CONCORSI PUBBLICI:
obbligo di motivazione anche per gli atti di macro-organizzazione
(Cons. St., Sez. V, sentenza 14 maggio 2013 n. 2607)
Massima
1. Gli atti di riorganizzazione degli uffici pubblici sono atti amministrativi aventi natura organizzatoria non generale, in quanto non abbisognano, per esplicare i loro effetti immediati, di altri successivi provvedimenti, ma sono al contrario idonei a modificare direttamente le strutture operative dell’ente.
Come tali, pertanto, sono soggetti alla disciplina pubblicistica ai sensi dell’art. 2, comma 1, d.lgs. 165/2001, e, se oggetto di contestazione giurisdizionale, rimessi alla cognizione del g.a. secondo la regola fissata dall’art. 63, d.lgs. 165/2001; agli stessi è dunque applicabile il comma 1 dell’art. 3, l. n. 241/1990, in omaggio al principio di trasparenza dell’azione amministrativa, la cui attuazione deve essere assicurata anche nella concreta articolazione dell’architettura degli uffici pubblici.
Disposizione quest’ultima, riferita ai provvedimenti amministrativi, che non è, invece, immediatamente applicabile agli atti di diritto privato che riguardano la gestione ordinaria del rapporto e la "micro-organizzazione" delle strutture dell’amministrazione, affidate alla responsabilità del competente dirigente, in un’ottica di efficienza e di snellezza dell’azione del soggetto pubblico. (cfr. fra le tante, Cass., sez. un., 8 novembre 2005, n. 21592; Cons. St., Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6705 ; Comm. spec., 5 febbraio 2001, n. 471/2001).
È necessario, quindi, che gli atti amministrativi attraverso i quali vengono organizzati gli uffici si ispirino (rendendoli conoscibili) a principi di non manifesta illogicità o incongruità dell'assetto in concreto prescelto.
2. In relazione a tali principi va commisurato il quantum di motivazione esigibile , che deve ritenersi imposto all’amministrazione in funzione dell'esigenza di esplicitare congruità e non irragionevolezza delle scelte operate e dei modelli organizzatori adottati (C.G.A., 23 maggio 2012, n. 467). Sotto questo profilo, pertanto, se coglie nel segno la tesi secondo la quale gli atti in questione non si sottraggono, per loro natura, all’obbligo di recare un apparato motivazionale, va, però, ribadito che lo stesso, è sufficiente che sia di una latitudine tale da far comprendere come logico e congruente il nuovo assetto organizzativo introdotto, senza inutili appesantimenti, dunque sintetico e apprezzabile dal giudice ab externo.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7897 del 2011,
proposto da:
Mario Angelo Buoncristiani, rappresentato e difeso dagli avvocati Xavier
Santiapichi e Severino Santiapichi, con domicilio eletto presso quest’ultimo in
Roma, via Antonio Bertoloni, n. 44/46;
contro
Comune di Follonica, in persona del sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Marco Lovo, con
domicilio eletto presso l’avvocato Francesca Infascelli in Roma, viale delle
Milizie, n. 76;
nei confronti di
Gabriele Lami, non costituito;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Toscana, Sezione, I,
n. 314 del 14 febbraio 2011.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di
Follonica;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 aprile
2013 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati
Xavier Santiapichi e Marco Lovo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
1. La sentenza oggetto di appello, dispostane la
riunione per ragioni di connessione:
a) ha respinto il ricorso con il quale l’odierno
appellante contestava la riorganizzazione delle strutture e degli uffici
comunali, posta in essere dal Comune di Follonica (con la deliberazione di
Giunta comunale n. 292 del 29 dicembre 2009), nonché degli atti collegati,
presupposti, connessi e coordinati dei quali invocava l’annullamento;
b) ha dichiarato inammissibile, per difetto di
interesse, il ricorso con il quale l’odierno appellante contestava dinanzi al
giudice del lavoro, per poi riassumerlo dinanzi al T.a.r. per la Toscana a
seguito di declaratoria di difetto di giurisdizione del primo, la
riorganizzazione disposta dal Comune di Follonica, invocando l’annullamento
della menzionata deliberazione n. 292 del 29 dicembre 2009 nonché del
provvedimento sindacale n. 33 del 29 dicembre 2009 di conferimento
dell’incarico dirigenziale di Comandante della Polizia municipale al Dr.
Gabriele Lami.
1.1. Il primo giudice ha ritenuto infondate le censure
spiegate dall’originario ricorrente, che nominato Comandante della Polizia
municipale con determina dirigenziale n. 819 del 15 luglio 2008, si riteneva
leso dai suddetti atti organizzativi, che:
a) accorpavano l’unita operativa complessa di Polizia
municipale agli uffici demanio marittimo, igiene urbana, parcometri e
segnaletica, facendoli tutti confluire in un solo unico Settore 5;
b) ponevano al suo vertice il Dr. Lami, attuale
appellato;
c) dichiaravano decaduto dall’incarico di Comandante
della Polizia municipale l’odierno appellante.
2. Il TAR per la Toscana, in particolare:
a) ha valutato come non accoglibile la doglianza
avente ad oggetto la violazione dell’art. 49 t.u. enti locali, ritenendo che la
norma in questione, in forza dell’ultimo comma, vada interpretata nel senso che
il Segretario comunale può esprimere il parere di regolarità tecnica in luogo
del Responsabile per il personale, in quanto si tratta di una disposizione che
non ripartisce in modo rigido le competenze tra uffici consultivi, ma consente
di assegnare la responsabilità del parere in capo al funzionario che li
formula;
b) ha respinto la censura inerente l’assenza del
parere di regolarità contabile, perché la delibera giuntale non risulterebbe
comportare un impegno di spesa;
c) ha dichiarato inammissibili, per carenza di
interesse e omessa notificazione al contro interessato, le censure relative al
conferimento dell’incarico di Direttore generale al Segretario comunale;
d) ha dichiarato inammissibili le censure relative
all’asserito difetto di preparazione professionale del nuovo Comandante della
Polizia municipale a causa della mancata impugnazione del provvedimento di
conferimento dell’incarico e dell’assenza di giurisdizione del g.a. sul tema;
e) ha valutato infondata la doglianza avente ad
oggetto il difetto di motivazione della delibera impugnata perché quest’ultima,
avendo natura di atto generale, si sottrae al correlato obbligo ex art. 13, l.
n. 241/1990;
f) ha escluso un contrasto tra gli atti impugnati e la
L.R. Toscana, n. 12/2006, non ravvisando in questa normativa la presenza di
alcuna norma che vietasse la concentrazione delle attività di vigilanza
amministrativa, pure se ciò comportasse l’accorpamento, con altre, della
funzione di polizia locale;
g) ha ritenuto insussistente la violazione dell’art. 4
del Regolamento comunale sulla Polizia municipale, atteso che, una volta
affermata la legittimità della deliberazione istitutiva di un unico Settore, le
funzioni di Comandante della Polizia municipale non possono che essere
conferite alla figura apicale del Settore in cui è incardinata;
h) ha condannato il ricorrente al pagamento delle
spese processuali a favore dell’Amministrazione intimata.
3. Con ricorso depositato in data 10 ottobre 2011, il
Buoncristiani ha proposto appello avverso alcuni capi della sentenza di primo
grado, essendo così rimasta non contestata, la pronuncia gravata, in relazione
alla statuizione di inammissibilità delle censure relative al conferimento
dell’incarico di Direttore generale al Segretario comunale, statuizione sulla
quale, pertanto, si è formato il giudicato.
4. Le censure all’esame dell’odierno giudicante sono,
dunque, le seguenti:
a) l’atto di macroorganizzazione impugnato violerebbe
l’obbligo imposto dall’art. 3, comma 2, l. 241/1990, atteso che in caso di
adozione di un simile provvedimento, qualora si registri una lesione di
concreti interessi dei privati, l’amministrazione deve rendere evidenti le
ragioni che hanno condotto all’adozione dell’atto in questione, mentre nella
fattispecie la motivazione ivi contenuta è del tutto apodittica; ulteriore
argomento dovrebbe trarsi dall’esame dell’art. 42 t.u. enti locali, che assegna
al Consiglio la competenza per adottare gli atti fondamentali relativi alla
programmazione della vita politico-amministrativa dell’ente, ponendo i criteri
generali in materia di ordinamento degli uffici e dei servizi, atti
quest’ultimi che vanno distinti dagli atti di macroorganizzazione, che, avendo
diversa natura, soggiacciono all’obbligo motivazionale;
b) vi sarebbe violazione degli artt. 42 e 48 t.u. enti
locali, perché la delibera di Giunta comunale n. 292 del 29 dicembre 2009, non
è stata preceduta dalla fissazione dei criteri da parte del Consiglio comunale,
ed anzi si pone in contrasto con le precedenti delibere del Consiglio comunale
n. 8/2007 e n. 40/1999, che avevano come ratio quella di
salvaguardare l’autonomia e la specificità del corpo di Polizia municipale;
c) ulteriore vizio di legittimità deriverebbe dalla
violazione della L. n. 85/1986, che impone di preservare l’autonomia del corpo
e dell’art. 17, comma 3, della l.r. Toscana, n. 12/2006, che stabilisce
l’incompatibilità delle funzioni di comandante con altri incarichi, per evitare
eventuali conflitti di interesse;
d) erronea sarebbe anche la lettura fatta dal primo
giudice dell’art. 4 del regolamento del Corpo di Polizia municipale, che impone
il Comandante ne faccia parte prima di risultare destinatario del provvedimento
di incarico; inoltre, il Dr. Lami sarebbe sprovvisto dei necessari requisiti di
professionalità, elemento che ben potrebbe essere conosciuto dal g.a. non
sussistendo al riguardo alcun deficit di giurisdizione;
e) fondate, inoltre, contrariamente a quanto ritenuto
dal T.a.r. per la Toscana, sarebbero anche le censure in tema di assenza del
parere di regolarità contabile e di necessità che il parere tecnico venisse
espresso dal Responsabile per il personale e non dal Segretario comunale.
5. Con memoria depositata l’11 novembre 2011 si è
costituito in giudizio il Comune di Follonica, chiedendo la reiezione
dell’appello.
6. In data 6 marzo 2013 l’appellante ha depositato
documenti.
7. In data 14 marzo 2013 l’amministrazione appellata
ha depositato memoria con la quale ha sottolineato l’infondatezza delle
doglianze contenute nell’atto d’appello, portando argomenti a confutazione
della prospettazione dell’odierno appellante. E, in particolare, quanto alla
censura relativa all’assenza del parere di regolarità tecnica da parte del
Dirigente del personale, ha riferito che la stessa sarebbe superata in ragione
dell’adozione della delibera di Giunta comunale n. 170/2010, che modificava la
struttura organizzativa approvata con deliberazione n. 209/2009, la prima
preceduta dal parere di regolarità tecnica del dirigente del settore 1.
8. In data 26 marzo 2013 l’appellante ha depositato
memoria di replica, ribadendo la fondatezza delle ragioni già espresse con
l’atto di gravame, sottolineando l’irrilevanza della deliberazione n. 170/2010,
per non avere la stessa inciso sull’assetto della Polizia municipale e
sollevando taluni profili nuovi di illegittimità degli atti impugnati.
DIRITTO
1. Preliminarmente il collegio rileva che non può
tenersi conto dei profili nuovi sollevati in appello in spregio al divieto dei nova sancito
dall’art. 104, co.1, c.p.a., ed al valore puramente illustrativo delle memorie
conclusionali (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 22 marzo 2012,
n. 1640; ad. plen., 19 dicembre 1983, n. 26, cui si rinvia a mente del
combinato disposto degli artt. 74, co.1, 88, co. 2, lett. d), e 120 co. 10,
c.p.a.). Tale divieto può essere superato solo nell’ipotesi prevista dallo stesso
art. 104 c.p.a., laddove vengano proposti motivi aggiunti, con atto ritualmente
notificato alle altre parti del giudizio, con i quali avverso gli stessi atti
oggetto del ricorso di primo grado si facciano valere vizi nuovi conosciuti
grazie alla conoscenza sopravvenuta di nuovi documenti non prodotti dalle parti
del giudizio di primo grado (Cons. St., Sez. V, 13 maggio 2011, n. 2892).
Pertanto, non possono essere esaminate le doglianze con le quali si ravvisa
violazione della l. n. 65/1986, nella parte in cui viene esclusa
l’intercambiabilità dei dipendenti addetti alla Polizia municipale ovvero la
violazione della stessa disciplina nella parte in cui si sottolinea la
peculiarità del ruolo assunto dal Comandante della Polizia municipale
desumendolo dal diverso iter fissato dall’art. 9, l. n. 65/1986, per la
valutazione del raggiungimento degli obiettivi rispetto a quello degli altri
dirigenti locali.
2. Principiando, in ordine logico, dal mezzo di
gravame che ripropone la questione di giurisdizione, il Collegio, rileva che:
a) merita conferma la sentenza del primo giudice nella
parte in cui ha declinato la giurisdizione sulle censure portate avverso il
provvedimento di conferimento dell’incarico a favore del Dr. Lami. Il T.a.r.,
infatti, ha ritenuto, da un lato, che le stesse fossero inammissibili per
assenza di espressa impugnazione del suddetto provvedimento; dall’altro, che vi
fosse il difetto di giurisdizione del g.a. per le controversie aventi ad
oggetto il conferimento di incarichi dirigenziali.
Tale conclusione è confortata dall’orientamento
costante delle Sezioni unite della Suprema Corte (Cass., Sez. un., n.
9185/2012; n. 3054/2009; n. 5920/2008; n. 10288/2003), che hanno individuato
nel g.o. il plesso giurisdizionale competente, venendo in contestazione atti
privatistici che sono manifestazione del potere privatistico del datore di
lavoro pubblico;
b) nei confronti della statuizione inerente il rigetto
dell’eccezione di difetto di giurisdizione formulata dalla difesa comunale in
primo grado, per essersi formato il giudicato sull’ordinanza adottata in data
30 aprile 2010 dal Tribunale del lavoro di Grosseto ai sensi dell’art. 702-quater c.p.c.,
non è stato proposto appello incidentale dall’amministrazione comunale sicché è
preclusa a questo giudice ogni ulteriore valutazione.
Resta, quindi, acclarato che il Collegio ha potestà di
pronunciarsi sui mezzi di impugnazione nei quali si deduce la non conformità a
legge degli atti organizzativi, attraverso i quali l’Amministrazioni comunale
appellata ha definito le linee fondamentali di organizzazione degli uffici e i
modi di conferimento della titolarità degli stessi (cfr. ex plurimis, Cass.,
Sez. un., n. 9185/2012; n. 22733/2011).
2.1. Va, inoltre, rimarcato che la presenza di
questioni tra loro connesse se può determinare nel processo amministrativo
(art. 13, comma 4-bis, c.p.a.), come in quello civile (art. 40 c.p.c.),
uno spostamento della competenza per ragioni di connessione , così incidendo
sull’applicazione della disciplina ordinaria in materia di criteri di
distribuzione della competenza, non può giungere ad una traslazione del
giudizio da un plesso giurisdizionale ad un altro (Cass., Sez. un., 5 marzo
2008, n. 5914; 20 aprile 2007, n. 9358)..
Invero, a fronte di una nozione unitaria della
funzione giurisdizionale (Cass., Sez. un., 23 settembre 2008, n. 24883), stanti
anche i rigidi paletti imposti dalla disciplina processuale alla possibilità di
sollevare la questione di difetto di giurisdizione, la scelta del legislatore
di assegnare la cognizione di alcune controversie ad un plesso giurisdizionale
piuttosto che ad un altro, al fine di semplificare l’accesso dei cittadini alla
tutela, mantiene una valenza costituzionale che non può essere incisa dalla
mera presenza di giudizi tra loro connessi (cfr., in questo senso e da ultimo,
Cons. St., sez. V, n. 6261 del 2012).
3. Nel merito, la prima questione posta all’attenzione
del Collegio attiene alla natura giuridica degli atti di macroorganizzazione
impugnati ed alle conseguenze che ne derivano in termini di disciplina con
particolare riferimento alla presunta esistenza di un obbligo motivazione,
discendente dalla incidenza su posizioni giuridiche individuate e dalla
necessità di confrontarsi con quei criteri generali in materia di ordinamento
degli uffici e dei servizi fissati ex art. 42 t.u. enti locali dal Consiglio
comunale.
3.1. Gli atti in questione sono atti amministrativi
aventi natura organizzatoria non generale, in quanto non abbisognano, per
esplicare i loro effetti immediati, di altri successivi provvedimenti, ma sono
al contrario idonei a modificare direttamente le strutture operative dell’ente.
Come tali, pertanto, sono soggetti alla disciplina
pubblicistica ai sensi dell’art. 2, comma 1, d.lgs. 165/2001, e, se oggetto di
contestazione giurisdizionale, rimessi alla cognizione del g.a. secondo la
regola fissata dall’art. 63, d.lgs. 165/2001; agli stessi è dunque applicabile
il comma 1 dell’art. 3, l. n. 241/1990, in omaggio al principio di trasparenza
dell’azione amministrativa, la cui attuazione deve essere assicurata anche
nella concreta articolazione dell’architettura degli uffici pubblici.
Disposizione quest’ultima, riferita ai provvedimenti amministrativi, che non è,
invece, immediatamente applicabile agli atti di diritto privato che riguardano
la gestione ordinaria del rapporto e la "microorganizzazione" delle
strutture dell’amministrazione, affidate alla responsabilità del competente
dirigente, in un’ottica di efficienza e di snellezza dell’azione del soggetto
pubblico. (cfr. fra le tante, Cass., sez. un., 8 novembre 2005, n. 21592; Cons.
St., Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6705 ; Comm. spec., 5 febbraio 2001, n.
471/2001). È necessario, quindi, che gli atti amministrativi attraverso i quali
vengono organizzati gli uffici si ispirino (rendendoli conoscibili) a principi
di non manifesta illogicità o incongruità dell'assetto in concreto prescelto.
In relazione a tali principi va commisurato il quantum di
motivazione esigibile , che deve ritenersi imposto all’amministrazione in
funzione dell'esigenza di esplicitare congruità e non irragionevolezza delle
scelte operate e dei modelli organizzatori adottati (C.G.A., 23 maggio 2012, n.
467). Sotto questo profilo, pertanto, se coglie nel segno la tesi secondo la
quale gli atti in questione non si sottraggono, per loro natura, all’obbligo di
recare un apparato motivazionale, va, però, ribadito che lo stesso, è
sufficiente che sia di una latitudine tale da far comprendere come logico e
congruente il nuovo assetto organizzativo introdotto, senza inutili appesantimenti,
dunque sintetico e apprezzabile dal giudice ab externo. Nella
fattispecie, dunque, non si registra alcun vizio motivazionale, essendo
sufficienti le ragioni espresse dall’amministrazione nel corpo del
provvedimento impugnato, che non doveva, invece, indicare ulteriori ragioni in
ordine ai possibili ed eventuali effetti negativi, che sarebbero potuti
sopraggiungere a seguito di successivi atti di microorganizzazione nei
confronti dei dipendenti pubblici coinvolti dal riassetto organizzativo introdotto.
Né, infine, come sostiene l’appellante un rafforzato onere motivazione potrebbe
derivare dall'assunto che si tratterebbe di un atto che si discosta dalla
pregresse delibere del Consiglio comunale, giacché la delibera di Giunta
comunale non viola i principi guida indicati dalle delibere del Consiglio
comunale n. 8/2007 e n. 40/1999, come si dirà amplius infra.
4. Del pari infondate sono le censure imperniate
sull’assenza del parere di regolarità contabile e sulla necessità che il parere
tecnico venisse espresso dal Responsabile per il personale e non dal Segretario
comunale, ma per ragioni diverse da quelle poste a base dell’impugnata sentenza
(secondo cui il primo non sarebbe necessario non comportando un impegno di
spesa, mentre il secondo sarebbe stato correttamente espresso dal Segretario
comunale sulla scorta di una non condivisibile esegesi del comma 3 dell’art.
49, t.u. enti locali.),
Invero, secondo un consolidato orientamento di questo
Consiglio, da cui non si ravvisano ragioni per decampare (cfr. Cons. St., sez.
IV, 26 gennaio 2012, n. 351; sez IV, 22 giugno 2006, n. 3888; n. 1567 del 2001;
23 aprile 1998, n. 670), i pareri in questione rilevano solo sul piano interno,
pertanto, la loro assenza si traduce in una mera irregolarità e non ridonda in
un vizio di legittimità..
5. Residua a questo punto l’esame delle censure
relative al corretto inquadramento nell’ambito dell’amministrazione comunale
del Corpo di Polizia municipale secondo la disciplina nazionale e regionale
vigente. Il loro esame deve essere preceduto sia da una precisazione in merito
alla disciplina applicabile, che da una rassegna dei principi elaborati dal
Consiglio di Stato, che possa fungere da guida nel prosieguo della motivazione.
5.1. La normativa di riferimento è rappresentata dalla
l. 7 marzo 1986, n. 65 e dalla l.r. Toscana, 3 aprile 2006, n. 12. I rapporti
tra le due discipline sono fissati dall’art. 6, l. n. 65/1986, sicché nel
rispetto dei principi dalla legislazione statale, la legge regionale provvede
a:
a) stabilire le norme generali per la istituzione del
servizio tenendo conto della classe alla quale sono assegnati i comuni;
b) promuovere servizi ed iniziative per la formazione
e l'aggiornamento del personale addetto al servizio di polizia municipale;
c) promuovere tra i comuni le opportune forme
associative con idonee iniziative di incentivazione; d) determinare le
caratteristiche delle uniformi e dei relativi distintivi di grado per gli
addetti al servizio di polizia municipale dei comuni della regione stessa e
stabilire i criteri generali concernenti l'obbligo e le modalità d'uso; le
uniformi devono essere tali da escludere la stretta somiglianza con le uniformi
delle Forze di polizia e delle Forze armate dello Stato;
e) disciplinare le caratteristiche dei mezzi e degli
strumenti operativi in dotazione ai Corpi o ai servizi, fatto salvo quanto
stabilito dal comma 5 dell’articolo 5 della stessa legge.
La compresenza di fonti di livello territoriale
diverso (statale e regionale), si spiega alla luce delle funzioni che sono
attribuite alla Polizia municipale:
f) compiti di “polizia di sicurezza”, consistenti in
misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell'ordine pubblico,
inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi
pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella
comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e
dei loro beni;
g) compiti di “polizia amministrativa”, consistenti in
attività di prevenzione o di repressione dirette a evitare danni o pregiudizi
che possono essere arrecati alle persone o alle cose nello svolgimento delle
materie sulle quali si esercitano le competenze regionali, senza che ne
risultino lesi o messi in pericolo i beni o gli interessi tutelati in nome
dell'ordine pubblico (Corte cost., 9 febbraio 2011, n. 35). La disciplina dei
primi rientra nella competenza legislativa statale esclusiva ex art. 117,
secondo comma, lettera h), Cost., quella dei secondi, invece, rientra nella
competenza legislativa regionale (Corte cost., 6 maggio 2010, n. 167).
5.2. Quanto ai principi cardini della materia,
elaborati dal Consiglio di Stato, va rammentato che:
a) in merito alla posizione del Corpo rispetto alle
altre strutture amministrative comunali, stante l'ampia discrezionalità di cui
dispongono i Comuni in ordine al tipo concreto di organizzazione del corpo dei
vigili urbani in virtù dell'art. 7 l. 7 marzo 1986, n. 65, la circostanza che
quest'ultimo sia posto alle dirette dipendenze del sindaco non lo qualifica
come struttura di massima dimensione, ben potendo accadere che la mera mancanza
di livelli direttivi intermedi tra il sindaco stesso ed il responsabile del
servizio di polizia municipale determini il riconoscimento, in capo a detto
corpo, di un maggior rilievo rispetto alle altre quanto ad autonomia e
dimensione (Cons. St., Sez. V, 17 maggio 2012, n. 2817; 24 ottobre 2001, n.
5598). Inoltre, il Corpo di polizia municipale rappresenta un'entità
organizzativa unitaria ed autonoma da altre strutture organizzative del Comune.
Tale Corpo è costituito dall'aggregazione di tutti i dipendenti comunali che
esplicano, a vari livelli, i servizi di polizia locale e al cui vertice è posto
un comandante, anche egli vigile urbano, che ha la responsabilità del Corpo e
ne risponde direttamente al Sindaco. Ciò premesso, la polizia municipale, una
volta eretta in Corpo, non può essere considerata una struttura intermedia
inserita in una struttura burocratica più ampia; né attraverso un simile
incardinamento, può essere posta alle dipendenze del dirigente amministrativo
che dirige tale più ampia struttura (Cons. St., Sez. V, 27agosto 2012, n. 4605).
Pertanto, è a seguito dell’elezione della Polizia municipale a Corpo che si
determina l’impossibilità di determinarne l’inserimento quale struttura
intermedia (come Sezione) in una struttura burocratica più ampia (in un Settore
amministrativo) né, per tale incardinamento, può essere posta alle dipendenze
del dirigente, amministrativo che dirige tale più ampia struttura (Cons. St.,
sez. V, 17 febbraio 2006, n. 616; sez. V, 4 settembre 2000, n. 466). Mentre nel
caso in cui il servizio di Polizia municipale non sia eretto a Corpo,
considerato che l’art. 3, l. n. 65/1986 ha valore programmatico e demanda al
regolamento comunale di polizia municipale la concreta attuazione del principio
in virtù del quale al relativo servizio è attribuita una posizione particolare,
piuttosto che un'altra, nell'ambito dell'organizzazione comunale, ben può
essere realizzata l'incardinazione del servizio medesimo all'interno di una
struttura dirigenziale più ampia, senza che ciò elida la relazione diretta che
deve essere assicurata tra il Sindaco e il Comandante (Cons. St., sez. V, 12
marzo 1996, n. 262);
b) quanto, invece, al ruolo e all’autonomia del
Comandante del Corpo l'art. 9 l. n. 65/1986, prevede che il comandante della
polizia municipale è responsabile verso il sindaco, il quale a sua volta è
l'organo titolare delle funzioni di polizia locale che competono al Comune
(artt. 1 e 2); conseguentemente porre il comandante della polizia municipale
alle dipendenze di un funzionario del Comune equivale a trasferire a quest'ultimo
funzioni di governo che per legge competono al sindaco (Cons. St., sez. V, 17
maggio 2012, n. 2817). Ma la nomina a Comandante del Corpo non deve essere
necessariamente accompagnata dall’assegnazione di una qualifica dirigenziale
(Cons. St., sez. V, 14 novembre 1997, n. 1303);
c) in ordine alla natura della relazione tra Sindaco e
Comandante, l’art. 9 l. n. 65/1986 istituzionalizza una diretta relazione tra
il sindaco ed il comandante della polizia municipale, finalizzata ad
assicurare, all’autorità posta al vertice dell’Amministrazione ed in relazione
ai poteri ed ai compiti ad essa conferiti dai precedenti articoli 2 e 3, il
diretto controllo dei profili organizzativi e funzionali del servizio
(addestramento, disciplina, impiego tecnico-operativo) che presentano la
maggiore specificità e delicatezza, proprio indipendentemente dalla
collocazione del servizio stesso all’interno del modello organizzativo
prescelto dall’Ente nell’esercizio del suo potere di autorganizzazione (Cons.
St., Sez. V, 7 febbraio 2003, n. 644);
d) quanto, invece, alla provenienza del Comandante, al
vertice del Corpo di Polizia municipale è posto un comandante, anche egli
vigile urbano, che ha la responsabilità del Corpo e ne risponde direttamente al
Sindaco. Tale posizione, deve aggiungersi, non è affidabile ad un dirigente
amministrativo che non abbia lo status di un appartenente al
Corpo di polizia municipale. (Cons. St., sez. V, 27 agosto 2012, n. 4605; sez.
V, 4 settembre 2000, n. 4663).
6. Alla luce dei sopraesposti principi giuridici è
possibile affrontare le residue doglianze.
6.1. La prima, ribadita con l’atto di gravame e non
adeguatamente valutata dal primo giudice secondo l’appellante, è quella che
concerne la contraddittorietà estrinseca tra i provvedimenti consiliari e
quelli giuntali. In particolare, tra le delibere del Consiglio comunale n.
8/2007 e n. 40/1999 e la deliberazione di Giunta comunale n. 292 del 29
dicembre 2009, nella misura in cui le prime salvaguardano la specificità e
l’autonomia del Corpo della Polizia municipale. La questione è letta in modo
speculare dalle parti in giudizio. Tanto che secondo l’appellante la
riorganizzazione operata dall’amministrazione comunale avrebbe degradato la
Polizia municipale da Corpo ad Unità operativa complessa. Mentre secondo
l’amministrazione appellata il Corpo di Polizia municipale è stata elevata a
struttura di massimo livello, ossia a settore comprendente anche nuove
attribuzioni affini affidando quest’ultimo ad una figura dirigenziale nominata
Comandante ed individuando una unità operativa complessa di secondo livello
destinata alla gestione delle risorse umane alla quale è stato destinato
l’odierno appellante. L’impostazione dell’appellante non convince: come è stato
sopra chiarito, la disciplina contenuta nella l. n. 65/1986, vieta che, una volto
eretto a Corpo, la Polizia municipale sia inserita all’interno di un più ampio
Settore nel quale assuma una posizione intermedia quale un’unità operativa
complessa, ma non esclude che il Corpo di Polizia municipale possa acquisire
funzioni ulteriori sempre nell’ambito di quelle di polizia amministrativa, la
cui individuazione è rimessa alla legislazione regionale. Né un divieto in
ordine a tale operazione organizzativa può desumersi dal tenore della
disciplina regionale contenuta nella l.r. Toscana, n. 12/2006, che delinea in
modo non tassativo all’art. 2, comma 1, le funzioni che possono essere
assegnate alla Polizia municipale: “Gli addetti alle strutture di polizia
locale istituite ai sensi dell'articolo 1 provvedono allo svolgimento delle
funzioni ad essi attribuite dalle disposizioni vigenti, tra le quali in
particolare: a) vigilare sull'osservanza delle leggi, regolamenti, ordinanze e
altri provvedimenti amministrativi dello Stato, della Regione e degli enti
locali, nell'ambito delle competenze dell'ente locale; b) vigilare sulla
integrità e sulla conservazione del patrimonio pubblico; c) prestare opera di
soccorso nelle pubbliche calamità o disastri, nonché in caso di privato
infortunio e collaborare ai servizi e alle operazioni di protezione civile di
competenza dell'ente di appartenenza; d) svolgere i controlli relativi ai
tributi locali di competenza secondo quanto previsto dai rispettivi
regolamenti; e) effettuare attività di controllo ed ispettive inerenti la
verifica degli adempimenti in materia di tributi regionali”. La
qualificazione dell’operazione organizzativa che ha visto il Corpo assorbire
competenze prima spettanti ad altri uffici comunali e non una sua degradazione
in struttura intermedia all’interno di un più ampio settore si desume anche
dalla circostanza che al vertice di tale settore è stato posto il Comandante
del Corpo di Polizia municipale e non altra figura dirigenziale a quest’ultimo
sovraordinata. Pertanto, non si registra alcuna lesione della posizione di
autonomia riconosciuta al Corpo della Polizia municipale.
6.2. Con un’ulteriore censura si contesta la
violazione dell’art. 4 del regolamento comunale, poiché l‘individuazione del
Comandante della Polizia municipale non sarebbe avvenuta tra i soggetti facenti
parte del Corpo. Anche questa doglianza non merita di essere accolta, infatti,
ciò che appare necessario in omaggio al disposto dell’art. 17 comma 4, L.R.
Toscana, n. 12/2006 è che: “Allo scopo di garantire la competenza
tecnico-professionale connessa alle attività dei livelli apicali dei corpi,
qualora non venga effettuata una selezione concorsuale finalizzata alla
copertura del ruolo, l'affidamento dell'incarico comporta la frequenza del
corso regionale obbligatorio di formazione di cui all'articolo 19, comma 1,
lettera a)”. Sicchè, l’individuazione del Comandante del Corpo deve
avvenire tra soggetti dotati di adeguata preparazione professionale attestata
da frequenza del corso regionale citato al quale ha partecipato il Dr. Lami che
del pari ha acquisito dal Prefetto su richiesta dell’amministrazione comunale
la qualità di agente di pubblica sicurezza. Inoltre, il Comandante del Corpo
non può che rivestire anche la qualifica di vigile urbano, ma non appare
necessario ai fini della sua nomina il previo possesso di tale qualifica.
6.3. Va, da ultimo, esaminata, la censura relativa
alla violazione dell’art. 17, comma 3, della L.R. n. 12/2006, nella parte in
cui stabilisce l’incompatibilità delle funzioni di comandante con altri
incarichi, per evitare eventuali conflitti di interesse.
Quest’ultima doglianza risulta fondata.
Si è detto supra sub 5.1. come nella
definizione delle funzioni di polizia amministrativa da assegnare alla Polizia
municipale intervenga la potestà legislativa regionale, nella specie esercitata
con la più volte menzionata l.r. Toscana n. 12/2006.
Ebbene l’art. 17, comma 3, di questa legge dispone
che: “La funzione di comandante è incompatibile con lo svolgimento di altre
funzioni o incarichi all'interno dell'ente di appartenenza”. Questa norma
va letta congiuntamente a quanto disposto con il già citato art. 2, comma 1,
della stessa legge che, nell’elencare le funzioni di polizia locale (sia essa
comunale o provinciale), chiaramente indica quale genus quelle
relative a vigilanza, controllo, soccorso. La soluzione individuata dalla
legislazione regionale appare in linea con le coordinate indicate dalla
Consulta (Corte cost., 9 febbraio 2011, n. 35) secondo le quali i compiti di
polizia amministrativa attengono ad attività di prevenzione o di repressione.
Nella fattispecie, invece, la deliberazione di Giunta comunale n. 292 del 29
dicembre 2009, ha provveduto ad accorpare in un unico Settore funzioni inerenti
la materia del demanio marittimo, igiene urbana, parcometri e segnaletica,
assegnate ora al Corpo di Polizia municipale che riguardano anche ipotesi di
amministrazione attiva, così violando il disposto dell’art. 17 comma 3, L.R.
Toscana, 12/2006, che ha previsto una specifica ipotesi di incompatibilità in
capo al Comandante del Corpo di Polizia municipale le cui funzioni di vigilanza
e prevenzione non possono sommarsi ad altre tipologie di funzione
amministrativa, per l’evidente pericolo che il ruolo di controllore e
controllato finiscano per sommarsi in un’unica figura.
9. Limitatamente alla censura sub 8, quindi, l’appello
merita di essere accolto, con il conseguenziale annullamento, in parte
qua, della delibera n. 292 del 2009.
10. Nella pluralità, complessità e parziale novità
delle questioni affrontate, il collegio ravvisa, a mente del combinato disposto
degli artt. 26, co. 1, c.p.a. e 92, co. 2, c.p.c., eccezionali ragioni per
l’integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello (Ricorso n. 7897/2011), come
in epigrafe proposto, lo accoglie e, in parziale riforma della sentenza
impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi e nei limiti di cui in
motivazione.
Spese compensate per entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 16 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente FF
Francesco Caringella, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
|
IL PRESIDENTE
|
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/05/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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