venerdì 17 maggio 2013

APPALTI: convenzioni in deroga con cooperative sociali di tipo B (Consiglio di Stato, Sez.. VI, sentenza 29 aprile 2013 n. 2342).


APPALTI:
convenzioni in deroga con cooperative sociali di tipo B (Consiglio di  Stato, Sez.. VI, 
sentenza 29 aprile 2013 n. 2342)

Massima

1.  L'art. 5 della l. n. 381/91 prevede che «gli enti pubblici, compresi quelli economici, e le società di capitali a partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione», possono stipulare convenzioni con le cooperative che svolgono attività agricole, industriali, commerciali o di servizi «per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi il cui importo stimato al netto dell’IVA sia inferiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate».
2. La norma consente all’amministrazione, quando ricorrono le condizioni specificamente indicate, di affidare direttamente alle predette cooperative sociali appalti di fornitura di beni e servizi pubblici. Tale tipologia di appalti presuppone, in coerenza con la causa del contratto, che la relativa prestazione sia rivolta all’amministrazione per soddisfare una sua specifica esigenza al fine di ottenere, quale corrispettivo, il pagamento di una determinata somma. E’ bene aggiungere che la norma in esame, derogando ai principi generali di tutela della concorrenza che presiedono alla svolgimento delle procedure di gara, ha valenza eccezionale ed in quanto tale deve essere interpretata in maniera restrittiva. Ne consegue che non è possibile fare rientrare nel suo campo di applicazione contratti diversi da quelli specificamente indicati (cfr. Cons. Stato, V, 11 maggio 2010, n. 2829).
3.  L'attività di gestione di una manifestazione fieristica su un campo sportivo comunale – implicando la gestione di un bene pubblico e lo svolgimento di una attività rivolta ai cittadini e non all'amministrazione – non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 5 della legge n. 381 del 1991, con la conseguenza che la scelta del gestore deve avvenire nel rispetto delle procedure amministrative poste a tutela della concorrenza.



Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6600 del 2012, proposto da
Comune di Larino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Vito Bellini e Maria Luisa Bellini, con domicilio eletto presso lo studio legale del primo in Roma, via Orazio, 3; 
contro
Progest 3000 s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Antonio Lonardo, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13; 
nei confronti di
Unione Commercio Molise Cooperativa Sociale-Unicom M.s.c.a.r.l., non costituita in giudizio; 
per la riforma
della sentenza 27 luglio 2012, n. 414 del Tribunale amministrativo regionale per il Molise, Sezione prima.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio di Progest 3000 s.r.l.;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 marzo 2013 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Graziosi, per delega dell’avvocato Bellini Maria Luisa, e Giannini per delega dell’avvocato Lonardo.

FATTO e DIRITTO
1.– Il Comune di Larino organizza ogni anno una manifestazione denominata “Fiera di ottobre” che si svolge presso il campo sportivo comunale ove vengono ospitati espositori e venditori di merci e beni relativi ai settori del commercio, artigianato, agricolo e della ristorazione.
Con determinazione 1° agosto 2011, n. 147 il Comune ha affidato direttamente, tramite convenzione, la gestione dell’attività per gli anni 2011 e 2012 all’Unione commercio Molise cooperativa sociale (d’ora innanzi solo cooperativa sociale).
Tale determinazione è stata impugnata da Pro.gest 3000 s.r.l., che aveva svolto la relativa attività per gli anni 2011 e 2012, innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Molise, Sezione prima.
1.1.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 27 luglio 2012, n. 414, ha accolto il ricorso, rilevando, in particolare, che il Comune avesse violato le regole che presiedono allo svolgimento delle procedure di gara. In particolare, si è ritenuto che, non venendo in rilievo un contratto di appalto di servizi ma lo svolgimento di un servizio pubblico, non vi fossero le condizioni previste dall’art. 5 della legge 8 novembre 1991, n. 381 (Disciplina delle cooperative sociali) per l’affidamento diretto della gestione della fiera alla predetta cooperativa.
2.– Il Comune ha proposto appello per i motivi indicati nei successivi punti.
2.1.– Si è costituita in giudizio la ricorrente in primo grado, rilevando l’infondatezza delle censure e riproponendo i motivi non esaminati dal primo giudice, tra i quali in particolare quello relativo all’incompetenza della Giunta comunale ad adottare un atto di gestione.
2.2.– Con ordinanza 1° ottobre 2012 n. 3948 questa Sezione ha concesso la misura cautelare richiesta, sospendendo gli effetti della sentenza, «in ragione dell’imminenza della data di svolgimento della manifestazione fieristica», specificando che tale misura aveva «una efficacia limitata al tempo di svolgimento della predetta manifestazione».
3.– L’appello non è fondato.
3.1.– Con un primo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto il difetto di interesse della società appellata. Quest’ultima, infatti, anche se l’amministrazione avesse seguito una procedura di gara, sarebbe stata esclusa, ai sensi dell’art. 38, primo comma, lettera f), del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), non avendo adempiuto agli obblighi derivanti da un rapporto contrattuale avente ad oggetto l’organizzazione di una precedente edizione della medesima fiera di ottobre.
Il motivo non è fondato.
La società appellata, avendo già svolto l’attività in questione, è un operatore del settore ed in quanto tale è legittimata ad impugnare gli atti dell’amministrazione nei casi in cui quest’ultima dispone, in deroga alle regole delle procedure di evidenza pubblica, un affidamento diretto di una determinata attività (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 7 aprile 2011, n. 4). La circostanza dedotta dall’appellante non è idonea, a prescindere dalla sua genericità, a privare la società della legittimazione e dell’interesse ad agire. Le cause di esclusione possono, infatti, venire in rilievo, con le garanzie previste, nell’ambito del procedimento concorsuale prefigurato dal legislatore e non possono costituire un elemento valutabile “fuori gara” per “escludere la gara”.
3.2.– Con un secondo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha dichiarato inammissibile il ricorso per la mancata impugnazione della determinazione comunale 10 agosto 2011, n. 338.
Il motivo non è fondato.
La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è costante nel ritenere «l’impugnazione dell'atto presupposto, di per sé lesivo dell'interesse del soggetto interessato, consente di soprassedere alla susseguente impugnazione dell'atto conseguenziale soltanto nell'ipotesi in cui l’eventuale annullamento del primo atto sia in grado di determinare l' automatica caducazione del secondo, ossia soltanto se l'atto successivo ha carattere meramente esecutivo dell'atto presupposto ovvero fa parte di una sequenza procedimentale che lo pone in rapporto di immediata derivazione dall’atto precedente» (Cons. Stato, IV, 14 gennaio 2013, n. 157), senza che vi sia possibilità di «compiere nuove e ulteriori valutazioni di interessi» (Cons. Stato, V, 3 maggio 2012, n. 2530).
Nel caso di specie, l’amministrazione comunale, con determinazione 1° agosto 2011, n. 147, ha disposto che «si proceda al convenzionamento», approvando lo schema di convenzione da sottoscrivere e dando atto che «il responsabile del servizio (…)adotterà gli atti conseguenti» alla predetta determinazione «finalizzati a dare esecuzione» agli stessi.
Con la determinazione n. 338 del 2011 il responsabile del servizio ha “preso atto” del contenuto della precedente determinazione e «in esecuzione» della stessa ha proceduto alla sottoscrizione della convenzione.
Da quanto esposto risulta come il provvedimento impugnato si ponga in un rapporto di stretta consequenzialità con il precedente provvedimento presupposto, limitandosi, senza svolgere ulteriori valutazioni, a dare ad esso esecuzione. Ne consegue che l’omessa impugnazione, per l’operatività del principio della caducazione automatica, non determina l’inammissibilità del ricorso di primo grado.
3.3.– Con un terzo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto sussistenti le condizioni contemplate dall’art. 5 della l. n. 381 del 1991 per l’affidamento diretto del servizio alla cooperativa sociale.
Il motivo non è fondato.
Il predetto art. 5 prevede che «gli enti pubblici, compresi quelli economici, e le società di capitali a partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione», possono stipulare convenzioni con le cooperative che svolgono attività agricole, industriali, commerciali o di servizi «per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi il cui importo stimato al netto dell’IVA sia inferiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate».
La norma consente all’amministrazione, quando ricorrono le condizioni specificamente indicate, di affidare direttamente alle predette cooperative sociali appalti di fornitura di beni e servizi pubblici. Tale tipologia di appalti presuppone, in coerenza con la causa del contratto, che la relativa prestazione sia rivolta all’amministrazione per soddisfare una sua specifica esigenza al fine di ottenere, quale corrispettivo, il pagamento di una determinata somma. E’ bene aggiungere che la norma in esame, derogando ai principi generali di tutela della concorrenza che presiedono alla svolgimento delle procedure di gara, ha valenza eccezionale ed in quanto tale deve essere interpretata in maniera restrittiva. Ne consegue che non è possibile fare rientrare nel suo campo di applicazione contratti diversi da quelli specificamente indicati (cfr. Cons. Stato, V, 11 maggio 2010, n. 2829).
Nella fattispecie in esame, la convenzione stipulata ha ad oggetto l’uso del campo sportivo comunale per lo svolgimento di una attività di servizi, consistente nella esposizione e vendita di beni.
In relazione all’uso del campo sportivo si è in presenza di una concessione di bene pubblico, con la conseguenza che, in attuazione dei principi generali posti a tutela della concorrenza, devono essere seguite procedure di garanzia per la scelta del concessionario (Cons. Stato, V, 19 giugno 2009, 4035).
In relazione all’attività posta in essere, la stessa, come risulta dal testo della convenzione stipulata – essendo «rivolta principalmente ai cittadini residenti nel territorio di Larino», con assunzione del rischio di gestione e con imposizione, da parte del Comune, di specifici obblighi di servizio (ad esempio, consentire l’«accesso gratuito alle scuole») – integra gli estremi del servizio pubblico. Anche sotto questo aspetto devono, pertanto, essere seguite le regole generali previste nel caso in cui il Comune intende affidare a terzi la gestione di un servizio pubblico locale. E’ bene aggiungere che, anche qualora si volesse ritenere che l’attività posta in essere costituisca mera attività di impresa non avendo i doveri imposti natura regolatoria, in ogni caso l’amministrazione, venendo in rilievo la gestione di un bene pubblico, avrebbe dovuto seguire le regole dell’evidenza pubblica.
In definitiva, la Sezione ritiene che l’attività di gestione di una manifestazione fieristica su un campo sportivo comunale – implicando la gestione di un bene pubblico e lo svolgimento di una attività rivolta ai cittadini e non all’amministrazione – non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 5 della legge n. 381 del 1991, con la conseguenza che la scelta del gestore deve avvenire nel rispetto delle procedure amministrative poste a tutela della concorrenza.
4.– Alla luce di quanto sin qui esposto l’appello è infondato. Non occorre, pertanto, esaminare gli altri motivi prospettati nell’atto di costituzione della società resistente e non esaminati dal primo giudice.
5.– In applicazione del principio della soccombenza, l’appellante è condannato al pagamento, in favore della società resistente, delle spese processuali del presente grado di giudizio che si determinano in euro 3.000,00, oltre accessori.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) respinge l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;
b) condanna l’appellante al pagamento, in favore della società resistente, delle spese processuali del presente grado di giudizio che si determino in euro 3.000,00, oltre accessori.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Gabriella De Michele, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/04/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

giovedì 16 maggio 2013

IDEA = FACT



"Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela ciascuno. Ma se tu hai un'idea, ed io ho un'idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee".

(George Bernard Shaw)

APPALTI: art. 84 co. 4 e 10 e relativa applicabilità agli appalti di servizi (Ad. Plen., 7 maggio 2013 n. 13).



APPALTI: 
art. 84 co. 4 e 10 e relativa applicabilità
agli appalti di servizi 
(Ad. Plen., 7 maggio 2013 n. 13)

Massima

In sede di affidamento di una concessione di servizi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sono applicabili le disposizioni di cui all’art. 84, comma 4 (relativo alle incompatibilità dei componenti della commissione giudicatrice) e 10 (relativo ai tempi di nomina della commissione) del d.lgs. n. 163 del 2006, in quanto espressive dei principi di trasparenza e di parità di trattamento, richiamati dall’art. 30, comma 3, del medesimo d.lgs.”.



Sentenza per esteso

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8 di A.P. del 2013, proposto da:
Acsm - Agam Reti Gas Acqua S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Danilo Tassan Mazzocco, Giorgio Lezzi, Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2; 
contro
G6 Rete Gas Spa, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Franco Ferrari, con domicilio eletto presso Giuseppe Franco Ferrari in Roma, via di Ripetta, 142; 
nei confronti di
Comune di Lomazzo; 
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE I n. 01171/2012, resa tra le parti, concernente affidamento in concessione del servizio pubblico locale di distribuzione del gas naturale

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di G6 Rete Gas Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 aprile 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Tassan Mazzocco e Ferrari.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
In primo grado la G6 Rete gas s.p.a., concessionaria del servizio di distribuzione del gas naturale per il Comune di Lomazzo, impugnava davanti al TAR Lombardia – sede di Milano, il bando pubblicato in data 22 febbraio 2011 con cui l’amministrazione comunale aveva indetto una gara per l’affidamento di detto servizio, nonché, con motivi aggiunti, l’aggiudicazione definitiva del servizio a favore della ditta Acsm-Agam Reti Gas Acqua s.r.l.
La ricorrente deduceva che la commissione di gara era stata illegittimamente formata in violazione dell’art. 84, comma 10, d.lgs. 163 del 2006, per essere stata nominata prima dello spirare del termine stabilito per la presentazione delle offerte; deduceva altresì violazione del comma 4 dell’art.84 su menzionato, in quanto un componente del predetto organo, ing. Nicola Bufalo, aveva prestato la sua opera professionale per la predisposizione degli atti della procedura di gara, redigendo il relativo disciplinare ed individuando i sub-criteri di aggiudicazione.
Il primo giudice accoglieva entrambe le censure ed annullava la gara.
Superata l’eccezione di inammissibilità, dedotta per mancata specifica impugnazione del disciplinare di gara, nella parte in cui aveva escluso il rinvio alle norme del codice dei contratti pubblici non richiamate dal citato art. 84, perché tale regola aveva funzione integrativa della legge speciale, il Giudice di primo grado reputava le norme invocate dalla società ricorrente espressive dei principi di imparzialità e trasparenza.
In particolare, al comma 10 veniva attribuita la funzione di prevenire “possibili contatti fra imprese interessate a partecipare alla gara ed i commissari” in sede di formulazione dell’offerta tecnica, a presidio quindi del leale confronto concorrenziale che deve attuarsi anche nelle gare per l’affidamento di concessioni, ed a nulla rilevando in contrario che la nomina dell’organo era avvenuta quando le manifestazioni di interesse erano in fatto già tutte pervenute all’amministrazione aggiudicatrice.
In relazione alla regola di cui al quarto comma, se ne desumeva la generale operatività dal testuale riferimento a “qualsiasi attività in grado di interferire con il giudizio di merito sull'appalto”, e pertanto applicabile al caso di specie, visto che il citato professionista era stato incaricato dal Comune di predisporre la legge di gara.
Con l’appello la Acsm-Agam riproponeva l’eccezione di inammissibilità dell’impugnativa rispetto ai contenuti della legge speciale e, nel merito, deduceva l’erronea applicazione del comma 10 del ridetto art. 84, avendo la sentenza reputato decisivo ai fini della legittimità il momento della nomina della commissione di gara, e, sotto l’altro profilo, perchè il predetto ing. Bufalo si era limitato alla predisposizione del bando e del disciplinare di gara. Inoltre, lamentava l’erroneità della sentenza per avere disposto la rinnovazione della gara senza previa formale dichiarazione di inefficacia del contratto nel frattempo stipulato.
L’appellata G6 Rete Gas dal canto suo riproponeva ex art. 101, comma 2, cod. proc. amm.: 1) la censura di violazione del principio di concentrazione delle sedute di gara (oltre quattro mesi impiegati dalla commissione per le valutazione delle offerte, dei quali oltre due per le offerte tecniche), che il primo giudice aveva ritenuto assorbita in ragione dell’accoglimento delle altre censure; 2) la domanda di inefficacia ex art. 122 cod. proc. amm. del contratto stipulato dall’amministrazione resistente con la controinteressata.
Su quest’ultima riproposizione la società appellante prendeva posizione eccependone a sua volta l’inammissibilità, a causa della sua mancata riproposizione in questo grado di giudizio a mezzo di appello incidentale, in base al principio secondo cui la dichiarazione di inefficacia non sarebbe conseguenza automatica dell’annullamento dell’aggiudicazione, con conseguente impossibilità per il giudice d’appello di pronunciarla in assenza di relativa devoluzione a mezzo di rituale impugnazione.
A ciò l’appellata G6 Rete Gas replicava facendo leva sulla nota in data 21 giugno 2012, con cui il Comune di Lomazzo si era determinato nel senso di riattivare il procedimento di gara in seguito all’annullamento giurisdizionale (salvo poi riferire di una successiva sospensione in ragione del presente giudizio d’appello), argomentando da tale comportamento che l’amministrazione aggiudicatrice aveva “annullato e/o dichiarato inefficace” il contratto concluso con la controinteressata Acsm-Agam.
Con la ordinanza di rimessione a questa Adunanza Plenaria, la Quinta Sezione ha esaminato dapprima il motivo di appello consistente nella deduzione di inammissibilità del ricorso di primo grado a causa dell’omessa specifica impugnativa da parte della GG Rete Gas del disciplinare, nella parte in cui non ha fatto richiamo all’art. 84 del codice dei contratti pubblici.
La sezione rimettente ha rigettato tale motivo sul rilievo che la clausola della legge di gara in questione è in realtà riproduttiva del disposto di legge.
Il paragrafo 1 del disciplinare contiene infatti la precisazione che, in quanto preordinata all’affidamento di una concessione di servizi, la gara è assoggettata agli artt. 30 e 216 del codice dei contratti, con esclusione delle restanti disposizioni di tale testo normativo “salvi gli espressi richiami al medesimo d.lgs. n. 163/2006 contenuti nel presente disciplinare”.
La previsione, secondo la ordinanza di rimessione, è dunque sovrapponibile a quella di legge, visto che anche il predetto art. 30 sancisce la non applicabilità delle disposizioni del codice dei contratti, mentre la salvezza di quelle richiamate altro non sarebbe che la esplicitazione di una pacifica facoltà della amministrazione aggiudicatrice di conformare la legge di gara attraverso il rinvio a precetti normativi puntuali.
Con riguardo alla domanda volta alla declaratoria di inefficacia del contratto, la Sezione rimettente ha osservato come essa fosse stata formulata dalla G6 Rete Gas in modo perplesso, ivi prospettandosi come fatto meramente eventuale la stipula del contratto con la controinteressata odierna appellante; inoltre, vengono trovati condivisibili i rilievi secondo cui tale domanda avrebbe dovuto essere proposta con appello incidentale, a fronte di una espressa statuizione del TAR che demanderebbe alla “rinnovazione parziale” della procedura di gara il conseguimento del bene della vita anelato con l’impugnativa di primo grado.
Con l’ordinanza di rimessione, la Quinta Sezione ha quindi deferito l’esame dell’appello all’Adunanza plenaria, evidenziando il contrasto tra due opposti orientamenti interpretativi, emersi di recente nella giurisprudenza di questo Consiglio, in ordine al campo di applicazione dei commi 4 e 10 dell’articolo 84 del codice dei contratti pubblici anche alle concessioni di servizi.
Secondo la tesi dell’appellante, l’art. 84, commi 10 e comma 4, del d.lgs n. 163 del 2006 non sarebbe applicabile alla gara oggetto di giudizio, tanto perché la relativa lex specialis non lo richiama (in particolare il citato art. 1 del disciplinare), quanto perché le relative prescrizioni non potrebbero essere ritenute dei precipitati dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, principi dichiarati (solo essi) applicabili alle concessioni di servizi dal comma 3 dell’art. 30.
Secondo la ordinanza di rimessione, in caso di soluzione del quesito in senso affermativo, sarebbe necessario poi ancora stabilire, con riguardo al comma 10, se sia illegittima anche la commissione costituita dopo la presentazione effettiva della domanda di partecipazione ma prima della scadenza del termine per la presentazione dell’offerta; mentre, in merito alla fattispecie di cui al comma 4, se determini la preclusione a far parte della commissione aggiudicatrice la predisposizione del progetto posto a base della gara da parte di uno dei commissari.
La rimessione espone quindi gli orientamenti contrastanti della giurisprudenza del Consiglio di Stato
Un primo indirizzo (sentenza della III Sezione n. 5547 del 2011) ha negato l’esistenza di un nesso di inscindibilità tra il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e le regole di cui all’art. 84 sulla nomina della commissione di gara. Ancorché resa in una procedura di affidamento di servizi di cui all’all. II B del codice del contratti, detto precedente rileva nel presente giudizio, in quanto l’art. 27 opera per detta tipologia di contratti un richiamo ai principi generali non dissimile da quello dell’art. 30.
La sentenza della quinta sezione n. 4311 del 2010 ha perentoriamente escluso che l’art. 84, comma 10, sia applicabile alle concessioni di servizi in generale (e con riguardo all’art. 84 in generale, la pronuncia 3 maggio 2012, n. 2552 della quinta sezione; v. anche sent. 4 gennaio 2011, n. 2 della medesima sezione).
In senso contrario, la stessa quinta sezione, oltre a ritenere applicabile l’art. 84 nel suo complesso alle concessioni di servizi pubblico (con sentenza 17 gennaio 2011, n. 224), dapprima a livello di obiter dictum (con sentenza 22 marzo 2011, n. 1784), poi con statuizione pienamente rientrante nella ratio decidendi (con sentenze 23 maggio 2011, n. 3086 e 27 ottobre 2011, n. 5740), ha giudicato operante nelle procedure di affidamento di detti contratti la regola della posteriorità della nomina della commissione di gara rispetto alla presentazione delle offerte stabilita dall’art. 84, comma 10.
Con l’ordinanza di rimessione n.803 del 2013, la quinta sezione, nel rimettere la soluzione del contrasto alla Adunanza Plenaria, conclude propendendo chiaramente nel senso della più ampia applicazione delle regole contenute nei commi 4 e 10 dell’art. 84 anche alle procedure di affidamento nelle concessioni di servizi, in quanto entrambe da ritenere riconducibili al principio di trasparenza testualmente richiamato dall’art. 30 del medesimo codice, sulla base di argomenti sia letterali, sia logici e sistematici.
Alla udienza pubblica del 22 aprile 2013 la causa, dopo discussione orale, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO
1.Per risolvere la controversia, occorre esaminare dapprima l’istituto della concessione di servizi e la disciplina scarna che ad essa riserva il codice, distinguendo tra principi e disposizioni ad esso istituto applicabili e tenendo conto, quanto ai primi, che alle concessioni di pubblici servizi sono applicabili sia i principi desumibili dal Trattato, sia i principi generali relativi ai contratti pubblici.
Successivamente, sulla base della ragione intrinseca delle due disposizioni relative alla nomina della commissione giudicatrice, contenute nei commi 4 e 10 dell’art. 84, occorrerà valutarne la estensibilità o meno alle commissioni di gara per l’affidamento di concessioni di pubblici servizi, argomentando sulla natura di norme di principio o esplicative di principi generali oppure di mere disposizioni, applicabili soltanto specificamente alle fattispecie richiamate.
1.1.Nell’ordinamento comunitario il tratto distintivo della concessione viene individuato nelle modalità di remunerazione del soggetto affidatario e nella attribuzione o meno in capo al soggetto stesso del rischio economico connesso alla gestione economico-funzionale dell’opera o del servizio.
Con riguardo alla definizione, la concessione di servizi viene definita dalla direttiva 2004/18/CE, nonché dal Codice dei contratti pubblici (art. 3, comma 12) come «il contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo».
Più specificamente, l'art. 30 del medesimo Codice al comma 2 afferma che nella concessione di servizi la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio.
La distinzione attiene alla struttura del rapporto, che nell’appalto di servizi intercorre tra due soggetti (la prestazione è a favore dell’amministrazione), mentre nella concessione di servizi pubblici intercorre tra tre soggetti, nel senso che la prestazione è diretta al pubblico o agli utenti.
Sebbene le direttive appalti abbiano tendenzialmente escluso dal proprio ambito di applicazione le concessioni di servizi, l’affidamento delle stesse, secondo la giurisprudenza comunitaria e nazionale, non può essere sottratto ai principi espressi dal Trattato in tema di concorrenza.
Tale regola viene codificata nell’articolo 30, comma 3, il quale, unitamente alla definizione dell’istituto stesso (al comma 2), recepisce gli orientamenti espressi dalla Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario del 12 aprile 2000 (in GUCE C-121 del 29 aprile 2000) nonché, nell’ordinamento interno, dalle circolari della Presidenza del Consiglio dei Ministri n.3944 del 1 marzo 2002 e n.8756 del 6 giugno 2002 (rispettivamente in GURI n.102 del 3 maggio 2002 e n.178 del 31 luglio 2002).
2. Sulla base di quanto prevede il primo comma del menzionato articolo 30 – “Salvo quanto disposto nel presente articolo, le disposizioni del codice non si applicano alle concessioni di servizi” – l’interprete deve porsi il problema della differenza tra principi e disposizioni (principi desumibili, come si è accennato, dal Trattato ma anche principi generali relativi ai contratti pubblici), certamente applicabili anche alle concessioni di servizi e disposizioni del codice, viceversa espressamente escluse dal campo di applicazione.
Per effettuare in modo compiuto tale distinzione tra principi generali e disposizioni, non può trascurarsi di rilevare che i principi non sono soltanto quelli che il codice definisce, di massima nelle sue parti iniziali (v. in specie l’art. 2), come principi generali di una data materia, nel senso di superprincipi o valori o finalità teleologiche del sistema.
Come è infatti noto, l’aspetto rilevante di un codice, anche nel senso ristretto della nuova codificazione moderna secondo codici di settore, è la sua aspirazione ad essere un “sistema”; il sistema consente di spostare l’attenzione anche su principi, che rendono possibile la comprensione delle singole parti connettendole al tutto e che, finalmente, rendono intellegibile il disegno armonico, organico ed unitario sotteso rispetto alla frammentarietà delle parti.
I principi generali di un settore esprimono valori e criteri di valutazione immanenti all’ordine giuridico, che hanno una memoria del tutto che le singole e specifiche disposizioni non possono avere e ai quali esse sono riconducibili; sono inoltre caratterizzati da una eccedenza di contenuto deontologico in confronto con le singole norme, anche ricostruite nel loro sistema, con la conseguenza che essi, quali criteri di valutazione che costituiscono il fondamento giuridico della disciplina considerata, hanno anche una funzione genetica (“nomogenetica”) rispetto alle singole norme.
Sotto tale profilo, sulla base di quanto dispone l’art. 30, non potrebbe sostenersi l’applicabilità di tutte le disposizioni del codice, in quanto tutte le norme di dettaglio costituiscono una più o meno immediata applicazione di principi generali.
E’ evidente, tuttavia, che i principi generali comunitari o di rilievo nazionale, secondo gli articoli 2 e 30 del codice dei contratti pubblici, abbisognano anche di declinazioni in disposizioni specifiche legislative, che trovano la propria ratio immediata nei medesimi principi, sia pure calati rispetto ad esigenze più particolari e che a loro volta si caratterizzano, questo è il punto centrale, per essere tradizionalmente considerati principi generali della specifica materia (nella specie, dei contratti pubblici).
Secondo il terzo comma dell’art. 30, la scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi.
Sulla base di tali principi, è pacifico, per esempio, che la scelta del concessionario debba essere conseguente ad una procedura competitiva e concorrenziale ispirata ai principi dettati dal Trattato istitutivo.
L’art. 2 comma 1 del codice prevede che l’affidamento e l’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l’affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nello stesso codice.
Inoltre nella interpretazione della giurisprudenza comunitaria la normativa di principio di derivazione comunitaria trova applicazione non limitatamente agli appalti di lavori, servizi e forniture ma presenta una valenza pressoché generalizzata nel settore dei contratti pubblici.
3. Occorre ora esaminare la funzione (sia la ratio che il fine) delle disposizioni che l’articolo 84 riserva alla formazione della commissione, al momento della nomina e alle specifiche incompatibilità.
Nella fattispecie vengono in rilievo le disposizioni di cui ai commi 4 e 10 dell’articolo 84, dedicati alla commissione giudicatrice nel caso di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Il quarto comma prevede che i commissari diversi dal Presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta.
Il decimo comma prevede che la nomina dei commissari e la costituzione della commissione devono avvenire dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte.
Occorre ora individuare le intrinseche rationes di tali disposizioni, al fine di qualificarne la natura di principio generale, o di stretta derivazione da tali principi, oppure, alternativamente, di mere disposizioni procedurali che, ove ritenute tali, non possono applicarsi tout court alle procedure per le concessioni di servizi, alle quali non si applica il codice inteso nella sua interezza.
La tesi della sentenza appellata è nel senso della applicabilità delle su indicate regole alle concessioni di servizi come conseguenza della loro riconducibilità ai principi generali del codice dei contratti pubblici e dei principi generali del procedimento amministrativo, quali l’imparzialità e trasparenza, espressamente contemplati anche dal comma 3 dell’art. 2 del codice dei contratti.
L’articolo 30, come detto, stabilisce che alle concessioni di servizi, salvo quanto disposto dallo stesso articolo, non si applicano le disposizioni del codice.
L’appellante argomenta a contrario, per esempio, dall’articolo 206 del codice, che, riferendosi ai contratti pubblici di cui al capo interessato (nei settori speciali, più precisamente), nel richiamare un lungo elenco di parti e di articoli, richiama, tra i tanti, anche l’articolo 84, che qui interessa.
Pertanto, ad un ragionamento puro e semplice, che dovesse far riferimento al richiamo o meno della disciplina specifica riguardante, tra l’altro, le regole sulla nomina e sui componenti della commissione giudicatrice, l’interprete dovrebbe rispondere in senso negativo e cioè nel senso che tali disposizioni non sono applicabili alle concessioni di servizi, alle quali il codice non si applica e perché non sono espressamente richiamate (salva l’ipotesi del richiamo o autolimite nella legge di gara).
Tuttavia, il problema consiste nel verificare, come propone la ordinanza di rimessione, se tali regole siano in qualche modo corrispondenti o almeno riconducibili a taluno dei principi comunitari o nazionali (“desumibili dal Trattato e…relativi ai contratti pubblici”) o espressione di principi generali e quindi da ritenere applicabili e da applicare anche nella specie.
Come ha osservato l’ordinanza di rimessione, nell’ottica della possibile natura imperativa – nel caso fossero individuate come disposizioni inderogabili – delle regole contenute nei commi su richiamati, non sarebbe rilevante una eventuale mancanza di impugnativa rispetto alla lex specialis che nulla avesse stabilito al riguardo o che non avesse provveduto a richiamare ad hoc l’articolo 84 o le sue regole – e in tal senso pertanto non sarebbero decisivi orientamenti che argomentassero sulla base della previsione o omissione della regola di gara oppure della sua tempestiva impugnazione -, proprio perché su tale mancato richiamo prevarrebbe, secondo la tesi della ordinanza di rimessione, la imperatività o inderogabilità del precetto normativo.
Con riguardo alla funzione e agli obiettivi di tali disposizioni, deve osservarsi quanto segue.
La previsione di legge di cui al comma 4, come il precedente storico contenuto nell’art. 21 comma 5 legge n.109 del 1994, è evidentemente destinata a prevenire il pericolo concreto di possibili effetti disfunzionali derivanti dalla partecipazione alle commissioni giudicatrici di soggetti (progettisti, dirigenti che abbiano emanato atti del procedimento di gara e così via) che siano intervenuti a diverso titolo nella procedura concorsuale.
Tale regola mira ad impedire la partecipazione alla Commissione di soggetti che, nell’interesse proprio o in quello privato di alcuna delle imprese concorrenti, abbiano assunto o possano avere assunto compiti di progettazione, di esecuzione o di direzione di lavori oggetto della procedura di gara e ciò a tutela del diritto delle parti del procedimento ad una decisione amministrativa adottata da un organo terzo ed imparziale.
Tale motivo di incompatibilità riguarda soltanto i commissari diversi dal presidente.
La ratio consiste nella volontà di conservare, almeno in parte, la distinzione tra i soggetti che hanno definito i contenuti e le regole della procedura e quelli che ne fanno applicazione nella fase di valutazione delle offerte.
L’interesse pubblico rilevante diventa quindi non tanto e non solo quello della imparzialità, cui è in ogni caso riconducibile, (anche se la deroga per il presidente ne costituisce evidente attenuazione), ma anche la volontà di assicurare che la valutazione sia il più possibile “oggettiva” e cioè non “influenzata” dalle scelte che la hanno preceduta, se non per ciò che è stato dedotto formalmente negli atti di gara.
A sua volta la regola della posteriorità della nomina della commissione rispetto alla scadenza del termine di presentazione delle offerte risponde alla convinzione diffusa che tale vincolo temporale sia posto a presidio della trasparenza (intesa in senso più lato rispetto al senso della generale accessibilità alla attività amministrativa) e della imparzialità della procedura, tanto che l’orientamento più rigoroso ne fa discendere dalla inosservanza la invalidità (per annullabilità) degli atti successivi alla nomina (tra tante, Cons. Stato, V, 29 aprile 2009, n.2738).
In pratica, la posticipazione della nomina dovrebbe evitare situazioni in cui le offerte siano influenzate dalle preferenze, anche solo presunte o supposte, dei commissari, o da loro suggerimenti e che vi possano essere tentativi di collusione o anche solo di contatti con imprese “amiche”.
Tale regola deve essere ritenuta, dunque, pur essa espressione di un principio generale della materia dei contratti pubblici, inerente il corretto funzionamento delle procedure selettive di scelta dell’affidatario.
4.Esaminate la ragione e la funzione di tali precetti normativi, non si può non concludere nel senso che, in quanto tese ad evitare il pericolo concreto di violazione della imparzialità della commissione e quindi poste a tutela della correttezza del procedimento, della trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa, tali regole possano ben essere intese come imperative e come tali inderogabili e nel sistema applicabili, perché implicitamente richiamate, anche per la disciplina delle concessioni di servizi, sulla base di canoni di interpretazione sistematica, letterale (solo in apparenza di segno contrario, per la mancanza di un espresso richiamo) e logica.
Il principio generale nel quale sussumere le disposizioni interessate è quindi quello della trasparenza e imparzialità, a maggior ragione considerando che l’articolo 2 al comma 3 prevede che debbano essere rispettate – “Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, le procedure di affidamento e le altre attività amministrative si espletano nel rispetto delle disposizioni sul procedimento amministrativo…” - anche le disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla legge 7 agosto 1990, n.241, a sua volta contenente all’art. 1 i principi generali dell’azione amministrativa (art.1 Principi generali dell'attività amministrativa “L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell'ordinamento comunitario”).
Pertanto, l’imparzialità, sicuramente principio generale, non richiamato espressamente dall’articolo 2 del codice contratti pubblici, ma richiamato a mezzo del rinvio alla legge n.241 del 1990, deve ritenersi vincolante, unitamente alla sua declinazione immediata (lo stesso principio di imparzialità è invece compreso nei principi enunciati dall’articolo 27 del codice, tra i principi relativi ai contratti esclusi).
L’art. 30 si inserisce nell’ottica di una progressiva assimilazione delle concessioni agli appalti, con l’obiettivo, di matrice europea, di vincolare i soggetti aggiudicatori a rispettare anche nelle procedure di affidamento delle prime i principi dell’evidenza pubblica comunitaria, tra i quali i canoni di trasparenza invalsi nelle seconde attraverso una procedura tipica di gara, nella quale si impone l’esigenza che il confronto competitivo sia effettivo e leale, pena altrimenti la vanificazione delle finalità stesse del procedimento selettivo di stampo concorsuale.
Stante la tendenziale assimilazione delle diverse fattispecie, almeno sotto il profilo del procedimento di scelta dell’altro contraente, dal punto di vista sistematico, il mancato rinvio da parte della legge di gara non può quindi ritenersi decisivo al fine di escludere l’operatività di precetti che dovessero ritenersi, proprio per la loro natura di derivazione diretta da principi generali, norme imperative, espressive di principi generali e consolidati della materia e quindi come tali, in grado di integrare e sovrapporsi alla lex specialis.
Deve ritenersi, quindi, che le regole, quali quelle contenute nell’art. 84 sui “tempi” della formazione e sulla “regolare composizione” di un organo amministrativo (tali regole aventi natura sostanziale e non ogni diversa disposizione procedurale) siano un predicato dei principi di trasparenza e di imparzialità, per cui le disposizioni di cui ai commi 4 e 10 devono ritenersi espressione di principio generale del codice e, pertanto, applicabile, ai sensi dello stesso articolo 30, anche alle concessioni di servizi pubblici.
Tra l’altro, nella pratica e nel senso comune della esperienza di tali procedure per la scelta dell’altro contraente, la valenza generale della regola sulla posteriorità della nomina si ritiene a maggior ragione invocabile quando il sistema di gara, come nella specie, sia quello della offerta economicamente più vantaggiosa, stante da un canto la lata discrezionalità della valutazione e dall’altro canto, conseguentemente, il minore ambito di profondità di sindacato giurisdizionale.
Dal punto di vista logico, d’altra parte, come non ha mancato di rilevare la ordinanza di rimessione, le disposizioni di cui ai commi 4 e 10, che hanno una loro logica ratio, non presentano grandi svantaggi e non costituiscono oneri amministrativi e procedurali di particolare gravità né riguardo al rispetto delle stesse si appalesano particolari controindicazioni, a fronte invece di indubbi vantaggi a tutela della trasparenza, imparzialità, buon andamento dell’operare amministrativo, assurto, nell’ordinamento, anche e ben oltre la disciplina degli affidamenti, a valore fondante del sistema.
Inoltre, in presenza di minime se non assenti maggiori attenzioni procedurali, poiché il principio generale di giustizia impone di trattare giuridicamente in modo eguale situazioni equivalenti, sarebbe irragionevole trattare diversamente situazioni tutto sommato sostanzialmente assimilabili e che sotto il profilo esaminato (cioè delle regole sulla nomina della commissione) non presentano significative differenze.
5.Sotto il secondo dei profili esaminati, deve ravvisarsi la situazione di incompatibilità del componente della commissione giudicatrice, ing. Del Bufalo, professionista precedentemente incaricato della redazione del bando e del disciplinare di gara (dell’ “assistenza specialistica […] per l’espletamento della procedura di gara relativa all’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale”, comprendente tra l’altro l’individuazione dei criteri di valutazione delle offerte e dei relativi sub criteri, secondo la determina n. 48 dell’11 febbraio 2011).
Il dettato della disposizione codicistica (comma 4 dell’art. 84) risponde alla esigenza di rigida separazione della fase di preparazione della documentazione di gara con quella di valutazione delle offerte in essa presentate, a garanzia della neutralità del giudizio ed in coerenza con la ratio generalmente sottesa alle cause di incompatibilità dei componenti degli organi amministrativi.
6.Il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza appellata esime questo Collegio giudicante dall’esame degli ulteriori motivi di censura riproposti dalla parte appellata.
E’ naturale che, secondo i principi generali, la caducazione della nomina, ove si accerti, come nella specie, essere stata effettuata in violazione delle regole di cui all’art. 84, comma 4 e 10, comporterà in modo caducante il travolgimento per illegittimità derivata di tutti gli atti successivi della procedura di gara fino all’affidamento del servizio ed impone quindi la rinnovazione dell’intero procedimento.
Il primo giudice ha specificato nella sentenza appellata (pagina 10, rigo settimo e quartultimo rigo) come si imponeva la rinnovazione integrale della procedura e come ciò costituisse il vero ristoro per la ricorrente.
Si tratta cioè di ipotesi in cui il vizio dell’aggiudicazione comporta l’obbligo di rinnovare la gara integralmente (arg. ex art. 122 c.p.a., che fa riferimento proprio “alla luce dei vizi riscontrati” per i casi in cui il vizio dell’aggiudicazione determini necessariamente “l’obbligo di rinnovare la gara”) e non potrebbe essere altrimenti, a differenza di quanto sostiene parte appellante, a prescindere dalla declaratoria formale di inefficacia del contratto.
7.Sono assorbite tutte le altre censure, come in particolare quella di violazione del principio di concentrazione delle sedute di gara (oltre quattro mesi impiegati dalla commissione per le valutazione delle offerte, dei quali oltre due per le offerte tecniche), che il primo giudice ha ritenuto assorbita in ragione dell’accoglimento delle altre censure e che la G6 Rete Gas aveva dal canto suo riproposto ex art. 101, comma 2, cod. proc. amm.
8.Per le sopra esposte considerazioni, va rigettato l’appello, con conseguente conferma dell’appellata sentenza e con l’enunciazione del seguente principio di diritto:
“In sede di affidamento di una concessione di servizi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sono applicabili le disposizioni di cui all’art. 84, comma 4 (relativo alle incompatibilità dei componenti della commissione giudicatrice) e 10 (relativo ai tempi di nomina della commissione) del d.lgs. n. 163 del 2006, in quanto espressive dei principi di trasparenza e di parità di trattamento, richiamati dall’art. 30, comma 3, del medesimo d.lgs.”.
A causa della diversità di opinioni giurisprudenziali, sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, così provvede: rigetta l’appello, confermando l’appellata sentenza.
Spese del presente grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Riccardo Virgilio, Presidente
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Alessandro Pajno, Presidente
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Marzio Branca, Consigliere
Aldo Scola, Consigliere
Vito Poli, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere


IL PRESIDENTE



L'ESTENSORE
IL SEGRETARIO





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/05/2013
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il Dirigente della Sezione

CONCORSI PUBBLICI: obbligo di motivazione anche per gli atti di macro-organizzazione (Cons. St., Sez. V, sentenza 14 maggio 2013 n. 2607).



CONCORSI PUBBLICI: 
obbligo di motivazione anche per gli atti di macro-organizzazione 
(Cons. St., Sez. V, sentenza 14 maggio 2013 n. 2607)

Massima

1.  Gli atti di riorganizzazione degli uffici pubblici sono atti amministrativi aventi natura organizzatoria non generale, in quanto non abbisognano, per esplicare i loro effetti immediati, di altri successivi provvedimenti, ma sono al contrario idonei a modificare direttamente le strutture operative dell’ente.
Come tali, pertanto, sono soggetti alla disciplina pubblicistica ai sensi dell’art. 2, comma 1, d.lgs. 165/2001, e, se oggetto di contestazione giurisdizionale, rimessi alla cognizione del g.a. secondo la regola fissata dall’art. 63, d.lgs. 165/2001; agli stessi è dunque applicabile il comma 1 dell’art. 3, l. n. 241/1990, in omaggio al principio di trasparenza dell’azione amministrativa, la cui attuazione deve essere assicurata anche nella concreta articolazione dell’architettura degli uffici pubblici. 
Disposizione quest’ultima, riferita ai provvedimenti amministrativi, che non è, invece, immediatamente applicabile agli atti di diritto privato che riguardano la gestione ordinaria del rapporto e la "micro-organizzazione" delle strutture dell’amministrazione, affidate alla responsabilità del competente dirigente, in un’ottica di efficienza e di snellezza dell’azione del soggetto pubblico. (cfr. fra le tante, Cass., sez. un., 8 novembre 2005, n. 21592; Cons. St., Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6705 ; Comm. spec., 5 febbraio 2001, n. 471/2001). 
È necessario, quindi, che gli atti amministrativi attraverso i quali vengono organizzati gli uffici si ispirino (rendendoli conoscibili) a principi di non manifesta illogicità o incongruità dell'assetto in concreto prescelto.

2.  In relazione a tali principi va commisurato il quantum di motivazione esigibile , che deve ritenersi imposto all’amministrazione in funzione dell'esigenza di esplicitare congruità e non irragionevolezza delle scelte operate e dei modelli organizzatori adottati (C.G.A., 23 maggio 2012, n. 467). Sotto questo profilo, pertanto, se coglie nel segno la tesi secondo la quale gli atti in questione non si sottraggono, per loro natura, all’obbligo di recare un apparato motivazionale, va, però, ribadito che lo stesso, è sufficiente che sia di una latitudine tale da far comprendere come logico e congruente il nuovo assetto organizzativo introdotto, senza inutili appesantimenti, dunque sintetico e apprezzabile dal giudice ab externo.

Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
 Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7897 del 2011, proposto da:
Mario Angelo Buoncristiani, rappresentato e difeso dagli avvocati Xavier Santiapichi e Severino Santiapichi, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Antonio Bertoloni, n. 44/46; 
contro
Comune di Follonica, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Marco Lovo, con domicilio eletto presso l’avvocato Francesca Infascelli in Roma, viale delle Milizie, n. 76; 
nei confronti di
Gabriele Lami, non costituito; 
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Toscana, Sezione, I, n. 314 del 14 febbraio 2011.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Follonica;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 aprile 2013 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Xavier Santiapichi e Marco Lovo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. La sentenza oggetto di appello, dispostane la riunione per ragioni di connessione:
a) ha respinto il ricorso con il quale l’odierno appellante contestava la riorganizzazione delle strutture e degli uffici comunali, posta in essere dal Comune di Follonica (con la deliberazione di Giunta comunale n. 292 del 29 dicembre 2009), nonché degli atti collegati, presupposti, connessi e coordinati dei quali invocava l’annullamento;
b) ha dichiarato inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso con il quale l’odierno appellante contestava dinanzi al giudice del lavoro, per poi riassumerlo dinanzi al T.a.r. per la Toscana a seguito di declaratoria di difetto di giurisdizione del primo, la riorganizzazione disposta dal Comune di Follonica, invocando l’annullamento della menzionata deliberazione n. 292 del 29 dicembre 2009 nonché del provvedimento sindacale n. 33 del 29 dicembre 2009 di conferimento dell’incarico dirigenziale di Comandante della Polizia municipale al Dr. Gabriele Lami.
1.1. Il primo giudice ha ritenuto infondate le censure spiegate dall’originario ricorrente, che nominato Comandante della Polizia municipale con determina dirigenziale n. 819 del 15 luglio 2008, si riteneva leso dai suddetti atti organizzativi, che:
a) accorpavano l’unita operativa complessa di Polizia municipale agli uffici demanio marittimo, igiene urbana, parcometri e segnaletica, facendoli tutti confluire in un solo unico Settore 5;
b) ponevano al suo vertice il Dr. Lami, attuale appellato;
c) dichiaravano decaduto dall’incarico di Comandante della Polizia municipale l’odierno appellante.
2. Il TAR per la Toscana, in particolare:
a) ha valutato come non accoglibile la doglianza avente ad oggetto la violazione dell’art. 49 t.u. enti locali, ritenendo che la norma in questione, in forza dell’ultimo comma, vada interpretata nel senso che il Segretario comunale può esprimere il parere di regolarità tecnica in luogo del Responsabile per il personale, in quanto si tratta di una disposizione che non ripartisce in modo rigido le competenze tra uffici consultivi, ma consente di assegnare la responsabilità del parere in capo al funzionario che li formula;
b) ha respinto la censura inerente l’assenza del parere di regolarità contabile, perché la delibera giuntale non risulterebbe comportare un impegno di spesa;
c) ha dichiarato inammissibili, per carenza di interesse e omessa notificazione al contro interessato, le censure relative al conferimento dell’incarico di Direttore generale al Segretario comunale;
d) ha dichiarato inammissibili le censure relative all’asserito difetto di preparazione professionale del nuovo Comandante della Polizia municipale a causa della mancata impugnazione del provvedimento di conferimento dell’incarico e dell’assenza di giurisdizione del g.a. sul tema;
e) ha valutato infondata la doglianza avente ad oggetto il difetto di motivazione della delibera impugnata perché quest’ultima, avendo natura di atto generale, si sottrae al correlato obbligo ex art. 13, l. n. 241/1990;
f) ha escluso un contrasto tra gli atti impugnati e la L.R. Toscana, n. 12/2006, non ravvisando in questa normativa la presenza di alcuna norma che vietasse la concentrazione delle attività di vigilanza amministrativa, pure se ciò comportasse l’accorpamento, con altre, della funzione di polizia locale;
g) ha ritenuto insussistente la violazione dell’art. 4 del Regolamento comunale sulla Polizia municipale, atteso che, una volta affermata la legittimità della deliberazione istitutiva di un unico Settore, le funzioni di Comandante della Polizia municipale non possono che essere conferite alla figura apicale del Settore in cui è incardinata;
h) ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali a favore dell’Amministrazione intimata.
3. Con ricorso depositato in data 10 ottobre 2011, il Buoncristiani ha proposto appello avverso alcuni capi della sentenza di primo grado, essendo così rimasta non contestata, la pronuncia gravata, in relazione alla statuizione di inammissibilità delle censure relative al conferimento dell’incarico di Direttore generale al Segretario comunale, statuizione sulla quale, pertanto, si è formato il giudicato.
4. Le censure all’esame dell’odierno giudicante sono, dunque, le seguenti:
a) l’atto di macroorganizzazione impugnato violerebbe l’obbligo imposto dall’art. 3, comma 2, l. 241/1990, atteso che in caso di adozione di un simile provvedimento, qualora si registri una lesione di concreti interessi dei privati, l’amministrazione deve rendere evidenti le ragioni che hanno condotto all’adozione dell’atto in questione, mentre nella fattispecie la motivazione ivi contenuta è del tutto apodittica; ulteriore argomento dovrebbe trarsi dall’esame dell’art. 42 t.u. enti locali, che assegna al Consiglio la competenza per adottare gli atti fondamentali relativi alla programmazione della vita politico-amministrativa dell’ente, ponendo i criteri generali in materia di ordinamento degli uffici e dei servizi, atti quest’ultimi che vanno distinti dagli atti di macroorganizzazione, che, avendo diversa natura, soggiacciono all’obbligo motivazionale;
b) vi sarebbe violazione degli artt. 42 e 48 t.u. enti locali, perché la delibera di Giunta comunale n. 292 del 29 dicembre 2009, non è stata preceduta dalla fissazione dei criteri da parte del Consiglio comunale, ed anzi si pone in contrasto con le precedenti delibere del Consiglio comunale n. 8/2007 e n. 40/1999, che avevano come ratio quella di salvaguardare l’autonomia e la specificità del corpo di Polizia municipale;
c) ulteriore vizio di legittimità deriverebbe dalla violazione della L. n. 85/1986, che impone di preservare l’autonomia del corpo e dell’art. 17, comma 3, della l.r. Toscana, n. 12/2006, che stabilisce l’incompatibilità delle funzioni di comandante con altri incarichi, per evitare eventuali conflitti di interesse;
d) erronea sarebbe anche la lettura fatta dal primo giudice dell’art. 4 del regolamento del Corpo di Polizia municipale, che impone il Comandante ne faccia parte prima di risultare destinatario del provvedimento di incarico; inoltre, il Dr. Lami sarebbe sprovvisto dei necessari requisiti di professionalità, elemento che ben potrebbe essere conosciuto dal g.a. non sussistendo al riguardo alcun deficit di giurisdizione;
e) fondate, inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dal T.a.r. per la Toscana, sarebbero anche le censure in tema di assenza del parere di regolarità contabile e di necessità che il parere tecnico venisse espresso dal Responsabile per il personale e non dal Segretario comunale.
5. Con memoria depositata l’11 novembre 2011 si è costituito in giudizio il Comune di Follonica, chiedendo la reiezione dell’appello.
6. In data 6 marzo 2013 l’appellante ha depositato documenti.
7. In data 14 marzo 2013 l’amministrazione appellata ha depositato memoria con la quale ha sottolineato l’infondatezza delle doglianze contenute nell’atto d’appello, portando argomenti a confutazione della prospettazione dell’odierno appellante. E, in particolare, quanto alla censura relativa all’assenza del parere di regolarità tecnica da parte del Dirigente del personale, ha riferito che la stessa sarebbe superata in ragione dell’adozione della delibera di Giunta comunale n. 170/2010, che modificava la struttura organizzativa approvata con deliberazione n. 209/2009, la prima preceduta dal parere di regolarità tecnica del dirigente del settore 1.
8. In data 26 marzo 2013 l’appellante ha depositato memoria di replica, ribadendo la fondatezza delle ragioni già espresse con l’atto di gravame, sottolineando l’irrilevanza della deliberazione n. 170/2010, per non avere la stessa inciso sull’assetto della Polizia municipale e sollevando taluni profili nuovi di illegittimità degli atti impugnati.

DIRITTO
1. Preliminarmente il collegio rileva che non può tenersi conto dei profili nuovi sollevati in appello in spregio al divieto dei nova sancito dall’art. 104, co.1, c.p.a., ed al valore puramente illustrativo delle memorie conclusionali (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 22 marzo 2012, n. 1640; ad. plen., 19 dicembre 1983, n. 26, cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74, co.1, 88, co. 2, lett. d), e 120 co. 10, c.p.a.). Tale divieto può essere superato solo nell’ipotesi prevista dallo stesso art. 104 c.p.a., laddove vengano proposti motivi aggiunti, con atto ritualmente notificato alle altre parti del giudizio, con i quali avverso gli stessi atti oggetto del ricorso di primo grado si facciano valere vizi nuovi conosciuti grazie alla conoscenza sopravvenuta di nuovi documenti non prodotti dalle parti del giudizio di primo grado (Cons. St., Sez. V, 13 maggio 2011, n. 2892). Pertanto, non possono essere esaminate le doglianze con le quali si ravvisa violazione della l. n. 65/1986, nella parte in cui viene esclusa l’intercambiabilità dei dipendenti addetti alla Polizia municipale ovvero la violazione della stessa disciplina nella parte in cui si sottolinea la peculiarità del ruolo assunto dal Comandante della Polizia municipale desumendolo dal diverso iter fissato dall’art. 9, l. n. 65/1986, per la valutazione del raggiungimento degli obiettivi rispetto a quello degli altri dirigenti locali.
2. Principiando, in ordine logico, dal mezzo di gravame che ripropone la questione di giurisdizione, il Collegio, rileva che:
a) merita conferma la sentenza del primo giudice nella parte in cui ha declinato la giurisdizione sulle censure portate avverso il provvedimento di conferimento dell’incarico a favore del Dr. Lami. Il T.a.r., infatti, ha ritenuto, da un lato, che le stesse fossero inammissibili per assenza di espressa impugnazione del suddetto provvedimento; dall’altro, che vi fosse il difetto di giurisdizione del g.a. per le controversie aventi ad oggetto il conferimento di incarichi dirigenziali.
Tale conclusione è confortata dall’orientamento costante delle Sezioni unite della Suprema Corte (Cass., Sez. un., n. 9185/2012; n. 3054/2009; n. 5920/2008; n. 10288/2003), che hanno individuato nel g.o. il plesso giurisdizionale competente, venendo in contestazione atti privatistici che sono manifestazione del potere privatistico del datore di lavoro pubblico;
b) nei confronti della statuizione inerente il rigetto dell’eccezione di difetto di giurisdizione formulata dalla difesa comunale in primo grado, per essersi formato il giudicato sull’ordinanza adottata in data 30 aprile 2010 dal Tribunale del lavoro di Grosseto ai sensi dell’art. 702-quater c.p.c., non è stato proposto appello incidentale dall’amministrazione comunale sicché è preclusa a questo giudice ogni ulteriore valutazione.
Resta, quindi, acclarato che il Collegio ha potestà di pronunciarsi sui mezzi di impugnazione nei quali si deduce la non conformità a legge degli atti organizzativi, attraverso i quali l’Amministrazioni comunale appellata ha definito le linee fondamentali di organizzazione degli uffici e i modi di conferimento della titolarità degli stessi (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. un., n. 9185/2012; n. 22733/2011).
2.1. Va, inoltre, rimarcato che la presenza di questioni tra loro connesse se può determinare nel processo amministrativo (art. 13, comma 4-bis, c.p.a.), come in quello civile (art. 40 c.p.c.), uno spostamento della competenza per ragioni di connessione , così incidendo sull’applicazione della disciplina ordinaria in materia di criteri di distribuzione della competenza, non può giungere ad una traslazione del giudizio da un plesso giurisdizionale ad un altro (Cass., Sez. un., 5 marzo 2008, n. 5914; 20 aprile 2007, n. 9358)..
Invero, a fronte di una nozione unitaria della funzione giurisdizionale (Cass., Sez. un., 23 settembre 2008, n. 24883), stanti anche i rigidi paletti imposti dalla disciplina processuale alla possibilità di sollevare la questione di difetto di giurisdizione, la scelta del legislatore di assegnare la cognizione di alcune controversie ad un plesso giurisdizionale piuttosto che ad un altro, al fine di semplificare l’accesso dei cittadini alla tutela, mantiene una valenza costituzionale che non può essere incisa dalla mera presenza di giudizi tra loro connessi (cfr., in questo senso e da ultimo, Cons. St., sez. V, n. 6261 del 2012).
3. Nel merito, la prima questione posta all’attenzione del Collegio attiene alla natura giuridica degli atti di macroorganizzazione impugnati ed alle conseguenze che ne derivano in termini di disciplina con particolare riferimento alla presunta esistenza di un obbligo motivazione, discendente dalla incidenza su posizioni giuridiche individuate e dalla necessità di confrontarsi con quei criteri generali in materia di ordinamento degli uffici e dei servizi fissati ex art. 42 t.u. enti locali dal Consiglio comunale.
3.1. Gli atti in questione sono atti amministrativi aventi natura organizzatoria non generale, in quanto non abbisognano, per esplicare i loro effetti immediati, di altri successivi provvedimenti, ma sono al contrario idonei a modificare direttamente le strutture operative dell’ente.
Come tali, pertanto, sono soggetti alla disciplina pubblicistica ai sensi dell’art. 2, comma 1, d.lgs. 165/2001, e, se oggetto di contestazione giurisdizionale, rimessi alla cognizione del g.a. secondo la regola fissata dall’art. 63, d.lgs. 165/2001; agli stessi è dunque applicabile il comma 1 dell’art. 3, l. n. 241/1990, in omaggio al principio di trasparenza dell’azione amministrativa, la cui attuazione deve essere assicurata anche nella concreta articolazione dell’architettura degli uffici pubblici. Disposizione quest’ultima, riferita ai provvedimenti amministrativi, che non è, invece, immediatamente applicabile agli atti di diritto privato che riguardano la gestione ordinaria del rapporto e la "microorganizzazione" delle strutture dell’amministrazione, affidate alla responsabilità del competente dirigente, in un’ottica di efficienza e di snellezza dell’azione del soggetto pubblico. (cfr. fra le tante, Cass., sez. un., 8 novembre 2005, n. 21592; Cons. St., Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6705 ; Comm. spec., 5 febbraio 2001, n. 471/2001). È necessario, quindi, che gli atti amministrativi attraverso i quali vengono organizzati gli uffici si ispirino (rendendoli conoscibili) a principi di non manifesta illogicità o incongruità dell'assetto in concreto prescelto.
In relazione a tali principi va commisurato il quantum di motivazione esigibile , che deve ritenersi imposto all’amministrazione in funzione dell'esigenza di esplicitare congruità e non irragionevolezza delle scelte operate e dei modelli organizzatori adottati (C.G.A., 23 maggio 2012, n. 467). Sotto questo profilo, pertanto, se coglie nel segno la tesi secondo la quale gli atti in questione non si sottraggono, per loro natura, all’obbligo di recare un apparato motivazionale, va, però, ribadito che lo stesso, è sufficiente che sia di una latitudine tale da far comprendere come logico e congruente il nuovo assetto organizzativo introdotto, senza inutili appesantimenti, dunque sintetico e apprezzabile dal giudice ab externo. Nella fattispecie, dunque, non si registra alcun vizio motivazionale, essendo sufficienti le ragioni espresse dall’amministrazione nel corpo del provvedimento impugnato, che non doveva, invece, indicare ulteriori ragioni in ordine ai possibili ed eventuali effetti negativi, che sarebbero potuti sopraggiungere a seguito di successivi atti di microorganizzazione nei confronti dei dipendenti pubblici coinvolti dal riassetto organizzativo introdotto. Né, infine, come sostiene l’appellante un rafforzato onere motivazione potrebbe derivare dall'assunto che si tratterebbe di un atto che si discosta dalla pregresse delibere del Consiglio comunale, giacché la delibera di Giunta comunale non viola i principi guida indicati dalle delibere del Consiglio comunale n. 8/2007 e n. 40/1999, come si dirà amplius infra.
4. Del pari infondate sono le censure imperniate sull’assenza del parere di regolarità contabile e sulla necessità che il parere tecnico venisse espresso dal Responsabile per il personale e non dal Segretario comunale, ma per ragioni diverse da quelle poste a base dell’impugnata sentenza (secondo cui il primo non sarebbe necessario non comportando un impegno di spesa, mentre il secondo sarebbe stato correttamente espresso dal Segretario comunale sulla scorta di una non condivisibile esegesi del comma 3 dell’art. 49, t.u. enti locali.),
Invero, secondo un consolidato orientamento di questo Consiglio, da cui non si ravvisano ragioni per decampare (cfr. Cons. St., sez. IV, 26 gennaio 2012, n. 351; sez IV, 22 giugno 2006, n. 3888; n. 1567 del 2001; 23 aprile 1998, n. 670), i pareri in questione rilevano solo sul piano interno, pertanto, la loro assenza si traduce in una mera irregolarità e non ridonda in un vizio di legittimità..
5. Residua a questo punto l’esame delle censure relative al corretto inquadramento nell’ambito dell’amministrazione comunale del Corpo di Polizia municipale secondo la disciplina nazionale e regionale vigente. Il loro esame deve essere preceduto sia da una precisazione in merito alla disciplina applicabile, che da una rassegna dei principi elaborati dal Consiglio di Stato, che possa fungere da guida nel prosieguo della motivazione.
5.1. La normativa di riferimento è rappresentata dalla l. 7 marzo 1986, n. 65 e dalla l.r. Toscana, 3 aprile 2006, n. 12. I rapporti tra le due discipline sono fissati dall’art. 6, l. n. 65/1986, sicché nel rispetto dei principi dalla legislazione statale, la legge regionale provvede a:
a) stabilire le norme generali per la istituzione del servizio tenendo conto della classe alla quale sono assegnati i comuni;
b) promuovere servizi ed iniziative per la formazione e l'aggiornamento del personale addetto al servizio di polizia municipale;
c) promuovere tra i comuni le opportune forme associative con idonee iniziative di incentivazione; d) determinare le caratteristiche delle uniformi e dei relativi distintivi di grado per gli addetti al servizio di polizia municipale dei comuni della regione stessa e stabilire i criteri generali concernenti l'obbligo e le modalità d'uso; le uniformi devono essere tali da escludere la stretta somiglianza con le uniformi delle Forze di polizia e delle Forze armate dello Stato;
e) disciplinare le caratteristiche dei mezzi e degli strumenti operativi in dotazione ai Corpi o ai servizi, fatto salvo quanto stabilito dal comma 5 dell’articolo 5 della stessa legge.
La compresenza di fonti di livello territoriale diverso (statale e regionale), si spiega alla luce delle funzioni che sono attribuite alla Polizia municipale:
f) compiti di “polizia di sicurezza”, consistenti in misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni;
g) compiti di “polizia amministrativa”, consistenti in attività di prevenzione o di repressione dirette a evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati alle persone o alle cose nello svolgimento delle materie sulle quali si esercitano le competenze regionali, senza che ne risultino lesi o messi in pericolo i beni o gli interessi tutelati in nome dell'ordine pubblico (Corte cost., 9 febbraio 2011, n. 35). La disciplina dei primi rientra nella competenza legislativa statale esclusiva ex art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., quella dei secondi, invece, rientra nella competenza legislativa regionale (Corte cost., 6 maggio 2010, n. 167).
5.2. Quanto ai principi cardini della materia, elaborati dal Consiglio di Stato, va rammentato che:
a) in merito alla posizione del Corpo rispetto alle altre strutture amministrative comunali, stante l'ampia discrezionalità di cui dispongono i Comuni in ordine al tipo concreto di organizzazione del corpo dei vigili urbani in virtù dell'art. 7 l. 7 marzo 1986, n. 65, la circostanza che quest'ultimo sia posto alle dirette dipendenze del sindaco non lo qualifica come struttura di massima dimensione, ben potendo accadere che la mera mancanza di livelli direttivi intermedi tra il sindaco stesso ed il responsabile del servizio di polizia municipale determini il riconoscimento, in capo a detto corpo, di un maggior rilievo rispetto alle altre quanto ad autonomia e dimensione (Cons. St., Sez. V, 17 maggio 2012, n. 2817; 24 ottobre 2001, n. 5598). Inoltre, il Corpo di polizia municipale rappresenta un'entità organizzativa unitaria ed autonoma da altre strutture organizzative del Comune. Tale Corpo è costituito dall'aggregazione di tutti i dipendenti comunali che esplicano, a vari livelli, i servizi di polizia locale e al cui vertice è posto un comandante, anche egli vigile urbano, che ha la responsabilità del Corpo e ne risponde direttamente al Sindaco. Ciò premesso, la polizia municipale, una volta eretta in Corpo, non può essere considerata una struttura intermedia inserita in una struttura burocratica più ampia; né attraverso un simile incardinamento, può essere posta alle dipendenze del dirigente amministrativo che dirige tale più ampia struttura (Cons. St., Sez. V, 27agosto 2012, n. 4605). Pertanto, è a seguito dell’elezione della Polizia municipale a Corpo che si determina l’impossibilità di determinarne l’inserimento quale struttura intermedia (come Sezione) in una struttura burocratica più ampia (in un Settore amministrativo) né, per tale incardinamento, può essere posta alle dipendenze del dirigente, amministrativo che dirige tale più ampia struttura (Cons. St., sez. V, 17 febbraio 2006, n. 616; sez. V, 4 settembre 2000, n. 466). Mentre nel caso in cui il servizio di Polizia municipale non sia eretto a Corpo, considerato che l’art. 3, l. n. 65/1986 ha valore programmatico e demanda al regolamento comunale di polizia municipale la concreta attuazione del principio in virtù del quale al relativo servizio è attribuita una posizione particolare, piuttosto che un'altra, nell'ambito dell'organizzazione comunale, ben può essere realizzata l'incardinazione del servizio medesimo all'interno di una struttura dirigenziale più ampia, senza che ciò elida la relazione diretta che deve essere assicurata tra il Sindaco e il Comandante (Cons. St., sez. V, 12 marzo 1996, n. 262);
b) quanto, invece, al ruolo e all’autonomia del Comandante del Corpo l'art. 9 l. n. 65/1986, prevede che il comandante della polizia municipale è responsabile verso il sindaco, il quale a sua volta è l'organo titolare delle funzioni di polizia locale che competono al Comune (artt. 1 e 2); conseguentemente porre il comandante della polizia municipale alle dipendenze di un funzionario del Comune equivale a trasferire a quest'ultimo funzioni di governo che per legge competono al sindaco (Cons. St., sez. V, 17 maggio 2012, n. 2817). Ma la nomina a Comandante del Corpo non deve essere necessariamente accompagnata dall’assegnazione di una qualifica dirigenziale (Cons. St., sez. V, 14 novembre 1997, n. 1303);
c) in ordine alla natura della relazione tra Sindaco e Comandante, l’art. 9 l. n. 65/1986 istituzionalizza una diretta relazione tra il sindaco ed il comandante della polizia municipale, finalizzata ad assicurare, all’autorità posta al vertice dell’Amministrazione ed in relazione ai poteri ed ai compiti ad essa conferiti dai precedenti articoli 2 e 3, il diretto controllo dei profili organizzativi e funzionali del servizio (addestramento, disciplina, impiego tecnico-operativo) che presentano la maggiore specificità e delicatezza, proprio indipendentemente dalla collocazione del servizio stesso all’interno del modello organizzativo prescelto dall’Ente nell’esercizio del suo potere di autorganizzazione (Cons. St., Sez. V, 7 febbraio 2003, n. 644);
d) quanto, invece, alla provenienza del Comandante, al vertice del Corpo di Polizia municipale è posto un comandante, anche egli vigile urbano, che ha la responsabilità del Corpo e ne risponde direttamente al Sindaco. Tale posizione, deve aggiungersi, non è affidabile ad un dirigente amministrativo che non abbia lo status di un appartenente al Corpo di polizia municipale. (Cons. St., sez. V, 27 agosto 2012, n. 4605; sez. V, 4 settembre 2000, n. 4663).
6. Alla luce dei sopraesposti principi giuridici è possibile affrontare le residue doglianze.
6.1. La prima, ribadita con l’atto di gravame e non adeguatamente valutata dal primo giudice secondo l’appellante, è quella che concerne la contraddittorietà estrinseca tra i provvedimenti consiliari e quelli giuntali. In particolare, tra le delibere del Consiglio comunale n. 8/2007 e n. 40/1999 e la deliberazione di Giunta comunale n. 292 del 29 dicembre 2009, nella misura in cui le prime salvaguardano la specificità e l’autonomia del Corpo della Polizia municipale. La questione è letta in modo speculare dalle parti in giudizio. Tanto che secondo l’appellante la riorganizzazione operata dall’amministrazione comunale avrebbe degradato la Polizia municipale da Corpo ad Unità operativa complessa. Mentre secondo l’amministrazione appellata il Corpo di Polizia municipale è stata elevata a struttura di massimo livello, ossia a settore comprendente anche nuove attribuzioni affini affidando quest’ultimo ad una figura dirigenziale nominata Comandante ed individuando una unità operativa complessa di secondo livello destinata alla gestione delle risorse umane alla quale è stato destinato l’odierno appellante. L’impostazione dell’appellante non convince: come è stato sopra chiarito, la disciplina contenuta nella l. n. 65/1986, vieta che, una volto eretto a Corpo, la Polizia municipale sia inserita all’interno di un più ampio Settore nel quale assuma una posizione intermedia quale un’unità operativa complessa, ma non esclude che il Corpo di Polizia municipale possa acquisire funzioni ulteriori sempre nell’ambito di quelle di polizia amministrativa, la cui individuazione è rimessa alla legislazione regionale. Né un divieto in ordine a tale operazione organizzativa può desumersi dal tenore della disciplina regionale contenuta nella l.r. Toscana, n. 12/2006, che delinea in modo non tassativo all’art. 2, comma 1, le funzioni che possono essere assegnate alla Polizia municipale: “Gli addetti alle strutture di polizia locale istituite ai sensi dell'articolo 1 provvedono allo svolgimento delle funzioni ad essi attribuite dalle disposizioni vigenti, tra le quali in particolare: a) vigilare sull'osservanza delle leggi, regolamenti, ordinanze e altri provvedimenti amministrativi dello Stato, della Regione e degli enti locali, nell'ambito delle competenze dell'ente locale; b) vigilare sulla integrità e sulla conservazione del patrimonio pubblico; c) prestare opera di soccorso nelle pubbliche calamità o disastri, nonché in caso di privato infortunio e collaborare ai servizi e alle operazioni di protezione civile di competenza dell'ente di appartenenza; d) svolgere i controlli relativi ai tributi locali di competenza secondo quanto previsto dai rispettivi regolamenti; e) effettuare attività di controllo ed ispettive inerenti la verifica degli adempimenti in materia di tributi regionali”. La qualificazione dell’operazione organizzativa che ha visto il Corpo assorbire competenze prima spettanti ad altri uffici comunali e non una sua degradazione in struttura intermedia all’interno di un più ampio settore si desume anche dalla circostanza che al vertice di tale settore è stato posto il Comandante del Corpo di Polizia municipale e non altra figura dirigenziale a quest’ultimo sovraordinata. Pertanto, non si registra alcuna lesione della posizione di autonomia riconosciuta al Corpo della Polizia municipale.
6.2. Con un’ulteriore censura si contesta la violazione dell’art. 4 del regolamento comunale, poiché l‘individuazione del Comandante della Polizia municipale non sarebbe avvenuta tra i soggetti facenti parte del Corpo. Anche questa doglianza non merita di essere accolta, infatti, ciò che appare necessario in omaggio al disposto dell’art. 17 comma 4, L.R. Toscana, n. 12/2006 è che: “Allo scopo di garantire la competenza tecnico-professionale connessa alle attività dei livelli apicali dei corpi, qualora non venga effettuata una selezione concorsuale finalizzata alla copertura del ruolo, l'affidamento dell'incarico comporta la frequenza del corso regionale obbligatorio di formazione di cui all'articolo 19, comma 1, lettera a)”. Sicchè, l’individuazione del Comandante del Corpo deve avvenire tra soggetti dotati di adeguata preparazione professionale attestata da frequenza del corso regionale citato al quale ha partecipato il Dr. Lami che del pari ha acquisito dal Prefetto su richiesta dell’amministrazione comunale la qualità di agente di pubblica sicurezza. Inoltre, il Comandante del Corpo non può che rivestire anche la qualifica di vigile urbano, ma non appare necessario ai fini della sua nomina il previo possesso di tale qualifica.
6.3. Va, da ultimo, esaminata, la censura relativa alla violazione dell’art. 17, comma 3, della L.R. n. 12/2006, nella parte in cui stabilisce l’incompatibilità delle funzioni di comandante con altri incarichi, per evitare eventuali conflitti di interesse.
Quest’ultima doglianza risulta fondata.
Si è detto supra sub 5.1. come nella definizione delle funzioni di polizia amministrativa da assegnare alla Polizia municipale intervenga la potestà legislativa regionale, nella specie esercitata con la più volte menzionata l.r. Toscana n. 12/2006.
Ebbene l’art. 17, comma 3, di questa legge dispone che: “La funzione di comandante è incompatibile con lo svolgimento di altre funzioni o incarichi all'interno dell'ente di appartenenza”. Questa norma va letta congiuntamente a quanto disposto con il già citato art. 2, comma 1, della stessa legge che, nell’elencare le funzioni di polizia locale (sia essa comunale o provinciale), chiaramente indica quale genus quelle relative a vigilanza, controllo, soccorso. La soluzione individuata dalla legislazione regionale appare in linea con le coordinate indicate dalla Consulta (Corte cost., 9 febbraio 2011, n. 35) secondo le quali i compiti di polizia amministrativa attengono ad attività di prevenzione o di repressione. Nella fattispecie, invece, la deliberazione di Giunta comunale n. 292 del 29 dicembre 2009, ha provveduto ad accorpare in un unico Settore funzioni inerenti la materia del demanio marittimo, igiene urbana, parcometri e segnaletica, assegnate ora al Corpo di Polizia municipale che riguardano anche ipotesi di amministrazione attiva, così violando il disposto dell’art. 17 comma 3, L.R. Toscana, 12/2006, che ha previsto una specifica ipotesi di incompatibilità in capo al Comandante del Corpo di Polizia municipale le cui funzioni di vigilanza e prevenzione non possono sommarsi ad altre tipologie di funzione amministrativa, per l’evidente pericolo che il ruolo di controllore e controllato finiscano per sommarsi in un’unica figura.
9. Limitatamente alla censura sub 8, quindi, l’appello merita di essere accolto, con il conseguenziale annullamento, in parte qua, della delibera n. 292 del 2009.
10. Nella pluralità, complessità e parziale novità delle questioni affrontate, il collegio ravvisa, a mente del combinato disposto degli artt. 26, co. 1, c.p.a. e 92, co. 2, c.p.c., eccezionali ragioni per l’integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello (Ricorso n. 7897/2011), come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
Spese compensate per entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente FF
Francesco Caringella, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/05/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)