APPALTI (EXPO' 2015):
il T.A.R. di Milano riesce a coniugare
gli opposti principi della continuità delle opere programmate e della effettività
della tutela giurisdizionale
(T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I,
sentenza 9 luglio 2014, n. 1802).
Il T.A.R. milanese emana una sentenza che, da un lato, salva le ragioni (economiche) della necessaria continuità nello svolgimento dei lavori previsti, e, dall'altro, le ragioni (giuridiche) della effettività della tutela giurisdizionale (di fronte alle indagini della Procura di Milano) nella vicenda "Expo Milano 2015".
Senza dubbio una delle pronunce più rilevanti della prima metà del 2014 "amministrativistico" (da leggere per intero dunque!).
Buona lettura.
Massima
1. Le clausole previste nel Protocollo di Legalità, la cui violazione
è sanzionata con la risoluzione del contratto d’appalto, non costituiscono una generale dichiarazione di intenti,
avendo, al contrario, piena rilevanza integrativa della regolamentazione
della lex specialis (specie quando espressamente
inserite o richiamate per
relationem in quest'ultima).
Sussiste, pertanto, la giurisdizione amministrativa e non
l'ordinaria, atteso che la legge di gara è stata eterointegrata dalle
viste disposizioni, per cui l’esercizio del potere di risoluzione non può
essere degradato a vicenda di mero rilievo privatistico, estranea al tema del
decidere.
2. Va accolta la censura secondo cui le condotte oggetto di accertamento da parte della Procura
nell'ambito dell'inchiesta sull'Expo Milano 2015 costituiscono – in
equiparazione ai nominati “casi di gravi violazioni” di cui all’art. 121 c.p.a.
– causa di annullamento dell’aggiudicazione e caducazione del contratto,
trattandosi di “sostanziale violazione dei principi di concorrenza”.
La prevista risoluzione del contratto, pertanto, troverebbe
fondamento in una condotta congruamente emergente dalle indagini in corso
(peraltro avvalorate dalle dichiarazioni confessorie di alcuni dei soggetti
direttamente coinvolti nel sodalizio illecito d all'applicazione di misure
cautelari), integrata dal non aver denunciato, o addirittura ad aver concorso a
favorire, il condizionamento della procedura di gara, indipendentemente dalla
consumazione del reato, risultando sufficiente il mero tentativo ai fini
dell’alterazione della par condicio con gli altri concorrenti.
3. A seguito dell'annullamento giurisdizionale dell'aggiudicazione,
residua in capo alla stazione appaltante il potere di disporre o meno
dell'effetto risolutorio (potere che implica la sua responsabilizzazione nell’individuare
le soluzioni che possano garantire la tempestiva conclusione delle opere
appaltate in un quadro di equilibrata ponderazione tra legalità ed efficienza
dei lavori).
3.1 L'assunzione
di tale ruolo può essere disattesa per effetto di una malintesa interpretazione
dell’art. 125 c.p.a., norma che sì ha valorizzato, oltre al “preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione
dell’opera”, la necessità di una comparazione
tra le ragioni del ricorrente e quelle del “soggetto
aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure”, ma che comunque non può interpretarsi nel senso di
una dequotazione della trasparenza nelle gare d’appalto e dell’imperiosa
esigenza che in sede giurisdizionale.
3.2 Né, quanto alla fattispecie di causa, può ammettersi che la
potestà di esercitare il potere di risoluzione possa essere condizionata o
addirittura inibita dalla speciale disciplina processuale (che esprime una
preferenza, una volta stipulato il contratto, per la tutela risarcitoria)
3.3 Né alla risoluzione del contratto può ostare il fatto che le
indagini parrebbero, allo stato, circoscritte alla posizione dell capogruppo
mandataria, restando esclusa la società mandante
Al riguardo, infatti, occorre considerare che il principio di
immodificabilità soggettiva nelle procedure di affidamento degli appalti
pubblici è finalizzato ad “assicurare alle amministrazioni aggiudicatici una
conoscenza piena dei soggetti che intendono contrarre con esse, al precipuo fine
di consentire un controllo preliminare e compiuto dei requisiti di idoneità
morale, tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria dei concorrenti” (cfr.
Consiglio di Stato, Ad. Plen., 4 maggio 2012, n. 8).
Di conseguenza, gli effetti dell’annullamento dell’aggiudicazione,
e l’eventuale decisione della stazione appaltante di risolvere il contratto,
non possono che legittimamente estendersi all’impresa mandante.
3.4 Né,
infine, la risoluzione contrattuale può essere impedita dall’avvio dei lavori e
dall’avvenuto reclutamento, in attuazione del progetto esecutivo elaborato dal
RTI capeggiato dalla società controinteressata, di imprese subappaltatrici di
sua fiducia.
A tale proposito deve infatti precisarsi che, mentre le accertate
condotte sono idonee a giustificare l’esclusione dalla gara
dell’aggiudicatario, le
stesse conseguenze non possono ascriversi alle imprese subappaltatrici,
sussistendo in capo alla società di gestione dell’Expo il potere di
autorizzazione al subappalto ai sensi del combinato disposto tra gli artt. 118
del D.lgs. 163/2006 e 170 del DPR 207/2010.
4. Si deve,
pertanto, escludere che un nuovo affidamento dei lavori automaticamente
comporterebbe la loro soluzione di continuità, soprattutto ove tale
argomentazione sia assunta a sostegno di un contrario avviso alla possibile
risoluzione del contratto d’appalto stipulato dalla stazione appaltante con il
RTI aggiudicatario.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
la Lombardia
I(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1812 del 2014, proposto da:
Costruzioni Perregrini s.r.l., Panzeri S.p.A., Milani Giovanni & C. s.r.l., rappresentate e difese dagli avv.ti Sergio Colombo ed Elvira Poscio, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, Via Cesare Battisti, 8
sul ricorso numero di registro generale 1812 del 2014, proposto da:
Costruzioni Perregrini s.r.l., Panzeri S.p.A., Milani Giovanni & C. s.r.l., rappresentate e difese dagli avv.ti Sergio Colombo ed Elvira Poscio, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, Via Cesare Battisti, 8
contro
Expo 2015 S.p.A., rappresentata e difesa
dagli avv.ti Guido Greco e Manuela Muscardini, con domicilio eletto presso il
loro studio in Milano, Piazzale Lavater, 5;
Sala Giuseppe - Commissario unico del Governo per Expo 2015
Sala Giuseppe - Commissario unico del Governo per Expo 2015
nei confronti di
Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro
S.p.A., rappresentata e difesa dall'avv. Carlo Cerami, con domicilio eletto
presso il suo studio in Milano, Galleria S.Babila, 4/A
per l'annullamento
dell’aggiudicazione definitiva
dell’appalto integrato di progettazione ed esecuzione dei lavori di realizzazione
delle architetture di servizio del sito Expo 2015 e di ogni atto presupposto,
conseguente e connesso; per la dichiarazione di inefficacia e di caducazione
del contratto di appalto stipulato in data 2.4.2014 tra la stazione appaltante
e il RTI composto dall’Impresa di costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.A.
(capogruppo mandataria) e la società cooperativa Cefla (mandante), nonché per
il risarcimento dei danni derivanti dagli atti impugnati.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio
di Expo 2015 S.p.A. e dell’Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.A.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del
giorno 25 giugno 2014 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori
come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art.
60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
FATTO
Con ricorso ritualmente proposto le
società Costruzioni Perregrini s.r.l. (in proprio e in qualità di mandataria
del costituendo RTI) e le imprese mandanti Panzeri S.p.A. e Milani Giovanni
& C. s.r.l. hanno impugnato, chiedendone l’annullamento, l’aggiudicazione
definitiva dell’appalto integrato di progettazione ed esecuzione dei lavori di
realizzazione delle architetture di servizio del sito Expo 2015, con ulteriore
domanda volta a ottenere la dichiarazione di inefficacia e la caducazione del
contratto di appalto stipulato in data 4.2.2014 tra la stazione appaltante e il
RTI composto dall’Impresa di costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.A. (capogruppo
mandataria) e la società cooperativa Cefla (mandante), oltre, infine, al
risarcimento dei danni derivanti dagli atti impugnati.
Hanno premesso, in particolare, di essersi
classificate al secondo posto della graduatoria – con un distacco non
sensibile, quanto all’offerta economica (0,40%), rispetto al RTI aggiudicatario
– e di aver formulato alla società di gestione dell’Expo, in data 20.5.2014,
una richiesta di risoluzione del contratto di appalto, di cui più sopra si è
detto, motivata sulla scorta dei noti e recenti sviluppi dell’indagine condotta
dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano (riguardante la
turbativa – consumata o, comunque, tentata – della procedura di affidamento
oggetto del contendere), che ha condotto all’applicazione di misure di custodia
cautelare nei confronti, tra l’altro, dell’amministratore unico dell’impresa
mandataria del raggruppamento aggiudicatario e del responsabile del
procedimento.
A fondamento dell’impugnazione le
ricorrenti hanno dedotto:
1°) violazione della legge di gara, del
Protocollo di Legalità del 13.2.2012 e dell’art. 1, comma 17 della legge
190/2012;
2°) sotto altro profilo, dell’art. 1,
comma 17 della legge 190/2012, della legge di gara e dell’art. 38, comma 1,
lett. h) del D.lgs. 163/2006.
La domanda risarcitoria è stata
quantificata in €.5.500.000,00 a titolo di mancato utile, €. 165.000,00 a
titolo di danno curriculare ed €. 200.000,00 per le spese di partecipazione
alla gara.
Si è costituita in giudizio la società
Expo 2015 S.p.A., che preliminarmente ha eccepito l’irricevibilità del ricorso
sull’assunto che l’impugnata aggiudicazione definitiva è stata disposta in data
21.11.2013; sempre in via preliminare, ha eccepito l’inammissibilità del
ricorso per carenza di legittimazione e interesse ad agire, oltre che per
difetto di giurisdizione; nel merito ha, invece, opposto: che “la vicenda
dev’essere ricondotta nell’alveo applicativo dell’art. 135 del D.lgs. 163/06,
che è espressamente richiamato anche dal contratto di appalto” (cfr. pag.
15); che l’esclusione del RTI aggiudicatario sarebbe, comunque, illegittima in
difetto, ad oggi, di una condanna definitiva per fatti e comportamenti che
sarebbero soltanto oggetto di una pendente indagine penale (ricavando tale
argomentazione dal principio di verifica sostantiva previsto dall’art. 45 della
Direttiva 2004/18/CE, cfr. pagg. 17 – 18); che, infine, la sospensione
dell’aggiudicazione inciderebbe sull’esecuzione dei lavori, determinando “effetti
devastanti sull’intera manifestazione universale, compromettendola in radice”
(cfr. pag. 25).
Si è, altresì, costituita in giudizio
l’Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.A. (23.6.2014), la quale ha
eccepito, anch’essa, la tardività del ricorso, nel merito opponendo che, alla
luce dell’avvenuta stipulazione del contratto d’appalto, non sarebbe
ammissibile né la domanda volta a ottenere la dichiarazione d’inefficacia dello
stesso né quella correlata di subentro delle ricorrenti; che il Protocollo di
Legalità, la cui applicazione è stata invocata da queste ultime nei due motivi
di impugnazione, “non equipara affatto, sul piano delle conseguenze
contrattuali, la violazione degli obblighi di cui all’art. 4 (…) all’emissione
di un’informativa interdittiva antimafia c.d. tipica, qual è quella di cui agli
artt. 87 e 90 del D.lgs. 159/2011” (cfr. pag. 19).
All’udienza in Camera di Consiglio del 25
giugno 2014 il Collegio ha preliminarmente acquisito il consenso delle parti a
rinunciare ai termini previsti dall’art. 60 del codice del processo
amministrativo per poter definire il giudizio nel merito, e la causa è stata
trattenuta per la decisione dopo discussione da parte dei difensori.
DIRITTO
Il Collegio, in via preliminare, rileva
l’infondatezza delle eccezioni preliminari opposte dalla società resistente e
dalla capogruppo del RTI controinteressato.
È infondata l’eccezione di difetto di
giurisdizione, motivata sull’assunto che la violazione delle clausole previste
nel Protocollo di Legalità, sanzionata con la risoluzione del contratto
d’appalto, riguarderebbe un rapporto paritetico tra la società di gestione
dell’Expo e il RTI affidatario, la cui cognizione sarebbe avulsa dall’alveo
della giurisdizione del Giudice Amministrativo in favore di quella ordinaria.
È palese, infatti, che la disciplina
contenuta nel citato Protocollo non possa intendersi soltanto quale generale
dichiarazione di intenti, avendo, al contrario, piena rilevanza integrativa della
regolamentazione della lex specialis.
Tale disciplina è stata, infatti, recepita
nelle previsioni del bando di gara (cfr. lett. gg), pag. 12); gli obblighi di
informazione e denuncia previsti dalle clausole di cui prima si è detto,
inoltre, sono espressamente richiamati nella lettera d’invito “a pena di
esclusione” (pagg. 7 – 8) e nel contratto (cfr. art. 8, che, peraltro, fa
rinvio alla “risoluzione automatica e revoca dell’affidamento” di cui
all’art 4, comma 2 del Protocollo).
È, dunque, su tale fondamento che la legge
di gara è stata eterointegrata dalle viste disposizioni, per cui l’esercizio
del potere di risoluzione non può essere degradato a vicenda di mero rilievo
privatistico, estranea al tema del decidere.
Ritiene, di contro, il Collegio che la
cognizione sull’operatività o meno della clausola risolutiva espressa, prevista
dal Protocollo di Legalità, rientri nel perimetro della giurisdizione
amministrativa esclusiva, trattandosi di un profilo del decidere che attiene al
disegno amministrativo a presidio della legalità dell’Evento universale.
Parimenti infondata è l’eccezione di
irricevibilità del ricorso, riguardo alla quale occorre rilevare che la
stazione appaltante ha avviato, subito dopo l’emissione dei provvedimenti di
custodia cautelare nei confronti sia dell’amministratore unico dell’impresa
capogruppo del RTI aggiudicatario sia del responsabile del procedimento
(8.5.2014), un’istruttoria interna “tesa a verificare la sussistenza di
elementi atti a sostenere l’eventuale esercizio del diritto di risoluzione del
vincolo contrattuale o l’adozione di altri atti in via di autotutela”,
conclusasi con la determinazione del 4.6.2014 del vice-direttore “construction
& dismantling division” della società Expo 2015 S.p.A., con cui è stato
preso atto “dell’insussistenza (…) di elementi in fatto e diritto
sufficienti per risolvere il vincolo contrattuale in via di autotutela”.
Tale determinazione, e, soprattutto, gli
eventi che ne hanno resa necessaria l’adozione, costituiscono, ad avviso del
Collegio, fatti sopravvenuti, che hanno indotto l’urgente applicazione dei
rimedi preventivamente fissati nel Protocollo di Legalità e negli atti di gara
(bando, lettera d’invito, contratto), e che, dunque, rendono tempestiva la
proposizione del ricorso (notificato in data 11.6.2014).
Neppure le eccezioni di carenza di
legittimazione e di interesse a ricorrere, infine, possono essere condivise,
dal momento che le ricorrenti hanno agito in qualità, rispettivamente, di
mandataria e mandanti di un costituendo raggruppamento (cfr., in punto di
legittimazione, Consiglio di Stato, sez. V, 18 ottobre 2011, n. 5571), e si
sono classificate al secondo posto della graduatoria, vantando, perciò, un
interesse concreto e attuale all’affidamento.
Oltre che ammissibile, il ricorso è
fondato e va accolto, nei termini che seguono.
Va, in proposito, premesso che il
Protocollo di Legalità, sottoscritto in data 13.2.2012 tra la Prefettura di
Milano e la società Expo 2015 S.p.A. “in qualità di stazione appaltante”,
oltre ad aver valorizzato interessi di rilievo generale a garanzia della
legittimità delle procedure di affidamento, ha espressamente richiamato, in
ottica prescrittiva, alcune disposizioni legislative preordinate a garantire la
“trasparenza e la libera concorrenza nella realizzazione delle opere e degli
interventi connessi allo svolgimento dell’Expo Milano 2015” (art. 3 quinquies del
D.L. 135/2009, convertito in legge 166/2009).
In particolare, si è previsto,
relativamente alle “dichiarazioni sostitutive allegate al disciplinare di
gara, da rendere da parte del concorrente”:
a) l’impegno a “dare notizia senza
ritardo alla Prefettura, dandone comunicazione a Expo 2015 S.p.A., di ogni
tentativo di estorsione, intimidazione o condizionamento di natura criminale in
qualunque forma esso si manifesti nei confronti dell’imprenditore (…)
(richiesta di tangenti…)” (cfr. clausola n. 1);
b) l’impegno a “denunciare all’Autorità
giudiziaria o agli organi di Polizia ogni illecita richiesta di denaro,
prestazione o altra utilità (…) formulata prima della gara e/o dell’affidamento
o nel corso dell’esecuzione dei lavori” (cfr. clausola n. 2).
Tale disciplina è stata, inoltre,
compendiata dall’art. 4, comma 2, in cui è previsto che le clausole in
questione siano inserite nei bandi di gara e che la violazione degli obblighi
sopra citati “sia espressamente sanzionata ai sensi dell’art. 1456 c.c.”
da parte della stazione appaltante, con richiamo anche nel contratto stipulato
dal RTI aggiudicatario, nel quale, all’art. 8, si è dato atto che “l’appaltatore
dichiara di conoscere integralmente e di accettare espressamente (…) c) i casi
di risoluzione automatica del contratto o revoca dell’affidamento da parte di
Expo”.
Nell’atto introduttivo del giudizio le
ricorrenti hanno dedotto che tali previsioni sarebbero vincolanti, connettendo
sul piano finalistico la disciplina del Protocollo di Legalità stipulato il
13.2.2012 alla successiva legge 6 novembre 2012, la quale, all’art. 1, comma
17, ha previsto che “le stazioni appaltanti possono prevedere negli avvisi, bandi
di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole contenute
nei protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisce causa di
esclusione dalla gara”: ne deriverebbe – hanno soggiunto – l’esistenza di
una base di diritto positivo idonea a giustificare l’esclusione del RTI
aggiudicatario, l’annullamento dell’aggiudicazione e lo scorrimento della
graduatoria (qualificato impropriamente dalle deducenti come “subentro”).
Con il primo motivo hanno dedotto che “sottoscrivendo
la dichiarazione di adesione al Protocollo in sede di gara e contemporaneamente
violandone le disposizioni, Maltauro ha formulato una falsa dichiarazione”
(cfr. pag. 7) che sarebbe rilevante, ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. h)
del D.lgs. 163/2006 (“aver presentato falsa dichiarazione o falsa
documentazione in merito a requisiti e condizioni rilevanti per la
partecipazione a procedure di gara”) ai fini della dedotta esclusione.
Tale censura è, tuttavia, infondata.
Le dichiarazioni di impegno sottese dalle
clausole del Protocollo di Legalità, sebbene integrino la lex specialis (al
punto che la loro omissione avrebbe dato luogo all’esclusione dalla gara), non
riguardano, infatti, i requisiti di ordine generale di cui al citato art. 38.
La violazione degli obblighi dichiarativi
dev’essere qualificata, invece, alla stregua di una contestuale smentita
dell’impegno assunto nel corso del procedimento.
Passando al secondo, e più articolato,
motivo le ricorrenti hanno dedotto che la stazione appaltante non avrebbe “posto
in essere alcuna attività volta a ripristinare la legalità palesemente violata”
(cfr. pag. 8), a ciò soggiungendo che le condotte oggetto di accertamento da
parte della Procura costituirebbero – in equiparazione ai nominati “casi di
gravi violazioni” di cui all’art. 121 del codice del processo
amministrativo – causa di annullamento dell’aggiudicazione e caducazione del
contratto, trattandosi di “sostanziale violazione dei principi di
concorrenza” (cfr. pag. 10).
La prevista risoluzione del contratto,
pertanto, troverebbe fondamento in una condotta congruamente emergente dalle
indagini in corso (peraltro avvalorate dalle dichiarazioni confessorie di
alcuni dei soggetti direttamente coinvolti nel sodalizio illecito), integrata
dal non aver denunciato, o addirittura ad aver concorso a favorire, il
condizionamento della procedura di gara, indipendentemente dalla consumazione
del reato, risultando sufficiente il mero tentativo ai fini dell’alterazione
della par condicio con gli altri concorrenti.
Tale motivo è fondato, essendo
l’illegittimità dell’aggiudicazione comprovata dalle condotte inveratesi nella
preordinata finalità di illecitamente condizionare il procedimento di gara.
Inequivocabili riscontri provengono, in
particolare, dall’analisi degli atti di indagine che le ricorrenti hanno
depositato in giudizio dopo averne ottenuto copia dalla Procura della
Repubblica in accoglimento di un’apposita istanza di accesso del 16.6.2014.
Ferma restando l’evoluzione delle indagini
in corso e l’individuazione di ulteriori capi di incolpazione, tale
documentazione evidenzia:
a) la costituzione di una “associazione
criminosa” – della quale avrebbero fatto parte, tra gli indagati, l’alto
dirigente di Expo 2015 S.p.A. (e responsabile del procedimento di gara) dott.
Angelo Paris e l’amministratore unico dott. Enrico Maltauro – finalizzata alla turbativa
della procedura di gara in questione (artt. 353 e 353 bis del codice penale); e
ciò mediante “corruzione, mediante promessa al pubblico ufficiale di
avanzamenti in carriera” (da parte degli indagati formalmente estranei allo
svolgimento della procedura) e la rivelazione e utilizzazione di segreti di
ufficio (art. 326 del codice penale);
b) un’incidenza diretta delle condotte
illecite in corso di accertamento sulla procedura di gara, tenuto conto che il
responsabile del procedimento, dopo essere stato avvicinato da alcuni degli
indagati, avrebbe addirittura finito “per condividere il programma criminoso
“aperto” del sodalizio”, diventandone protagonista attivo; mentre,
parallelamente, “gli altri sodali Maltauro e Greganti Primo, dal canto loro,
si attivavano nei confronti dei commissari “amici” che immediatamente
garantiscono un precostituito giudizio di favore circa l’offerta di Maltauro”
(cfr. pag. 248);
c) il tentativo di condizionare la
procedura, tale da comprometterne la trasparenza e legittimità, che ad avviso
del Collegio è idoneamente integrato dal fatto che, dopo l’avvenuto
avvicinamento del dirigente Expo, “il 29 ottobre 2013 (…) Frigerio e Paris
Angelo hanno tra loro la prima riunione, sempre in luoghi non istituzionali
bensì all’interno degli uffici della onlus “centro culturale Tommaso Moro”, e
tra i due nasce immediatamente una “intesa illecita” addirittura definita da
Ferigerio “strepitosa” al punto che il direttore generale chiede al sodale,
prendendone nota, nominativi di imprese “sponsorizzate” dall’associazione [
criminosa ] e da favorire con riferimento alle successive gare Expo
S.p.A.” (cfr. pag. 249).
Il concreto risultato delle descritte
attività criminose è dunque stata l’aggiudicazione dell’appalto al RTI
capeggiato dall’impresa di Costruzioni Giuseppe Maltauro, che quindi è da
ritenere illegittima sia per un manifesto abuso della funzione amministrativa
da parte degli organi della stazione appaltante (sulla scorta dei gravi indizi
raccolti dalla Procura, si tratterebbe del responsabile del procedimento e dei
commissari di gara), ben oltre i canoni tradizionali del vizio dell’eccesso di
potere, sia in ragione dell’antigiuridica condotta imputata all’amministratore
unico della società mandataria.
Quest’ultimo, secondo l’ipotesi di reato
per cui sta procedendo l’organo inquirente, avrebbe intessuto dei rapporti
preordinati ad ottenere l’affidamento, accettando di divenire parte integrante
del ridetto sodalizio criminoso, nel contempo formalmente prestando, una volta
iniziato il procedimento di gara, una infedele adesione al Protocollo di
Legalità.
Il che, ad avviso del Collegio, si traduce
in una condotta molto più grave rispetto alla “semplice” omissione di
denuncia prescritta dalle clausole del Protocollo, che individuano, quale contenuto
minimo per sostanziare la violazione dell’obbligo informativo, l’ipotesi del
concorrente che sia stato coartato alla dazione di tangenti e che,
ciononostante, si sia astenuto dal porre al corrente di tale illecita richiesta
la Prefettura e l’Autorità giudiziaria.
Nel caso di specie, l’amministratore unico
dell’impresa capogruppo consta, infatti, aver tenuto una condotta attiva, anzi
propositiva, parimenti rilevante ai fini della mancata osservanza delle viste
clausole, posto che in tali previsioni è stato fissato un principio volto a
sanzionare lo scambio illecito di denaro, ovvero la prestazione di altre
utilità (si fa espresso richiamo, ad esempio, all’assunzione di personale o al
reclutamento di determinate imprese per lavorazioni, forniture e servizi) “prima
della gara e/o dell’affidamento o nel corso dell’esecuzione dei lavori”.
Del resto, un’indiretta conferma della
gravità delle condotte in questione è provenuta proprio dalla
controinteressata, la quale ha prodotto in giudizio due deliberazioni assunte
dal consiglio di amministrazione in data 16.6.2014, con le quali ha disposto,
previo conferimento di apposito incarico professionale, di “promuovere nei
confronti del dott. Enrico Maltauro azione di responsabilità di cui agli artt.
2392 e 2393 c.c.”; e ciò alla luce del fatto che quest’ultimo ha posto in
essere una “palese violazione dei protocolli preventivi adottati
dall’impresa ai sensi del D.lgs. 231/2001 ed in particolar modo del codice
etico”.
È attendibile ritenere, perciò, che la
procedura di gara, prim’ancora di aver avuto formale avvio, sia stata falsata e
distorta da una pressione corruttiva connotata da illeciti accordi incidenti
sulla sua legittimità e trasparenza, risultando incontestata – a prescindere
dal giudizio di disvalore o di non definitivo accertamento della responsabilità
penale, cui le parti hanno fatto riferimento nei loro scritti – l’avvenuta
emersione di gravi indizi di colpevolezza circa il tentativo di condizionarne
lo svolgimento e l’esito.
Conforta l’assunta conclusione il fatto
che, a seguito di tali accertamenti, siano state emesse misure di custodia
cautelare nei confronti dell’amministratore unico della società capogruppo del
RTI aggiudicatario, nonché del responsabile del procedimento (Angelo Paris), il
quale avrebbe reso ammissioni confessorie circa l’esistenza di un “sistema”
di rapporti personali preordinato ad alterare la procedura di gara.
Non è, quindi, nella specie dubitabile che
siano mancate le minime condizioni di trasparenza essenziali per l’efficiente
espletamento della gara in questione.
Sul punto, la Sezione, nel definire un
giudizio concernente un affidamento di Expo 2015, ha rilevato che “nel
“considerando” n. 39 della Direttiva 2004/18/CE sia previsto che “la verifica
dell'idoneità degli offerenti, nelle procedure aperte, e dei candidati, nelle
procedure ristrette e negoziate con pubblicazione di un bando di gara nonché
nel dialogo competitivo, e la loro selezione dovrebbero avvenire in condizioni
di trasparenza”, conferma che la garanzia di procedure scevre da possibili
illeciti (soprattutto per l’EXPO 2015) costituisca una precondizione di
legittimità delle medesime”, per l’effetto statuendo l’illegittimità
dell’aggiudicazione disposta in favore della concorrente aggiudicataria in
violazione delle citate condizioni (cfr. sentenza 31 marzo 2014, n. 848).
Le accertate condotte – sostanziate da
indizi gravi, che hanno giustificato la disposta custodia cautelare nei
confronti dei soggetti più sopra indicati – non possono, quindi, che ritenersi
contrastanti sia con il diritto comunitario che con il diritto nazionale,
apparendo al Collegio non persuasiva la minimizzazione degli episodi opposta
dalla società controinteressata sul solo presupposto che le indagini sarebbero
pendenti, tenuto conto che l’efficienza causale di tali comportamenti sulla
legittimità della procedura ha trovato conferma da parte dei diretti
interessati.
Non è, di conseguenza, necessario
attendere gli esiti dei futuri giudizi per affermare che la sensibile
alterazione delle condizioni di par condicio tra i concorrenti
integri un motivo sufficiente per disporre l’annullamento dell’aggiudicazione,
quale rimedio finalizzato a costituire una frontiera più avanzata di tutela
dell’Amministrazione contro i possibili abusi dei partecipanti alle procedure
di evidenza pubblica.
Sotto tale profilo, l’odierno giudizio,
pur presentando – come ha eccepito la società resistente – elementi di astratta
somiglianza con la vicenda di cui alla causa R.G. 2957/2011 (nell’ambito della
quale la Sezione ha emesso l’ordinanza collegiale n. 1982 del 26.7.2013, con
cui ha disposto la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di
quattro questioni pregiudiziali circa l’interpretazione dell’art. 45 della
direttiva 2004/18/CE), evidenzia, però, una sostanziale differenza quanto alla
rilevanza delle condotte oggetto di accertamento da parte della Magistratura
penale.
La presente controversia pone, infatti,
sul proscenio processuale la decisiva rilevanza di una preordinata attività di
condizionamento della gara, non raffrontabile alla richiamata controversia,
nella quale è sub judice – ai fini della pronuncia sulla
legittimità dell’impugnato diniego di aggiudicazione definitiva di un appalto
di servizi – l’incidenza di un reato di falsificazione di un documento di gara,
che ha determinato il rinvio a giudizio del legale rappresentante della società
ricorrente.
In ragione di quanto rilevato, merita,
dunque, accoglimento la domanda di annullamento dell’impugnata aggiudicazione.
Il Collegio deve, a questo punto, procedere
all’esame delle domande di caducazione del contratto d’appalto stipulato in
data 4.2.2014 e di consequenziale subentro delle ricorrenti nell’affidamento,
prospettato mediante la preventiva risoluzione contrattuale.
Le previsioni da considerare sono:
1) l’art. 4 del Protocollo di Legalità, in
cui è stabilito che gli obblighi del rispetto delle sue clausole “siano
inseriti anche nei contratti stipulati con appaltatore e che la violazione
degli obblighi (…) sia espressamente sanzionata ai sensi dell’art. 1456 c.c.”,
con preventiva accettazione, al successivo art. 7, del sistema sanzionatorio da
parte dell’impresa aggiudicataria;
2) l’art. 5.4. della lettera d’invito,
secondo cui “in caso di revoca o decadenza dall’aggiudicazione o di
risoluzione del contratto stipulato con l’aggiudicatario, e fatta salva la
facoltà di cui all’art. 81, comma 3 del D.lgs. 163/2006, l’Amministrazione
aggiudicatrice si riserva la facoltà di aggiudicare la gara al concorrente che
immediatamente lo segue nella graduatoria finale, previo il buon esito di ogni
adempimento o verifica prevista per l’aggiudicatario, pena la decadenza anche
della nuova aggiudicazione”;
3) l’art. 8 del contratto d’appalto, in cui
si è dato atto che “l’appaltatore accetta espressamente e si obbliga a far
accettare espressamente alle società e alle imprese subcontraenti e terze
subcontraenti interessate: (…) c) i casi di risoluzione automatica del
contratto o revoca dell’affidamento da parte di Expo o dell’appaltatore
indicati all’articolo 2, commi 8 e 10, all’articolo 3, commi 2 e 3, e
all’articolo 4, comma 2, dello stesso Protocollo di Legalità”.
Tali previsioni vanno, poi, coordinate con
la disciplina del codice dei contratti di cui al D.lgs. 163/2006, e,
principalmente, con l’art. 140, cui le ricorrenti sembrano aver fatto
riferimento per dare contenuto alla previsione di cui all’art. 4, comma 2 del
Protocollo di Legalità.
A tale inquadramento, la cui applicazione
è stata dedotta a fondamento della domanda di caducazione del contratto
d’appalto, la società Expo 2015 S.p.A. ha replicato, allegando:
a) che “la vicenda dev’essere
ricondotta nell’alveo applicativo dell’art. 135 del D.lgs. 163/2006, che è
espressamente richiamato anche dal contratto di appalto (art. 21.1, lett. b) e
che, come è noto, si occupa dell’eventuale risoluzione del contratto per reati
accertati” (cfr. pag. 15 della memoria del 23.6.2014), cosicché, non
essendo intervenuto un accertamento definitivo, il contratto non sarebbe
risolvibile;
b) che l’art. 125, comma 3 del codice del
processo amministrativo (“ferma restando l’applicazione degli articoli 121 e
123, al di fuori dei casi in essi contemplati la sospensione o l’annullamento
dell’affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato, e il
risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente”)
trova applicazione nelle “procedure di cui all’art. 140 del D.lgs. 12 aprile
2006, n. 163, come statuito dal 4° comma del medesimo art. 125 c.p.a.”
(cfr. pag. 25).
Ciò premesso, va ricordato che la citata
disposizione del Protocollo di Legalità, che autorizza la risoluzione ipso
iure del contratto, ha eterointegrato la lex specialis, il
che legittima la stazione appaltante a darvi corso tanto più alla luce
dell’annullamento dell’impugnata aggiudicazione.
È noto, tuttavia, che tale potere sottenda
l’esercizio di un diritto potestativo (come opposto dal difensore della società
di gestione Expo nella propria memoria e come ribadito nel corso della
discussione in Camera di Consiglio), ciò trovando fondamento non soltanto nella
disciplina positiva, ma anche nell’elaborazione della giurisprudenza della
Corte di Cassazione, la quale ha statuito che “la risoluzione del contratto
(…) non preclude l’esercizio della facoltà di recesso consentita dall’art. 1385
c.c. (…) dato che rientra nell’autonomia privata la facoltà di rinunciare agli
effetti della risoluzione del contratto per inadempimento. In tal caso,
tuttavia, vanno applicati i principi regolatori della materia del recesso, tra
cui quello secondo cui esso può considerarsi legittimo solo nel presupposto che
l’inadempimento dell’altra parte non sia di scarsa importanza” (cfr. Corte
di Cassazione, sez. II, 25 ottobre 2010, n. 21838; id., sez. III, 24 novembre
2010, n. 23824).
L’affermazione del principio di
disponibilità dell’effetto risolutorio, deponendo in favore di una prerogativa
di carattere esclusivo in capo alla stazione appaltante, implica la sua
responsabilizzazione nell’individuare le soluzioni che possano garantire la
tempestiva conclusione delle opere appaltate in un quadro di equilibrata
ponderazione tra legalità ed efficienza dei lavori.
Un siffatto ruolo, è, pertanto,
intimamente connesso all’esercizio delle rilevanti funzioni assolte nell’ambito
della gestione dell’Evento universale, né l’assunzione di tale ruolo può essere
disattesa per effetto di una malintesa interpretazione dell’art. 125 del codice
del processo amministrativo.
Tale disposizione, com’è noto, ha
valorizzato, oltre al “preminente interesse nazionale alla sollecita
realizzazione dell’opera”, la necessità di una comparazione tra le ragioni
del ricorrente e quelle del “soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione
delle procedure”.
Non può, quindi, accreditarsi, sul piano
generale, un’interpretazione della norma in questione nel senso di una
dequotazione della trasparenza nelle gare d’appalto e dell’imperiosa esigenza
che in sede giurisdizionale – e, prima ancora, da parte della stazione
appaltante – sia assicurata la piena tutela dell’interesse pubblico a che gli
appalti pubblici siano affidati a concorrenti sotto ogni profilo totalmente
affidabili.
Né, quanto alla fattispecie di causa, può
ammettersi che la potestà di esercitare il potere di risoluzione possa essere condizionata
o addirittura inibita dalla speciale disciplina processuale (che esprime una
preferenza, una volta stipulato il contratto, per la tutela risarcitoria),
trascorrendo, come in effetti è avvenuto, in una situazione di inerzia (si
consideri il mancato riscontro della società resistente alla nota del
20.5.2014), tanto più alla luce dell’avvenuto inquinamento della procedura,
come inducono a ritenere i gravi indizi raccolti dalla Procura di Milano.
Né alla risoluzione del contratto può
ostare il fatto che le indagini parrebbero, allo stato, circoscritte alla
posizione dell’impresa di costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.A. (capogruppo
mandataria), restando esclusa la società mandante Cefla società cooperativa.
Al riguardo, infatti, occorre considerare
che il principio di immodificabilità soggettiva nelle procedure di affidamento
degli appalti pubblici è finalizzato ad “assicurare alle amministrazioni
aggiudicatici una conoscenza piena dei soggetti che intendono contrarre con
esse, al precipuo fine di consentire un controllo preliminare e compiuto dei
requisiti di idoneità morale, tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria
dei concorrenti” (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 4 maggio 2012, n. 8;
Id., sez. V, 3 agosto 2006, n. 5081; Id., sez. IV, 23 luglio 2007, n. 4101).
Di conseguenza, gli effetti
dell’annullamento dell’aggiudicazione, e l’eventuale decisione della stazione
appaltante di risolvere il contratto, non possono che legittimamente estendersi
all’impresa mandante, la quale, per vero, avrebbe dovuto profondere maggiore
accortezza nei confronti dell’impresa Maltauro per evitare che quest’ultima,
per mezzo del proprio amministratore unico, quindi del soggetto posto al
vertice delle strategie aziendali, ponesse in atto le condotte finalizzate all’illecito
condizionamento della procedura di gara.
Né, infine, la risoluzione contrattuale
può essere impedita dall’avvio dei lavori e dall’avvenuto reclutamento, in
attuazione del progetto esecutivo elaborato dal RTI capeggiato dalla società
controinteressata, di imprese subappaltatrici di sua fiducia.
A tale proposito deve infatti precisarsi
che, mentre le accertate condotte sono idonee a giustificare l’esclusione dalla
gara dell’aggiudicatario, le stesse conseguenze non possono ascriversi alle
imprese subappaltatrici, sussistendo in capo alla società di gestione dell’Expo
il potere di autorizzazione al subappalto ai sensi del combinato disposto tra
gli artt. 118 del D.lgs. 163/2006 e 170 del DPR 207/2010.
Si deve, pertanto, escludere che un nuovo
affidamento dei lavori automaticamente comporterebbe la loro soluzione di
continuità, soprattutto ove tale argomentazione sia assunta a sostegno di un
contrario avviso alla possibile risoluzione del contratto d’appalto stipulato
dalla stazione appaltante con il RTI Maltauro.
Del resto, contrariamente a quanto
sagacemente, ma infondatamente, sostenuto dalla società resistente e dalla
controinteressata, costituisce principio generale di efficienza amministrativa
quello secondo cui il contratto con il nuovo affidatario dei lavori debba
avvenire alle medesime condizioni già proposte dall’originario aggiudicatario
in sede in offerta, con immutato riferimento, quindi, sia ai profili tecnici
che a quelli economico -finanziari del rapporto contrattuale.
Si tratta, infatti, di un principio di non
esclusivo appannaggio della disciplina di cui all’art. 140 del D.lgs. 163/2006
(disposizione che regola l’affidamento dell’appalto in caso di fallimento
dell'esecutore o risoluzione del contratto), costituendo canone di
regolamentazione di altre fattispecie (es. in caso di prelazione del promotore
non aggiudicatario di una procedura di project financing, cfr. art.
153, comma 19 del citato decreto).
Alla temuta interruzione dei lavori
osterebbe, in ogni caso, l’espressa adesione del ricorrente a “confermare i
rapporti contrattuali in essere con i fornitori e i subappaltatori attualmente
già operativi” (cfr. pag. 16 del ricorso).
Alla sola stazione appaltante è, dunque,
consentito di immediatamente risolvere il contratto stipulato con il RTI
Giuseppe Maltauro S.p.A. – Cefla società cooperativa per rilevata violazione
degli obblighi previsti dalle clausole fissate nel Protocollo di Legalità e
recepite nella lettera d’invito, nonché per l’alterazione del naturale
meccanismo di trasparenza e concorrenza della gara; il che determina
l’infondatezza dell’assunto della società Expo 2015 S.p.A., ad avviso della
quale non sarebbe emerso “alcun elemento certo che giustificasse la
risoluzione del contratto” (cfr. pag. 5 memoria del 23.6.2014.
Vero appare invece il contrario, atteso
che l’ordinamento giuridico riconosce alla pubblica Amministrazione il potere
di agire in autotutela privatistica, com’è stato recentemente ribadito
dall’Adunanza plenaria n. 14 del 20 giugno 2014, nella quale si è statuito, tra
l’altro:
a) che “nella fase privatistica
l’Amministrazione si pone (…) con la controparte in posizione di parità che
però, è stato precisato, è tendenziale (Corte Cost. n. 53 e n. 43 citate), con
ciò sintetizzando l’effetto delle disposizioni per cui, pur nel contesto di un
rapporto paritetico, sono apprestate per l’Amministrazione norme speciali,
derogatorie del diritto comune, definite di autotutela privatistica (Ad. Plen.
6 del 2014); ciò, evidentemente, perché l’attività dell’Amministrazione, pur se
esercitata secondo moduli privatistici, è sempre volta al fine primario
dell’interesse pubblico, con la conseguente previsione, su tale presupposto, di
regole specifiche e distinte”;
b) che “la posizione
dell’Amministrazione nella fase del procedimento di affidamento di lavori
pubblici aperta con la stipulazione del contratto è definita dall’insieme delle
norme comuni, civilistiche, e di quelle speciali, individuate dal codice dei
contratti pubblici, operando l’Amministrazione, in forza di queste ultime in
via non integralmente paritetica rispetto al contraente privato, fermo restando
che le sue posizioni di specialità, essendo l’Amministrazione comunque parte di
un rapporto che rimane privatistico, restano limitate alle singole norme che le
prevedono”.
Nella specie, fermo restando che il potere
di risoluzione del contratto resta nella sfera di disponibilità della società
Expo 2015 S.p.A., deve essere debitamente osservato che parrebbero sussistere
in concreto tutti i presupposti invocati dalle ricorrenti per ottenere
l’affidamento.
Il RTI capeggiato dalla società
Costruzioni Perregrini s.r.l., infatti, ha partecipato alla selezione sulla
base del solo merito tecnico della relativa proposta; risulta aver superato la
verifica sul possesso dei requisiti ex art. 48, comma 2 del D.lgs. 163/2006
(adempiendo alla richiesta della stazione appaltante del 22.10.2013); potrebbe
fruire di un’oggettiva facilitazione nel subentro nell’esecuzione del
contratto, dal momento che, in esito ad una diversa aggiudicazione, risulta
avere nella stessa area Expo un proprio cantiere in esecuzione di un altro
contratto di appalto (progettazione e realizzazione di manufatti cosiddetti “cluster”
riso e cacao); si è, infine, dichiarato pronto e disponibile a seguire il
progetto esecutivo in corso di attuazione e a dare continuità ai rapporti con
le imprese subappaltatrici che, ad oggi, sono impegnate nei cantieri.
Sul piano oggettivo, poi, occorre
considerare che lo stato di consistenza dei lavori risulta allo stato degli
atti ancora embrionale.
Dall’esame delle opposte documentazioni
prodotte si controverte tra il 4% cui si riferiscono i ricorrenti e il 10% cui,
invece, ha fatto cenno la società controinteressata.
È, inoltre, non comprensibile per quali
ragioni non sia stata svolta alcuna approfondita verifica in materia dalla
stazione appaltante, tenuto conto che, nella determinazione del 4.6.2014 (a
firma del vice-direttore “construction & dismantling division” della
società Expo 2015 S.p.A.) non si è fatto riferimento agli stati di avanzamento
(ma soltanto a generali richiami al cronoprogramma), ponendosi a fondamento
dell’“insussistenza (…) di elementi in fatto e diritto sufficienti per
risolvere il vincolo contrattuale in via di autotutela” delle
argomentazioni di puro stile, come tali palesemente inattendibili.
In tale determinazione si è, in
particolare, sostenuto:
a) che “dalle verifiche effettuate
nell’ambito dell’istruttoria di cui trattasi non sono stati rilevati vizi
estrinseci nella procedura di scelta del contraente, né sono emersi elementi
sufficienti a motivare e sostenere l’avvio di un procedimento volto alla
risoluzione del contratto in via di autotutela” (cfr. pag. 3): si tratta
all’evidenza di giudizi opinabili, afferenti a profili giuridici e non tecnici,
smentiti dalle norme del Protocollo di Legalità;
b) che si imponga, “viste le stringenti
tempistiche di completamento dell’intero sito espositivo, la conseguente
necessità di evitare qualunque soluzione di continuità nell’esecuzione dei
lavori” (cfr. pag. 3): profilo di interesse pubblico peraltro egualmente
garantibile, per le ragioni e con le modalità sopra illustrate, anche in caso
di risoluzione del contratto con il RTI aggiudicatario e stipulazione, alle
medesime condizioni, di un nuovo contratto con il RTI ricorrente;
c) che per fronteggiare la patologica
situazione rilevata dalla Procura di Milano sarebbe sufficiente “un
monitoraggio”, e ciò al fine di verificare, tra l’altro, l’emanazione di “indirizzi
forniti dagli organi di governo della stazione appaltante” ed “eventuali
informative rese da Prefettura o segnalazioni provenienti da altri enti di
controllo”: propositi altrettanto manifestamente volti a differire ogni
decisione e a renderla, con il trascorrere del tempo e il progredire dei
lavori, obiettivamente inattuabile; senza contare che l’eventuale emissione di
un’informativa prefettizia interdittiva provocherebbe una definitiva compromissione
della posizione del RTI aggiudicatario ai sensi dell’art. 94, comma 2 del
D.lgs. 159/2011.
Del pari infondate sono le argomentazioni
difensive opposte al riguardo dalla società resistente, secondo cui si
verserebbe in una fattispecie regolata dall’art. 135 del D.lgs. 163/2006,
disposizione espressamente richiamata dall’art. 140 del medesimo decreto, e,
quindi, suscettibile di essere sussunta nella disciplina di cui all’art. 125,
comma 3 in forza del rinvio previsto dal successivo comma 4, lett. a).
A giudizio del Collegio, infatti, la
risoluzione contrattuale ipso iure prevista dal Protocollo di
Legalità esula dall’ambito di applicazione della citata disposizione, in quanto
gli artt. 135 e 136 del codice dei contratti (cui l’art. 140, come si è detto, fa
richiamo) si riferiscono a condanne definitive per specifici reati contro la
pubblica Amministrazione (previsti dagli artt. 314, primo comma, 316, 316-bis,
317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 320 del codice penale, nonché per reati di
usura, riciclaggio e frodi), alla sottoposizione a misure di prevenzione,
nonché al grave inadempimento o a irregolarità dell’appaltatore.
Si tratta, infatti, di fattispecie diverse
da quella oggetto dell’ipotesi di reato, come è agevole avvedersi dall’esame
degli atti di indagine, i quali evidenziano che il disegno criminoso sarebbe
stato preordinato alla commissione del reato di turbata libertà degli incanti
(artt. 353 del codice penale, oltre all’art. 353 bis, che attiene a
fattispecie simile, ma relativa alla fase di indizione della procedura), vero
fine di tutta l’attività illecita posta in essere mediante la rivelazione e
utilizzazione di segreti di ufficio (art. 326 del codice penale) e altri reati,
tra cui anche la corruzione.
Il reato di turbata libertà degli incanti,
oggetto del pendente accertamento, costituisce, in particolare, una fattispecie
plurisoggettiva che si realizza nella conclusione di un accordo clandestino
finalizzato alla dolosa alterazione di una procedura di una gara, in attuazione
del quale ciascuna delle parti assume un preciso impegno volto a conseguire il
risultato della condotta illecita.
La sussunzione di tale reato nella
disciplina di cui all’art. 140 del citato decreto, quindi, non è ammissibile in
applicazione del divieto di analogia in malam partem (combinato
disposto tra l’art. 14 delle preleggi e l’art. 25, comma 2 della Costituzione),
il quale postula la non punibilità di fattispecie non espressamente previste
dalla norma incriminatrice.
A tale stregua deve, perciò, affermarsi
che la risoluzione del contratto, prevista dal Protocollo, appare una soluzione
congrua per la società Expo 2015 S.p.A., la quale, immediatamente dopo o
addirittura in modo contestuale, potrebbe stipulare un nuovo contratto con il
concorrente che segue in graduatoria, ossia il RTI ricorrente, escludendo
qualsiasi rinegoziazione economica e variante tecnica al programma dei lavori
in corso; non è, quindi, condivisibile l’assunto della società resistente,
secondo la quale il subentro sarebbe “assolutamente inimmaginabile, dal
punto di vista tecnico e giuridico”, cfr. pag. 25).
Insomma, non sussiste giuridica
preclusione alla possibilità che le imprese fornitrici e subappaltatrici, ad
oggi direttamente coinvolte nell’esecuzione dei lavori, continuino ad operare in
loco, garantendo i tempi di consegna e l’ultimazione delle opere.
Di contro, la prosecuzione della
conduzione della commessa da parte del RTI aggiudicatario darebbe sostanza a
una manifesta violazione del principio di legalità e trasparenza degli appalti
pubblici, ponendo, inoltre, le premesse giuridiche per il riconoscimento del
diritto all’erogazione del corrispettivo contrattuale a un soggetto
immeritevole e inaffidabile, oltre che per un cospicuo risarcimento del danno a
favore del ricorrente RTI.
L’art. 7, comma 4 del Protocollo di
Legalità ha, infatti, previsto che “la risoluzione automatica del contratto,
la revoca dell’affidamento e dell’autorizzazione al subappalto non comportano
obblighi di carattere indennitario né risarcitorio a carico di Expo, né a carico
dell’appaltatore/subcontraente, fatto salvo il pagamento dell’attività prestata”.
Ciò significa che, se il rapporto
contrattuale dovesse continuare a produrre effetti tra le parti contraenti, il
comportamento della stazione appaltante rischierebbe di proiettare sull’Evento
universale un’ombra cupa, delineata dall’ammessa incapacità di far fronte a
fenomeni di permeabilità del malaffare.
Resta infine, da soggiungere che neppure
il decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, entrato in vigore poche ore prima dello
svolgimento dell’udienza in Camera di Consiglio, pare poter favorire una rapida
soluzione operativa, essendosi in esso previsto, tra le misure straordinarie di
prevenzione della corruzione nei pubblici appalti (cfr. art. 32), che in caso
di pendenti indagini penali per l’accertamento di vari reati (tra i quali anche
la turbativa delle procedure di evidenza pubblica, cui l’art. 140 del D.lgs.
163/2006, invece, non fa richiamo), vi sia, da parte del Presidente dell’ANAC
(Autorità nazionale anticorruzione), una proposta al Prefetto competente di
adozione, alternativamente, di provvedimenti di rinnovazione degli organi
sociali (mediante sostituzione), ovvero – in ipotesi di inerzia o su diretta
iniziativa di quest’ultimo – l’assunzione della gestione “straordinaria o
temporanea dell’impresa appaltatrice limitatamente alla completa esecuzione del
contratto di appalto oggetto del procedimento penale”, cui sarebbero
preposti appositi amministratori con tutti i poteri e le funzioni degli organi
di amministrazione oggetto dell’attività di commissariamento.
Si tratterebbe, peraltro, di una
soluzione:
a) che nulla aggiungerebbe, in termini di
speditezza ed efficienza, all’ipotesi di stipulazione del contratto con il RTI
ricorrente, dovendosi considerare che quest’ultimo, avendo elaborato l’offerta
per l’appalto in questione, conosce in modo approfondito lo stato dei luoghi,
la natura dei lavori e il cronoprogramma degli stessi;
b) che non potrebbe garantire la
definizione degli insorti conflitti, dal momento che l’eventuale provvedimento
emesso dal Prefetto in accoglimento della proposta del Presidente dell’ANAC
potrebbe essere oggetto di impugnazione e incidere ancor di più sui tempi di
consegna delle opere.
In conclusione, il Collegio accoglie la
domanda di annullamento dell’impugnata aggiudicazione, nei sensi espressi in
motivazione, rinviando la trattazione della domanda risarcitoria all’udienza
pubblica del 17.12.2014, riservata restando a tale fase ogni statuizione sulle
spese processuali.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per
la Lombardia (Sezione I)
non definitivamente pronunciando sul
ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie la domanda di annullamento
dell’impugnata aggiudicazione, nei sensi espressi in motivazione.
Rinvia per la trattazione della domanda
risarcitoria all’udienza pubblica del 17.12.2014, riservata restando a tale
fase la statuizione sulle spese processuali.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di
consiglio del giorno 25 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Mariuzzo, Presidente
Dario Simeoli, Primo Referendario
Angelo Fanizza, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
|
IL PRESIDENTE
|
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/07/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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