mercoledì 27 agosto 2014

AFORISMI: la giustizia secondo Leonardo Da Vinci.


AFORISMI: 
la giustizia 
secondo
 Leonardo Da Vinci



"Giustizia vol potenzia, intelligenzia e volontà, e si assomiglia a' re delle ave".

"E' si può assimigliare la virtù della iustizia allo re delle ave, il quale ordina e dispone ogni cosa con ragione, imperoché alcune ave sono ordinate andare per fiori, altre ordinate a lavorare, altre a combattere colle vespe altre a levare le spurcizie, altre a compagnare e corteggiare lo re; e quando è vecchio e sanza alie, esse lo portano, e s'evvi una manca di suo uffizio, sanza alcuna remissione è punita".

IMMIGRAZIONE: il Consiglio di Stato interpreta estensivamente la nozione di "legami familiari" ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero (Cons. St., Sez. III, sentenza 17 luglio 2014, n. 3680).


IMMIGRAZIONE:
 il Consiglio di Stato 
interpreta estensivamente 
la nozione di "legami familiari" 
ai fini del rinnovo 
del permesso di soggiorno dello straniero
 (Cons. St., Sez. III, 
sentenza 17 luglio 2014, n. 3680).


Breve commento

L'appellante è un cittadino albanese; non ancora maggiorenne, nel 2002, a seguito di ricongiungimento familiare col padre, è giunto in Italia, dove tuttora vivono, oltre ai genitori, i due fratelli e la sorella. 
Non avendo un reddito perché disoccupato, si è visto negato il rinnovo del permesso di soggiorno dalla Prefettura, la quale ha interpretato restrittivamente l'art. 5 del d.lgs. n. 286/1998, che prevede la sussistenza di un reddito dimostrabile come condicio sine qua non per la permanenza nel territorio nazionale dello straniero.
Lo stesso art. 5, co. 5 secondo paragrafo, del citato decreto, stabilisce, tuttavia, un'eccezione al rigore del requisiti reddittuale, che debba tenersi conto anche "natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale".
Il Consiglio di Stato, sulla scia della sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 202/2013, ha stabilito, con la sentenza in commenti, che per "vincoli familiari" devono intendersi anche quelli tra familiari non conviventi, e nel rapporto tra genitori e figli, a che quelli con figli maggiorenni ma minorenni nel momento in cui avrebbero avuto diritto al ricongiungimento.
Un'interpretazione molto estensiva, giustificata, tuttavia, da motivi d'equità e dalla particolare fattispecie concreta.


Massima

1. L'art. 5, del d.lgs. 286/1998, il possesso di un reddito minimo idoneo al sostentamento dello straniero e del suo nucleo familiare costituisce condizione soggettiva non eludibile, perché attiene alla sostenibilità dell’ingresso dello straniero nella comunità nazionale, sotto il profilo della capacità di offrire un’adeguata contropartita in termini di lavoro e quindi di formazione del prodotto nazionale e partecipazione fiscale alla spesa pubblica, nonché della garanzia che il cittadino extracomunitario non si dedichi ad attività illecite o criminose (cfr., da ultimo, Cons. Stato, III, 9 aprile 2014, n. 1687).
2. Tuttavia, ai sensi del secondo periodo del comma 5, dell’articolo 5 del d.lgs. 286/1998, “Nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”.
3. Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Sezione 
3.1 la previsione, introdotta nel citato comma 5, ad opera del d.lgs. 5/2007, in attuazione della direttiva comunitaria sulla tutela dell’unità familiare dei migranti, nell’attribuire rilevanza ai legami famigliari ed alla intensità e durata dell’inserimento dello straniero nella società italiana, ha trasformato da vincolato in discrezionale il diniego del permesso di soggiorno, per le ipotesi in cui sussistano quei presupposti che, in linea generale, ai sensi dei precedenti commi dell’art. 5 e del precedente art. 4, risulterebbero altrimenti tassativamente ostativi;
3.2 detta previsione a tutela dell’unità familiare, anche se testualmente si riferisce agli stranieri che abbiano esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o siano essi stessi familiari ricongiunti, a seguito della sentenza (additiva) della Corte Costituzionale 18 luglio 2013, n. 202, si applica anche allo straniero “che abbia legami familiari nel territorio dello Stato”; vale a dire, anche ai nuclei familiari che abbiano quella stessa composizione che, occorrendo, legittimerebbe una procedura di ricongiungimento, ma che non abbiano avuto bisogno di ricorrervi, in quanto riuniti ab origine.
3.3 In particolare è stato sottolineato che i “legami familiari” rilevanti sono quelli indicati dall’art. 29 del d.lgs. 286/1998 (e, a monte, dalla direttiva comunitaria n. 86/2003), con la precisazione che non è necessaria la convivenza (la sentenza della Corte Costituzionale n. 202/2013 si riferisce ai “legami familiari nel territorio dello Stato”, e non ai (soli) familiari conviventi) e che nel rapporto tra genitori e figli non necessita che i figli siano attualmente minorenni (se è vero che sono ricongiungibili solo i figli minorenni, è anche vero che la citata sentenza non fa riferimento alle persone che presentino “attualmente” i requisiti del ricongiungimento, ma (anche) a quelle che a tempo opportuno avrebbero avuto titolo al ricongiungimento, ma non abbiano avuto necessità di avvalersene; cfr. Cons. Stato, III, 3 gennaio 2014 n. 1).



Sentenza per esteso


INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 32 del 2014, proposto da:
H.M., rappresentato e difeso dall'avv. S. C., con domicilio eletto presso V. I., in Roma, via Appia Nuova, 612; 
contro
U.T.G. - Prefettura di Grosseto, Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, anche domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. TOSCANA – FIRENZE, SEZIONE II, n. 00685/2013, resa tra le parti, concernente diniego di rinnovo del permesso di soggiorno;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Grosseto e Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 maggio 2014 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti l’avvocato V. su delega di C. e l’avvocato dello Stato Palatiello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. L’appellante è cittadino albanese; non ancora maggiorenne, nel 2002, a seguito di ricongiungimento familiare col padre, è giunto in Italia, dove tuttora vivono, oltre ai genitori, i due fratelli e la sorella.
Ha proposto ricorso gerarchico avverso il provvedimento del Questore di Grosseto in data 27 giugno 2012, con cui è stata respinta la sua istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, a causa della mancata sottoposizione ai rilievi fotodattiloscopici, della mancata consegna delle fototessere e della omessa dimostrazione del possesso di un adeguato reddito da fonte lecita; ha lamentato in quella sede che non fossero state considerati i legami familiari.
2. Con provvedimento prot. 40076 in data 1 dicembre 2012, il Prefetto di Grosseto ha respinto il ricorso, affermando la non rilevanza dei legami familiari, posto che il ricorrente non risultava al momento convivente con alcuno di loro e costituiva quindi una “singola famiglia”, mentre l’art. 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998, è volto a tutelare l’integrità dei nuclei familiari, caratterizzati dalla convivenza.
3. Il TAR Toscana, con la sentenza appellata (II, n. 685/2013), ha respinto l’impugnazione del rigetto, affermando che la non convivenza con i parenti - e quindi l’uscita del ricorrente dal nucleo familiare, la salvaguardia dell’unità del quale costituisce la ratio dell’art. 5, comma 5, cit. - giustifica il rilievo ostativo attribuito dalla Prefettura alla mancanza di reddito.
4. Nell’appello, lo straniero ribadisce che:
- i vincoli familiari non possono ridursi al mero dato formale della convivenza sotto lo stesso tetto;
- occorreva, in applicazione dell’art. 5, comma 5, cit., una seria istruttoria in ordine alla natura ed alla effettività dei vincoli familiari in Italia, all’inesistenza di legami familiari e sociali col paese di origine, alla lunga durata della permanenza in Italia;
- in realtà, si era trasferito dal fratello; poi, quando quest’ultimo ha lasciato l’abitazione per trasferirsi in un’altra, è tornato dai genitori, con i quali risiede tuttora;
- dopo aver lavorato regolarmente per anni, versa in stato di disoccupazione solo a causa della vicenda relativa al rinnovo del permesso di soggiorno, ma per lui è immediatamente disponibile un contratto di lavoro presso la ditta edile dello zio.
5. Con ordinanza n. 352/2014, questa Sezione ha sospeso l’esecutività della sentenza.
6. L’appello è fondato e deve pertanto essere accolto.
6.1. Alla luce delle motivazioni del rigetto del ricorso gerarchico, deve ritenersi che la Prefettura abbia attribuito rilievo ostativo sostanziale (soltanto) alla mancanza di un adeguato reddito proprio.
La giurisprudenza di questa Sezione ha chiarito che, ai sensi dell’art. 5, del d.lgs. 286/1998, il possesso di un reddito minimo idoneo al sostentamento dello straniero e del suo nucleo familiare costituisce condizione soggettiva non eludibile, perché attiene alla sostenibilità dell’ingresso dello straniero nella comunità nazionale, sotto il profilo della capacità di offrire un’adeguata contropartita in termini di lavoro e quindi di formazione del prodotto nazionale e partecipazione fiscale alla spesa pubblica, nonché della garanzia che il cittadino extracomunitario non si dedichi ad attività illecite o criminose (cfr., da ultimo, Cons. Stato, III, 9 aprile 2014, n. 1687).
6.2. Tuttavia, ai sensi del secondo periodo del comma 5, dell’articolo 5 del d.lgs. 286/1998, “Nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”.
Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Sezione (cfr., da ultimo, Cons. Stato, III, 29 aprile 2014 n. 2207; 29 gennaio 2014, n. 457):
- la previsione, introdotta nel citato comma 5, ad opera del d.lgs. 5/2007, in attuazione della direttiva comunitaria sulla tutela dell’unità familiare dei migranti, nell’attribuire rilevanza ai legami famigliari ed alla intensità e durata dell’inserimento dello straniero nella società italiana, ha trasformato da vincolato in discrezionale il diniego del permesso di soggiorno, per le ipotesi in cui sussistano quei presupposti che, in linea generale, ai sensi dei precedenti commi dell’art. 5 e del precedente art. 4, risulterebbero altrimenti tassativamente ostativi;
- detta previsione a tutela dell’unità familiare, anche se testualmente si riferisce agli stranieri che abbiano esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o siano essi stessi familiari ricongiunti, a seguito della sentenza (additiva) della Corte Costituzionale 18 luglio 2013, n. 202, si applica anche allo straniero “che abbia legami familiari nel territorio dello Stato”; vale a dire, anche ai nuclei familiari che abbiano quella stessa composizione che, occorrendo, legittimerebbe una procedura di ricongiungimento, ma che non abbiano avuto bisogno di ricorrervi, in quanto riuniti ab origine.
6.3. In particolare, per quanto concerne la situazione in cui sembra versare l’odierno appellante, è stato sottolineato che i “legami familiari” rilevanti sono quelli indicati dall’art. 29 del d.lgs. 286/1998 (e, a monte, dalla direttiva comunitaria n. 86/2003); con la precisazione che non è necessaria la convivenza, dal momento che il dispositivo della sentenza della Corte Costituzionale n. 202/2013 si riferisce ai “legami familiari nel territorio dello Stato”, e non ai (soli) familiari conviventi; e che nel rapporto tra genitori e figli non necessita che i figli siano attualmente minorenni, perché se è vero che sono ricongiungibili solo i figli minorenni, è anche vero che la citata sentenza non fa riferimento alle persone che presentino “attualmente” i requisiti del ricongiungimento, ma (anche) a quelle che a tempo opportuno avrebbero avuto titolo al ricongiungimento, ma non abbiano avuto necessità di avvalersene (cfr. Cons. Stato, III, 3 gennaio 2014 n. 1).
6.4. Quanto esposto smentisce che l’interpretazione restrittiva data dal TAR Toscana - che si risolve nel ridurre i legami rilevanti a quelli esistenti all’interno del nucleo familiare composto dai soli conviventi - sia aderente al dato normativo, come interpretato dalla Corte Costituzionale.
Nel caso in esame, la distonia di detta interpretazione rispetto alla ratio di tutela dei legami familiari, sopra ricordata, appare poi evidente se si considera che l’appellante ha precisato di essersi trasferito dal fratello nel 2008 e di essere rientrato dai genitori (con i quali tuttora vive) allorché il fratello ha lasciato l’abitazione per trasferirsi in un’altra con moglie e figli, e che entrambi i nuclei familiari risiedono nella frazione di Marina di Grosseto (e quindi, tenuto conto che la frazione conta circa 600 abitanti, appartengono allo stesso contesto sociale).
6.5. In conclusione, in riforma della sentenza appellata il ricorso di primo grado va accolto, con annullamento del provvedimento impugnato, salvo il potere-dovere dell’Amministrazione di riesaminare la situazione dell’appellante, secondo i criteri di cui all’art. 5, comma 5, secondo periodo, del d.lgs. 286/1998.
7. Considerato che la portata applicativa della disciplina è frutto di evoluzione della giurisprudenza costituzionale ed amministrativa, sussistono giusti motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento impugnato.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Hadrian Simonetti, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/07/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)



MEMOIRES D'UN JURISTE: il linguaggio dei giuristi deve prendere a modello quello di Galileo


MEMOIRES D'UN JURISTE: 
il linguaggio dei giuristi 
deve prendere a modello 
quello di Galileo



Certo il linguaggio giuridico è più assimilabile a quello amministrativo che a quello letterario... Però io resto dell'opinione che per non trasformarsi inevitabilmente in "giuridichese", bisogna cercare di trasferire in esso suggestioni, passioni, intuizioni.
Credo sia una questione che facilmente passi dalla "forma" alla "sostanza" delle cose.
D'altronde se lo faceva Galileo per la fredda scienza fisica...


Cliccando QUI (sito dell'Accademia della Crusca) trovate il testo del discorso "Galileo nella  storia della scienza e della lingua" che la Prof.ssa Maria Luisa Altieri Biagi ha pronunciato durante la finale delle Olimpiadi di Italiano il 12 aprile 2014 in Palazzo Vecchio, Salone dei Cinquecento.

martedì 26 agosto 2014

CONFERENZE: La Direttiva 98/5/CE tra abuso del diritto ed identità nazionale (Roma, Palazzo di Giustizia, lunedì 29 settembre 2014, ore 13:00 - 16:00).

CONFERENZE: 
La Direttiva 98/5/CE 
tra abuso del diritto 
ed identità nazionale 
(Roma, Palazzo di Giustizia, 
lunedì 29 settembre 2014, ore 13:00 - 16:00).


Ancora a proposito della sentenza della Corte di Giustizia del 17 luglio 2014 "Torresi" sul carattere non "abusivo" dell'iscrizione degli "abogados" presso i rispettivi albi "nazionali".
Per iscriversi questo è il il link del C.O.A. di Roma: clicca qui.



APPALTI (EXPO Milano 2015): il T.A.R. di Milano riesce a coniugare gli opposti principi della continuità delle opere programmate e della effettività della tutela giurisdizionale (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, sentenza 9 luglio 2014, n. 1802).


APPALTI (EXPO' 2015): 
il T.A.R. di Milano riesce a coniugare
 gli opposti principi della continuità delle opere programmate e della effettività 
della tutela giurisdizionale 
(T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 
sentenza 9 luglio 2014, n. 1802). 



Il T.A.R. milanese emana una sentenza che, da un lato, salva le ragioni (economiche) della necessaria continuità nello svolgimento dei lavori previsti, e, dall'altro, le ragioni (giuridiche) della effettività della tutela giurisdizionale (di fronte alle indagini della Procura di Milano) nella vicenda "Expo Milano 2015".
Senza dubbio una delle pronunce più rilevanti della prima metà del 2014 "amministrativistico" (da leggere per intero dunque!).
Buona lettura.


Massima

1. Le clausole previste nel Protocollo di Legalità, la cui violazione è sanzionata con la risoluzione del contratto d’appalto, non costituiscono una generale dichiarazione di intenti, avendo, al contrario, piena rilevanza integrativa della regolamentazione della lex specialis (specie quando espressamente inserite o richiamate per relationem in quest'ultima). 
Sussiste, pertanto, la giurisdizione amministrativa e non l'ordinaria, atteso che la legge di gara è stata eterointegrata dalle viste disposizioni, per cui l’esercizio del potere di risoluzione non può essere degradato a vicenda di mero rilievo privatistico, estranea al tema del decidere.
2. Va accolta la censura secondo cui le condotte oggetto di accertamento da parte della Procura nell'ambito dell'inchiesta sull'Expo Milano 2015 costituiscono – in equiparazione ai nominati “casi di gravi violazioni” di cui all’art. 121 c.p.a. – causa di annullamento dell’aggiudicazione e caducazione del contratto, trattandosi di “sostanziale violazione dei principi di concorrenza”.
La prevista risoluzione del contratto, pertanto, troverebbe fondamento in una condotta congruamente emergente dalle indagini in corso (peraltro avvalorate dalle dichiarazioni confessorie di alcuni dei soggetti direttamente coinvolti nel sodalizio illecito d all'applicazione di misure cautelari), integrata dal non aver denunciato, o addirittura ad aver concorso a favorire, il condizionamento della procedura di gara, indipendentemente dalla consumazione del reato, risultando sufficiente il mero tentativo ai fini dell’alterazione della par condicio con gli altri concorrenti.
3. A seguito dell'annullamento giurisdizionale dell'aggiudicazione, residua in capo alla stazione appaltante il potere di disporre o meno dell'effetto risolutorio (potere che implica la sua responsabilizzazione nell’individuare le soluzioni che possano garantire la tempestiva conclusione delle opere appaltate in un quadro di equilibrata ponderazione tra legalità ed efficienza dei lavori).
3.1 L'assunzione di tale ruolo può essere disattesa per effetto di una malintesa interpretazione dell’art. 125 c.p.a., norma che sì ha valorizzato, oltre al “preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell’opera”, la necessità di una comparazione tra le ragioni del ricorrente e quelle del “soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure”, ma che comunque non può interpretarsi  nel senso di una dequotazione della trasparenza nelle gare d’appalto e dell’imperiosa esigenza che in sede giurisdizionale.
3.2 Né, quanto alla fattispecie di causa, può ammettersi che la potestà di esercitare il potere di risoluzione possa essere condizionata o addirittura inibita dalla speciale disciplina processuale (che esprime una preferenza, una volta stipulato il contratto, per la tutela risarcitoria)
3.3 Né alla risoluzione del contratto può ostare il fatto che le indagini parrebbero, allo stato, circoscritte alla posizione dell capogruppo mandataria, restando esclusa la società mandante 
Al riguardo, infatti, occorre considerare che il principio di immodificabilità soggettiva nelle procedure di affidamento degli appalti pubblici è finalizzato ad “assicurare alle amministrazioni aggiudicatici una conoscenza piena dei soggetti che intendono contrarre con esse, al precipuo fine di consentire un controllo preliminare e compiuto dei requisiti di idoneità morale, tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria dei concorrenti” (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 4 maggio 2012, n. 8).
Di conseguenza, gli effetti dell’annullamento dell’aggiudicazione, e l’eventuale decisione della stazione appaltante di risolvere il contratto, non possono che legittimamente estendersi all’impresa mandante.
3.4 Né, infine, la risoluzione contrattuale può essere impedita dall’avvio dei lavori e dall’avvenuto reclutamento, in attuazione del progetto esecutivo elaborato dal RTI capeggiato dalla società controinteressata, di imprese subappaltatrici di sua fiducia.
A tale proposito deve infatti precisarsi che, mentre le accertate condotte sono idonee a giustificare l’esclusione dalla gara dell’aggiudicatario, le stesse conseguenze non possono ascriversi alle imprese subappaltatrici, sussistendo in capo alla società di gestione dell’Expo il potere di autorizzazione al subappalto ai sensi del combinato disposto tra gli artt. 118 del D.lgs. 163/2006 e 170 del DPR 207/2010.
4. Si deve, pertanto, escludere che un nuovo affidamento dei lavori automaticamente comporterebbe la loro soluzione di continuità, soprattutto ove tale argomentazione sia assunta a sostegno di un contrario avviso alla possibile risoluzione del contratto d’appalto stipulato dalla stazione appaltante con il RTI aggiudicatario.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
I(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1812 del 2014, proposto da:
Costruzioni Perregrini s.r.l., Panzeri S.p.A., Milani Giovanni & C. s.r.l., rappresentate e difese dagli avv.ti Sergio Colombo ed Elvira Poscio, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, Via Cesare Battisti, 8
contro
Expo 2015 S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv.ti Guido Greco e Manuela Muscardini, con domicilio eletto presso il loro studio in Milano, Piazzale Lavater, 5;
Sala Giuseppe - Commissario unico del Governo per Expo 2015
nei confronti di
Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.A., rappresentata e difesa dall'avv. Carlo Cerami, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Galleria S.Babila, 4/A
per l'annullamento
dell’aggiudicazione definitiva dell’appalto integrato di progettazione ed esecuzione dei lavori di realizzazione delle architetture di servizio del sito Expo 2015 e di ogni atto presupposto, conseguente e connesso; per la dichiarazione di inefficacia e di caducazione del contratto di appalto stipulato in data 2.4.2014 tra la stazione appaltante e il RTI composto dall’Impresa di costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.A. (capogruppo mandataria) e la società cooperativa Cefla (mandante), nonché per il risarcimento dei danni derivanti dagli atti impugnati.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Expo 2015 S.p.A. e dell’Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.A.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2014 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con ricorso ritualmente proposto le società Costruzioni Perregrini s.r.l. (in proprio e in qualità di mandataria del costituendo RTI) e le imprese mandanti Panzeri S.p.A. e Milani Giovanni & C. s.r.l. hanno impugnato, chiedendone l’annullamento, l’aggiudicazione definitiva dell’appalto integrato di progettazione ed esecuzione dei lavori di realizzazione delle architetture di servizio del sito Expo 2015, con ulteriore domanda volta a ottenere la dichiarazione di inefficacia e la caducazione del contratto di appalto stipulato in data 4.2.2014 tra la stazione appaltante e il RTI composto dall’Impresa di costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.A. (capogruppo mandataria) e la società cooperativa Cefla (mandante), oltre, infine, al risarcimento dei danni derivanti dagli atti impugnati.
Hanno premesso, in particolare, di essersi classificate al secondo posto della graduatoria – con un distacco non sensibile, quanto all’offerta economica (0,40%), rispetto al RTI aggiudicatario – e di aver formulato alla società di gestione dell’Expo, in data 20.5.2014, una richiesta di risoluzione del contratto di appalto, di cui più sopra si è detto, motivata sulla scorta dei noti e recenti sviluppi dell’indagine condotta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano (riguardante la turbativa – consumata o, comunque, tentata – della procedura di affidamento oggetto del contendere), che ha condotto all’applicazione di misure di custodia cautelare nei confronti, tra l’altro, dell’amministratore unico dell’impresa mandataria del raggruppamento aggiudicatario e del responsabile del procedimento.
A fondamento dell’impugnazione le ricorrenti hanno dedotto:
1°) violazione della legge di gara, del Protocollo di Legalità del 13.2.2012 e dell’art. 1, comma 17 della legge 190/2012;
2°) sotto altro profilo, dell’art. 1, comma 17 della legge 190/2012, della legge di gara e dell’art. 38, comma 1, lett. h) del D.lgs. 163/2006.
La domanda risarcitoria è stata quantificata in €.5.500.000,00 a titolo di mancato utile, €. 165.000,00 a titolo di danno curriculare ed €. 200.000,00 per le spese di partecipazione alla gara.
Si è costituita in giudizio la società Expo 2015 S.p.A., che preliminarmente ha eccepito l’irricevibilità del ricorso sull’assunto che l’impugnata aggiudicazione definitiva è stata disposta in data 21.11.2013; sempre in via preliminare, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione e interesse ad agire, oltre che per difetto di giurisdizione; nel merito ha, invece, opposto: che “la vicenda dev’essere ricondotta nell’alveo applicativo dell’art. 135 del D.lgs. 163/06, che è espressamente richiamato anche dal contratto di appalto” (cfr. pag. 15); che l’esclusione del RTI aggiudicatario sarebbe, comunque, illegittima in difetto, ad oggi, di una condanna definitiva per fatti e comportamenti che sarebbero soltanto oggetto di una pendente indagine penale (ricavando tale argomentazione dal principio di verifica sostantiva previsto dall’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE, cfr. pagg. 17 – 18); che, infine, la sospensione dell’aggiudicazione inciderebbe sull’esecuzione dei lavori, determinando “effetti devastanti sull’intera manifestazione universale, compromettendola in radice” (cfr. pag. 25).
Si è, altresì, costituita in giudizio l’Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.A. (23.6.2014), la quale ha eccepito, anch’essa, la tardività del ricorso, nel merito opponendo che, alla luce dell’avvenuta stipulazione del contratto d’appalto, non sarebbe ammissibile né la domanda volta a ottenere la dichiarazione d’inefficacia dello stesso né quella correlata di subentro delle ricorrenti; che il Protocollo di Legalità, la cui applicazione è stata invocata da queste ultime nei due motivi di impugnazione, “non equipara affatto, sul piano delle conseguenze contrattuali, la violazione degli obblighi di cui all’art. 4 (…) all’emissione di un’informativa interdittiva antimafia c.d. tipica, qual è quella di cui agli artt. 87 e 90 del D.lgs. 159/2011” (cfr. pag. 19).
All’udienza in Camera di Consiglio del 25 giugno 2014 il Collegio ha preliminarmente acquisito il consenso delle parti a rinunciare ai termini previsti dall’art. 60 del codice del processo amministrativo per poter definire il giudizio nel merito, e la causa è stata trattenuta per la decisione dopo discussione da parte dei difensori.

DIRITTO
Il Collegio, in via preliminare, rileva l’infondatezza delle eccezioni preliminari opposte dalla società resistente e dalla capogruppo del RTI controinteressato.
È infondata l’eccezione di difetto di giurisdizione, motivata sull’assunto che la violazione delle clausole previste nel Protocollo di Legalità, sanzionata con la risoluzione del contratto d’appalto, riguarderebbe un rapporto paritetico tra la società di gestione dell’Expo e il RTI affidatario, la cui cognizione sarebbe avulsa dall’alveo della giurisdizione del Giudice Amministrativo in favore di quella ordinaria.
È palese, infatti, che la disciplina contenuta nel citato Protocollo non possa intendersi soltanto quale generale dichiarazione di intenti, avendo, al contrario, piena rilevanza integrativa della regolamentazione della lex specialis.
Tale disciplina è stata, infatti, recepita nelle previsioni del bando di gara (cfr. lett. gg), pag. 12); gli obblighi di informazione e denuncia previsti dalle clausole di cui prima si è detto, inoltre, sono espressamente richiamati nella lettera d’invito “a pena di esclusione” (pagg. 7 – 8) e nel contratto (cfr. art. 8, che, peraltro, fa rinvio alla “risoluzione automatica e revoca dell’affidamento” di cui all’art 4, comma 2 del Protocollo).
È, dunque, su tale fondamento che la legge di gara è stata eterointegrata dalle viste disposizioni, per cui l’esercizio del potere di risoluzione non può essere degradato a vicenda di mero rilievo privatistico, estranea al tema del decidere.
Ritiene, di contro, il Collegio che la cognizione sull’operatività o meno della clausola risolutiva espressa, prevista dal Protocollo di Legalità, rientri nel perimetro della giurisdizione amministrativa esclusiva, trattandosi di un profilo del decidere che attiene al disegno amministrativo a presidio della legalità dell’Evento universale.
Parimenti infondata è l’eccezione di irricevibilità del ricorso, riguardo alla quale occorre rilevare che la stazione appaltante ha avviato, subito dopo l’emissione dei provvedimenti di custodia cautelare nei confronti sia dell’amministratore unico dell’impresa capogruppo del RTI aggiudicatario sia del responsabile del procedimento (8.5.2014), un’istruttoria interna “tesa a verificare la sussistenza di elementi atti a sostenere l’eventuale esercizio del diritto di risoluzione del vincolo contrattuale o l’adozione di altri atti in via di autotutela”, conclusasi con la determinazione del 4.6.2014 del vice-direttore “construction & dismantling division” della società Expo 2015 S.p.A., con cui è stato preso atto “dell’insussistenza (…) di elementi in fatto e diritto sufficienti per risolvere il vincolo contrattuale in via di autotutela”.
Tale determinazione, e, soprattutto, gli eventi che ne hanno resa necessaria l’adozione, costituiscono, ad avviso del Collegio, fatti sopravvenuti, che hanno indotto l’urgente applicazione dei rimedi preventivamente fissati nel Protocollo di Legalità e negli atti di gara (bando, lettera d’invito, contratto), e che, dunque, rendono tempestiva la proposizione del ricorso (notificato in data 11.6.2014).
Neppure le eccezioni di carenza di legittimazione e di interesse a ricorrere, infine, possono essere condivise, dal momento che le ricorrenti hanno agito in qualità, rispettivamente, di mandataria e mandanti di un costituendo raggruppamento (cfr., in punto di legittimazione, Consiglio di Stato, sez. V, 18 ottobre 2011, n. 5571), e si sono classificate al secondo posto della graduatoria, vantando, perciò, un interesse concreto e attuale all’affidamento.
Oltre che ammissibile, il ricorso è fondato e va accolto, nei termini che seguono.
Va, in proposito, premesso che il Protocollo di Legalità, sottoscritto in data 13.2.2012 tra la Prefettura di Milano e la società Expo 2015 S.p.A. “in qualità di stazione appaltante”, oltre ad aver valorizzato interessi di rilievo generale a garanzia della legittimità delle procedure di affidamento, ha espressamente richiamato, in ottica prescrittiva, alcune disposizioni legislative preordinate a garantire la “trasparenza e la libera concorrenza nella realizzazione delle opere e degli interventi connessi allo svolgimento dell’Expo Milano 2015” (art. 3 quinquies del D.L. 135/2009, convertito in legge 166/2009).
In particolare, si è previsto, relativamente alle “dichiarazioni sostitutive allegate al disciplinare di gara, da rendere da parte del concorrente”:
a) l’impegno a “dare notizia senza ritardo alla Prefettura, dandone comunicazione a Expo 2015 S.p.A., di ogni tentativo di estorsione, intimidazione o condizionamento di natura criminale in qualunque forma esso si manifesti nei confronti dell’imprenditore (…) (richiesta di tangenti…)” (cfr. clausola n. 1);
b) l’impegno a “denunciare all’Autorità giudiziaria o agli organi di Polizia ogni illecita richiesta di denaro, prestazione o altra utilità (…) formulata prima della gara e/o dell’affidamento o nel corso dell’esecuzione dei lavori” (cfr. clausola n. 2).
Tale disciplina è stata, inoltre, compendiata dall’art. 4, comma 2, in cui è previsto che le clausole in questione siano inserite nei bandi di gara e che la violazione degli obblighi sopra citati “sia espressamente sanzionata ai sensi dell’art. 1456 c.c.” da parte della stazione appaltante, con richiamo anche nel contratto stipulato dal RTI aggiudicatario, nel quale, all’art. 8, si è dato atto che “l’appaltatore dichiara di conoscere integralmente e di accettare espressamente (…) c) i casi di risoluzione automatica del contratto o revoca dell’affidamento da parte di Expo”.
Nell’atto introduttivo del giudizio le ricorrenti hanno dedotto che tali previsioni sarebbero vincolanti, connettendo sul piano finalistico la disciplina del Protocollo di Legalità stipulato il 13.2.2012 alla successiva legge 6 novembre 2012, la quale, all’art. 1, comma 17, ha previsto che “le stazioni appaltanti possono prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisce causa di esclusione dalla gara”: ne deriverebbe – hanno soggiunto – l’esistenza di una base di diritto positivo idonea a giustificare l’esclusione del RTI aggiudicatario, l’annullamento dell’aggiudicazione e lo scorrimento della graduatoria (qualificato impropriamente dalle deducenti come “subentro”).
Con il primo motivo hanno dedotto che “sottoscrivendo la dichiarazione di adesione al Protocollo in sede di gara e contemporaneamente violandone le disposizioni, Maltauro ha formulato una falsa dichiarazione” (cfr. pag. 7) che sarebbe rilevante, ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. h) del D.lgs. 163/2006 (“aver presentato falsa dichiarazione o falsa documentazione in merito a requisiti e condizioni rilevanti per la partecipazione a procedure di gara”) ai fini della dedotta esclusione.
Tale censura è, tuttavia, infondata.
Le dichiarazioni di impegno sottese dalle clausole del Protocollo di Legalità, sebbene integrino la lex specialis (al punto che la loro omissione avrebbe dato luogo all’esclusione dalla gara), non riguardano, infatti, i requisiti di ordine generale di cui al citato art. 38.
La violazione degli obblighi dichiarativi dev’essere qualificata, invece, alla stregua di una contestuale smentita dell’impegno assunto nel corso del procedimento.
Passando al secondo, e più articolato, motivo le ricorrenti hanno dedotto che la stazione appaltante non avrebbe “posto in essere alcuna attività volta a ripristinare la legalità palesemente violata” (cfr. pag. 8), a ciò soggiungendo che le condotte oggetto di accertamento da parte della Procura costituirebbero – in equiparazione ai nominati “casi di gravi violazioni” di cui all’art. 121 del codice del processo amministrativo – causa di annullamento dell’aggiudicazione e caducazione del contratto, trattandosi di “sostanziale violazione dei principi di concorrenza” (cfr. pag. 10).
La prevista risoluzione del contratto, pertanto, troverebbe fondamento in una condotta congruamente emergente dalle indagini in corso (peraltro avvalorate dalle dichiarazioni confessorie di alcuni dei soggetti direttamente coinvolti nel sodalizio illecito), integrata dal non aver denunciato, o addirittura ad aver concorso a favorire, il condizionamento della procedura di gara, indipendentemente dalla consumazione del reato, risultando sufficiente il mero tentativo ai fini dell’alterazione della par condicio con gli altri concorrenti.
Tale motivo è fondato, essendo l’illegittimità dell’aggiudicazione comprovata dalle condotte inveratesi nella preordinata finalità di illecitamente condizionare il procedimento di gara.
Inequivocabili riscontri provengono, in particolare, dall’analisi degli atti di indagine che le ricorrenti hanno depositato in giudizio dopo averne ottenuto copia dalla Procura della Repubblica in accoglimento di un’apposita istanza di accesso del 16.6.2014.
Ferma restando l’evoluzione delle indagini in corso e l’individuazione di ulteriori capi di incolpazione, tale documentazione evidenzia:
a) la costituzione di una “associazione criminosa” – della quale avrebbero fatto parte, tra gli indagati, l’alto dirigente di Expo 2015 S.p.A. (e responsabile del procedimento di gara) dott. Angelo Paris e l’amministratore unico dott. Enrico Maltauro – finalizzata alla turbativa della procedura di gara in questione (artt. 353 e 353 bis del codice penale); e ciò mediante “corruzione, mediante promessa al pubblico ufficiale di avanzamenti in carriera” (da parte degli indagati formalmente estranei allo svolgimento della procedura) e la rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio (art. 326 del codice penale);
b) un’incidenza diretta delle condotte illecite in corso di accertamento sulla procedura di gara, tenuto conto che il responsabile del procedimento, dopo essere stato avvicinato da alcuni degli indagati, avrebbe addirittura finito “per condividere il programma criminoso “aperto” del sodalizio”, diventandone protagonista attivo; mentre, parallelamente, “gli altri sodali Maltauro e Greganti Primo, dal canto loro, si attivavano nei confronti dei commissari “amici” che immediatamente garantiscono un precostituito giudizio di favore circa l’offerta di Maltauro” (cfr. pag. 248);
c) il tentativo di condizionare la procedura, tale da comprometterne la trasparenza e legittimità, che ad avviso del Collegio è idoneamente integrato dal fatto che, dopo l’avvenuto avvicinamento del dirigente Expo, “il 29 ottobre 2013 (…) Frigerio e Paris Angelo hanno tra loro la prima riunione, sempre in luoghi non istituzionali bensì all’interno degli uffici della onlus “centro culturale Tommaso Moro”, e tra i due nasce immediatamente una “intesa illecita” addirittura definita da Ferigerio “strepitosa” al punto che il direttore generale chiede al sodale, prendendone nota, nominativi di imprese “sponsorizzate” dall’associazione [ criminosa ] e da favorire con riferimento alle successive gare Expo S.p.A.” (cfr. pag. 249).
Il concreto risultato delle descritte attività criminose è dunque stata l’aggiudicazione dell’appalto al RTI capeggiato dall’impresa di Costruzioni Giuseppe Maltauro, che quindi è da ritenere illegittima sia per un manifesto abuso della funzione amministrativa da parte degli organi della stazione appaltante (sulla scorta dei gravi indizi raccolti dalla Procura, si tratterebbe del responsabile del procedimento e dei commissari di gara), ben oltre i canoni tradizionali del vizio dell’eccesso di potere, sia in ragione dell’antigiuridica condotta imputata all’amministratore unico della società mandataria.
Quest’ultimo, secondo l’ipotesi di reato per cui sta procedendo l’organo inquirente, avrebbe intessuto dei rapporti preordinati ad ottenere l’affidamento, accettando di divenire parte integrante del ridetto sodalizio criminoso, nel contempo formalmente prestando, una volta iniziato il procedimento di gara, una infedele adesione al Protocollo di Legalità.
Il che, ad avviso del Collegio, si traduce in una condotta molto più grave rispetto alla “semplice” omissione di denuncia prescritta dalle clausole del Protocollo, che individuano, quale contenuto minimo per sostanziare la violazione dell’obbligo informativo, l’ipotesi del concorrente che sia stato coartato alla dazione di tangenti e che, ciononostante, si sia astenuto dal porre al corrente di tale illecita richiesta la Prefettura e l’Autorità giudiziaria.
Nel caso di specie, l’amministratore unico dell’impresa capogruppo consta, infatti, aver tenuto una condotta attiva, anzi propositiva, parimenti rilevante ai fini della mancata osservanza delle viste clausole, posto che in tali previsioni è stato fissato un principio volto a sanzionare lo scambio illecito di denaro, ovvero la prestazione di altre utilità (si fa espresso richiamo, ad esempio, all’assunzione di personale o al reclutamento di determinate imprese per lavorazioni, forniture e servizi) “prima della gara e/o dell’affidamento o nel corso dell’esecuzione dei lavori”.
Del resto, un’indiretta conferma della gravità delle condotte in questione è provenuta proprio dalla controinteressata, la quale ha prodotto in giudizio due deliberazioni assunte dal consiglio di amministrazione in data 16.6.2014, con le quali ha disposto, previo conferimento di apposito incarico professionale, di “promuovere nei confronti del dott. Enrico Maltauro azione di responsabilità di cui agli artt. 2392 e 2393 c.c.”; e ciò alla luce del fatto che quest’ultimo ha posto in essere una “palese violazione dei protocolli preventivi adottati dall’impresa ai sensi del D.lgs. 231/2001 ed in particolar modo del codice etico”.
È attendibile ritenere, perciò, che la procedura di gara, prim’ancora di aver avuto formale avvio, sia stata falsata e distorta da una pressione corruttiva connotata da illeciti accordi incidenti sulla sua legittimità e trasparenza, risultando incontestata – a prescindere dal giudizio di disvalore o di non definitivo accertamento della responsabilità penale, cui le parti hanno fatto riferimento nei loro scritti – l’avvenuta emersione di gravi indizi di colpevolezza circa il tentativo di condizionarne lo svolgimento e l’esito.
Conforta l’assunta conclusione il fatto che, a seguito di tali accertamenti, siano state emesse misure di custodia cautelare nei confronti dell’amministratore unico della società capogruppo del RTI aggiudicatario, nonché del responsabile del procedimento (Angelo Paris), il quale avrebbe reso ammissioni confessorie circa l’esistenza di un “sistema” di rapporti personali preordinato ad alterare la procedura di gara.
Non è, quindi, nella specie dubitabile che siano mancate le minime condizioni di trasparenza essenziali per l’efficiente espletamento della gara in questione.
Sul punto, la Sezione, nel definire un giudizio concernente un affidamento di Expo 2015, ha rilevato che “nel “considerando” n. 39 della Direttiva 2004/18/CE sia previsto che “la verifica dell'idoneità degli offerenti, nelle procedure aperte, e dei candidati, nelle procedure ristrette e negoziate con pubblicazione di un bando di gara nonché nel dialogo competitivo, e la loro selezione dovrebbero avvenire in condizioni di trasparenza”, conferma che la garanzia di procedure scevre da possibili illeciti (soprattutto per l’EXPO 2015) costituisca una precondizione di legittimità delle medesime”, per l’effetto statuendo l’illegittimità dell’aggiudicazione disposta in favore della concorrente aggiudicataria in violazione delle citate condizioni (cfr. sentenza 31 marzo 2014, n. 848).
Le accertate condotte – sostanziate da indizi gravi, che hanno giustificato la disposta custodia cautelare nei confronti dei soggetti più sopra indicati – non possono, quindi, che ritenersi contrastanti sia con il diritto comunitario che con il diritto nazionale, apparendo al Collegio non persuasiva la minimizzazione degli episodi opposta dalla società controinteressata sul solo presupposto che le indagini sarebbero pendenti, tenuto conto che l’efficienza causale di tali comportamenti sulla legittimità della procedura ha trovato conferma da parte dei diretti interessati.
Non è, di conseguenza, necessario attendere gli esiti dei futuri giudizi per affermare che la sensibile alterazione delle condizioni di par condicio tra i concorrenti integri un motivo sufficiente per disporre l’annullamento dell’aggiudicazione, quale rimedio finalizzato a costituire una frontiera più avanzata di tutela dell’Amministrazione contro i possibili abusi dei partecipanti alle procedure di evidenza pubblica.
Sotto tale profilo, l’odierno giudizio, pur presentando – come ha eccepito la società resistente – elementi di astratta somiglianza con la vicenda di cui alla causa R.G. 2957/2011 (nell’ambito della quale la Sezione ha emesso l’ordinanza collegiale n. 1982 del 26.7.2013, con cui ha disposto la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di quattro questioni pregiudiziali circa l’interpretazione dell’art. 45 della direttiva 2004/18/CE), evidenzia, però, una sostanziale differenza quanto alla rilevanza delle condotte oggetto di accertamento da parte della Magistratura penale.
La presente controversia pone, infatti, sul proscenio processuale la decisiva rilevanza di una preordinata attività di condizionamento della gara, non raffrontabile alla richiamata controversia, nella quale è sub judice – ai fini della pronuncia sulla legittimità dell’impugnato diniego di aggiudicazione definitiva di un appalto di servizi – l’incidenza di un reato di falsificazione di un documento di gara, che ha determinato il rinvio a giudizio del legale rappresentante della società ricorrente.
In ragione di quanto rilevato, merita, dunque, accoglimento la domanda di annullamento dell’impugnata aggiudicazione.
Il Collegio deve, a questo punto, procedere all’esame delle domande di caducazione del contratto d’appalto stipulato in data 4.2.2014 e di consequenziale subentro delle ricorrenti nell’affidamento, prospettato mediante la preventiva risoluzione contrattuale.
Le previsioni da considerare sono:
1) l’art. 4 del Protocollo di Legalità, in cui è stabilito che gli obblighi del rispetto delle sue clausole “siano inseriti anche nei contratti stipulati con appaltatore e che la violazione degli obblighi (…) sia espressamente sanzionata ai sensi dell’art. 1456 c.c.”, con preventiva accettazione, al successivo art. 7, del sistema sanzionatorio da parte dell’impresa aggiudicataria;
2) l’art. 5.4. della lettera d’invito, secondo cui “in caso di revoca o decadenza dall’aggiudicazione o di risoluzione del contratto stipulato con l’aggiudicatario, e fatta salva la facoltà di cui all’art. 81, comma 3 del D.lgs. 163/2006, l’Amministrazione aggiudicatrice si riserva la facoltà di aggiudicare la gara al concorrente che immediatamente lo segue nella graduatoria finale, previo il buon esito di ogni adempimento o verifica prevista per l’aggiudicatario, pena la decadenza anche della nuova aggiudicazione”;
3) l’art. 8 del contratto d’appalto, in cui si è dato atto che “l’appaltatore accetta espressamente e si obbliga a far accettare espressamente alle società e alle imprese subcontraenti e terze subcontraenti interessate: (…) c) i casi di risoluzione automatica del contratto o revoca dell’affidamento da parte di Expo o dell’appaltatore indicati all’articolo 2, commi 8 e 10, all’articolo 3, commi 2 e 3, e all’articolo 4, comma 2, dello stesso Protocollo di Legalità”.
Tali previsioni vanno, poi, coordinate con la disciplina del codice dei contratti di cui al D.lgs. 163/2006, e, principalmente, con l’art. 140, cui le ricorrenti sembrano aver fatto riferimento per dare contenuto alla previsione di cui all’art. 4, comma 2 del Protocollo di Legalità.
A tale inquadramento, la cui applicazione è stata dedotta a fondamento della domanda di caducazione del contratto d’appalto, la società Expo 2015 S.p.A. ha replicato, allegando:
a) che “la vicenda dev’essere ricondotta nell’alveo applicativo dell’art. 135 del D.lgs. 163/2006, che è espressamente richiamato anche dal contratto di appalto (art. 21.1, lett. b) e che, come è noto, si occupa dell’eventuale risoluzione del contratto per reati accertati” (cfr. pag. 15 della memoria del 23.6.2014), cosicché, non essendo intervenuto un accertamento definitivo, il contratto non sarebbe risolvibile;
b) che l’art. 125, comma 3 del codice del processo amministrativo (“ferma restando l’applicazione degli articoli 121 e 123, al di fuori dei casi in essi contemplati la sospensione o l’annullamento dell’affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato, e il risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente”) trova applicazione nelle “procedure di cui all’art. 140 del D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, come statuito dal 4° comma del medesimo art. 125 c.p.a.” (cfr. pag. 25).
Ciò premesso, va ricordato che la citata disposizione del Protocollo di Legalità, che autorizza la risoluzione ipso iure del contratto, ha eterointegrato la lex specialis, il che legittima la stazione appaltante a darvi corso tanto più alla luce dell’annullamento dell’impugnata aggiudicazione.
È noto, tuttavia, che tale potere sottenda l’esercizio di un diritto potestativo (come opposto dal difensore della società di gestione Expo nella propria memoria e come ribadito nel corso della discussione in Camera di Consiglio), ciò trovando fondamento non soltanto nella disciplina positiva, ma anche nell’elaborazione della giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ha statuito che “la risoluzione del contratto (…) non preclude l’esercizio della facoltà di recesso consentita dall’art. 1385 c.c. (…) dato che rientra nell’autonomia privata la facoltà di rinunciare agli effetti della risoluzione del contratto per inadempimento. In tal caso, tuttavia, vanno applicati i principi regolatori della materia del recesso, tra cui quello secondo cui esso può considerarsi legittimo solo nel presupposto che l’inadempimento dell’altra parte non sia di scarsa importanza” (cfr. Corte di Cassazione, sez. II, 25 ottobre 2010, n. 21838; id., sez. III, 24 novembre 2010, n. 23824).
L’affermazione del principio di disponibilità dell’effetto risolutorio, deponendo in favore di una prerogativa di carattere esclusivo in capo alla stazione appaltante, implica la sua responsabilizzazione nell’individuare le soluzioni che possano garantire la tempestiva conclusione delle opere appaltate in un quadro di equilibrata ponderazione tra legalità ed efficienza dei lavori.
Un siffatto ruolo, è, pertanto, intimamente connesso all’esercizio delle rilevanti funzioni assolte nell’ambito della gestione dell’Evento universale, né l’assunzione di tale ruolo può essere disattesa per effetto di una malintesa interpretazione dell’art. 125 del codice del processo amministrativo.
Tale disposizione, com’è noto, ha valorizzato, oltre al “preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell’opera”, la necessità di una comparazione tra le ragioni del ricorrente e quelle del “soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure”.
Non può, quindi, accreditarsi, sul piano generale, un’interpretazione della norma in questione nel senso di una dequotazione della trasparenza nelle gare d’appalto e dell’imperiosa esigenza che in sede giurisdizionale – e, prima ancora, da parte della stazione appaltante – sia assicurata la piena tutela dell’interesse pubblico a che gli appalti pubblici siano affidati a concorrenti sotto ogni profilo totalmente affidabili.
Né, quanto alla fattispecie di causa, può ammettersi che la potestà di esercitare il potere di risoluzione possa essere condizionata o addirittura inibita dalla speciale disciplina processuale (che esprime una preferenza, una volta stipulato il contratto, per la tutela risarcitoria), trascorrendo, come in effetti è avvenuto, in una situazione di inerzia (si consideri il mancato riscontro della società resistente alla nota del 20.5.2014), tanto più alla luce dell’avvenuto inquinamento della procedura, come inducono a ritenere i gravi indizi raccolti dalla Procura di Milano.
Né alla risoluzione del contratto può ostare il fatto che le indagini parrebbero, allo stato, circoscritte alla posizione dell’impresa di costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.A. (capogruppo mandataria), restando esclusa la società mandante Cefla società cooperativa.
Al riguardo, infatti, occorre considerare che il principio di immodificabilità soggettiva nelle procedure di affidamento degli appalti pubblici è finalizzato ad “assicurare alle amministrazioni aggiudicatici una conoscenza piena dei soggetti che intendono contrarre con esse, al precipuo fine di consentire un controllo preliminare e compiuto dei requisiti di idoneità morale, tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria dei concorrenti” (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 4 maggio 2012, n. 8; Id., sez. V, 3 agosto 2006, n. 5081; Id., sez. IV, 23 luglio 2007, n. 4101).
Di conseguenza, gli effetti dell’annullamento dell’aggiudicazione, e l’eventuale decisione della stazione appaltante di risolvere il contratto, non possono che legittimamente estendersi all’impresa mandante, la quale, per vero, avrebbe dovuto profondere maggiore accortezza nei confronti dell’impresa Maltauro per evitare che quest’ultima, per mezzo del proprio amministratore unico, quindi del soggetto posto al vertice delle strategie aziendali, ponesse in atto le condotte finalizzate all’illecito condizionamento della procedura di gara.
Né, infine, la risoluzione contrattuale può essere impedita dall’avvio dei lavori e dall’avvenuto reclutamento, in attuazione del progetto esecutivo elaborato dal RTI capeggiato dalla società controinteressata, di imprese subappaltatrici di sua fiducia.
A tale proposito deve infatti precisarsi che, mentre le accertate condotte sono idonee a giustificare l’esclusione dalla gara dell’aggiudicatario, le stesse conseguenze non possono ascriversi alle imprese subappaltatrici, sussistendo in capo alla società di gestione dell’Expo il potere di autorizzazione al subappalto ai sensi del combinato disposto tra gli artt. 118 del D.lgs. 163/2006 e 170 del DPR 207/2010.
Si deve, pertanto, escludere che un nuovo affidamento dei lavori automaticamente comporterebbe la loro soluzione di continuità, soprattutto ove tale argomentazione sia assunta a sostegno di un contrario avviso alla possibile risoluzione del contratto d’appalto stipulato dalla stazione appaltante con il RTI Maltauro.
Del resto, contrariamente a quanto sagacemente, ma infondatamente, sostenuto dalla società resistente e dalla controinteressata, costituisce principio generale di efficienza amministrativa quello secondo cui il contratto con il nuovo affidatario dei lavori debba avvenire alle medesime condizioni già proposte dall’originario aggiudicatario in sede in offerta, con immutato riferimento, quindi, sia ai profili tecnici che a quelli economico -finanziari del rapporto contrattuale.
Si tratta, infatti, di un principio di non esclusivo appannaggio della disciplina di cui all’art. 140 del D.lgs. 163/2006 (disposizione che regola l’affidamento dell’appalto in caso di fallimento dell'esecutore o risoluzione del contratto), costituendo canone di regolamentazione di altre fattispecie (es. in caso di prelazione del promotore non aggiudicatario di una procedura di project financing, cfr. art. 153, comma 19 del citato decreto).
Alla temuta interruzione dei lavori osterebbe, in ogni caso, l’espressa adesione del ricorrente a “confermare i rapporti contrattuali in essere con i fornitori e i subappaltatori attualmente già operativi” (cfr. pag. 16 del ricorso).
Alla sola stazione appaltante è, dunque, consentito di immediatamente risolvere il contratto stipulato con il RTI Giuseppe Maltauro S.p.A. – Cefla società cooperativa per rilevata violazione degli obblighi previsti dalle clausole fissate nel Protocollo di Legalità e recepite nella lettera d’invito, nonché per l’alterazione del naturale meccanismo di trasparenza e concorrenza della gara; il che determina l’infondatezza dell’assunto della società Expo 2015 S.p.A., ad avviso della quale non sarebbe emerso “alcun elemento certo che giustificasse la risoluzione del contratto” (cfr. pag. 5 memoria del 23.6.2014.
Vero appare invece il contrario, atteso che l’ordinamento giuridico riconosce alla pubblica Amministrazione il potere di agire in autotutela privatistica, com’è stato recentemente ribadito dall’Adunanza plenaria n. 14 del 20 giugno 2014, nella quale si è statuito, tra l’altro:
a) che “nella fase privatistica l’Amministrazione si pone (…) con la controparte in posizione di parità che però, è stato precisato, è tendenziale (Corte Cost. n. 53 e n. 43 citate), con ciò sintetizzando l’effetto delle disposizioni per cui, pur nel contesto di un rapporto paritetico, sono apprestate per l’Amministrazione norme speciali, derogatorie del diritto comune, definite di autotutela privatistica (Ad. Plen. 6 del 2014); ciò, evidentemente, perché l’attività dell’Amministrazione, pur se esercitata secondo moduli privatistici, è sempre volta al fine primario dell’interesse pubblico, con la conseguente previsione, su tale presupposto, di regole specifiche e distinte”;
b) che “la posizione dell’Amministrazione nella fase del procedimento di affidamento di lavori pubblici aperta con la stipulazione del contratto è definita dall’insieme delle norme comuni, civilistiche, e di quelle speciali, individuate dal codice dei contratti pubblici, operando l’Amministrazione, in forza di queste ultime in via non integralmente paritetica rispetto al contraente privato, fermo restando che le sue posizioni di specialità, essendo l’Amministrazione comunque parte di un rapporto che rimane privatistico, restano limitate alle singole norme che le prevedono”.
Nella specie, fermo restando che il potere di risoluzione del contratto resta nella sfera di disponibilità della società Expo 2015 S.p.A., deve essere debitamente osservato che parrebbero sussistere in concreto tutti i presupposti invocati dalle ricorrenti per ottenere l’affidamento.
Il RTI capeggiato dalla società Costruzioni Perregrini s.r.l., infatti, ha partecipato alla selezione sulla base del solo merito tecnico della relativa proposta; risulta aver superato la verifica sul possesso dei requisiti ex art. 48, comma 2 del D.lgs. 163/2006 (adempiendo alla richiesta della stazione appaltante del 22.10.2013); potrebbe fruire di un’oggettiva facilitazione nel subentro nell’esecuzione del contratto, dal momento che, in esito ad una diversa aggiudicazione, risulta avere nella stessa area Expo un proprio cantiere in esecuzione di un altro contratto di appalto (progettazione e realizzazione di manufatti cosiddetti “cluster” riso e cacao); si è, infine, dichiarato pronto e disponibile a seguire il progetto esecutivo in corso di attuazione e a dare continuità ai rapporti con le imprese subappaltatrici che, ad oggi, sono impegnate nei cantieri.
Sul piano oggettivo, poi, occorre considerare che lo stato di consistenza dei lavori risulta allo stato degli atti ancora embrionale.
Dall’esame delle opposte documentazioni prodotte si controverte tra il 4% cui si riferiscono i ricorrenti e il 10% cui, invece, ha fatto cenno la società controinteressata.
È, inoltre, non comprensibile per quali ragioni non sia stata svolta alcuna approfondita verifica in materia dalla stazione appaltante, tenuto conto che, nella determinazione del 4.6.2014 (a firma del vice-direttore “construction & dismantling division” della società Expo 2015 S.p.A.) non si è fatto riferimento agli stati di avanzamento (ma soltanto a generali richiami al cronoprogramma), ponendosi a fondamento dell’“insussistenza (…) di elementi in fatto e diritto sufficienti per risolvere il vincolo contrattuale in via di autotutela” delle argomentazioni di puro stile, come tali palesemente inattendibili.
In tale determinazione si è, in particolare, sostenuto:
a) che “dalle verifiche effettuate nell’ambito dell’istruttoria di cui trattasi non sono stati rilevati vizi estrinseci nella procedura di scelta del contraente, né sono emersi elementi sufficienti a motivare e sostenere l’avvio di un procedimento volto alla risoluzione del contratto in via di autotutela” (cfr. pag. 3): si tratta all’evidenza di giudizi opinabili, afferenti a profili giuridici e non tecnici, smentiti dalle norme del Protocollo di Legalità;
b) che si imponga, “viste le stringenti tempistiche di completamento dell’intero sito espositivo, la conseguente necessità di evitare qualunque soluzione di continuità nell’esecuzione dei lavori” (cfr. pag. 3): profilo di interesse pubblico peraltro egualmente garantibile, per le ragioni e con le modalità sopra illustrate, anche in caso di risoluzione del contratto con il RTI aggiudicatario e stipulazione, alle medesime condizioni, di un nuovo contratto con il RTI ricorrente;
c) che per fronteggiare la patologica situazione rilevata dalla Procura di Milano sarebbe sufficiente “un monitoraggio”, e ciò al fine di verificare, tra l’altro, l’emanazione di “indirizzi forniti dagli organi di governo della stazione appaltante” ed “eventuali informative rese da Prefettura o segnalazioni provenienti da altri enti di controllo”: propositi altrettanto manifestamente volti a differire ogni decisione e a renderla, con il trascorrere del tempo e il progredire dei lavori, obiettivamente inattuabile; senza contare che l’eventuale emissione di un’informativa prefettizia interdittiva provocherebbe una definitiva compromissione della posizione del RTI aggiudicatario ai sensi dell’art. 94, comma 2 del D.lgs. 159/2011.
Del pari infondate sono le argomentazioni difensive opposte al riguardo dalla società resistente, secondo cui si verserebbe in una fattispecie regolata dall’art. 135 del D.lgs. 163/2006, disposizione espressamente richiamata dall’art. 140 del medesimo decreto, e, quindi, suscettibile di essere sussunta nella disciplina di cui all’art. 125, comma 3 in forza del rinvio previsto dal successivo comma 4, lett. a).
A giudizio del Collegio, infatti, la risoluzione contrattuale ipso iure prevista dal Protocollo di Legalità esula dall’ambito di applicazione della citata disposizione, in quanto gli artt. 135 e 136 del codice dei contratti (cui l’art. 140, come si è detto, fa richiamo) si riferiscono a condanne definitive per specifici reati contro la pubblica Amministrazione (previsti dagli artt. 314, primo comma, 316, 316-bis, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 320 del codice penale, nonché per reati di usura, riciclaggio e frodi), alla sottoposizione a misure di prevenzione, nonché al grave inadempimento o a irregolarità dell’appaltatore.
Si tratta, infatti, di fattispecie diverse da quella oggetto dell’ipotesi di reato, come è agevole avvedersi dall’esame degli atti di indagine, i quali evidenziano che il disegno criminoso sarebbe stato preordinato alla commissione del reato di turbata libertà degli incanti (artt. 353 del codice penale, oltre all’art. 353 bis, che attiene a fattispecie simile, ma relativa alla fase di indizione della procedura), vero fine di tutta l’attività illecita posta in essere mediante la rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio (art. 326 del codice penale) e altri reati, tra cui anche la corruzione.
Il reato di turbata libertà degli incanti, oggetto del pendente accertamento, costituisce, in particolare, una fattispecie plurisoggettiva che si realizza nella conclusione di un accordo clandestino finalizzato alla dolosa alterazione di una procedura di una gara, in attuazione del quale ciascuna delle parti assume un preciso impegno volto a conseguire il risultato della condotta illecita.
La sussunzione di tale reato nella disciplina di cui all’art. 140 del citato decreto, quindi, non è ammissibile in applicazione del divieto di analogia in malam partem (combinato disposto tra l’art. 14 delle preleggi e l’art. 25, comma 2 della Costituzione), il quale postula la non punibilità di fattispecie non espressamente previste dalla norma incriminatrice.
A tale stregua deve, perciò, affermarsi che la risoluzione del contratto, prevista dal Protocollo, appare una soluzione congrua per la società Expo 2015 S.p.A., la quale, immediatamente dopo o addirittura in modo contestuale, potrebbe stipulare un nuovo contratto con il concorrente che segue in graduatoria, ossia il RTI ricorrente, escludendo qualsiasi rinegoziazione economica e variante tecnica al programma dei lavori in corso; non è, quindi, condivisibile l’assunto della società resistente, secondo la quale il subentro sarebbe “assolutamente inimmaginabile, dal punto di vista tecnico e giuridico”, cfr. pag. 25).
Insomma, non sussiste giuridica preclusione alla possibilità che le imprese fornitrici e subappaltatrici, ad oggi direttamente coinvolte nell’esecuzione dei lavori, continuino ad operare in loco, garantendo i tempi di consegna e l’ultimazione delle opere.
Di contro, la prosecuzione della conduzione della commessa da parte del RTI aggiudicatario darebbe sostanza a una manifesta violazione del principio di legalità e trasparenza degli appalti pubblici, ponendo, inoltre, le premesse giuridiche per il riconoscimento del diritto all’erogazione del corrispettivo contrattuale a un soggetto immeritevole e inaffidabile, oltre che per un cospicuo risarcimento del danno a favore del ricorrente RTI.
L’art. 7, comma 4 del Protocollo di Legalità ha, infatti, previsto che “la risoluzione automatica del contratto, la revoca dell’affidamento e dell’autorizzazione al subappalto non comportano obblighi di carattere indennitario né risarcitorio a carico di Expo, né a carico dell’appaltatore/subcontraente, fatto salvo il pagamento dell’attività prestata”.
Ciò significa che, se il rapporto contrattuale dovesse continuare a produrre effetti tra le parti contraenti, il comportamento della stazione appaltante rischierebbe di proiettare sull’Evento universale un’ombra cupa, delineata dall’ammessa incapacità di far fronte a fenomeni di permeabilità del malaffare.
Resta infine, da soggiungere che neppure il decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, entrato in vigore poche ore prima dello svolgimento dell’udienza in Camera di Consiglio, pare poter favorire una rapida soluzione operativa, essendosi in esso previsto, tra le misure straordinarie di prevenzione della corruzione nei pubblici appalti (cfr. art. 32), che in caso di pendenti indagini penali per l’accertamento di vari reati (tra i quali anche la turbativa delle procedure di evidenza pubblica, cui l’art. 140 del D.lgs. 163/2006, invece, non fa richiamo), vi sia, da parte del Presidente dell’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione), una proposta al Prefetto competente di adozione, alternativamente, di provvedimenti di rinnovazione degli organi sociali (mediante sostituzione), ovvero – in ipotesi di inerzia o su diretta iniziativa di quest’ultimo – l’assunzione della gestione “straordinaria o temporanea dell’impresa appaltatrice limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto oggetto del procedimento penale”, cui sarebbero preposti appositi amministratori con tutti i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione oggetto dell’attività di commissariamento.
Si tratterebbe, peraltro, di una soluzione:
a) che nulla aggiungerebbe, in termini di speditezza ed efficienza, all’ipotesi di stipulazione del contratto con il RTI ricorrente, dovendosi considerare che quest’ultimo, avendo elaborato l’offerta per l’appalto in questione, conosce in modo approfondito lo stato dei luoghi, la natura dei lavori e il cronoprogramma degli stessi;
b) che non potrebbe garantire la definizione degli insorti conflitti, dal momento che l’eventuale provvedimento emesso dal Prefetto in accoglimento della proposta del Presidente dell’ANAC potrebbe essere oggetto di impugnazione e incidere ancor di più sui tempi di consegna delle opere.
In conclusione, il Collegio accoglie la domanda di annullamento dell’impugnata aggiudicazione, nei sensi espressi in motivazione, rinviando la trattazione della domanda risarcitoria all’udienza pubblica del 17.12.2014, riservata restando a tale fase ogni statuizione sulle spese processuali.

P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I)
non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie la domanda di annullamento dell’impugnata aggiudicazione, nei sensi espressi in motivazione.
Rinvia per la trattazione della domanda risarcitoria all’udienza pubblica del 17.12.2014, riservata restando a tale fase la statuizione sulle spese processuali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Mariuzzo, Presidente
Dario Simeoli, Primo Referendario
Angelo Fanizza, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/07/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)