L. 15 marzo 1997, n. 59” contiene l’organica disciplina procedurale di erogazione di incentivi e contributi di qualsiasi genere da parte di pubbliche amministrazioni a favore delle attività produttive. La regolamentazione da esso posta è peraltro da considerarsi, secondo quanto espressamente sancito dall’art. 1 comma 3, alla stregua di “princìpi generali dell'ordinamento dello Stato” e pertanto le amministrazioni destinatarie non potevano discostarsi, snaturandone le caratteristiche e le connotazioni fondamentali, dai modelli procedimentali ivi previsti. Ciò, invece, è accaduto nella specie. Invero, il D.Lgs. predetto individua tre tipologie procedurali: quella “automatica”, quella “valutativa” (a graduatoria o a sportello), quella, infine, “negoziale”. Mentre la procedura automatica è prevista (art. 4) e adottata nei casi in cui non vi sia necessità di istruttoria per l’assegnazione del beneficio, la procedura valutativa presuppone, al contrario, un’attività di valutazione, appunto, del progetto presentato. Essa si attaglia, in particolare, ai “progetti o programmi organici e complessi da realizzare successivamente alla presentazione della domanda” (art. 5 comma 1). La procedura a sportello (nel caso in esame prevista appunto dall’avviso pubblico dell’INAIL), essendo valutativa e non automatica, postula dunque (co. 3 dell’art. 5) lo svolgimento di un’attività istruttoria, benché non di una valutazione comparativa a graduatoria (co. 2 dell’art. 5).
Ebbene, l’art. 9 dell’avviso pubblico in contestazione prevedeva la chiusura anche anticipata dello sportello in caso di esaurimento di fondi a seguito della presentazione (e acquisizione) delle domande on line a partire dal giorno stabilito (c. d. click day). La procedura era congegnata dunque in modo che lo sportello fosse chiuso appena il numero delle domande pervenute fosse già tale da assorbire, per suo conto, le risorse disponibili. Ma non è questo ciò che il legislatore prescrive, nell’art. 5 comma 3 del ripetuto D.Lgs. n. 123/98, per la procedura a sportello.
Stabilisce infatti tale disposizione: “Nel procedimento a sportello è prevista l'istruttoria delle agevolazioni secondo l'ordine cronologico di presentazione delle domande, nonché la definizione di soglie e condizioni minime, anche di natura quantitativa, connesse alle finalità dell'intervento e alle tipologie delle iniziative, per l'ammissibilità all'attività istruttoria. Ove le disponibilità finanziarie siano insufficienti rispetto alle domande presentate, la concessione dell'intervento è disposta secondo il predetto ordine cronologico”. Come si vede, tale norma prevede espressamente che “l’istruttoria” delle agevolazioni è ciò che deve compiersi “secondo l’ordine di presentazione delle domande”. L’INAIL invece, stravolgendo il modello legale del procedimento valutativo “a sportello”, ha anticipato al momento della presentazione della domanda l’utilizzo del criterio cronologico, introducendo un elemento anticipatamente preclusivo non previsto dall’art. 5, comma 3, più volte citato. Non vi è dunque supporto normativo a giustificazione della scelta operata, posto che l’ordine cronologico rileva, secondo la legge, per la concessione del beneficio e non per la ricevibilità della domanda a prescindere dalla sua istruttoria. Lo stesso art. 5 co. 3 ultimo inciso precisa, del resto, che “ove le disponibilità finanziarie siano insufficienti rispetto alle domande presentate, la concessione dell'intervento è disposta secondo il predetto ordine cronologico”. L’ordine cronologico “predetto” è appunto quello per l’istruttoria delle domande e non è l’ordine tout court delle domande, come se potesse bastare, in pratica, la semplice presentazione dell’istanza per conseguire il beneficio. Difatti, il legislatore ha disegnato il seguente percorso procedurale: presentazione delle domande; istruttoria secondo l’ordine cronologico delle domande stesse, assegnazione secondo lo stesso ordine cronologico. Né potrebbe ritenersi, nella fattispecie che ne occupa, che l’assegnazione informatica dei 90 punti nella prima fase equivalga ad effettuazione dell’istruttoria, perché, secondo l’art. 5 co. 3 del ripetuto D.Lgs. n. 123, la stessa “definizione di soglie e condizioni minime, anche di natura quantitativa, connesse alle finalità dell'intervento e alle tipologie delle iniziative” è preordinata alla “ammissibilità all'attività istruttoria”. Dunque, la definizione di un punteggio minimo di ingresso vale a consentire l’accesso al successivo momento istruttorio, ma non lo sostituisce né è con lo stesso identificabile. Nella specie l’istruttoria si è svolta dopo la presentazione delle domande, con il controllo da parte dell’Amministrazione di quanto dichiarato nelle domande, con la verifica dei requisiti, dei punteggi, della completezza e congruità della documentazione (anche cartacea) prodotta, ex art. 10 dell’avviso in questione. Ne costituisce prova definitiva, ad avviso del Collegio, il fatto che, come rappresentato dall’INAIL stesso con comunicazione della Direzione Centrale Prevenzione depositata il 14.11.2012, tra le 104 domande che hanno superato per la Regione Campania la fase di invio telematico -c.d. click day- “quelle che che sono state ammesse a seguito della fase di verifica tecnico-amministrativa” sono “n. 65 e quelle che non hanno superato tale verifica n. 39”. In definitiva l’INAIL, nel caso all’esame, avrebbe dovuto ammettere tutte le domande pervenute, senza limitarle alla capienza dello stanziamento; quindi procedere all’istruttoria secondo l’ordine cronologico e una volta raggiunto il limite dei fondi disponibili (ma in corso di istruttoria e non prima del suo inizio) comunicarlo agli interessati.
L’art. 5 co. 7 del D.Lgs. n. 123/98 precisa oltretutto quanto segue: “L'attività istruttoria è diretta a verificare il perseguimento degli obiettivi previsti dalle singole normative, la sussistenza dei requisiti soggettivi del richiedente, la tipologia del programma e il fine perseguito, la congruità delle spese sostenute. Qualora l'attività istruttoria presupponga anche la validità tecnica, economica e finanziaria dell'iniziativa, la stessa è svolta con particolare riferimento alla redditività, alle prospettive di mercato e al piano finanziario per la copertura del fabbisogno finanziario derivante dalla gestione, nonché la sua coerenza con gli obiettivi di sviluppo aziendale. A tale fine, ove i programmi siano volti a realizzare, ampliare o modificare impianti produttivi, sono utilizzati anche strumenti di simulazione dei bilanci e dei flussi finanziari dall'esercizio di avvio a quello di entrata a regime dell'iniziativa. Le attività istruttorie e le relative decisioni sono definite entro e non oltre sei mesi dalla data di presentazione della domanda”. Particolarmente significativo appare quest’ultimo inciso, che colloca infatti l’attività istruttoria in un momento successivo alla presentazione della domanda (in genere) e non della sola domanda inviata nei limiti della capienza dei fondi. La legge insomma non prescrive di ammettere ab origine all’istruttoria le sole domande teoricamente corrispondenti al valore dei contributi. Prescrive invece che l’istruttoria avvenga ex post, nell’ordine cronologico di presentazione di tutte le domande, di modo che, gradualmente, fino alla capienza dei fondi, siano individuate le imprese ammesse a beneficiare del contributo (nell’ordine cronologico, sostanzialmente, di presentazione di quelle domande che abbiano tuttavia superato l’istruttoria). Invece, nel caso di specie, come fondatamente lamentano i ricorrenti, l’INAIL ha limitato l’istruttoria alle prime domande ricevute (che avevano teoricamente esaurito i fondi da erogare) non consentendo quindi alle imprese successive in ordine cronologico di registrazione di vedersi ammettere all’istruttoria in caso di mancata concessione del contributo “prenotato” dalle imprese registrate cronologicamente in posizione poziore.
Il motivo esaminato è dunque fondato. Né può ritenersi al riguardo ostativa la mancata impugnazione immediata dell’avviso pubblico di indizione della procedura, posto che esso, da sè solo considerato, a prescindere dunque dagli (e prima dell’intervento degli) atti applicativi concretamente lesivi per i ricorrenti all’esito della loro non proficua partecipazione alla procedura stessa, non poteva certamente considerarsi connotato da immediata lesività e quindi subito da impugnarsi, non trattandosi di atto (o bando) rientrante nel novero di quelli c.d. “espulsivi”.
V. Deve conclusivamente riconoscersi che gli atti impugnati dai ricorrenti, riguardanti la sopra descritta procedura, siano effettivamente inficiati dal dedotto motivo di illegittimità (con assorbimento dei motivi non esaminati), limitatamente peraltro, sia per l’avviso pubblico che per gli atti applicativi, a quelli riferibili alla sola Regione Campania (non sussistendo infatti alcun concreto interesse dei ricorrenti alla declaratoria d’illegittimità della procedura tout court o delle procedure riguardanti anche altre Regioni, relativi avvisi regionali e conseguenti atti di individuazione dei destinatari dei contributi).
Peraltro, deve ritenersi che la procedura predetta sia già stata totalmente espletata ed esaurita (essendo ormai decorsi tutti i termini, previsti dall’avviso, per le verifiche di ammissibilità, per la realizzazione dei progetti e per la erogazione dei contributi). Inoltre è stata indetta, per il 2011, anche con risorse non utilizzate all’esito della procedura in impugnativa, nuova analoga procedura cui non sono ammessi a partecipare i soggetti già beneficiari del precedente avviso (quello in contestazione) mentre possono partecipare ad essa le imprese, come quelle in questa sede istanti, escluse dal finanziamento nella procedura 2010. A fronte di tale situazione, il Collegio (mantenendosi anche nella prospettiva indicata dagli stessi ricorrenti, i quali precisano in ricorso “che la tutela risarcitoria per equivalente è subordinata all’eventualità che la tutela ripristinatoria sia giudicata eccessivamente onerosa” e di tale forma risarcitoria indicano anche gli elementi e le componenti), ritiene di limitare la propria pronuncia, ai sensi dell’art. 34, comma 3, del c.p.a., alla mera declaratoria di illegittimità degli atti suddetti -dovendo riconoscersi l’interesse dei ricorrenti ai fini risarcitori (per equivalente)- senza disporne l’annullamento che allo stato “non risulta più utile” per i ricorrenti e che comunque, visto sub specie di risarcimento in forma specifica ai fini della ripetizione della procedura, risulterebbe, ai sensi dell’art. 2058, c. 2, c.c., eccessivamente oneroso per l’Amministrazione (in considerazione anche degli interessi pubblici –tutela infortunistica- di cui la stessa è portatrice) e quindi da sostituirsi con forme risarcitorie per equivalente (cfr. al riguardo Cass. Civ. n. 4925/2006; CdS, VI, n. 3561/2011).
In ordine poi ai profili risarcitori, la domanda è fondata, a termini e nei limiti delle seguenti considerazioni:
1) anzitutto, deve riconoscersi, sotto il profilo dell'elemento oggettivo della responsabilità risarcitoria, come risulti sufficientemente dimostrato il collegamento del danno lamentato con gli atti emessi dall’Amministrazione, avuto riguardo, in particolare, alle inutili spese sopportate per la partecipazione ad una procedura illegittima;
2) è, quindi, evidente la sussistenza di un danno, almeno, in prima approssimazione, sub specie di danno emergente e il nesso di causalità tra tale danno e l'illegittimità commessa dall'amministrazione;
3) sotto il profilo dell'elemento soggettivo, l'aver formulato l’avviso pubblico in contrasto con l’art. 5 comma 3 del D.Lgs. n. 123/1998 (norma di chiaro tenore la cui applicabilità era stata prescritta dallo stesso INAIL) costituisce un errore non scusabile e chiaramente addebitabile a titolo di colpa all'amministrazione, stante la tassatività della disposizione disattesa;
4) con riguardo alla quantificazione del danno, deve ritenersi, che alla parte ricorrente spetti, in linea di massima (e salve le verifiche di cui appresso demandate alla P.A. in sede esecutiva) il risarcimento del danno emergente subìto per spese di partecipazione alla procedura (euro 600,00 per ciascun ricorrente versati a favore dell’intermediario quale rimborso forfettario di spese e costo di euro 2.500,00 per noleggio di piattaforma informatica e relativa assistenza tecnica);
5) quanto invece al danno per lucro cessante esso è del tutto genericamente e quindi inammissibilmente prospettato (nemmeno risultando indicate eventuali “occasioni mancate”), mentre quello da perdita di chance non può essere riconosciuto. Invero, la perdita di chance - diversamente dal danno futuro, che riguarda un pregiudizio di là da venire soggetto a ristoro purché certo ed altamente probabile e fondato su una causa efficiente già in atto - costituisce bensì un danno attuale che non si identifica con la perdita di un risultato utile ma con la perdita della possibilità di conseguirlo, ma esso richiede, a tal fine, che siano posti in essere concreti presupposti per il realizzarsi del risultato sperato, ossia una probabilità di successo molto significativa, richiesta dalla giurisprudenza in misura talora maggiore del 50% statisticamente valutabile (poiché diversamente diverrebbero risarcibili anche mere possibilità di successo non significative), con giudizio prognostico ex ante secondo l'id quod plerumque accidit sulla base di elementi forniti dal danneggiato (cfr., tra le tante, TAR Lazio, III, n. 6039/2012; TAR Trentino Alto Adige, BZ, n. 281/2012; CdS, V, n. 2256/2012). Ora nella specie non pare al Collegio che siano stati forniti elementi probatori da quali inferire che il risultato sperato dai ricorrenti (conseguimento del contributo) molto probabilmente si sarebbe realizzato (in assenza dell’illegittimità perpetrata dall’Amministrazione), posto che le domande presentate nella Regione Campania erano in totale, per ammissione dei ricorrenti, in numero elevatissimo (2074) e non vi è almeno un inizio di prova che le richieste degli istanti si sarebbero cronologicamente poste in posizione utile (senza tenere conto, oltretutto, che avuto riguardo al numero di domande comunque escluse all’esito delle verifiche -39 su 104- nemmeno potrebbe con sufficiente certezza affermarsi, pur in presenza del punteggio di ammissione superiore alla soglia di 90, che le eventuali verifiche delle domande, ove in ipotesi ammesse, degli opponenti, si sarebbero poi concluse positivamente). In definitiva vi sono elementi che depongono per una mera possibilità (non particolarmente qualificata) di conseguimento del beneficio. Il che comporta l’esclusione di una chance risarcibile, che deve essere connotata da ben superiori probabilità di successo rispetto a quelle che, alla stregua degli elementi addotti, possono in questa sede accreditarsi agli interessati;
6) sulle spettanti somme risarcitorie, calcolate in base a quanto sopra (sub 4), dovranno essere riconosciuti gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, nei limiti di legge, atteso che quanto dovuto a titolo di risarcimento del danno, è debito di valore;
7) infine, relativamente alla quantificazione delle somme come sopra dovute, occorre far ricorso al meccanismo di cui all'art. 34 comma 4 c.p.a. (già art. 35, comma 2, del D.L.vo 31 marzo 1998 n. 80), con la conseguenza che spetterà all’INAIL Direzione Regionale Campania, formulare ai ricorrenti, entro il termine di 60 gg. dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, la proposta di pagamento di una somma che tenga conto sia delle voci di danno ritenute risarcibili sia dei criteri previsti per la quantificazione delle stesse, fermo restando l’obbligo di riscontro da parte dell’Amministrazione stessa, in contraddittorio con i ricorrenti interessati, di adeguate integrative prove documentali dell’effettivo esborso da parte dei medesimi ricorrenti (e da parte di ciascuno di essi per quanto individualmente erogato) delle somme richieste per pagamento dell’intermediario e noleggio di piattaforma informatica.
IV. Alla stregua delle esposte considerazioni, il ricorso di cui in epigrafe, va accolto nei limiti suddetti, con condanna dell’Amministrazione, previa declaratoria d’illegittimità degli atti impugnati riferibili alla Regione Campania (per l’assorbente motivo riconosciuto fondato ed ai meri fini risarcitori), al risarcimento dei danni, da quantificarsi secondo i criteri enunciati.
Le spese, tenuto conto della particolarità e complessità della causa e dell’esito complessivo della stessa, vanno poste a carico dell’Amministrazione soccombente nella limitata misura di euro 2000,00 (duemila), da ripartirsi in parti uguali tra ciascuno dei ricorrenti risarciti.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, come da motivazione, e, per l’effetto, condanna l’Istituto soccombente, a risarcire il danno, tramite la Direzione Regionale Campania, secondo quanto sopra indicato.
Condanna altresì l’Amministrazione a rifondere le spese, come sopra quantificate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Italo Riggio, Presidente
Domenico Lundini, Consigliere, Estensore
Giulia Ferrari, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)