venerdì 6 settembre 2013

RISARCIMENTO: il danno da ritardo è risarcibile solo in caso di "spettanza del bene della vita" (T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, sentenza 20 maggio 2013 n. 470).


RISARCIMENTO: 
il danno da ritardo 
è risarcibile solo in caso 
di "spettanza del bene della vita" 
(T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 
sentenza 20 maggio 2013 n. 470).



Una sentenza su un argomento facile facile...
Ci vuole però, anche per "staccare"!


Massima 

1. Secondo la giurisprudenza prevalente (ex multis C.d.S., A.P., 15 settembre 2005,  il danno da ritardo può essere riconosciuto soltanto quando sia stata accertata la spettanza del bene della vita e non già per il mero fatto del ritardo nel provvedere,
2. La conclusione negativa circa la risarcibilità del danno per il mero fatto del ritardo nel provvedere merita di essere mantenuta anche dopo l’introduzione, con l’art. 7, comma 1, lett. c), della l. 18 giugno 2009, n. 69, dell’art. 2-bis della l. n. 241/1990, poiché questo configura la responsabilità connessa al danno da ritardo in termini di responsabilità aquiliana e non da contatto sociale qualificato e, quindi, si collega alla lesione dell’interesse al bene della vita e non alla lesione di interessi strumentali-procedimentali, per la violazione di obblighi procedimentali (quale quello di concludere nei termini il procedimento) da risarcire indipendentemente dalla successiva emanazione del provvedimento richiesto e dal suo contenuto.
3. Nel caso di specie, il bene della vita sotteso all’interesse azionato consisteva non solo e non tanto nell’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento rivolto alla verifica della legittimità del permesso di costruire rilasciato alla ricorrente, quanto piuttosto in un provvedimento che confermasse la legittimità del suddetto permesso di costruire, laddove invece la determinazione dirigenziale n. 184 del 25 gennaio 2013, pur escludendo gli estremi dell’annullamento in autotutela del citato titolo abilitativo, ne ha evidenziato taluni profili critici, che rendono necessarie modifiche dell’attuale situazione giuridica esistente tra le parti. 
Non si può, quindi, concludere nel senso della spettanza alla ricorrente del bene della vita da questa avuto di mira, con il corollario che anche sotto questo profilo (invero dirimente) nel caso in esame non sussistono i presupposti previsti dall’art. 2-bis della l. n. 241/1990 per l’accoglimento della domanda risarcitoria.


Sentenza per esteso 


INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
sezione staccata di Latina (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 63 del 2013, proposto dalla
Nuova Aldo Moro Immobiliare S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Roberto Sigismondi, rappresentata e difesa dagli avv.ti Pier Luigi Ceci ed Aldo Ceci e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Graziella Pol, in Latina, viale dello Statuto n. 41 

contro
Comune di Frosinone, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Marina Giannetti e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Sandra Salvigni, in Latina, viale dello Statuto n. 24
per l’accertamento
dell’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Frosinone sulla conclusione del procedimento di verifica della legittimità del permesso di costruire n. 11115/2010, intrapreso con determinazione n. 1470 del 27 giugno 2012, comunicata con nota prot. n. 33919 di pari data
per il conseguente accertamento
dell’obbligo del Comune di Frosinone di provvedere, concludendo il procedimento intrapreso
per la nomina,
ai sensi dell’art. 117, comma 3, c.p.a., di un Commissario ad acta incaricato di provvedere in caso di persistente inerzia dell’Amministrazione comunale
e per la condanna
dell’Amministrazione al risarcimento dei danni sofferti dalla ricorrente per effetto dell’inerzia e del ritardo della stessa Amministrazione nel provvedere.

Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Viste la memoria di costituzione e difensiva e la documentazione del Comune di Frosinone;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 31 e 117 del d.lgs. n. 104/2010 (c.p.a.);
Visti, altresì, gli artt. 35, comma 1, lett. c), e 85, comma 9, c.p.a.;
Visto, ancora, l’art. 74 c.p.a.;
Nominato relatore nella Camera di consiglio del 18 aprile 2013 il dott. Pietro De Berardinis;
Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come specificato nel verbale

FATTO E DIRITTTO
Considerato che con il ricorso indicato in epigrafe la ricorrente Nuova Aldo Moro Immobiliare S.r.l. ha agito:
- per l’accertamento dell’illegittimità del silenzio tenuto dal Comune di Frosinone sulla conclusione del procedimento di verifica della legittimità del permesso di costruire n. 11115/2010 (rilasciato alla ricorrente per la realizzazione di un fabbricato in via A. Moro, in zona “B” del P.R.G.), avviato con determinazione n. 1470 del 27 giugno 2012;
- per il conseguente accertamento dell’obbligo del Comune di Frosinone di concludere l’intrapreso procedimento (con nomina di un Commissario ad acta ex art. 117, comma 3, c.p.a.);
- per la condanna del medesimo Comune al risarcimento dei danni patiti dalla ricorrente per effetto dell’inerzia da esso serbata nel procedimento in discorso;
Considerato che a supporto del gravame la società ricorrente ha dedotto le seguenti doglianze:
- quanto all’illegittimità del silenzio, violazione degli artt. 2 e ss. della l. n. 241/1990, dell’art. 1337 c.c. e dell’art. 97 Cost.;
- quanto al diritto al risarcimento dei danni, sussistenza degli estremi di cui agli artt. 2-bis della l. n. 241/1990 e 2043 c.c.;
Considerato che si è costituito in giudizio il Comune di Frosinone, depositando memoria difensiva con allegata la relativa documentazione, tra cui la determinazione dirigenziale n. 184 del 25 gennaio 2013, avente ad oggetto la conclusione del suindicato procedimento di verifica della legittimità del permesso di costruire n. 11115/2010;
Rilevato che, alla luce di detta documentazione, la difesa comunale ha eccepito l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse alla sua decisione, nella parte relativa all’accertamento dell’illegittimità del silenzio tenuto dalla P.A., riservandosi di controdedurre in ordine alla domanda risarcitoria, di cui ha, peraltro, eccepito l’inammissibilità e l’infondatezza sotto il profilo sia dell’an, sia del quantum debeatur;
Osservato che, nella Camera di consiglio fissata per la discussione della causa, la società ricorrente ha insistito nella domanda di risarcimento dei danni;
Ritenuto di dover dichiarare l’improcedibilità del ricorso, ai sensi degli artt. 35, comma 1, lett. c), e 85, comma 9, c.p.a., per sopravvenuto difetto di interesse alla sua decisione, nella parte in cui ha ad oggetto l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Frosinone sull’avviato procedimento di verifica della legittimità del permesso di costruire n. 11115/2010 e dell’obbligo del predetto Comune di concludere il procedimento, per avere il Comune stesso provveduto a definire il procedimento in discorso con la menzionata determinazione dirigenziale n. 184 del 25 gennaio 2013 (la quale ha comportato la chiusura del procedimento mediante il suggerimento di alcune modifiche al rapporto convenzionale in essere tra la ricorrente e la P.A.);
Ritenuto, inoltre, di dover respingere la domanda di risarcimento dei danni, in quanto infondata nel merito;
Considerato in proposito che, sebbene questa Sezione, quando è stata chiamata a pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del danno proposta cumulativamente al ricorso ex art. 117 c.p.a., abbia in più occasioni (cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 21 novembre 2012, n. 863) definito con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e rimesso sul ruolo la domanda risarcitoria, ai fini della sua trattazione con il rito ordinario, ai sensi dell’art. 117, comma 6, c.p.a., non può, però, escludersi che a certe condizioni anche la definizione della domanda risarcitoria abbia luogo in sede camerale, giacché il succitato comma 6 si limita ad attribuire al giudice la mera facoltà di trattare la questione risarcitoria nelle forme ordinarie, qualora ciò risulti consono alle esigenze istruttorie e difensive del processo (v. T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 12 marzo 2012, n. 638);
Osservato, sul punto, che ad avviso del Collegio una delle ipotesi in cui è possibile decidere in sede camerale sulla domanda di risarcimento del danno cd. da inerzia o ritardo della P.A., senza doverla trattare nelle forme ordinarie ex art. 117, comma 6, c.p.a., si verifica quando – come nel caso ora in esame – emerga sin da subito l’infondatezza di tale domanda;
Considerato, infatti, più in particolare, che i pregiudizi di cui si duole la ricorrente consistono: a) nei danni conseguenti all’impossibilità di far seguire, alla conclusione dei preliminari di compravendita delle porzioni del fabbricato ad uso commerciale o residenziale, la stipula dei contratti definitivi; b) nei danni derivanti dall’impossibilità, per la società, di fare fronte agli impegni assunti con l’istituto di credito mutuante, con la relativa iscrizione presso le banche dati delle informazioni creditizie e – lamenta la ricorrente – il connesso effetto paralizzante sulle possibilità di accedere al credito; c) nel danno all’immagine della società, per la lesione della reputazione commerciale della società stessa, ormai privata di credibilità agli occhi dei potenziali acquirenti delle unità immobiliari del fabbricato realizzato, nonché degli altri realizzabili in futuro;
Ritenuto, tuttavia, da un lato che i suesposti pregiudizi non possono essere ricondotti alla categoria del danno da inerzia o ritardo della P.A. ex art. 2-bis della l. n. 241/1990, essendo invece ascrivibili alla decisione del Comune di intraprendere il procedimento di verifica della legittimità del permesso di costruire rilasciato alla ricorrente, in sé e per sé considerata, e dunque trattandosi di danni che, in disparte la loro configurabilità come danni ingiusti ex art. 2043 c.c., conseguono non già all’inerzia della P.A., ma alla decisione di questa di attivare un procedimento di secondo grado;
Ritenuto, d’altro lato, che nella fattispecie per cui è causa non siano configurabili danni ex art. 2-bis della l. n. 241/1990, attesa la complessità, ictu oculi verificabile, del procedimento di secondo grado avviato dal Comune di Frosinone (implicante anche decisioni devolute agli organi politici dell’Ente locale), nonché il suo esito, che dimostra come l’intervento comunale sia scaturito dalla necessità di correggere l’erronea interpretazione delle N.T.A. del P.R.G. in cui erano incorsi sia la parte privata, sia la stessa Amministrazione comunale;
Considerato, da ultimo, che, secondo la giurisprudenza prevalente (C.d.S., A.P., 15 settembre 2005, n. 7; id., Sez. V, 2 marzo 2009, n. 1162; id., Sez. V, 3 maggio 2012, n. 2035) – cui ha aderito anche questa Sezione (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, n. 863/2012, cit.) –, il danno da ritardo può essere riconosciuto soltanto quando sia stata accertata la spettanza del bene della vita e non già per il mero fatto del ritardo nel provvedere,
Rilevato, sul punto, che la conclusione negativa circa la risarcibilità del danno per il mero fatto del ritardo nel provvedere merita di essere mantenuta anche dopo l’introduzione, con l’art. 7, comma 1, lett. c), della l. 18 giugno 2009, n. 69, dell’art. 2-bis della l. n. 241/1990, poiché questo configura la responsabilità connessa al danno da ritardo in termini di responsabilità aquiliana e non da contatto sociale qualificato e, quindi, si collega alla lesione dell’interesse al bene della vita e non alla lesione di interessi strumentali-procedimentali, per la violazione di obblighi procedimentali (quale quello di concludere nei termini il procedimento) da risarcire indipendentemente dalla successiva emanazione del provvedimento richiesto e dal suo contenuto (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III-bis, 3 luglio 2012, n. 6039; T.A.R. Toscana, Sez. II, 3 giugno 2011, n. 989);
Osservato che, nel caso di specie, il bene della vita sotteso all’interesse azionato consisteva non solo e non tanto nell’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento rivolto alla verifica della legittimità del permesso di costruire rilasciato alla ricorrente, quanto piuttosto in un provvedimento che confermasse la legittimità del suddetto permesso di costruire, laddove invece la determinazione dirigenziale n. 184 del 25 gennaio 2013, pur escludendo gli estremi dell’annullamento in autotutela del citato titolo abilitativo, ne ha evidenziato taluni profili critici, che rendono necessarie modifiche dell’attuale situazione giuridica esistente tra le parti. Non si può, quindi, concludere nel senso della spettanza alla ricorrente del bene della vita da questa avuto di mira, con il corollario che anche sotto questo profilo (invero dirimente) nel caso in esame non sussistono i presupposti previsti dall’art. 2-bis della l. n. 241/1990 per l’accoglimento della domanda risarcitoria;
Ritenuta, infine, la sussistenza di giusti motivi per compensare integralmente le spese del giudizio, in ragione sia dell’improcedibilità in parte qua del ricorso, sia, relativamente all’azione risarcitoria, di quanto appena esposto circa l’errore in cui sono incorse le parti in ordine all’interpretazione delle N.T.A. del P.R.G., che ha avuto un ruolo decisivo nel rendere doveroso l’avvio del procedimento di verifica della legittimità del permesso di costruire

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione staccata di Latina (Sezione I^), così definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per quanto concerne le domande di accertamento dell’illegittimità dell’inerzia serbata dal Comune di Frosinone e dell’obbligo del Comune stesso di provvedere, respingendo nel contempo la domanda di risarcimento dei danni.
Compensa integralmente le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Latina, nella Camera di consiglio del giorno 18 aprile 2013, con l’intervento dei magistrati:
Francesco Corsaro, Presidente
Antonio Massimo Marra, Consigliere
Pietro De Berardinis, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/05/2013
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO


mercoledì 4 settembre 2013

PROVVEDIMENTO: il diniego d'accesso al Consigliere regionale per "segreto istruttorio" (T.A.R. Piemonte, Sez. 1, 8 febbraio 2013, n. 175).



PROVVEDIMENTO:
 il diniego d'accesso al Consigliere regionale
 per "segreto istruttorio" 
(T.A.R. Piemonte, Sez. 1, 8 febbraio 2013, n. 175).


Per la cronaca: il consigliere regionale che ha fatto ricorso avverso il diniego d'accesso apparteneva al "Movimento Cinque Stelle".

Massima

1.  E' illegittimo il diniego d'accesso alla documentazione relativa alle spese sostenute dai Gruppi consiliari opposto al Consigliere regionale, se il provvedimento negativo non è fondato su un corretto inquadramento del "segreto istruttorio".
2.  L’art. 329 c.p.p. dispone che sono coperti da segreto istruttorio (solo) “gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria” .
Si deve trattare, dunque, di atti di indagine effettuati direttamente o per iniziativa (o delega) dei predetti organi pubblici.
Ha affermato la Suprema Corte (9 marzo 2011, n. 13494) che “se per gli atti di indagine in senso stretto formati dal P.M. o dalla p.g. (esami di persone informate, interrogatori di indagati, confronti, ricognizioni, ecc.) nessun problema - a questi fini - si pone, atteso che si tratta di necessità, sempre e comunque, di atti ricadenti nel primo comma dell'art. 329 c.p.p., diverso - e differenziato - non può non essere il discorso per la categoria dei documenti che pur siano entrati nel contenitore processuale. Essi, invero, ai fini del segreto, rientrano nella previsione di legge ove abbiano origine nell'azione diretta o nell'iniziativa del P.M. o della p.g., e dunque quando il loro momento genetico, e la strutturale ragion d'essere, sia in tali organi. Ma tale conclusione di certo non può valere ove si tratti di documenti aventi origine autonoma, privata o pubblica che essa sia, non processuale, generati non da iniziativa degli organi delle indagini, ma da diversa fonte soggettiva e secondo linee giustificative a sè stanti. Non possono, dunque, rientrare nella categoria del segreto, ai fini in esame, i documenti che non siano stati compiuti dal P.M. o dalla p.g., come recita l'art. 329 c.p.p., comma 1, ma siano entrati nel procedimento per disposta acquisizione [...] un contratto, o una delibera societaria, od anche un'ordinanza della P.A. (sindacale, prefettizia, ecc.), documenti acquisiti al processo in sede di indagine, per ordine del P.M. o iniziativa della p.g., pur a fini probatori, ma non compiuti da tali organi, documenti che sicuramente - già conosciuti o conoscibili - tali rimangono anche dopo la loro eventuale acquisizione al processo, e non possono dunque ritenersi coperti dal relativo segreto. In tali ultimi casi, invero, atto di indagine compiuto è la mera disposizione di acquisizione, il provvedimento con le sue specifiche motivazioni, ma non il documento che ne sia l'oggetto che, se non è segreto ab origine in quanto compiuto dagli organi delle indagini, segreto non diventa”.
3.  Trasponendo tali condivisibili principi al caso di specie, ritiene il collegio che, mentre deve ritenersi coperto dal segreto istruttorio il cd-rom acquisito dall’autorità inquirente in esito al sopralluogo del 28 settembre 2012, contenendo esso documenti “elaborati secondo criteri indicati dalla Guardia di Finanza”, altrettanto non può dirsi per le autodichiarazioni in formato cartaceo rese dai membri del Consiglio Regionale del Piemonte al fine di conseguire i rimborsi e le indennità di cui all’art. 2 della L.R. n. 10/1972, le quali, ove anche acquisite dall’autorità inquirente nel corso di indagini penali, non possono ritenersi soggette al vincolo del segreto istruttorio perché preesistenti all’indagine penale ed estranee alle attività direttamente “compiute” dal p.m. o dalla polizia giudiziaria, secondo quanto previsto dall’art. 329 c.p.p..
Né, d’altra parte, risulta che i predetti documenti siano stati sottoposti a sequestro da parte della medesima autorità inquirente.
4.  Infine, giova rammentare che il diritto di accesso riconosciuto ai componenti degli organi rappresentativi degli enti territoriali ha un’indole profondamente diversa da quella che contraddistingue il diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto alla generalità dei cittadini; infatti, mentre in linea generale il diritto di accesso è finalizzato a permettere ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti per la tutela delle proprie posizioni soggettive eventualmente lese, quello riconosciuto ai consiglieri degli organi elettorali è strettamente funzionale all'esercizio del proprio mandato, alla verifica e al controllo del comportamento degli organi istituzionali decisionali dell'ente territoriale, ai fini della tutela degli interessi pubblici (piuttosto che di quelli privati e personali) e si configura come peculiare espressione del principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività.
Per tale motivo, il diritto di accesso dei consiglieri di enti territoriali si estende a tutti gli atti, notizie e informazioni in possesso degli uffici che possano essere di utilità all’espletamento del loro mandato, ciò anche al fine di permettere di valutare la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’amministrazione e per promuovere, nell’ambito del consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1075 del 2012, proposto da:
BONO DAVIDE, in qualità di membro del Consiglio Regionale del Piemonte e presidente del gruppo consiliare del Movimento 5 Stelle Piemonte, rappresentato e difeso dagli avv. Enzo Pellegrin e Mattia Crucioli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Enzo Pellegrin in Torino, via Tripoli, 64;

contro
REGIONE PIEMONTE, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro tempore, rappresentata e difesa, ai sensi dell’art. 116 comma 3 c.p.a., dal Segretario Generale del Consiglio Regionale del Piemonte ing. Sergio Crescimanno, elettivamente domiciliata presso l’Avvocatura Regionale in Torino, piazza Castello, 165;
nei confronti di
ALBERTO GOFFI, non costituito;
a) per l'annullamento
- del provvedimento del presidente del Consiglio Regionale del Piemonte n. 0038912 del 16.10.2012, di differimento dell'accesso al cd-rom consegnato alla guardia di finanza in data 28.9.2012 (contenente le rendicontazioni delle indennità e delle spese effettuate dai gruppi consiliari dal 2008 al 2012 e le autocertificazioni di missioni e trasferte effettuate nel medesimo periodo dai membri del Consiglio della Regione Piemonte) e di diniego all'accesso alle autocertificazioni dei membri del Consiglio della Regione Piemonte relative a missioni e trasferte effettuate dal 2008 al 2012;
- della nota del Segretario Generale del Consiglio Regionale del Piemonte n. 00337022 del 2.10.2012;
b) nonchè per l'accertamento del diritto del ricorrente ad accedere ed estrarre copia, come richiesto, dei predetti documenti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Piemonte;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2013 il dott. Ariberto Sabino Limongelli e uditi l'avv. Crucioli per la parte ricorrente e la dott.ssa A. Amorosini su delega dell' ing. Crescimanno per il Consiglio Regionale della Regione Piemonte;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Il 28 settembre 2012 alcuni agenti della Guardia della Finanza eseguivano un sopralluogo nelle sedi dei gruppi consiliari del Consiglio Regionale del Piemonte, su mandato della Procura della Repubblica di Torino, al fine di acquisire informazioni e documenti inerenti al sistema di finanziamento dei gruppi medesimi, e, in particolare, la documentazione contabile relativa alle spese rimborsate dal Consiglio ai consiglieri regionali sulla base di autodichiarazioni, ai sensi dell’art. 2 della L.R. Piemonte 13.10.1972, n. 10.
In quella occasione, l’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale elaborava e consegnava agli inquirenti un cd-rom contenente i dati e le informazioni richieste.
Il 1° ottobre successivo Davide Bono, nella sua qualità di consigliere regionale e presidente del gruppo consiliare del Movimento 5 Stelle Piemonte, chiedeva al Consiglio Regionale di avere copia del suddetto cd-rom.
Con nota del 2 ottobre 2012 il Segretario Generale del Consiglio Regionale respingeva l’istanza sul rilievo che la documentazione contenuta nel cd-rom “è attualmente oggetto di indagine conoscitiva da parte dell’autorità giudiziaria”.
L’interessato proponeva reclamo all’Ufficio di Presidenza, ai sensi dell’art. 2 comma 2 del regolamento consiliare.
Con nota del 16 ottobre 2012, il Presidente del Consiglio Regionale, pronunciandosi sul reclamo:
a) differiva l’accesso al cd-rom all’esito dell’ottenimento di apposito nulla osta da parte dell’autorità giudiziaria, rilevando che in caso contrario il rilascio di copia del predetto supporto informatico avrebbe costituito “violazione del segreto istruttorio”;
b) negava l’accesso alle autodichiarazioni dei consiglieri regionali dal 2008 al 2012, ritenendo che la richiesta dell’interessato integrasse, sotto tale profilo, “gli estremi di un controllo generalizzato sull’attività del Consiglio Regionale, configurando i presupposti di un’indagine”.
Con ricorso ex art. 116 c.p.a. notificato il 15 novembre 2012 e depositato il 22 novembre 2012, l’interessato, nella predetta qualità di consigliere regionale e presidente del gruppo consiliare del Movimento 5 Stelle Piemonte, adiva questo TAR al fine di ottenere, previo annullamento della nota del Presidente del Consiglio Regionale 16.10.2012, l’accertamento del proprio diritto ad accedere e ad estrarre copia del predetto cd-rom “e/o” delle rendicontazioni delle spese effettuate dai gruppi consiliari dal 2008 al 2012 e in particolare delle autodichiarazioni di missioni e trasferte effettuate nel medesimo periodo dai membri del consiglio regionale, con conseguente condanna dell’amministrazione regionale ad esibire i predetti documenti.
Si costituiva la Regione Piemonte a mezzo del Segretario Generale del Consiglio Regionale, opponendosi all’accoglimento del ricorso; osservando, in particolare:
- quanto al cd-rom: che esso non costituirebbe un “documento amministrativo” accessibile ai sensi dell’art. 22 L. 241/90; che lo stesso non sarebbe “detenuto” dall’amministrazione regionale, essendo stato consegnato in originale agli inquirenti e non esistendone copie in possesso dell’amministrazione; che lo stesso sarebbe comunque coperto da “segreto istruttorio” ai sensi dell’art. 329 comma 1 c.p.p. (precisando che l’amministrazione era in attesa di una risposta scritta da parte dell’autorità giudiziaria “a conferma della segretezza del CD-Rom, che sarebbe stata prodotta in udienza);
- quanto alle autodichiarazioni dei consiglieri regionali: che la richiesta del ricorrente sarebbe generica, indeterminata ed eccessivamente ampia, riferendosi a più annualità e implicando una complessa e gravosa attività degli uffici regionali di elaborazione ed estrapolazione di dati e documenti dalla procedura informatica per il pagamento delle indennità dei consiglieri; che in ragione di tale ampiezza e indeterminatezza, la richiesta del ricorrente si configurerebbe quale “indagine” da svolgersi necessariamente con le procedure di cui all’art. 31 dello Statuto regionale; che, in ogni caso, le informazioni richieste dal ricorrente sarebbero già state rese pubbliche tramite il sito internet istituzionale del Consiglio Regionale.
Il ricorrente replicava con memoria, contestando gli assunti dell’amministrazione.
In prossimità dell’udienza, le parti depositavano ulteriori memorie difensive.
La Regione Piemonte depositava altresì copia della nota in data 10 gennaio 2013 con la quale la Procura della Repubblica di Torino ha comunicato al Segretario Generale del Consiglio Regionale che “il CD Rom trasmesso con nota n. 36579 del 28.9.2012 del Consiglio regionale contiene file in formato PDF relativi ai tabulati mensili delle presenze dei consiglieri regionali nel periodo gennaio 2008-luglio 2012 elaborati secondo criteri indicati dalla Guardia di Finanza. Inoltre nell’ambito dell’indagine sono stati consegnati altri CD ROM contenenti dati personali dei consiglieri regionali. Si ritiene pertanto che tutto il materiale consegnato su richiesta della Guardia di Finanza e predisposto per l’occasione sia coperto dal segreto istruttorio riguardando fatti e persone per cui sono in corso indagini e pertanto non ne sia possibile la divulgazione a terzi”.
All’udienza in camera di consiglio del 24 gennaio 2013, la difesa di parte ricorrente, preso atto del contenuto della predetta nota della Procura della Repubblica, dichiarava di rinunciare alla domanda di accesso al cd-rom coperto da segreto istruttorio, ma nel contempo insisteva nella domanda di accesso alla documentazione cartacea concernente le autodichiarazioni del consiglieri regionali in possesso dell’amministrazione regionale.
Il rappresentante della Regione si opponeva sostenendo che tale anche tale documentazione sarebbe coperta dal segreto istruttorio, e che, in ogni caso, essa riguarderebbe dati già desumibili dai tabulati pubblicati sul sito internet del Consiglio Regionale.
All’esito della discussione, il collegio riservava la decisione.

DIRITTO
1.Preliminarmente va dato atto della rinuncia di parte ricorrente alla domanda di accesso al cd-rom, sul quale la Procura della Repubblica ha interposto il segreto istruttorio.
2. Permane invece l’interesse di parte ricorrente ad accedere alla documentazione cartacea concernente le autodichiarazioni dei consiglieri regionali.
2.1. La domanda attiene specificamente alle autodichiarazioni dei consiglieri regionali concernenti la partecipazione a riunioni istituzionali fuori sede, sulla base delle quali gli stessi hanno ottenuto indennità di presenze e rimborsi spese nel periodo dal 2008 al 2012.
3. La domanda è fondata e va accolta.
3.1. L’art. 22 comma 1 lett. d) della L. 241/90 dispone che è soggetto ad accesso ogni “documento amministrativo”, per tali intendendosi “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.
3.2. Gli atti richiesti dal ricorrente rientrano certamente in tale ampia nozione di documento amministrativo, dal momento che gli stessi riguardano “attività di pubblico interesse” (promanando da soggetti pubblici e concernendo lo svolgimento delle loro mansioni istituzionali) e sono “detenuti” dall’amministrazione regionale.
4. Le eccezioni della difesa regionale non sono condivisibili.
4.1. La documentazione cartacea richiesta dal ricorrente fornisce dati ulteriori rispetto a quelli desumibili dalle tabelle pubblicate sul sito internet del Consiglio Regionale (docc. 5 e 6 fascicolo Regione), dal momento che, come giustamente osservato dal ricorrente, le predette tabelle forniscono dati meramente “quantitativi” sul numero delle presenze autodichiarate, sulla somma totale erogata a titolo di indennità di presenza e sulla somma erogata a titolo di rimborso chilometrico, ma non forniscono alcuna informazione in ordine alle specifiche trasferte dichiarate dall’interessato (da località di partenza a località di arrivo) e agli specifici eventi istituzionali in relazione ai quali l’indennità di presenza e il rimborso chilometrico sono stati richiesti ed erogati: e quindi, in definitiva, non forniscono alcun elemento da cui poter desumere l’effettiva pertinenza delle indennità erogate all’attività istituzionale dei consiglieri regionali.
4.2. Né si può ritenere che, a causa della mole della documentazione richiesta, la domanda di accesso del ricorrente sia per ciò stesso generica e miri a realizzare un controllo generalizzato sull’attività del Consiglio Regionale.
Intanto, la richiesta del ricorrente non appare affatto generica, essendo al contrario riferita ad atti specifici e temporalmente individuati.
L’asserita ponderosità della documentazione richiesta (più presunta che dimostrata, peraltro) non è motivo sufficiente per escludere il diritto di accesso, tanto più trattandosi del diritto di accesso di un consigliere regionale, ma può al limite giustificare la distribuzione nel tempo del rilascio delle copie richieste, essendo obbligo dell'amministrazione di dotarsi di un apparato burocratico in grado di soddisfare gli adempimenti di propria competenza.
Quanto poi all’eccezione formulata dalla Regione secondo cui la domanda del ricorrente mirerebbe a realizzare un controllo generalizzato sull’operato dell’amministrazione, osserva il collegio che essa, nella misura in cui è riferita alla domanda di accesso di un consigliere regionale, non ha sostanza giuridica.
E’ noto, infatti, che il diritto di accesso riconosciuto ai componenti degli organi rappresentativi degli enti territoriali ha un’indole profondamente diversa da quella che contraddistingue il diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto alla generalità dei cittadini; infatti, mentre in linea generale il diritto di accesso è finalizzato a permettere ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti per la tutela delle proprie posizioni soggettive eventualmente lese, quello riconosciuto ai consiglieri degli organi elettorali è strettamente funzionale all'esercizio del proprio mandato, alla verifica e al controllo del comportamento degli organi istituzionali decisionali dell'ente territoriale, ai fini della tutela degli interessi pubblici (piuttosto che di quelli privati e personali) e si configura come peculiare espressione del principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività.
Per tale motivo, il diritto di accesso dei consiglieri di enti territoriali si estende a tutti gli atti, notizie e informazioni in possesso degli uffici che possano essere di utilità all’espletamento del loro mandato, ciò anche al fine di permettere di valutare la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’amministrazione e per promuovere, nell’ambito del consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale (TAR Sardegna, sez. II, 29 novembre 2012, n. 1040; TAR Trento, sez. I, 12 ottobre 2012, n. 305; TAR Salerno, sez. I, 19 dicembre 2011, n. 2042; TAR Catania, sez. III, 24 novembre 2011, n. 2783; Consiglio di Stato, sez. V, 8 settembre 2011, n. 5053; TAR Catanzaro, sez. II, 28 febbraio 2011, n. 221; TAR Napoli, sez. VI, 2 dicembre 2010, n. 26573; TAR Piemonte, sez. I, 27 maggio 2011, n. 563).
Pertanto, non può essere fondatamente contestato al consigliere di un ente territoriale di voler esercitare un controllo generalizzato sull’attività dell’ente di appartenenza, giacchè tale controllo, nella misura in cui non si traduca in strategie ostruzionistiche o di paralisi dell’attività amministrativa (ma non è questo il caso), rientra tra le facoltà precipue istituzionalmente attribuite a ciascun consigliere ai fini del corretto e proficuo svolgimento del proprio mandato.
5. Resta da esaminare, infine, l’eccezione concernente il segreto istruttorio, peraltro sollevata dall’amministrazione regionale soltanto verbalmente in camera di consiglio, mentre l’atto impugnato ne faceva cenno solo in relazione al cd-rom consegnato alla Guardia di Finanza, ma non in relazione alla documentazione cartacea qui in esame.
5.1. In ogni caso, anche a prescindere dalla sua dubbia ammissibilità, l’eccezione è infondata.
5.2. L’art. 329 c.p.p. dispone che sono coperti da segreto istruttorio (solo) “gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria” .
5.3. Si deve trattare, dunque, di atti di indagine effettuati direttamente o per iniziativa (o delega) dei predetti organi pubblici.
5.4. Sono illuminanti, a questo riguardo, le considerazioni svolte dalla Corte di Cassazione nella sentenza della I sezione penale in data 9 marzo 2011, n. 13494, di cui appare opportuno riprodurre uno stralcio.
Ha affermato la Suprema Corte che “se per gli atti di indagine in senso stretto formati dal P.M. o dalla p.g. (esami di persone informate, interrogatori di indagati, confronti, ricognizioni, ecc.) nessun problema - a questi fini - si pone, atteso che si tratta di necessità, sempre e comunque, di atti ricadenti nel primo comma dell'art. 329 c.p.p., diverso - e differenziato - non può non essere il discorso per la categoria dei documenti che pur siano entrati nel contenitore processuale. Essi, invero, ai fini del segreto, rientrano nella previsione di legge ove abbiano origine nell'azione diretta o nell'iniziativa del P.M. o della p.g., e dunque quando il loro momento genetico, e la strutturale ragion d'essere, sia in tali organi. Ma tale conclusione di certo non può valere ove si tratti di documenti aventi origine autonoma, privata o pubblica che essa sia, non processuale, generati non da iniziativa degli organi delle indagini, ma da diversa fonte soggettiva e secondo linee giustificative a sè stanti. Non possono, dunque, rientrare nella categoria del segreto, ai fini in esame, i documenti che non siano stati compiuti dal P.M. o dalla p.g., come recita l'art. 329 c.p.p., comma 1, ma siano entrati nel procedimento per disposta acquisizione […].
Nè può darsi, a detto termine "compiuti", di cui alla norma in esame, significato così ampio da uscire dal suo intrinseco valore semantico. Solare è, infine, l'evidenza che - diversamente opinando - la disposta acquisizione in ambito processuale, a fini di indagine, renderebbe in pratica inutilizzabili - resi vera lettera morta ad ogni altro fine - documenti che invece pacificamente conservano la loro piena ed autonoma vitalità giuridica ed operativa, dei quali proprio non si vede perchè considerarli (dal momento dell'acquisizione processuale) fulminati da vincolo di segretezza, quasi fossero, per ciò solo, oggetto di sequestro. Si pensi, dunque, alla macroscopica, sostanziale, differenza tra, da un lato, foto, registrazioni e rilievi (nella loro realtà documentale) effettuati dalla p.g. in relazione ad un reato, per documentarne le tracce, sicuramente coperti da segreto ex art. 329 c.p.p., e, dall'altro, un contratto, o una delibera societaria, od anche un'ordinanza della P.A. (sindacale, prefettizia, ecc.), documenti acquisiti al processo in sede di indagine, per ordine del P.M. o iniziativa della p.g., pur a fini probatori, ma non compiuti da tali organi, documenti che sicuramente - già conosciuti o conoscibili - tali rimangono anche dopo la loro eventuale acquisizione al processo, e non possono dunque ritenersi coperti dal relativo segreto. In tali ultimi casi, invero, atto di indagine compiuto è la mera disposizione di acquisizione, il provvedimento con le sue specifiche motivazioni, ma non il documento che ne sia l'oggetto che, se non è segreto ab origine in quanto compiuto dagli organi delle indagini, segreto non diventa”.
5.5. Trasponendo tali condivisibili principi al caso di specie, ritiene il collegio che, mentre deve ritenersi coperto dal segreto istruttorio il cd-rom acquisito dall’autorità inquirente in esito al sopralluogo del 28 settembre 2012, contenendo esso documenti “elaborati secondo criteri indicati dalla Guardia di Finanza” (secondo l’opportuna precisazione della Procura della Repubblica contenuta nella nota del 10 gennaio 2013), altrettanto non può dirsi per le autodichiarazioni in formato cartaceo rese dai membri del Consiglio Regionale del Piemonte al fine di conseguire i rimborsi e le indennità di cui all’art. 2 della L.R. n. 10/1972, le quali, ove anche acquisite dall’autorità inquirente nel corso di indagini penali, non possono ritenersi soggette al vincolo del segreto istruttorio perchè preesistenti all’indagine penale ed estranee alle attività direttamente “compiute” dal p.m. o dalla polizia giudiziaria, secondo quanto previsto dall’art. 329 c.p.p..
5.6. Né, d’altra parte, risulta che i predetti documenti siano stati sottoposti a sequestro da parte della medesima autorità inquirente.
6. Ne consegue, in definitiva, che gli stessi devono ritenersi accessibili dall’odierno ricorrente, nella sua qualità di consigliere regionale, fermo restando a carico di quest’ultimo il vincolo del segreto d’ufficio presidiato dalla tutela penalistica di cui all’art. 622 c.p. (TAR Trento, sez. I, 12 ottobre 2012, n. 305; TAR Salerno, sez. II, 2 settembre 2002, n. 1338; Consiglio di Stato, sez. V, 8 settembre 2011, n. 5053).
7. La domanda del ricorrente va pertanto accolta, con il conseguente obbligo dell’amministrazione regionale di consentire all’interessato la visione e l’eventuale estrazione di copia della documentazione cartacea relativa alle autodichiarazioni rese dai membri del Consiglio Regionale del Piemonte al fine di conseguire i rimborsi e le indennità di cui all’art. 2 della L.R. n. 10/1972 nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012.
8. A tale incombente l’amministrazione regionale provvederà nel termine di giorni trenta dalla comunicazione della presente sentenza, o dalla sua notificazione se anteriore.
9. Considerata la mole della documentazione richiesta, non ingente ma presumibilmente neppure esigua (stimata da parte ricorrente in circa 150 fogli per anno), è facoltà degli uffici regionali di organizzare l’accesso anche frazionandolo in più tranches, purchè in ogni caso l’incombente sia ultimato nel termine di 30 giorni sopra indicato.
10. La peculiarità e la relativa novità delle questioni esaminate giustificano la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara estinto per rinuncia e in parte lo accoglie, nei termini precisati in motivazione.
Per l’effetto:
a) accerta il diritto del ricorrente di accedere alla documentazione cartacea relativa alle autodichiarazioni rese dai membri del Consiglio Regionale del Piemonte al fine di conseguire i rimborsi e le indennità di cui all’art. 2 della L.R. n. 10/1972 nel periodo dal 2008 al 2012;
b) condanna l’amministrazione regionale a consentire l’accesso al ricorrente mediante visione ed estrazione di copia nei termini e secondo le modalità precisate in motivazione;
c) compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Lanfranco Balucani, Presidente
Ariberto Sabino Limongelli, Referendario, Estensore
Giovanni Pescatore, Referendario


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/02/2013
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO


martedì 3 settembre 2013

PUBBLICO IMPIEGO & CONCESSIONI: è illegittimo il pagamento di compensi ulteriori al lavoro straordinario ai dipendenti pubblici in relazione alla gestione diretta dell'esazione fiscale (Cons. St., Sez. V, sentenza 26 agosto 2013 n. 4268).


PUBBLICO IMPIEGO & CONCESSIONI: 
è illegittimo il pagamento di compensi 
ulteriori al lavoro straordinario 
ai dipendenti pubblici 
in relazione alla gestione diretta dell'esazione fiscale (Cons. St., Sez. V, sentenza 26 agosto 2013 n. 4268).


Massima

1. Nell’ambito del pubblico impiego l’erogazione del compenso per lavoro straordinario presuppone, in via generale, una concreta verifica della sussistenza di ragioni di pubblico interesse, così da giustificare tale forma di prestazione eccedente il normale orario di servizio, nel rispetto anche dei limiti di spesa, fissati dal bilancio di previsione (Consiglio di Stato, sez. VI, 1° settembre 2009, n. 5112).
2.  Nel caso di specie, venuta meno la gara di appalto per la gestione degli specchi d’acqua e avendo il Comune scelto di provvedervi in forma diretta, l’ente è divenuto simultaneamente gestore in proprio del servizio e datore di lavoro del personale incaricato della riscossione dei canoni nei confronti dei diportisti e da essi versati per l’utilizzo delle aree e degli specchi d’acqua oggetto della concessione demaniale.
Conseguentemente cessa qualsiasi giustificazione di un separato compenso al personale dipendente dell’ente.
3.  Resta fermo che non vi è alcuna fondata ragione per ritenere che l’attività di riscossione esuli dalle mansioni ordinarie di ufficio, né il D.lgs. n. 165/2001 giustifica compensi extra ordinem per disimpegnare il proprio lavoro in orario di ufficio; al riguardo soccorre il pagamento del lavoro straordinario.


Sentenza per esteso


INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9888 del 2001, proposto da:
Comune di Muggia, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Paolo Picasso, Mario Sanino e Maurizio Consoli, con domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, viale Parioli, n. 180; 
contro
Associazione Diportisti Muggia – San Rocco, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Gianfranco Carbone, con domicilio eletto presso Alessio Petretti in Roma, via degli Scipioni, n. 268/A; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. FRIULI-VENEZIA-GIULIA - TRIESTE n. 00292/2001, resa tra le parti, concernente determinazione canone di ormeggio;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Associazione Diportisti Muggia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno 2013 il Consigliere Carlo Schilardi e uditi per le parti gli avvocati Sanino e Carbone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Il Comune di Muggia, con deliberazione della giunta comunale n. 149 del 23.3.1999, bandiva una gara, a trattativa privata, per la gestione degli specchi d’acqua concessigli dall’Autorità portuale di Trieste.
Con successiva delibera della giunta comunale n. 2 del 3.1.2000 la gara veniva aggiudicata all’Associazione amici del mare.
Con sentenza n. 151 del 26.2.2000, il T.A.R. del Friuli Venezia Giulia, adito al riguardo, annullava il provvedimento n. 149/1999 ed il Comune di Muggia, in via di autotutela, con delibera della giunta n. 280 del 28.6.2000, provvedeva a revocare l’aggiudicazione della gara all’Associazione Amici del Mare, effettuata con la citata delibera n. 2 del 3.1.2000.
Con il medesimo provvedimento n. 280/2000, il Comune faceva salve le disposizioni di cui ai punti 3), 4), 5) e 6) della citata delibera n. 2/2000 e disponeva altresì di affidare “intuitu personae”, ad alcuni suoi dipendenti, l’incarico di riscossione, nei confronti dei diportisti, dei canoni per l’utilizzo delle aree e specchi d’acqua, oggetto della concessione demaniale n. 725/s, relativamente al periodo 1.4 – 31.12.1999 e all’anno 2000.
Con il provvedimento n. 280 veniva, inoltre, quantificato l’ammontare complessivo delle somme dovute dai diportisti (£. 15.586.029 per l’anno 1999 e £. 40.000.000 per l’anno 2000), nonché il compenso da riconoscere a favore degli incaricati della riscossione per £. 5.625.000, da includere tra le somme da imporre a carico dei diportisti e da ricomprendere nell’onere complessivo per l’anno 2000.
Avverso tale provvedimento l’Associazione diportisti Muggia S. Rocco e il sig. Gianni Macovez proponevano ricorso al T.A.R. e ne chiedevano l’annullamento, lamentando la violazione dell’art. 37 del regolamento della navigazione marittima, approvato con D.P.R. n. 328/1952, nonché la violazione degli artt. 7 e 58 del D.lgs. n. 29/1993.
Il T.A.R. del Friuli Venezia Giulia, con sentenza n. 292 del 20 aprile 2001, depositata il 28 maggio 2001, accoglieva il secondo motivo di ricorso e, per l’effetto, annullava la deliberazione n. 280 del 28 giugno 2000 della giunta del Comune di Muggia.
Avverso la pronuncia il Comune di Muggia ha proposto appello.
Si è costituita in giudizio l’Associazione diportisti Muggia, che ha chiesto di respingere l’appello e la conferma della sentenza impugnata.
La causa è stata assunta in decisione all’udienza pubblica del 25 giugno 2013.
Con il primo motivo di censura l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui il T.A.R. ha ritenuto che il Comune, avendo scelto di gestire in forma diretta la concessione, avrebbe così riconosciuto di possedere, nella propria organizzazione i mezzi per l’esercizio della stessa e per questo l’ente non sarebbe dovuto “ricorrere ad ulteriori affidamenti a terzi, non previsti dal Codice, che in realtà finiscono per avvantaggiare solo questi ultimi, remunerandoli per attività tipiche del lavoro d’ufficio”.
Con il secondo motivo di censura l’appellante deduce la contraddittorietà della sentenza laddove da un lato ha riconosciuto il diritto del Comune a ricavare dei proventi dalla concessione e dall’altro non ha ritenuto legittima la destinazione che lo stesso ha dato alle somme introitate, remunerando i propri dipendenti incaricati della riscossione dei canoni.
L’appello è infondato e va respinto.
L’appellante sostiene, con i due motivi di censura, che nel caso di specie l’attività di riscossione non rientrerebbe nelle mansioni ordinarie d’ufficio del personale comunale e che, pertanto, sarebbe pienamente giustificato riversare sugli utenti il costo del servizio, per compensare le professionalità interne utilizzate a tale scopo, attraverso il pagamento di lavoro straordinario in loro favore.
Il Comune, in altri termini, sostiene che una volta riconosciuta la legittimità dell’imposizione tariffaria sarebbe del tutto ininfluente la destinazione o ripartizione interna delle somme riscosse, con conseguente carenza di interesse da parte dell’associazione appellata ad agire in giudizio.
L’assunto non è condivisibile, atteso che nell’ambito del pubblico impiego l’erogazione del compenso per lavoro straordinario presuppone, in via generale, una concreta verifica della sussistenza di ragioni di pubblico interesse, così da giustificare tale forma di prestazione eccedente il normale orario di servizio, nel rispetto anche dei limiti di spesa, fissati dal bilancio di previsione. (Consiglio di Stato, sez. VI, 1° settembre 2009, n. 5112).
Nel caso di specie, venuta meno la gara di appalto per la gestione degli specchi d’acqua e avendo il Comune scelto di provvedervi in forma diretta, l’ente è divenuto simultaneamente gestore in proprio del servizio e datore di lavoro del personale incaricato della riscossione dei canoni nei confronti dei diportisti e da essi versati per l’utilizzo delle aree e degli specchi d’acqua oggetto della concessione demaniale.
Conseguentemente cessa qualsiasi giustificazione di un separato compenso al personale dipendente dell’ente.
Resta fermo che non vi è alcuna fondata ragione per ritenere che l’attività di riscossione esuli dalle mansioni ordinarie di ufficio, né il d.lgs. n. 29/1993 giustifica compensi extra ordinem per disimpegnare il proprio lavoro in orario di ufficio.
Nella fattispecie, infatti, si deve ritenere che l’attività di esazione in questo, come in qualsiasi altro caso di riscossione di entrate, rientri nelle funzioni proprie del Comune e ciò comporta che questa attività debba essere svolta dagli impiegati in possesso di adeguata professionalità, di norma durante l’orario di servizio, salva la spettanza del compenso per lavoro straordinario e degli altri compensi accessori quando ne ricorrano, di volta in volta, i presupposti, nei termini e nei limiti quantitativi previsti.
Pertanto, non può ritenersi legittima la liquidazione di compensi ai dipendenti del Comune che siano stati incaricati dei compiti in parola, compiti che sono propri dell’ente al quale sono legati da rapporto organico di servizio e dal quale sono ordinariamente retribuiti.
Conclusivamente l’appello è infondato e va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in misura di €. 2.000,00 (duemila/00) in favore della Associazione Diportisti Muggia – S. Rocco.

P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in misura di E. 2000,00 (duemila/00) in favore della Associazione Diportisti Muggia – San Rocco.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere, Estensore
Raffaele Prosperi, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/08/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)