PROCESSO & ENTI LOCALI:
sull'immediata o differita
degli atti normativi degli Enti locali
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II,
sentenza 22 febbraio 2016, n. 2283)
Massima
La deliberazione di Giunta Capitolina n. 50 del 2014 - specie nella parte in cui va a modificare il regime transitorio di cui all'art. 34 del Regolamento comunale in materia di esposizione della pubblicità e di pubbliche affissioni e a ridurre la tipologia dei formati ammessi per i cartelloni pubblicitari - contiene vere e proprie "volizioni-azione" - da distinguere dalle c.d. "volizioni preliminari" -, ossia previsioni che, essendo destinate ad una immediata applicazione producono un immediato effetto lesivo nella sfera giuridica dei destinatari e, quindi, devono essere impugnate immediatamente, a prescindere, quindi, dall'adozione di atti applicativi, pena l'irricevibilità del ricorso per tardività.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la
presente
SENTENZA
- sul ricorso numero di registro generale
3006 del 2014, proposto dall’AIPE - Associazione Imprese di Pubblicità Esterna,
nonché dalle società AP Italia Srl in liquidazione, Wayap Srl, Moretti
Pubblicità Srl, Pateo Srl uninominale e APA - Agenzia Pubblicità Affissioni
Srl, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore,
rappresentati e difesi dagli avvocati Paola Conticiani, Fabio Massimo Ventura,
Ettore Corsale e Antonio Lirosi ed elettivamente domiciliati in Roma, via
Giovanni Bettolo n. 17, presso lo studio dell’avvocato Ettore Corsale;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Maggiore e Domenico
Rossi, dell’Avvocatura capitolina, presso la cui sede è elettivamente
domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
- sul ricorso numero di registro generale
14401/2014, proposto dalla società Defi Italia Spa, in persona del suo legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Patrizia
Maria Rosa Zingone ed Angelo Clarizia, ed elettivamente domiciliato in Roma,
via Principessa Clotilde n. 2, presso lo studio dell’avvocato Angelo Clarizia;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Ciavarella, dell’Avvocatura
capitolina, presso la cui sede è elettivamente domiciliato in Roma, via del
Tempio di Giove n. 21;
- sul ricorso numero di registro generale
14431 del 2014 proposto dalla società Fox ADV Srl, in persona del suo legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Massimo
Ventura, Paola Conticiani e Ettore Corsale ed elettivamente domiciliato in
Roma, via Giovanni Bettolo n. 17, presso lo studio dell’avvocato Ettore
Corsale;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Domenico Rossi, dell’Avvocatura
capitolina, presso la cui sede è elettivamente domiciliato in Roma, via del
Tempio di Giove n. 21;
nei confronti di
società Clear Channel Affitalia Srl, non
costituita in giudizio;
- sul ricorso numero di registro generale
14433 del 2014 proposto dalla società D&D Srl Outdor Advertising, in
persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli
avvocati Fabio Massimo Ventura, Paola Conticiani e Ettore Corsale, ed
elettivamente domiciliato in Roma, via Giovanni Bettolo n. 17, presso lo studio
dell’avvocato Ettore Corsale;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Domenico Rossi, dell’Avvocatura
capitolina, presso la cui sede è elettivamente domiciliato in Roma, via del
Tempio di Giove n. 21;
nei confronti di
società Clear Channel Affitalia Srl, non
costituita in giudizio;
e con l'intervento di
ad opponendum:
Verdi Ambiente e Società - V.A.S. APS Onlus, Associazione Bastacartelloni -
Francesco Fiori, Cittadinanzaattiva Lazio Onlus, Istituto Internazionale per il
Consumo e l’Ambiente - I.I.C.A. e Centro di Iniziativa per la Legalità
Democratica - C.I.L.D., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro
tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Giuseppe Mazzarella, Giuseppe Lo
Mastro e Romana D’Ambrosio, con domicilio eletto in Roma, viale delle Milizie
n. 9, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Lo Mastro;
- sul ricorso numero di registro generale
14435 del 2014, integrato con motivi aggiunti, proposto dalle società Wayap Srl
e AP Italia Srl in liquidazione, in persona dei rispettivi legali
rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Fabio Massimo
Ventura, Ettore Corsale e Paola Conticiani, con domicilio eletto in Roma, via
G. Bettolo n. 17, presso l’avvocato Ettore Corsale;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Baroni, Domenico Rossi
ed Enrico Maggiore, dell’Avvocatura capitolina, presso la cui sede è
elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
nei confronti di
società Clear Channel Affitalia Srl, non
costituita in giudizio;
- sul ricorso numero di registro generale
14436 del 2014, integrato con motivi aggiunti, proposto dalla società APA -
Agenzia Pubblicità Affissioni Srl, in persona del suo legale rappresentante pro
tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Lirosi e Marco
Martinelli, con domicilio eletto in Roma, via delle Quattro Fontane n. 20,
presso Studio legale Gianni, Origoni, Grippo & Partners;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Baroni, Domenico Rossi
ed Enrico Maggiore, dell’Avvocatura capitolina, presso la cui sede è
elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
nei confronti di
società Clear Channel Affitalia Srl, non
costituita in giudizio;
- sul ricorso numero di registro generale
14526 del 2014 proposto dalle società Ars Pubblicità Srl, Cosmo Pubblicità Srl,
G.B.E. Srl e New Poster Srl in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro
tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato Antonino Galletti ed
elettivamente domiciliato in Roma, piazzale Don Minzoni n. 9, presso lo studio
del predetto avvocato;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Domenico Rossi ed Enrico
Maggiore, dell’Avvocatura capitolina, presso la cui sede è elettivamente
domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
- sul ricorso numero di registro generale
15194 del 2014 proposto dalla associazione CONF. IRPA – Confederazione Imprese
Pubblicitarie Romane Associate e dalla società O.P.A. Srl, D.D.N. Srl, Studio
Immagine Srl, F.A.R.G. Pubblicità di Tonatti Maria & C. Sas, Sarila Srl,
Mediacom Srl, Battage Srl, Puntoline Srl, Tre C Pubblicità Srl, Joint Media
Srl, Fabiano Pubblicità Srl, Pubbli Toni Srl, OR.SA. Pubblicità Sas di Orecchio
F. & Co. Srl, Pubblistudio Srl, Gmpshop.Com Sas di Giovanni Masto & C.,
Unigamma Srl, Publi Media Srl, Graficolor New Srl e Comunicando Leader Srl, in
persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e
difesi dagli avvocati Giuseppe Scavuzzo e Marco Luzza, con domicilio eletto in
Roma, via Germanico n. 24, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Scavuzzo;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Domenico Rossi, dell’Avvocatura
capitolina, presso la cui sede è elettivamente domiciliato in Roma, via del
Tempio di Giove n. 21;
- sul ricorso numero di registro generale
15195 del 2014 proposto dalle società Pubbli Roma Srl, Gregor Srl, R.B.
Pubblicità - Realizzazione Budget Pubblicità Srl, Spot Pubblicità Srl, Nuovi
Spazi Srl, Stunt Pubblicity Srl e My Max Srl, in persona dei rispettivi legali
rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Giuseppe
Scavuzzo, Marco Luzza e Monica Gelli, con domicilio eletto in Roma, via
Germanico n. 24, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Scavuzzo;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Domenico Rossi, dell’Avvocatura
capitolina, presso la cui sede è elettivamente domiciliato in Roma, via del
Tempio di Giove n. 21;
- sul ricorso numero di registro generale
n. 15651 del 2014 proposto dall’AIPE - Associazione Imprese di Pubblicità
Esterna, nonché dalle società Moretti Pubblicità Srl e Pateo Srl uninominale,
in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e
difesi dagli avvocati Fabio Massimo Ventura, Paola Conticiani e Ettore Corsale,
ed elettivamente domiciliati in Roma, via Giovanni Bettolo n. 17, presso lo
studio dell’avvocato Ettore Corsale;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Domenico Rossi, dell’Avvocatura
capitolina, presso la cui sede è elettivamente domiciliato in Roma, via del
Tempio di Giove n. 21;
- sul ricorso numero di registro generale
15804 del 2014 proposto dalla società Opera Srl, in persona del suo legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi
Patricelli e Francesco Mingiardi con domicilio eletto in Roma, via Archimede n.
143, presso lo studio dei predetti avvocati;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Domenico Rossi ed Enrico
Maggiore, dell’Avvocatura capitolina, presso la cui sede è elettivamente
domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
- sul ricorso numero di registro generale
15806 del 2014 proposto dalla società ATC Communications, in persona del suo
legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi
Patricelli e Francesco Mingiardi con domicilio eletto in Roma, via Archimede n.
143, presso lo studio dei predetti avvocati, nonché dalla Fallimento A.R.P. Srl
(già società A.R.P. Srl), in persona del suo legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dall’avvocato Carlo Mirabile, con domicilio eletto in
Roma, via Borgognona n. 47, presso lo studio del predetto avvocato;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Domenico Rossi ed Enrico
Maggiore, dell’Avvocatura capitolina, presso la cui sede è elettivamente
domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
- sul ricorso numero di registro generale
15829 del 2014 proposto dalla società Sipea Srl, in persona del suo legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandra
Ruggieri e Guido Rinaldi, ed elettivamente domiciliato in Roma, via Casperia n.
20, presso lo studio dell’avvocato Guido Rinaldi;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Domenico Rossi, dell’Avvocatura
capitolina, presso la cui sede è elettivamente domiciliato in Roma, via del
Tempio di Giove n. 21;
- sul ricorso numero di registro generale
3553 del 2015 proposto dalle società Ars Pubblicità Srl, Cosmo Pubblicità Srl,
G.B.E. Srl e New Poster Srl in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro
tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato Antonino Galletti ed
elettivamente domiciliato in Roma, piazzale Don Minzoni n. 9, presso lo studio
del predetto avvocato;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Domenico Rossi, dell’Avvocatura
capitolina, presso la cui sede è elettivamente domiciliato in Roma, via del
Tempio di Giove n. 21;
nei confronti di
società Clear Channel Affitalia Srl, non
costituita in giudizio;
per l'annullamento
- quanto al ricorso n. 3006 del 2014,
della deliberazione della Giunta Capitolina n. 425 del 13 dicembre 2013,
recante “indirizzi finalizzati alla chiusura del procedimento di riordino
degli impianti pubblicitari di cui alla delibera della Giunta Comunale n.
1689/1997 e ss.mm.ii. e contestuale modifica e revoca parziale della
deliberazione della Giunta Capitolina n. 116 del 5 aprile 2013”, nelle
parti indicate nel ricorso, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e
conseguente;
- quanto al ricorso n. 14401 del 2014,
della deliberazione dell’Assemblea capitolina n. 49 del 30 luglio 2014,
pubblicata dall’11 al 25 agosto 2014, con la quale è stato approvato il “Piano
Regolatore degli Impianti Pubblicitari”, della deliberazione dell’Assemblea
capitolina n. 50 del 30 luglio 2014, pubblicata dall’11 al 25 agosto 2014, e
successivamente modificata e ripubblicata dal 19 settembre al 3 ottobre 2014,
recante “modifiche ed integrazioni alla deliberazione consiliare n. 37 del
30 marzo 2009, avente ad oggetto modifiche ed integrazioni alla deliberazione
consiliare n. 100 del 12 aprile 2006, riguardante il Regolamento comunale
recante norme in materia di esposizione della pubblicità e di pubbliche
affissioni”, della nota prot. n. LR/BG 61384 del 23 settembre 2014, a firma
del dirigente della Direzione Attività Economiche e Produttive, nonché di ogni
altro atto presupposto, connesso e conseguente;
- quanto al ricorso n. 14431 del 2014,
della suddetta deliberazione dell’Assemblea capitolina n. 50 del 30 luglio
2014, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, ivi
compresi: A) i verbali della IX Commissione capitolina permanente relativi
all’iter di approvazione della predetta deliberazione; B) la suddetta nota
prot. n. LR/BG 61384 del 23 settembre 2014; C) il nuovo regolamento della
pubblicità approvato con la predetta deliberazione;
- quanto al ricorso n. 14433 del 2014,
della suddetta deliberazione dell’Assemblea capitolina n. 50 del 30 luglio
2014, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, ivi
compresi: A) i verbali della IX Commissione capitolina permanente relativi
all’iter di approvazione dell’impugnata deliberazione; B) la suddetta nota
prot. n. LR/BG 61384 del 23 settembre 2014; C) il nuovo regolamento della
pubblicità approvato con la predetta deliberazione;
- quanto al ricorso n. 14435 del 2014,
della suddetta deliberazione dell’Assemblea capitolina n. 50 del 30 luglio
2014, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, ivi
compresi: A) i verbali della IX Commissione capitolina permanente relativi
all’iter di approvazione dell’impugnata deliberazione; B) la suddetta nota
prot. n. LR/BG 61384 del 23 settembre 2014;
- quanto al ricorso per motivi aggiunti
proposto nel giudizio introdotto con il ricorso n. 14435 del 2014, dei seguenti
atti: A) la deliberazione della Giunta capitolina n. 380 del 30 dicembre 2014,
pubblicata in data 22 gennaio 2015, avente il seguente oggetto: “Affidamento
ad Æqua Roma S.p.A. della redazione dei Piani di Localizzazione dei mezzi e
degli impianti pubblicitari e indirizzi per la gestione temporanea degli
impianti pubblicitari inseriti nella nuova Banca Dati”, nelle parti
indicate nel ricorso; B) la nota in data 27 gennaio 2015, con la quale
l’Amministrazione capitolina ha portato a conoscenza di tutte le società
inserite nella Nuova Banca Dati e, dunque, anche della ricorrente l’adozione
della predetta deliberazione n. 380 del 20 dicembre 2014, diffidandole ad
adeguare gli impianti secondo le prescrizioni contenute in tale deliberazione
entro il termine del 20 maggio 2015; C) ogni altro atto presupposto, connesso e
conseguente;
- quanto al ricorso n. 14436 del 2014,
della suddetta deliberazione dell’Assemblea capitolina n. 50 del 30 luglio
2014, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, ivi
compresi: A) i verbali della IX Commissione capitolina permanente relativi
all’iter di approvazione dell’impugnata deliberazione; B) la suddetta nota
prot. n. LR/BG 61384 del 23 settembre 2014;
- quanto al ricorso per motivi aggiunti
proposto nel giudizio introdotto con il ricorso 14436 del 2014, della suddetta
deliberazione della Giunta capitolina n. 380 del 30 dicembre 2014, nonché di
ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente;
- quanto al ricorso n. 14526 del 2014,
della suddetta deliberazione dell’Assemblea capitolina n. 50 del 30 luglio
2014, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente;
- quanto al ricorso per motivi aggiunti
proposto nel giudizio introdotto con il ricorso n. 14526 del 2014, della
determinazione dirigenziale rep. n. QH/1689/2015, prot. n. QH/53707 in data 27
luglio 2015, avente il seguente oggetto “Approvazione Lavori Conferenza di
Sevizi di cui alle DD n. 815/2015 e n. 856/2015 – Piani di Localizzazione
Impianti Pubblicitari – Art. 32 della Deliberazione A.C. n. 49/2014”, nonché di
ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, ivi comprese: A) la
determinazione dirigenziale n. 815 in data 1° aprile 2015; B) la determinazione
dirigenziale n. 856 in data 8 aprile 2015; C) il verbale della conferenza di
servizi del 13 luglio 2015; d) la nota del 27 luglio 2015, di trasmissione
delle risultanze della conferenza di servizi;
- quanto al ricorso n. 15194 del 2014
della suddetta deliberazione dell’Assemblea capitolina n. 50 del 30 luglio
2014, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente;
- quanto al ricorso n. 15195 del 2014
della suddetta deliberazione dell’Assemblea capitolina n. 50 del 30 luglio
2014, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente;
- quanto al ricorso n. 15651 del 2014,
della suddetta deliberazione dell’Assemblea capitolina n. 50 del 30 luglio
2014, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, ivi
compresi: A) i verbali della IX Commissione capitolina permanente relativi
all’iter di approvazione dell’impugnata deliberazione; B) la suddetta nota
prot. n. LR/BG 61384 del 23 settembre 2014; C) il nuovo regolamento della
pubblicità approvato con la predetta deliberazione;
- quanto al ricorso n. 15804 del 2014,
delle suddette deliberazioni dell’Assemblea capitolina n. 49 e n. 50 del 30
luglio 2014, nonché della suddetta nota prot. n. LR/BG 61384 del 23 settembre
2014 e di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente;
- quanto al ricorso n. 15806 del 2014,
delle suddette deliberazioni dell’Assemblea capitolina n. 49 e n. 50 del 30
luglio 2014, nonché della suddetta nota prot. n. LR/BG 61384 del 23 settembre
2014 e di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente;
- quanto al ricorso n. 15829 del 2014,
della suddetta deliberazione dell’Assemblea capitolina n. 50 del 30 luglio
2014, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, ivi
compresa la suddetta nota prot. n. LR/BG 61384 del 23 settembre 2014;
- quanto al ricorso n. 3553 del 2015,
della suddetta deliberazione della Giunta capitolina n. 380 del 20 dicembre
2014, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente;
Visti i ricorsi, i motivi aggiunti ed i
relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio
di Roma Capitale e l’atto di costituzione in giudizio di Verdi Ambiente e
Società - V.A.S. APS Onlus, Associazione Bastacartelloni - Francesco Fiori,
Cittadinanzaattiva Lazio Onlus, Istituto Internazionale per il Consumo e
l’Ambiente - I.I.C.A. e Centro di Iniziativa per la Legalità Democratica -
C.I.L.D.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno
27 gennaio 2016 il dott. Carlo Polidori e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
FATTO
1. L’Associazione Imprese di Pubblicità
Esterna - AIPE e le imprese operanti nel settore della pubblicità che con il
ricorso n. 3006/2014 hanno impugnato la deliberazione della Giunta capitolina
n. 425/2013 hanno dettagliatamente illustrato la complessa evoluzione della
disciplina in materia di istallazione di impianti pubblicitari sul territorio
di Roma Capitale, sulla quale si vanno ad innestare: A) le deliberazioni n.
49/2014 e n. 50/2014, da ultimo adottate dall’Assemblea capitolina per porre
fine alla c.d. procedura di riordino di cui alla deliberazione n. 254/1995,
anch’esse impugnate con gran parte dei ricorsi in epigrafe indicati; B) gli
ulteriori provvedimenti attuativi di tali deliberazioni, che formano oggetto di
taluni dei ricorsi in epigrafe indicati.
2. In particolare nella parte in fatto del
predetto ricorso n. 3006/2014 viene posto in rilievo quanto segue: A) il
decreto legislativo n. 507/1993 ha demandato ai Comuni il compito di adottare
un apposito regolamento per disciplinare le modalità di rilascio dei titoli per
l’installazione di impianti pubblicitari e determinare la relativa imposta di
pubblicità; B) in attuazione di tale decreto legislativo l’Assemblea capitolina
con la deliberazione n. 289/1994 ha adottato il Regolamento sulla pubblicità e
sulle pubbliche affissioni (di seguito denominato “Regolamento”), prevedendo
che l’assegnazione degli impianti sarebbe stata effettuata a mezzo di gara
pubblica, ma introducendo (all’art. 30) una disciplina transitoria in base alla
quale le concessioni e le autorizzazioni per l’istallazione degli impianti
rilasciate con provvedimenti adottati entro il 31 dicembre 1993 erano
confermate per un periodo, rispettivamente, di cinque o tre anni ed erano
rinnovabili per un ulteriore periodo di pari durata; C) l’Assemblea capitolina
con la successiva deliberazione n. 254/1995 ha approvato il primo piano
dell’impiantistica pubblicitaria, ma - preso atto della complessità della
situazione che si sarebbe venuta a determinare in caso di aggiudicazione dei
nuovi titoli a mezzo gara pubblica senza aver preventivamente censito quelli
vigenti, eliminato il fenomeno dell’abusivismo ed esaminato le istanze ancora
pendenti - ha previsto un nuovo periodo transitorio, durante il quale le
imprese operanti nel settore avrebbero avuto diritto ad ottenere i titoli
richiesti ovvero al rinnovo di quelli già rilasciati; D) tale periodo
transitorio era caratterizzato da una “procedura riordino”, nell’ambito della
quale ogni impresa del settore avrebbe dovuto presentare, entro 90 giorni dalla
pubblicazione della predetta deliberazione, un’apposita domanda di
partecipazione alla procedura stessa (autodenunciandosi, qualora in possesso di
impianti già installati con autorizzazione, ovvero richiedendo l’esame delle
istanze già presentate, anche nel caso di impianti già installati), mentre i
competenti uffici comunali avrebbero dovuto provvedere all’esame delle domande
nel termine di 90 giorni dalla presentazione delle stesse; E) per la
regolamentazione della procedura del riordino è intervenuta la deliberazione
della Giunta capitolina n. 1689/1997, ove è stata prevista la compilazione di
quattro distinti modelli, denominati Modelli R (da compilare per gli impianti
muniti di autorizzazione alla data del 31 dicembre del 1993, per la quale
veniva chiesto il rinnovo), Modelli E (da compilare per la segnalazione di
istanze presentate negli anni precedenti per nuovi impianti ancora da
installare e in attesa di risposta alla data del 31 dicembre del 1994), Modelli
ES (da compilare per gli impianti installati senza autorizzazione, ma con
domanda già presentata e in attesa di risposta alla medesima data del
31dicembre del 1994) e Modelli SPQR (da compilarsi per gli impianti di
proprietà comunale, per i quali veniva chiesto il rinnovo della concessione);
F) l’art. 14 di tale deliberazione prevedeva che il rinnovo dei titoli avrebbe
avuto una durata di cinque anni per le concessioni e di tre anni per le
autorizzazioni, fatto salvo l’ulteriore rinnovo previsto dal Regolamento; G)
ulteriori integrazioni alla disciplina della procedura del riordino sono
intervenute dapprima con la deliberazione della Giunta capitolina n. 426/2004 e
poi con le deliberazioni del Commissario straordinario n. 6/2008 e n. 38/2008;
H) in particolare, la deliberazione n. 38/2008 ha modificato l’art. 14 della
deliberazione n. 1689/1997 (già novellato dalla deliberazione n. 6/2008)
prevedendo che “la durata delle autorizzazioni e delle concessioni già
rilasciate o da rilasciare attinenti alla procedura del riordino è unificata e
la scadenza del primo quinquennio è fissata al 31.12.2009. Si rimanda a quanto
previsto dalla deliberazione di Consiglio Comunale n. 100/2006 per la
disciplina dei rinnovi”; I) nelle more della conclusione della procedura di
riordino l’Assemblea capitolina ha adottato le deliberazioni n. 100/2006 e n.
37/2009, con le quali è stato dapprima approvato e poi modificato il nuovo
Regolamento; L) in particolare il nuovo Regolamento (nel testo risultante dalle
modifiche apportate dalla deliberazione n. 37/2009), nel ribadire la regola
della gara pubblica per il rilascio di nuovi titoli (cfr. gli articoli 7 e 10),
ha introdotto una nuova disciplina transitoria per gli impianti inseriti nella
procedura di riordino prevedendo, in particolare, al comma 5-bis dell’art. 34,
che “l’esame delle domande di riordino ancora nella fase istruttoria è
sospeso e sarà effettuato sulla base dei criteri introdotti dai piani previsti
dall’art. 19 del Regolamento” (ossia dal piano regolatore e dai piani di
localizzazione degli impianti pubblicitari) e, al comma 9 dell’art. 34, che “le
concessioni e le autorizzazioni rinnovate, rispettivamente per cinque o tre
anni, all’esito del procedimento di riordino ... possono essere rinnovate per
ulteriori periodi ciascuno non superiore, rispettivamente, a cinque e tre anni”;
M) in seguito è intervenuta la deliberazione della Giunta Capitolina n.
116/2013, nella quale è stato ribadito (al quinto capoverso) quanto già
disposto dall’art. 34 del Regolamento, confermando che “l’efficacia nel
tempo della posizione amministrativa degli impianti di cui al precedente
capoverso è regolata dal combinato disposto dell’art. 34 comma 9 del
Regolamento di Pubblicità, come modificato dalla deliberazione del Commissario
Straordinario con i poteri della Giunta Comunale n. 38/2008, e dall’art. 64 del
D. Lgs. n. 446/1997, a condizione che sia ottemperato alle prescrizioni
impartite dall’Amministrazione nei modi e nelle forme di cui al comma 10
dell’art. 34”, ed è stato disposto (al sesto capoverso) che, “sempre ai
fini della chiusura del procedimento di riordino, … gli impianti di cui ai
predetti due ultimi capoversi, se rispettano le condizioni ivi stabilite,
costituiscono parte integrante dei Piani di Localizzazione adottati in
conseguenza del Piano Regolatore degli impianti pubblicitari, e ove in
contrasto con le prescrizioni stabilite da quest’ultimo, sono ammessi
prioritariamente alla trasformazione in componenti e complementi di arredo
urbano di cui all’art. 4 comma 1 lett. I del Regolamento di Pubblicità, anche
nell’ambito dei progetti di cui all’art 6 commi 1 bis e 5 del predetto
Regolamento”; N) tuttavia la Giunta capitolina è nuovamente intervenuta
sulla disciplina della procedura di riordino con l’impugnata deliberazione n.
425/2013; P) tale deliberazione - nel disporre la “modifica e revoca
parziale” della deliberazione n. 116/2013 - lede gli interessi delle
imprese che hanno preso parte alla procedura di riordino sia nella parte (primo
capoverso) in cui dispone che la permanenza sul territorio degli impianti
inseriti nella Nuova Banca Dati degli impianti pubblicitari (di seguito
denominata “NBD”) è assicurata “a titolo temporaneo” nelle more
dell’adozione del Piano Regolatore degli Impianti Pubblicitari (di seguito
denominato “PRIP”), perché così esclude la possibilità che gli impianti oggetto
della procedura di riordino confluiscano nei piani di localizzazione che
saranno adottati in base al PRIP, sia nella parte (terzo capoverso) in cui
sostituisce il quinto capoverso della deliberazione di Giunta Capitolina n.
116/2013, perché espunge il riferimento all’art. 64 del decreto legislativo n.
446/1997 erroneamente ritenendolo “un mero errore materiale”, sia nella
parte (quarto capoverso) in cui dispone che, “in riferimento al sesto
capoverso della deliberazione di Giunta Capitolina n. 116/2013, ... il
recepimento automatico delle risultanze del procedimento di riordino
all’interno del Piano Regolatore e nei conseguenti Piani di Localizzazione non
altera, tuttavia, la scadenza naturale dei titoli degli impianti di cui alla
medesima procedura di riordino”, perché in tal modo limita nel tempo la
posizione amministrativa degli impianti ivi indicati, ancorandola alla “scadenza
naturale dei titoli”.
3. Quindi le ricorrenti avverso la
deliberazione n. 425/2013 deducono le seguenti censure: violazione e
falsa applicazione degli articoli 34, commi 9 e 10 del Regolamento, nel testo
risultante dalle modifiche apportate dalla deliberazione n. 37/2009; violazione
e falsa applicazione dell’art.3 della legge n. 241/1990, violazione e falsa
applicazione degli articoli 62 e 64 del decreto legislativo n. 446/1997;
eccesso di potere per illogicità, per ingiustizia manifesta, per difetto dei
presupposti e per difetto di istruttoria. Innanzi tutto le ricorrenti
sostengono che l’impugnata deliberazione sarebbe viziata per difetto di
motivazione, perché dal riferimento alla “scadenza naturale dei titoli”
(contenuto nel quarto capoverso) non si comprende quale sia la durata
dell’efficacia dei titoli ai quali la Giunta intende riferirsi, né quale sia il dies
a quo al quale ancorare la durata dell’efficacia dei titoli. Inoltre
sostengono che la previsione di una “scadenza naturale dei titoli”
relativi agli impianti inseriti nella procedura di riordino, disancorata dalla
conclusione della procedura stessa, sarebbe viziata da eccesso di potere per
illogicità ed ingiustizia manifesta. Difatti, secondo le ricorrenti, dall’art.
34 del Regolamento (nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla
deliberazione n. 37/2009) e dalla stessa deliberazione della Giunta Capitolina
n. 116/2013 si desume che la conclusione della procedura di riordino è
propedeutica alla pianificazione futura, perché le risultanze di tale procedura
devono essere recepite nei piani di localizzazione degli impianti (cfr. il
sesto capoverso del dispositivo della deliberazione n. 116/2013) e, quindi,
sarebbe irragionevole ed ingiusto limitare l’efficacia di titoli rilasciati
all’esito della procedura di riordino prima che la procedura stessa si sia
conclusa, anche perché la decorrenza dell’efficacia di un titolo autorizzatorio
si giustifica solo se il titolare dello stesso sia stato posto in condizione di
operare nella legalità. Del resto uno dei presupposti della procedura di
riordino era costituito proprio dalla necessità di eliminare il fenomeno
dell’abusivismo e di consentire alle imprese regolarmente autorizzate di
operare nella legalità, mentre le imprese ricorrenti - a fronte dei ritardi
dell’Amministrazione nella conclusione della procedura di riordino e nella
repressione del fenomeno dell’abusivismo - hanno visto fortemente limitata la
propria azione e, quindi, era ragionevole attendersi che l’Amministrazione
rinnovasse i titoli per il tempo necessario per rientrare degli investimenti
effettuati. A ciò si deve poi aggiungere, sempre secondo le ricorrenti, che la
previsione di una “scadenza naturale” delle posizioni amministrative
relative agli impianti inseriti nella procedura di riordino contrasta con
l’art. 34, comma 9, del Regolamento (nel testo risultante dalle modifiche
apportate dalla deliberazione n. 37/2009), nella parte in cui dispone che le
concessioni e le autorizzazioni sono rinnovate “all’esito del procedimento
di riordino di cui alle deliberazioni del Consiglio Comunale n. 289/1994 e n.
254/1995”; difatti da tale disposizione si desumerebbe che fino a quando
non sia conclusa la procedura di riordino non sono configurabili né il primo
rinnovo, né l’ulteriore rinnovo dei titoli. Parimenti illegittimo risulterebbe
il terzo capoverso del dispositivo della deliberazione n. 425/2013, che ha
sostituito il quinto capoverso del dispositivo della deliberazione n. 116/2013
espungendo il riferimento all’art. 64 del D. Lgs. n. 446/1997. Difatti la
Giunta capitolina non avrebbe considerato che il riferimento a tale articolo si
pone come base legale necessaria per legittimare, nelle more della conclusione
della procedura di riordino, la permanenza degli impianti a suo tempo
autorizzati. Infine le ricorrenti sostengono che la disposizione di cui al
primo capoverso della impugnata deliberazione - ove è previsto che la
permanenza sul territorio degli impianti inseriti nella NBD è assicurata “a
titolo temporaneo” nelle more dell’adozione del PRIP - «svela la malcelata
scelta della Giunta capitolina di derogare a quanto previsto dal Regolamento
comunale in ordine al transito ed all’adeguamento degli impianti regolari nel
futuro piano regolatore».
4. La società Fox ADV Srl con il ricorso
n. 14431/2014 - avente ad oggetto le deliberazioni dell’Assemblea capitolina n.
49/2014 e n. 50/2014 e la nota prot. n. LR/BG 61384 del 23 settembre 2014 - in
punto di fatto premette quanto segue: A) essa operava nel settore della
progettazione, produzione, istallazione su strade e noleggio di impianti
pubblicitari e disponeva di una serie di impianti autorizzati sul territorio
del Comune di Roma; B) per tale ragione ha partecipato alla c.d. procedura di
riordino degli impianti pubblicitari a suo tempo avviata dal Comune di Roma; C)
nel febbraio 2013 ha ceduto il ramo di azienda relativo alla proprietà ed alla
gestione degli impianti pubblicitari alla società Gregor Srl. Quindi la società
Fox ADV Srl - dopo aver illustrato anch’essa la complessa evoluzione della
disciplina in materia di istallazione di impianti pubblicitari e dopo ricordato
che la deliberazione n. 425/2013 è stata impugnata da taluni operatori del
settore con il suddetto ricorso n. 3006/2014 - riferisce che l’Assemblea
Capitolina nella seduta del 30 luglio 2014: A) nel dichiarato intento di dare
attuazione agli articoli 19 e 20 del Regolamento, con la deliberazione n.
49/2014 ha finalmente approvato il PRIP; B) nonostante la pendenza della
procedura di riordino, con la deliberazione n. 50/2014 ha nuovamente modificato
il Regolamento introducendo disposizioni che frustrano le consolidate certezze
delle imprese partecipanti alla procedura di riordino, perché contrastano con
quanto previsto dai previgenti commi 9 e 10 dell’art. 34 del Regolamento. In
particolare la deliberazione n. 50/2014: A) prevede che l’inserimento degli
impianti nella NBD - creata al solo fine di censire tutti gli impianti
pubblicitari presenti sul territorio capitolino alla data del 31 dicembre 2009
- “ha determinato la chiusura della procedura di riordino ad essi relativo,
condizionatamente al rispetto delle prescrizioni del codice della strada, come
derogato dalla deliberazione del Commissario straordinario n. 45/2008, nonché
delle vigenti disposizioni regolamentari, ivi compresa la relativa posizione
contabile a partire dal titolo sottostante” (art. 34, comma 14, del
Regolamento, come modificato dalla deliberazione n. 50/2014); B) limita la
permanenza sul territorio degli impianti “riconosciuti come validi”
nella NBD soltanto “fino al 31.12.2014 senza possibilità di rinnovo o
rilascio di nuove autorizzazioni, e comunque non oltre l’esito delle procedure
di gara conseguenti alla redazione dei piani di localizzazione” (art. 34,
comma 9, primo periodo, del Regolamento, come modificato dalla deliberazione n.
50/2014); C) dispone che “non si procede al rilascio dei singoli atti
autorizzatori relativamente agli impianti predetti” (art. 34, comma 9,
secondo periodo, del Regolamento, come modificato dalla deliberazione n.
50/2014); D) prevede per i “progetti specifici”, per i “progetti di
impiantistica pubblicitaria connotati da caratteristiche innovative” e per
gli “impianti funzionali a progetti di sicurezza urbana e di monitoraggio
della viabilità” la possibilità di derogare ai limiti massimi di superficie
espositiva ed alle localizzazioni del PRIP e dei piani di localizzazione,
sottoponendo tali progetti all’approvazione della Giunta, ma non fissa i
criteri per l’esercizio di tale potere di deroga (art. 6 del Regolamento, come
modificato dalla deliberazione n. 50/2014); E) attribuisce alla Giunta un
analogo potere di deroga alle prescrizioni introdotte dagli strumenti di
pianificazione per i formati degli impianti (art. 20, comma 1, lett. f, punto
5, del Regolamento, come modificato dalla deliberazione n. 50/2014). Inoltre la
società ricorrente riferisce che l’Amministrazione con la nota prot. n. LR/BG
61384 del 23 settembre 2014, indirizzata a tutte le imprese titolari di
impianti inseriti nella NBD, nell’evidenziare gli aspetti salienti della nuova
disciplina regolamentare introdotta con la deliberazione n. 50/2014, ha
ribadito che: A) l’inserimento nella NBD comporta la “chiusura del
procedimento di riordino”; B) gli impianti possono essere mantenuti sul
territorio comunale anche oltre il 31 dicembre 2014, “ma solo fino
all’espletamento delle procedure di gara” di cui all’articolo 7, comma 2,
del Regolamento. Infine la ricorrente precisa che, nonostante la cessione del
ramo d’azienda, persiste il suo interesse all’annullamento degli atti
impugnati; difatti essa: A) al pari della società Gregor, cessionaria del ramo
d’azienda, non ha mai ricevuto l’atto attestante la voltura dei titoli; B) ha
ceduto un ramo d’azienda costituito da impianti autorizzati con titoli (le
istanze di riordino) per i quali era previsto il rinnovo e, quindi, rischia che
la società cessionaria, a causa dei provvedimenti impugnati, chieda la
risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni subiti conseguenti alla
frustrazione dell’aspettativa al rinnovo dei titoli; C) continua ad operare nel
settore in qualità di agente per il reperimento di clientela, in favore di
alcune aziende operanti a Roma con titoli scaturiti dalla procedura di
riordino, tra cui la stessa società Gregor Srl.
5. Avverso i provvedimenti impugnati la
società Fox ADV Srl deduce quindi le seguenti censure:
I) Violazione e falsa applicazione
degli articoli 3, 25, 41 e 97 Cost., dell’art. 11 delle preleggi, degli
articoli 1, 2 e 3 della legge n. 241/1990, degli articoli 62 e 64 del decreto
legislativo n. 446/1997 e dei principi di certezza del diritto, di legalità, di
buon andamento e di imparzialità, di correttezza e buona fede, del legittimo
affidamento, di proporzionalità e di irretroattività degli atti amministrativi;
eccesso di potere per sviamento, per illogicità, per irragionevolezza, per
contraddittorietà, per ingiustizia grave e manifesta, per travisamento in fatto
ed in diritto, per difetto di istruttoria e di motivazione.
Il presente motivo si articola su tre
distinte censure, la prima delle quali mira a denunciare l’illegittimità delle
nuove disposizioni dell’art. 34 del Regolamento, introdotte dalla deliberazione
n. 50/2014, nella parte in cui consentono all’Amministrazione di sottrarsi
all’obbligo di provvedere sulle istanze presentate nell’ambito della procedura
di riordino. In particolare la ricorrente - premesso che tali disposizioni, pur
essendo inserite in un atto di natura regolamentare, sono prive dei requisiti
di generalità ed astrattezza perché si riferiscono a fattispecie specifiche ed
a soggetti determinati, da identificare nelle imprese che hanno partecipato
alla procedura di riordino - sostiene che la fittizia conclusione di tale
procedura, prevista dalle nuove disposizioni dei commi 9 e 14 dell’art. 34: A)
è affetta da sviamento di potere, perché si pretende di utilizzare una
dotazione informatica avente rilevanza meramente contabile - qual è la NBD -
per eludere l’obbligo di concludere i singoli procedimenti; B) contrasta non
solo con gli articoli 1, 2 e 3 della legge n. 241/1990, ma anche con le
precedenti determinazioni dell’Amministrazione (e, in particolare, con l’art.
34, comma 9, del Regolamento, come modificato dalla deliberazione n. 100/2006),
ove viene ribadita l’esigenza di concludere i singoli procedimenti mediante
l’adozione di provvedimenti espressi. Del resto l’inserimento nella NBD aveva
il solo scopo di censire gli impianti esistenti sul territorio e di costituire
una dotazione informatica per esigenze essenzialmente contabili, con la
conseguenza che tale adempimento non avrebbe potuto sostituire l’esame delle
singole istanze presentate nell’ambito della procedura di riordino, perché
l’istruttoria richiedeva non solo l’accertamento del possesso del titolo
sottostante, ma anche la verifica della corretta collocazione dell’impianto con
riferimento alle norme del codice della strada, come dimostra la previsione
secondo la quale un’eventuale ricollocazione dell’impianto sarebbe stata
disposta sulla base delle risultanze dei piani di cui agli articoli 19 e 20 del
Regolamento. La ricorrente deduce poi che l’esistenza dell’obbligo di
concludere la procedura di riordino con l’adozione di provvedimenti espressi -
oltre ad essere stata accertata da questo Tribunale con la sentenza n.
5288/2014 - è stata riconosciuta dalla stessa Assemblea capitolina con l’art.
33 del Regolamento, ove si prevede che gli Uffici comunali continuino ad esercitare
la competenza in ordine alla “gestione del procedimento di riordino degli
impianti pubblicitari di cui alla deliberazione del C.C. n. 254/95 e della
deliberazione di Giunta comunale n. 1689 del 9.5.1997 e dei connessi
adempimenti, per quanto previsti dal presente regolamento”. Inoltre,
secondo la ricorrente, che il mero inserimento degli impianti nella NBD non
potesse determinare la chiusura della procedura di riordino si desumerebbe
anche: A) dal fatto che fino all’abrogazione dell’art. 34, comma 5-bis, del
Regolamento (disposta dalla impugnata deliberazione n. 50/2014) la procedura di
riordino era sospesa, perché la verifica delle domande avrebbe dovuto essere
effettuata sulla base del PRIP e dei piani di localizzazione degli impianti
previsti dall’art. 19 del Regolamento, sicché l’inserimento nella NBD, essendo
avvenuto dopo la sospensione della procedura di riordino disposta dall’art. 34,
comma 5-bis, non poteva comportare la chiusura un procedimento che risultava
sospeso; B) dall’esigenza di stabilire una data certa per la decorrenza dei
titoli rilasciati all’esito della procedura del riordino. Né potrebbe opinarsi
diversamente in ragione di quanto evidenziato dall’Assemblea capitolina nelle
premesse della deliberazione n. 50/2014; difatti: A) l’inerzia protrattasi per
circa venti anni è un fatto imputabile esclusivamente all’Amministrazione,
sicché non giova invocare il “lungo tempo trascorso dall’avvio” della
procedura di riordino ed alla “diversa ubicazione in cui si sono trovati
moltissimi impianti rispetto alla posizione originale di cui all’istanza di
riordino”, si deve considerare che; B) la collocazione degli impianti sul
territorio comunale costituiva comunque il presupposto per attivare la
procedura riordino, sicché l’Amministrazione non può invocare la “insistenza
sul territorio” di cui gli impianti inseriti nella procedura di riordino
avrebbero beneficiato nel tempo; C) il principio della certezza del diritto
impone comunque l’adozione di provvedimenti espressi, sicché non rilevano le
invocate esigenze di non aggravamento del procedimento.
La seconda censura riguarda l’ulteriore
disposizione dell’art. 34, comma 9, del Regolamento relativa alla cessazione
degli effetti dei titoli alla data del 31 gennaio 2014, “senza possibilità
di rinnovo o rilascio di nuove autorizzazioni, e comunque non oltre l’esito
delle procedure di gara conseguenti alla redazione dei piani di localizzazione”.
Secondo la ricorrente tale disposizione, implicando la decorrenza retroattiva
dell’efficacia di titoli mai rilasciati, contrasterebbe - oltre che con i
principi di ragionevolezza e di irretroattività degli atti amministrativi -
anche con l’art. 64 del decreto legislativo n. 446/1997. In particolare nel
caso in esame la retroattività del provvedimento amministrativo - comunque di
per sé illegittima - non sarebbe neppure collegata al rilascio di titoli
formali, ma alla mera fictio juris per cui l’inserimento nella
NBD avrebbe determinato la chiusura della procedura del riordino. Inoltre la
retrodatazione della decorrenza dell’efficacia dei titoli (a far data dal 2009)
sarebbe incompatibile con la disciplina transitoria prevista dall’art. 64 del
decreto legislativo n. 446/1997 (secondo il quale “Le autorizzazioni alla
installazione di mezzi pubblicitari e le concessioni di spazi ed aree
pubbliche, rilasciate anteriormente alla data dalla quale hanno effetto i
regolamenti previsti negli articoli 62 e 63, sono rinnovate a richiesta del
relativo titolare o con il pagamento del canone ivi previsto, salva la loro
revoca per il contrasto con le norme regolamentari”), perché tale
disposizione riguarda il rinnovo di autorizzazioni e concessioni rilasciate
prima dell’adozione del regolamento di cui all’art. 62 (avvenuta con la
deliberazione n. 100/2006) e comunque fino all’approvazione definitiva dei
piani di localizzazione ed al conseguente rilascio dei nuovi titoli, mentre
Roma Capitale non ha ancora approvato i piani di localizzazione. Pertanto i
titoli vigenti al momento dell’adozione della deliberazione n. 100/2006
dovrebbero considerarsi rinnovati ai sensi dell’art. 64 del decreto legislativo
n. 446/1997, come dimostra il fatto che la stessa Amministrazione capitolina
dal 2009 in poi ha rilasciato ogni anno copia dello stralcio della NBD riferita
alle singole aziende, da intendersi come titolo annuale transitorio ai sensi
del citato art. 64.
La terza censura è incentrata sulla
lesione del principio del legittimo affidamento e mira a dimostrare che la
disciplina introdotta nell’art. 34 del Regolamento non tiene conto del
legittimo affidamento ingenerato dai precedenti atti e comportamenti
dell’Amministrazione, che hanno indotto le imprese del settore a realizzare
cospicui investimenti nell’ottica di poter continuare a gestire i propri
impianti e di inserirli nella pianificazione futura. In particolare Roma
Capitale avrebbe deciso di non concludere i procedimenti afferenti alla
procedura riordino, sebbene dagli atti adottati nel corso dei vent’anni
precedenti emergesse l’esigenza di concludere tali procedimenti con
provvedimenti espressi (cfr. le deliberazioni n. 254/1995, n. 1689/1997 e n.
100/2006). Inoltre Roma Capitale avrebbe violato il legittimo affidamento delle
imprese che hanno preso parte alla procedura di riordino perché ha limitato
l’efficacia dei “titoli” rilasciati all’esito di tale procedura a soli cinque mesi,
prevedendo la scadenza degli stessi al 31 dicembre 2014 e comunque non oltre
l’esito delle gare di prossima indizione, così omettendo di considerare le
proprie precedenti determinazioni in forza delle quali le concessioni e le
autorizzazioni venivano rinnovate rispettivamente per cinque e per tre anni dal
momento del rilascio, con possibilità di un ulteriore rinnovo (cfr. l’art. 34,
comma 9, del Regolamento adottato con la deliberazione n. 100/2006); del resto
tale affidamento neppure poteva ritenersi intaccato dalle previsioni contenute
nella deliberazione di Giunta n. 426/2004 e nelle deliberazioni commissariali
n. 6/2008 e 38/2008, perché tali provvedimenti erano diretti a fissare un
termine meramente acceleratorio per la conclusione della procedura di riordino
(31 dicembre 2009) e non potevano certo derogare alle previsioni regolamentari
all’epoca vigenti, perché la Giunta e il Commissario straordinario difettano
del potere di modificare norme regolamentari. Un’ulteriore lesione del
legittimo affidamento deriverebbe dalla previsione dell’art. 34 che,
assimilando l’inserimento degli impianti nella NBD al rilascio dei titoli, fa
retroagire la decorrenza dei titoli al 2009, con conseguente scadenza degli
stessi al 31 dicembre 2014. Parimenti lesiva del legittimo affidamento sarebbe
la nuova disciplina transitoria posta dall’art. 34 del Regolamento nella parte
in cui non tiene conto dell’aspettativa delle imprese che hanno partecipato
alla procedura di riordino a veder inseriti gli impianti che rispettano determinate
condizioni (conformità al codice della strada e regolarità contabile) nella
pianificazione futura; del resto prima della deliberazione n. 50/2014 la
procedura di riordino era propedeutica alla pianificazione futura, con la
conseguenza che le risultanze del riordino avrebbero dovuto essere recepite nei
piani di localizzazione (cfr. le deliberazioni n. 116/2013 e 425/2013).
II) Sviamento di potere per
compromissione della finalità della disciplina transitoria; eccesso di potere
per illogicità, per irragionevolezza, per contraddittorietà, per travisamento
in fatto ed in diritto, per manifesta e grave ingiustizia, per disparità di
trattamento, per difetto di istruttoria e di motivazione; violazione dei
principi di ragionevolezza, di proporzionalità e di effettività del regime
transitorio; di certezza del diritto, del legittimo affidamento e dei principi
di buon andamento e di imparzialità.
La ricorrente lamenta che l’art. 34, commi
9 e 14, del Regolamento, come modificato dalla deliberazione n. 50/2014, abbia
azzerato il regime transitorio relativo al passaggio dal regime di rilascio dei
titoli su domanda individuale al regime fondato sulla gara pubblica. In
particolare la previsione di un termine incongruo (31 dicembre 2014) per
l’efficacia di titoli mai rilasciati e di un ulteriore incerto termine di
tolleranza della permanenza degli impianti sul territorio comunale (fino
all’espletamento delle gare) si porrebbe in contrasto con i principi di
certezza del diritto, di ragionevolezza e di proporzionalità, ai quali ogni
disciplina transitoria deve uni formarsi. Infatti, se è vero che nel dettare
una disciplina transitoria il legislatore (o comunque l’ente titolare della
potestà regolamentare) gode di un’ampia discrezionalità, tuttavia non si può
dubitare che - come riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale (ex multis,
la sentenza n. 325/2010) - i limiti di durata di una disciplina transitoria per
essere “congrui” e “ragionevoli” debbono essere “sufficientemente ampi”, in
modo da consentire un passaggio graduale alla nuova disciplina e attenuare le
conseguenze negative dell’eventuale passaggio da un regime più favorevole ad
uno meno favorevole. Ciò posto, la previsione del termine del 31 dicembre 2014
non garantirebbe un periodo transitorio sufficientemente ampio, perché la
permanenza degli impianti sul territorio comunale è prevista per un periodo di
soli cinque mesi dalla data di adozione delle modifiche regolamentari.
Parimenti incongruo risulterebbe l’ulteriore termine riferito alla conclusione
delle procedure di gara, perché l’assoluta indeterminatezza di tale termine
contrasterebbe con la finalità stessa della disciplina transitoria. La
irragionevolezza della nuova disciplina transitoria determinerebbe poi
un’ulteriore lesione del legittimo affidamento, perché la previgente disciplina
transitoria comportava un più graduale passaggio al regime delle gare
pubbliche, perché era previsto che i titoli avrebbero potuto essere rinnovati.
III) Violazione e falsa applicazione
degli articoli 1 e 3 della legge n. 241/1990; eccesso di potere per illogicità,
irragionevolezza, contraddittorietà, travisamento in fatto ed in diritto,
manifesta e grave ingiustizia; disparità di trattamento, difetto di istruttoria
e di motivazione; violazione dei principi di ragionevolezza, di
proporzionalità, di effettività del regime transitorio e di certezza del
diritto; illegittimità derivata.
La ricorrente si duole del fatto che non
siano state evidenziate le ragioni che hanno indotto Roma Capitale: A) a
modificare i formati precedentemente ammessi escludendo il formato 4x3, sebbene
tale formato rappresenti uno di quelli più diffusi sia in Italia che
all’estero; B) ad obbligare gli operatori ad un’immediata e costosissima
attività di adeguamento degli impianti difformi. Inoltre l’irragionevolezza
della nuova disciplina risulterebbe ancor più evidente perché gli attuali
possessori di impianti formato 4x3 devono adeguarsi alle nuove prescrizioni
regolamentari entro il ravvicinato termine ultimo del 31 gennaio 2015, sebbene
la l’Amministrazione stessa abbia già espresso la sua volontà di porre termine
ai rapporti alla data dal 31 dicembre 2014 o, comunque, all’esito delle
imminenti gare. In altri termini, Roma Capitale avrebbe imposto un adempimento
che - oltre ad essere gravoso e di difficile esecuzione, per il brevissimo
termine assegnato per l’adeguamento degli impianti - sarebbe anche inutile, in
ragione della imminente scadenza dei titoli, ed ingiusto, perché in caso di
inadempimento all’obbligo di adeguamento degli impianti sono previste sanzioni
che (in forza dell’art. 7, comma 4, della deliberazione n. 50/2014) impediscono
di partecipare alle procedure di gara. Infine l’impugnata nota del 23 settembre
2014 sarebbe illegittima, oltre che per tutti i vizi che inficiano la
deliberazione n. 50/20144, anche in via autonoma, nella parte in cui prevede un
termine troppo ravvicinato (31 gennaio 2015) per l’adeguamento degli impianti
formato 4x3.
IV) Illegittimità delle previsioni
contenute nell’art. 6, commi 1-ter, 1-quater e 5, e nell’art. 20, comma 1,
lett. f), n. 5, del regolamento approvato con deliberazione n. 50/2014 per
violazione del riparto di competenze delineato dagli artt. 42, comma 2, lett.
b), e 48 del decreto legislativo n. 267/2000; eccesso di potere per violazione
dei principi in materia di esercizio del potere di deroga e per illogicità ed
irragionevolezza.
La ricorrente - premesso che l’art. 6,
comma 1-ter, del Regolamento attribuisce alla Giunta il potere di derogare alla
quantità massima di esposizione della superficie dei mezzi pubblicitari qualora
vengano presentati progetti speciali - sostiene che tale disposizione contrasta
con la disciplina del riparto di competenze tra gli organi dell’Ente locale,
perché in base all’art 42 del decreto legislativo n. 267/2000 è il Consiglio
comunale l’organo chiamato non solo ad adottare i piani territoriali, ma anche
a disciplinare eventuali deroghe. Del resto, di ciò era ben consapevole anche
Roma Capitale, che nella versione precedente dell’art. 6, comma 5, prevedeva
l’esercizio del potere di deroga non già in capo alla Giunta, bensì in capo
all’Amministrazione intesa nella sua interezza, così implicitamente rinviando
al riparto di competenze previsto dagli articoli 42 e 48 del decreto
legislativo n. 267/2000.
Analoghe considerazioni varrebbero per le
ulteriori previsioni con le quali viene attribuito alla Giunta il potere di: A)
derogare ai limiti della superficie massima prevista dalla pianificazione
generale nei casi di “progetti di impianti relativi a sistemi di
comunicazione ed informazione turistico-culturale” e di “progetti di
impiantistica pubblicitaria connotati da caratteristiche innovative” (art.
6, comma 1-quater), nonché di “impianti funzionali a progetti di Sicurezza
Urbana o di monitoraggio della viabilità” (cfr. art. 6, comma 5); B) ai
formati e tipi ammessi per gli impianti speciali (cfr. art. 20, comma 1, lett.
f), n. 5). Infatti - fermo restando che il potere di deroga non è delegabile -
il conferimento di tale potere alla Giunta comunque sarebbe avvenuto in assenza
di una sua precisa delimitazione, mentre la natura straordinaria del potere di
deroga impone quantomeno la fissazione dei limiti entro i quali lo stesso può
essere esercitato.
V) Violazione e falsa applicazione
degli articoli 7 e ss. della legge n. 241/1990 e dell’art. 97 Cost., dei
principi del giusto procedimento, di proporzionalità e di buon andamento
dell’azione amministrativa, violazione e falsa applicazione della deliberazione
consiliare n. 57/2006 e della deliberazione di Giunta comunale n. 621/2002; eccesso
di potere per difetto di istruttoria, contraddittorietà e violazione di norme
interne e della prassi amministrativa.
La società ricorrente - premesso la
disciplina posta dagli articoli 7 e ss. della legge n. 241/1990 deve ritenersi
applicabile anche alla chiusura della procedura di riordino, perché la
deliberazione n. 50/2014 difetta dei requisiti di generalità ed astrattezza -
sostiene che nel caso in esame la partecipazione al procedimento delle imprese
interessate avrebbe consentito di sottoporre all’attenzione
dell’Amministrazione capitolina tutte le incongruenze e criticità relative ad
un repentino passaggio dal regime del rilascio di autorizzazioni singole al
regime della gara. Del resto di ciò si trarrebbe conferma: A) dal fatto che
nell’ordinamento generale sia stato introdotto (dall’art. 14 della legge n.
246/2005) l’istituto dell’analisi di impatto della regolazione (di seguito
denominato “AIR”), che prevede quale momento necessario della regolazione la
consultazione dei soggetti incisi dalla nuova normativa; B) dal fatto che Roma
Capitale abbia introdotto tale istituto di partecipazione nel proprio
ordinamento attraverso la deliberazione della Giunta comunale n. 621 del 29
ottobre 2002 (recante il “Regolamento sull’ordinamento degli Uffici e dei
Servizi del Comune di Roma e s.m.i.”), nella quale sono stati previsti i
criteri sulla base dei quali individuare le iniziative da sottoporre ad AIR,
indicando tra queste proprio le modifiche al Regolamento e l’adozione del PRIP.
6. Anche le società D&D Srl Outdor
Advertising (nella dichiarata qualità di impresa operante nel settore della
pubblicità), con il ricorso n. 14433/2014, le società Wayap Srl e AP Italia Srl
(nella dichiarata qualità di imprese operanti nel settore della pubblicità),
con il ricorso n. 14435/2014, nonché l’AIPE - Associazione Imprese di
Pubblicità Esterna e le società Moretti Pubblicità Srl e Pateo Srl uninominale,
con il ricorso n. 15651/2014, hanno impugnato la deliberazione n. 50/2014 e la
nota prot. n. LR/BG 61384 del 23 settembre 2014, deducendo censure pressoché
identiche a quelle proposte con il ricorso n. 14431/2014.
7. Ulteriori impugnazioni della
deliberazione n. 50/2014 sono state proposte: A) dalla società Defi Srl, con il
ricorso n. 14401/2014; B) dalla società APA - Agenzia Pubblicità Affissioni
Srl, con il ricorso n. 14436 del 2014; C) dalle società Ars Pubblicità Srl,
Cosmo Pubblicità Srl, G.B.E. Srl e New Poster Srl, con il ricorso n.
14526/2014; D) dall’associazione CONF. IRPA – Confederazione Imprese Pubblicitarie
Romane Associate e dalle società O.P.A. Srl, D.DN. Srl, Studio Immagine Srl,
F.A.R.G. Pubblicità di Tonatti Maria & C. Sas, Sarila Srl, Mediacom Srl,
Battage Srl, Puntoline Srl, Tre C Pubblicità Srl, Joint Media Srl, Fabiano
Pubblicità Srl, Pubbli Toni Srl, OR.SA. Pubblicità Sas di Orecchio F. &
Co., Pubblistudio Srl, GMPSHOP.COM Sas di Givanni Masto & C., Unigamma Srl,
Publi Media Srl, Graficolor New Srl e Comunicando Leader Srl, con il ricorso n.
15194/2014; E) dalle società Pubbli Roma Srl, Gregor Srl, R.B. Pubblicità
(Realizzazione Budget Pubblicità) Srl, Spot Pubblicità Srl, Nuovi Spazi Srl,
Stunt Pubblicity Srl e My Max Srl, con il ricorso n. 15195/2014; F) dalla
società Opera Srl, con il ricorso n. 15804/2014; G) dalle società Fallimento
A.R.P. Srl (già società A.R.P. Srl) e ATC Communications Srl, con il ricorso n.
15806/2014; H) dalla società Sipea Srl, con il ricorso n. 15829/2014.
8. In particolare la società Defi Srl -
nella dichiarata qualità di impresa operante nel settore della pubblicità sui
tetti degli edifici e di soggetto che ha partecipato alla procedura di riordino
- con il ricorso n. 14401/2014, oltre ad impugnare la deliberazione n. 50/2014,
ha impugnato anche la deliberazione n. 49/2014 deducendo le seguenti censure.
I) Illegittimità delle deliberazioni n.
49/2014 n. 50/2014 per violazione dei principi preposti alla regolare
formazione della volontà assembleare; nullità per violazione dell’art.
21-septies della legge n. 241/1990.
La ricorrente lamenta innanzi tutto che
l’Assemblea capitolina abbia anteposto l’adozione del PRIP all’adozione delle
modifiche al Regolamento, evidenziando che tale modus operandi non può
ritenersi ammissibile perché il PRIP ha valore attuativo rispetto al
Regolamento. Inoltre lamenta che la deliberazione n. 50/2014 nella sua parte
dispositiva non riporti alcune delle modifiche che invece si riscontrano nel
testo del Regolamento allegato alla deliberazione medesima.
II) Illegittimità della deliberazione
n. 49/2014 per violazione dell’art. 21-septies della legge n. 241/1990 per
totale indeterminatezza del PRIP; eccesso di potere per contraddittorietà tra
il PRIP ed il Regolamento approvato con la deliberazione n. 50/2014; violazione
dell’art. 97 della Costituzione.
La ricorrente - premesso che il PRIP
divide il territorio comunale in due zone (A e B), la seconda delle quali è
suddivisa in tre sottozone (B1, B2 e B3) - lamenta la totale indeterminatezza
del piano, evidenziando che la zonizzazione non è graficamente intellegibile
perché le 14 tavole allegate recano mappe colorate che non consentono di
distinguere le singole zone.
III) Illegittimità della deliberazione
n. 49/2014 per eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità,
contraddittorietà e disparità di trattamento.
La ricorrente si limita ad affermare che
il PRIP, anche nelle parti in cui non risulta viziato per la sua
indeterminatezza, risulta comunque illegittimo perché «la discrezionalità
amministrativa incontra il limite della ragionevolezza, della logicità e della
non contraddittorietà dei provvedimenti che ne costituiscono l’esercizio».
IV) Illegittimità della deliberazione
n. 50/2014 per violazione degli articoli 25 e 41 e 97 della Costituzione,
dell’art. 11 delle preleggi, degli articoli 1, 2 e 3 della legge n. 241/1990;
eccesso di potere per contraddittorietà.
La ricorrente si limita ad affermare che
l’insieme delle modifiche apportate al Regolamento «stravolge l’impostazione
data al riordino delle attività pubblicitarie sul territorio capitolino nei
vent’anni precedenti. Tanto fa in violazione dei principi afferenti la vigenza
delle norme nel tempo, dei principi, costituzionali e non, concernenti
l’efficacia e il buon andamento della pubblica amministrazione, le norme
basilari poste a presidio della regolarità dei procedimenti amministrativi, il
conseguente legittimo affidamento dei cittadini».
V) Illegittimità della deliberazione n.
50/2014 per violazione dell’art. 42 del decreto legislativo n. 267/2000;
incompetenza.
Il presente motivo reca censure analoghe a
quelle dedotte con il quarto motivo del ricorso n. 14431/2014. Anche la
ricorrente sostiene che la nuova disciplina introdotta negli articoli 6, 7, 19,
comma 3, e 20, comma 1, lett. f), del Regolamento contrasta con la disciplina
del riparto di competenze tra gli organi dell’Ente locale, perché viene
conferito alla Giunta il potere di modificare il Regolamento per il tramite di
provvedimenti da emanarsi caso per caso e sulla scorta di presupposti generici
ed indefiniti.
9. La società APA Srl - nella dichiarata
qualità di impresa operante nel settore della pubblicità e di soggetto che ha
preso parte alla procedura di riordino - con il ricorso n. 14436 del 2014
deduce le seguenti censure.
I) Violazione e falsa applicazione
dei principi di certezza del diritto e delle regole in materia di formazione
della volontà degli organi collegiali; nullità per carenza degli elementi
essenziali del provvedimento; eccesso di potere in tutte le sue figure
sintomatiche e, in particolare, per difetto dei presupposti, illogicità
manifesta, irragionevolezza e sviamento.
La ricorrente - premesso che la
deliberazione n. 50/2014 è stata oggetto di due distinte pubblicazioni -
osserva innanzi tutto che la seconda pubblicazione si è resa necessaria per
porre rimedio al fatto che la parte dispositiva della deliberazione oggetto
della prima pubblicazione non riportava alcune disposizioni (come, ad esempio,
quella dell’art. 6, comma 1-quater, che costituisce oggetto del quinto motivo
di ricorso) che risultavano invece dal testo del Regolamento allegato alla
deliberazione. Ciò posto, la ricorrente sostiene che la seconda pubblicazione
non sarebbe sufficiente per emendare un vizio che attiene alla fase della
formazione della volontà dell’organo collegiale, perché sarebbe stato invece
necessario procedere ad una nuova convocazione dell’organo stesso.
Inoltre la ricorrente sostiene che la
seconda pubblicazione non avrebbe comunque emendato tutti i vizi strutturali
dell’impugnata deliberazione; infatti: A) la parte dispositiva della
deliberazione oggetto della seconda pubblicazione non riporta la clausola
(presente, invece, nella precedente deliberazione n. 37/09) secondo la quale “il
testo del regolamento come sopra modificato risulta quello allegato, parte
integrante al presente atto”; B) il testo del Regolamento oggetto della
seconda pubblicazione continua a riportare talune disposizioni che non sono
presenti nella parte dispositiva della deliberazione; C) nel testo del
Regolamento oggetto della seconda pubblicazione si registra in più casi la
mancata corrispondenza con le modifiche regolamentari apportate con l’impugnata
deliberazione. Pertanto non sarebbe possibile ritenere che sul testo del
Regolamento oggetto della seconda pubblicazione si sia formata la volontà
dell’organo collegiale e ciò vizierebbe radicalmente l’impugnata deliberazione,
al punto da renderla radicalmente nulla ai sensi dell’art. 21-septies della
legge n. 241/1990, per carenza degli elementi essenziali del provvedimento.
II) Violazione e falsa applicazione
degli articoli 25, comma 2, 41 e 97 Cost., dell’art. 11 delle preleggi, degli
articoli 1, 2, 3 e 21-bis della legge n. 241/1990 e degli articoli 62 e 64 del
decreto legislativo n. 446/1997, nonché dei principi di irretroattività degli
atti amministrativi, certezza del diritto, legittimo affidamento, correttezza e
buona fede, legalità, buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa
e proporzionalità. eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in
particolare, per sviamento, illogicità, ingiustizia grave e manifesta,
contraddittorietà, irragionevolezza, travisamento ed erronea valutazione dei
fatti, disparità di trattamento, difetto di istruttoria e di motivazione.
Il presente motivo reca censure analoghe a
quelle dedotte con il primo motivo del ricorso n. 14431/2014. Anche la
ricorrente: A) si duole del fatto che le nuove disposizioni dell’art. 34 del
Regolamento consentano all’Amministrazione di sottrarsi all’obbligo di
provvedere sulle istanze presentate nell’ambito della procedura di riordino; B)
contesta la decorrenza retroattiva dell’efficacia di titoli mai rilasciati; C)
lamenta la lesione del suo legittimo affidamento evidenziando che, a seguito
della presentazione delle domande di partecipazione alla procedura di riordino,
confidava nel rilascio di provvedimenti espressi con efficacia quinquennale o
triennale, nella possibilità di ulteriori rinnovi e nell’inserimento automatico
degli impianti assentiti in sede di riordino all’interno dei piani di localizzazione.
III) Violazione e falsa applicazione
degli articoli 41 e 97 Cost. e degli articoli 62 e 64 del decreto legislativo
n. 446/1997, nonché dei principi di effettività e gradualità del regime
transitorio, certezza del diritto, legittimo affidamento, buon andamento e
imparzialità dell’azione amministrativa e proporzionalità; eccesso di potere in
tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, per sviamento, illogicità,
ingiustizia grave e manifesta, contraddittorietà, irragionevolezza,
travisamento ed erronea valutazione dei fatti, disparità di trattamento,
difetto di istruttoria e di motivazione.
Il presente motivo reca censure analoghe a
quelle dedotte con il secondo motivo del ricorso n. 14431/2014. Anche la
ricorrente lamenta che le modifiche apportate all’art. 34, commi 9 e 14, del
Regolamento abbiano azzerato il regime transitorio.
IV) Violazione e falsa applicazione
degli articoli 41 e 97 Cost. e degli articoli 1 e 3 della legge n. 241/1990,
nonché dei principi di certezza del diritto, legittimo affidamento, buon
andamento e imparzialità dell’azione amministrativa e proporzionalità; eccesso
di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, per
illogicità, ingiustizia grave e manifesta, contraddittorietà, irragionevolezza,
travisamento ed erronea valutazione dei fatti, disparità di trattamento,
difetto di istruttoria e di motivazione.
Il presente motivo reca censure analoghe a
quelle dedotte con il terzo motivo del ricorso n. 14431/2014, avente anch’esso
ad oggetto la disposizione dell’art. 20, comma 1, lett. f), del Regolamento,
nella parte in cui è stato escluso il formato 4x3. In particolare la ricorrente
sostiene che tale disposizione regolamentare e le relative disposizioni
attuative (di cui all’impugnata nota del 23 settembre 2014): A) si pongono in
contrasto con l’art. 34, comma 1, del Regolamento stesso, che sembrerebbe
invece consentire tale formato; B) sono immotivate ed irragionevoli, perché si
riferiscono a tutto il territorio comunale, senza operare alcun distinguo; C)
sono ulteriormente irragionevoli perché viene prevista la decadenza automatica
di tutti i titoli a decorrere 31 dicembre 2014 e viene imposto l’adeguamento
degli impianti ai nuovi formati entro il 31 gennaio 2015, così obbligando gli
operatori del settore a farsi carico di ingenti investimenti per l’adeguamento
di impianti che saranno solo tollerati fino all’assegnazione dei nuovi titoli e
senza accordare un congruo periodo per l’ammortamento delle spese sostenute; D)
fissano un termine per l’adeguamento degli impianti (31 gennaio 2015) che
risulta troppo breve ed inadeguato, sia in ragione della mole degli interventi
da eseguire (posto che la ricorrente medesima ha ben 270 impianti dislocati su
tutto il territorio comunale), sia in ragione della mancata adozione delle
norme tecniche recanti le caratteristiche estetiche e costruttive degli
impianti; E) prevedono conseguenze sproporzionate per il caso di mancato
adeguamento degli impianti, come il divieto di partecipare alle gare di
imminente indizione.
V) Violazione e falsa applicazione
degli articoli 41 e 97 Cost., degli articoli 42 e 48 del decreto legislativo n.
267/2000 e degli articoli 16 e 25 dello Statuto di Roma Capitale, nonché dei
principi di correttezza e buona fede, legalità, buon andamento e imparzialità
dell’azione amministrativa e proporzionalità; incompetenza; eccesso di potere
in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, per sviamento,
illogicità manifesta e irragionevolezza.
Il presente motivo reca censure analoghe a
quelle dedotte con il quarto motivo del ricorso n. 14431/2014. Anche la
ricorrente sostiene che la nuova disciplina introdotta nell’art. 6 del
Regolamento contrasta con la disciplina del riparto di competenze tra gli
organi dell’Ente locale.
VI) Violazione e falsa applicazione dell’art.
97 Cost., dell’art. 7 della legge n. 241/1990, nonché dei principi di legalità,
buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa, giusto procedimento e
proporzionalità; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in
particolare, per difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento ed
erronea valutazione dei fatti, perplessità, contraddittorietà e violazione
della prassi.
Il presente motivo reca censure analoghe a
quelle dedotte con il quinto motivo del ricorso n. 14431/2014. Anche la
ricorrente lamenta: A) di non essere stata ammessa a partecipare al
procedimento; B) che l’impugnata deliberazione n. 50/2014 non è stata preceduta
dall’AIR.
10. Le società Ars Pubblicità Srl, Cosmo
Pubblicità Srl, G.B.E. Srl e New Poster Srl - nella dichiarata qualità di
soggetti operanti nel settore della pubblicità - con il ricorso n. 14526/2014
deducono le seguenti censure.
I) Violazione e falsa applicazione
dell’articolo 62 del decreto legislativo n. 446/1997, degli articoli 1 e 2
della legge n. 241/1990 e dell’art. 97 Costituzione; eccesso di potere per
contraddittorietà, travisamento dei fatti, difetto assoluto di motivazione,
illogicità, irrazionalità e perplessità dell’azione amministrativa.
Il presente motivo reca censure analoghe a
quelle dedotte con il primo motivo del ricorso n. 14431/2014. Anche le
ricorrenti si dolgono del fatto che Roma Capitale: A) abbia deciso di non
definire i procedimenti relativi alla procedura di riordino mediante l’adozione
di provvedimenti espressi; B) abbia fissato la scadenza dei rapporti in essere
alla data del 31 dicembre 2014, facendo decorrere retroattivamente l’efficacia
dei titoli; C) pur ricevendo con puntualità il pagamento dei canoni relativi
agli impianti, abbia negato, senza un’adeguata motivazione, il rinnovo dei
titoli.
II) Violazione dell’art. 41 della
Costituzione, dell’art. 1375 cod. civ. e dei principi del legittimo
affidamento, correttezza, equità, efficienza economicità e ragionevolezza
dell’azione amministrativa; eccesso di potere per ingiustizia manifesta.
Il presente motivo reca censure analoghe a
quelle dedotte con il primo motivo del ricorso n. 14431/2014, incentrate sulla
lesione del legittimo affidamento.
III) Violazione dell’art. 97 della
Costituzione ed eccesso di potere per carenza di istruttoria, illogicità,
irrazionalità e perplessità dell’azione amministrativa.
Il presente motivo reca una censura
analoga a quella dedotta con il primo motivo del ricorso n. 14431/2014,
incentrata sul fatto che Roma Capitale - invece di adottare singoli
provvedimenti sulle istanze presentate nell’ambito della procedura di riordino
- abbia definito i procedimenti con una disposizione valida erga omnes,
senza tener conto della peculiare situazione di ciascun impianto.
IV) Violazione dell’art. 97 della
Costituzione e degli articoli 2-bis, 7 e 10-bis della legge n. 241/1990.
Il presente motivo reca una censura
sostanzialmente analoga a quella dedotta con il quinto motivo del ricorso n.
14431/2014, incentrata sul fatto che la deliberazione n. 50/2014 sia stata
adottata in assenza del necessario contraddittorio procedimentale.
11. La Confederazione Imprese
Pubblicitarie Romane Associate e le società che, nella dichiarata qualità di
soggetti operanti nel settore della pubblicità, unitamente ad essa hanno proposto
il ricorso n. 15194/2014, avverso la deliberazione n. 50/2014 deducono le
seguenti censure.
I) Violazione e falsa applicazione
degli articoli 2, 3, 4, 25, 41 e 97 Costituzione, degli articoli 3 e 36 del
decreto legislativo n. 507/1993, dell’art. 52 del decreto legislativo n.
446/1997 e del D.P.R. n. 495/1992, nonché dei principi in materia di
irretroattività degli atti amministrativi, diritti quesiti e diritto di
insistenza; eccesso di potere.
Il presente motivo reca censure
sostanzialmente analoghe a quelle dedotte con il primo motivo del ricorso n.
14431/2014. Anche le ricorrenti sostengono che l’impugnata deliberazione incide
ingiustamente sulla consolidata posizione degli operatori del settore, in
violazione dei principio di irretroattività degli atti amministrativi e ledendo
i diritti quesiti ed il diritto di insistenza.
II) Violazione e falsa applicazione
dell’art. 52, comma 2, del decreto legislativo n. 446/1997.
Il presente motivo è incentrato sulla
violazione dell’art. 52, comma 2, del decreto legislativo n. 446/1997, secondo
il quale i regolamenti con i quali gli enti locali disciplinano le proprie
entrate, anche tributarie, “sono approvati con deliberazione del comune e
della provincia non oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione
e non hanno effetto prima del 1° gennaio dell’anno successivo”, e sul fatto
che Roma Capitale con la deliberazione n. 50/2014 abbia svincolato l’esito
della procedura di riordino dalla preventiva approvazione del PRIP e dei piani
di localizzazione. In particolare, secondo le ricorrenti, posto che il
Regolamento è stato adottato ai sensi del decreto legislativo n. 446/1997, nel
caso in esame la violazione del principio di irretroattività degli atti
amministrativi assumerebbe un particolare rilievo perché gli effetti della
deliberazione n. 50/2014 non sono subordinati all’approvazione del PRIP e dei
piani di localizzazione. Pertanto, posto che le modifiche del Regolamento non
avrebbero potuto produrre effetti prima del prossimo anno, la procedura di
riordino non poteva essere dichiarata conclusa, essendo suo presupposto
indefettibile il vaglio delle singole posizioni alla luce del PRIP e dei piani
di localizzazione.
III) Violazione e falsa applicazione
dell’art. 34, comma 9, della deliberazione n. 100/2006; eccesso di potere per
errore su presupposti di fatto, e di diritto, difetto di motivazione e di
istruttoria, illogicità ed ingiustizia grave e manifesta.
Le ricorrenti - premesso che a tutt’oggi
la procedura di riordino non può ritenersi conclusa, perche esse non hanno
ancora ottenuto i titoli richiesti, e che l’art. 34, comma 9, del Regolamento
(nel testo adottato con la deliberazione n. 100/2006) faceva espresso riferimento
ai titoli rilasciati all’esito della procedura di riordino - deducono che è
contrario ad ogni principio giuridico stabilire la scadenza della validità di
un titolo senza tener conto della data in cui il titolo stesso è stato
rilasciato.
12. La società Pubbli Roma Srl, Gregor
Srl, società R.B. Pubblicità Srl, Spot Pubblicità Srl, Nuovi Spazi Srl, Stunt
Pubblicity Srl e My Max Srl - nella dichiarata qualità di soggetti operanti nel
settore della pubblicità - con il ricorso n. 15195/2014 avverso la deliberazione
n. 50/2014 deducono censure pressoché identiche a quelle proposte con il
ricorso n. 15194/2014.
13. La società Opera Srl - nella
dichiarata qualità di gestore degli impianti ubicati sui terrazzi di immobili
siti in corso Francia, viale Rossini, viale dell’Alberone e via Gregorio VII -
con il ricorso n. 15804/2014, oltre ad impugnare la deliberazione n. 50/2014,
ha impugnato anche la deliberazione n. 49/2014 deducendo le seguenti censure.
I) Illegittimità della deliberazione n.
50/2014 per violazione dei principi preposti alla regolare formazione della
volontà assembleare; violazione dell’art. 21-septies della legge n. 241/1990.
Il presente motivo reca censure analoghe a
quelle dedotte con il primo motivo del ricorso n. 14401/2014.
II) Illegittimità della deliberazione
n. 49/2014 per violazione dell’art. 21-septies della legge n. 241/1990 per
totale indeterminatezza del PRIP; eccesso di potere per contraddittorietà tra
il PRIP ed il Regolamento approvato con la deliberazione n. 50/2014; violazione
dell’art. 97 della Costituzione.
Il presente motivo reca censure analoghe a
quelle dedotte con il secondo motivo del ricorso n. 14401/2014. In particolare
la ricorrente evidenzia che: A) i suoi impianti sono collocati su tetti e
terrazzi di edifici ubicati in zone più o meno limitrofe al centro delimitato
dalle mura aureliane; B) alcuni di tali edifici sono molto vicini al c.d.
anello ferroviario (limite esterno della zona B2) e non è facile stabilire,
mancando un confine netto, se siano all’interno o all’esterno della zona B2,
con conseguente difficoltà di comprendere la tipologia di impianti consentita.
III) Illegittimità della deliberazione
n. 49/2014 per violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 per carenza di
motivazione; eccesso di potere per irragionevolezza, disparità di trattamento e
ingiustizia manifesta.
In relazione alle scelte operate con la
deliberazione n. 49/2014 la ricorrente deduce che: A) non si comprende perché
Roma Capitale abbia riservato una diversa disciplina alle diverse aree del territorio
capitolino; B) in particolare, fatta eccezione per il centro storico - per il
quale una distinzione potrebbe risultare comprensibile, anche se non
condivisibile - non sono state indicate le ragioni per cui alcuni mezzi
pubblicitari possono essere utilizzati nella zona B3 e non nella zona B2, anche
perché la zona B3 è più periferica, ma certo non può dirsi che la zona B2 (per
lo più coincidente con l’anello ferroviario) sia centralissima; B) non si
comprende neppure per quale motivo siano state operate discriminazioni tra le
diverse tipologie di impianti; D) in particolare non sono state indicate le
ragioni per cui nella zona B2 sono ammessi gli impianti su pareti cieche, ma
non gli impianti sui terrazzi.
IV) Illegittimità della deliberazione
n. 50/2014 e della nota del 23 settembre 2014 per violazione degli articoli 25,
41 e 97 della Costituzione, dell’art. 11 delle preleggi e degli articoli 1, 2 e
3 della legge n. 241/1990; eccesso di potere per contraddittorietà.
Il presente motivo reca censure analoghe a
quelle dedotte con il primo motivo del ricorso n. 14431/2014. In particolare la
ricorrente - premesso che la deliberazione n. 50/2014 stravolge e rinnega
l’impostazione data nei vent’anni precedenti alla procedura di riordino -
deduce: A) che per effetto del nuovo regolamento «tutti gli impianti, a
prescindere dal fatto che abbiano partecipato al riordino degli anni ‘90 e a
prescindere dalla presenza nella NBD, saranno sacrificati sull’altare
dell’attribuzione degli spazi tramite gara, con buona pace dei principi che
impongono di tutelare l’aspettativa dei destinatari dell’attività
amministrativa»; B) la deliberazione n. 50/2014 lede i diritti delle imprese
del settore, che «sono trattati alla stregua di sudditi, chiamati ad
horas a demolire a loro spese il lavoro di anni», e viola i principi
di irretroattività degli atti amministrativi e del legittimo affidamento.
14. Anche le società Fallimento A.R.P. Srl
e ATC Communications Srl - nella dichiarata qualità, rispettivamente, di
proprietaria di impianti pubblicitari tra i quali spicca l’insegna luminosa
“Martini”, collocata sul lastrico solare del palazzo di via Bissolati n. 20, e
di affittuaria del ramo d’azienda costituito dalla predetta insegna luminosa -
con il ricorso n. 15806/2014 hanno impugnato sia la deliberazione n. 49/2014,
sia la deliberazione n. 50/2014, deducendo le seguenti censure.
I) Illegittimità della deliberazione n.
50/2014 per violazione dei principi preposti alla regolare formazione della
volontà assembleare; violazione dell’art. 21-septies della legge n. 241/1990.
Il presente motivo reca censure pressoché
identiche a quelle dedotte con il primo motivo del ricorso n. 15804/2014.
II) Illegittimità della deliberazione
n. 49/2014 per violazione dell’art. 21-septies della legge n. 241/1990 per
totale indeterminatezza del PRIP; eccesso di potere per contraddittorietà tra
il PRIP ed il Regolamento approvato con la deliberazione n. 50/2014; violazione
dell’art. 97 della Costituzione.
Il presente motivo reca una censura
pressoché identica a quella dedotta con il secondo motivo del ricorso n.
15804/2014.
III) Illegittimità della deliberazione
n. 49/2014 per violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 per carenza di
motivazione; eccesso di potere per irragionevolezza, disparità di trattamento e
ingiustizia manifesta.
Il presente motivo reca una censura
pressoché identica a quella dedotta con il terzo motivo del ricorso n.
15804/2014.
IV) Illegittimità della deliberazione
n. 49/2014 per eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità,
irragionevolezza e disparità di trattamento.
La società ricorrente - premesso che dal
combinato disposto degli articoli 13 e 15 del PRIP si desume l’incompatibilità
con le norme di piano dell’insegna luminosa “Martini”, perché l’impianto ricade
nella zona B1, all’interno della quale non sono ammessi gli impianti su
terrazzi - deduce che, se è vero che tale insegna ha una notevole incidenza sul
tessuto urbano di via Veneto, è altrettanto vero che «tale incidenza ha finito
per caratterizzare, in maniera fortissima e tipizzante, quel determinato
contesto urbano», come dimostrano: A) sia il fatto che «da quando via Veneto è
divenuta il luogo simbolo della “Dolce vita” romana, l’impianto Martini è
presente e ben visibile»; B) sia il fatto che «l’impianto Martini figura, non a
caso, ma per il forte valore simbolico, che lo contraddistingue, in
innumerevoli fotografie storiche e, soprattutto, in due grandi opere della filmografia
italiana: la “Dolce vita” di Federico Fellini e “La grande bellezza” di
Sorrentino, recentemente premiato con l’Oscar». Pertanto la scelta operata con
il PRIP «rischia di togliere l’ultimo e più caratteristico fregio commerciale
di via Veneto, a dispetto della tradizione e del radicamento nel tessuto urbano
dell’insegna Martini».
V) Illegittimità della deliberazione n.
50/2014 e della nota del 23 settembre 2014 per violazione degli articoli 25, 41
e 97 della Costituzione, dell’art. 11 delle preleggi e degli articoli 1, 2 e 3
della legge n. 241/1990; eccesso di potere per contraddittorietà.
Il presente motivo reca censure pressoché
identiche a quella dedotta con il quarto motivo del ricorso n. 15804/2014.
VI) Illegittimità delle deliberazioni
n. 49/2014 n. 50/2014 e della nota del 23 settembre 2014 per violazione degli
articoli 25, 41 e 97 della Costituzione, e dell’art. 3 della legge n. 241/1990.
Il presente motivo reca censure analoghe a
quelle dedotte con il terzo motivo del ricorso n. 14431/2014. Difatti anche la
ricorrente si duole del fatto che non siano state evidenziate le ragioni che
hanno indotto ricorrente l’Assemblea capitolina ad escludere il formato 4x3.
15. La società Sipea Srl - nella
dichiarata qualità di soggetto operante nel settore della pubblicità,
risultante dalla fusione con la società Ettore Sibilia Pubblicità e Affissioni
Srl - con il ricorso n. 15829/2014 ha impugnato la deliberazione n. 50/2014
deducendo le seguenti censure.
I) Illegittimità dell’art. 34, comma 9,
del Regolamento, come modificato dalla deliberazione n. 50/2014.
Il presente motivo reca una censura
analoga ad una di quelle dedotte con il primo motivo del ricorso n. 14431/2014.
Difatti, secondo la ricorrente, l’Assemblea capitolina non avrebbe considerato
che tutti i titoli concessori relativi agli impianti oggetto della procedura di
riordino si sarebbero rinnovati per ulteriori 5 anni a far data dal 1° gennaio
2015.
II) Violazione e falsa applicazione
degli articoli 1175 e 1375 cod. civ., dell’art. 97 Cost., dell’art. 1 della
legge n. 241/1990 e del principio della tutela dell’affidamento; eccesso di
potere sotto molteplici profili.
Anche il presente motivo reca una censura
analoga ad una di quelle dedotte con il primo motivo del ricorso n. 14431/2014.
In particolare la nuova disciplina regolamentare non terrebbe alcun conto della
consolidata posizione della ricorrente, che nel 2008 ha effettuato un
investimento di ben 9 milioni di euro per acquisire le quote della società
Ettore Sibilia Pubblicità e Affissioni Srl.
III) Violazione e falsa applicazione
delle deliberazioni della Giunta Capitolina n. 116/2013 e n. 423/2013; eccesso
di potere per errore sui presupposti di fatto e di diritto e difetto di
motivazione e di istruttoria.
Anche il presente motivo reca una censura
analoga ad una di quelle dedotte con il primo motivo del ricorso n. 14431/2014.
In particolare la ricorrente sostiene che l’impugnata deliberazione si fonda
sull’erroneo presupposto che l’inserimento degli impianti nella NBD abbia
comportato la chiusura della procedura di riordino, mentre l’istituzione della
NBD rispondeva solo ad esigenze di natura contabile.
IV) Violazione dell’art. 21-quinquies
della legge n. 241/1990; eccesso di potere sotto ulteriori profili.
La ricorrente si duole del fatto che la
disciplina introdotta con l’art. 34, comma 9, del Regolamento abbia determinato
la revoca generalizzata di tutte le autorizzazioni relative ad impianti ubicati
sul suolo privato (per i quali il rinnovo in atto verrebbe a scadenza il 31
dicembre 2016), in assenza dei presupposti per l’esercizio del potere di
autotutela previsti dall’art. 21-quinquies della legge n. 241/1990.
V) Invalidità derivata dell’art. 34,
comma 9, del Regolamento.
La ricorrente - premesso che la
limitazione della permanenza sul territorio comunale degli impianti inseriti
nella NBD fino al 31 dicembre 2014 si fonda sulla deliberazione del Commissario
Straordinario n. 38 del 2008, con la quale la scadenza del primo quinquennio di
efficacia delle autorizzazioni e delle concessioni, già rilasciate o da
rilasciare, è stata fissata al 31 dicembre 2009 - deduce che tale deliberazione
è anch’essa illegittima per i motivi indicati nel ricorso n. 5659/2009, che
risulta tuttora pendente innanzi a questo Tribunale.
VI) Illegittimità della nota prot. n.
LR/BG 61384 del 23 settembre 2014.
Il presente motivo reca censure analoghe a
quelle dedotte con il terzo motivo del ricorso n. 14431/2014. In particolare la
ricorrente deduce che: A) la nuova disciplina introdotta con l’art. 34, commi 9
e 10, del Regolamento non impone nessun adeguamento degli impianti formato 4x3;
B) diversamente opinando, l’impugnata deliberazione sarebbe illegittima perché
la trasformazione degli impianti 4x3 entro il ravvicinato termine del 31
gennaio 2015 comporterebbe ingentissimi investimenti in un periodo di grave
crisi economica, a distanza di pochi anni dalla trasformazione degli impianti
da 6x3 a 4x3 e in assenza delle norme tecniche che dovrebbero determinare le
caratteristiche estetiche e costruttive dei nuovi impianti.
16. Roma Capitale si è costituita in
giudizio per resistere ai ricorsi in epigrafe indicati e con memorie depositate
in data 12 e 23 dicembre 2014 (nei giudizi introdotti con i ricorsi n.
14431/2014, n. 14433/2014, n. 14435/2014, n. 14436/2014 e n. 14526/2014) ha
illustrato, a sua volta, il contesto giuridico e fattuale nel quale vanno ad
inserirsi le impugnate deliberazioni n. 49 e 50 del 2014, evidenziando innanzi
tutto quanto segue: A) tali provvedimenti sono oggetto di plurime impugnazioni
da parte delle imprese del settore, molte delle quali operano sul territorio
comunale da oltre quarant’anni o quantomeno da vent’anni anni se si tratta di
imprese che hanno preso parte alla procedura di riordino, avviata nel 1994; B)
se non si fosse provveduto alla chiusura di tale procedura, l’avvio delle
procedure di gara per il rilascio dei nuovi titoli sarebbe stato «solo
l’ennesimo esercizio teorico di buone intenzioni». Quindi Roma Capitale ha
replicato a molte delle suesposte censure osservando quanto segue.
16.1. In particolare, in relazione alla
violazione dei principi di ragionevolezza e di irretroattività degli atti
amministrativi - connessa al fatto che l’Assemblea capitolina con la
deliberazione n. 50/2014 abbia ritenuto di far decorrere l’efficacia dei titoli
relativi agli impianti dal 2009, ossia dall’inserimento degli impianti stessi
nella NBD - si deve considerare che: A) come evidenziato nel punto 7 del
dispositivo della deliberazione n. 254/1995, la procedura di riordino
rappresentò lo strumento per avere un quadro esaustivo di tutti gli impianti
esistenti sul territorio e dei titoli relativi, al fine di rinnovare i titoli
già esistenti, ove rinnovabili; B) con riferimento agli impianti denunziati
nell’ambito della procedura di riordino l’Amministrazione nel corso degli
ultimi vent’anni ha dovuto verificare la rinnovabilità dei titoli, tenendo
conto della ricorrenza delle condizioni previste dal Regolamento e dal codice
della strada, e da oltre un decennio ha stabilito (con la deliberazione di
Giunta n. 426/2004, che ha modificato l’art. 14 della precedente deliberazione
n. 1689/1997) che “per tutte le concessioni il primo quinquennio,
rinnovabile, avrà termine il 31 dicembre 2009”; C) anche la successiva deliberazione
commissariale n. 38/2008 ha confermato che “la durata delle autorizzazioni e
delle concessioni già rilasciate o da rilasciare attinenti alla procedura del
riordino è unificata e la scadenza del primo quinquennio è fissata al
31.12.2009”; D) nell’aprile del 2009 è stato poi avviato una censimento, in
contraddittorio con le imprese del settore, di tutti gli impianti pubblicitari,
finalizzato alla costituzione della NBD, che doveva servire (al pari della
procedura di riordino) ad avere contezza di tutti gli impianti esistenti sul
territorio capitolino e, in primo luogo, di quelli denunziati nell’ambito della
procedura di riordino; E) in perfetta sintonia con tali premesse, la Giunta
capitolina con due successive deliberazioni, la n. 116/2013 e la n. 425/2013,
ha disposto (con riferimento ai modelli R, E, E+S e SPQR) che l’avvenuto
inserimento degli impianti all’interno della NBD avrebbe determinato “la
chiusura del procedimento di riordino ad essi relativo”; F) tale
disposizione, già contenuta nella deliberazione n. 116/2013 e poi confermata
con la successiva deliberazione n. 425/2013, è oramai divenuta definitiva,
perché la deliberazione 116/2013 non è stata impugnata; G) la deliberazione n.
50/2014 si configura, quindi, come un provvedimento «meramente ricognitivo di
un fatto - l’avvenuta chiusura del riordino con la NBD del 2009 - già
definitivamente proclamato dai precedenti provvedimenti»; H) l’Assemblea
capitolina - nel prevedere la data del 31 dicembre 2014 come termine ultimo per
l’insistenza degli impianti sul territorio comunale - si è avvalsa della
facoltà, già prevista dal Regolamento, di non concedere alcun ulteriore rinnovo
dei titoli.
16.2. Quanto alla dedotta elusione
dell’obbligo di provvedere sulle istanze presentate nell’ambito della procedura
di riordino si deve considerare che: A) rispetto alla disciplina prevista dalla
deliberazione n. 254/1995 e dalla deliberazione 1689/1997, l’Assemblea
Capitolina ha confermato la chiusura della procedura di riordino per tutti gli
impianti inseriti nella NBD e di vietare la possibilità di rinnovo o rilascio
di nuovi titoli, ritenendo «superata l’esigenza di esaminare tutte le ulteriori
istanze presentate all’interno del procedimento di riordino e non confluite
nella predetta Nuova Banca Dati, trattandosi di richieste di posizioni non solo
confliggenti con il modello legislativo di pianificazione territoriale da
attuarsi con procedure ad evidenza pubblica, ma ormai tanto risalenti nel tempo
da essere non più riconducibili all’attuale assetto del territorio»; B) stante
quanto precede, la pretesa delle controparti, relativa all’adozione di
provvedimenti espressi, non tiene conto del fatto che i titoli già esistevano e
dovevano essere solo rinnovati, previa verifica della ricorrenza dei
presupposti per il rinnovo (operazione effettuata con la deliberazione n.
50/2014); C) la riprova della valenza dell’attività istruttoria svolta
dall’Amministrazione nella fase di formazione della NBD si desume da molteplici
decisioni assunte dal Consiglio di Stato in sede cautelare (ex multis,
Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza n. 2241 del 28 maggio 2014), con le quali
la consultazione della NBD, finalizzata all’adozione di ordini di rimozione di
impianti pubblicitari abusivi, è stata ritenuta un «atto istruttorio sufficientemente
approfondito».
16.3. Quanto alla dedotta violazione del
principio del legittimo affidamento si deve considerare che: A) al momento
dell’adozione dei primi provvedimenti inerenti la procedura di riordino
l’Amministrazione era intenzionata - «di certo con una alta dose di ottimismo»
- a concludere il procedimento in poco tempo, come dimostra la previsione nella
deliberazione n. 254/1995 con la quale l’Amministrazione si impegna ad attuare,
sia pure in via sperimentale, i primi due piani particolareggiati su aree di
rilevante interesse pubblicitario entro 120 giorni lavorativi (punto 19); B)
stante la previsione regolamentare di un eventuale ulteriore (ed unico) rinnovo
quinquennale, le imprese partecipanti alla procedura di riordino potevano sperare
di mantenere i propri impianti, al più, sino all’anno 2005/2006, mentre
l’attività svolta da tali soggetti si è protratta ben oltre i due lustri
previsti come termine massimo di permanenza sul territorio comunale (periodo
che, per l’appunto, avrebbe potuto ingenerare un legittimo affidamento),
coprendo un arco temporale di ben venti anni (1994-2014).
16.4. Con particolare riferimento alla
dedotta incompatibilità della retrodatazione della decorrenza dell’efficacia
dei titoli (a far data dal 2009) con la disciplina transitoria prevista
dall’art. 64, comma 1, del decreto legislativo n. 446/1997 - che, secondo la
tesi delle controparti, comporterebbe l’automatico rinnovo di tutti titoli fino
alla completa attuazione del PRIP e dei piani di localizzazione - si deve
considerare che: A) il decreto legislativo n. 446/1997 ha completato un lungo
percorso di semplificazione del settore, perché dopo una prima fase nella quale
per collocare regolarmente un impianto pubblicitario su suolo pubblico dovevano
essere corrisposti il canone di pubblicità, la tassa per l’occupazione di suolo
pubblico (TOSAP) e l’imposta di pubblicità, si è passati al regime del
pagamento della sola imposta e del canone (che nel frattempo aveva assorbito la
TOSAP) e, da ultimo, con l’art. 62 del decreto legislativo n. 446/1997 è stata
prevista la possibilità, per gli enti pubblici, di adottare il c.d. “canone a
tariffa”, con contestuale abolizione dell’imposta di pubblicità; B) tale
radicale semplificazione necessitava dell’adozione di un nuovo Regolamento,
espressamente previsto dall’art. 62, comma 1 (previsione attuata con la
deliberazione n. 100/2006); C) in tale contesto deve essere collocata la norma
invocata dalle parti ricorrenti, ossia l’art. 64, comma 1, del decreto
legislativo n. 446/1997, nel senso che, nel momento in cui è stato previsto il
passaggio dal regime del canone/imposta a quello del canone unico a tariffa, è
stata prevista anche la possibilità, per il soggetto titolare
dell’autorizzazione, di proseguire nel rapporto con l’Amministrazione,
facendone esplicita istanza, ovvero continuando a corrispondere le somme
dovute; D) la deliberazione n. 50/2014 non contrasta, quindi, con l’art. 64 del
decreto legislativo n. 446/1997, perché - avendo Roma Capitale effettuato
nell’anno 2006 il passaggio al regime del canone a tariffa per le iniziative
pubblicitarie (cfr. la deliberazione consiliare n. 100/2006) - al momento
dell’istituzione della NBD (anno 2009) non c’era alcun regime transitorio da
applicare in quanto tutti i titoli relativi agli impianti inseriti nella
procedura di riordino sono stati rinnovati nel corso del tempo, di fatto sino
al 2009 e formalmente dal 2009 al 2014.
16.5. Con particolare riferimento alla
dedotta illegittimità dell’abrogazione dell’art. 34, comma 5-bis, del Regolamento
- secondo il quale (in base al testo novellato dalla deliberazione n. 37/2009)
“l’esame delle domande di riordino ancora in fase istruttoria è sospeso e
sarà effettuato sulla base dei criteri introdotti dai Piani di cui al
precedente articolo 19” - si deve considerare che le “domande di riordino
ancora in fase istruttoria” (da identificare con le domande di cui ai modelli E
ed E+S) non si riferiscono ad impianti presenti sul territorio e in precedenza
autorizzati, per i quali vale quanto già detto in merito alla contestata
elusione dell’obbligo di provvedere, sicché nessuna violazione è stata commessa
con riferimento agli impianti già assistiti da titoli (oggetto dei modelli R),
rispetto ai quali nessuna sospensione era stata disposta perché non vi era
alcuna specifica istruttoria da compiere.
16.6. Quanto all’esclusione degli impianti
formato 4x3, si deve considerare che: A) la deliberazione n. 50/2014 non ha
imposto alcuna trasformazione di tali impianti fino alla data del 31 dicembre
2014, perché solo successivamente a tale data - nell’ottica di ridurre
l’impatto di tali impianti pubblicitari nel panorama di una città come Roma,
dotata di un enorme patrimonio culturale, artistico e paesaggistico - viene
chiesto ai soggetti che intendano continuare ad operare sul territorio comunale
di ridurre le dimensioni degli impianti stessi, adottando entro il 1° febbraio
2015 il meno invasivo formato 3x2, con conseguente riduzione della complessiva
superficie espositiva da 168.000 mq a 138.000 mq; B) il cambio del formato si
configura, quindi, come un necessario adeguamento alle scelte discrezionali
operate dall’Amministrazione nell’ambito delle competenze in materia di cura
del territorio, ad essa affidate dall’art. 62 dal decreto legislativo n.
446/1997 (il quale prevede che regolamento di cui al comma 1 deve individuare
la tipologia dei mezzi di effettuazione della pubblicità esterna che incidono
sull’arredo urbano o sull’ambiente) e dal Codice della Strada (ove si prevede
che i cartelli, le insegne di esercizio egli altri mezzi pubblicitari
installati entro i centri abitati sono soggetti alle limitazioni dimensionali
previsti dai regolamenti comunali).
16.7. Quanto alle ulteriori censure
incentrate sul fatto che il passaggio al formato 3x2, anche in ragione dei
ridotti tempi concessi per effettuare le modifiche richieste, comporterebbe
costi elevatissimi, sì da risultare inattuabile, si deve considerare che: A)
come evidenziato dall’Ufficio Affissioni e Pubblicità nella nota prot. n. 85723
in data 11 dicembre 2014, molti operatori del settore hanno già provveduto
spontaneamente ad adeguarsi ai nuovi formati, così dimostrando l’infondatezza
della tesi delle controparti; B) analizzando i dati forniti dall’Ufficio
Affissioni e Pubblicità con la predetta nota emerge che il costo per la
realizzazione del formato SPQR (ossia quello approvato dall’Amministrazione
capitolina e dalla Sovrintendenza, che sarà obbligatorio a seguito
dell’espletamento della gara ad evidenza pubblica per l’individuazione dei
soggetti titolari delle future concessioni e che fino all’effettuazione della
gara è solo facoltativo, ben potendo gli operatori decidere di adottare un
diverso modello, purché di formato 3x2) si aggira tra i 500 e gli 800 euro,
sicché solo con il risparmio del CIP per un anno (pari a 700 euro) il costo
della sostituzione è ammortizzato in un solo anno; C) non giova alle
controparti invocare l’incertezza del periodo intercorrente tra il cambio di
formato e l’espletamento delle gare pubbliche, sia perché fino all’espletamento
delle gare verosimilmente passerà un periodo di tempo che permetterà di
giustificare, anche economicamente (risparmio del CIP unito agli incassi nel
periodo transitorio), l’adeguamento ai nuovi formati, sia perché tale
adeguamento non è oggetto di un obbligo, ma solo di una facoltà riconosciuta a
coloro che intendano continuare ad operare sul territorio comunale.
16.8. Infine, quanto alla concessione di
un termine estremamente ridotto per l’adeguamento degli impianti al nuovo
formato, si deve considerare che: A) tutte le imprese del settore erano ben a
conoscenza della scadenza dei titoli alla data del 31 dicembre 2014 e, proprio
per evitare che tali soggetti non potessero più svolgere alcuna attività fino
alla conclusione delle procedure di gara, l’Amministrazione ha previsto la
facoltà di continuare ad operare, temperata dall’obbligo di provvedere
all’adeguamento degli impianti ai nuovi formati; B) per consentire tale
adeguamento è stato concesso anche tutto il mese di gennaio 2015, sicché il
termine del 31 gennaio 2015 non può essere considerato eccessivamente breve.
17. Questa Sezione con le ordinanze n.
6524, n. 6523, n. 6522 e n. 6508 in data 18 dicembre 2014 ha accolto le domande
cautelari proposte unitamente ai ricorsi n. 14431/2014, n. 14433/2014, n.
14435/2014 e n. 14436/2014 solo limitatamente al termine stabilito per la
conversione degli impianti in formato 4x3 ed ha disposto una «proroga»
di tale termine fino alla data del 20 maggio 2015 (data fissata per la
trattazione, nel merito, dei predetti ricorsi).
18. Con atto depositato in data 27 marzo
2015 sono intervenuti, ad opponendum, nel giudizio introdotto con
il ricorso n. 14433/2014, i seguenti soggetti: Verdi Ambiente e Società
(V.A.S.) APA Onlus, Associazione Bastacartelloni Francesco Fiori, Cittadinanza
Lazio Onlus, Istituto Internazionale per il Consumo e l’Ambiente (I.I.C.A.) e
Centro di Iniziativa per la Legalità Democratica (C.I.L.D.).
19. Talune delle società ricorrenti in
data 17 e 18 aprile 2015 hanno presentato memorie con le quali hanno illustrato
le suesposte censure.
20. Le società Wayap Srl e AP Italia Srl,
con ricorso per motivi aggiunti proposto nel giudizio introdotto con il ricorso
n. 14435/2014, hanno impugnato: A) la deliberazione della Giunta capitolina n.
380/2014, con la quale è stato affidato alla società Æqua Roma il compito di
redigere i piani di localizzazione degli impianti pubblicitari e sono stati
forniti indirizzi per la gestione temporanea degli impianti pubblicitari
inseriti nella NBD, nelle more della conclusione delle procedure di gara
all’esito delle quali saranno assegnati i nuovi titoli; B) la nota in data 27
gennaio 2015, con la quale l’Amministrazione ha portato a conoscenza di tutte
le società censite nella NBD l’adozione della predetta deliberazione di Giunta,
diffidandole all’adeguamento degli impianti secondo le prescrizioni contenute
in tale deliberazione entro il 20 maggio 2015. Avverso tali provvedimenti le
ricorrenti deducono le seguenti censure.
I) Elusione del giudicato cautelare;
violazione e falsa applicazione degli articoli 1 e 3 della legge n. 241/1990,
nonché dei principi di buon andamento e di imparzialità della P.A., di parità
di trattamento e di concorrenza; eccesso di potere per contraddittorietà,
illogicità e irragionevolezza.
Tale motivo concerne la deliberazione n.
380/2014 nella parte in cui - nel dichiarato intento di ottemperare alle
suddette ordinanze cautelari - dispone che entro il termine del 20 maggio 2015:
A) “tutti gli impianti SPQR, ivi compresi quelli già inseriti nella Nuova
Banca Dati, devono essere installati o mantenuti sul territorio solo se
presentano le caratteristiche dei progetti tipo di cui alla deliberazione G.C.
25/2010, allo scopo di proseguire in tutti i Municipi con l’azione di
adeguamento già avviata con la deliberazione predetta”; B) “tutti gli
impianti pubblicitari, sia SPQR che di proprietà privati, già inseriti nella
Nuova Banca Dati e mantenuti sul territorio ai sensi dell’art. 34 comma 9 del
Regolamento di Pubblicità devono presentare la caratteristica tecnica del
colore grigio antracite RAL 7016 Pantone 3305, allo scopo di assicurare
uniformità tra gli impianti installati sul territorio e migliorarne l’impatto
visivo complessivo nonché l’inserimento nel contesto urbano”. A tal
riguardo le ricorrenti - premesso che trattasi di obblighi di adeguamento
ulteriori rispetto all’obbligo di trasformare gli impianti formato 4x3 -
deducono che la deliberazione n. 380/2014 non è conforme a quanto disposto da
questo Tribunale con l’ordinanza cautelare n. 6522 del 2014, perché tale
provvedimento «ha chiaramente rinviato ogni disposizione in ordine al termine
di trasformazione del formato alle decisioni che verranno assunte all’udienza
di merito». Inoltre, per il caso in cui si ritenesse che questo Tribunale abbia
inteso accordare una mera proroga del termine del 31 gennaio 2015, le
ricorrenti deducono che anche il termine del 20 maggio 2015 risulta
irragionevole e inadeguato in ragione: A) della mole di attività necessarie per
l’adeguamento degli impianti; B) del fatto che le deliberazioni n. 50/2014 e n.
380/2014 non indicano una data certa che consenta alle imprese interessate di
sapere fino a quando potranno mantenere gli impianti trasformati.
II) Violazione dell’art. 19, comma 2,
del Regolamento; carenza di potere; violazione dell’art. 42 del decreto
legislativo n. 267/2000; eccesso di potere per illogicità manifesta e difetto
assoluto di motivazione.
Tale motivo concerne la deliberazione n.
380/2014 nella parte in cui: A) sancisce che “in applicazione dell’art. 19,
comma 2, del Regolamento … tutti gli impianti pubblicitari, sia SPQR che di
proprietà privati, già inseriti nella Nuova Banca Dati e mantenuti sul
territorio ai sensi dell’art. 34 comma 9 del Regolamento di Pubblicità devono presentare
la caratteristica tecnica del colore grigio antracite RAL 7016 Pantone 3305,
allo scopo di assicurare uniformità tra gli impianti installati sul territorio
e migliorarne l’impatti visivo complessivo nonché l’inserimento nel contesto
urbano”; B) prevede (tra i criteri per la redazione dei piani di
localizzazione) che “gli impianti SPQR sono previsti nel formato mt 3x2, mt
1,40x2 e palina mt 1x1”; C) prevede (sempre tra i criteri per la redazione
dei piani di localizzazione) che “gli impianti privati devono essere
suddivisi in lotti. Ogni lotto deve ricomprendere circuiti di impianti
pubblicitari localizzati in più Municipi” e che “ogni lotto deve ricomprendere
circuiti di impianti localizzati in più Municipi. Ogni lotto deve avere
impianti con un dimensionamento misto mt. 3x2; mt. 1,40x2 e mt. 1x1. Uno dei
lotti deve essere destinato a fornire il servizio di pubblica utilità di Bike
Sharing, e dovrà essere dimensionato ed ubicato sul territorio in termini di
sostenibilità economica del servizio. Il lotto del Bike Sharing, tenuto conto
di quanto previsto dal PGTU, dovrà prevedere una superficie espositiva di
minimo 8.000 mq. Un altro lotto, con una superficie espositiva di massimo 5.000
mq., deve essere destinato a finanziare servizi di pubblica utilità, quali ad
esempio servizi igienici pubblici, elementi di arredo urbano, il servizio di
pubbliche affissioni. È possibile prevedere anche ulteriori lotti destinati a
servizi di pubblica utilità. I formati degli impianti per i lotti funzionali ai
servizi di pubblica utilità sono esclusivamente mt. 1,20x1,80 e mt. 3,2x1,40.
Un altro lotto dovrà essere dedicato al Circuito Cultura e Spettacolo con
impianti modello SPQR mt. 2x2 distribuiti su tutti i Municipi”. In
proposito le ricorrenti deducono che: A) sebbene l’art. 19, comma 2, del
Regolamento attribuisca alla Giunta la competenza ad approvare le norme
tecniche per l’installazione degli impianti, tuttavia la prescrizione relativa
al colore degli impianti non può essere ricondotta all’art. 19, comma 2, sia perché
le norme tecniche alle quali tale disposizione regolamentare si riferisce
riguardano gli impianti da installare in forza dei titoli che verranno
rilasciati in base al PRIP e all’esito delle procedure di gara, mentre gli
impianti ai quali si riferisce la suddetta prescrizione sono quelli inseriti
nella NBD, il mantenimento dei quali è consentito dalla nuova disciplina
regolamentare solo fino alla conclusione delle procedure di gara, sia perché le
competenze attribuite ai Consigli comunali sono esclusive e, quindi, solo i
Consigli possono esercitarle; B) parimenti estranea alle competenze della
Giunta - oltre che immotivata - risulta l’ulteriore prescrizione che limita il
formato degli impianti SPQR ammessi, perché i formati relativi a tali impianti
sono stabiliti dall’art. 20, comma 1, lett. f), del Regolamento; C) analoghe
considerazioni valgono per la disciplina relativa alla composizione dei lotti,
trattandosi di materia di competenza dell’Assemblea capitolina, disciplinata
dall’art. 7, comma 1-bis, del Regolamento.
III) Illegittimità derivata dei
provvedimenti impugnati.
Le ricorrenti deducono che i provvedimenti
impugnati sono illegittimi anche per effetto dei vizi dell’atto presupposto,
costituito dalla deliberazione n. 50/2014, già denunciati con il ricorso
introduttivo.
21. Anche la società APA Srl, con ricorso
per motivi aggiunti proposto nel giudizio introdotto con il ricorso n.
14436/2014, ha impugnato la deliberazione n. 380/2014 deducendo le seguenti
censure.
I) Illegittimità derivata del criterio
prescelto per l’ubicazione degli impianti pubblicitari.
Tale motivo concerne la deliberazione n.
380/2014 nella parte in cui dispone che “per le ubicazioni verrà fatto
prioritario riferimento alle attuali localizzazioni e formati riportati nella
Nuova Banca Dati”. In particolare la ricorrente deduce che l’impugnata
deliberazione è illegittima per effetto dei vizi della deliberazione n.
50/2014, già denunciati con il ricorso introduttivo.
II) Illegittimità della mancata
previsione di taluni formati ammessi dal Regolamento per violazione e falsa
applicazione degli articoli 41 e 97 Cost., 1 e 3 della legge n. 241/1990, degli
articoli 42 e 48 del decreto legislativo n. 267/2000, degli articoli 16 e 25
dello Statuto di Roma Capitale e dell’art. 20, comma 1, lett. f), del
Regolamento, nonché dei principi certezza del diritto, legittimo affidamento,
buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa e proporzionalità;
incompetenza; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in
particolare, per ingiustizia grave e manifesta, contraddittorietà,
irragionevolezza, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, disparità di
trattamento e difetto di motivazione e di istruttoria.
Tale motivo concerne la deliberazione n.
380/2014 nella parte in cui prevede (tra i criteri per la redazione dei piani
di localizzazione) che: A) “gli impianti SPQR sono previsti nel formato mt
3x2, mt 1,40x2 e palina mt 1x1”; B) per gli impianti privati da suddividere
in lotti, ogni lotto “deve avere impianti con un dimensionamento misto mt.
3x2; mt. 1,40x2 e mt. 1x1”. In particolare la ricorrente deduce che tali
previsioni: A) contrastano con la disposizione dell’art. 20, comma 1, lett. f),
del Regolamento, che contempla un numero di formati notevolmente superiore
rispetto a quelli previsti dalla Giunta; B) sono affette da un difetto assoluto
di motivazione, perché non è possibile comprendere le ragioni della preferenza
accordata ad alcuni formati piuttosto che ad altri; C) sono viziate per
incompetenza, perché nessuna disposizione del Regolamento prevede il potere
della Giunta di limitare i formati ammessi; D) costituiscono un’indebita
limitazione dei diritti delle imprese.
III) Illegittimità derivata della
mancata previsione del formato 4x3.
Tale motivo concerne la deliberazione n.
380/2014 nella parte in cui non prevede il formato 4x3. In particolare la
ricorrente deduce che l’impugnata deliberazione è illegittima per effetto dei
vizi della deliberazione della n. 50/2014, già denunciati con il ricorso
introduttivo.
IV) Illegittimità della nuova
prescrizione relativa al colore degli impianti per violazione e falsa
applicazione degli articoli 25, comma 2, 41 e 97 Cost., 11 delle preleggi, 1, 2
3, 7 e 21-bis della legge n. 241/1990, degli articoli 62 e 64 del decreto
legislativo n. 446/1997, degli articoli 42 e 48 del decreto legislativo n.
267/2000, degli articoli 16 e 25 dello Statuto di Roma Capitale, della
deliberazione di Giunta n. 621 del 2002 e dell’art. 19 del Regolamento, nonché
delle regole in materia di formazione della volontà degli organi collegiali e
dei principi certezza del diritto, legittimo affidamento, correttezza e buona
fede, buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa, proporzionalità
e giusto procedimento; incompetenza; eccesso di potere in tutte le sue figure
sintomatiche e, in particolare, per sviamento, difetto dei presupposti,
illogicità manifesta, ingiustizia grave e manifesta, perplessità
contraddittorietà, irragionevolezza, travisamento ed erronea valutazione dei
fatti, disparità di trattamento, violazione della prassi e difetto di
motivazione e di istruttoria; illegittimità derivata.
Tale motivo concerne la deliberazione n.
380/2014 nella parte in cui impone di adeguare entro il 20 maggio 2015 il
colore degli impianti mantenuti sul territorio capitolino ai sensi dell’art.
34, comma 9, del Regolamento. Innanzi tutto la ricorrente deduce che tale
previsione è illegittima per effetto dei vizi di legittimità della
deliberazione della n. 50/2014, già denunciati con il ricorso introduttivo. Inoltre
deduce che tale previsione è illegittima anche per vizi propri perché: A) viene
imposta una nuova ed onerosa attività di adeguamento in relazione ad impianti
che (per effetto della delibera n. 50/2014) già versano in una condizione di
precarietà e in assenza delle norme tecniche, sicché sussiste il rischio di
dover sostenere gravosi oneri in relazione ad impianti che in futuro potrebbero
non permanere sul territorio comunale o potrebbero essere oggetto di nuovi
interventi per adeguarli alle norme tecniche; B) il termine del 20 maggio 2015
risulta comunque incongruo, specie se rapportato al gran numero di impianti
gestiti dalla ricorrente medesima, ed è stato erroneamente ancorato al termine
assegnato con l’ordinanza cautelare n. 6508 del 2014, perché la Giunta ha
erroneamente interpretato tale ordinanza nel senso che questo Tribunale abbia
ritenuto il predetto termine (di appena quattro mesi) comunque congruo per
l’esecuzione di ogni ulteriore adempimento imposto alle imprese nelle more
dell’udienza pubblica; C) l’attività di adeguamento è concretamente inattuabile
perché la Giunta ha imposto la verniciatura degli impianti indicando la
caratteristica tecnica del colore grigio antracite che corrisponde al codice
RAL (il 7016), ma non corrisponde al Pantone (il 3305), che sta ad indicare il
colore verde bottiglia; D) non può fondarsi sull’art. 19, comma 2, del
Regolamento perché in forza dell’art. 4, comma 3, e dell’art. 12, comma 3, del
Regolamento, le norme tecniche devono essere intese come un corpus unitario di
prescrizioni, coerenti e coordinate, che disciplina tutte le caratteristiche
degli impianti.
22. Anche le società Ars Pubblicità Srl,
Cosmo Pubblicità Srl, G.B.E. Srl e New Poster Srl con il ricorso n. 3353/2015
hanno impugnato la deliberazione n. 380/2014, deducendo le seguenti censure.
I) Violazione e falsa applicazione
dell’art. 62, comma 1, lett. b), del D.Lgs. 446/1997; violazione dell’art. 97
Cost.; eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione, illogicità,
irrazionalità e perplessità dell’azione amministrativa, disparità di
trattamento, nonché per contraddittorietà con l’art. 20,comma 1, lett. f), del
Regolamento, con l’art. 35 del PRIP e con la Deliberazione n. 25 del 10
febbraio 2010.
Innanzi tutto le ricorrenti sostengono che
l’impugnata deliberazione contrasta con l’art. 62, comma 1, lett. b), del
D.Lgs. 446/1997, perché tale disposizione non conferisce all’Amministrazione il
potere di incidere sulle autorizzazioni già rilasciate, potendo la stessa
soltanto regolamentare, per il futuro, le modalità per ottenere il rilascio di
nuove concessioni. Inoltre ribadiscono che, per effetto delle nuove
disposizioni in tema di localizzazione degli impianti pubblicitari, esse
subiscono un rilevante pregiudizio dovuto al fatto che Roma Capitale ha
arbitrariamente stravolto le regole per la permanenza degli impianti SPQR sul
territorio capitolino. Quindi, si dolgono del fatto che l’Amministrazione: A)
non abbia chiarito da cosa sia dipesa la restrizione alla persistenza di alcune
tipologie impianti pubblicitari sul territorio capitolino, né perché abbia
unilateralmente deciso di avviare la predisposizione dei piani di
localizzazione degli impianti in prossimità dell’udienza pubblica fissata per
la decisione sulle impugnazioni proposte avverso le deliberazioni n. 49 e n.
50; B) non abbia individuato idonee soluzioni alternative, non pregiudizievoli
per i consolidati interessi degli operatori del settore. In particolare
lamentano l’illegittimità della previsione secondo la quale entro il 20 maggio
2015, in applicazione dell’art. 19, comma 2, del Regolamento, “tutti gli
impianti pubblicitari, sia SPQR che di proprietà privati, già inseriti nella
Nuova Banca Dati e mantenuti sul territorio ai sensi dell’art. 34 comma 9 del
Regolamento di Pubblicità devono presentare la caratteristica tecnica del
colore grigio antracite PAL 7016 Pantone 335”. Deducono poi che la
disciplina introdotta con l’impugnata delibera contrasta: A) con la
disposizione dell’art. 20, comma 1, lett. f), del Regolamento, che contempla un
numero di formati notevolmente superiore rispetto a quelli indicati dalla
Giunta; B) con gli articoli 34 e 35 della delibera n. 49 del 2014, ove agli
sono fissate le caratteristiche degli impianti ammessi; C) con la deliberazione
della Giunta Comunale n. 25/2010, con la quale sono stati approvati i progetti
tipo per una serie di tipologie di impianti, fra i quali gli impianti di
proprietà comunale da concedere in locazione a terzi (c.d. impianti SPQR).
Infine sostengono che l’impugnata delibera - nel prevedere che “un altro
lotto dovrà essere dedicato al Circuito Cultura e Spettacolo con impianti
modello SPQR mt. 2X2 distribuiti su tutti i Municipi” - determina una grave
disparità di trattamento tra gli operatori del settore, perché il formato 2x2
dovrebbe essere utilizzato per la sponsorizzazione di tutte le attività e non
solo di quelle attinenti il settore cultura e spettacolo.
II) Violazione dell’art. 1375 cod. civ.
e dei principi di buon andamento, correttezza, equità, efficienza, economicità
e ragionevolezza; eccesso di potere per ingiustizia manifesta; violazione
dell’art. 41 Cost.
Le ricorrenti lamentano la violazione dei
principi di buona fede, correttezza e proporzionalità dell’azione
amministrativa, che dovrebbero sovrintendere i rapporti tra soggetti pubblici e
privati, in modo da imporre a questi ultimi, specie se titolari di posizioni
qualificate e consolidate, il minor sacrificio possibile della loro sfera
giuridica.
III) Violazione dell’art. 97 Cost. e
degli articoli 7 e ss. della legge n. 241/1990.
Le ricorrenti si dolgono del fatto che
l’Amministrazione non abbia comunicato l’avvio del procedimento, nonostante i
destinatari dell’impugnata delibera fossero facilmente identificabili, così
precludendo ogni possibile apporto delle imprese del settore all’elaborazione
dei criteri per la redazione dei piani di localizzazione degli impianti
pubblicitari.
23. Roma Capitale con memorie depositate
in data 10 e 18 aprile 2015 ha replicato alle censure proposte con i suddetti
ricorsi avverso la deliberazione n. 380/2014 evidenziando innanzi tutto che
tale provvedimento si pone come il necessario completamento del complesso
processo di riassetto della disciplina del settore delle affissioni, concluso
con l’adozione delle deliberazioni n. 49 e 50 del 2014, e rappresenta la prima
fase di attuazione del PRIP.
23.1. Inoltre, quanto alle censure
incentrate sull’erronea interpretazione delle ordinanze cautelari con le quali
è stato prorogato al 20 maggio 2015 il termine per l’adeguamento degli impianti
formato 4x3, Roma Capitale ha replicato che nessuna sospensione dell’obbligo di
porre in essere le attività di adeguamento può essere invocata dalle parti
ricorrenti, perché questo Tribunale ha accordato unicamente una proroga del
termine per ultimare la trasformazione degli impianti. Del resto, secondo Roma
Capitale, si deve considerare che: A) molte società - tra le quali anche alcune
ricorrenti - hanno proseguito nell’attività di trasformazione degli impianti
anche dopo l’emissione delle ordinanze cautelari, mentre l’Amministrazione con
la nota prot. n. 5093 del 2015 si è pienamente conformata al giudicato
cautelare stabilendo di non sanzionare gli impianti non ancora trasformati sino
alla data del 20 maggio 2015; B) la deliberazione n. 380/2014, da un lato, si
configura come un atto dovuto, perché consente l’avvio della fase di attuazione
del PRIP, consistente nella redazione dei piani di localizzazione, e dall’altro
completa il processo di adeguamento degli impianti SPQR alle disposizioni già
approvate con la deliberazione della Giunta capitolina n. 25 del 2010, ma
vincolanti unicamente per il I municipio. Difatti con tale deliberazione era
stato disposto che con successivo atto sarebbero stati fissati gli obblighi per
tutti gli altri municipi, circostanza nota a tutte le imprese del settore e mai
contestata. Inoltre, secondo Roma Capitale, ad ulteriore conferma
dell’infondatezza delle censure incentrate sull’elusione del giudicato
cautelare rileva la circostanza che la prescrizione relativa al colore degli
impianti che le imprese intendono mantenere sul territorio fino
all’espletamento delle gare non è stata oggetto di valutazione da parte di
questo Tribunale perché non era contenuta nel Regolamento. Inoltre tale
prescrizione, essendo funzionale al decoro della città, è frutto di valutazioni
attinenti al merito dell’azione amministrativa.
23.2. Quanto poi alle censure incentrate
sulla mancata previsione del formato 4x3, Roma Capitale - premesso che i titoli
relativi agli impianti formato 4x3 sono scaduti alla data del 31 dicembre 2014
- ha replicato che, come già evidenziato da questo Tribunale nell’ordinanza
cautelare 2 aprile 2015, n. 1486: A) la temporanea permanenza degli impianti
formato 4x3 costituisce una mera facoltà e non già un obbligo per le imprese
interessate; B) la trasformazione di tali impianti è funzionale al decoro della
città la cui tutela rientra nel merito dell’azione amministrativa e, quindi,
non è sindacabile dagli operatori del settore; C) di conseguenza costoro, se
vogliono continuare a mantenere gli impianti sul territorio comunale, devono
attenersi alle prescrizioni dettate a protezione di interessi superiori, come
quello ambientale, storico e architettonico.
23.3. Quanto alle censure incentrate
sull’incompetenza della Giunta capitolina a fissare il colore degli impianti,
Roma Capitale ha replicato evidenziando che: A) la Giunta è competente ad
adottare norme tecniche, in forza di un’espressa previsione regolamentare; B)
il colore in contestazione era già stato fissato, per gli impianti SPQR, con la
predetta deliberazione n. 25/2010, che non risulta impugnata. Parimenti
infondata, secondo Roma Capitale, risulta l’eccezione incentrata sulla
incompetenza della Giunta a deliberare in tema di suddivisione del territorio
in lotti, perché la Giunta ha formulato indirizzi funzionali e complementari
alla localizzazione degli impianti, competenza questa di spettanza della Giunta
stessa.
23.4. Alla censura incentrata
sull’esclusione di taluni formati per gli impianti SPQR Roma Capitale ha
replicato evidenziando che l’art. 20, comma 1, lett. f), del Regolamento si
limita ad elencare i formati ammissibili. Pertanto la Giunta con la
deliberazione n. 380/14, nell’ambito delle possibilità fissate nel Regolamento,
ha operato una suddivisione dei vari formati per tipologie di impianti,
finalizzata ad omogeneizzare la pianificazione di dettaglio.
23.5. Alla censura incentrata sull’omessa
comunicazione dell’avvio del procedimento Roma Capitale ha replicato invocando
l’inapplicabilità delle norme sulla partecipazione al procedimento
amministrativo in caso di di attività dirette all’emanazione di atti normativi
e amministrativi generali.
24. Le società Ars Pubblicità Srl, Cosmo
Pubblicità Srl, G.B.E. Srl e New Poster Srl con ricorso per motivi aggiunti
proposto nel giudizio introdotto con il ricorso n. 14526/2014 hanno impugnato
anche la determinazione dirigenziale n. QH/1689/2015 in data 27 luglio 2015,
con la quale sono stati approvati i lavori Conferenza di sevizi convocata, ai
sensi dell’art. 32 delle NTA del PRIP, ai fini dell’adozione di piani di
localizzazione degli impianti pubblicitari. Le società ricorrenti premettono
che: A) nonostante la pendenza dei suddetti ricorsi - e, in particolare, del
ricorso n. 3353 del 2015, avente ad oggetto i criteri dettati con la deliberazione
n. 380/2014 per la redazione dei piani di localizzazione degli impianti -
l’Amministrazione capitolina ha convocato la Conferenza di servizi prevista
dall’art. 32 delle NTA del PRIP; B) con l’impugnata determinazione dirigenziale
del 27 luglio 2015 sono stati dichiarati conclusi i lavori e sono state
approvate le risultanze della Conferenza di servizi; C) nel corso della
Conferenza è stato chiesto alla Soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali,
alla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma e alla
Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma
il parere vincolante sui progetti redatti da Æqua Roma, relativi ai piani di
localizzazione riguardanti impianti che insistono in aree ove sono presenti
beni paesaggistici e culturali; D) i suddetti progetti sono stati inviati da
Æqua Roma dapprima con nota del 30 marzo 2015 e poi, a seguito di alcune
modifiche, con nota del 2 aprile 2015. Quindi le società ricorrenti deducono le
seguenti censure.
I) Illegittimità derivata dalla
deliberazione n. 50/2014 e dalla deliberazione n. 380/2014 per violazione e
falsa applicazione dei principi di irretroattività dei provvedimenti
amministrativi, di certezza del diritto, del legittimo affidamento, di
correttezza e buona fede, di buon andamento e imparzialità dell’azione
amministrativa; violazione e falsa applicazione dell’art. 62, comma 1, lett.
b), del D.Lgs. 446/1997 e degli articoli 1 e 2 della legge n. 241/1990 per
l’irragionevole durata del procedimento di riordino degli impianti
pubblicitari; violazione dell’art. 97 Cost.; eccesso di potere per
contraddittorietà e travisamento dei fatti, difetto assoluto-di motivazione,
illogicità, irrazionalità e perplessità dell’azione amministrativa.
L’impugnata determinazione dirigenziale
del 27 luglio 2015 - nel recepire i criteri dettati dalla Giunta Capitolina per
la redazione dei piani di localizzazione e, in particolare, quello secondo cui
“per le ubicazioni verrà fatto prioritario riferimento alle attuali
localizzazioni e formati riportati nella Nuova Banca Dati, in particolare per
gli impianti SPQR, in considerazione dell’attività di controllo nel frattempo
intervenuta a partire dal processo riorganizzativo del settore Affissioni e
Pubblicità realizzato nel corso degli ultimi anni” - determinerebbe
un’ulteriore lesione del legittimo affidamento delle imprese del settore.
Difatti - come già dedotto nel ricorso introduttivo e nel ricorso n. 3553 del
2015 - Roma Capitale con la delibere n. 100/2006 e n. 37/2009 aveva rinnovato i
rapporti concessori per un periodo di cinque anni, prorogabile di ulteriori
cinque anni, con ciò radicando nelle ricorrenti stesse il legittimo
affidamento, affinché si giungesse alla positiva definizione della procedura di
riordino «con il recepimento automatico dei propri impianti nei piani di
localizzazione», con conseguente sottrazione degli stessi e delle loro
ubicazioni alle procedure di gara per tutta la durata dei titoli rinnovati o
rilasciati all’esito del riordino, pari ad almeno 5 anni. Pertanto, secondo le
ricorrenti, le conclusioni della Conferenza di Servizi sarebbero illegittime in
quanto, come si può verificare dai progetti dei piani di localizzazione, i
posizionamenti ed i formati degli impianti non corrispondono (se non in minima
parte) con quelli degli impianti di proprietà delle ricorrenti medesime
attualmente inseriti nella NBD. Inoltre le ricorrenti deducono che anche la
determinazione dirigenziale del 27 luglio 2015 si pone in contrasto con l’art.
62, comma 1, lett. b), del D. Lgs. n. 446/1997, perché tale disposizione non
conferisce il potere di incidere sulle autorizzazioni già rilasciate.
II) Illegittimità derivata dalla
deliberazione n. 380/2014 per violazione e falsa applicazione degli articoli 41
e 97 Cost., 1 e 3 della legge n. 241/1990, 42 e 48 del D.Lgs. 267/0000, 16 e 25
dello Statuto di Roma Capitale, nonché dell’art. 20, comma 1, lett. f), della
deliberazione n. 50/2014; violazione del principio del legittimo affidamento e
del minor sacrificio; violazione dell’art. 1375 cod. civ. e dei principi di
buon andamento, correttezza, equità, efficienza, economicità e ragionevolezza;
eccesso di potere per ingiustizia manifesta.
L’impugnata determinazione dirigenziale
del 27 luglio 2015 sarebbe illegittima, in via derivata, anche nella parte in
cui perpetua i vizi della deliberazione n. 380/2014 che, nel dettare ad Æqua
Roma i criteri per la realizzazione dei piani di localizzazione degli impianti,
ha indebitamente ridotto il numero dei formati previsti dall’art. 20, comma 1,
lett. f), del Regolamento, così violando i principi di buona fede, correttezza
e proporzionalità dell’azione amministrativa.
III) Illegittimità derivata dalla
deliberazione n. 50/2014 e dalla deliberazione n. 380/2014 per violazione e
falsa applicazione degli articoli 41 e 97 Cost., nonché degli articoli 1 e 3
della legge n. 241/1990, violazione dei principi di certezza del diritto, del
legittimo affidamento, di buon andamento e imparzialità dell’azione
amministrativa, di proporzionalità; eccesso di potere per illogicità,
ingiustizia grave e manifesta, contraddittorietà, irragionevolezza,
travisamento ed erronea valutazione dei fatti, disparità di trattamento,
difetto di istruttoria e di motivazione, in ragione della omessa valutazione
dei singoli titoli in possesso delle società ricorrenti.
L’impugnata determinazione dirigenziale
del 27 luglio 2015 sarebbe poi illegittima, sempre in via derivata, per le
ragioni già esposte con il ricorso introduttivo e con il ricorso n. 3553/2015,
per non aver previsto il formato 4x3. In proposito le ricorrenti osservano che:
A) solo all’esito della Conferenza di servizi (o, quantomeno, al momento della
trasmissione dei progetti da parte di Æqua Roma) l’Amministrazione ha potuto
avere una seppur parziale cognizione della quantità e tipologia di impianti che
nel nuovo regime potranno esser mantenuti sul territorio; B) tale circostanza
rende ancor più evidente l’illegittimità della trasformazione degli impianti di
formato 4x3, nonché la colorazione di tutti gli impianti del colore grigio
antracite, adempimenti che sono state imposti a tutti gli operatori del settore
già nell’attuale fase di transizione. Difatti sarebbe stato ragionevole imporre
gli adeguamenti solo per i impianti destinati a permanere sul territorio anche
in futuro.
IV) Violazione e falsa applicazione del
principio della certezza del diritto; eccesso per difetto dei presupposti,
illogicità manifesta, irragionevolezza e difetto di istruttoria; violazione
degli articoli 7 e ss. della legge n. 241/1990; violazione dell’art. 97 Cost. e
dell’art. 2-bis della legge n. 241/1990.
Innanzi tutto le ricorrenti deducono che:
A) Æqua Roma con nota del 2 aprile 2015 ha trasmesso nuove proposte dei piani
di localizzazione, modificative ed integrative di quelle in precedenza inviate
con nota del 30 marzo 2015; B) con la determinazione dirigenziale in data 8
aprile 2015 è stata modificata la precedente determinazione dirigenziale del 1°
aprile 2015 - nella parte in cui stabilisce che l’indizione della Conferenza di
Servizi è finalizzata ad ottenere i pareri “su tutte le 15 proposte di piani
di localizzazione formulate dalla Società Æqua Roma con nota prot. QHH/22759
del 30.3.2015” - sostituendo tale frase con la seguente: “su tutte le
proposte di Piani di Localizzazione formulate dalla Società Æqua Roma con nota
prot. QH/23791 del 2.4.2015”; C) ciononostante con l’impugnata
determinazione dirigenziale del 27 luglio 2015 Æqua Roma è stata incaricata di
apportare le “materiali modifiche” conseguenti ai pareri delle
Sovraintendenze non già sulla proposta dei piani di localizzazione di cui alla
nota del 2 aprile 2015, bensì ma su quella di cui alla nota del 30 marzo 2015.
Infine le ricorrenti si dolgono del fatto che l’Amministrazione non abbia
comunicato l’avvio del procedimento, così precludendo ogni possibile apporto
delle imprese del settore alla redazione dei piani di localizzazione degli
impianti pubblicitari.
25. Roma Capitale con memorie depositate
in data 17 e 18 settembre 2015 ha insistito per la reiezione dei ricorsi in
epigrafe indicati.
26. Talune delle società ricorrenti hanno
presentato memorie con le quali hanno replicato alle difese di Roma Capitale.
27. Roma Capitale con memorie depositate
in data 22 dicembre 2015 ha ulteriormente insistito per la reiezione dei
ricorsi in epigrafe indicati.
28. Alla pubblica udienza del 27 gennaio
2016 i ricorsi in epigrafe indicati sono stati chiamati e trattenuti per la
decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare il Collegio ravvisa
i presupposti per disporre, ai sensi dell’art. 70 cod. proc. amm., la riunione
dei ricorsi in epigrafe indicati, sussistendo evidenti ragioni di connessione
soggettiva ed oggettiva.
2. Sempre in via preliminare, anche al
fine di verificare l’interesse ad agire in relazione a ciascuno dei predetti
ricorsi, occorre procedere alla qualificazione della deliberazione della Giunta
capitolina n. 425/2013 e delle deliberazioni dell’Assemblea capitolina n.
49/2014 e n. 50/2014.
2.1. La deliberazione della Giunta
capitolina n. 425/2013 (recante “Indirizzi finalizzati alla chiusura del
procedimento di riordino degli impianti pubblicitari di cui alla deliberazione
di Giunta comunale n. 1689/1997 e contestuale modifica e revoca parziale della
deliberazione di Giunta capitolina n. 116 del 5 aprile 2013”), impugnata
con il ricorso n. 3006/2014, si configura come un atto amministrativo generale
con il quale è stato precisato il contenuto della precedente deliberazione
della Giunta capitolina n. 116/2013 (recante “Indirizzi finalizzati alla
chiusura del procedimento di riordino degli impianti pubblicitari di cui alla
deliberazione di Giunta comunale n. 1689/1997”), a sua volta adottata al
dichiarato fine di “fissare le disposizioni transitorie che consentano, al
tempo stesso, sia di chiudere definitivamente la procedura di riordino ... (ad
oltre 15 anni di distanza dal suo avvio, quanto, soprattutto, di pervenire ad
un progressivo raggiungimento degli obiettivi del Piano Regolatore
anticipandone alcuni effetti sulla base dei dati contenuti nella nuova Banca
Dati”. Ciononostante tale deliberazione, secondo la prospettazione delle
ricorrenti, sarebbe immediatamente lesiva perché andrebbe ad incidere, in modo
innovativo, sull’efficacia temporale dei titoli rilasciati all’esito della
procedura di riordino di cui alla deliberazione n. 254/1995.
2.2. Quanto alla deliberazione n. 50/2014
- con la quale è stata approvata la proposta della Giunta rubricata “Modifiche
ed integrazioni alla deliberazione consiliare n. 37 del 30 marzo 2000, avente
ad oggetto Modifiche ed integrazioni alla deliberazione consiliare n. 100 del
12 aprile 2006, riguardante il Regolamento comunale recante le norme in materia
di esposizione della pubblicità e di pubbliche affissioni” - è un atto che
rientra nella potestà regolamentare dell’Assemblea capitolina ai sensi del
combinato disposto degli articoli 52 e 62 del decreto legislativo 15 dicembre
1997, n. 446, con l’art. 42, comma 2, lett. a), del decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267. In particolare giova evidenziare che: A) quest’ultima
disposizione attribuisce al Consiglio comunale la potestà regolamentare
dell’Ente locale; B) l’art. 52 del decreto legislativo n. 446/1997 dispone che
i Comuni “possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche
tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle
fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei
singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli
adempimenti dei contribuenti. ...”; C) il successivo art. 62 consente (al
comma 1) ai Comuni di escludere, con apposito regolamento adottato a norma
dell’art. 52, “l’applicazione, nel proprio territorio, dell’imposta comunale
sulla pubblicità di cui al capo I del decreto legislativo 15 novembre 1993, n.
507, sottoponendo le iniziative pubblicitarie che incidono sull’arredo urbano o
sull’ambiente ad un regime autorizzatorio e assoggettandole al pagamento di un
canone in base a tariffa”, specificando (al comma 2), che in tale
regolamento deve essere individuata la “tipologia dei mezzi di effettuazione
della pubblicità esterna che incidono sull’arredo urbano o sull’ambiente ai
sensi del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e del relativo
regolamento di attuazione approvato con decreto del Presidente della Repubblica
16 dicembre 1992, n. 495”, e devono essere previste “le procedure per il
rilascio e per il rinnovo dell’autorizzazione”. Ciò posto - sebbene la
giurisprudenza, nell’affrontare il tema dell’impugnabilità immediata dei
regolamenti, abbia anche recentemente ribadito (da ultimo Consiglio di Stato,
Sez. VI, 26 marzo 2015, n. 1596) che l’interessato non è, di regola,
legittimato ad impugnare le norme regolamentari perché la generalità e
l’astrattezza delle prescrizioni normative impedisce di ravvisare l’attualità
della lesione e una posizione differenziata rispetto al quisque de
populo - tuttavia nel caso in esame non v’è motivo di dubitare della
sussistenza della legittimazione e dell’interesse a ricorrere. Infatti con
alcuni dei predetti ricorsi viene impugnata anche la nota del 23 settembre
2014, con la quale l’Amministrazione - nel comunicare a tutte le imprese
titolari di impianti inseriti nella NBD, ivi comprese le società ricorrenti,
che l’inserimento nella NBD ha determinato la “chiusura del procedimento di
riordino”, sicché esse “possono, sulla base di quanto previsto dall’art.
34, comma 9, mantenere i loro impianti sul territorio fino al 31.12.2014 e
comunque non oltre l’esito delle procedure di gara di cui al medesimo comma 9,
senza che si proceda al rilascio di singoli titoli autorizzatori” - ha
contestualmente diffidato le predette imprese a procedere, entro la data del 31
gennaio 2015, “all’adeguamento degli impianti inseriti nella NBD” alle
prescrizioni di cui all’art. 20, comma 1, lett. f) del Regolamento, con il
quale è stata ridotta la tipologia dei formati ammessi, escludendo, tra gli
altri, il formato 4x3. Inoltre, con particolare riferimento ai ricorsi con il
quali non è stata impugnata la predetta nota del 23 settembre 2014, giova
evidenziare che la deliberazione n. 50/2014 - specie nella parte in cui va a
modificare il regime transitorio dell’art. 34 del Regolamento (come già
modificato dalla deliberazione consiliare n. 37/2009) e a ridurre la tipologia
dei formati ammessi - contiene vere e proprie “volizioni-azione”, ossia
previsioni che, secondo la giurisprudenza (ex multis, T.A.R.
Sicilia Palermo, Sez. II, 4 dicembre 2014, n. 3167), essendo destinate a un’immediata
applicazione producono un immediato effetto lesivo nella sfera giuridica dei
destinatari e, quindi, devono essere impugnati immediatamente, a prescindere
dall’adozione di atti applicativi.
2.3. Quanto al PRIP approvato con la
deliberazione n. 49/2014, si configura come un atto generale di pianificazione
territoriale, adottato dall’Assemblea capitolina ai sensi del combinato
disposto dell’art. 42, comma 2, lett. b), del decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267 (che attribuisce alla competenza del Consiglio comunale l’adozione
dei piani territoriali) con l’art. 3, comma 3, del decreto legislativo 15
novembre 1993, n. 507 (secondo il quale il regolamento per l’applicazione
dell’imposta sulla pubblicità e per l’effettuazione del servizio delle pubbliche
affissioni “deve in ogni caso determinare la tipologia e la quantità degli
impianti pubblicitari, le modalità per ottenere il provvedimento per
l’installazione, nonché i criteri per la realizzazione del piano generale degli
impianti”) e gli articoli 19 e del Regolamento (che fissano,
rispettivamente, le norme per la redazione ed approvazione del PRIP e i criteri
per l’elaborazione del piano). Ne consegue che - con particolare riferimento ai
ricorsi n. 14401/2014, n. 15804/2014 e n. 15806/2014 - non v’è motivo di
dubitare della sussistenza dell’interesse a ricorrere avverso la predetta
deliberazione, perché le impugnazioni riguardano la zonizzazione operata con il
PRIP e, quindi, disposizioni che incidono in via immediata e diretta sulla
sfera giuridica dei destinatari del piano.
3. Passando all’esame delle censure
innanzi esposte, il Collegio osserva che rivestono carattere pregiudiziale
quelle dedotte con il ricorso n. 3006/2014 avverso la deliberazione della
Giunta capitolina n. 425/2013, nessuna delle quali può essere accolta alla luce
delle seguenti considerazioni. Innanzi tutto dalle premesse alla precedente
deliberazione della Giunta capitolina n. 116/2013 (in parte revocata e
modificata dalla deliberazione n. 425/2013) si evince quanto segue: A) nell’aprile
del 2009, nelle more della conclusione della procedura di riordino degli
impianti pubblicitari di cui alla deliberazione n. 254/1995, a seguito della
pubblicazione della deliberazione assembleare n. 37/2009 “è stato avviato un
censimento straordinario di tutta l’impiantistica pubblicitaria esistente sul
territorio comunale allo scopo di aggiornare archivi ormai datati, di
rafforzare il recupero dell’evasione tributaria per mancato pagamento del
canone di pubblicità, di contrastare in modo più efficace l’abusivismo e
definire in modo agevolato il contenzioso pendente in funzione deflattiva della
gran mole di procedimenti giurisdizionali pendenti”; B) “al
raggiungimento di tutti i risultati predetti si è intervenuti con la creazione
di una Nuova Banca Dati di tutta l’impiantistica pubblicitaria presente sul
territorio capitolino alla data del 31 dicembre 2009, che costituisce una
dotazione informatica strutturale di tutto il settore, sia sotto il profilo
contabile che amministrativo”; C) nelle more dell’entrata in vigore del
PRIP, e considerato che la concreta applicazione dello stesso avrebbe comunque
richiesto l’adozione dei piani di localizzazione, si rendeva comunque
necessario “fissare le disposizioni transitorie che consentano, al tempo
stesso, sia di chiudere definitivamente la procedura di riordino (ad oltre
quindici anni di distanza dal suo avvio), quanto soprattutto di pervenire ad un
progressivo raggiungimento degli obiettivi del Piano Regolatore anticipandone
alcuni effetti sulla base dei dati contenuti nella Nuova Banca Dati”. Sulla
base di tali premesse la Giunta capitolina con la predetta deliberazione n.
116/2013 ha disposto (per quanto d’interesse in questa sede) di: A) “proseguire
nell’implementazione della Nuova Banca Dati” (primo cpv.); B) “assicurare
la permanenza sul territorio di tutti gli impianti pubblicitari in essa
contenuti a titolo temporaneo nelle more dell’adozione del Piano Regolatore
degli impianti pubblicitari e dei suoi relativi Piani di localizzazione, a
condizione che gli impianti rispettino le prescrizioni del Codice della strada
e del suo Regolamento attuativo, come derogato dalla deliberazione del
Commissario straordinario n. 45/2008” (secondo cpv.); C) “consentire la
suddetta permanenza temporanea nella Nuova Banca Dati a condizione che siano
rispettate le altre prescrizioni del vigente Regolamento di Pubblicità
(deliberazione Consiglio Comunale n. 37/2009), ivi compresi gli adempimenti
tributari connessi all’esposizione tributaria e quelle in tema di insistenza in
aree vincolate come disciplinato dalla deliberazione del Commissario
straordinario predetta” (terzo cpv.); D) “stabilire che l’inserimento
nella Nuova Banca Dati degli impianti di tipo SPQR, R, ES, E, nonché di quelli
di cui all’articolo 33-bis del Regolamento di Pubblicità e di quelli di tipo
CONV, di cui all’art. 34, comma 4-bis, del Regolamento, determina la chiusura
del procedimento di riordino ad essi relativo, a condizione che siano
rispettate le prescrizioni del codice della strada, come derogato dalla
deliberazione del Commissario straordinario n. 45/2008 e la relativa posizione
contabile a far data dal titolo sottostante” (quarto cpv.); E) “confermare
che l’efficacia nel tempo della posizione amministrativa degli impianti di cui
al precedente capoverso è regolata dal combinato disposto dell’art. 34 comma 9
del Regolamento di Pubblicità, come modificato dalla deliberazione del
Commissario Straordinario con i poteri della Giunta Comunale n. 38/2008, e
dell’art. 64 del D. Lgs. n. 446/1997, a condizione che sia ottemperato alle
prescrizioni impartite dall’Amministrazione nei modi e nelle forme di cui al
comma 10 dell’art. 34” (quinto cpv.). Tale disciplina è stata poi
sostanzialmente confermata con la deliberazione n. 425/2013. Infatti con tale
provvedimento la Giunta capitolina ha disposto (per quanto d’interesse in
questa sede) di: A) “assicurare la permanenza sul territorio di tutti gli
impianti pubblicitari contenuti nella Nuova Banca Dati, limitatamente alle
tipologie SPQR, R, ES, E, nonché di quelli di cui all’articolo 33-bis del
Regolamento di Pubblicità e di quelli di tipo CONV, di cui all’art. 34, comma
4-bis, del Regolamento, a titolo temporaneo nelle more dell’adozione del Piano
Regolatore degli impianti pubblicitari e dei suoi relativi Piani di
localizzazione, a condizione che gli impianti rispettino le prescrizioni del
Codice della Strada, come integrate dalla deliberazione del Commissario
straordinario n. 45/2008, … nonché le prescrizioni del Regolamento di
Pubblicità di cui alla deliberazione di Consiglio Comunale n. 37/2009, nonché
quelle in tema di insistenza in aree vincolate come disciplinato dalla
deliberazione del Commissario straordinario predetta, confermando che
l’inserimento nella Nuova Banca Dati determina la chiusura del procedimento di
riordino ad essi relativo all’ulteriore condizione che la relativa posizione
contabile sia regolare a far data dal titolo sottostante alla scheda di
riordino” (primo cpv.), senza innovare, nella sostanza, quanto già disposto
al secondo e al quarto capoverso della propria precedente deliberazione n.
116/2013; B) sostituire il quinto capoverso della deliberazione n. 116/2013 con
il seguente: “confermare che l’efficacia nel tempo della posizione
amministrativa degli impianti di cui al precedente capoverso è regolata dal
disposto dell’art. 34 comma 9 del Regolamento di Pubblicità, come modificato
dalla deliberazione del Commissario Straordinario con i poteri della Giunta
Comunale n. 38/2008, a condizione che sia ottemperato alle prescrizioni
impartite dall’Amministrazione nei modi e nelle forme di cui al comma 10
dell’art. 34” (terzo cpv.), limitandosi ad espungere il riferimento
all’art. 64 del D. Lgs. n. 446/1997 contenuto nel quinto capoverso della
propria precedente deliberazione; C) precisare, con riferimento a quanto già
previsto al sesto capoverso della deliberazione n. 116/2013, che “il
recepimento automatico delle risultanze del procedimento di riordino
all’interno del Piano Regolatore e nei conseguenti Piani di Localizzazione non
altera, tuttavia, la scadenza naturale dei titoli degli impianti di cui alla
medesima procedura di riordino” (quarto cpv.).
3.1. Stante quanto precede, il Collegio
ritiene che le censure in esame, ancor prima che infondate, siano inammissibili
in quanto: A) è stata la deliberazione n. 116/2013 (con il quarto capoverso) a
sancire - sul presupposto che la NBD censisca tutti gli impianti presenti sul
territorio capitolino alla data del 31 dicembre 2009 (unica data fissata da
ultimo con la deliberazione commissariale n. 38/2008 per la scadenza del primo
quinquennio di efficacia delle autorizzazioni e delle concessioni già
rilasciate o da rilasciare attinenti alla procedura del riordino) -
l’equivalenza tra l’inserimento degli impianti nella NBD e l’adozione dei
provvedimenti formali di chiusura dei procedimenti avviati per tali impianti
con la presentazione delle domande di partecipazione alla procedura di
riordino, in modo da far decorrere dal 1° gennaio 2010 i cinque anni di
efficacia dei titoli previsti dall’art. 34, comma 9, del Regolamento (nel testo
risultante dalle modifiche apportate dalla deliberazione n. 37/2009), mentre la
successiva deliberazione n. 425/2013 si è limitata a confermare che
l’inserimento dell’impianto nella NBD determina la chiusura della procedura di
riordino; B) come si può evincere dall’ultimo capoverso della deliberazione n.
425/2013, quest’ultima non ha revocato integralmente la deliberazione n.
116/2013, ma solo le parti con essa in contrasto, sicché nessuna utilità
deriverebbe alle ricorrenti dall’accoglimento delle censure in esame, perché
investono la deliberazione n. 116/2013 proprio nella parte in cui conferma
l’equivalenza tra l’inserimento degli impianti nella NBD e l’adozione dei
provvedimenti di chiusura della procedura di riordino.
3.2. Analoghe considerazioni valgono per
la censura relativa alla disposizione di cui al primo capoverso della
deliberazione n. 425/2013 (ove è previsto che la permanenza sul territorio
degli impianti inseriti nella NBD è assicurata “a titolo temporaneo”
nelle more dell’adozione del PRIP), che - secondo la prospettazione delle
ricorrenti - «svela la malcelata scelta della Giunta capitolina di derogare a
quanto previsto dal Regolamento comunale in ordine al transito ed
all’adeguamento degli impianti regolari nel futuro piano regolatore». Infatti
il Collegio osserva che la volontà di “assicurare la permanenza sul
territorio di tutti gli impianti pubblicitari in essa contenuti a titolo
temporaneo nelle more dell’adozione del Piano Regolatore degli impianti
pubblicitari e dei suoi relativi Piani di localizzazione” era già stata
chiaramente espressa dalla Giunta capitolina nel secondo capoverso del
dispositivo della deliberazione n. 116/2013.
3.3. Fermo restando quanto precede, solo
per completezza il Collegio osserva che le censure in esame risultano comunque
destituite di ogni fondamento. Innanzi tutto, quanto alla censura incentrata
sul difetto di motivazione, risulta evidente che il quarto capoverso della
deliberazione n. 425/2013, nel far riferimento alla “scadenza naturale dei
titoli degli impianti di cui alla medesima procedura di riordino”, muove
dal presupposto che l’efficacia temporale dei titoli relativi agli impianti
inseriti nella NBD sia fissata dall’art. 34, comma 9, del Regolamento; pertanto
non sussiste alcuna incertezza sulla durata dei titoli ai quali la Giunta
intende riferirsi, trattandosi del quinquennio previsto dall’art. 34, comma 9,
del Regolamento, né sul dies a quo al quale ancorare
l’efficacia temporale dei titoli, da identificare nel 1° gennaio 2010. Né
miglior sorte merita l’ulteriore censura, secondo la quale sarebbe
irragionevole ed ingiusto limitare l’efficacia di titoli rilasciati all’esito
della procedura di riordino, ossia con decorrenza 1° gennaio 2010, prima che la
procedura stessa si sia conclusa; difatti la Giunta già nella deliberazione n.
116/2013 aveva posto in rilievo l’esigenza di introdurre disposizioni
transitorie che consentissero di chiudere definitivamente la procedura di
riordino predetta, essendo trascorsi oltre 15 anni dal suo avvio. Infine
pienamente condivisibili appaiono le considerazioni svolte nelle premesse alla
deliberazione n. 425/2013 con riferimento a quanto disposto nel terzo della
delibera stessa, ove si afferma che il riferimento all’art. 64 del decreto
legislativo n. 446/1997, contenuto nel quinto capoverso della deliberazione n.
116/2013, costituiva “un mero errore materiale”; difatti nelle premesse
alla deliberazione n. 425/2013 è stato correttamente osservato che “l’Amministrazione
ha già affrontato in modo specifico il tema della durata degli impianti di cui
alla procedura di riordino sia con la previsione di cui all’art. 34, comma 9,
sia con le modalità dell’eventuale rinnovo delle autorizzazioni di cui al comma
10 del medesimo articolo, rispetto alla quale nulla può innovare la
deliberazione della Giunta capitolina n. 116/2013”. In particolare, giova
porre in rilievo sin d’ora che - come ricordato da Roma Capitale nelle sue
difese - il decreto legislativo n. 446/1997 segna il passaggio da un regime nel
quale per collocare un impianto pubblicitario su suolo pubblico dovevano essere
corrisposti all’Amministrazione il canone di pubblicità, la tassa per
l’occupazione di suolo pubblico (TOSAP) e l’imposta di pubblicità, ad un
diverso regime caratterizzato dal pagamento della sola imposta e del canone
(che nel frattempo aveva assorbito la TOSAP), ferma restando la possibilità,
per i Comuni, di adottare il c.d. “canone a tariffa”, con contestuale
abolizione dell’imposta di pubblicità, mediante l’adozione del Regolamento,
previsto dall’art. 62, comma 1, del decreto legislativo n. 446/1997 è stata
prevista. Ebbene, proprio in tale contesto si colloca la disposizione dell’art.
64, comma 1, del decreto legislativo n. 446/1997, nel senso che, nel momento in
cui è stato previsto il passaggio dal regime del canone/imposta a quello del
canone unico a tariffa, è stata prevista la possibilità, per il titolare
dell’autorizzazione, di proseguire nel rapporto con l’Amministrazione,
facendone esplicita istanza, ovvero continuando a corrispondere le somme
dovute. Pertanto la Giunta nelle premesse alla deliberazione n. 425/2013 è
correttamente pervenuta alla conclusione che l’art. 64, comma 1, del decreto
legislativo n. 446/1997 “risulta irrilevante ai fini della definizione della
durata nel tempo delle posizioni amministrative riferite agli impianti di cui
alla procedura di riordino”.
4. Passando all’esame dei ricorsi proposti
avverso la deliberazione n. 50/2014, il Collegio preliminarmente osserva che
alla luce delle considerazioni sin qui svolte risulta inammissibile il quinto
motivo del ricorso n. 15829/2014, con il quale la società Sipea Srl lamenta
l’illegittimità della disposizione dell’art. 34, comma 9, del Regolamento (come
modificata dalla deliberazione n. 50/2014) - nella parte in cui limita al 31
dicembre 2014 la permanenza sul territorio comunale degli impianti inseriti
nella NBD - muovendo dal presupposto che tale limitazione si fondi sulla
deliberazione del Commissario Straordinario n. 38/2008, impugnata dalla
medesima società innanzi a questo Tribunale con il ricorso n. 5659/2009,
tuttora pendente. Difatti - se è vero che con tale deliberazione commissariale
è stato modificato l’art. 14 della deliberazione della Giunta n. 1689/1997 (già
novellato dalla deliberazione n. 6/2008) prevedendo che “la durata delle
autorizzazioni e delle concessioni già rilasciate o da rilasciare attinenti
alla procedura del riordino è unificata e la scadenza del primo quinquennio è
fissata al 31.12.2009” - è altrettanto vero che (come si avrà modo di
precisare) la deliberazione n. 50/2014 si fonda sulla sopravvenuta
deliberazione della Giunta capitolina n. 116/2013, con la quale (come già
evidenziato) è stata disposta l’equivalenza tra l’inserimento degli impianti
nella NBD e l’adozione dei provvedimenti formali di chiusura dei procedimenti
avviati per tali impianti con la presentazione delle relative domande di
partecipazione alla procedura di riordino, in modo da far decorrere dal 1°
gennaio 2010 i cinque anni di efficacia dei titoli previsti dall’art. 34, comma
9, del Regolamento (nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla
deliberazione n. 37/2009). Pertanto si deve ritenere che: A) allo stato, la
società Sipea Srl non conseguirebbe alcuna utilità per effetto di un eventuale
annullamento della deliberazione commissariale n. 38/2008; B) non vi sia,
quindi, alcuna ragione per accogliere l’istanza della società Sipea Srl di
riunione del ricorso n. 15829/2014 con il ricorso n. 5659/2009.
5. Nel merito, occorre procedere innanzi
tutto all’esame dalle censure (comuni ai ricorsi n. 14401/2014, n. 14436/2014,
n. 15804/2014 e n. 15806/2014) con le quali viene dedotto che: A) la seconda
pubblicazione della deliberazione n. 50/2014 non è stata preceduta da una nuova
convocazione dell’Assemblea capitolina; B) tale deliberazione (nel testo
oggetto della seconda pubblicazione) non riporta, nella sua parte dispositiva,
alcune delle modifiche alla disciplina regolamentare che invece si riscontrano
nel testo del Regolamento allegato alla deliberazione medesima.
5.1. Quanto alla prima censura, il
Collegio preliminarmente osserva che la deliberazione oggetto della seconda
pubblicazione è strutturata come segue: A) una prima parte, costituita da un
estratto dal verbale n. 54 del 2014 - relativo alle deliberazioni assunte
dall’Assemblea capitolina nella seduta pubblica del 30 luglio 2014 - nel quale
sono riportate la proposta formulata dalla Giunta e la decisione assunta
dall’Assemblea, con l’indicazione analitica di tutte le modifiche ed
integrazioni apportate al Regolamento approvato con la deliberazione n.
37/2009; B) un allegato, costituito dal testo del Regolamento come risultante
dalle modifiche ed integrazioni approvate dall’Assemblea nella seduta del 30
luglio 2014. Inoltre giova rammentare che i verbali delle sedute dell’Assemblea
capitolina costituiscono atti pubblici e, quindi, ai sensi dell’art. 2700 cod.
civ. fanno “piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del
documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni
delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in
sua presenza o da lui compiuti”. Poste tali premesse il Collegio ritiene
che nessun rilievo possa assumere in questa sede la circostanza che nella prima
parte della deliberazione oggetto della seconda pubblicazione (sostitutiva
della precedente) siano riportate disposizioni (come, ad esempio, l’art. 6,
comma 1-quater) che non figuravano nel testo della deliberazione oggetto della
prima pubblicazione, ma solo nel testo del Regolamento alla stessa allegato.
Infatti, posto che l’estratto dal verbale n. 54 del 2014 che forma oggetto
della seconda pubblicazione costituisce un atto pubblico, le ricorrenti
avrebbero dovuto proporre una querela di falso per dimostrare che su
disposizioni come quella dell’art. 6, comma 1-quater non si era formata la
volontà dell’organo collegiale. In altri termini il Collegio ritiene che - a
fronte dell’efficacia privilegiata che la legge attribuisce ad un atto
pubblico, qual è l’estratto dal verbale n. 54 del 2014 oggetto della seconda
pubblicazione - ogni contestazione avente ad oggetto la mancata formazione
della volontà dell’Assemblea capitolina sulle modifiche ed integrazioni al
Regolamento risultanti dal predetto verbale avrebbe dovuto essere sollevata innanzi
al Giudice ordinario mediante la proposizione di una querela di falso.
5.2. Quanto alla seconda censura, muove
dalla constatazione che nella prima parte della deliberazione n. 50/2014 che
forma oggetto della seconda pubblicazione non siano riportate talune delle
modifiche ed integrazioni che invece risultano dal testo del Regolamento alla
stessa allegato. Ciò posto, la censura in esame risulta, ancor prima che
infondata, inammissibile per carenza di interesse perché nessuna di tali
discordanze forma oggetto di specifiche censure. In ogni caso il Collegio
ritiene che la presenza di discordanze tra la parte dispositiva della
deliberazione (ossia l’ultima parte dell’estratto dal verbale n. 54 del 2014,
recante l’indicazione analitica di tutte le modifiche ed integrazioni apportate
al Regolamento) ed il testo del Regolamento riportato in allegato alla
deliberazione stessa non sia sufficiente per ritenere che il provvedimento
impugnato sia radicalmente nullo, ai sensi dell’art. 21-septies della legge n.
241/1990. Infatti la stessa società APA Srl ha correttamente rilevato che la
parte dispositiva della deliberazione n. 50/2014 non riporta la clausola finale
che figurava nella parte dispositiva della precedente deliberazione n. 37/2009,
secondo la quale “...il testo del regolamento come sopra modificato risulta
quello allegato, parte integrante al presente atto”. Pertanto il Collegio
ritiene il testo del Regolamento oggetto della seconda pubblicazione non
costituisca parte integrante della deliberazione n. 50/2014, ma abbia carattere
“meramente compilativo”, con l’ulteriore conseguenza che, in caso di
discordanze tra il testo del Regolamento allegato alla deliberazione e la parte
dispositiva della deliberazione stessa, prevale quest’ultima.
6. Comuni a quasi tutti i ricorsi sono le
censure incentrate sul fatto che l’Assemblea capitolina - nel prevedere (con
l’art. 34, comma 9, del Regolamento, nel testo introdotto dalla deliberazione
n. 50/2014) che “gli impianti riconducibili alla procedura di riordino, già
riconosciuti come validi nella Nuova Banca Dati, permangono sul territorio, nel
rispetto del presente regolamento, fino al 31 gennaio 2014, senza possibilità
di rinnovo o rilascio di nuove autorizzazioni, e comunque non oltre l’esito
delle procedure di gara conseguenti alla redazione dei piani di localizzazione”
- avrebbe violato i principi di ragionevolezza e di irretroattività degli atti
amministrativi.
6.1. A tal riguardo non v’è dubbio sul
fatto che anche per i regolamenti - da qualificare come atti oggettivamente
normativi, ma soggettivamente amministrativi - viga la regola generale della
irretroattività degli effetti dell’azione amministrativa. Infatti la
giurisprudenza in più occasioni (ex multis, T.A.R. Campania Napoli, Sez.
I, 8 maggio 2013, n. 2364; T.A.R. Toscana Firenze, 25 agosto 2010, n. 4892) ha
evidenziato che tale regola costituisce un’espressione del principio di
legalità e dell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici, in forza della
quale è precluso all’amministrazione incidere unilateralmente e con effetto ex
antesulla sfera giuridica dei destinatari e, quindi, tale regola a maggior
ragione opera nel caso di provvedimenti aventi contenuto regolamentare. Infatti
il principio di irretroattività, derivando dall’art. 11 delle preleggi, è derogabile
per effetto di una disposizione di legge pari ordinata, ma non anche in sede di
esercizio del potere regolamentare, che è fonte normativa gerarchicamente
subordinata alla legge, sicché solo in presenza di una specifica norma di legge
i regolamenti amministrativi possono avere efficacia retroattiva.
6.2. Ciò posto - e considerato che,
secondo la previgente disciplina transitoria prevista dall’art. 34, comma 9,
del Regolamento (nel testo introdotto dalla deliberazione n. 100/2006 e non
modificato dalla deliberazione n. 37/2009) per gli impianti inseriti nella
procedura di riordino “l’esame delle domande di riordino ancora nella fase
istruttoria è sospeso e sarà effettuato sulla base dei criteri introdotti dai
piani previsti dall’art. 19 del Regolamento” (art. 34, comma 5-bis) e “le
concessioni e le autorizzazioni rinnovate, rispettivamente per cinque o tre
anni, all’esito del procedimento di riordino... possono essere
rinnovate per ulteriori periodi ciascuno non superiore, rispettivamente, a
cinque e tre anni” (art. 34, comma 9) - assume rilievo decisivo accertare
se sia condivisibile o meno la tesi delle società ricorrenti secondo la quale
l’Assemblea capitolina modificando tale disciplina transitoria avrebbe
implicitamente attribuito efficacia retroattiva all’inserimento degli impianti
nella NBD, in modo da far decorrere dal 1° gennaio 2010 il quinquennio di cui
alla previgente disposizione dall’art. 34, comma 9. Ebbene il Collegio ritiene
che questa tesi non possa essere accolta perché un attento esame degli atti di
causa rivela che la disciplina contenuta nella nuova disposizione introdotta
nell’art. 34, comma 9, del Regolamento non ha una portata realmente innovativa,
bensì una portata meramente ricognitiva di effetti giuridici derivanti da
precedenti provvedimenti amministrativi, oramai divenuti inoppugnabili. In
particolare giova qui ribadire che la Giunta capitolina con la deliberazione n.
116/2013 ha disposto di: A) assicurare la permanenza sul territorio di tutti
gli impianti pubblicitari inseriti nella NBD “a titolo temporaneo nelle more
dell’adozione del Piano Regolatore degli impianti pubblicitari e dei suoi
relativi Piani di localizzazione, a condizione …” (secondo cpv.); C)
stabilire che l’inserimento degli impianti nella NBD “determina la chiusura
del procedimento di riordino ad essi relativo, a condizione …” (quarto
cpv.). Tale disciplina è stata poi confermata con la deliberazione n. 425/2013,
con la quale la Giunta ha deliberato di “assicurare la permanenza sul
territorio di tutti gli impianti pubblicitari contenuti nella Nuova Banca Dati, … a
titolo temporaneo nelle more dell’adozione del Piano Regolatore degli impianti
pubblicitari e dei suoi relativi Piani di localizzazione, a condizione …,
confermando che l’inserimento nella Nuova Banca Dati determina la chiusura del
procedimento di riordino ad essi relativo all’ulteriore condizione …”
(primo cpv.). In sintonia con tali deliberazioni, l’Assemblea capitolina sin
dalle premesse alla deliberazione n. 50/2014 pone in rilievo che: A) tutti gli
elementi acquisiti nell’ambito della procedura di riordino “sono stati valutati
e recepiti dall’Amministrazione all’interno del procedimento di inserimento
nella Nuova Banca Dati dell’anno 2009”; B) conseguentemente “non può che
confermarsi che il predetto inserimento ha determinato la chiusura del
procedimento di riordino in aderenza con le statuizioni di cui ai precedenti
atti giuntali”. Coglie, quindi, nel segno la Difesa di Roma Capitale quando
afferma che la deliberazione n. 50/2014 non produce effetti retroattivi, perché
si configura come un provvedimento «meramente ricognitivo di un fatto -
l’avvenuta chiusura del riordino con la NBD del 2009 - già definitivamente
proclamato dai precedenti provvedimenti». Difatti il Collegio ritiene che: A)
sia stata la Giunta capitolina, con la deliberazione n. 116/2013 a stabilire
(cfr. il quarto capoverso) l’equivalenza tra l’inserimento degli impianti nella
NBD (a prescindere dalla tipologia di impianto) e l’adozione dei provvedimenti
formali (favorevoli agli interessati) di chiusura dei procedimenti a suo tempo
avviati con la presentazione delle domande di partecipazione alla procedura di
riordino; B) la stessa Giunta con la successiva deliberazione n. 425/2013 si
sia limitata a confermare tale equivalenza; C) la nuova disposizione dell’art.
34, comma 9, del Regolamento (nella parte in cui fissa il termine del 31
dicembre 2014 per la permanenza sul territorio degli impianti inseriti nella
banca dati) non sia altro che una logica conseguenza della disposizione
introdotta con il successivo comma 14, con la quale - in coerenza con le
suddette deliberazioni n. 116/2013 e n. 425/2013 - viene ulteriormente
confermato che “l’inserimento nella Nuova Banca Dati degli impianti SPQR, R,
ES, E, nonché di quelli di cui all’articolo 33-bis del Regolamento di
Pubblicità e di quelli di tipo CONV, di cui all’art. 34, comma 4-bis, del
Regolamento, ha determinato la chiusura della procedura di riordino ad essi
relativo, condizionatamente al rispetto delle prescrizioni del codice della
strada, come derogato dalla deliberazione del Commissario straordinario n.
45/2008, nonché delle vigenti disposizioni regolamentari, ivi compresa la
relativa posizione contabile a partire dal titolo sottostante”; D) l’unica
parte realmente innovativa della nuova disciplina transitoria introdotta dalla
deliberazione n. 50/2014 nell’art. 34, comma 9, del Regolamento sia quella che
recepisce la decisione dell’Assemblea capitolina - evidentemente destinata a
produrre i propri effetti per il futuro - di escludere la possibilità di
ulteriori rinnovi dei titoli.
6.3. Del resto a diverse conclusioni non è
possibile pervenire neppure muovendo dal presupposto che le deliberazioni n.
116/2013 e n. 425/2013 sarebbero state adottate al solo fine di accelerare la
chiusura della procedura di riordino, sicché l’unica interpretazione possibile
delle deliberazioni stesse sarebbe nel senso che l’equivalenza tra
l’inserimento nella NBD e l’adozione dei provvedimenti di chiusura della
procedimento di riordino - nel frattempo sospeso per effetto dell’art. 34,
comma 5-bis, del Regolamento, introdotto dalla deliberazione n. 37/2009
(secondo il quale “l’esame delle domande di riordino ancora nella fase
istruttoria è sospeso e sarà effettuato sulla base dei criteri introdotti dai
piani previsti dall’art. 19 del Regolamento”) - avrebbe potuto essere
sancita solo dopo la pubblicazione del PRIP, mentre diversamente opinando le
suddette deliberazioni si porrebbero in insanabile contrasto con il predetto
art. 34, comma 5-bis. Infatti questa tesi è contraria: A) sia alla ratio delle
deliberazioni n. 116/2013 e n. 425/2013, perché nelle premesse della
deliberazione n. 116/2013 viene chiaramente evidenziata l’esigenza di “fissare
le disposizioni transitorie che consentano … di chiudere
definitivamente la procedura di riordino”; B) sia alla lettera delle
predette deliberazioni, che non subordinano affatto la chiusura della procedura
di riordino alla pubblicazione del PRIP. Inoltre il Collegio ritiene che gli
effetti delle deliberazioni n. 116/2013 e n. 425/2013 non possano comunque
essere messi in discussione in questa sede perché: A) dagli atti di causa non
risulta che la deliberazione n. 116/2013 sia stata impugnata; B) come già
evidenziato, il ricorso n. 3006/2014, con il quale è stata impugnata la
deliberazione n. 425/2013, risulta inammissibile ancor prima che infondato.
7. Parimenti infondata risulta la censura
secondo la quale la retrodatazione della decorrenza dei titoli (a far data dal
2009) sarebbe incompatibile con la disciplina transitoria prevista dall’art. 64
del decreto legislativo n. 446/1997 per il rinnovo dei titoli rilasciati prima
dell’emanazione del regolamento di cui all’art. 62. In particolare, secondo le
parti ricorrenti, posto che Roma Capitale non ha ancora approvato i piani di
localizzazione, in base ai quali saranno rilasciati i nuovi titoli, quelli
vigenti al momento dell’adozione della deliberazione n. 100/2006 dovrebbero
considerarsi rinnovate ai sensi del predetto art. 64 del decreto legislativo n.
446/1997, secondo il quale “Le autorizzazioni alla installazione di mezzi
pubblicitari e le concessioni di spazi ed aree pubbliche, rilasciate
anteriormente alla data dalla quale hanno effetto i regolamenti previsti negli
articoli 62 e 63, sono rinnovate a richiesta del relativo titolare o con il
pagamento del canone ivi previsto, salva la loro revoca per il contrasto con le
norme regolamentari”. Tuttavia si è già evidenziato che: A) il decreto
legislativo n. 446/1997 segna il passaggio da un regime nel quale per collocare
un impianto pubblicitario su suolo pubblico dovevano essere corrisposti
all’Amministrazione il canone di pubblicità, la tassa per l’occupazione di
suolo pubblico (TOSAP) e l’imposta di pubblicità, ad un diverso regime
caratterizzato dal pagamento della sola imposta e del canone (che nel frattempo
aveva assorbito la TOSAP), ferma restando la possibilità, per i Comuni, di
adottare il c.d. “canone a tariffa”, con contestuale abolizione dell’imposta di
pubblicità, mediante l’adozione del Regolamento, previsto dall’art. 62, comma
1, del decreto legislativo n. 446/1997 è stata prevista; B) in tale contesto si
colloca la disposizione dell’art. 64, comma 1, del decreto legislativo n.
446/1997, nel senso che, nel momento in cui è stato previsto il passaggio dal
regime del canone/imposta a quello del canone unico a tariffa, è stata prevista
la possibilità di proseguire nel rapporto con l’Amministrazione, facendone
esplicita istanza, ovvero continuando a corrispondere le somme dovute; C) la
deliberazione n. 50/2014 non si pone, quindi, in contrasto con l’art. 64 del
decreto legislativo n. 446/1997 perché Roma Capitale ha effettuato il passaggio
al regime del canone a tariffa nell’anno 2006 (ossia con l’adozione della
deliberazione consiliare n. 100/2006), sicché al momento dell’istituzione della
NBD (anno 2009) non c’era alcun regime transitorio da applicare, perché tutti i
titoli inseriti nella procedura di riordino sono stati rinnovati nel corso del
tempo, di fatto sino al 2009 e formalmente dal 2009 al 2014. Inoltre si è già
detto che la Giunta nelle premesse alla deliberazione n. 425/2013 ha
correttamente rilevato come il riferimento all’art. 64 del decreto legislativo
n. 446/1997, contenuto nel quinto capoverso del dispositivo della deliberazione
n. 116/2013, costituisse un “mero errore materiale” e, quindi, ha
provveduto ad espungere tale riferimento.
8. Prive di fondamento risultano anche le
ulteriori censure (dedotte con i ricorsi n. 15194/2014 e n. 15195/2014)
incentrate sulla violazione dell’art. 52, comma 2, del decreto legislativo n.
446/1997, secondo il quale i regolamenti con i quali gli Enti locali
disciplinano le proprie entrate, anche tributarie, “sono approvati con
deliberazione del comune e della provincia non oltre il termine di approvazione
del bilancio di previsione e non hanno effetto prima del 1° gennaio dell’anno
successivo”, e sul fatto che Roma Capitale con la deliberazione n. 50/2014
abbia svincolato l’esito della procedura di riordino dalla preventiva
approvazione del PRIP e dei piani di localizzazione. In particolare, secondo le
ricorrenti, posto che le modifiche del Regolamento non avrebbero potuto
produrre effetti prima del prossimo anno, la procedura di riordino non poteva
essere dichiarata conclusa, essendo suo presupposto indefettibile il vaglio
delle singole posizioni alla luce del PRIP e dei piani di localizzazione.
Tuttavia in relazione alla prima censura si deve qui ribadire che la conferma
delle deliberazioni di Giunta non ha effetto innovativo, fermo restando che, in
ogni caso, gli effetti relativi al mancato rinnovo dei titoli per un ulteriore quinquennio
decorrono dal 1° gennaio 2015. Invece, quanto al fatto che l’Assemblea
capitolina abbia svincolato l’esito della procedura di riordino dalla
preventiva approvazione del PRIP e dei piani di localizzazione, il Collegio non
ritiene censurabile tale scelta, che si giustifica in ragione di dare
finalmente attuazione (dopo quasi vent’anni) alla regola della gara pubblica
per l’affidamento degli spazi pubblicitari.
9. Né miglior sorte meritano le censure
incentrate sul fatto che l’Assemblea capitolina - nel prevedere (con
l’ulteriore disposizione inserita nel corpo dell’art. 34, comma 9, del
Regolamento) che “non si procede al rilascio dei singoli atti autorizzatori
relativamente agli impianti predetti” - consenta all’Amministrazione di
sottrarsi all’obbligo di provvedere sulle istanze presentate dalle imprese
partecipanti alla procedura di riordino. In particolare le ricorrenti -
premesso che tale obbligo, sancito in termini generali dall’art. 2 della legge
n. 241/1990, è stato confermato dagli articoli 33 e 34 del Regolamento (nel
testo introdotto dalla deliberazione n. 100/2006) e recentemente ribadito anche
da questa stessa Sezione con la sentenza 20 maggio 2014, n. 5288 - sostengono
che la fittizia conclusione della procedura di riordino: A) sarebbe affetta da
sviamento di potere, perché si pretende di utilizzare la NBD al fine di eludere
l’obbligo di provvedere e senza considerare che l’inserimento nella NBD era
finalizzato a censire gli impianti pubblicitari per esigenze essenzialmente
contabili e tributarie, con la conseguenza che tale adempimento non avrebbe
potuto sostituire la verifica delle singole posizioni relative alle istanze
presentate nell’ambito della procedura di riordino, verifica che richiedeva non
solo l’accertamento del possesso del vecchio titolo sottostante, ma anche della
corretta collocazione dell’impianto riguardo alle norme del codice della
strada; B) si tradurrebbe in un surrettizio rimedio all’inerzia
dell’Amministrazione, protrattasi per circa venti anni, che si configura pur sempre
come un fatto imputabile all’Amministrazione stessa; C) sarebbe illogica,
perché prima dell’abrogazione dell’art. 34, comma 5-bis, del Regolamento
(disposta con l’impugnata deliberazione n. 50/2014) la procedura di riordino
era sospesa in quanto la verifica delle domande avrebbe dovuto essere
effettuata sulla base dei criteri introdotti dal Piano Regolatore e dai piani
di localizzazione degli impianti e dei mezzi pubblicitari previsti dall’art. 19
del Regolamento, sicché l’inserimento nella NBD, essendo avvenuto dopo la
sospensione della procedura di riordino disposta dall’art. 34, comma 5-bis, non
poteva comunque comportare la chiusura di un procedimento che risultava
sospeso; D) sarebbe comunque incompatibile con l’esigenza di stabilire una data
certa per la decorrenza dei titoli rilasciati all’esito della procedura del
riordino.
9.1. In proposito il Collegio
preliminarmente osserva che le ragioni poste a fondamento della decisione di
non procedere al formale rilascio dei titoli relativi agli impianti inseriti
nella NBD si evincono chiaramente dalle premesse alla deliberazione n. 50/2014,
ove è stato posto in rilievo come: A) “in considerazione anche delle
normative statale e nazionale nel frattempo intervenute, le quali obbligano ad
una pianificazione da attuarsi a mezzo procedure ad evidenza pubblica”
l’insistenza sul territorio capitolino degli impianti inseriti nella NBD “non
possa essere ulteriormente protratta oltre il 31 dicembre 2014, se non per il
tempo necessario ad adottare gli atti gestionali conseguenti all’approvazione
degli strumenti di pianificazione previsti per legge”; B) debba, quindi, “ritenersi
superata la necessità di adozione e rilascio dei singoli provvedimenti
autorizzatori, dal momento che la previsione di cessazione degli effetti delle
autorizzazioni al 31 dicembre 2014 finirebbe per aggravare inutilmente il
procedimento amministrativo, essendo garantite le posizioni denunziate nel
procedimento di riordino come validate dalla Nuova Banca Dati per tutto il
tempo pregresso e sino all’espletamento degli atti di cui sopra”.
9.2. Ciò premesso, giova rammentare che la
giurisprudenza in diverse occasioni (ex multis, Cons. Stato, Ad. Plen.
25 febbraio 2013, n. 5; T.R.G.A. Trentino-Alto Adige, Bolzano, 5 dicembre 2014,
n. 278) si è pronunciata sulla scelta di mettere a gara gli spazi pubblici per
la collocazione degli impianti pubblicitari commerciali. In particolare
l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affermato quanto segue: «Alla
definizione della disciplina della collocazione degli impianti pubblicitari
concorrono la normativa sulla viabilità, che sottopone gli impianti, per la
sicurezza del traffico veicolare, ad autorizzazione comunale se collocati nei
centri abitati (art. 23, comma 4, del codice della strada (d.lgs. n. 285 del
1992), quella sulla tutela dei beni culturali e paesaggistici (articoli 49 e
153 del codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004), se
gli impianti incidano su tali profili, e la normativa tributaria, posta in
particolare dal d.lgs. n. 507 del 1993 (e poi dal d.lgs. n. 446 del 1997). In
fatto la collocazione degli impianti pubblicitari commerciali su aree pubbliche
urbane, che qui interessa, è vincolata dalla naturale limitatezza degli spazi
disponibili all’interno del territorio comunale, ulteriormente ristretta per
effetto dei vincoli sia di viabilità sia di tutela dei beni culturali gravanti
sul territorio. Ciò motiva la statuizione di cui all’art. 3, comma 3, del
citato d.lgs. n. 507 del 1993, per cui ciascun Comune “deve” determinare, oltre
la tipologia, anche “la quantità” degli impianti pubblicitari e approvare un
“piano generale degli impianti”, con la delimitazione della superficie
espositiva massima dei diversi tipi di impianti (nella prassi ripartita tra le
zone del territorio urbano), definendosi con ciò un mercato contingentato. La
normativa sulla installazione degli impianti a tutela della sicurezza stradale,
e dei valori culturali, si raccorda così a quella ulteriore basata sul
presupposto, necessitato e condizionante, del contingentamento dell’attività in
questione poiché comportante l’uso di una risorsa pubblica scarsa qual è il
suolo pubblico. Si configura con ciò un rapporto tra l’ente locale e il privato
il cui modello di riferimento, alla luce della sua qualificazione sostanziale,
è quello concessorio “atteso che è giustappunto una concessione di area
pubblica il provvedimento iniziale che conforma il rapporto” (Cons. Stato, n.
529 del 2009 citata), potendo disciplinare il regolamento comunale anche “le
modalità per ottenere il provvedimento per l’installazione” (art. 3, comma 3,
del d.lgs. n. 507 del 1993), confluendo nel quadro di tale rapporto, di
conseguenza, la regolazione unitaria dei profili di tutela della sicurezza
stradale e dei valori culturali. Ciò rilevato ritiene l’adunanza plenaria che
sia corretto allocare l’uso degli spazi pubblici contingentati con gara,
dovendosi altrimenti ricorrere all’unico criterio alternativo dell’ordine
cronologico di presentazione delle domande accoglibili, che è di certo meno idoneo
ad assicurare l’interesse pubblico all’uso più efficiente del suolo pubblico e
quello dei privati al confronto concorrenziale. Il procedimento di gara non
contrasta infatti con la libera espressione dell’attività imprenditoriale di
cui si tratta, considerato, in linea generale, che la procedura ad evidenza
pubblica è istituto tipico di garanzia della concorrenza nell’esercizio
dell’attività economica privata incidente sull’uso di risorse pubbliche e che,
in particolare, la concessione tramite gara dell’uso di beni pubblici per
l’esercizio di attività economiche private è istituto previsto
nell’ordinamento, essendo perciò fondata la qualificazione della gara come
strumento per assicurare il principio costituzionale della libera iniziativa
economica anche nell’accesso al mercato degli spazi per la pubblicità (Cons.
Stato, V, n. 529 del 2009, cit; cfr. anche VI, 9 febbraio 2011, n. 894). Quanto
sopra è peraltro coerente con i principi comunitari, in particolare di non
discriminazione, di parità di trattamento e di trasparenza; questo Consiglio ha
infatti chiarito da tempo che, sul presupposto per cui con la concessione di
un’area pubblica si fornisce un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul
mercato (come è nella specie), si impone di conseguenza una procedura
competitiva per il rilascio della concessione, necessaria per l’osservanza dei
ricordati principi a presidio e tutela di quello, fondamentale, della piena
concorrenza (Sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168) ». Inoltre si deve
porre in rilievo che la regola generale sancita dall’art. 2 della legge n.
241/1990, in base alla quale l’amministrazione deve concludere il procedimento
con l’adozione di un provvedimento espresso, deve essere comunque contemperata
con i criteri di economicità e di efficacia richiamati dall’art. 1, comma 1,
della medesima legge, ai quali si ispira il successivo comma 2, secondo il
quale l’Amministrazione “non può aggravare il procedimento se non per
straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria”.
9.3. Poste tali premesse generali - e
considerato l’elevatissimo numero di impianti inseriti nella NBD - il Collegio
ritiene senz’altro condivisibile la tesi sostenuta da Roma Capitale nelle sue
difese, secondo la quale - avendo l’Assemblea capitolina sancito il definitivo
passaggio, a decorrere dal 1° gennaio 2015, al diverso regime nel quale gli
spazi pubblici per la collocazione degli impianti pubblicitari sono assegnati
solo all’esito di apposite procedure selettive - il rilascio di titoli
destinati comunque a cessare i propri effetti alla data del 31 dicembre 2014 si
sarebbe tradotto in un inutile aggravio del procedimento. Del resto sin dalle
premesse alla deliberazione n. 50/2014 è stato chiarito che, nelle more della
conclusione delle procedure di gara finalizzate all’assegnazione dei nuovi
titoli, gli operatori del settore sarebbero stati comunque garantiti
dall’inserimento dei propri impianti nella NBD. Coglie, quindi, nel segno Roma
Capitale quando conclusivamente afferma che l’Assemblea Capitolina ha ritenuto
di confermare la chiusura della procedura di riordino per tutti gli impianti
inseriti nella NBD e di vietare la possibilità di rinnovo o rilascio di nuove
autorizzazioni, ritenendo «superata l’esigenza di esaminare tutte le ulteriori
istanze presentate all’interno del procedimento di riordino e non confluite
nella predetta Nuova Banca Dati, trattandosi di richieste di posizioni non solo
confliggenti con il modello legislativo di pianificazione territoriale da
attuarsi con procedure ad evidenza pubblica, ma ormai tanto risalenti nel tempo
da essere non più riconducibili all’attuale assetto del territorio».
9.4. A ciò si deve aggiungere che la tesi
secondo la quale l’inserimento nella NBD era finalizzato a censire gli impianti
pubblicitari soltanto per esigenze di natura contabile e tributaria è
palesemente smentita dalle premesse alla deliberazione di Giunta n. 116/2013,
nelle quali viene posto in rilievo che: A) “è stato avviato un censimento
straordinario di tutta l’impiantistica pubblicitaria esistente sul territorio
comunale allo scopo di aggiornare archivi ormai datati, di rafforzare il
recupero dell’evasione tributaria per mancato pagamento del canone di
pubblicità, di contrastare in modo più efficace l’abusivismo e definire in modo
agevolato il contenzioso pendente in funzione deflattiva della gran mole di
procedimenti giurisdizionali pendenti”; B) “al raggiungimento di tutti i
risultati predetti si è intervenuti con la creazione di una Nuova Banca Dati di
tutta l’impiantistica pubblicitaria presente sul territorio capitolino alla
data del 31 dicembre 2009, che costituisce una dotazione informatica
strutturale di tutto il settore, sia sotto il profilo contabile che
amministrativo”. Inoltre la definitiva conferma degli effetti non meramente
contabili dell’attività svolta dall’Amministrazione attraverso l’inserimento
degli impianti nella NBD si desume dalle decisioni assunte dal Consiglio di
Stato in sede cautelare (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V,
ordinanza n. 2241 del 28 maggio 2014), con le quali la consultazione della NBD
è stata ritenuta «atto istruttorio sufficientemente approfondito» per
identificare gli impianti abusivi e, quindi, per giustificare l’adozione degli
ordini di rimozione degli impianti non censiti.
10. Passando all’esame delle molteplici
censure incentrate sulla lesione del principio del legittimo affidamento, il
Collegio preliminarmente osserva che le stesse mirano a dimostrare che la
disciplina introdotta nell’art. 34 del Regolamento non tiene conto dei
precedenti atti e comportamenti con i quali l’Amministrazione avrebbero
ingenerato negli operatori del settore che hanno preso parte alla procedura di
riordino un legittimo affidamento ad ottenere: A) la definizione dei
procedimenti avviati con le istanze presentate nell’ambito di tale procedura
mediante il rilascio di provvedimenti espressi, concessori o autorizzatori,
aventi efficacia quinquennale o triennale; B) un ulteriore rinnovo, di durata
quinquennale o triennale, dei titoli rilasciati con tali provvedimenti; C) l’inserimento
degli impianti autorizzati nella futura pianificazione territoriale (ossia nei
piani di localizzazione). In particolare le ricorrenti lamentano che Roma
Capitale avrebbe deciso: A) di non concludere i procedimenti relativi alla
procedura riordino, ma senza tener conto delle proprie precedenti
determinazioni (cfr. le deliberazioni n. 254/1995, n. 1689/1997 e n. 100/2006)
dalle quali emergeva l’esigenza di definire tali procedimenti con provvedimenti
espressi; B) di limitare l’efficacia dei “titoli” formatisi per effetto della
fittizia conclusione della procedura di riordino a soli cinque mesi (mediante
la previsione relativa alla scadenza degli stessi al 31 dicembre 2014), ma
senza tener conto delle proprie precedenti determinazioni (cfr. l’art. 34,
comma 9, del Regolamento adottato con la deliberazione n. 100/2006) in forza
delle quali le concessioni e le autorizzazioni venivano rinnovate
rispettivamente per cinque e per tre anni dal momento del rilascio del titolo,
con possibilità di ulteriore rinnovo, e senza considerare che tale affidamento
non era venuto meno per effetto delle previsioni contenute nella deliberazione
di Giunta n. 426/2004 e nelle deliberazioni commissariali n. 6/2008 e 38/2008,
perché tali provvedimenti erano diretti a fissare un termine meramente
acceleratorio per la conclusione della procedura di riordino (31 dicembre
2009); C) di non riprodurre nella nuova disciplina transitoria introdotta
nell’art. 34 le previsioni contenute nelle deliberazioni n. 116/2013 e 425/2013
in base alle quali la procedura di riordino era propedeutica alla futura
pianificazione (e, quindi, a conclusione di tale procedura le risultanze del
riordino sarebbero state recepite nei piani di localizzazione), ma senza tener
conto dell’interesse delle imprese che hanno partecipato alla procedura
riordino a veder inseriti gli impianti che rispettano determinate condizioni
(conformità al codice della strada e regolarità contabile) nella pianificazione
futura e senza considerare i cospicui investimenti effettuati dalle imprese
nell’ottica di poter inserire i propri impianti nella pianificazione futura.
10.1. Ciò premesso giova innanzi tutto
rammentare che i principi di correttezza e buona fede hanno da tempo assunto
valore di paradigma cui devono conformarsi non solo i rapporti tra privati, ma
anche quelli tra amministrazione e amministrati. Al riguardo la giurisprudenza
(ex multis, T.A.R. Friuli-Venezia Giulia Trieste, Sez. I, 13 agosto
2015, n. 387; T.A.R. Lombardia Milano, Sez. I, 16 gennaio 2013, n. 291) ha già
avuto modo di chiarire che «il dovere della p.a. di operare in modo chiaro e
lineare e di rispettare le situazione consolidate di legittimo affidamento
costituisce principio dell’azione amministrativa le cui radici si fanno sempre
più robuste. Nel diritto pubblico, la teorizzazione dei limiti del potere
amministrativo in funzione protettiva dell’affidamento del cittadino è
storicamente comparso quale fattore di bilanciamento tra l’intensità
dell’interesse pubblico e quello dell’interesse privato meritevole di
considerazione per il fatto di trarre scaturigine da un precedente atto
dell’amministrazione. Se, in principio, la rilevanza attribuita all’interesse
del destinatario del provvedimento favorevole è inizialmente discesa dalla
configurazione del potere di autotutela come potere di amministrazione attiva
in cui l’interesse del cittadino riceve una tutela “oggettiva” risultante dal
corretto uso del potere discrezionale, i più recenti approdi dimostrano come la
tutela pubblicistica dell’affidamento ben possa realizzarsi quale posizione
soggettiva autonoma dotata di diretta protezione da parte dell’ordinamento (e,
dunque, anche al di fuori della valutazione che si compie in ordine agli atti
di ritiro). L’affidamento suscettibile di applicazione anche nel diritto
pubblico, a questa stregua, si collega direttamente all’obbligo di buona fede
oggettiva quale regola di condotta che (per quanto riconosciuta espressamente
nelle sole disposizioni del codice civile) conforma l’assiologia
dell’ordinamento generale, venendo così a coincidere con l’aspettativa di
coerenza dell’amministrazione con il proprio precedente comportamento, la quale
diviene fonte di un vero e proprio obbligo, per quest’ultima, di tenere in
adeguata considerazione l’interesse dell’amministrato, la cui protezione non si
presenta più come il prodotto, accessorio, della cura dell’interesse pubblico,
ma come l’oggetto di un’autonoma pretesa, contrapposta all’interesse
dell’amministrazione. Il risultato è che la verifica giurisdizionale
dell’osservanza del principio di buona fede non coincide con quella svolta in
termini di eccesso di potere (ovvero secondo il paradigma della logicità e
ragionevolezza) bensì attiene all’osservanza di una norma (quella di buona fede
e correttezza) che si rivolge all’amministrazione nella relazione con il
cittadino. L’impostazione di ricondurre la buona fede tra gli obblighi di
comportamento dell’amministrazione esigibili dal privato, del resto, ben si
raccorda con le istituzioni giuridiche dell’ordinamento sovranazionale in cui
risulta oramai costituzionalizzato il “diritto alla buona amministrazione” tra
i diritti connessi alla posizione fondamentale di cittadinanza (art. 41 della
Carta europea dei diritti; art. II-101 del Trattato per la Costituzione
europea), il cui pregnante contenuto valoriale riveste una indubbia funzione di
integrazione e interpretazione delle norme vigenti, imponendo di prendere in
rinnovata considerazione la formulazione delle regole che presiedono
all’esercizio del potere».
10.2. Inoltre - posto che le ricorrenti
fanno espresso riferimento al legittimo affidamento ingenerato da atti e
comportamenti dell’Amministrazione - giova illustrare ancora più in dettaglio
l’evoluzione normativa del settore. Innanzi tutto che l’Assemblea capitolina:
A) in attuazione del decreto legislativo n. 507/1993, che ha demandato ai
Comuni il compito di disciplinare le modalità di rilascio dei titoli per
l’installazione degli impianti pubblicitari, con la deliberazione n. 289/1994
ha adottato l’apposito Regolamento con il quale, da un lato, ha previsto che
l’assegnazione dei titoli sarebbe stata effettuata a mezzo di gara pubblica e,
dall’altro, ha introdotto una disciplina transitoria in base alla quale le
concessioni e le autorizzazioni rilasciate entro il 31 dicembre 1993 erano
confermate per un periodo, rispettivamente, di cinque o tre anni ed erano
rinnovabili per un ulteriore periodo di pari durata (cfr. l’art. 30, comma 3,
del Regolamento); B) con la successiva deliberazione n. 254/1995 ha approvato
il primo piano dell’impiantistica pubblicitaria (cfr. il punto 1), ma ha
previsto un nuovo periodo transitorio caratterizzato da una procedura riordino,
nell’ambito della quale ogni impresa avrebbe dovuto presentare, entro 90 giorni
dalla pubblicazione della predetta deliberazione, un’apposita domanda di
partecipazione alla procedura, mentre i competenti uffici comunali avrebbero
dovuto esaminare le domande nel termine di 90 giorni dalla presentazione delle
stesse (cfr. i punti 7 e 9). Tuttavia in tale decennio (1995-2005) l’Amministrazione
capitolina non è riuscita a dare attuazione al disegno che ha ispirato il
Regolamento e, quindi, nelle more della conclusione della procedura di
riordino, è stato dapprima approvato (con la deliberazione n. 100/2006) e poi
modificato (con deliberazione n. 37/2009) il nuovo Regolamento. Tale
provvedimento: A) da un lato, ha ribadito la regola in base alla quale
l’assegnazione dei titoli sarebbe stata effettuata a mezzo di gara pubblica
(cfr. gli articoli 7 e 10); B) dall’altro, ha introdotto una nuova disciplina
transitoria per gli impianti inseriti nella procedura di riordino, prevedendo
al comma 5-bis dell’art. 34, che “l’esame delle domande di riordino ancora
nella fase istruttoria è sospeso e sarà effettuato sulla base dei criteri
introdotti dai piani previsti dall’art. 19 del Regolamento” (ossia dal
piano regolatore e dai piani di localizzazione degli impianti pubblicitari) e,
al comma 9 dell’art. 34, che “le concessioni e le autorizzazioni rinnovate,
rispettivamente per cinque o tre anni, all’esito del procedimento di riordino
... possono essere rinnovate per ulteriori periodi ciascuno non superiore,
rispettivamente, a cinque e tre anni”. Quanto alla decorrenza concessioni e
delle autorizzazioni rinnovate, dapprima la Giunta con la deliberazione n.
426/2004 ha modificato l’art. 14 della precedente deliberazione n. 1689/1997
(relativa alla procedura di riordino), prevedendo che “per tutte le
concessioni il primo quinquennio, rinnovabile, avrà termine il 31 dicembre
2009, mentre per le autorizzazioni il primo triennio, rinnovabile, avrà termine
il 31 dicembre 2007”; quindi la successiva deliberazione commissariale n.
38/2008 è nuovamente intervenuta sulla materia prevedendo che “la durata
delle autorizzazioni e delle concessioni già rilasciate o da rilasciare
attinenti alla procedura del riordino è unificata e la scadenza del primo
quinquennio è fissata al 31.12.2009”. In ragione di quanto previsto nella
deliberazione commissariale n. 38/2008 in merito alla “scadenza del primo
quinquennio”, la Giunta capitolina nel 2013 (ossia dopo ben otto anni
dall’inizio del secondo periodo transitorio) è nuovamente intervenuta con le
già ricordate delibere n. 116 e n. 425. In particolare con la deliberazione n.
116/2013 la Giunta ha disposto di: A) “proseguire nell’implementazione della
Nuova Banca Dati” (primo cpv.); B) “assicurare la permanenza sul
territorio di tutti gli impianti pubblicitari in essa contenuti a titolo
temporaneo nelle more dell’adozione del Piano Regolatore degli impianti
pubblicitari e dei suoi relativi Piani di localizzazione …” (secondo
cpv.); C) “stabilire che l’inserimento nella Nuova Banca Dati degli impianti
… determina la chiusura del provvedimento di riordino ad essi relativo …”
(quarto cpv.); D) “confermare che l’efficacia nel tempo della posizione
amministrativa degli impianti di cui al precedente capoverso è regolata dal
combinato disposto dell’art. 34 comma 9 del Regolamento di Pubblicità, come
modificato dalla deliberazione del Commissario Straordinario con i poteri della
Giunta Comunale n. 38/2008, e dell’art. 64 del D. Lgs. n. 446/1997 …”
(quinto cpv.); E) “stabilire, sempre ai fini della chiusura del procedimento
di riordino, che gli impianti di cui ai predetti due ultimi capoversi, se
rispettano le condizioni ivi stabilite, costituiscono parte integrante dei
Piani di Localizzazione adottati in conseguenza del Piano Regolatore degli
impianti pubblicitari, e ove in contrasto con le prescrizioni stabilite da
quest’ultimo, sono ammessi prioritariamente alla trasformazione in componenti e
complementi di arredo urbano di cui all’art. 4 comma 1 lett. I del Regolamento
di Pubblicità, anche nell’ambito dei progetti di cui all’art 6 commi I bis e 5
del predetto Regolamento” (sesto cpv.). Tale disciplina è stata
sostanzialmente confermata dalla successiva deliberazione n. 425/2013, con la
quale è stato disposto di: A) “assicurare la permanenza sul territorio
di tutti gli impianti pubblicitari contenuti nella Nuova Banca Dati, … a titolo
temporaneo nelle more dell’adozione del Piano Regolatore degli impianti
pubblicitari e dei suoi relativi Piani di localizzazione, … confermando che
l’inserimento nella Nuova Banca Dati determina la chiusura del procedimento di
riordino ad essi relativo …” (primo cpv.); B) sostituire il quinto
capoverso della deliberazione n. 116/2013 con il seguente: “confermare che
l’efficacia nel tempo della posizione amministrativa degli impianti di cui al
precedente capoverso è regolata dal disposto dell’art. 34 comma 9 del
Regolamento di Pubblicità, come modificato dalla deliberazione del Commissario
Straordinario con i poteri della Giunta Comunale n. 38/2008 …” (terzo
cpv.); C) precisare, con riferimento al sesto capoverso della deliberazione n.
116/2013, che “il recepimento automatico delle risultanze del procedimento
di riordino all’interno del Piano Regolatore e nei conseguenti Piani di
localizzazione non altera, tuttavia, la scadenza naturale dei titoli degli
impianti di cui alla medesima procedura di riordino” (quarto cpv.). Da
ultimo è intervenuta la deliberazione n. 50/2014, con la quale - a distanza di
ben vent’anni dall’adozione della deliberazione n. 289/1994 - l’Assemblea
capitolina ha disposto: A) di limitare la permanenza sul territorio degli
impianti inseriti nella NBD “fino al 31.12.2014 senza possibilità di rinnovo
o rilascio di nuove autorizzazioni, e comunque non oltre l’esito delle
procedure di gara conseguenti alla redazione dei piani di localizzazione”
(art. 34, comma 9, primo periodo, del Regolamento); B) che “non si procede
al rilascio dei singoli atti autorizzatori relativamente agli impianti predetti”
(art. 34, comma 9, secondo periodo, del Regolamento); C) che l’inserimento
degli impianti nella NBD “ha determinato la chiusura della procedura di
riordino ad essi relativo …” (art. 34, comma 14, del Regolamento).
10.3. Tenuto conto di quanto precede, il
Collegio ritiene che non sussista la denunciata lesione del principio del
legittimo affidamento, alla luce delle seguenti considerazioni. Innanzi tutto
si deve ribadire che la deliberazione n. 50/2014 è frutto del condivisibile
intento di: A) dare finalmente attuazione alla regola - sancita sin dalla
deliberazione n. 289/1994 e mai posta in discussione - in base alla quale
l’assegnazione dei titoli per l’installazione degli impianti pubblicitari nel
territorio di Roma Capitale sarebbe stata effettuata a mezzo di una gara
pubblica, evidentemente finalizzata a garantire la concorrenza nel settore
delle affissioni; B) porre termine ad un regime transitorio - durato quasi
vent’anni - in base al quale è stato garantito il diritto di insistenza dei
soggetti già operanti nel settore, a danno dei soggetti interessati ad entrare
nel settore stesso. Pertanto - come correttamente evidenziato da Roma Capitale
nelle sue difese - nel caso in esame osta radicalmente alla possibilità di
configurare un affidamento meritevole di tutela proprio il fatto la chiusura
della c.d. procedura di riordino si sia protratta ben oltre i due lustri
(1995-2005) prevedibili in base alla disciplina regolamentare posta dalla
deliberazione n. 254/1995, coprendo un arco temporale di quasi venti anni
(1995-2014).
10.4. In aggiunta a quanto precede, con
riferimento all’affidamento riposto nella definizione dei procedimenti relativi
procedura di riordino mediante il rilascio di provvedimenti espressi, è
sufficiente evidenziare che tale affidamento in realtà era già venuto meno per
effetto della previsione contenuta nel quarto capoverso della deliberazione n.
116/2013, con la quale è stato deciso che l’inserimento nella NBD determinava
la chiusura del procedimento di riordino.
10.5. Quanto poi all’affidamento riposto
nella possibilità di un ulteriore rinnovo (a decorrere dal 31 dicembre 2014,
data di “scadenza del primo quinquennio”) dei titoli derivanti dall’inserimento
nella NBD, è ben vero che la deliberazione n. 425/2013 (nel sostituire il
quinto capoverso della deliberazione n. 116/2013) ha confermato che “l’efficacia
nel tempo della posizione amministrativa degli impianti … è regolata dal
disposto dell’art. 34 comma 9 del Regolamento di Pubblicità”; tuttavia la
previgente disposizione dell’art. 34, comma 9, del Regolamento (secondo la
quale “le concessioni e le autorizzazioni rinnovate, rispettivamente per
cinque o tre anni, all’esito del procedimento di riordino ... possono essere
rinnovate per ulteriori periodi ciascuno non superiore, rispettivamente, a
cinque e tre anni”) non poteva certo essere interpretata nel senso che il
rinnovo costituisse un vero e proprio diritto, perché dal tenore letterale
della stessa si desume chiaramente che il rinnovo era sottoposto ad una
valutazione di natura discrezionale. Pertanto, come correttamente evidenziato
da Roma Capitale nelle sue difese, l’Assemblea capitolina - nel prevedere la
data del 31 dicembre 2014 come termine ultimo per l’insistenza degli impianti
sul territorio comunale - si è avvalsa della facoltà, prevista dalla normativa
regolamentare, di non concedere alcun ulteriore rinnovo.
10.6. Infine, quanto al mancato
inserimento degli impianti oggetto della procedura di riordino nella futura
pianificazione territoriale (ossia nei piani di localizzazione), il Collegio
osserva che le disposizioni contenute nel sesto capoverso della deliberazione
n. 116/2013 e nel quarto capoverso della deliberazione n. 425/2013 sono state
tenute nella dovuta considerazione in sede di adozione della deliberazione n.
50/2014. Infatti l’art. 7, comma 5-bis, del Regolamento (inserito dalla
deliberazione n. 50/2014) dispone che “in sede di prima applicazione dei
Piani di localizzazione di cui all’art. 19, gli impianti pubblicitari di
proprietà di Roma Capitale sono oggetto di concessione, nel rispetto dei
principi di evidenza pubblica, prioritariamente alle imprese che hanno
partecipato alla procedura di cui alle deliberazioni di Consiglio Comunale n.
254/1994 e di Giunta Comunale n. 1689/1997 con i criteri che saranno
successivamente definiti dalla Giunta capitolina. ...”. Ciò posto, risulta
evidente che non è configurabile la dedotta lesione del legittimo affidamento
(specie se intesa nel senso che in sede di prima applicazione dei piani di
localizzazione avrebbero dovuto essere previste vere e proprie deroghe ai
principi dell’evidenza pubblica), perché si deve considerare che: A) la portata
della previsione contenuta nel sesto capoverso della deliberazione n. 116/2013,
secondo la quale gli impianti oggetto del procedimento di riordino sarebbero
stati “parte integrante” dei piani di localizzazione, era stata ridimensionata
dal quarto capoverso della deliberazione n. 425/2013 precisando che “il
recepimento automatico” delle risultanze dei piani di localizzazione “non
altera, tuttavia, la scadenza naturale dei titoli degli impianti di cui alla
medesima procedura di riordino”; B) le previsioni contenute nel sesto
capoverso della deliberazione n. 116/2013 e nel quarto capoverso della
deliberazione n. 425/2013, essendo contenute in atti della Giunta capitolina,
comunque non potevano assumere carattere vincolante per l’Assemblea capitolina,
alla quale soltanto spetta l’esercizio della potestà regolamentare di cui
all’art. 52 del decreto legislativo n. 446/1997.
11. Le considerazioni sin qui svolte
dimostrano altresì l’infondatezza del quarto motivo del ricorso n. 15829/2014,
con il quale la società Sipea Srl si duole del fatto che la disciplina
introdotta con l’art. 34, comma 9, del Regolamento abbia determinato - in
assenza dei presupposti per l’esercizio del potere di autotutela previsti
dall’art. 21-quinquies della legge n. 241/1990 - la revoca generalizzata di
tutte le autorizzazioni relative ad impianti ubicati sul suolo privato, per i
quali il rinnovo in atto verrebbe a scadenza il 31 dicembre 2016. Difatti è
sufficiente ribadire che la previgente disposizione dell’art. 34, comma 9, del
Regolamento non poteva essere interpretata nel senso che il rinnovo delle
autorizzazioni relative agli impianti privati costituiva un vero e proprio
diritto; pertanto l’Assemblea capitolina - nel prevedere la data del 31
dicembre 2014 come termine ultimo per l’insistenza di tutti gli impianti sul
territorio comunale - si è avvalsa della facoltà, prevista dalla normativa
regolamentare, di non concedere alcun ulteriore rinnovo di titoli rilasciati
senza il preventivo svolgimento di procedure di gara.
12. Parimenti infondata risulta la censura
incentrata sul fatto che la disciplina inserita dalla deliberazione n. 50/2014
nei commi 9 e 14 dell’art. 34 del Regolamento abbia azzerato il regime
transitorio relativo al passaggio dal regime di rilascio dei titoli su domanda
individuale al diverso regime fondato sulla gara pubblica. In particolare le
ricorrenti sostengono che la previsione di un termine incongruo per l’efficacia
di titoli mai rilasciati (31 dicembre 2014) e di un incerto termine di tolleranza
della permanenza degli impianti già presenti sul territorio comunale (fino
all’espletamento delle gare) si porrebbe in contrasto con i principi di
certezza del diritto, di ragionevolezza e di proporzionalità, ai quali ogni
disciplina transitoria deve uni formarsi; difatti: A) il termine del 31
dicembre 2014 non avrebbe garantito un periodo transitorio sufficientemente
ampio, perché la permanenza degli impianti sul territorio comunale è prevista
per un periodo di soli cinque mesi dalla data di adozione delle modifiche
regolamentari; B) il secondo termine, essendo riferito alla futura conclusione
delle procedure di gara conseguenti alla redazione dei piani di localizzazione,
per la sua assoluta indeterminatezza contrasterebbe con la finalità stessa della
disciplina transitoria. In proposito il Collegio osserva che non è contestabile
la premessa su cui si fonda la censura in esame, costituita dalla
giurisprudenza della Corte Costituzionale (ex multis, sentenza 17
novembre 2010, n. 325) secondo la quale il legislatore nel dettare una
disciplina transitoria, pur godendo di un’ampia discrezionalità, deve prevedere
termini di durata della disciplina stessa “congrui” e “ragionevoli”, ossia
“sufficientemente ampi”, in modo da consentire il graduale passaggio dalla
vecchia alla nuova disciplina e attenuare le conseguenze negative
dell’eventuale passaggio da un regime più favorevole ad uno meno favorevole. Di
converso non si può convenire sull’applicabilità di tale giurisprudenza alla
fattispecie in esame, perché nell’esaminare le censure incentrate sulla lesione
del legittimo affidamento si è già posto in rilievo che le imprese del settore,
nel passaggio al regime nel quale gli spazi pubblici per la collocazione degli
impianti pubblicitari sono assegnati solo all’esito di apposite procedure
selettive, hanno già beneficiato di un regime transitorio che si è protratto
per quasi vent’anni. Inoltre si deve considerare che la conclusione del regime
transitorio non è stata rigidamente ancorata al termine del 31 dicembre 2014
perché, come già evidenziato, l’art. 34, comma 9, del Regolamento consente la
permanenza sul territorio degli impianti inseriti nella NBD fino alla
conclusione delle procedure di gara e alla data della pubblica udienza (26
gennaio 2016) tali procedure non erano state neppure avviate, sicché il regime
transitorio dell’art. 34 si è già protratto ben oltre il termine del 31
dicembre 2014.
13. Palesemente infondata risulta la
censura incentrata sul fatto che non siano state evidenziate dall’Assemblea
capitolina le ragioni in base alle quali sono stati modificati i formati
precedentemente ammessi, escludendo il formato 4x3. In proposito si deve
innanzi tutto rammentare che, secondo l’art. 3, comma 2, della legge n.
241/1990, la motivazione non è richiesta per gli atti normativi, come
l’impugnata deliberazione n. 50/2014. Inoltre questa Sezione in un recente
provvedimento cautelare (T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, ordinanza 2 aprile 2015,
n. 1486), reso in altro giudizio avente ad oggetto la deliberazione n. 380/2014,
ha già chiarito che le scelte relative alle caratteristiche degli impianti, in
quanto rispondenti ad esigenze di decorso urbano, attengono al merito
dell’azione amministrativa e, quindi, sono sindacabili dal Giudice
amministrativo solo nei limiti in cui risultino manifestamente illogiche,
arbitrarie, o sproporzionate. Ciò posto, il Collegio ritiene che valgono
comunque ad escludere la fondatezza della censura in esame le considerazioni
svolte da Roma Capitale nelle sue difese, ove è stato posto in rilievo che la
scelta relativa al formato 4x3 è frutto della volontà di ridurre l’impatto
degli impianti pubblicitari su una città come Roma - notoriamente
caratterizzata da un enorme patrimonio culturale, artistico e paesaggistico -
attraverso l’adozione, a partire dal 1° febbraio 2015, del meno invasivo
formato 3x2, che determina una riduzione della complessiva superficie
espositiva da 168.000 mq a 138.000 mq.
14. Considerazioni in parte diverse
valgono, invece, per le censure incentrate: A) sull’irragionevolezza del
termine del 31 gennaio 2015 assegnato ai gestori di impianti formato 4x3 per
adeguarsi alle nuove prescrizioni regolamentari, specie in ragione del gran
numero di impianti gestiti da molte delle società ricorrenti; B) sul fatto che
tale adempimento, oltre che eccessivamente oneroso, sarebbe anche inutile, in
ragione della brevità del regime transitorio di cui l’art. 34, comma 9, del
Regolamento, ed irragionevole, perché in caso di mancato adeguamento degli
impianti agli operatori del settore è preclusa la partecipazione alle imminenti
procedure di gara. Infatti risultano solo in parte condivisibili le
considerazioni svolte da Roma Capitale nelle sue difese, ove è stato
evidenziato che: A) l’adeguamento ai nuovi formati non è oggetto di un obbligo,
ma solo una facoltà riconosciuta alle imprese che intendano continuare ad
operare sul territorio comunale nel periodo transitorio; B) molti operatori del
settore hanno già provveduto spontaneamente ad adeguarsi ai nuovi formati; C)
la gestione degli impianti durante il periodo transitorio consentirà alle
imprese interessate di ammortizzare i costi connessi all’adeguamento di tali
impianti. 14.1. In particolare - premesso che dalla disposizione dell’art. 34,
comma 1, del Regolamento si desume con certezza che dal 1° gennaio 2015 il
formato 4x3 non è più ammesso - il Collegio osserva che anche questa Sezione ha
recentemente posto in rilievo (T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, ordinanza n.
1486/2015 cit.) come il mantenimento degli impianti sul territorio comunale, nelle
more della conclusione delle procedure di gara, costituisca una mera facoltà e
non un obbligo per gli imprenditori interessati. Pertanto costoro non hanno
motivo di dolersi né dei costi connessi all’adeguamento degli impianti formato
4x3, né della brevità del regime transitorio, né della mancata adozione, da
parte della Giunta, delle norme tecniche recanti le caratteristiche estetiche e
costruttive degli impianti.
14.2. Invece, proprio in considerazione
del gran numero di impianti gestiti da molte delle società ricorrenti e delle
gravi conseguenze (cfr. gli articoli 3 e 7, comma 2-bis, del Regolamento,
espressamente richiamati nell’impugnata nota del 23 settembre 2014) connesse al
mancato adeguamento degli impianti entro il termine ultimo del 31 gennaio 2015,
questa Sezione con le ordinanze cautelari n. 6508, n. 6522, n. 6523 e n. 6524
in data 18 dicembre 2014 ha sospeso l’impugnata nota del 23 settembre 2014
limitatamente al predetto termine del 31 gennaio 2015 ed ha contestualmente
disposto una «proroga» del termine stesso fino al 20 maggio 2015 (data della
prima udienza pubblica fissata per l’esame di parte dei ricorsi in epigrafe
indicati). Per tali ragioni il Collegio ritiene che le censure in esame possano
essere accolte nella parte in cui viene dedotta la brevità del termine del 31
gennaio 2015, assegnato con la nota del 23 settembre 2014 per provvedere
all’adeguamento degli impianti formato 4x3.
15. Quanto alle censure relative alle
disposizioni del Regolamento che conferiscono alla Giunta il potere di derogare
ai limiti della superficie massima prevista dalla pianificazione generale (art.
6, comma 1-ter, in materia di “progetti specifici”, art. 6, comma
1-quater in materia di “progetti di impianti relativi a sistemi di
comunicazione ed informazione turistico-culturale” e di “progetti di
impiantistica pubblicitaria connotati da caratteristiche innovative”, art.
6, comma 5, in materia di “impianti funzionali a progetti di Sicurezza Urbana o
di monitoraggio della viabilità”), nonché ai formati ammessi (art. 20, comma 1,
lett. F, n. 5, in materia di impianti speciali), il Collegio non ravvisa alcun
contrasto con le regole sul riparto di competenze tra gli organi dell’Ente
locale previste dagli articoli 42 e 48 del decreto legislativo n. 267/2000.
Infatti la competenza generale dell’Assemblea capitolina in materia di adozione
dei piani territoriali non è incisa dalle predette deroghe, sia perché il
potere di deroga è conferito dalla stessa Assemblea capitolina con le predette
disposizioni regolamentari, sia perché non si tratta di un potere generalizzato
di deroga (nel qual caso potrebbe effettivamente ritenersi violata la
disciplina del riparto di competenze tra gli organi dell’Ente locale), bensì di
un potere esercitabile in presenza di fattispecie ben definite dal Regolamento.
16. Parimenti infondate risultano le
censure incentrate sul fatto che non sia stata garantita la partecipazione al
procedimento finalizzato all’adozione della deliberazione n. 50/2015 alle
imprese del settore e, in particolare, a quelle che hanno preso parte alla
procedura di riordino. Difatti non giova alle ricorrenti invocare gli articoli
7 e seguenti della legge n. 241/1990 perché l’art. 13 della legge stessa, nel
disciplinare l’ambito di applicazione delle disposizioni sulla partecipazione
al procedimento amministrativo, prevede che tali disposizioni non trovino
applicazione in caso di attività amministrative dirette all’emanazione di atti
normativi, tra i quali rientra anche il Regolamento.
17. Quanto poi alla denunciata mancanza dell’AIR,
il Collegio preliminarmente rammenta che l’art. 14, comma 1, della legge n.
246/2005 definisce tale istituto come la “valutazione preventiva degli effetti
di ipotesi di intervento normativo ricadenti sulle attività dei cittadini e
delle imprese e sull’organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche
amministrazioni, mediante comparazione di opzioni alternative”, sicché non v’è
dubbio che nel caso in esame una fase di consultazione dei soggetti incisi
dalla nuova disciplina del settore avrebbe consentito a Roma Capitale di
mettere a fuoco tutti gli effetti della nuova disciplina del settore delle
affissioni. Tuttavia la mancanza di tale fase consultazione non può essere
addotta quale vizio di legittimità della deliberazione n. 50/2015 in quanto: A)
l’art. 14 della legge n. 246/2005 chiarisce, al comma 2, che la disciplina
posta dall’articolo stesso riguarda “l’elaborazione degli schemi di atti
normativi del Governo”; B) se è vero che Roma Capitale ha introdotto l’AIR nel
proprio ordinamento attraverso la deliberazione della Giunta comunale n. 621
del 29 ottobre 2002 (recante il “Regolamento sull’ordinamento degli Uffici e
dei Servizi del Comune di Roma e s.m.i.”), è anche vero che l’art. 4 dispone
soltanto che “l’Amministrazione, tramite il Dipartimento Politiche per la
Semplificazione Amministrativa e della Comunicazione, svolge l’analisi di
impatto della regolamentazione per valutare, anche nella fase di proposta, gli
effetti sui cittadini, sulle imprese e sulla propria organizzazione, dei propri
atti normativi ed amministrativi generali, compresi gli atti di programmazione
e pianificazione, con particolare riferimento alla semplificazione
amministrativa”, ma non prevede un’istruttoria aperta alla partecipazione dei
cittadini e delle imprese.
18. Passando alle ulteriori censure
proposte con i ricorsi n. 14401/2014, n. 15804/2014 e n. 15806/2014, il
Collegio osserva innanzi tutto che non sussiste la violazione dei principi
preposti alla formazione della volontà assembleare dedotta in relazione al fatto
che l’Assemblea capitolina abbia anteposto l’adozione del PRIP all’adozione
delle modifiche al Regolamento. Infatti - sebbene sia incontestabile la
premessa su cui si fonda tale censura, relativa al fatto che il PRIP abbia
valore attuativo della disciplina regolamentare - cionondimeno non può farsi a
meno di rilevare come dall’esame della prima parte delle deliberazioni n. 49 e
n. 50 (ove sono riportati gli estratti del verbale n. 54/2014) si evince che
entrambi i provvedimenti collegiali sono stati approvati alle ore 11,05, ossia
contestualmente, sicché risulta evidente che la numerazione delle due
deliberazioni non sta affatto ad indicare che la volontà dell’organo collegiale
si è formata prima sull’adozione del PRIP e poi sull’adozione delle modifiche al
Regolamento.
19. Quanto poi alle censure aventi ad
oggetto la deliberazione n. 49/2014, si è già evidenziato che non v’è motivo di
dubitare della sussistenza dell’interesse a ricorrere avverso tale
provvedimento, perché la zonizzazione operata con il PRIP è idonea ad incidere
in via immediata e diretta sulla sfera giuridica dei destinatari del piano;
tuttavia da ciò discende che, qualora un soggetto si ritenga leso da una scelta
operata attraverso la zonizzazione, deve indicare con precisione quale sia l’impianto
inciso da tale scelta. Ciò posto, il Collegio osserva che la società Defi Srl
(con il ricorso n. 14401/2014), la società Opera Srl (con il ricorso n.
15804/2014) e le società Fallimento A.R.P. Srl e ATC Communications Srl (con il
ricorso n. 15806/2014), nel censurare la «totale indeterminatezza» del PRIP,
deducono che la zonizzazione non è graficamente intellegibile perché le tavole
allegate al piano recano «mappe colorate che non consentono di contestualizzare
le singole zone» e, quindi, non consentono di comprendere se un determinato
impianto sia conforme o meno alle NTA del PRIP. Tuttavia nessuna delle predette
società ha indicato con precisione quali siano gli impianti per i quali la
zonizzazione risulta non intellegibile. In particolare la società Defi Srl si è
limitata ad affermare soltanto che «vanta cinque posizioni nella città di
Roma»; la società Opera Srl, pur avendo riferito che gestisce impianti
pubblicitari ubicati sui terrazzi di immobili siti in corso Francia, viale
Rossini, viale dell’Alberone e via Gregorio VII, si è poi limitata ad affermare
genericamente che i suoi impianti «sono collocati su tetti e terrazzi in zone
più o meno limitrofe al centro delimitato dalle mura aureliane» e che «alcuni
sono moto vicini all’anello ferroviario», senza specificare quali sarebbero gli
impianti per i quali la zonizzazione risulta non intellegibile; le società
Fallimento A.R.P. Srl e ATC Communications Srl hanno fatto espresso riferimento
soltanto all’insegna luminosa “Martini”, collocata sul lastrico solare del
palazzo di via Bissolati n. 20, in relazione alla quale non sussiste alcuna
situazione di incertezza in quanto la stessa - per espressa ammissione delle
ricorrenti stesse (cfr. il quarto motivo del ricorso n. 15806/2014) - rientra
nella sottozona B1 del PRIP. Ne consegue che, non avendo le società ricorrenti
indicato con precisione gli impianti per i quali la zonizzazione non sarebbe
intellegibile, le censure in esame devono essere dichiarate inammissibili
perché generiche.
20. Prive di fondamento risultano poi le
ulteriori censure dedotte con i ricorsi n. 15804/2014 e n. 15806/2014, a mezzo
delle quale vengono censurate le scelte di fondo operate con la deliberazione
n. 49/2014 sotto il profilo della violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990
e dell’eccesso di potere per irragionevolezza, disparità di trattamento e
ingiustizia manifesta. In particolare le ricorrenti deducono che non è dato
comprendere per quale motivo: A) sia stata riservata una diversa disciplina
alle diverse aree del territorio capitolino, evidenziando che - fatta eccezione
per il centro storico, per il quale una distinzione potrebbe risultare
comprensibile, anche se non condivisibile - non sono state indicate in
motivazione le ragioni per cui alcuni mezzi pubblicitari possano essere
utilizzati nella zona B3 e non nella zona B2, specie perché la zona B3 è più
periferica, ma certo non può dirsi che la zona B2 (grosso modo coincidente con
l’anello ferroviario) sia centralissima; B) siano state operate discriminazioni
tra i diversi tipi di impianti, evidenziando che nella zona B2 sono ammessi gli
impianti su pareti cieche, ma non gli impianti sui terrazzi. Ebbene, quanto al
difetto di motivazione è sufficiente rammentare che l’art. 3, comma 2, della
legge n. 241/1990 esclude l’obbligo di motivazione per gli atti a contenuto
generale, tra i quali rientra anche l’impugnata deliberazione n. 49/2014.
Invece, quante alle ulteriori censure, si deve ribadire che le scelte relative
alle caratteristiche degli impianti, essendo rispondenti ad esigenze di decorso
urbano, attengono al merito dell’azione amministrativa e, quindi, sono
sindacabili dal Giudice amministrativo solo nei limiti in cui risultino
manifestamente illogiche, arbitrarie, o sproporzionate. Ciò posto è sufficiente
evidenziare che: A) l’art. 13 delle NTA del PRIP include nella zona A “le aree
in cui è vietata l’istallazione di impianti pubblicitari e di impianti per
pubbliche affissioni” e nella zona B le aree in cui l’istallazione degli
impianti è ammessa secondo le modalità disciplinate dalle stesse NTA,
suddividendo tale zona nella sottozona B1, che “comprende le aree incluse
all’interno del tracciato delle mura aureliane, delle mura gianicolensi e delle
mura vaticane”, nella sottozona B2, che “include le aree esterne al tracciato
delle mura e incluse all’interno del tracciato dell’anello ferroviario ed il
quartiere dell’EUR”, e nella sottozona B3, che “comprende tutte le
restanti aree esterne al tracciato dell’anello ferroviario ed al quartiere
dell’EUR”; B) la stessa ricorrente ammette che il criterio in base al quale
è stata operata la suddivisione della zona B e sono state operate le scelte
relative agli impianti ammessi nelle sottozone B1, B2 e B3 attiene alla
maggiore o minore centralità delle stesse, e tale criterio non appare
manifestamente illogico o arbitrario.
21. Considerazioni analoghe a quelle
appena svolte valgono anche per il quarto motivo del ricorso n. 15806/2014,
avente ad oggetto la scelta operata attraverso il combinato disposto degli
articoli 13 e 15 del PRIP, per effetto dei quali nella sottozona B1 non sono
più ammessi gli impianti privati su terrazzi, con conseguente incompatibilità
con le norme di piano dell’insegna luminosa “Martini” ubicata sull’edificio di
via Leonida Bissolati n. 20. Infatti le società ricorrenti, dopo aver ricordato
che tale insegna ha fortemente caratterizzato il tessuto urbano di via Veneto,
come dimostrano opere cinematografiche quali la “Dolce vita” di Federico
Fellini e “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, recentemente premiato con
l’Oscar», affermano che la scelta operata con il PRIP «rischia di togliere
l’ultimo e più caratteristico fregio commerciale di via Veneto, a dispetto
della tradizione e del radicamento nel tessuto urbano dell’insegna Martini».
Ciò posto, risulta evidente che le ricorrenti mirano in realtà a stimolare un
sindacato di merito sulle scelte operate dall’Assemblea capitolina, che esula
dalle competenze di questo Tribunale.
22. Infine il Collegio ritiene palesemente
inammissibili, perché generici, il terzo ed il quarto motivo del ricorso n.
14401/2014.
23. Passando all’esame del ricorso n.
3353/2015 e dei ricorsi per motivi aggiunti aventi ad oggetto la deliberazione
della Giunta capitolina n. 380/2014 (con la quale è stato affidato alla società
Æqua Roma il compito di redigere i piani di Localizzazione e sono stati forniti
indirizzi per la gestione temporanea degli impianti inseriti nella NBD) e la
nota in data 27 gennaio 2015 (con la quale è stata comunicata a tutte le
società censite nella NBD l’adozione della predetta deliberazione n. 380/2014,
con contestuale diffida ad adeguare gli impianti entro il termine del 20 maggio
2015 secondo le ulteriori prescrizioni contenute in tale deliberazione), il
Collegio osserva innanzi tutto che la reiezione delle censure dedotte avverso
la deliberazione n. 50/2014 - da qualificare come atto presupposto - determina
evidentemente la reiezione di tutte le censure incentrate sull’illegittimità derivata
della deliberazione n. 380/2014. Analoghe considerazioni valgono per le censure
dedotte con il ricorso n. 3353/2014 ed incentrate sulla violazione dell’art.
62, comma 1, lett. b), del D.Lgs. 446/1997, sulla violazione della regola
dell’irretroattività degli atti amministrativi e sulla violazione dei principi
di buona fede, correttezza e proporzionalità dell’azione amministrativa.
24. Parimenti da respingere sono le
censure incentrate sulla elusione del c.d. “giudicato cautelare”, formatosi
sulle ordinanze di questa Sezione n. 6508 e n. 6522 del 2014. Tali censure
riguardano innanzi tutto il nuovo termine del 20 maggio 2015 assegnato alle
imprese interessate per provvedere non solo all’adeguamento degli impianti 4x3,
già imposto dalla deliberazione n. 50/2014, ma anche alle ulteriori attività di
adeguamento imposte con la deliberazione n. 380/2014, la quale per l’appunto
dispone che entro il predetto termine: A) “tutti gli impianti SPQR, ivi
compresi quelli già inseriti nella Nuova Banca Dati, devono essere installati o
mantenuti sul territorio solo se presentano le caratteristiche dei progetti
tipo di cui alla deliberazione G.C. 25/2010”; B) “tutti gli impianti
pubblicitari, sia SPQR che di proprietà privati, già inseriti nella Nuova Banca
Dati e mantenuti sul territorio ai sensi dell’art. 34 comma 9 del Regolamento
di Pubblicità devono presentare la caratteristica tecnica del colore grigio
antracite RAL 7016 Pantone 3305”. In particolare con i motivi aggiunti
proposti nel giudizio introdotto con il ricorso n. 14435 del 2014 viene dedotto
che la deliberazione n. 380/2014 non è conforme a quanto disposto con le
predette ordinanze cautelari perché questo Tribunale «ha chiaramente rinviato
ogni disposizione in ordine al termine di trasformazione del formato alle
decisioni che verranno assunte all’udienza di merito». A tal riguardo il
Collegio osserva innanzi tutto che questo Tribunale ha sospeso l’efficacia
della previsione relativa al termine finale del 31 gennaio 2015 giudicandolo
inadeguato in relazione alla gran mole di interventi richiesti per
l’adeguamento di tutti gli impianti formato 4x3, mentre nel concedere la
«proroga» del termine al 20 maggio 2015 non ha inteso affatto sostituirsi
all’Amministrazione nell’indicare il nuovo termine da assegnare alle imprese
per completare l’adeguamento di tali impianti. Infatti la concessione della
«proroga» del predetto termine mirava soltanto a precisare che il differimento
del termine ultimo per l’adeguamento degli impianti, quantomeno fino alla
celebrazione della prima udienza pubblica fissata per la trattazione del merito
(nella quale sarebbe stata definitivamente esaminata la censura relativa
all’incongruità del termine del 31 gennaio 2015), non faceva certo venir meno
l’obbligo di adeguare gli impianti, imposto agli operatori interessati a
continuare ad operare sul territorio comunale anche dopo il 31 dicembre 2014.
Pertanto, da un lato, questo Tribunale non ha affatto invaso la sfera di potere
riservata all’Amministrazione capitolina; dall’altro, non vi è motivo di
ritenere che la deliberazione n. 380/2014 sia stata adottata in violazione del
giudicato cautelare perché, come ben evidenziato da Roma Capitale nelle sue
difese, le suddette ordinanze cautelari non hanno comportato nessuna
sospensione dell’obbligo di porre in essere le attività di adeguamento degli
impianti formato 4x3. Inoltre palesemente infondata risulta la censura (dedotta
con il ricorso n. 3353/2015) incentrata sul fatto che l’Amministrazione abbia
deciso di avviare la predisposizione dei piani di localizzazione degli impianti
in prossimità dell’udienza pubblica fissata per la decisione sulle impugnazioni
proposte avverso le deliberazioni n. 49 e n. 50; difatti le decisioni assunte
da questo Tribunale nella sede cautelare non precludevano affatto
all’Amministrazione di avviare le attività finalizzate alla predisposizione dei
piani di localizzazione.
25. Né miglior sorte merita la censura con
la quale viene dedotta l’incompetenza della Giunta a prescrivere che “in
applicazione dell’art. 19, comma 2, del Regolamento … tutti gli impianti
pubblicitari, sia SPQR che di proprietà privati, già inseriti nella Nuova Banca
Dati e mantenuti sul territorio ai sensi dell’art. 34 comma 9 del Regolamento
di Pubblicità devono presentare la caratteristica tecnica del colore grigio
antracite RAL 7016 Pantone 3305”. Infatti il Collegio ritiene che: A) la
competenza della Giunta a fissare il colore degli impianti sia desumibile
dall’art. 19, comma 2, del Regolamento che, per l’appunto, attribuisce alla
Giunta la competenza ad adottare norme tecniche per l’installazione degli
impianti; B) l’adozione di norme tecniche non postuli necessariamente (come
invece affermato da una delle ricorrenti) che la Giunta predisponga un corpus
di prescrizioni, coerenti e coordinate, che disciplina tutte le caratteristiche
degli impianti; C) non vi sia alcuna ragione per operare la distinzione
(proposta da una delle ricorrenti) tra norme tecniche riguardanti gli impianti
da installare in forza dei titoli che verranno rilasciati in base al PRIP e
all’esito delle procedure di gara (per i quali troverebbe applicazione l’art.
19, comma 2, del Regolamento), e norme tecniche riguardanti gli impianti
inseriti nella NBD, il mantenimento dei quali è consentito dalla nuova
disciplina regolamentare solo fino alla conclusione delle procedure di gara
(per i quali non troverebbe applicazione l’art. 19, comma 2, del Regolamento).
26. Quanto alla censura incentrata sulla
inattuabilità della prescrizione secondo la quale “tutti gli impianti
pubblicitari, sia SPQR che di proprietà privati, già inseriti nella Nuova Banca
Dati e mantenuti sul territorio ai sensi dell’art. 34 comma 9 del Regolamento
di Pubblicità devono presentare la caratteristica tecnica del colore grigio
antracite RAL 7016 Pantone 3305”, il Collegio osserva che il codice “RAL
7016” corrisponde al colore grigio antracite, mentre il “Pantone 3305”
in realtà corrisponde ad un verde bottiglia. Tuttavia ciò non è sufficiente per
ritenere che la pitturazione degli impianti fosse concretamente inattuabile,
perché dalla suddetta prescrizione comunque si evince la volontà di imporre per
tutti gli impianti pubblicitari “la caratteristica tecnica del colore grigio
antracite”.
27. Palesemente infondate risultano anche
le censure incentrate sulla violazione degli articoli 7 e seguenti della legge
n. 241/1990, perché l’art. 13 della legge stessa, nel disciplinare l’ambito di
applicazione delle disposizioni sulla partecipazione al procedimento
amministrativo, prevede espressamente che tali disposizioni non trovino
applicazione in caso di attività amministrative dirette all’emanazione di atti
amministrativi generali, tra i quali rientra anche la deliberazione n.
380/2014.
28. Considerazioni in parte diverse
valgono per le censure con le quali viene dedotto che: A) il termine del 20
maggio 2015 risulterebbe inadeguato, rispetto alla mole di attività necessarie
per l’adeguamento degli impianti imposte dalle deliberazione n. 50/2014 e n.
380/2014, e comunque irragionevole, perché tali deliberazioni non indicano una
data certa che consenta alle imprese interessate di sapere fino a quando
potranno mantenere gli impianti trasformati; B) con la deliberazione n.
380/2014 sono state imposte nuove ed onerose attività di adeguamento in assenza
delle norme tecniche che la Giunta dovrà emanare ai sensi dell’art. 19, comma
2, del Regolamento e in relazione ad impianti che, per effetto della delibera
n. 50/2014, versano in una condizione di precarietà, sicché sussiste il rischio
di dover sostenere gravosi oneri per adeguare impianti che in futuro potrebbero
non essere mantenuti sul territorio comunale o essere oggetto di nuovi
interventi per adeguarli alle prescrizioni imposte con le norme tecniche. In
particolare risultano solo in parte condivisibili le considerazioni svolte da Roma
Capitale nelle sue difese, ove è stato evidenziato che la deliberazione n.
380/2014 completa il processo di adeguamento degli impianti SPQR alle
disposizioni già approvate con la deliberazione della Giunta capitolina n.
25/2010, ma vincolanti unicamente per il I municipio. Infatti - fermo restando
che, come già evidenziato, il mantenimento degli impianti sul territorio
comunale, nelle more della conclusione delle procedure di gara, costituisce una
mera facoltà e non un obbligo per le imprese interessate - il Collegio ritiene
che, in considerazione del gran numero di impianti gestiti da molte delle
società ricorrenti, dei nuovi obblighi di adeguamento imposti con la
deliberazione n. 380/2014 (in aggiunta a quelli derivanti dalla deliberazione
n. 50/2014), nonché delle gravi conseguenze connesse al mancato adeguamento
degli impianti, le censure in esame possano essere accolte nella parte in cui
viene dedotta l’inadeguatezza, per eccessiva brevità, del termine del 20 maggio
2015, in quanto imposto con una deliberazione pubblicata in data 22 gennaio
2015, ossia appena quattro mesi prima della scadenza del predetto termine.
29. Parimenti fondate risultano le censure
incentrate sull’incompetenza della Giunta a: A) limitare ulteriormente la
tipologia dei formati degli impianti SPQR ammessi; B) prevedere, per gli
impianti privati che devono essere suddivisi in lotti, la composizione di
ciascun lotto. Difatti nel Regolamento sono puntualmente indicati i compiti
demandati alla Giunta (si vedano, ad esempio, le disposizioni relative al
potere di derogare ai limiti della superficie massima prevista dalla
pianificazione generale ed ai formati ammessi o quella relativa al potere di
emanare le c.d. norme tecniche). Inoltre, secondo la giurisprudenza (ex
multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 20 agosto 2013, n. 4192), in relazione
alla limitata serie di atti tassativamente individuati dall’art. 42, comma 2,
del decreto legislativo n. 267/2000 si configura una competenza esclusiva del
Consiglio comunale. Ciò posto, il Collegio ritiene che - a fronte della
previsione dell’art. 20, comma 1, lett. f), del Regolamento, ove sono
dettagliatamente indicati le caratteristiche tipologiche ed i formati ammessi -
non spetti alla Giunta limitare la tipologia dei formati degli impianti SPQR ammessi.
Analoghe considerazioni valgono per le censure relative alla composizione dei
lotti in quanto - a fronte della previsione dell’art. 7, comma 1-bis, del
Regolamento, ove è previsto che “il territorio capitolino viene suddiviso al
massimo in dieci lotti, che ricomprendono impianti ricadenti proporzionalmente
in tutti i municipi, a garanzia di un’omogeneità economica complessiva” -
vi è motivo di ritenere che non spetti alla Giunta disciplinare la composizione
di ciascun lotto con disposizioni di dettaglio come quelle contenute nella
deliberazione n. 380/2014.
30. Per effetto dell’accoglimento delle
censure incentrate sull’incompetenza della Giunta, viene meno l’interesse
all’esame delle ulteriori censure aventi ad oggetto le suddette disposizioni
della deliberazione n. 380/2014.
31. Passando al ricorso per motivi
aggiunti proposto nel giudizio introdotto con il ricorso n. 14526 del 2014 -
avente ad oggetto la determinazione dirigenziale del 27 luglio 2015, con la
quale sono stati approvati i lavori Conferenza di sevizi convocata, ai sensi
dell’art. 32 delle NTA del PRIP, ai fini dell’adozione di piani di
localizzazione degli impianti pubblicitari - risulta innanzi tutto infondata la
censura incentrata sulla lesione del legittimo affidamento delle imprese del
settore nel «recepimento automatico dei propri impianti nei piani di
localizzazione». Difatti, come già evidenziato, l’art. 7, comma 5-bis, del
Regolamento (inserito dalla deliberazione n. 50/2014) dispone che “in sede
di prima applicazione dei Piani di localizzazione di cui all’art. 19, gli
impianti pubblicitari di proprietà di Roma Capitale sono oggetto di
concessione, nel rispetto dei principi di evidenza pubblica, prioritariamente
alle imprese che hanno partecipato alla procedura di cui alle deliberazioni di
Consiglio Comunale n. 254/1994 e di Giunta Comunale n. 1689/1997 con i criteri
che saranno successivamente definiti dalla Giunta capitolina. ...”. Ciò
posto, si deve ribadire che non è configurabile alcuna lesione del legittimo
affidamento se i posizionamenti ed i formati degli impianti corrispondono solo
in parte con quelli degli impianti di proprietà delle società ricorrenti.
Difatti la disposizione dell’art. 7, comma 5-bis, del Regolamento non poteva
certo essere intesa nel senso che, in sede di prima applicazione dei piani di
localizzazione, avrebbero dovuto essere previste vere e proprie deroghe ai
principi dell’evidenza pubblica per consentire alle imprese del settore di
mantenere sul territorio capitolino tutti gli impianti inseriti nella NBD.
Parimenti infondata risulta, per le ragioni già esposte in occasione dell’esame
dei ricorsi proposti avverso la deliberazione n. 50/2014, la censura incentrata
sulla violazione dell’art. 62, comma 1, lett. b), del D. Lgs. n. 446/1997.
32. Né miglior sorte meritano le censure
incentrate: A) sulla mancata previsione del formato 4x3; B)
sull’irragionevolezza delle previsioni che, nelle more della conclusione delle
procedure di gara, hanno imposto obblighi di adeguamento anche per gli impianti
non contemplati nei piani di localizzazione. Difatti si è già posto in rilievo
che: A) non risulta manifestamente arbitraria o sproporzionata la scelta di
ridurre l’impatto degli impianti pubblicitari sul territorio capitolino
attraverso l’adozione del meno invasivo formato 3x2; B) il temporaneo
mantenimento di tali impianti costituisca una mera facoltà e non un obbligo per
le imprese interessate.
33. Passando alla censura incentrata sul
fatto che con il terzo capoverso del dispositivo della determinazione
dirigenziale del 27 luglio 2015 sia stato dato incarico alla società Æqua Roma
di “effettuare sulla proposta dei Piani di Localizzazione ..., di cui alla
nota prot. QHH/22759 del 30.3.2015, le materiali modifiche al fine di adeguarla
ai pareri ...”, il Collegio ritiene che il riferimento alla nota prot.
QHH/22759 del 30.3.2015 costituisca un mero refuso, perché i piani di
localizzazione devono evidentemente essere adeguati ai pareri resi dalle
competenti Soprintendenze con riferimento alle ultime alle stesse inviate dalla
società Æqua Roma.
34. Palesemente infondata risulta la
censura incentrata sulla violazione degli articoli 7 e seguenti della legge n.
241/1990, perché l’art. 13 della legge stessa, nel disciplinare l’ambito di
applicazione delle disposizioni sulla partecipazione al procedimento
amministrativo, prevede che tali disposizioni non trovino applicazione in caso
di attività amministrative dirette alla emanazione di atti di pianificazione,
tra i quali rientrano anche i piani di localizzazione degli impianti
pubblicitari.
35. Diverse considerazioni valgono,
invece, per la censura incentrata sulla limitazione dei formati ammessi,
rispetto a quelli previsti dall’art. 20, comma 1, lett. f), del Regolamento.
Difatti le ragioni che hanno determinato l’accoglimento dell’analoga censura
rivolta avverso la deliberazione n. 380/2014 valgono evidentemente anche per la
censura in esame.
36. Stante quanto precede il Collegio
conclusivamente dispone come segue. I ricorsi n. 3006/2014, n. 14401/2014, n.
14526/2014, n. 15194/2014, n. 15195/2014, n. 15804/2014, n. 15806/2014 in parte
devono essere dichiarati inammissibili e in parte devono essere respinti perché
infondati. I ricorsi n. 14431/2014, n. 14433/2014, n. 14435/2014, n.
14436/2014, n. 15651/2014, e n. 15829/2014 devono essere accolti limitatamente
alla domanda di annullamento dell’impugnata nota del 23 settembre 2014, nella
parte in cui prevede che l’adeguamento degli impianti inseriti nella NBD alle
previsioni dell’art. 20, comma 1, lett. f), del Regolamento debba essere
effettuato “entro il termine ultimo del 31.1.2015”. Il ricorso n.
3553/2015 ed i ricorsi per motivi aggiunti proposti nei giudizi introdotti con
i ricorsi n. 14435/2014, n. 14436/2014 devono essere accolti, con assorbimento
delle restanti censure, limitatamente alla domanda di annullamento
dell’impugnata deliberazione n. 380/2014 nella parte in cui prevede: A) che “gli
impianti SPQR sono previsti nel formato mt 3x2, mt 1,40x2 e palina mt 1x1”;
B) che “gli impianti privati devono essere suddivisi in lotti. Ogni lotto
deve ricomprendere circuiti di impianti pubblicitari localizzati in più
Municipi” e che “ogni lotto deve ricomprendere circuiti di impianti localizzati
in più Municipi. Ogni lotto deve avere impianti con un dimensionamento misto
mt. 3x2; mt. 1,40x2 e mt. 1x1. Uno dei lotti deve essere destinato a fornire il
servizio di pubblica utilità di Bike Sharing, e dovrà essere dimensionato ed
ubicato sul territorio in termini di sostenibilità economica del servizio. Il
lotto del Bike Sharing, tenuto conto di quanto previsto dal PGTU, dovrà
prevedere una superficie espositiva di minimo 8.000 mq. Un altro lotto, con una
superficie espositiva di massimo 5.000 mq., deve essere destinato a finanziare
servizi di pubblica utilità, quali ad esempio servizi igienici pubblici,
elementi di arredo urbano, il servizio di pubbliche affissioni. È possibile
prevedere anche ulteriori lotti destinati a servizi di pubblica utilità. I
formati degli impianti per i lotti funzionali ai servizi di pubblica utilità
sono esclusivamente mt. 1,20x1,80 e mt. 3,2x1,40. Un altro lotto dovrà essere
dedicato al Circuito Cultura e Spettacolo con impianti modello SPQR mt. 2x2
distribuiti su tutti i Municipi”; C) il termine del “20 maggio 2015”,
per l’adeguamento di tutti gli impianti SPQR, da installare o mantenere sul
territorio, alle caratteristiche dei progetti tipo di cui alla deliberazione
della Giunta Capitolina n. 25/2010. Il ricorso per motivi aggiunti proposto nel
giudizio introdotto con il ricorso n. 14526 del 2014 deve essere accolto
limitatamente alla domanda di annullamento dell’impugnata determinazione
dirigenziale del 27 luglio 2015 nella parte in cui approva piani di
localizzazione degli impianti pubblicitari che limitano i formati ammessi ai
soli formati previsti dalla deliberazione della Giunta Capitolina n. 380/2014.
37. Tenuto conto della novità e della
complessità delle questioni trattate sussistono giusti motivi per compensare
tra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
il Lazio (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti n.
3006/2014, n. 14401/2014, n. 14431/2014, n. 14433/2014, n. 14435/2014, n.
14436/2014, n. 14526/2014, n. 15194/2014, n. 15195/2014, n. 15651/2014, n.
15804/2014, n. 15806/2014, n. 15829/2014 e n. 3553/2015, nonché sui ricorsi per
motivi aggiunti in epigrafe indicati, li accoglie in parte e, per l’effetto,
annulla la nota del dirigente della Direzione Attività Economiche e Produttive
prot. n. LR/BG 61384 del 23 settembre 2014, la deliberazione della Giunta
Capitolina n. 380 del 30 dicembre 2014 e la determinazione dirigenziale prot.
n. QH/53707 in data 27 luglio 2015 nei limiti indicati in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 27 gennaio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Silvia Martino,
Presidente
Roberto Caponigro,
Consigliere
Carlo Polidori,
Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/02/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)